Messaggero 2012-17 Gen-Mar

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Trimestrale di formazione e spiritualitĂ francescana

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Gennaio n° Marzo 2012


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Gennaio n° Marzo 2012

Ecco un nuovo anno del Messaggero e un nuovo tema di fondo. L’anno è il 101esimo di questa rivista, nata come voce della Madonna del Sasso e organo del Francescanesimo secolare della Svizzera Italiana. Non abbiamo celebrato il centenario perché volevamo intraprendere un’azione di rilancio. In questi ultimi mesi questa azione sta realizzandosi: si sono aggiunti alla nostra rivista numerosi nuovi lettori. A questi verrà offerto un omaggio (vedi inserto). Il nuovo tema è d’obbligo: siamo a 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II. Per tutto quest’anno parleremo dei Concili precedenti; il prossimo anno vedremo qualche documento, tra i più importanti, dell’ultimo Concilio. È importante riprendere il discorso sul Concilio Vaticano II; molti non hanno vissuto quella primavera della Chiesa e chi l’ha vissuta ha anche notato che, alla primavera, è seguito un autunno piuttosto uggioso. Speriamo che il cinquantesimo faccia rinverdire e rinnovare quello spirito. Quest’anno ricorrono pure gli 800 anni dall’abbandono della casa paterna, per seguire Francesco, da parte di Chiara d’Assisi. Questo avvenimento verrà ricordato da una serie di articoli di Mario Corti, mentre la Comunità del Sacro Cuore di Bellinzona ha preparato sull’argomento una Sacra Rappresentazione che porterà in diverse parrocchie del Ticino e all’estero. Il Messaggero segnala le date e invita tutti gli amici ed abbonati a vivere quel momento di spiritualità.

MESSAGGERO Rivista fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano ISSN 2235-3291

Comitato Editoriale fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Edy Rossi-Pedruzzi fra Michele Ravetta Maurizio Agustoni Gino Driussi Alberto Lepori E-Mail redazione@messaggero.ch

Hanno collaborato a questo numero don Carlo Cattaneo Mario Corti fra Agostino Del-Pietro Gabriella Modonesi fra Andrea Schnöller don Sandro Vitalini

Redazione e Amministrazione Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32 Fax +41 (91) 922.60.37 Internet www.messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch

Abbonamenti 2012 ordinario CHF 30.sostenitore da CHF 50.CCP 65-901-8 IBAN CH4109000000650009018

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Editoriale Un’autentica risposta alla povertà

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L’anno scorso, qualche giorno prima di Natale, l’Ufficio federale di statistica ha pubblicato uno studio da cui emerge che il 14,2% della popolazione residente in Svizzera (quasi una persona su sette) è esposta al rischio di povertà. Il fenomeno interessa soprattutto chi vive in una famiglia monoparentale (32,8%), chi ha frequentato solo la scuola dell’obbligo (25,1%) e gli ultra 65enni (23,0%), in particolare se vivono soli (29,4%). Secondo lo studio il rischio di povertà è dato quando una persona dispone di un reddito inferiore al 60% del reddito mediano svizzero (47’567 franchi all’anno), cioè quando il reddito mensile è inferiore a ca. 2’380 franchi. Lo studio indica inoltre che il 25% delle famiglie con figli non è in grado di far fronte con mezzi propri a una spesa improvvisa di più di 2’000 franchi. Queste cifre appaiono ancora più impressionanti se pensiamo al fatto che la Svizzera è uno degli Stati più ricchi e sviluppati del mondo e che nel 2011 la Confederazione ha chiuso i propri conti con un utile di 1,9 miliardi di franchi. È allora quasi spontaneo chiedersi se lo Stato non debba intensificare il proprio sostegno alle fasce più deboli, in particolare attraverso sussidi assistenziali di vario tipo. Si tratta senz’altro di una pista da esaminare, avendo però ben chiaro che lo Stato non può fare tutto, né può arrivare dappertutto. L’aiuto dei più bisognosi incombe innanzitutto a ciascuno di noi, attraverso il doveroso e generoso esercizio del comandamento della Carità: l’esistenza di un diffuso stato sociale non può legittimare l’inoperosità o l’indifferenza di fronte alle necessità dei più deboli. L’aiuto al bisognoso non può poi prescindere dall’individuare e dal prevenire le cause della sua condizione, nonché dal valorizzare i suoi talenti, in particolare attraverso il lavoro quale via maestra per una piena integrazione sociale. L’assistenza pubblica non può, né deve, costituire un disincentivo allo svolgimento di un’attività lavorativa. In questo ambito credo sia particolarmente illuminante l’esempio di San Vincenzo de’ Paoli (1581-1660), uno dei più importanti pensatori cristiani in materia di Carità. Nella sua visione, l’assistenza al povero non può tradursi nell’elemosina indiscriminata, spesso addirittura dannosa, e deve puntare in modo deciso all’inserimento professionale. Inoltre l’aiuto al povero non può limitarsi alla burocratica applicazione di regolamenti, ma deve tenere conto della persona nella

sua individualità, dignità e sensibilità; questo aspetto richiama una particolare responsabilità della famiglia e della comunità locale. Questa “filosofia” è altrettanto valida nell’ambito più ampio dell’atteggiamento che i paesi “ricchi” devono avere nei confronti delle zone più depresse del nostro pianeta. A questo riguardo, mi sembrano quindi particolarmente significative e attuali le considerazioni espresse nel novembre 2008 dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace in occasione della Conferenza sul finanziamento dello sviluppo organizzata a Doha dalle Nazioni Unite: “L’esperienza di cooperazione internazionale allo sviluppo è ormai sufficientemente ampia da permettere di concludere che politiche e risorse “calate dall’alto” possono produrre effetti benefici immediati, ma da sole non forniscono risposte adeguate a come uscire, in modo sostenibile, dalla povertà. I principi di sussidiarietà e di solidarietà, tanto cari alla dottrina sociale della Chiesa, possono ispirare un autentico sviluppo nel segno di un umanesimo integrale e solidale”. Insomma, ad uno sbrigativo assistenzialismo statale, occorre preferire un approccio più responsabilizzante, sia nei confronti della società, sia nei confronti di chi si trova nel bisogno. La povertà interroga l’intera società, e solo la società nel suo insieme – persone, associazioni e Stato – può offrire un’autentica ed efficace risposta. Maurizio Agustoni

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La storia della Chiesa nei Concili ecumenici A cinquant’anni dal Concilio Vaticano II

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Cinquant’anni fa, l’11 ottobre 1962, papa Giovanni XIII apriva solennemente a Roma, nella Basilica di San Pietro, il Concilio Vaticano II, da tutti gli storici riconosciuto come l’avvenimento centrale e più importante per la Chiesa cattolica del secolo XX. Esso rappresenta però l’ultimo, in ordine di tempo, di una lunga serie di Concili che hanno segnato lo sviluppo della Chiesa cristiana, a partire dalla vita di Gesù Cristo in Palestina, nel primo secolo dell’era cristiana. Sviluppo che ha annunciato il Vangelo via via a tutto il mondo, ma anche ha rappresentato un approfondimento della “Buona Novella” che Gesù ha insegnato con la sua vita e la sua predicazione. A questo sviluppo il Messaggero dedicherà i quaderni di quest’anno, presentando la storia dei Concili, dai primi secoli del cristianesimo all’età contemporanea, ricordando specialmente le grandi verità della Fede che i cristiani, e specialmente i Padri conciliari, hanno proclamato e che ancora oggi sono a fondamento della comunità cristiana. Gli storici della Chiesa cattolica elencano 21 concili ecumenici, da quello di Nicea al Vaticano II, che possono essere divisi in quattro grandi gruppi. I primi otto, svoltisi in Oriente, dal 325 all’870, definiscono il Credo della Chiesa; i successivi dieci concili, celebrati in Occidente, dal 1125 al 1517, affrontano i temi po-

Le Chiese ortodosse riconoscono soltanto i primi sette concili ecumenici, mentre considerano gli altri semplici Sinodi particolari della Chiesa occidentale, e stanno preparando un loro Concilio “pan-ortodosso”. Le Chiese protestanti riconoscono l’autorità delle decisioni dei quattro primi Concili e riprendono nei loro scritti simbolici le Confessioni di fede allora formulate. Il Concilio ecumenico (= universale) è una riunione solenne di tutti i vescovi della cristianità, per definire argomenti controversi di fede o indicare orientamenti generali di morale. È espressione di tutta la Chiesa sparsa nel mondo intero. La Chiesa riservò ai primi quattro concili ecumenici un’importanza enorme. Papa Gregorio Magno (590604) li paragonò ai quattro evangeli, Isidoro di Siviglia (560-636) ai quattro fiumi del paradiso.

Cosa è un Concilio ecumenico

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sti dallo sviluppo della Chiesa universale; il Concilio di Trento (1454-1563) riorganizza la Chiesa romana dopo la Riforma protestante; infine, nei due Concili Vaticano I (1869-1870) e Vaticano II (1962-1965), la Chiesa romana si confronta con il mondo moderno.

CONCILIO viene dal latino concilium, parola formata da cum (assieme) e calere (chiamare): cioè assemblea riunita da una convocazione. E’ l’equivalente della parola greca ekklesia, con la quale c’è una radice comune: kalo (chiamare). I concili possono essere ecumenici (riunendo i vescovi del mondo), o particolari: plenari quando riuniscono i membri di una conferenza episcopale, cioè più spesso di una nazione; provinciali quando riuniscono i vescovi di una provincia ecclesiastica sotto la presidenza del metropolita (arcivescovo). Nei primi secoli, i concili a livello provinciale o di un paese, sono stati frequenti, perché a quel tempo le comunicazioni erano difficili e la Chiesa poco centralizzata. Da allora sono divenuti rari; certe tendenze autonomiste (del tipo gallicano) ne erano la origine, e la Santa Sede li considerava con grande diffidenza. Il Codice di diritto canonico del 1983 definisce i poteri, molto larghi, dei concili particolari, ma i loro decreti sono sempre sottomessi all’approvazione della Santa Sede.


Messaggio tematico

5 Il Concilio ecumenico rappresenta la Chiesa universale, è la più alta autorità della Chiesa. Costituito dall’insieme dei vescovi del mondo, è convocato dal Papa, presieduto da lui o dai suoi delegati, e le sue decisioni devono ugualmente essere confermate dal Papa. I loro atti rivestono un carattere d’infallibilità se contengono la definizione di una verità di fede. Questa necessaria unità di vedute non costituisce un ostacolo né all’iniziativa né all’innovazione. I dibattiti sono sempre molto animati, si fanno sulla base di progetti (schemi) allestiti da commissioni preparatorie. Nella storia non ci sono stati concili dove non si è manifestata tensione su certi punti. Così per esempio, al Concilio Vaticano II, la dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa ha conosciuto una redazione movimentata: una minoranza ridotta ma risoluta, vedeva nell’affermazione della libertà religiosa il rischio di mettere sullo stesso piano ciò che è la verità e ciò che è il contrario, e si è sforzata di modificare sostanzialmente il contenuto del progetto e di rinviarne l’approvazione. Di fatto, la III sessione del Concilio si concluse senza che la dichiarazione potesse essere accolta; durante la IV e ultima sessione, i dibattiti sul tema furono molto forti: il testo finale fu approvato (certo a larga maggioranza, 2308 favorevoli contro 70

contrari) ma solo alla fine di quest’ultima sessione. Tuttavia si tratta di un testo di grande importanza, rappresentando lo spirito di apertura che ha regnato nella grande maggioranza dei padri conciliari e costituisce un evento storico. (dalla “Nuova enciclopedia cattolica “Théo”, Parigi, 1989, pag. 1025, nostra traduzione).


Cronologia dei Concili ecumenici CONCILI ORIENTALI Nicea I 325 Costantinopoli I 381 Efeso 431 Calcedonia 451 Costantinopoli II 553 Costantinopoli III 680-681 Nicea II 787 Costantinopoli IV 869-870

Basilica di Santa Sofia a Istanbul, sede dei Concili Costantinopolitani

CONCILI MEDIOEVALI Laterano I 1123 Laterano II 1139 Laterano III 1179 Laterano IV 1215 Lione I 1245 Lione II 1274 Vienne 1311-1312 Costanza 1414-1418 Basilea-Ferrara-Firenze 1431-1443 Laterano V 1512-1517

CONCILI MODERNI Trento 1545-1563 Vaticano I 1869-1870 Vaticano II 1962-1965


Messaggio tematico I grandi Concili celebrati in Oriente Gli otto Concili Ecumenici che, convocati dagli imperatori romani e poi bizantini, furono tenuti sul suolo dell’Impero d’Oriente, a Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia, si distinguono da tutti quelli seguenti convocati dai Papi e celebrati in Occidente, tanto che si è autorizzati a trattarli come un’unità storica, benché come tempo si inoltrino nell’alto medio­evo e benché i primi quattro di essi, gli «antichi Concili» in senso stretto, si distacchino chiaramente dai successivi per la loro importanza. Papa Gregorio Magno ha paragonato questi quat­tro, per la loro autorità, ai quattro Evangeli, avendo essi formulato i dogmi fondamentali della Chiesa: il dogma trinitario e quello cristologico. In confronto a questa funzione capitale, tutte le altre questioni in essi trattate sono secondarie. Fin dal tempo della Riforma fu vivacemente discussa la questione, se nella con­vocazione degli antichi Con-

•Costantinopoli •Calcedonia •Nicea

•Efeso

cili gli imperatori avessero chiesto prima il consenso o addirittura ricevuto l’in­carico dai Vescovi di Roma; per quanto concerne i dati di fatto, la questione va risolta negativamente. Questo fatto non intacca il diritto di principio dei Papi; altrettanto sicuro è che essi, quali Patriarchi dell’Occidente e in virtù di una singolare posizione di preminenza, vi erano rappresentati, e che i loro Legati occuparono una posizione di privilegio e talvolta assunsero la presidenza, mentre il loro consenso alle decisioni era indispensabile perché avessero

valore ecumenico. L’imperatore Costantino il Grande aveva dato la libertà alla Chiesa, ma aveva anche legato la Chiesa all’impe­ro e l’impero alla Chiesa, ma Chiesa e impero erano travagliati da una controversia reli­giosa nella quale si discuteva quanto vi era di più alto, cioè la persona stessa del Fondatore. La Chiesa primitiva lo adorava come il suo Signore (Kyrios) e lo collocava al fianco di Dio, del quale Egli si era testimoniato Figlio. Essa conferiva il battesimo, secondo il mandato di Gesù, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spi­rito Santo. Come potevano conciliarsi la fede nel Kyrios e la formula tripartita del battesimo, col pensiero rigidamente monoteistico (cioè un unico Dio) che il cristianesimo aveva assunto dal giudaismo? Di qui le discussioni dei primi Concili che portarono alla formulazione di un Credo comune, accettato dalla Grande Chiesa di Oriente e di Occidente. (da Hubert Jedin, Breve storia dei Concili, Herder-Morcelliana, 1978)

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Verità e protagonisti dei Concili ecumenici della Chiesa unita NICENO I (Nicea) Anno 325

COSTANTINOPOLITANO I (Costantinopoli) Anno 381

Tenuto nel 325, fu il primo Concilio ecumenico e venne convocato dall’imperatore Costantino I per risolvere la controversia ariana sulla natura di Cristo; a esso parteciparono 318 vescovi dell’impero su 1800. Eusebio, vescovo di Cesarea, propose il simbolo battesimale della sua Chiesa, quale base della confessione di fede. Il simbolo niceno, che definiva la consustanzialità del Figlio col Padre, attraverso la formula della “consustanzialità” del Padre e del Figlio (il Verbo è “vero Dio, generato, non fatto, della stessa sostanza”; sostanzialmente uguale, e non sostanzialmente simile, come affermavano gli ariani), venne accolto come posizione ufficiale della Chiesa circa la divinità di Cristo. Il Concilio stabilì anche la celebrazione della Pasqua la domenica successiva alla Pasqua ebraica, e riconobbe al vescovo di Alessandria un’autorità sulla Chiesa d’oriente simile a quella semipatriarcale del vescovo di Roma. Da questa proclamazione di autorità nacquero i patriarcati. Il vescovo Silvestro I, della città imperiale di Roma, non partecipò a causa della tarda età, ma suoi sacerdoti lo rappresentarono.

Secondo Concilio ecumenico della Chiesa, convocato da Teodosio I, imperatore d’Oriente. I 150 vescovi presenti pronunciarono la condanna di varie eresie in particolare contro Macedonio di Costantinopoli che negava la divinità dello Spirito Santo (pneumatomachi), riconfermarono le decisioni del primo Concilio ecumenico, quello di Nicea (325), affermarono che lo Spirito Santo è consustanziale con il Padre e il Figlio con cui forma la Santissima Trinità (con l’elaborazione del “Simbolo niceno-costantinopolitano”). Il Concilio delimitò le province ecclesiastiche, proibendo ai titolari di ciascuna di esse di interferire nella sfera di competenza delle altre diocesi, dichiarò Costantinopoli la “Nuova Roma”, elevando il suo vescovo, san Gregorio Nazianzeno, alla dignità di patriarca e collocandolo al secondo posto nell’ordine gerarchico dopo il papa di Roma.

Eusebio di Cesarea Allievo di Panfilo alla scuola fondata da Origene a Cesarea, in collaborazione del quale redasse i primi cinque libri dell’Apologia ad Origene (Eusebio scriverà poi un sesto libro dopo la morte del maestro in seguito alla persecuzione), sfuggì alla persecuzione anticristiana di Diocleziano e nel 313 fu eletto vescovo di Cesarea godendo dell’amicizia dell’Imperatore Costantino I. Riguardo all’eresia di Ario, Eusebio non condivise le dottrine cristologiche del prete alessandrino, ma lo supportò ambiguamente a livello personale, cercando di mediare fra le parti all’interno della controversia. Per questo motivo fu condannato dal Concilio di Antiochia nel 325; tuttavia nello stesso anno al Concilio di Nicea tenne un atteggiamento di compromesso, firmando la condanna di Ario. Nonostante ciò negli anni successivi si oppose fermamente al partito niceano, riuscendo anche a far deporre il suo principale esponente Atanasio di Alessandria.

Gregorio Nazianzeno Dopo una giovinezza spensierata viene ordinato prete (pare controvoglia) dal padre, vescovo di Nazianzo. Subisce il fascino di Basilio e si mette a sua disposizione, ma quando questi lo nomina vescovo di Sasima, fugge per non relegarsi in quella località impervia. Divenne poi, per un anno, vescovo di Costantinopoli (dove presiedette al Concilio del 381), ma per una serie di controversie si ritirò solitario a Nazianzo. Sensibile e delicato, introverso e pessimista, si ripiegò in modo intimista sulle proprie difficoltà e sventure, questo non gli impedì di mettere le proprie capacità a servizio della fede e dell’amore del prossimo: fu infatti grande predicatore e portavoce dell’ortodossia. Ci rimane la raccolta dei Discorsi, nei quali abbraccia una enorme varietà di temi: l’amore ai poveri, la natura divina, gli affetti familiari, la santità del corpo... Altro testo particolarmente interessante, che rivela l’indole poetica di Gregorio, è il poema autobiografico “Sulla mia vita” nel quale vengono anticipati toni e aspetti delle Confessioni agostiniane.


Messaggio tematico EFESINO (Efeso) Anno 431 Terzo Concilio ecumenico della Chiesa cristiana, convocato a Efeso nel 431 dall’imperatore d’Oriente Teodosio II e dall’imperatore d’Occidente Valentiniano III, per risolvere la controversia derivata dall’eresia del nestorianesimo. Questa prese avvio nel 428, quando Nestorio, patriarca di Costantinopoli, rifiutò di riconoscere a Maria, madre di Gesù Cristo, il titolo di “madre di Dio”. I sostenitori della sua tesi affermavano l’esistenza in Cristo di due persone, quella divina e quella umana, che agivano di comune accordo; di conseguenza Maria veniva considerata madre del Gesùuomo, non del Gesù-Dio. Tale concezione si opponeva alla dottrina comunemente accolta dall’unicità della persona di Cristo, contemporaneamente Dio e uomo. Sotto la guida di Cirillo, patriarca di Alessandria e rappresentante del papa Celestino I, il Concilio depose Nestorio e ne condannò la dottrina, dichiarando che Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, dotato di due nature (umana e divina) unite in una sola persona. Come logica conseguenza di questa dottrina, il Concilio approvò il titolo di “madre di Dio” per Maria. Il Concilio dichiarò inoltre come completo il testo del Credo Niceno del 325 e vietò qualsiasi ulteriore cambiamento (aggiunta o cancellazione) ad esso. Cirillo di Alessandria Fu patriarca di Alessandria e teologo, coinvolto nelle dispute cristologiche della sua epoca. Si oppose a Nestorio durante il Concilio di Efeso del 431 (del quale fu la figura centrale). In tale ambito, per contrastare le tesi di Nestorio che negava la maternità divina di Maria, sviluppò una teoria dell’Incarnazione, che gli valse il titolo di Doctor Incarnationis e che è considerata ancora valida dai teologi cristiani contemporanei. Perseguitò i novaziani, gli ebrei e i pagani, sino a quasi annientarne la presenza nella città. Alcuni storici lo indicano come il mandante dell’omicidio della scienziata e filosofa neoplatonica Ipazia. Divenuto vescovo e patriarca di Alessandria nel 412, secondo lo storico Socrate Scolastico acquistò “molto più potere di quanto ne avesse avuto il suo predecessore” e il suo episcopato “andò oltre i limiti delle sue funzioni sacerdotali”. Cirillo giunse a svolgere anche un ruolo dalla forte connotazione politica e sociale nell’Egitto grecoromano di quel tempo. Le sue azioni sembrano essersi ispirate al criterio della difesa dell’ortodossia cristia-

na a ogni costo: espulse gli ebrei dalla città; chiuse le chiese dei novaziani, confiscandone il vasellame sacro e spogliando il loro vescovo di tutti i suoi possedimenti; entrò in grave conflitto con il prefetto imperiale Oreste. Nel 1882 papa Leone XIII l’ha proclamato dottore della Chiesa.

CALCEDONESE (Calcedonia) Anno 451 Quarto Concilio ecumenico, convocato nel 451 dall’imperatore d’Oriente Marciano, su richiesta di papa Leone I, per correggere le decisioni del Concilio di Efeso del 449 e per riesaminare il processo contro Eutiche: furono presenti 5 legati papali, tra cui 3 vescovi, che anche lo presiedettero. Circa 600 vescovi parteciparono alle 17 sessioni, che ebbero luogo tra 1’8 ottobre e il 10 novembre. Il Concilio condannò Eutiche e il monofisismo, dottrina che affermava la sola natura divina in Gesù Cristo, negandone la natura umana. La definizione calcedonese, ispirata alla formulazione di papa Leone Magno e di Flaviano, vescovo di Costantinopoli, stabilì che il Cristo possiede sia la natura umana sia la natura divina, in lui inseparabili. Il Concilio promulgò anche 27 canoni che regolano la disciplina e la gerarchia ecclesiastiche e la condotta clericale, e furono tutti accolti dalla Chiesa occidentale. Venne tuttavia respinto un 28o canone, che avrebbe garantito al vescovo di Costantinopoli uno status simile a quello del papa a Roma.

COSTANTINOPOLITANO II (Costantinopoli) Anno 553 Quinto Concilio ecumenico della Chiesa. Fu convocato da Giustiniano I, imperatore bizantino. Condannò come infetti di eresia nestoriana i cosiddetti “Tre capitoli”, cioè le opere di Teodoro di Mopsuestia, gli scritti di Teodoreto di Ciro contro san Cirillo ed il Concilio di Efeso, e la lettera di Iba di Edessa al persiano Mari. La condanna non viene accettata da tutte le Chiese: alcune (Milano e Aquileia) si distaccarono dalla comunione cattolica (Scisma tricapitolino), che coinvolse anche i cristiani delle terre ticinesi. La riunificazione si avrà poco per volta nel secolo successivo.

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COSTANTINOPOLITANO III (Costantinopoli) Anno 680-681

NICENO II (Nicea) Anno 787

Sesto Concilio ecumenico. È detto anche “in trullo” o “trullano”, perché si svolse nel palazzo imperiale (il “trullo” era la cupola della sala dove erano trattati gli affari di Stato), o anche “Quinisesto” perché riassume e riunisce le decisioni del quinto (553) e del sesto Concilio ecumenico (681). Indetto dall’imperatore Costantino IV Pogonato, che partecipò personalmente al Concilio, tenendone la presidenza durante le discussioni teologiche. Alla discussione conclusiva, l’imperatore fu acclamato “protettore e interprete della fede”. Il Concilio condannò i monoteliti, affermando la dottrina che in Gesù Cristo sussistono due volontà e due operazioni naturali, senza divisione e senza cambiamento, inseparate, inseparabili e inconfuse; quindi due volontà, di cui una divina, alla quale è subordinata quella umana. Condannò, scomunicandoli, anche tutti coloro che avevano sostenuto la dottrina monotelita, come i patriarchi Sergio, Pirro, Ciro e lo stesso papa Onorio, che aveva mostrato delle aperture verso di essa. Il Concilio riconobbe la presenza nel Signore di due attività e di due volontà distinte, una divina e l’altra umana, unite inscindibilmente nell’unica persona di Cristo. Ciò consentì un riavvicinamento nell’unica fede tra le due Chiese di Roma e di Costantinopoli. Ma lo stesso Concilio ribadì pure alcune norme disciplinari che già differenziavano le due Chiese: tra queste è il canone 13, che prende atto del fatto che nella Chiesa di Roma i preti praticavano il celibato o, se avevano moglie, si impegnavano a non avere rapporti coniugali; d’altro canto, stabiliva che i legittimi matrimoni dei chierici della Chiesa orientale venissero confermati; né si intendevano proibire le relazioni coniugali fuori dei periodi penitenziali (Avvento e Quaresima). Per la pratica dei digiuni il Concilio ammetteva ed approvava l’esistenza di una prassi diversa da quella seguita nella Chiesa di Roma. Insomma, anche nei momenti di incontro nella professione dell’unica fede comune, emergevano elementi disciplinari che tendevano sempre più a distinguere le due Chiese.

Settimo Concilio ecumenico. Indetto durante la reggenza dell’imperatrice Irene. Si tenne inizialmente a Costantinopoli (786), poi, a causa dei torbidi suscitati dagli iconoclasti, fu trasferito a Nicea. Si pronunziò in favore del culto delle immagini (iconodulia), ordinando che queste venissero ripristinate nelle chiese dell’impero, distinguendo tra la venerazione riservata ai santi rappresentati dalle immagini e l’adorazione dovuta solo a Dio (distinguendo quindi il culto di latria da quello di dulia). Parteciparono 350 vescovi.

COSTANTINOPOLITANO IV (Costantinopoli) Anno 869-870 Ottavo Concilio ecumenico. E’ considerato il quarto Concilio di Costantinopoli dalla Chiesa d’Occidente che lo riconosce come proprio ottavo Concilio ecumenico. Indetto dall’imperatore bizantino Basilio I il Macedone per confermare la deposizione da lui fatta di Fozio, patriarca di Costantinopoli. Fozio, il principale artefice dello scisma del IX secolo tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente, deposto formalmente, dopo una riabilitazione ed una successiva deposizione, morirà nell’892 riconciliato con Roma. Sotto la presidenza dei legati pontifici, il Concilio asserì la supremazia del papa anche sull’Oriente. Questo Concilio non venne però riconosciuto dalla Chiesa d’Oriente. Fu l’ultimo dei Concili ecumenici tenuti in Oriente e convocati dagli imperatori.

Testi adattati da don Carlo Cattaneo e da Alberto Lepori (Vedi: Hubert Jedin, Breve storia dei Concili. Morcelliana, Brescia 1996; Vincenzo Monachino, I Papi e le grandi controversie teologiche, in I Papi nella storia, Coletti, Roma 1961)


Messaggio tematico Il simbolo degli Apostoli

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è così chiamato perché a buon diritto è ritenuto il riassunto fedele della fede degli Apostoli. E’ l’antico simbolo battesimale della Chiesa di Roma. Ebbe una grande autorità perché, secondo Sant’Ambrogio: “E’ il simbolo raccolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo tra gli Apostoli, e dove egli portò l’espressione della fede comune”. Io credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. E in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore. Il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocefisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre Onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la Santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

Il simbolo detto di Nicea - Costantinopoli

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trae la sua grande autorità dal fatto di essere frutto dei primi due Concili ecumenici (325 e 381). E’ tuttora comune a tutte le grandi Chiese dell’Oriente e dell’Occidente e regolarmente utilizzato nella Liturgia cattolica. Credo in un solo Dio. Padre onnipotente. Creatore del cielo e della terra. di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore. Gesù Cristo. Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio. Luce da Luce. Dio vero da Dio vero. generato. non creato. della stessa sostanza del Padre: per mezzo di Lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuova verrà, nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo Battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

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Domande a don Sandro Vitalini

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Come mai la Chiesa, tra le diverse denominazioni che i Vangeli usano per Gesù (Messia, Cristo, Signore, figlio dell’uomo, figlio di Dio, ecc.) ha scelto di far prevalere quella di “Figlio di Dio”? Nella Chiesa latina (il discorso sarebbe diverso per quella orientale) per designare Gesù è prevalso il termine di “Figlio di Dio” in polemica con il vasto movimento ariano. Esso riconosceva in Gesù la più eccelsa fra le creature, ma ne negava sia l’umanità che la divinità. Il termine di “Figlio di Dio” è ampiamente affermato dal Nuovo Testamento (ad es. Marco 1,1) e sottolinea che il Figlio è generato dal Padre. Leggiamo in Giovanni: “Dio nessuno l’ha mai visto. L’Unigenito Dio, rivolto al seno del Padre, lui ce lo ha spiegato” (1,18). L’autore della Lettera agli Ebrei conia espressioni inusitate per illustrare questa generazione eterna: “Irraggiamento della gloria e impronta della sua sostanza” (1,3). Se questi termini fossero stati sviscerati dalla tradizione successiva, la definizione di Nicea “consustanziale col Padre” si sarebbe rivelata superflua, poiché già contenuta nel N.T.: “Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre” (Giovanni 14,9). Ma il termine più appropriato – e nel Nuovo Testamento, più corrente – per indicare la divinità dell’uomo Gesù è “Signore” (Kyrios = Adonai = Jahweh) (Luca 7,13; Filippesi 2,11). Il termine, che riprende l’impronunciabile (Ihwh) connota il Dio d’Israele, l’Altissimo, ed è ancora più significativo del termine “Dio” pure attribuito a Gesù (Romani 9,5; Giovanni 20,28). Il titolo di “Signore” dovrebbe essere anche nella liturgia attribuito a Gesù soltanto. Oggi la confusione è totale (e nessuno ci bada).

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Gesù ha insegnato il “Padre nostro”, quindi tutti siamo “figli”, e lo dice anche San Paolo: siamo tutti “figli di Dio” come Gesù o c’è una “diversità” tra i figli? Se Gesù è l’Unigenito, noi siamo figli nel Figlio. Il Figlio è eternamente generato nell’utero (Kolpos) del Padre (Giovanni 1,18) che è dunque propriamente madre. Noi però siamo le membra del corpo del Signore (Romani 12; 1 Corinti 12; Efesini 4) e pertanto gli siamo fratelli in senso pieno, perché siamo partecipi della sua stessa vita d’amore (1 Giovanni 4). Dato che ogni uomo riceve la grazia originale dell’illuminazione del Verbo (Giovanni 1,4.9), tutti sono figli del Padre nello Spirito di Gesù e sono pertanto nostri fratelli. I battezzati

dei primi secoli deponevano per sempre le armi, non avendo più la possibilità di combattere. Il principio di questa fraternità universale ci porta a conseguenze che oggi non sono prese seriamente in considerazione. Il Vangelo ha appena sfiorato l’umanità!

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Il Concilio di Costantinopoli I si occupò dello Spirito Santo. Perché è poi sorta una differenza tra la Chiesa cattolica di Roma e le Chiese ortodosse al proposito? E che senso ha oggi ancora? Se si fosse mangiata e digerita la Parola di Dio, queste controversie sciocche e criminali non sarebbero mai nate. Basti leggere i capitoli 14 e 16 di Giovanni e ricordare le formule battesimali (Matteo 28, 19-20; 2 Corinti 13,13) per capire che la Chiesa del Nuovo Testamento ha vissuto la comunione trinitaria in maniera intensa. Il credo niceno-costantinopolitano afferma che lo Spirito procede dal Padre. L’idea ci appare anche in termini immaginifici in Apocalisse 22: il Trono (il Padre) su cui siede l’Agnello (il Figlio) è sorgente eterna del fiume che è lo Spirito, rinnovatore del Creato. Quando nel nono secolo l’Occidente rialzò la testa, dopo secoli oscuri, entrò in un conflitto di prestigio con l’Oriente più evoluto e a Aix La Chapelle si tentò di modificare il Credo: lo Spirito procede anche dal Figlio. Anche gli orientali ammettevano che lo Spirito procedesse pure “per mezzo del Figlio” (Dià Uiòn), ma mai ammisero che si potesse modificare il Credo comune. I Vescovi di Roma sostennero la posizione orientale, ma poi, a cominciare da Toledo, il “Filioque” gradatamente si


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impose e favorì la spaccatura con l’Oriente, dovuta a ragioni psicologiche, di prestigio, e non teologiche. Basterebbe che tutti si rifacessero al Credo antico e la questione sarebbe risolta.

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Nei concili è stato elaborato il “Credo” che ancora oggi è recitato nella S.Messa. Ma, almeno nella sua parte iniziale, non è molto comprensibile e adatto al linguaggio di oggi: non è il caso di “adattarlo”? Paolo VI non aveva proposto un diversa “formulazione”? Abbiamo parlato sopra del Credo. Per ragioni di unità è bene che le Chiese sorelle mantengano l’antica forma unitaria. Essa può essere spiegata e accompagnata da altre formule che illustrano ma non sostituiscono la prima. Effettivamente i termini vanno spiegati. Si pensi anche solo a “Onnipotente”, che ci lascia immaginare una divinità capace di qualsiasi portento, mentre il Dio rivelato è amore infinitamente debole e croficisso (1 Corinti 1,23-24). Il termine latino di “omnipotens” andrebbe meglio tradotto con “omnitenens”, nel senso che il Padre ci “sostiene con le sue mani”. Anche il Sinodo 72 aveva suggerito formule alternative, non sostitutive. La Liturgia ha bisogno di varietà, d’elasticità, di spontaneità, come fu il caso dei primi tre secoli, sempre nella linea della tradizione. Ma vi si è più fedeli con una saggia invenzione che con una sciatta ripetizione.

Il Concilio di Efeso ha proclamato “Maria, madre di Dio”, e così anche oggi preghiamo nell’Ave Maria: non sarebbe più esatto dire: “Maria, madre di Gesù che è Dio” ? Dio, per definizione, non può avere né padre né madre… Maria è veramente “Theotokos” nel senso che genera quell’uomo Gesù che è Dio. Il Nuovo Testamento afferma questa verità (Luca 1,31-38; Galati 4,4) che viene conclamata ad Efeso in un clima litigioso, polemico, indegno dell’ideale di fraternità di cui qui si è parlato. Cirillo diresse le manovre contro Nestorio in modi che a noi sembrano inammissibili. E’ un fatto che il popolo di Efeso acclamò Maria come Madre di Dio, così come si era sempre creduto. Questo titolo aiuta a capire l’unità della persona di Gesù: è nell’uomo che incontro la pienezza della divinità (Colossesi 1,19). Dio non è “nascosto” (“in carne velatum”) da una livrea umana, ma si disvela nella fragilità del bambino che Maria presenta ai pastori e ai Magi. Il Nuovo Testamento ci dice tutto di Gesù. I primi Concili nascono in un clima bizantino, dove le dispute teologiche interessano le botteghe, il mercato e lo stadio e creano dei partiti con bandiere diverse. Una lettura adorante del Nuovo Testamento e un dialogo umile e fraterno le avrebbe evitate, perché davvero ciò che il Padre ci ha detto nella Parola degli Apostoli è una rivelazione piena, totale, definitiva. Ci ha parlato nello stesso Unigenito: nel Figlio (Ebrei 1,2)! don Sandro Vitalini

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Madonna ancora pellegrina

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Dal 5 febbraio al 24 marzo 2012 l’effigie della Madonna del Sasso ha lasciato il Santuario di Orselina e si è fatta pellegrina nelle chiese principali dei sei Vicariati diocesani. Il suo pellegrinaggio è posto sotto il titolo “Verso la Pasqua con Maria” ed è stato organizzato in preparazione alla riapertura del nostro Santuario dopo 1013 giorni di chiusura per restauri. Non è la prima volta che la venerata Effigie lascia il Sasso sopra Locarno per scendere nella piazza cittadina o per raggiungere altre località della Diocesi. In più di cinquecento anni di storia del nostro Sacro Monte, ben quattordici sono state le occasioni per farlo. I motivi di questi ‘viaggi’ sono principalmente: la venerazione, il ringraziamento e l’implorazione. Negli oltre cinque secoli di presenza francescana al Sasso dobbiamo distinguere due fasi: dalle origini, nell’anno 1480, fino al 1848 e da allora fino ad oggi. Durante la prima fase il Sacro Monte era di proprietà dei Frati minori conventuali, mentre nel 1848 divenne di proprietà del Cantone, che lo affidò in custodia ai Frati minori cappuccini. A questi ultimi dobbiamo la maggior parte delle iniziative per le quali l’Effigie lasciò il Santuario: dodici su quattordici. I primi quattro secoli Nei primi quattro secoli di vita al Sasso, per iniziativa dei Frati conventuali, l’Effigie scese nella piazza cittadina in due sole occasioni. A motivare entrambe queste discese fu il desiderio di venerare la Madonna e contemporaneamente di

ringraziare il Signore per delle significative tappe di sviluppo del Sacro Monte. Per la prima volta l’Effigie fu trasportata in città il 14-15 maggio 1617 per essere venerata dai locarnesi e per ricevere un segno tangibile della loro venerazione: una corona. I festeggiamenti facevano seguito, a poco più di un anno, al solenne rito di consacrazione della chiesa principale del Sacro Monte e del suo altare maggiore, dedicato all’assunzione di Maria, sotto il cui titolo era stato eretto il Santuario. Trascorsero quasi due secoli prima che si presentasse una nuova occasione per trasportare l’Effigie a Locarno. Erano anni particolarmente burrascosi, quelli della rivoluzione francese, quando, per iniziativa di alcuni cittadini, nella chiesa dell’Assunta venne realizzato nel 1792 un nuovo altar maggiore marmoreo, in sostituzione di quello ligneo vecchio di quasi due secoli. In quell’occasione venne organizzato tra l’otto e il dieci di settembre un solenne triduo e la traslazione del simulacro della Vergine per le vie della città. Al compiersi del quarto secolo di presenza francescana al Sasso sopra Locarno, il Sacro Monte era già stato affidato dalle autorità cantonali alla custodia dei Frati minori cappuccini. Per sottolineare il quarto centenario dell’apparizione a fra Bartolomeo, dal quattordici al sedici di agosto dell’anno 1880, venne organizzato un solenne triduo di festeggiamenti e la statua della Madonna lasciò di nuovo il Santuario per ricevere, nella Piazza Grande di Locarno, il tributo della venerazione di una numerosissima folla di fedeli e, dalle mani di monsignor Ballerini, una nuova corona.


Messaggio dal Santuario Nel ventesimo secolo Se per le tre traslazioni dell’Effigie avvenute nei primi quattro secoli di storia del Sasso ci sembra appropriato usare gli aggettivi occasionali e sporadiche, per le sette avvenute nel secolo scorso, non ci sembra eccessivo usare allora l’aggettivo numerose. Le passeremo brevemente in rassegna, ricordando che tutte furono organizzate in stretta collaborazione tra i Frati minori cappuccini e la Curia luganese. La prima ebbe luogo allo spuntare del nuovo secolo, in un momento di rinnovate preoccupazioni per la pace nel continente, e a motivo di una spiacevolissima circostanza. Fu risolutamente voluta da monsignor Peri Morosini che, rispondendo all’appello di padre Leone da Lavertezzo, il 6-7 giugno 1914 volle riparare in questo modo ad un atto sacrilego perpetrato il primo d’aprile nei confronti della venerata Effigie. Sedici anni più tardi sarà monsignor Bacciarini a sostenere l’iniziativa dei frati che, in occasione del nono cinquantenario del Sacro Monte, vollero portare di nuovo la statua della Madonna prima nella chiesa di san Francesco e poi nella cittadina Piazza Grande. Ai festeggiamenti presenziò l’allora cardinale arcivescovo di Milano, monsignor Idelfonso Schuster. Alla fine degli anni trenta monsignor Jelmini era già succeduto a monsignor Bacciarini. Il clima politico in Europa era particolarmente teso e all’orizzonte si addensavano minacciose nubi di guerra. Fu così che il 15 ottobre 1939 la statua della Madonna del Sasso lasciò di nuovo il Santuario e percorse le vie cittadine per implorare la pace. Passati i terribili anni del secondo conflitto mondiale, fu ancora monsignor Jelmini a promuovere e a sostenere un’iniziativa che segnò profondamente la storia del Santuario e della Diocesi: la “Grande visita” della Madonna del Sasso, che dal 3 marzo al 3 luglio 1949 sostò, giorno dopo giorno, nella maggior parte delle parrocchie della Diocesi. Trascorsero poco meno di cinque anni prima di rivedere l’effigie della Madonna, sempre per iniziativa di monsignor Jelmini, in una piazza cittadina. L’opportunità si presentò il giorno 30 maggio del 1954 in occasione del “Congresso della fanciullezza”. Nel 1977, di fronte ad impegnative scelte politiche, monsignor Martinoli si fece promotore di due giornate di pre-

senza dell’Effigie nella collegiata di sant’Antonio per “cantare l’inno alla vita”. Tre anni più tardi furono due i motivi che indussero i Frati cappuccini e monsignor Togni a promuovere e a realizzare una ‘presenza’ della statua della Madonna del Sasso nei Vicariati della Diocesi e a Roveredo Grigioni. Nel 1980 ricorreva infatti il quinto centenario del Santuario e contemporaneamente si concludeva una significativa campagna di restauri del Sacro Monte. Sette anni più tardi anche monsignor Corecco promosse una nuova discesa della venerata Effigie nella Piazza Grande di Locarno. Il 13 settembre 1987 veniva così inaugurato, con una solenne Celebrazione eucaristica, l’Anno Mariano. Tre discese in meno di dieci anni Nei primi anni del ventunesimo secolo l’effigie della Vergine del Sasso ha già lasciato per ben tre volte la sua sede. Nel 2005, ricorrendo il 525° anniversario dell’apparizione, si è voluto dare soprattutto alle molte persone disabili e anziane, devote della Madonna del Sasso, la possibilità di vivere nella collegiata di sant’Antonio, in occasione dell’annuale festa, un momento di preghiera e di ringraziamento alla presenza dell’Effigie. Meno di tre anni fa, domenica 6 settembre 2009, in ricordo del 60° anniversario della “Grande visita” del 1949, per volontà di monsignor Grampa, la statua della Vergine è stata accolta da una devota folla di fedeli nella Piazza Grande di Locarno per una solenne Celebrazione eucaristica. E ora, proprio in queste settimane, la Madonna è ancora pellegrina nella nostra Diocesi, in vista della riapertura del nostro Santuario sì, ma soprattutto per fare sentire la sua presenza accanto a ciascun fedele nel cammino che lo porta ad incontrare il Signore risorto. Fra Agostino Del-Pietro

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Il nuovo programma di corsi e giornate di formazione al Convento del Bigorio per il 2012


Messaggio dai Conventi

L’

L’anno nuovo ha avuto un inizio molto positivo per il convento del Bigorio in quanto si è costituita un’associazione denominata “Amici del Bigorio” che garantirà la continuità delle attività e della vita di questo convento. E parlando di attività, il convento ha preparato un programma di incontri che è uscito in questi giorni. Le nuove proposte per il 2012, che il convento offre, sono inserite nel programma che si articola nei seguenti appuntamenti:

 Giornate di silenzio nelle quali, a partire da spunti meditativi suggeriti da fra Roberto, ognuno di noi riesce a

trovare i propri punti deboli e i propri punti di forza, partendo dai quali trarre nuova energia (17 e 18 marzo, 24 e 25 novembre).

 Le giornate di meditazione cristiana animate da fra Andrea Schnöller (11 e 12 febbraio, 12 e 13 maggio,

3 e 4 novembre, 1 e 2 dicembre) trovano al Bigorio l’ambiente ideale per essere vissute con grande consapevolezza.

 L’approfondimento del messaggio di S. Francesco è il tema dell’incontro con fra Michele Ravetta che si terrà sabato 29 settembre, a pochi giorni dalla ricorrenza della festa dedicata al Santo di Assisi. Attraverso i suoi scritti, i suoi miracoli, il suo rapporto con la Chiesa, sarà affrontata la complessità dell’esperienza umanodivina di S. Francesco e di S. Chiara.

 Nei giorni precedenti la Pasqua, il 6 e il 7 di aprile, si rinnoverà l’incontro con il prof. Mauro Vaccani che,

attraverso sette unità meditative, farà rivivere interiormente tutti i momenti più significativi di quella lontana domenica pasquale, nella quale Cristo vinse definitivamente la morte. In prossimità del Natale, il 15 e il 16 di dicembre, sempre con il prof. Vaccani, si esaminerà il grande mistero dell’incarnazione del Figlio divino: perché lo ha fatto? Perché in quel momento? Cosa ha significato per la Terra e per l’umanità e per noi questa sua scelta?

 P. Callisto Caldelari sarà l’animatore dei corsi prematrimoniali del 5 e 6 maggio e del 20 e 21 ottobre, mentre

il 22 e 23 di settembre animerà un incontro sulle parabole di Gesù. Saranno giornate volte ad approfondire il messaggio cristiano e sono destinate anche a chi non è credente ed ai dubbiosi. Per le iscrizioni a questi corsi con P. Callisto bisogna rivolgersi al Convento di Bellinzona al numero telefonico 091 820 08 80.

 Proseguono anche quest’anno gli appuntamenti dedicati a chi vuole approfondire la propria conoscenza dell’arte dei primi secoli cristiani. Don Claudio Premoli, storico dell’arte, parlerà dell’arte cristiana in età longobarda (24 marzo) e della nascita dell’arte medievale nell’Occidente europeo in età carolingia (10 novembre).

 Sabato 8 settembre il convento offre un appuntamento indirizzato a chi ama la musica e partecipa nei cori delle nostre chiese. Sotto la guida di Robert Michaels, maestro della corale della Cattedrale di Lugano, viene offerta la possibilità di un’esperienza nuova nell’approfondimento del canto nella liturgia.

 Sabato 14 aprile e sabato 17 novembre, infine, sono in programma due giornate animate da Nicoletta Gay,

psicoterapeuta, dedicate alla riflessione, allo scambio e all’ispirazione su un tema particolarmente delicato: il nostro atteggiamento nei confronti della malattia e della morte. Come noi ci confrontiamo ad esse, quando colpiscono noi o un nostro familiare? Che cosa succederebbe se scegliessimo di trasformarli in qualcosa di significativo o se provassimo a focalizzare il fatto che la vita sta cambiando e cercassimo saggezza nella malattia, amando invece che odiando?

Il Convento del Bigorio rinnova l’invito a tutte le persone sensibili a questi argomenti a chiedere il programma dettagliato dei corsi del 2012, telefonando alla segreteria in orari d’ufficio al n° 091 943 12 22, o consultando il sito internet del Convento (www.bigorio.ch).

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Francescanesimo secolare Giornata francescana 2011

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Per festeggiare la giornata interfrancescana, l’O.F.S. ticinese si è ritrovato a Lugano numeroso e contento, lo scorso 1o ottobre. Al mattino nella chiesa del monastero di San Giuseppe delle Clarisse, si è celebrata la Messa animata dalle suore che ricordavano gli 800 anni di fondazione dell’Ordine. Dopo la messa, suor Chiara Noemi ha incontrato i presenti e ha offerto loro una riflessione sulla figura di Santa Chiara e il suo carisma oggi. Stralci del suo intervento sono stati commentati e riassunti da fra Martino Dotta nell’articolo scritto per il Giornale del Popolo e che riportiamo qui di seguito: “Vogliamo insieme celebrare non tanto e non solo il ricordo di un passato lontano, ma fare memoria – con cuore stupito e grato – della storia di Dio che sceglie sempre una persona, Chiara e Francesco, 800 anni fa; me, le mie sorelle e ognuno di voi, oggi, per rivelare il suo volto e la sua misericordia a tutto il mondo. Il centenario riguarda non solo noi Sorelle Povere, ma tutta la famiglia francescana, perché come scriveva Tommaso da Celano “un solo e medesimo spirito ha generato i frati e le sorelle povere” e, aggiungo io, anche tutti i membri della variegata fraternità francescana che nel nostro Ticino si esprime nella bella diversità dei carismi. Suor Chiara Noemi ha in seguito approfondito il tema del riparare e del restaurare, carisma proprio dei francescani. Per il 4 ottobre, festa di San Francesco, l’O.F.S. internazionale ha inviato i suoi auguri con una fotografia del monumento, posto davanti all’ONU di New York, dove Francesco sostiene una sedia a cui manca una gamba: le sue spalle sostituiscono la quarta gamba.

Fare quindi memoria per aprirci con speranza alle sfide del presente, senza lasciarsi scoraggiare dal fatto che siamo in pochi rispetto ad un tempo. Il Signore ci chiede di essere quel piccolo resto, quel popolo povero ed umile che confida in Lui e non nelle proprie forze. Alla fine dell’intervento di suor Chiara Noemi ci siamo tutti ritrovati nella Casa dell’O.F.S. alla Salita dei Frati. Le tavole erano apparecchiate con gusto e, vorremmo dire, con amore dalla fraternità luganese. Una buona pastasciutta rallegrata dalla presenza di fra Martino che, con parole semplici ma vere, ha spiegato che il nostro pranzo era ‘costruito’ con quanto è donato da tante istituzioni commerciali all’associazione “Tavolino Magico”. Tavolino Magico vissuto ogni settimana nelle sedi di Lugano, Bellinzona, Locarno, Biasca e ora anche Chiasso: apprezzato da tanta gente che arriva con difficoltà alla fine del mese o neppure alla metà; che ha figli che divorano frigoriferi prima di essere sazi; di persone anziane sole a cui la pensione del mese diventa insufficiente. Ma credo che bisogna partecipare come volontari per capire cosa arriva a questo ormai famoso Tavolino Magico. Dove un gesto, una parola, un ascolto, può ridare fiducia e speranza. Nel pomeriggio ci siamo di nuovo ritrovati nel salone delle Clarisse per ascoltare la loro testimonianza di vita e attingere anche per noi dell O.F.S. nuovo vigore, nuove speranze per il futuro, nuova luce per la fede che dobbiamo testimoniare, senza se e senza ma, contro ogni altra suggestione nel cammino e sulle orme del padre San Francesco. Gabriella Modonesi

Partecipanti al Capitolo Internazionale


Messaggio dall’O.F.S. Calendario OFS Corsi di formazione a Bellinzona (Spazio Aperto, sale 3-4) Sabato 18 febbraio, sabato 17 marzo e sabato 28 aprile dalle 10 alle 12. I corsi saranno animati da fra Ugo Orelli, nuovo Assistente regionale, successore di fra Callisto Caldelari. Ritiro spirituale al Bigorio Da venerdì 9 marzo (tardo pomeriggio) a domenica 11 marzo (mezzogiorno). Il ritiro sarà tenuto anche quest’anno da fra Mario Bongio che ci guiderà nelle riflessioni sull’Eucaristia. L’amministrazione ci ha confermato le stesse condizioni degli scorsi anni, ossia: pensione completa da venerdì a domenica fr. 240, pensione completa da sabato a domenica fr. 160, solo pasti fr. 30. Confermiamo la possibilità di un contributo economico del Consiglio regionale a complemento dell’importo minimo da versare dai partecipanti: comunque l’aspetto finanziario non dovrebbe essere determinante per rinunciare alla partecipazione. Preghiera perenne Domenica 17 giugno. Sarà definita la fraternità incaricata dell’organizzazione.

Lasciate che la mia speranza bussi alle vostre porte Speranza che si riassume in una sola frase: vi aspetto tutti e tutte al Bigorio per i giorni del ritiro annuale. Perché … il Vangelo ci dice “dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Perché … il silenzio e il raccoglimento di quei giorni (così pochi) sono il contesto adatto ad illuminare i passi di un uomo o di una donna lungo il cammino della vita. Perché … ‘associati’ ai numerosi cercatori di Dio possiamo ripensare alle parole di Isaia (43, 1-10) “Ti ho chiamato per nome, tu mi appartieni. Non temere, io sono con te”. Perché … tutto ciò è vivere insieme, è pane condiviso, e significa fraternità vissuta.

Rinnovo dei Consigli di fraternità Nel corso del 2012 si dovranno tenere i Capitoli elettivi nelle fraternità di Locarno, Stabio e Lugano. Invitiamo le Ministre a indicarci una data appropriata.

G.M.

Assistenti Il Definitorio della Provincia svizzera dei Cappuccini ha stabilito a metà dicembre alcuni avvicendamenti degli Assistenti. Fra Ugo Orelli quale Assistente Regionale in sostituzione di fra Callisto Caldelari. Fra Ugo Orelli quale Assistente della fraternità di Lugano in sostituzione di fra Boris Muther. Fra Boris Muther quale Assistente della fraternità di Bellinzona in sostituzione di fra Ugo Orelli. Ringraziamo vivamente il Definitorio che ci ha trasmesso i rispettivi Mandati. Il nuovo Consiglio Nazionale

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La verità vi farà liberi

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«Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi». Queste parole di Gesù che incontriamo nel Vangelo di Giovanni (8,31-32) sono note a tutti. Ma che cosa significa essere liberi? Noi, siamo liberi? Esiste la libertà? Quando possiamo dire di aver fatto una scelta veramente libera? Per rispondere a queste domande, la cui importanza non sfugge a nessuno, si sono fatti scorrere fiumi d’inchiostro. In effetti, per quanto noi, in genere, riteniamo di essere liberi, su questo punto non tutti condividono il nostro parere. C’è chi nega la libertà. Non perché siamo schiavi di qualcuno, ma perché le nostra libertà di scegliere è una pura illusione. Nel suo libro La vita autentica, il teologo Vito Mancuso cita alcuni nomi famosi. Il primo negatore della libertà da lui menzionato è Baruch Spinoza, un grande pensatore del XVII secolo. Scrive Spinoza: «Gli uomini s’ingannano nel ritenersi liberi, e questa opinione deriva dal fatto che essi sono consapevoli delle loro azioni, ma ignorano completamente le cause che le determinano. Dicono che le azioni umane dipendono dalla volontà, ma nessuno sa che cosa sia la volontà». Anche Einstein, dopo aver letto Schopenhauer, un altro grande pensatore e filosofo degli inizi del XIX secolo, scrive: «Non credo affatto alla libertà dell’uomo nel senso filosofico della parola. Ciascuno agisce non soltanto sotto l’impulso di un imperativo esteriore, ma anche secondo una necessità interiore. L’aforisma di Schopenhauer: “E’ certo che l’uomo può fare ciò che vuole, ma è altrettanto certo che egli non può volere se non quello che vuole”, mi ha vivamente impressionato fin dalla mia giovinezza» (A. Einstein, Come io vedo il mondo, pp. 17-18; V. Mancuso, p. 50). Freud, al contrario, credeva nella libertà. La Psicoanalisi è stata da lui pensata e proposta come una forma di terapia, ossia con lo scopo di aiutare l’uomo a liberarsi dalle sue dipendenze consce e inconsce. Il suo fine è quello di mettere la persona nella condizione di fare delle scelte conformi al principio di realtà. Anche Freud, però, era profondamente consapevole di quanto l’uomo, il più delle volte, s’illude di essere libero, mentre in realtà le sue scelte dipendono da cose che non conosce. E’ notissima la sua incisiva metafora del fantino che, avendo in pugno le redini, ritiene di essere lui a domare la prepotente forza del cavallo, mentre in realtà, senza che egli se ne renda conto, è il cavallo che lo costringe ad andare là dove egli vuole: «Ogni cavaliere – dice – sa che, se non vuole essere disarcionato dal cavallo, spesso è costretto a ubbidirgli e a portarlo

là dove lui vuole». La nostra reale condizione, però, è anche peggiore di un normale cavaliere. Perché un normale cavaliere – dice Freud – alla fine domina la propria cavalcatura «con mezzi adeguati e propri. L’io, al contrario, lo deve fare con mezzi presi in prestito». I mezzi gli vengono forniti anzitutto dall’es, che però nel contempo condiziona e domina l’uomo con le sue pulsioni e i suoi istinti compulsivi e irrazionali, che spesso lo portano a fare delle scelte del tutto inadeguate e fallimentari in rapporto alla realtà. Ma siamo condizionati anche dall’ambiente in cui ci moviamo e respiriamo, e con il quale inevitabilmente interagiamo. E siamo condizionati dal super-io, ossia dalle figure genitoriali interiorizzate, i cui permessi e le cui proibizioni ci costringono a fare delle cose o a omettere delle altre in modo del tutto arbitrario, anche a dispetto delle nostre convinzioni e volontà. Senza rendercene conto, quindi, ubbidiamo almeno a tre severi padroni, che portiamo sempre a spasso con noi, perché sono dentro di noi, sono parte della nostra personalità, e condizionano il nostro modo d’interagire con la realtà. Oltre tutto, questi tre prepotenti padroni ci lasciano l’illusione di essere noi a scegliere e a decidere, sia che agiamo in bene sia che agiamo in male, con tutte le conseguenze che ne derivano. Nella lettera ai Romani, anche Paolo accenna al penoso travaglio che accompagna l’esperienza umana e l’agire dell’uomo. Persino quando abbiamo delle idee molto chiare su ciò che conviene o non conviene fare, siamo dominati da una forza che è più potente di noi e ci costringe a fare l’esatto contrario, lasciandoci delusi e amareggiati. Egli parla di una forza misteriosa – la forza del «peccato» che è in me – dalla quale si sente letteralmente dominato. Scrive: «Io sono un essere debole, schiavo del peccato. Difatti non riesco nemmeno a capire quel che faccio: non faccio quel che voglio, ma quel che odio. Allora non sono io che agisco, ma è il peccato che agisce in me. So infatti che in me, in quanto uomo peccatore, non abita il bene. In me c’è il desiderio del bene, ma non c’è la capacità di compierlo. Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio. Ora, se faccio quel che non voglio, non sono più io ad agire, ma il peccato che è in me» (Rm 7,14-20). Nel libro appena citato di Vito Mancuso, parlando dell’uomo autentico, si afferma che, per essere autentici – cioè autós, noi stessi – occorre essere anzitutto liberi. Ma poi subito aggiunge, liberi anzitutto da noi stessi. Infine – terzo requisito – è necessario vivere per la giustizia, il bene, la verità.


Dieci minuti per te Essere liberi nei confronti degli altri, delle circostanze e dell’ambiente in cui ci muoviamo e respiriamo è il primo passo, ed è sicuramente un passo importante. Più importante ancora, però, è essere liberi da noi stessi. Ossia, liberi nei confronti dei desideri consci e inconsci che colorano gran parte del nostro agire; liberi da dipendenze interne e sotterranee che ci bloccano; liberi da paure, pregiudizi, luoghi comuni, supponenze o arroganze che ci acciecano e ci paralizzano. Sono tutte cose che, insieme ai sensi d’inferiorità e alla mancanze di stima di noi stessi, ci impediscono di offrire un sereno ascolto alla realtà che ci sta dinnanzi e, quindi, di pervenire a scelte coerenti, intelligenti, buone, vere e libere. Di conseguenza, è di fondamentale importanza anche il rimando al bene, alla giustizia e alla verità. Perché sono proprio questi tre requisiti – il bene, la giustizia e la verità – che rendono vere le nostre scelte e le qualificano, davanti ai nostri occhi e a quelli degli altri, come autentiche. Ritenerci liberi perché siamo nella condizione di fare quello che ci pare e ci piace, è un abbaglio. Le scelte che non portano a crescere nella direzione del bene, della giustizia e della verità ci danno una libertà illusoria. In effetti, le catene possono anche essere d’oro, e anche le prigioni; ma rimangono purtroppo catene e prigioni. Ne consegue che le uniche scelte che possiamo considerare veramente libere sono quelle che ci conducono a crescere e migliorare, ossia fanno fiorire la vita in noi e attorno a noi. Anche queste scelte, a dire il vero, sono spesso scelte costrette, imposte dalle circostanze o che noi stessi c’imponiamo. Lo facciamo in nome di qualcosa che riteniamo superiore, ma con dubbia convinzione. Comunque, se ci fanno crescere e migliorare, vanno nella giusta direzione e, alla fine, ci troviamo davvero più liberi, adulti e realizzati. Questa possibilità esiste realmente e, forse, è data non solo a noi esseri umani, ma è qualcosa che investe tutte le realtà del creato. E’ comunque in virtù di questa possibilità che ci è data, che noi ci consideriamo liberi e lo siamo realmente. Ecco perché Gesù dice: «E’ la verità che vi farà liberi». Altrove si legge: «Pongo davanti a voi la benedizione e la maledizione» (Dt 11,26), «la vita e la felicità da una parte, la morte e la sventura dall’altra. Se non volete servire il Signore, scegliete chi volete servire» (Dt 30,15). O ancora: «Quando in principio Dio creò l’uomo, lo ha lasciato libero nelle sue decisioni. Se vuoi, puoi certo ubbidire ai suoi comandi. Restargli fedele dipende solo da te. Egli ti ha messo davanti sia il fuoco che l’acqua: a te decidere o per l’uno o per l’altra. Davanti all’uomo

ha messo la vita e la morte, e darà a ciascuno quello che ciascuno sceglie» (Sir 15,14-17). La domanda che sorge spontanea davanti a queste solenne e impegnative attestazioni è: se libertà è ciò che porta a crescere e a migliorare, si può ancora considerare libertà ciò che, invece, conduce alla sventura, al fallimento e alla morte? Non lo dovremmo piuttosto chiamare stupidità, cocciutaggine, fragilità, ignoranza, dipendenza, schiavitù? E se le cose stanno così, fin dove siamo colpevoli e responsabili? Sembra che anche Dio si ponga queste domande. Ed ecco perché si legge nel libro della Sapienza 11,21-12,2: «Tu hai compassione di tutti, perché puoi tutto. Tu chiudi un occhio sulle colpe degli uomini, perché vuoi che cambino vita. Tu ami tutte le cose esistenti e niente di ciò che hai fatto ti dispiace. Perché tutto è frutto del tuo amore. Una cosa come potrebbe esistere, se tu non la vuoi? Come potrebbe continuare ad esserci se tu, dopo averla chiamata, non la tieni in vita? Sì, tu hai compassione di tutte le cose, perché tutte sono tue e il tuo soffio le avvolge e le penetra, o Signore che ami la vita. È vero: tu potresti sempre importi con la forza e nessuno saprebbe resisterti. Infatti, tutto il mondo davanti a te è niente: è come una manciata di farina che fa appena inclinare un piatto della bilancia; è come una goccia di rugiada che al mattino si posa sulla terra. Ma tu, a poco a poco correggi chi sbaglia, tu lo avverti e gli fai comprendere le sue colpe; lo porti a rinunziare alla cattiveria e a fidarsi completamente di te, o Signore.» fra Andrea Schnöller

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Cristiani nel mondo Richieste ai politici La Consigliera federale Doris Leuthard, lo scorso 5 dicembre, in occasione della celebrazione ecumenica per l’apertura della legislatura, svoltasi nel Münster di Berna, ha detto ai parlamentari appena eletti: “Incoraggiamo ciò che abbiamo in comune a livello della politica e della società. Coltiviamo i valori che costituiscono la forza della Svizzera: la libertà, la pace, la giustizia, la solidarietà”. Era la prima volta che un membro del governo elvetico veniva invitato alla celebrazione organizzata ogni quattro anni dalla Comunità di lavoro delle chiese cristiane in Svizzera (Cles). L’impegno dei responsabili politici è paragonabile a quello delle Chiese e delle religioni, ha sottolineato da parte sua il vescovo Harald Rein, della Chiesa cattolica cristiana in Svizzera. “Bisogna dare la priorità alla persona umana e al suo benessere, in modo reale e concreto e non con vaghe promesse”. Era pure la prima volta che un membro di questa Chiesa pronunciava il sermone durante la celebrazione nazionale. Alla cerimonia hanno partecipato esponenti delle altre nove Chiese che fanno parte della Cles, organismo che ha festeggiato nel 2011 il quarantesimo di fondazione. (da VOCE EVANGELICA, gennaio 2012). Chiese ecologiche Già da 25 anni le Chiese evangeliche tedesche (EKD) si oppongono all’energia atomica. Per l’EKD sono essenzialmente quattro gli argomenti decisivi: • Le valutazioni dei rischi possono rivelarsi errate: Fukushima ha mostrato che un incidente può verificarsi in ogni momento. • Un rischio non calcolabile nel funzionamento normale delle centrali nucleari non è tollerabile in un territorio industrializzato, altamente sviluppato e densamente popolato. Inoltre il problema del deposito delle scorie non è risolto. • Il pericolo del terrorismo pone sfide altissime al sistema di sicurezza. • L’uranio è una risorsa limitata che presto si rivelerà non redditizia di fronte ai progressi delle energie rinnovabili. Il rifiuto dell’energia nucleare può però essere sostenuto in modo credibile soltanto se, allo stesso tempo, le Chiese riducono notevolmente il proprio consumo energetico. Nel 2008 il sinodo dell’EKD ha proposto alle Chiese regionali di ridurre entro il 2015 la loro produzione di CO2 del 25% rispetto all’anno base 2005. Praticamente tutte le Chiese regionali tedesche hanno accolto la pro-

posta e hanno allestito programmi di protezione del clima. Non viene calcolato soltanto il consumo di energia negli edifici, ma anche quanto consumato per la mobilità e l’approvvigionamento. Oggi sono circa 1400 gli impianti solari montati su edifici ecclesiastici, coi quali le comunità rendono anche visibile il loro sostegno attivo al rinnovamento delle fonti energetiche. (da VOCE EVANGELICA, gennaio 2012). La parrocchia cattolico-romana di Berna ha fatto dell’impegno ecologico la priorità per la legislatura 2011-2014, ordinando uno studio sull’efficacia energetica dei 44 edifici di sua proprietà. Questo studio, preventivato in circa 40’000 franchi, dovrà evidenziare entro il 2012 quali sono gli edifici che presentano un cattivo bilancio energetico. Per realizzare le misure di risparmio sono stati preventivati annualmente fr. 300’000; già alcuni miglioramenti sono allo studio, come il riscaldamento a distanza per il Centro della chiesa della Santa Trinità o la sostituzione dell’olio con il gas al Centro San Nicolao. Nuove soluzioni sono pure previste per il Centro ecumenico di Kehrsatz, con il rinnovamento dell’impianto, delle finestre e del tetto. La parrocchia di Berna ha inoltre rinunciato ad utilizzare energia d’origine nucleare a favore di quella ecologica, aumentando di fr. 40’000 l’importo della spesa per il 2012. Si discute anche circa il riscaldamento degli edifici perché appare un controsenso che, a causa della temperatura elevata, parecchie persone tolgano i mantelli durante le funzioni! (dati da OEKUnouvelles, numero 1-2012). Al servizio dei diversamente abili Da una trentina di anni è attivo a Villars-sur-Glâne (Friburgo) un Centro ecumenico di pastorale specializzata (COEPS), organizzato in comune dalla Chiesa cattolica e da quella riformata. Attualmente dispone di 16 ‘agenti pastorali’ ed un volontario, ed è attivo in 10 istituti per adulti e in 13 scuole. Il COEPS coordina la rete di assistenti spirituali, animatori e catechisti del cantone e propone un percorso di catechesi ecumenica e di accompagnamento spirituale adeguato alle persone diversamente abili, cercando forme di integrazione nelle parrocchie locali, ad esempio per la preparazione ai sacramenti. Essendo una iniziativa ecumenica, la base di riferimento è la Bibbia, con un percorso catechistico simbolico denominato “Il Cammino di Emmaus”. I catechisti del COEPS intervengono negli istituti scolastici specializzati, mentre gli animatori accompagnano gli adulti sui luoghi di lavoro e di residenza, con il sostegno alle famiglie, in caso di malattia o di decessi; viene svolto anche un


Campane nuove a Parigi Le quattro campane della torre nord di Notre-Dame, che dal 1856 suonano ogni 15 minuti, saranno fuse per essere sostituite con un nuovo concerto: anche le campane invecchiano e quelle parigine sono da tempo rovinate e mal accordate. Per quanto centenarie e ricche di ricordi (hanno salutato la fine della prima guerra mondiale e la liberazione di Parigi nel 1944), non sono però le campane originali della cattedrale che festeggia gli 850 anni di fondazione. Infatti, durante la Rivoluzione francese, le 20 campane delle torri nord e sud furono sequestrate dai rivoluzionari e trasformate nel 1792 in cannoni, come circa l’80% delle campane francesi dell’epoca. Le quattro campane attuali furono donate da Napoleone III nel 1856, in occasione del battesimo del figlio. Solo il grande campanone chiamato Emmanuel si era salvato dalla Rivoluzione e verrà mantenuto e accordato con le nove nuove ‘campanelle’ che avranno la forma e il suono di quelle medioevali e dovrebbero così riproporre il concerto originale. Il vecchio Emmanuel, considerato il bronzo più bello d’Europa, continuerà a suonare dalla torre sud in occasione di cerimonie religiose importanti, come le visite papali, le commemorazioni, i funerali presidenziali: per la morte di Giovanni Paolo II ha suonato 84 volte, ricordando gli anni del Papa. lavoro con gruppi d’incontro e di educazione, uscite in comune, campi estivi con altre organizzazioni. Il gruppo del COEPS, che si avvale della partecipazione di due preti e di un pastore, prepara in ogni istituto annualmente tre celebrazioni ecumeniche, specialmente per Natale e per Pasqua, mentre la comunità dei sordi e poco udenti si ritrova ogni mese per celebrare l’eucarestia, dopo un incontro biblico. Lo scorso novembre, con una cerimonia pubblica svoltasi a Bulle e presieduta dal vicario episcopale Marc Donzé e dalla pastora Thérèse Chamartin, alla presenza di familiari, amici e di disabili di parecchie istituzioni, quattordici agenti pastorali del COEPS sono stati ‘mandati in missione’, a significare che essi, espressione delle loro Chiese, vanno a diffondere la Buona Novella di Cristo tra le persone diversamente abili. (Per maggiori informazioni: www.cath.fr/coeps) Frequenza ai culti in Svizzera I culti delle Chiese evangeliche libere riuniscono ogni week-end il doppio di fedeli rispetto a quelli delle Chiese riformate, e solo il 25 percento in meno delle messe cattoliche. E questo benché solo il 2% degli svizzeri faccia parte di una Chiesa libera. E’ quanto emerge da un’inchiesta effettuata nell’ambito del Progetto Nazionale di Ricerca “Collettività religiose. Stato e società”. (PNR 58) L’inchiesta, condotta da alcuni sociologi delle religioni diretti da Jörg Stolz dell’Università di Losan­na, ha permesso di descrivere per la prima volta un profilo delle collettività religiose in Svizzera, ovvero di tutti quei gruppi di persone che si riuniscono regolarmente per ragioni religiose o spirituali. I ricercatori hanno considerato liste e statistiche, interrogato esperti e rappresentanti di Chie-

sa, incontrato i responsabili. Mentre il numero medio di membri per una parrocchia cattolica è di circa 1’750, e di 2’200 per una protestante, una Chiesa libera ne conta mediamente solo 72; tuttavia quasi tutti i suoi membri assistono di regola ai culti, anzi i responsabili hanno addirittura affermato che il numero di presenti può superare quello dei membri. Tra i cattolici il tasso di partecipazione è del 4 percento; tra i protestanti del 3 percento. Durante un normale fine settimana, in Svizzera circa 690mila persone - un abitante su undici - si riuniscono per un rito religioso: il 38 percento lo fa nelle chiese cattoliche, il 29 percento in quelle evangeliche libere, il 14 percento nei templi protestanti e l’11 percento nei luoghi di preghiera islamici. Lo studio conferma la tendenza al declino numerico delle Chiese cristiane tradizionali, mentre le collettività carismatiche registrano una netta crescita. E il loro pubblico è più giovane e, contrariamente a quanto si supponeva finora, la rigidità religiosa e morale non gioca un ruolo decisivo nel successo delle Chiese libere. Certo, sono più severe da un punto di vista morale, e trasmettono ai propri membri chiare regole di comportamento ma, secondo lo studio, la loro crescita è dovuta soprattutto a un’attiva ricerca di nuovi membri che sollecita i fedeli a invitare nuove persone. Inoltre una collettività ha migliori possibilità di crescere se s’impegna a educare i figli dei membri nel rispetto della propria tradizione religiosa. Alcune comunità religiose profittano infine dell’immigrazione: questo vale soprattutto per i musulmani, mentre tra i protestanti i luterani crescono soprattutto grazie all’immigrazione dalla Germania. (da VOCE EVANGELICA, ottobre 2011) Alberto Lepori

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Cristiani divisi anche sulla data della Pasqua

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15 aprile 2001, 11 aprile 2004, 8 aprile 2007, 4 aprile 2010, 24 aprile 2011, 20 aprile 2014, 16 aprile 2017: sono queste alcune date, del recente passato e del futuro, nelle quali i cristiani dell’Occidente e dell’Oriente hanno festeggiato o celebreranno la Pasqua alla stessa data. Si tratta però di eccezioni: nella maggior parte degli anni, Pasqua (e di conseguenza tutte le altre feste mobili ad essa legate) cade in giorni diversi per le Chiese occidentali e per quelle ortodosse, con differenze che possono andare fino a cinque settimane. Si pensi che dopo il 2099 bisognerà attendere ben 801 anni, cioè fino al 2900, perché Pasqua torni ad essere alla stessa data! Perché tutto questo? Per capirlo, bisogna partire da molto lontano. Il Concilio di Nicea, nel 325, fissò la celebrazione della Pasqua alla prima domenica che segue il plenilunio successivo all’equinozio di primavera. Come mai allora, dal momento che a Nicea, per volere dei vescovi e dell’imperatore Costantino, fu decisa un’unica data per tutta la cristianità, non è più così? La ragione non deriva direttamente dalla comprensione teologica della Pasqua e del suo significato, ma piuttosto dalla differenza di calendario. Nel 325, infatti, il calendario ufficiale era quello giuliano (cioè quello solare stabilito da Giulio Cesare nel 46 a.C.) che, prevedendo un mese bisestile ogni quattro anni, cercava così di armonizzare il ciclo dei giorni con quello della rivoluzione terrestre (anno tropico o solare, sul quale è fondato il nostro attuale calendario), in modo da mantenere fisse le date principali (equinozi e solstizi). Ma anche con questa correzione, l’anno giuliano veniva ad essere più lungo di 11 minuti e 14 secondi rispetto all’anno tropico (per un totale di un giorno ogni 128 anni) e così, alla fine del XVI secolo, si era accumulato un anticipo di 10 giorni, tale da far iniziare le stagioni ben prima delle date “canoniche” di solstizi ed equinozi. Fu Papa Gregorio XIII, nel 1582 con la bolla “Inter gravissimas”, a riformare il calendario, sopprimendo i dieci giorni ‘di troppo’ e stabilendo che, quell’anno, dal 4 ottobre si passasse direttamente al 15, così da riportare l’equinozio di primavera (essenziale per il computo della Pasqua) al giorno stabilito dal Concilio di Nicea. Nacque così il calendario gregoriano, tuttora in uso nella stragrande maggioranza dei paesi del mondo, che comporta 11 giorni di differenza rispetto a quello giuliano.

Opposizioni ortodosse Tuttavia, il nuovo calendario non venne subito accettato da tutti, anzi trovò molte opposizioni soprattutto di carattere politico e religioso. In particolare venne rifiutato dai paesi di tradizione ortodossa e vetero-orientale se non – e non in tutti i casi – nel secolo XX per quanto riguarda il calendario civile, mentre per quanto riguarda quello ecclesiastico e la data della Pasqua, tutte le Chiese ortodosse (ad eccezione di quella della Finlandia) ancora oggi seguono il calendario giuliano. E’ interessante notare che in merito invece al Natale, alcune Chiese ortodosse (come quella romena) si adeguano al calendario gregoriano, mentre altre (come quella russa o quella serba) continuano a seguire quello giuliano e festeggiano così la Natività di Gesù non il 25 dicembre ma il 7 gennaio. Per tornare alla Pasqua, la sua data è comune ai cristiani dell’Occidente e agli ortodossi soltanto quando la combinazione tra il ciclo lunare e quello dei due calendari fa sì che unico sia il plenilunio che funge da riferimento per entrambi i calendari, giuliano e gregoriano, in pratica quando il plenilunio cade molto più avanti rispetto all’equinozio: in quel caso, infatti, i 13 giorni di differenza tra i due calendari diventano ininfluenti. Verso una data comune? Da tempo, soprattutto dall’inizio del XX secolo, le Chiese cristiane stanno esaminando la possibilità di cambiare le regole per giungere a una data della Pasqua comune per tutti, consapevoli che questo costituirebbe un notevole segnale ecumenico, ma le resistenze non mancano. A questo proposito, un’importante consultazione si tenne dal 5 al 10 marzo del 1997 ad Aleppo, in Siria. Intitolata “Verso una data comune per la celebrazione della Pasqua”, era stata organizzata dal Consiglio ecumenico delle Chiese e dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente e vi parteciparono rappresentanti di diverse Chiese (compresa quella cattolica) e comunioni cristiane mondiali. In quella occasione era stato raggiunto un consenso per proporre alle Chiese una soluzione che consisteva nel mantenere il sistema stabilito dal Concilio di Nicea, ma calcolando la data dell’equinozio di primavera “con i mezzi scientifici più accurati per eliminare ogni approssimazione” e servendosi, come base di calcolo, del meridiano di Gerusalemme, luogo della morte di Cristo e della sua risurrezione.


Messaggio ecumenico Questa proposta per unificare la data della Pasqua sembrò inizialmente suscitare un forte interesse e vi furono reazioni positive da parte di diverse Chiese, in particolare della Federazione luterana mondiale, del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani e della Conferenza anglicana di Lambeth. Molto più riservata la risposta della Chiesa ortodossa russa, secondo cui un cambiamento di data potrebbe provocare una spaccatura al suo interno (come già accaduto nel passato) perché non verrebbe accettata dalle forze conservatrici, per le quali la data di Pasqua è qualcosa di importantissimo e non va assolutamente cambiata. Comunque, con il passare degli anni, il consenso di Aleppo finì nel dimenticatoio, per cui l’Istituto di studi ecumenici dell’Università cattolica dell’Ucraina, a Leopoli, pensò bene di rilanciarlo dedicandogli un seminario internazionale ed interconfessionale il 15 maggio 2009, dal titolo “Una data comune di Pasqua è possibile”. Nel 2012 ancora separati Tutti i partecipanti al seminario di Leopoli – cattolici, protestanti e ortodossi – hanno sostenuto il consenso di Aleppo, nella speranza che, approfittando delle date comuni del 2010 e 2011, i cristiani si impegnassero a fondo per giungere a una data unificata per quest’anno, ma invece non sarà così. In questo 2012 gli occidentali celebrano infatti la Pasqua l’8 aprile, gli ortodossi una settimana dopo, cioè il 15 aprile. In ogni caso, a Leopoli si è constatato con realismo che il problema principale non viene dal modo di calcolo, ma dalle relazioni complesse tra le diverse denominazioni cristiane e dalla mancanza di fiducia tra di esse generata dalle lunghe divisioni. Successivamente, nel 2010, è stato il Consiglio nazionale delle Chiese degli Stati Uniti a lanciare un appello in favore di una data comune per la Pasqua sulla base del consenso di Aleppo, appello nel quale si affermava tra l’altro che “quasi ogni anno

la comunità cristiana si divide su quale giorno debba essere proclamata questa buona notizia. Fondata su disaccordi dovuti ad antichi calendari, la nostra divisione tradisce visibilmente il messaggio di riconciliazione. E’ uno scandalo che affligge certamente il nostro Dio”. Da segnalare infine che della questione ha parlato anche il Patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal (nella foto con Papa Benedetto XVI), affrontando il problema dell’ecumenismo in Terra Santa nel suo messaggio natalizio 2011, del quale pubblichiamo questo estratto: “Sulla stessa linea, vorrei ricordare l’impegno ecumenico e cioè il dialogo tra i cristiani delle diverse confessioni. Il nostro recente decimo incontro del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, tenutosi a Cipro, ha sottolineato la buona volontà delle quattro famiglie cristiane - cattolici, protestanti, ortodossi orientali e ortodossi - per una più profonda collaborazione ed impegno per l’unità. A questo proposito, su invito del Sinodo per il Medio Oriente, abbiamo intenzione di unificare la data della Pasqua.

Lo facciamo spinti dal desiderio di nostro Signore e dalla volontà unanime del popolo cristiano della Terra Santa”. Parole sicuramente incoraggianti, non c’è che dire. Gino Driussi

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Chiara d’Assisi, l’acqua di Francesco

È

È stato scritto a giusta ragione che il cristianesimo è la “religione delle donne”. Sono innumerevoli gli episodi nel Vangelo che hanno per protagoniste le donne. Gesù le ha osservate con una attenzione minuziosa nella loro quotidianità: da ciò il suo rispetto per le donne e la sua fiducia nella loro capacità di comprenderlo e di seguirlo anche nella profondità più difficile del suo pensiero. Agli albori del cristianesimo non soltanto le donne ne hanno diffuso il messaggio vivendolo e facendolo vivere nella vita quotidiana, ma hanno saputo affrontare con eroismo la tortura e la morte. Col martirio delle donne cristiane la società antica è stata superata e vinta e una nuova cultura è stata creata: una cultura dell’occidente che ha così mosso i primi passi, intrisi del sangue delle martiri, verso la liberazione e l’uguaglianza delle donne, che si arrogano il diritto di dimostrarsi esse stesse eroiche nella sofferenza. Così a riprova che sono state soprattutto le donne a sviluppare e indirizzare il cristianesimo dei primi secoli non sorprende che le più antiche e importanti chiese di Roma siano intitolate a nomi femminili: Agnese, Prassede, Cecilia, Sabina… E la storia del cristianesimo è piena di figure straordinarie di donne e un posto certamente rilevante merita Chiara d’Assisi, la “pianticella” di Francesco, di cui ricorrono gli 800 anni dalla fondazione del secondo Ordine francescano, le Clarisse. Non si può comprendere il fascino trascinante e straordinario del Poverello di Assisi senza la segreta bellezza di Chiara: la stessa parola di lui, lo stesso messaggio si è incarnato insieme e silenziosamente in lei. E se Francesco è il sole infuocato dell’Amore di Dio, l’Oriente che sorge da Assisi come scrisse Dante nel Canto XI del Paradiso: ”Onde chi d’esto loco fa parole, non dica Ascesi, che direbbe corto, ma Oriente, se proprio dir vuole”, così Chiara è l’acqua zampillante, polla segreta traboccante di ardore, nella silente fecondità di un’esistenza nascosta. E quando Francesco, ormai gravemente malato e prossimo alla morte, si ritira a S. Damiano ed intona lo splendido Cantico delle Creature, in cui tratteggia poeticamente la bellezza del Creato in un inno di riconoscenza e di lode e di perfetta letizia, forse inconsciamente in una specie di transfert psicologico quando esclama: “Laudato si, mi Signore, per sora Acqua, la quale è molto utile et umile et preziosa et casta”, pensa a Chiara, alle qualità eccezionali di quell’acqua pura e limpida che è Chiara. E’ un alto tributo d’amore verso la donna che ha condiviso fino in fondo la sua avventura evangelica: perché Chiara è utile nella sua clausura, libera nell’umile sua obbedienza, ricca e preziosa nella sua altissima povertà, feconda nel suo amore casto e verginale.

Chiara è utile nel nascondimento, lei che si sente scelta come specchio ed esempio per tutti coloro che vivono nel mondo. Lei si specchia totalmente nel cuore di Francesco, in cui vede splendere il Cristo povero e crocifisso, e in questa contemplazione si trasfigura e diviene essa stessa specchio di vita. Utile Chiara, benché nascosta, come l’acqua che scorre immobile fra le sabbie del deserto e fa sorgere l’incredibile stupore di un’oasi verdeggiante o fa sbocciare un fiore selvaggio fra aride rocce. Se la contemplazione è uno sguardo d’amore, in cui l’incontro con l’amato richiede solitudine e silenzio d’ascolto e offerta di tutto se stessi, Chiara ha scritto con la sua vita il miglior elogio dell’amore che, quando è autentico, trapassa anche le grate. Chiara e’ umile nell’obbedienza: se c’è un uomo in cui la più grande libertà si è coniugata con la più umile obbedienza questi è proprio Francesco d’Assisi. Chiara volle rimanere pura come l’acqua quando, fuggendo dalla casa paterna, andò incontro a Francesco e con gioia liberamente gli promise obbedienza. Chiara ha compreso che obbedire non è cosa da sudditi o negazione di sé, ma servizio d’amore. E quando è richiesta di porsi alla guida di San Damiano, di diventare badessa, si piega all’ obbedienza non senza “timore e tremore” e subito diventa la serva di tutte le sorelle e umile chiede loro che le prestino obbedienza non tanto per l’ufficio che occupa, ma per amore. Per Chiara il valore assoluto rimane l’umile obbedienza, l’ascolto fiducioso e l’accoglienza serena di ogni evento, come Francesco, che si era reso minore e sottoposto a ogni creatura, ma a cui obbedivano d’incanto pesci, lupi e uccelli.


Ottavo centenario clariano Chiara è preziosa nella povertà: quella povertà di cui si è innamorato il giovane Francesco, quella che ha spinto Chiara a fuggire di casa per seguire quel pazzo giullare di Dio, è canto di libertà infinita, è imitazione d’amore; per Chiara la povertà è l’essenza della sua libera scelta contemplativa, tanto che essa lottò lungamente per ottenere il “Privilegio” di non avere nulla e di saper donare con gioia: solamente chi è povero può contemplare, libero di meravigliarsi nell’ascolto di Dio. Chiara sa che l’uomo coperto di vestiti non può pretendere di lottare con un ignudo, in quanto destinato a soccombere. E Francesco, quando si era spogliato di tutto davanti al padre, nudo di tutte le cose del mondo, gli era sicuramente apparso il più ricco e il più libero degli uomini. Ma fu lei, Chiara, a incarnare come nessuno l’immagine dolce e amata di madonna Povertà, la sposa di Cristo negletta per così tanti secoli dopo di lui. Chiara è casta nell’amore. E quando Francesco canta l’acqua casta pensa a Chiara nel suo splendore di donna intatta, nella sua mite bellezza di vergine, sposa, madre. Casta, essa è veramente sposa e madre, perché vive il suo ruolo di donna in cammino con Francesco, ”sostegno e unica consolazione dopo Dio”. Solo il cuore puro è libero d’amare veramente, senza egoismi, senza pretendere nulla per sé. Chiara riversa su Francesco le sue premure affettuose e condivide con lui la fatica d’amare. La castità di Chiara resta un segno profetico nella Chiesa perché essa non perde la sua identità di donna: Chiara contiene in sé l’infinito di un amore che nel suo cuore vergine, cioè libero da tutti, ed insieme materno, cioè dedicato a tutti, lascia intravvedere il miracolo dell’incarnazione, quasi novella Maria. Concludo con un pensiero di Paul Sabatier: ”La sua vita appare come una battaglia quotidiana per la difesa dell’idea francescana: si vede quanto sia stata coraggiosa e ardita colei che di solito è raffigurata fragile, macilenta, come un fiore di chiostro”. Mario Corti

Una donna forte al seguito di un uomo mite Chi è questa donna forte che segue un uomo mite? Forse ad alcuni lettori il nome della donna dice poco, mentre quello dell’uomo è più conosciuto. La donna è Chiara d’Assisi, l’uomo - più noto - è il suo concittadino Francesco. Coloro che conoscono Chiara potranno averla sentita nominare come la “Prima pianticella dell’orto francescano”. Questa metafora è fuorviante perché ci fa pensare ad una Chiara donna di piccolo formato; mentre le fonti storiche ci hanno trasmesso la sua grande personalità, una vera “domina”, una letterata, una combattiva, grandiosa nella santità fin dalla prima infanzia. Ma perché parliamo di questa santa dopo che Mario Corti ne ha parlato così bene e ne parlerà ancora? Perché, dalla primavera di quest’anno all’estate del prossimo, si celebrano gli 800 anni della consacrazione a Dio di Chiara d’Assisi che - come vedremo - abbandona la nobile casa per seguire Francesco d’Assisi. Per celebrare questo avvenimento, che coincide con la fondazione del Secondo Ordine Francescano, la Comunità del Sacro Cuore di Bellinzona sta allestendo una Sacra Rappresentazione che permetta di conoscere meglio questa “Donna forte al seguito di un uomo mite”. Questa Sacra Rappresentazione avrà luogo: venerdì 20 aprile: Bellinzona, chiesa del Sacro Cuore, ore 20:00 sabato 21 aprile: Chiasso, chiesa San Vitale, ore 20:30 sabato 12 maggio: Poschiavo, chiesa Santi Vittore e Mauro, ore 15:30 venerdì 18 maggio: Assisi, Antica Cattedrale (Piazza del Vescovado), ore 21:00 sabato 19 maggio: Terranova Bracciolini (Arezzo), chiesa di Santa Maria Nuova venerdì 1 giugno: Caslano, chiesa parrocchiale, ore 20:30 Le Sacre Rappresentazioni riprenderanno in autunno e ne daremo notizia.

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Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano

Abbiamo letto... abbiamo visto... Mons. Loris Capovilla a cura di Ernesto Preziosi

GAB 6900 Lugano

Ricordi dal Concilio Siamo appena all’aurora Brescia, La Scuola, 2011 L’intervista a mons. Loris Capovilla che, come segretario, fu accanto a Giovanni XXIII negli anni del patriarcato a Venezia e nel breve pontificato, ripercorre alcuni aspetti del Concilio Vaticano II che, indetto nel 1959 ad appena tre mesi dall’elezione al pontificato e celebrato dal 1962 al 1965, ha profondamente modificato la Chiesa e il suo rapporto con il mondo contemporaneo. Rivivono qui le attese di una generazione ed alcuni aspetti ed episodi della vita di un grande papa: soprattutto ci viene restituito il clima di una stagione tra le più feconde della storia contemporanea.

Mons. Luigi Bettazzi

Il Concilio, i giovani e il popolo di Dio Bologna, EDB, 2008 Un appello accorato rivolto alle nuove generazioni perché continuino a conoscere e ad appassionarsi al grande evento conciliare. È questo il nucleo centrale dell’ultima fatica di mons. Luigi Bettazzi, testimone privilegiato dell’evento del Concilio Vaticano II e mai stanco di ridirne l’importanza e il valore a tutto il popolo di Dio, compresi i più giovani che di quell’evento sono testimoni solo indiretti. Tra gli elementi più nuovi del Concilio mons. Bettazzi ne sottolinea in particolare due: la centralità della Parola nella vita di ogni credente e il rinnovamento della liturgia. Innovazioni profonde che ancora oggi necessitano, secondo l’autore, di essere realmente attuate. Non solo ricordi dunque, ma piuttosto un impegno e un compito che dovrà essere proprio soprattutto delle nuove generazioni confidando che “qualche giovane coraggioso” possa continuare a raccogliere con entusiasmo la testimonianza e le sfide lanciate dal Concilio.


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