Messaggero 2014-27 Lug-Set

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Luglio n째 Settembre 2014


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Luglio n° Settembre 2014

Un vuoto incolmabile

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Vita in Santuario

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La terza guerra mondiale?

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Maurizio Augustoni

Eventi importanti al convento del Bigorio

MESSAGGERO

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Comitato Editoriale

Fernando Lepori

Religioni nel mondo

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Alberto Lepori

Messaggio ecumenico

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fra Andrea Schnöller

Francesco, la luce dei secoli bui Mario Corti

fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Edy Rossi-Pedruzzi Gino Driussi Alberto Lepori

Hanno collaborato a questo numero

Gino Driussi

Dieci minuti per te

Rivista fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano ISSN 2235-3291

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Maurizio Agustoni Matteo Casoni Mario Corti fra Roberto Pasotti fra Andrea Schnöller

Redazione e Amministrazione Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32 Internet www.messaggero.ch www.facebook.com/messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch

Abbonamenti 2014 ordinario CHF 30.sostenitore da CHF 50.CCP 65-901-8 IBAN CH4109000000650009018

Fotolito, stampa e spedizione RPrint - Locarno

I collaboratori occasionali o regolari non si ritengono necessariamente consenzienti con la linea della rivista


Un vuoto incolmabile

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ono figlio di un giornalista… mio padre scriveva su alcuni giornali, parlava anche alla radio, quindi credo che il giornalismo e i mass-media siano un po’ nel mio DNA. Ricordo che da giovane seguivo una trasmissione radiofonica che allora si chiamava L’ora serena, diretta da quella grande persona sociale che era Cora Carloni, e dentro questa “ora serena” avevo una rubrica che si chiamava “La posta di Frate Sole”. Queste confidenze le rivelava alcuni anni fa, alla giornalista di un settimanale ticinese, frate Callisto Caldelari. Lo scorso 15 agosto, dopo il tramonto del sole, il nostro confratello ha concluso il suo cammino terreno e ha fatto ritorno alla Casa del Padre. Con la morte di fra Callisto è venuto a mancare uno dei frati più popolari del Ticino. Certamente non è stata solo la sua esemplare fedeltà nell’indossare l’abito cappuccino a renderlo un autentico frate del popolo. Il nostro confratello s’è guadagnato fama e notorietà grazie al carattere, alla volontà, alla dedizione che lo hanno portato a cercare con perseveranza ed a curare con diligenza in svariati modi il contatto con il pubblico. Fin dagli albori dell’Ordine i Cappuccini si sono impegnati a diffondere il Vangelo con la predicazione e l’azione caritativa rivolte a tutte le classi sociali, soprattutto quelle meno fortunate. Gli orientamenti pastorali scaturiti dal Concilio Vaticano II, nonché l’evoluzione sociale degli ultimi decenni, hanno offerto ai religiosi di tutti gli Ordini e di tutte le Congregazioni nuove possibilità di far vivere e rinnovare il proprio carisma originale. Durante la sua vita fra Callisto si è impegnato senza risparmio di energie in questo compito nel nostro Ordine e nella Diocesi luganese. Il Concilio Vaticano II ha introdotto nella Chiesa cattolica uno spirito di aggiornamento e di apertura. Durante e dopo il Concilio questo spirito è stato recepito in modo differente nelle varie strutture ecclesiali, ad esempio negli Ordini, nelle Diocesi e nelle Parrocchie. Proprio durante gli anni conciliari e nella prima stagione postconciliare fra Callisto rivestì compiti di governo nella regione dei frati Cappuccini di lingua italiana. Alcune iniziative all’insegna dell’apertura vennero concepite, promosse, iniziate e realizzate anche e soprattutto grazie all’interesse, all’impegno e all’assiduità di frate Callisto: il nuovo orientamento del convento di Bigorio; il restauro del convento di Lugano con la costruzione della nuova biblioteca, aperta al pubblico e gestita da un’Associazione laica; l’intervento di restauro realizzato al Santuario della Madonna del Sasso, sotto la direzione dell’architetto Snozzi, per l’anno centenario; e più recentemente la creazione del Centro Spazio Aperto di Bellinzona, per citare solo alcune delle opere più note. Molti sono così stati i talenti – per riprendere l’immagine neotestamentaria proposta dal ministro generale, fra Mauro Jöhri, nell’omelia fu-

nebre – messi a frutto per l’Ordine, la Chiesa e la società civile dal nostro compianto confratello nel corso dei suoi ottant’anni di vita. Ma in questa rivista un talento particolare ci interessa e ci tocca in modo significativo: la capacità di frate Callisto di comunicare, sia con la parola sia con lo scritto, quella vena giornalistica che, come ricordava all’inizio, faceva parte del suo DNA. Un talento, un dono più che attestato e verificabile negli archivi di vari giornali e riviste, nonché in quelli della Radio e della Televisione. Questo suo talento fra Callisto lo ha messo evidentemente a disposizione in modo proficuo anche del nostro Ordine, non da ultimo dirigendo fino al giorno della sua morte questa rivista nella veste di caporedattore. Gli siamo profondamente grati per tutto quello che ha fatto nel corso della sua laboriosa vita. Ma la sua morte ha lasciato un vuoto incolmabile, soprattutto per quanto concerne la direzione di questa rivista. Per i frati cappuccini della regione di lingua italiana è così giunto il momento di chinarsi sull’avvenire di queste pagine. La riflessione è stata fatta e una decisione – anche se a malincuore – è stata presa: alla fine di quest’anno il MESSAGGERO cesserà le pubblicazioni. frate Agostino

Messaggero cessa le sue pubblicazioni: NON inviate abbonamenti per il 2015 3


Padre Callisto Caldelari

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ovendo dire alcune parole in ricordo di padre Callisto a nome dei membri laici della sua Comunità ho pensato che dovevo parlare come parlerebbe una mattonella. Una delle tante che compongono la nostra chiesa. Sì, perché le mattonelle del Sacro Cuore sanno raccontare anche la sua storia. Quando i bambini del Sacro Cuore cominciano la loro catechesi continuata, in seconda elementare, affrontano il tema: che cos’è una chiesa e una comunità. Una delle “invenzioni” catechistiche di padre Callisto per spiegare il tema è questa: durante la Messa a loro dedicata i bambini scrivono con un gessetto il loro nome su una mattonella. Non pare loro vero di poter scrivere su un muro, e di una chiesa per giunta! Ma a parte l’entusiasmo di poter fare una cosa quasi “proibita”, i bambini soprattutto capiscono il senso del gesto, il messaggio. Ognuno di noi è una mattonella, e se ne manca una vedi subito il buco, se ne mancano troppe il muro crolla e non si fa più comunità. E poi, se le guardate bene, vedrete che nessuna mattonella è uguale alle altre. C’è quella a cui manca un angolo, quella un po’ macchiata, quella meno colorata. E

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non sono difetti, sono i talenti di ciascuno, le nostre qualità che ci distinguono. Basterebbe questo piccolo fatto per raccontare padre Callisto: la sua capacità di trasmettere messaggi profondi con dei mezzi semplici: un gessetto, un mattone. E la sua capacità di valorizzare ciascuna persona per quello che è. Quando una persona muore ci si chiede: chi è stato per noi? Mi viene da rispondere che semplicemente è stato “il ‘nostro’ Callisto”. Un po’ per il ricordo di una delle prime sacre rappresentazioni che la Comunità ha fatto (nel 1989 e poi ripresa nel 2008), che si intitolava “Il ‘nostro’ Francesco”, dedicata al poverello d’Assisi. Ma lo direi “nostro” soprattuto per il significato dell’aggettivo: un segno di amicizia, affetto, amore e soprattutto un segno non possessivo ed esclusivo, ma comunitario, condiviso.


Mi sono chiesto come ha fatto a farci diventare una Comunità, a coinvolgerci. Ho capito che ci è riuscito perché padre Callisto è stato sempre un fanciullo anche da adulto e ci ha sempre chiesto le cose come le chiede un fanciullo. Sappiamo tutti che i bambini fanno ogni cosa con metodo e curiosità, diciamo pure con letizia. Il metodo sta nella capacità di analisi, di studiare il problema, di capire di cosa c’è bisogno. Quando Callisto è arrivato al Sacro Cuore come parroco ha studiato la situazione e ha capito che per fare la Comunità avrebbe avuto bisogno di molti collaboratori. Capito il “problema” è subentrata la letizia, cioè la capacità di trovare una soluzione semplice e perfetta: all’entrata della chiesa ha semplicemente appeso alle mattonelle dei cartelli con scritto: “chi si mette a disposizione come catechista, lettore, musicista, ecc.? E sotto lo spazio per i nomi. E’ come fanno i fanciulli: se hai bisogni chiedi, e ti sarà dato! Un’altra caratteristica dei fanciulli è quella di chiedere sempre il “perché” delle cose, il desiderio di capire. Tutti abbiamo goduto dei frutti del Callisto studioso, profondo conoscitore della Bibbia, della storia del nostro Paese, e di tanti altri aspetti della cultura e dell’animo umano. Ma Callisto ha sempre voluto che anche noi ci chiedessimo “il perché”, che cercassimo di capire il senso profondo delle cose che stavamo facendo. Di non essere degli abitudinari o delle macchine che fanno le cose in automatico. Ci chiedeva di essere sempre svegli, pronti, come le donne sagge del Vangelo, quelle che si premunirono di una grande scorta di olio per i loro lumi. E anche qui Callisto ha inventato un metodo semplice per tenerci svegli e pronti: quello di cambiare le cose sul momento. Quante volte durante una messa abbiamo sentito nel microfono il suo “pst...pst”, un semplice sussurro per dire, per esempio all’animatore o all’organista: ho avuto un’idea, facciamo il canto 15 invece del 17, è più bello. E adesso? Noi laici della Comunità come faremo senza quei “pst...pst”, senza quei mille suggerimenti? Mi pare giusto, in questo momento, ritagliarci un momento di presente, goderci la tristezza, avere la possibilità di stare per un po’ ciascuno con i suoi ricordi di padre Callisto. Ma poi bisognerà andare avanti. Come lui avrebbe voluto e come di fatto ci ha suggerito e indicato. Il suo ultimo libro, stampato poche settimane fa, si intitola “Maestro dove abiti?”. Lo ha definito un libro testamentario e lo ha dedicato alle sue tante comunità. Nelle ultime pagine Callisto scrive del mistero della risurrezione, del dopo. E come sempre trova le

Di fronte alla morte il silenzio è spesso il miglior atteggiamento, sia perché non sappiamo proferire le parole più adatte che servono a capire questa realtà, la realtà della distruzione della propria esistenza terrena, sia perché si ha bisogno di dialogare con i propri sentimenti e con i ricordi che si accavallano numerosi nella nostra mente. Io in questo particolare momento mi sento molto triste perché ho perso un caro amico ed un compagno di viaggio. Un viaggio che incominciò da ragazzi prima di entrare assieme in seminario a Faido. A casa tua ci divertivamo stranamente a giocare a dir messa. Eri tu che celebravi, che cantavi, che imitavi i frati che vivevano in questo convento e che celebravano in questa chiesa la Chiesa che tanto hai amato e che oggi ti ospita per l’ultima volta, ma che parla tanto di te, del come hai operato nel tuo ministero per il bene della tua parrocchia. Mi mancherai e molto. Non potrò più incontrarti per quei momenti preziosi nei quali parlavamo di noi, del cammino che abbiamo fatto assieme, dei nostri problemi personali, della nostra attività, tu a Bellinzona, io al Bigorio, che oggi ti ricorda con stima ed affetto, perché se è vivo è grazie in modo particolare a te e al tuo coraggio di quegli anni dopo il Concilio Vaticano II, che con entusiasmo hai dato vita a tante iniziative che ancora oggi rispondono alle esigenze della nostra società. Se ti chiedevo, tu mi davi sempre una mano per trovare le soluzioni più adeguate nei momenti difficili che tutti incontriamo nella nostra vita. Avevi il dono dell’analisi delle cose e dei fatti che ti portava a trovare le soluzioni migliori: peccato che non sempre ti abbiamo capito, ma ti abbiamo ammirato per l’entusiasmo e la fede nel tuo operare. Anche se delle volte i tuoi giudizi su uomini e situazioni erano molto severi si capiva che lo facevi per un fine buono. Hai dato l’esempio di un frate laborioso e tenace nel voler raggiungere lo scopo del tuo operare. Si sapeva che le tue notti insonni erano trasformate in ore di lavoro al computer dove elaboravi il materiale per le tue pubblicazioni. Ora riposa nella dimensione di Dio, di quel Dio che, parlando con un giornalista, hai paragonato ad un oceano d’amore nel quale tu ti sentivi un pesciolino. Grazie, caro fratello, per tutte le energie e fatiche che hai profuso per il bene degli altri. Rimarrai sempre vivo nella nostra mente e nel nostro cuore ed è per questo che tu sei ancora qui in mezzo a noi. fra Roberto Pasotti

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parole per noi, che siamo qui. Vi propongo una delle riflessioni, che parte dalla frase conclusiva del Vangelo di Luca: “Gli apostoli stavano sempre nel tempio lodando e ringraziando Dio”. Callisto aggiunge questo commento (non suo ma fatto suo): “è una scena che racchiude l’intero Vangelo: all’inizio è narrata la visione di Zaccaria avuta nel tempio mentre compiva le sue funzioni sacerdotali; alla fine del Vangelo si parla ancora dello stesso tempio, dove si trovano gli apostoli che, pieni di gioia spirituale, rendono lode a Dio, ma è scomparso il sacerdote, gli apostoli erano laici; qualcosa è cambiato”. Anche il nostro padre Callisto è scomparso, ma, come gli apostoli, non siamo soli, qualcosa in noi è cambiato. C’è fra Boris, ci saranno altri sacerdoti e ci siamo anche noi, le mattonelle. E proprio dalle mattonelle ci arriva il “pst...pst” che ci suggerisce cosa fare, che ci dà il “mandato”. In fondo alla chiesa sulle mattonelle è ancora appeso un cartello, che nel frattempo è però diventato un’opera d’arte, una delle due opere di fra Roberto che ci abbracciano in chiesa. E sul cartello ci sono già i nostri nomi, e c’è uno scritto, come la “preghiera semplice” ispirata da Francesco.

“Signore fà di noi Comunità del Sacro Cuore uno strumento della tua pace. Dove c’è un bambino fà che portiamo insegnamento (gruppo catechisti). Dove c’è amore fà che portiamo condivisione (gruppo animatori corsi battesimi, fidanzati). Dove c’è abitudine fà che portiamo novità (gruppo liturgia). Dove c’è ascolto fà che portiamo la parola (gruppo lettori, sacre rappresentazioni). Dove c’è missione fà che portiamo aiuto (gruppo missioni). Dove c’è disaccordo fà che portiamo armonia (gruppo musica). Dove c’è testimonianza fà che portiamo i nostri passi (gruppo pellegrinaggi). Dove c’è bisogno fà che portiamo servizio (gruppo servizio chiesa). Questo è il mandato che ci hai lasciato, caro padre Callisto, e noi ci impegniamo a continuarlo. Per la Comunità del Sacro Cuore Matteo Casoni

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Caro Callisto

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nostri genitori, Adolfo e Leny, hanno praticato il volontariato ancor prima che la parola volontariato diventasse di uso comune. Così noi siamo cresciuti con la sensibilità di aiutare e collaborare dove c’era bisogno. Ognuno ha poi scelto il campo che gli era più congeniale ma tu hai scelto quello più impegnativo. Veramente bisognerebbe dire che tu fosti scelto 80 anni fa quando, durante una visita al santuario della Madonna del Sasso con mamma e papà, la Madonna stessa, di fronte a due gemelli, ritenne opportuno prenderne uno per farlo diventare frate cappuccino. Ti ricordi spesso abbiamo scherzato su questa scelta; se fosse stata diversa, avremmo avuto una suora? Una scelta che hai fatto tua con determinazione. Quando mamma ti ha accompagnato a Faido per la tua entrata in convento, avevi undici anni, gli facesti cambiare il biglietto ferroviario in solo andata perché per te non ci sarebbe stato ritorno. Una scelta coraggiosa, come tante altre durante la tua laboriosa vita. Ma già da piccolo dimostravi di aver il coraggio di andar controcorrente, come quella volta che non ti permisero di andare alla festa d’inaugurazione di questa chiesa, avevi cinque anni, e ti nascondesti nel pentolone che il nonno imprestava ai frati per il pranzo e così arrivasti in convento. Una vita piena di attività. La parola noia non esisteva nel tuo vocabolario.

Perciò fu proprio la noia che, da ragazzo, ti fece fuggire dall’ospedale. Ricoverato in quarantena per sospetta scarlattina, aspettasti il furgone delle bibite per nasconderti tra le cassette ben sapendo che la prossima tappa sarebbe stata l’albergo cioè a casa. Hai sempre fatto scelte coraggiose non preoccupandoti del giudizio altrui. Neppure quella volta che, caduto su una scatola di pasticcini sul viale Stazione, ti sedesti sul marciapiedi e te li godesti beatamente incurante degli sguardi incuriositi dei passanti. Hai vissuto un’infanzia convinto di diventare frate avendo davanti la bella figura di padre Bernardo, superiore del convento del S.Cuore appena costruito e terminato nel 1939. Ti abbiamo seguito durante tutti gli anni del tuo diventare padre Callisto.

A Faido, quale fratino. A Bigorio, durante il noviziato e poi fino alla Professione solenne e alla Ordinazione sacerdotale e alla tua prima messa proprio in questa chiesa, sempre presenti a condividere la tua gioia e quella di mamma e papà. Hai pure benedetto i nostri matrimoni e la tua benedizione doveva aver contenuto un collante veramente forte, visto che siamo tutt’ora coppie con tanti anni alle spalle! Siamo diventati i fratelli di padre Callisto e come tali, abbiamo cercato assieme ai tuoi confratelli e agli amici più cari di accompagnarti con tutto il nostro affetto possibile, all’incontro con Sora nostra Morte corporale, come san Francesco d’Assisi chiama la morte nel suo Cantico delle Creature, Un Santo che tu ci hai fatto conoscere e amare con viaggi, scritti, filmati e Sacre Rappresentazioni. Ora tutto è diventato un ricordo, ricordo che sarà sempre presente nelle nostre vite. Grazie di tutto Callisto

Padre Callisto, il primo a destra

I tuoi fratelli Gisy, Giovanna, Remo, Francesca e Maria

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Vita in Santuario

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iprendiamo la descrizione che del Santuario ci fanno Giacomo Stoffio (1625) e Michele Leoni (1677) dal punto in cui l’abbiamo lasciata al termine del precedente appuntamento.

Dopo aver collocato la loro descrizione «Descrittione della divotissima chiesa di S. Maria del Sasso sopra il magnifico borgo di Locarno, diocesi di Como» nel contesto storico-geografico di altre famose mete di pellegrinaggio del tempo, i due autori ci hanno riferito degli inizi della devozione mariana al Sasso, a partire dall’apparizione di Maria a fra Bartolomeo d’Ivrea la vigilia della festa di Maria Assunta del lontano 1480. Dopo aver lasciato il convento di San Francesco in Locarno, fra Bartolomeo si ritira sul Monte, dando inizio alle prime costruzioni: la Chiesetta di Santa Maria Avvocata, l’Oratorio della Pietà, la Casa del Padre e, ai piedi del Sasso, poco distante dal Belvedere, la Chiesa di Santa Maria Annunziata, porta d’ingresso al sacro Monte. In questa stessa chiesetta furono deposte le spoglie mortali dell’eremita del Sasso un giorno non meglio precisato tra l’anno 1511/1513. In seguito alla morte di fra Bartolomeo, comunque, i lavori di costruzione e di abbellimento non solo continuarono ma, visto il costante incremento della devozione e dell’afflusso di pellegrini, si moltiplicaro-

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no al Sasso lungo tutto il periodo che va dal 1513 al 1625, e anche subito dopo, fino al dal 1677, anno in cui fra Michele Leoni curò la riedizione della storia della Madonna del Sasso dello Stoffio, aggiornandola ai suoi tempi. Seguendo il loro scritto ci lasceremo ora da essi condurre, passo dopo passo, dalla Chiesa dell’Annunciata fino alla Chiesa costruita sulla sommità del Sasso, quella di Santa Maria Avvocata, in seguito insignita con il titolo di Santa Maria Assunta in Cielo. Dopo averci offerto uno sguardo panoramico – letterariamente piuttosto contorto – sul Sacro Monticello o Sasso che sovrasta il borgo Locarno e, sulla sua cima, la chiesa che, come una fortezza, domina dall’alta protegge la città sottostante, Giacomo Stoffio e Michele Leoni ci conducono, facendoci passare sopra un «bellissimo ponte», poco discosto dai giardini del Belvedere; passato il quale c’imbattiamo in un negozietto, dove si vendono immagini e oggetti diversi di devozionali. Questo negozietto fu in seguito trasformato in una piccola cappella, costruita per accogliere una statua dell’Immacolata. E’ la stessa statua


Messaggio dal Santuario che ancora oggi si può ammirare, non più nella piccola cappella, ma esposta alla devozione dei fedeli in una nicchia, disegnata appositamente nella parete di facciata della casa costruita per il custode del luogo, al posto della sopranominata cappella. Su questo stesso terreno o pianerottolo, donato da Antonio Guido Orelli a fra Bartolomeo, sorge e si ammira la Chiesa dell’Annunciata. Giacomo Stoffio ce ne descrive lo splendore esterno del portale e della facciata e quello interno dell’altare e delle pregiate pitture. Visitata la chiesa dell’Annunciata, siamo condotti sotto un «riguardevole arco», vera porta d’ingresso al Sacro Monte. Sopra quest’arco si vede eretta una stanza che, ai tempi dello Stoffio e prima che si costruisse la sopranominata casa del custode, costituiva il suo modesto rifugio. Oltrepassato l’arco, si arriva, subito alla Cappella della Visitazione, ossia dell’incontro di Maria con santa Elisabetta. Si prosegue verso l’alto lungo la Via della Valle, accompagnati dal «leggiadro mormorar» del torrente Ramogna, e a metà strada circa, ci si imbatte in un ulteriore cappella, incavata a nicchia nella viva roccia. E’ la Cappella di San Francesco, che viene raffigurato nell’atto di ricevere le sacre stigmate. Di fronte vi è la Cappella della Natività di nostro Signore e, subito dopo, quella dell’Adorazione dei Santi Magi. A poca distanza s’incontrano due altre cappellette o nicchie dedicate a Maria; in una di queste è riprodotta l’immagine della Madonna del Sasso. Si prosegue sulla strada che si arrampica a più risvolti – «gombitosa» – su per l’erta sponda e, al termine del percorso, si giunge alla porta d’ingresso al chiostro, antistante la Casa del Padre. Prima di entrare nel chiostro, però, le nostre guide ci conducono a destra, per farci ammirare la cascata d’acqua che «sbocca spumeggiante» dalla sovrastante Cappella del Calvario. Tornati alla porta d’ingresso nel chiostro, subito si scorge, al di sopra di essa, un’ulteriore Cappella, non meglio definita perché priva ancora di statue. Subito dopo, a mano destra, ci si imbatte nella Cappella della Santa Cena, sulla cui facciata spicca lo stemma della famiglia von Roll di Altdorf, ossia dei Signori Svizzeri che ne hanno commissionato e finanziato la costruzione. Tralasciando di descrivere per il momento il chiostro e la casa del Padre, Stoffio-Leoni ci invitano a proseguire verso l’alto, per visitare le Cappelle della Veronica e del Calvario; e, conducendoci più oltre in direzione dei Monti della Santissima Trinità, della Risurrezione e dell’Ascensione.

Di tutte queste cappelle cosiddette «superiori», purtroppo, non rimane più traccia alcuna ai nostri giorni. L’unico esemplare sopravvissuto all’ingiuria del tempo e alla distrazione o impotenza degli uomini è la Cappella della Risurrezione. Ma ecco di seguito la descrizione del Sacro Monte del Sasso così come si presentava allo sguardo di Giacomo Stoffio nel 1625 e, una cinquantina di anni dopo, di Michele Leoni, le cui annotazioni e aggiornamenti sono qui riportate, come nel testo originale del 1677, in corsivo. Quali siano il sito della chiesa, la strada per dove vi si ascende et le capelle che per la strada si ritrovano «Sopra il nobilissimo et antichissimo borgo di Locarno, diocesi di Como, dominio temporale degli illustrissimi e potentissimi Signori Svizzeri, tanto del borgo lontano quanto da quello lo disgiunge il sito del convento dei RR. Padri Cappuccini et dell’amenissimo giardino e ricco palagio del Belvedere, giace, dirimpetto al mezzo giorno et ai piedi del Monte, questo sacro monticello o, vogliam dire, Sasso, tutto mercé del torrente che lo circonda isolato, nel cui giogo s’alza il sacro tempio, risguardante l’Oriente, in prospettiva di fortissimo castello, che quivi si è fabricato per difesa del borgo, quale gli sta a’ piedi. Né la vista s’inganna, perché per guardia sua Locarno haver non poteva torre più inespugnabile, aiuto più certo, più sicuro ricetto, rimedio più potente, riparo più saldo, né più abbondante soccorso che quello sacro luogo, dove si adora quella che trionfa in cielo, signoreggia in terra et è formidabile all’inferno, di cui si può dir veramente turris David, quae edificata est cum propugnaculis mille clipei pendent ex ea,1 come in fatti per le grazie quinci ottenute et che ogni giorno s’ottengono, si prattica. Al piede donque di questo Sacro Sasso, subito passato il Belvedere, ci conduce un bellissimo ponte fatto fare da questa Magnifica Comunità, nel cui capo è una bottega ove si tengono da vendere per divotione crocette, medaglie, imagini, corone et altre cose simili. Questa bottega s’è ridotta in una capelletta, in cui già anni sono vi fu collocata una delle più belle statue che fromar sappi l’arte scultoria, rappresentante la Vergine nella di lei immacolata concezione, che col 1 Cantico dei cantici 4,4: «Torre di Davide, costruita a strati; mille scudi vi sono appesi».

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et è opinione di molti che qusta sia l’effigie della beata Beatrice Rusca. Sono eccellenti queste dipinture, in modo che apportano gran meraviglia a chi le mira, e tanto più a chi le conosce, se bene non sono delle mediocri l’imagini delli dodici Apostoli che si veggono attorno la turrina sopra il Coro, inginocchiati avanti una bellissima statua di Maria Vergine in cielo assonta. Inanzi l’altare vi è il deposito del sopranominato fra Bartolomeo, autore di questa santa divozione, con un politissima pietra, nella quale si vede intagliata l’effigie dell’istesso padre col capo sopra un capezzale in atto di riposare, e le mani appoggiate sopra due libri, che lo dimostrano padre di gran dottrina; attorno si leggono intagliati li seguenti versi:

piè purissimo preme l’horribil dell’inferno dragone; et in quel poco piano che qui si vede v’era anticamente una selva, qual fu al sudetto fra Bartolomeo donata da Antonio Guido d’Orello per fabbricarvi la chiesa della Nonciata; la quale appunto si presenta con la porta e facciata nella stessa via et è di bellissima architettura, e fu consacrata l’anno 1502, adì 25 Ottobre, insieme coll’altare, da Giulio de Galardi vescovo salonense, suffraganeo d’Antonio Trilvulzio, vescovo di Como, con la solita indulgenza. In questa chiesa, fra l’altre belle pitture, v’è sopra l’altare un’ancona di legno indorata rappresentante nella parte di sotto l’annonciazione fatta dall’arcangelo Gabrile alla sanissima Vergine, et in quella di sotto l’istesso arcangelo, che passò al limbo per dar la desiderata nuova ai santi Padri dell’incarnazione del Verbo eterno, dipinta da dottissima mano. Né posso tralasciare la nobilissima pittura che adorna il muro del coro dalla parte dell’evangelo, giudicata da non pochi, per l’eccellenza sua, opera del gran Luino, o del non mai a pieno lodato Bramantino, come credo più vero, rassomigliandosi molto alla mirabile sua maniera. Ciò parmi confermino quelle lettere B.P. che sono sotto la pittura, qual è un’immagine della Vergine santissima coll’Unigenito suo in grembo et certi angeli sopra e, dal lato destro, un S. Gioseffo e, dal sinistro, l’effigie del Serafico Padre; a cui segue un ritratto d’una donna con diadema in testa et habito del Terz’Ordine del medesimo santo, qual stende una mano sopra il capo di certi giovani e fanciulle che le sono a canto inginocchiati, in atto di raccomandarli all’immacolata Vergine;

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Quae lector fabricata vides hac rupe sacella Frater id estruxit Bartolomeus opus. Diva parem tibi, qui dum viveret addit honorem, et tandem moriens, hac requievit humo. Mente Deum coluit Francisci sancta sequutus dogmata, et ad supero sic sibi feci iter.2 Et in un breve sotto le mani: Et quoniam misero in caelium sublatus ab orbe Crederis hic pro me funde beate preces.3 Qui fa celebrare per sua devozione messa tutte le feste il sudetto Sig. Podestà Francesco Orello. Uscito che si è da questa chiesa per la medesima porta, si trova, sopra al largo della strada inalzato, un’assai riguardevol’arco, che con le sacre parole del Vangelo di san Matteo, «Benedictus qui venit in nomine Domini», alla bella divozione invita; sopra di quest’arco s’è aggiustata una stanza che serve per il luogo; sotto il medesimo, a mano destra, si è fabricata una capella, nella quale con belle statue si rappresenta la visitazione della Vergine a santa Elisabetta. Qui comincia il fortunato Sasso, nel quale è cavata la strada assai comoda, che ci conduce serpendo alla sommità del Sacro Monticello, accompagnati sempre dal leggiadro mormorar della metà del già detto tor2 «La chiesetta che vedi costruita sopra questa rupe / è opera, lettore, di fra Bartolomeo. / Ti sia di modello chi, vivendo, ne accrebbe l’onore / e ora, morto, riposa in questa terra. / Con la mene unita a Dio seguì gli insegnamenti di Francesco / e così visse il suo cammino verso il cielo». 3 «E poiché ti crediamo elevato, povero, dalla terra in cielo, / effondi qui per me, beato, la tua preghiera».


Messaggio dal Santuario rente (lasciata l’altra da mano manca nel passar il ponte) qual, rompendo il lento suo corso fra quei ruvidi sassi, mostra i suo bianchi bollori et si fa sentire tanto armonioso, che converrebbe meglio chiamarlo Armonia, che Ramogna; restando sempre dal lato manco il sasso, qual mostrandosi alle volte d’una parte aspro e nudo, dall’altra si vede vestito hor di tenere erbette, hor di qualche fioretto adorno, et hor scorgesi di verde cespuglio pomposo. Né mancano alcuni vaghi alberi dalla natura in non artificioso, ma bell’ordine disposti, che co’fronzuti loro rami di larghe e longhe foglie adorni, mostrano sotto pungente guardia i dolci suoi frutti, e allettano non mediocremente; e tra tanto, passo passo poggiando, si giunge in capo di questa strada, ove la falda del sasso pare che si vogli congiungere col colle vicino, verso il quale spingendosi una rupe di verdi braccia cuoperta, viene a formare quasi un bellissimo arco; e nel volgre che qui si fa a mano manca, è di necessità nudar il capo, non tanto perché la strada si trovi alquanto più erta, quanto per goder il fresco, con cui un’aura soave incontrandoci ci saluta, et perché ciò richiede la riverenza del luogo, che appare o dal monte o dalle piante quasi tutto coperto e ci ricorda uno di quei sacri horrori tanto da gl’antichi Greci celebrato; ma principalmente perché nel volgere subito si vede nella nicchia d’una capella una divota immagine di rilievo di san Francesco quasi rapito in estasi, come fu quando ricevè le sacre stimmati; e nell’alzar gl’occhi per mirar il Crocifisso in forma di Serafino, che alto sotto un balzo riguarda e ferisce il Santo, vedesi il Sasso direttissimo et, in cima, la chiesa, per riverenza della quale pare che il monte si sia ritirato indietro. A’ piedi della detta effigie del Santo evvi un ampio vaso di sasso polito, nel quale si raccoglieva l’acqua che, sorgendo da un fonticello poco discosto in un luoghetto che si vede, si conduceva con canali sotterranei, et usciva dalle cinque stimmati; et era quest’acqua in molta divozione, perché non solo si ristoravano con essa i viandanti, ma molti infermi anco lontani ne mandavano a pigliare con giovamento notabile a’loro mali; ma alcuni giorni sono, esso fonte si è asciugato. Qui si trova una capella della Natività di nostro Signore, nella quale, fra le altre belle statue, si veggono due pastori di bellezza incomparabili, oltre alcuni quadri dipinti ne’ muri a fresco di vaghissimi paesi; inanzi la detta capella un piano, con suoi muretti attorno da riposarsi; et alcune piante di noci dalla natura tanto robuste prodotte, che con l’altezza loro quasi arrivano alla sommità del Sasso: per il che, allargandosi altrettanto ne’ ramia, cuoprono quasi tutta la valletta.

Passata detta cappella si trova la strada gombitosa , così fatta per renderla più facile e meno ardua; nel cui primo piano si presenta un’altra capella, dell’Adorazione de’ Santi Magi, con figure parimente di rilievo, ma non si è fornita, poiché il sito la rende troppo humida; e però da quella parte non se ne trovano altre con figure di rilievo; accompagnano però anco la divozione per detta strada due capellette o nichie a canto della medesima, con due belle immagini della beata Vergine: la prima, devotissima, s’è lasciata tra la Visitazione e san Francesco; la seconda, che è il ritratto della stessa Madonna del Sasso, si ritrova a mezzo la strada gombitosa sopra l’Adorazione de’ Magi. Adorato che si è co’ santi Regi il santissimo Fanciullo, seguesi l’istessa strada commendata non poco per la bella disposizione che ha, però che, oltre il non esser tanto ardua quanto pare, è giustamente molto dilettevole, perché vi sono tra l’una e l’altra alcuni vani e, in mezzo d’ognuno, un’altissima pianta di noci; col pavimento smaltato di minute herbette e vaghi fioretti, e ‘l Sasso tutto si mostra verdeggiante. In capo della strada a mano destra scorgesi una caduta d’acqua, che dal Calvario spumegginate sbocca e, diroccando per quell’aspro e rozzo Sasso in grembo a breve conca, forma leggiadro mormorio et è di gran contento all’occhio, perché si vede con purità che l’aria vince uscir nel mezzo con violento gorgo quinci, e quindi, sciogliendosi in lente gocce di minuta pioggia che, dall’aria percosse, più presto paiono esser lumi o splendori. Ch’indi cadenti, o che spruzzanti humori, quali colorandosi all’opposto lume s’abbelliscono in guisa, onde mostrano, che qui lampeggi il carboncio, il rubino, lo smeraldo et il diamante con tali linee e varietà, che porge stupore all’occhio e non lascia all’arte speranza d’imitarlo». Dopo aver visitato, «a mano destra» la cascata d’acqua «che dal Calvario spumeggiando sbocca», si ritorna sui propri passi, verso la porta del chiostro «assai bella. Sopra di questa porta, dalla parte di destra, s’è innalzata di fresco una capella, qual si spera che in breve si stabilirà e col tempo s’adornerà con statue. A mano destra nell’entrare, vi è la sontuosa Capella nuovamente fatta fabricare dalli Sig. Giovanni Lodovico commendatore di Malta, Giovanni Valtero cavaliero di S. Steffano, landtmano Gio. Pietro et capaitano Emanuel, fratelli Rolli d’Altorfo, hora ridotta a buonissimo termine e stuccata, et in breve sarà indorata, dipinta et ornata di bellissime statue per rappresentare l’ultima Cena che il nostro Redentore fece con i suoi santi Apostoli, attendendosi hora a polire le colonne che

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Messaggio dal Santuario s’hanno da metter in opra per farle inanzi un portico aperto. Questa capella s’è poi finita di tutto punto, et è veramente insigne; ma il portico avanti s’è giudicato meglio tralasciarlo, stante che impedirebbe la vista dell’arma de’ sudetti signori e che in perfettissimo stucco se gl’è scolpita in alto d’ avanti. Altre divote e belle cose vi sarebbero qui da considerare, ma sarà meglio che prima sagliamo alla capella del Calvario, posta sopra l’aggiunto monticello, tanto à profitto per rappresentarvi il mistero che vi è, che nissuno l’harrebbe potuto ritrovare, né dalla natura più a proposito formar si poteva. Per salirvi si esce per una porta di detto claustro, presso la quale, condotta per canali, si presenta con fresco invito l’acqua, qual serve per i bisogni della casa e giardino del Rev. Padre; e caminasi per una strada un poco erta, selciata et assai larga, sbarrata d’ambe le parti, fatta con grande spesa et notabil’ artificio, come si può vedere. In capo di questa strada, prima che si volti a mano destra verso la capella del Calvario, vi è la capella di S. Veronica, che in breve sarà ornata e finita. Benché questa capella, qual’ è del tutto finita, si chiami di Santa Veronica, più porzionatamente però nomar si dovrebbe dell’Incoronazione di Spine, perché questo è il mistero che quivi in statue si rappresenta; quello di S. Veronica, cioè l’incontro di lei col Redentore, a cui asciugò con sudario la divina facci, mentre col grave peso della croce saliva il monte Calvario, s’esprime non in statue, ma con bellissime pitture nelle pareti, quali d’ogn’ intorno dimostrano al vivo tal salita col numeroso accompagnamento d’officiali, soldati, ministri a piedi et a cavallo, e d’ogni altra sorte di persone. Dalla quale Capella in due passi si giunge alla sommità e si ritrova la già nominata Cappella del Calvario, con portico sostenuto da colonne di sasso vivo, polite e piazzetta avanti. Qui si rappresenta quello che si operò sul Monte Calvario, vero la crocifissione cioè di Gesù Christo nostro Signore, con molte statue di rilievo et huomini a cavallo, formate tutte da peritissimi statuarij al vivo, e principalmente il santissimo Crocifisso posto nel mezzo sopra un alto tronco, tanto mirabile che non può saziarsi alcuno di mirarlo, come anco l’effigie della santissima Madre a’ piedi in braccio d’una delle Marie tramortita, che trarrebbono, tanto si mostrano dolenti, lagrime da chi havesse il cuore più tosto che non è la materia di cui esse sono fabricate. Non minor meraviglia di queste causano alcune imagini di giudei che giocano la sacra veste in atto di contenzione, sì vivacemente effigiate che, coll’horribilità delle loro faccie, impaurirono una volta un semplice, che io vidi

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fuggire, per haverle vedute alla sprovista. Nella volta di questa s’ammirano, dipinti da dottissima mano e con meravigliosa maniera, le tenebre et i risentimenti che fecero gli elementi nella morte del loro Facitore; et nelli muri si veggono quei crudi ordigni con quali fu nostro Signore appassionato. In questi tempi nella parte anteriore della capella, nel portico et anco ne’ muri della piazzetta vedonsi, originate da mossa fatta dal Sasso fondamento dell’edificio, alcune assai notabili crepature, che hanno non poco danneggiato alquante delle così pregiate statue: ma per altro non disdicevoli al mistero che ivi si rappresenta, mentre arco “petrae scisse sunt” nel spezzarsi di quella Pietra che è la base fondamentale dell’Artificio Sovrano. Questa capella si è fabricata et ridotta a buon fine con l’elemasine delli mercanti di grano di Locarno. Quindi non molto discosto, rivolgendo a mano sinistra quasi a strada piana verso il Monte della Santissima Trinità de’ signori borghesi, si ritrova un’altra grande e sontuosa Cappella, con bel portico davanti, rappresentante la glorioso Risurrezione del Redentore; la figura del quale in bellissimo rilievo, uscita trionfante dal sepolcro et in aria con mirabil modo sollevata, riesce più che d’ordinaria virtù per sollevare a lietissima gioia quelle pie menti che, per la meditazione dell’antecedente mistero, nel sepolcro della mestizia sepellite si erano. Quivi si vedono in bell’ordine di statue (alcune delle quali però da non so che tempo in qua hanno patito qualche nocumento) diversi soldati attorno al vuoto sepolcro, chi anco adormentati, e chi in atto di spaventosa confusione per l’improvisa uscita da quello del nostro risuscitato Signore. Sodisfano poi a meraviglia l’occhio e danno l’ultimo compimento alla spirituale allegrezza le pittura da perita mano formate, che d’ogni intorno rappresentano diverse apparizioni del risuscitato Christo, divise con varij pendoloni di diversi instromenti di chiesa, di suono e d’altra sorte, con bell’artificio collegati; leggiadrissimi angioli, de’ quali alcuni sono intenti a gli armoniosi concerti di suoni e canti, et altri ad inalzare li gloriosi trofei della terminata passione del sommo lor Re trionfante. Passando più avanti per l’istessa strada verso il sopradetto Monte della Santissima Trinità, li prefati signori mercanti hanno inalzato sopra d’un altro cole un’altr’assai grande Capella, per rappresentarvi l’ammirabile Salita dal Cielo del Redentore; e benché questa sin’hora non sia stabilita di dentro, e per anco senza statue, si spera però che in breve la divozione de’ detti signori ridurrà il tutto a buon porto con il rifacimento ancor delle statue guaste dell’altre due.


La terza guerra mondiale?

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apa Francesco, di ritorno dal suo viaggio nella Corea del Sud, ha svolto un’analisi particolarmente cruda e impietosa della situazione internazionale. Senza troppi giri di parole ha affermato: “siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli”. E poi: “nel mondo c’è un livello di crudeltà spaventosa, la tortura è diventata ordinaria”. Secondo un recente rapporto dell’Institute for Economics and Peace solo undici Stati al mondo (esclusi i micro-stati) possono considerarsi del tutto privi di conflitti. In Europa solo la Svizzera rientra in questa definizione. Gli altri Stati, pur avendo situazioni interne tutto sommato pacifiche, hanno le proprie truppe militari schierate in vari scenari bellici (Afghanistan, Iraq, ecc.). Nell’elenco degli Stati senza guerre figurano anche Giappone, Qatar, Mauritius, Uruguay, Cile, Botswana, Costa Rica, Vietnam, Panama e Brasile. Questo non significa che i Paesi all’interno di questa lista siano al riparo da possibili tensioni. Il Giappone, per esempio, ha alcune vertenze territoriali aperte con Cina e Russia e, soprattutto, si trova a poca distanza dalla penisola coreana, una delle zone più sensibili del mondo. Il Brasile, pur non partecipando a conflitti armati, vive profonde tensioni sociali al proprio interno, con frequenti e violente agitazioni. Insomma, a poco meno di 70 anni dalla fine della seconda Guerra mondiale, la pace resta un bene prezioso e riservato a una minoranza dell’umanità. San Giovanni XXIII, nell’enciclica “Pacem in terris” (1963) tratteggiò alcuni principi fondamentali che occorre osservare nei rapporti tra le comunità politiche: tutte le comunità sono uguali per dignità naturale (nn. 49-50); una comunità non può svilupparsi opprimendone un’altra (n. 51); le minoranze devono essere tutelate, ma queste devono sapersi aprire (nn. 52-53); gli scambi sociali, economici, culturali, ecc. devono essere favoriti (nn. 54-55); occorre stabilire un equilibrio tra popolazione, terra e ricchezze per consentire alle persone “di crearsi un avvenire migliore senza essere costrette a trapiantarsi dal proprio ambiente in un altro” (n. 56); ai profughi politici vanno riconosciuti tutti i diritti inerenti alla persona (nn. 57-58); va perseguito il progressivo e simultaneo disarmo delle comunità (nn. 59-63); le comunità devono rispettare la loro reciproca libertà (n. 64); le comunità in via di sviluppo devono essere sostenute senza propositi di predominio o sottomissione (nn. 65-67); le controversie vanno risolte con il negoziato (n. 67). È facile (e al tempo stesso triste) constatare come gli attuali conflitti siano determinati dalla violazione di uno o più di questi principi. La dottrina sociale della Chiesa, pur ammettendo – a rigorose condizioni (Catechismo, n. 2039) – l’uso della

forza militare da parte di uno Stato che sia aggredito, condanna la guerra senza possibilità di equivoco: “la guerra è un “flagello” [Leone XIII] e non rappresenta mai un mezzo idoneo per risolvere i problemi che sorgono tra le nazioni: “non lo è mai stato e mai lo sarà” [San Giovanni Paolo II], perché genera conflitti nuovi e più complessi. Quando scoppia, la guerra è una “inutile strage” [Benedetto XV], una “avventura senza ritorno”[San Giovanni Paolo II] che compromette il presente e mette a rischio il futuro dell’umanità: “nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra” [Pio XII]’’ (Compendio, n. 497). Nel centenario dallo scoppio della prima guerra mondiale (1914-1918) può essere utile rileggere qualche frase del messaggio che Benedetto XV, il 1° agosto 1917, rivolse ai “capi dei popoli belligeranti” pregandoli di porre fine a quella “inutile strage”: “Riflettete alla vostra gravissima responsabilità dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini; dalle vostre risoluzioni dipendono la quiete e la gioia di innumerevoli famiglie, la vita di migliaia di giovani, la felicità stessa dei popoli, che voi avete l’assoluto dovere di procurare”. Nel democratico Occidente quella stessa “gravissima responsabilità” non grava più soltanto sui “capi dei popoli”, ma sui popoli stessi che, con il loro voto, hanno il dovere di promuovere le condizioni per una convivenza pacifica tra le comunità politiche. In Svizzera, non meno che in altri Stati, occorre quindi diffidare da quelle proposte che – animate da un esacerbato egoismo – ci allontanano dai principi della “Pacem in terris” e ci destinano a un futuro torvo e iniquo. V’è da sperare che le cittadine e i cittadini svizzeri sappiano sempre rigettare queste tentazioni e possano così contribuire alla pace, in Svizzera e nel Mondo. Maurizio Agustoni

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Eventi importanti al convento del Bigorio

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el mese di settembre del 1994 il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, venne al Bigorio come ospite ad un seminario per discutere su problemi etici. Per il Bigorio fu un evento particolare e la figura di questo Cardinale, uomo schivo e riservato, con una formazione culturale superiore, fece una grande impressione. A distanza di 20 anni il Bigorio ha potuto avere una visita altrettanto importante, quella del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, presidente della CEI e vice presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali Europee, organismi importantissimi per la gestione della Chiesa. Il 4 ed il 5 di agosto il cardinale Bagnasco ha voluto visitare il convento del Bigorio interessandosi della nostra attività e della sua storia. E’ stato un incontro che ci ha impressionati per il suo modo affabile e fraterno, manifestazione di una persona ricca spiritualmente e culturalmente. Per far conoscere il convento del Bigorio ad un pubblico più vasto, nel prossimo mese di dicembre è prevista una giornata di porte aperte. Data ed orari pre-

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cisi verranno comunicati alla stampa e saranno visibili anche sul sito del convento www.bigorio.ch. Questa giornata darà la possibilità di mostrare al grande pubblico l’interno del convento con le sue opere artistiche, dando la possibilità di assaporare l’atmosfera di questo luogo particolare. In questo luogo, iscritto tra i monumenti protetti del Canton Ticino, si fondono armoniosamente antico e moderno, tradizione e rinnovamento. Atmosfere austere e settecentesche si respirano camminando lungo i corridoi delle celle dei frati e nella biblioteca. A queste si affiancano pure le soluzioni architettoniche moderne visibili nella cappella e nelle sale conferenze. La visita al convento sarà accompagnata da informazioni storiche lungo tutto il percorso.


Capitolo elettivo alla fraternità di Bellinzona Ricordiamo ai lettori i prossimi appuntamenti presenti nel programma dei corsi organizzati dal convento per gli ultimi mesi del 2014: Sabato 20 settembre: giornata di approfondimento sul tema della sofferenza psicofisica di san Francesco d’Assisi, nell’ottica della visione della cristianità dall’antichità fino ai giorni nostri. Il corso comincerà alle ore 9.00 e terminerà alle ore 14.00 ca. Animatore: fra Michele Ravetta. Sabato 18 ottobre: giornata dedicata alla comprensione del significato teologico e di fede dei simboli liturgici, partendo dalla disposizione degli spazi liturgici all’interno di una chiesa. Dalle ore 9.00 alle ore 15.00 ca. Animatore: don Nicola Zanini. 25 e 26 ottobre, 13 e 14 dicembre: fine settimana di meditazione cristiana. Da sabato alle ore 9.30 a domenica alle ore 16.30. Animatore: fra Andrea Schnöller. 22 e 23 novembre: giornate di “deserto” alla riscoperta del valore del silenzio. Da sabato alle ore 11.30 a domenica alle ore 17.00. Animatore: fra Roberto Pasotti.

Domenica 21 settembre 2014, la Fraternità francescana di Bellinzona e dintorni ha tenuto il Capitolo elettivo per il triennio 2014-2017. Hanno presieduto il Capitolo fra Ugo Orelli, Assistente regionale dell’OFS, e Aldo Bernaschina, delegato dal Consiglio regionale. Tutte le elezioni sono state valide al primo scrutinio. Il nuovo consiglio è composto da: Franca Humair, ministra; Iris Felice, vice-ministra; Sylva Casoni (rieletta), Laura Mariotta e Annamaria Agnelli (nuove elette). La ministra uscente Palma Pedrazzi ha letto un dettagliato rapporto di attività del triennio scorso, ricordando i temi svolti, i nuovi fratelli e sorelle che hanno emesso la loro Professione e i fratelli e sorelle che sono ritornati al Padre. Ha concluso con un augurio al nuovo Consiglio di saper riconoscere la voce di Gesù Cristo per continuare il viaggio come testimoni del Vangelo, alla maniera di San Francesco che, nel suo testamento, ci rammenta “Alziamoci fratelli perché finora non abbiamo fatto niente…”. La nuova ministra, a sua volta, ha ringraziato i presenti per la fiducia risposta in lei e ha avuto parole di commossa gratitudine per il Consiglio uscente, in modo particolare per Palma, Verena e Carla che non hanno più presentato la candidatura. La Fraternità di Bellinzona e dintorni si ritrova ogni terza domenica del mese al Centro Spazio Aperto con l’assistente fra Boris e ogni martedì alle ore 14, sempre al Centro Spazio Aperto, per la recita dei Vespri e una meditazione francescana. Chiunque può partecipare a questi incontri e sono benvenuti coloro che desiderano vivere l’ideale francescano, cioè “osservare il Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo secondo l’esempio di San Francesco d’Assisi che fece del Cristo il centro e l’ispiratore della sua vita con Dio e con gli uomini”.

Messaggero cessa le sue pubblicazioni: NON inviate abbonamenti per il 2015 15


Religioni nel mondo RICORDARE IL VATICANO II La rete «Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri» ha tenuto la Terza Assemblea nazionale a Roma, convocata per riflettere, a cinquant’anni dal Concilio, sulla «Lumen gentium”, cioè la costituzione del Vaticano II sulla Chiesa. «Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri» è un cartello di associazioni, riviste e gruppi ecclesiali italiani unitisi per celebrare i cinquant’anni del Vaticano II (1962-65). Nella loro prima Assemblea, a Roma il 15 settembre 2012, affrontarono temi generali; nella seconda, il 6 aprile 2013, rifletterono sulla Pacem in Terris, l’enciclica di papa Giovanni del 1963 che tanto influsso ebbe sugli stessi lavori del Concilio. Nella terza Assemblea, svoltasi a Roma lo scorso 17 maggio, fu svolto il tema: «A 50 anni dalla Lumen gentium. Dio: un nuovo annuncio? La coscienza umana e le comunità cristiane si interrogano», con quattro relazioni: “Quale Dio oggi?» (Raniero La Valle, giornalista e scrittore); «Quale persona oggi?» (Giovanni Ferretti, filosofo); «Quale Chiesa e quali Chiese per l’annuncio?» (Giovanni Cereti, teologo); “La ricezione al femminile della Lumen Gentium» (Cettina Militello, teologa). Da notare positivamente la presenza di un vescovo ausiliare di Roma, monsignor Guerino Di Tora, responsabile del settore nord della capitale, che ha portato un saluto. Varie le opinioni espresse nel dibattito: alcune pessimiste sulla attuale situazione della Chiesa cattolica romana, pur con le novità portate da papa Francesco; molte altre assai più ottimiste nel valutare complessivamente l’eredità del Vaticano II e i frutti che, partendo da esso, sono cresciuti e stanno continuamente maturando nel corpo vivo della Chiesa e delle Chiese. Sul «che fare?» per il futuro sono emerse diverse proposte che saranno valutate dal comitato promotore. Un incontro mondiale di vari gruppi e movimenti cattolici di riforma ecclesiale, soprattutto europei e americani (del Nord e del Sud), si terrà a Roma, dal 13 al 15 novembre del 2015, sul tema: “Concilio 50. Un futuro per il popolo di Dio. Una Chiesa, ispirata dal Vangelo, per il mondo». (da CONFRONTI, Roma, giugno 2014). CENTRO DEI MEDIA CATTOLICI Il 30 giugno a Losanna si è costituito il Centro dei media cattolici Cath.INFO, con la riunione della Agenzia di stampa internazionale cattolica APIC – KIPA, del Centro cattolico di radio e televisione CCRT

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e dell’Associazione Catholink, editrice del sito internet cath.ch. Il Centro, con sede a Losanna, ha come scopo di realizzare i quattro obiettivi stabiliti dallo statuto approvato dalla Conferenza dei vescovi svizzeri e dalla Conferenza centrale cattolico romana: informazione, annuncio del Vangelo, relazioni pubbliche e prestazioni di servizi. Sono membri di diritto le diocesi, i vicariati episcopali, le corporazioni ecclesiastiche cantonali; possono aderire parrocchie, comunità religiose, associazioni, fondazioni e altri gruppi cattolici ed anche singole persone; gli statuti garantiscono l’indipendenza giornalistica della nuova associazione. UN MILIONE DI POVERI L’edizione 2014 del Manuale della povertà in Svizzera, edito da Caritas, in 300 pagine dà una visione globale della povertà in Svizzera e dei mezzi per combatterla. In sette capitoli, Caritas presenta un panorama completo, con linguaggio accessibile, con numerosi schemi, tabelle e testimonianze, a disposizione non solo degli specialisti, ma per un largo pubblico impegnato nel sociale. Secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica più di un milione di persone vivono in Svizzera nella povertà o appena sopra la soglia relativa; quasi una persona su cinque non è in grado di pagare una fattura imprevista di 2000 franchi, come un conto del dentista; la povertà in Svizzera non è quindi un fenomeno marginale. Per gli autori del manuale (Claudia Schuwey e Carlo Knöpfel), la povertà va ben al di là della situazione finanziaria: colpisce la vita sociale e spesso anche la salute. Essere povero significa cercare per lungo tempo un lavoro, o esaurire le prestazioni sociali o rinunciare a curare la salute, o privarsi delle vacanze, o non potere migliorare la propria formazione, o avere uno statuto precario del soggiorno; di fatto essere al margine della vita sociale. La povertà non è più però un tabu; nel 2010 l’Ufficio federale di statistica ha pubblicato i primi dati coordinati, confermando le stime di Caritas, e il Consiglio federale ha adottato “La strategia globale in materia di lotta alla povertà” e nel 2013 ha lanciato un programma nazionale di prevenzione e lotta alla povertà, riconoscendo che essa rappresenta un problema politico e sociale e non solo individuale. Il manuale si può richiedere a www.caritas.ch/manuel-pauvrete (288 pagine, fr. 42).


SACRIFICIO QUARESIMALE 2013 Nel corso del 2013 sono aumentati i mezzi finanziari a disposizione del Sacrificio Quaresimale, l’opera caritativa dei cattolici svizzeri, con un incremento del 9,5% sia grazie alle offerte libere sia dei contributi della Confederazione. Per realizzare tutti i progetti previsti dalla fondazione (Programmi al Sud, progetti di politica di sviluppo, progetti in Svizzera, lavoro di formazione, come pure sviluppo dei Programmi e il loro accompagnamento) sono stati investiti fr. 19’858’823. L’89,5% è servito a realizzare progetti al Sud (136 progetti in Africa, 79 in America latina, 108 in Asia). Gli investimenti in questo settore sono stati inferiori rispetto a

quanto preventivato perché la pianificazione di alcuni progetti ha subito delle modifiche; sono tuttavia aumentati rispetto all’anno precedente. Per la politica di sviluppo sono stati finanziati 50 progetti, per un totale di fr. 1’241’141, mentre per il settore interno svizzero sono stati spesi fr. 2’577’284 per 32 progetti (Giustizia e Pace, pastorale della gioventù, Lega svizzera delle donne cattoliche, formazione pastorale, media cattolici, ecc.). Fr 1’382’490 sono stati utilizzati per la raccolta fondi, ossia il 6,2%. Grazie a una gestione rigorosa, le spese per l’amministrazione sono state ridotte del 2,9% (un resoconto esaustivo può essere richiesto all’ufficio di Lugano, Via Cantonale 2A, cp.6350).

MUSULMANI CHE CONDANNANO Sul sito internet di Popoli (www.popoli.info), il mensile dei gesuiti italiani, lo scorso 1° settembre, nella sezione “Primo piano” è stato pubblicato un articolo che raccoglie le “voci dell’islam contro l’estremismo”, e dà conto di quella parte del mondo sunnita apertamente schierata contro lo Stato Islamico che spesso non riceve adeguata attenzione da parte dei media occidentali e dei Paesi musulmani più conservatori. Tra queste voci spicca il Gran Muftì dell’Arabia Saudita, lo sceicco Abdulaziz Al ashSheikh, che il 19 agosto ha definito sia l’IS sia al Qaeda “nemici numero uno dell’Islam”. La corrente wahabita che sostiene il regime saudita condivide alcune posizioni dottrinali dei terroristi, ma respinge i metodi violenti e il pericolo di destabilizzazione che rappresentano. Anche altre autorità islamiche hanno condannato le stragi: il Gran Muftì di al Azhar, Egitto, Shawqi Allam, ha denunciato l’IS come una minaccia per l’Islam; il responsabile degli Affari religiosi in Turchia, Mehmet Gbrmez, ha affermato che “la dichiarazione fatta contro i cristiani è veramente terribile. Gli studiosi islamici hanno bisogno di concentrarsi su questo perché l’incapacità di sostenere pacificamente altre fedi e culture annuncia il collasso di una civiltà”. Inoltre sia l’Organizzazione per la cooperazione islamica, che riunisce 57 Paesi, sia la Lega araba, si sono espresse contro i crimini commessi in Iraq, parlando esplicitamente in difesa delle minoranze cristiane e degli yazidi. E inoltre non sono mancate le condanne da parte delle autorità delle comunità islamiche negli USA, in Gran

Bretagna e Francia, specialmente dopo l’assassinio del giornalista James Foley. In Italia è stata chiara ed esplicita la posizione dei musulmani che fanno riferimento alla Unione delle comunità islamiche che raggruppa circa 1,2 milioni di fedeli. La Federazione delle organizzazioni islamiche della Svizzera (FOIS), che è la principale organizzazione di musulmani nella Confederazione (ma solo il 15% dei musulmani sono organizzati), ha condannato il 4 settembre “gli atti terroristici in Siria, in Irak e dovunque accadono”, mentre il presidente Hisham Maizar ha dichiarato di “distanziarsi senza equivoci dallo Stato islamico, i cui misfatti non hanno niente a vedere con i principi della nostra religione”, mentre “i musulmani in Svizzera restano impotenti e sconcertati davanti a questa violenza, come tutti gli altri cittadini del paese”.

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CHIESE ED EMIGRAZIONE Se è ormai sotto gli occhi di tutti la metamorfosi del panorama religioso europeo, meno evidente è il percorso intrapreso da molte Chiese cristiane per andare al di là della fase di accoglienza dei fratelli e delle sorelle migranti, intraprendendo con loro un percorso che porti alla formazione di Chiese integrate. È in questa prospettiva che la Commissione delle Chiese per i migranti in Europa (Ccrne) ed il Consiglio ecumenico delle Chiese (Cee) hanno deciso di aggiornare lo studio europeo del 2008 Mapping Migration, Mapping Churches’ Responses. La nuova ricerca, da un lato ha l’obiettivo di raccogliere e aggiornare i dati sulle migrazioni nei 47 paesi del Consiglio d’Europa, dall’altro ha lo scopo di analizzare i cambiamenti all’interno delle Chiese europee ed il lavoro di advocacy ed assistenza che esse svolgono con e per i migranti; il tutto attraverso un apposito questionario inviato alle Chiese e alle agenzie delle Chiese, la cui qualità e livello di approfondimento dell’analisi rappresenta la novità di questa edizione. Lo studio sarà diviso in tre parti. La prima, più teorica, affronterà in chiave sociologica e teologica temi quali la costruzione della comunità, i nodi dell’appartenenza, soprattutto religiosa, e le questioni legate all’integrazione, raffrontando le politiche europee con quelle delle Chiese. La seconda parte vedrà la creazione di schede tecniche per ogni paese che offrono in maniera fruibile e facilmente comparabile i principali dati aggiornati su immigrazione, integrazione e lavoro delle Chiese. La conclusione della ricerca sarà l’analisi comparativa delle risposte ai questionari pervenute dalle Chiese, per comporre la mappatura dell’impatto reale e/o stimato dei migranti all’interno delle Chiese cristiane e dei modelli di essere Chiese in atto nei diversi paesi. FREQUENZA IRS IN ITALIA Una ricerca Doxa (per la cui realizzazione sono state intervistate 2.016 persone rappresentative per territorio, età, genere e classe sociale della popolazione italiana over 15) è stata dedicata all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Una domanda chiedeva quanto fosse condivisa l’attuale modalità di insegnamento della religione cattolica nelle scuole, con docenti scelti dal vescovo diocesano ma retribuiti dalla Stato: la maggioranza delle risposte, il 54%, esprime disaccordo con tale sistema (26% «per nulla d’accordo», 28% «poco d’accordo»), il 38% approva, con un

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10% «molto d’accordo», mentre il 28% si limita ad essere «abbastanza d’accordo». L’opposizione all’ora di religione è molto più alta fra atei ed agnostici (circa l’80%), ma prevale anche tra i cattolici: 48% contrari, contro 44% favorevoli (l’8% «non sa»). Il dato sorprende perché appare in contraddizione con la percentuale di studenti che nelle scuole sceglie di frequentare l’ora di religione: in media è dell’89,3%, con punte del 93% nella scuola primaria, mentre alle superiori la partecipazione è dell’83%. Ma si tratta di un conflitto solo apparente, perché la scelta dell’insegnamento della religione cattolica nella maggior parte dei casi viene effettuata dalle famiglie, soprattutto per gli alunni più giovani, e spesso rappresenta una adesione formale o tradizionale al cattolicesimo, anche per evitare ai figli di apparire come “diversi” dalla maggioranza. MOLTI SOLDI AI VALDESI Sono stati 613mila i contribuenti italiani che, nelle dichiarazioni dei redditi del 2011, hanno firmato per destinare il loro 8 per mille alle Chiese metodiste e valdesi, oltre il 7% in più rispetto all’anno precedente. I dati sono diffusi dall’Agenzia delle Entrate che ha calcolato anche l’incasso complessivo per il 2014 che si riferisce alle dichiarazioni dei redditi del 2011. Ai valdesi sono destinati quasi 41 milioni di euro, con un aumento di 2 milioni e 800mila euro rispetto all’anno precedente; l’importo assegnato alla Chiesa cattolica è invece di 1 miliardo e 55 milioni di euro. E’ da notare come la Chiesa valdese conti in Italia circa 30 mila fedeli, e il risultato esprime il consenso di tanti contribuenti per una gestione dei fondi che va unicamente ad associazioni italiane e internazionali benefiche o umanitarie diverse dalla Chiesa valdese, mentre sono esclusi dal finanziamento con l’8 per mille gli stipendi dei pastori, le attività di evangelizzazione, il culto, la costruzione o la manutenzione delle chiese. GIARDINI BIBLICI Si tratta di orti o giardini, di diverse dimensioni, in cui sono coltivati alberi o piante che figurano nella Bibbia: molti racconti della Bibbia si capiscono più facilmente se si conoscono le piante che vi sono indicate. In Europa i primi giardini della Bibbia sono stati creati in Germania, negli anni Settanta del secolo scorso, e attualmente sono oltre cento gli orti tedeschi. L’idea è stata ripresa anche in altri Paesi e oggi ci sono giardini biblici in Gran Bretagna, in Danimarca, in Olanda, in


Belgio, in Austria, in Polonia, in Italia e in Svizzera. Tra i più bei giardini della Bibbia in Svizzera si possono citare quelli di St.Tryphon, nel canton Vaud, che si estende su 14’000 metri quadrati, e della parrocchia cattolica di Gossau. Sui terreni del castello di Büggen, nel 2006, è stato realizzato un giardino della Bibbia che ha ispirato anche la costruzione dell’orto di Miasino, un’incantevole località vicino al lago d’Orta, a pochi chilometri da Locarno. Il giardino è situato nel nucleo del paese,

accanto alla casa parrocchiale: in forma rotonda, è circondato da una siepe composta da 140 piante di rose, con il sentiero principale che attraversa l’area e disegna una croce; al centro c’è una fontana, simbolo di Cristo, sorgente di acqua viva; un altro percorso, a forma di spirale che raffigura l’infinito e l’eterno permette di percorrere il giardino e ammirare tutte le piante. Alberto Lepori

APPELLO DI PARIGI Responsabili delle comunità musulmane di Francia, riuniti con il rettore della Grande Moschea di Parigi e presidente del Consiglio francese del culto musulmano, Dalil Boubakeur, hanno sottoscritto l’8 settembre u.s. l’Appello di Parigi, una dichiarazione che afferma il diritto dei cristiani d’Oriente di vivere in pace. Eccone il testo: “I firmatari dell’Appello di Parigi si sono incontrati in questo momento particolare della storia dell’umanità dove il mondo assiste ad un incendio ineguagliato di estremismo e di violenza nel Medio Oriente strumentalizzando l’Islam come bandiera. Gente barbara sta commettendo i peggiori crimini contro l’umanità, e minaccia attualmente le popolazioni ma anche la stabilità e la pace tra i popoli di tutta la regione. I firmatari denunciano senza ambiguità gli atti terroristici che costituiscono crimini contro l’umanità e dichiarano solennemente che questi gruppi, i loro sostenitori e i loro aderenti non possono appellarsi all’Islam. Queste azioni di un’altra epoca, così come il richiamo sconsiderato alla jihad e le campagne di indottrinamento dei giovani non sono fedeli né agli insegnamenti né ai valori dell’Islam. I firmatari prendono a testimonianza la comunità musulmana per domandare a tutti i responsabili politici di raddoppiare la vigilanza di fronte alle pratiche sovversive che prendono di mira giovani musulmani europei, particolarmente i più fragili tra essi. I firmatari vogliono riaffermare il loro appoggio ai fratelli cristiani d’Oriente, per la maggior parte arabi, così come a tutte le minoranze della regione, che sono attualmente vittime di una grave campagna di distruzione condotta da gruppi terroristici che ne minacciano la stessa esistenza. Essi affermano senza ambiguità il diritto inalienabile dei loro fratelli cristiani d’Oriente, una delle componenti più antica della regione, a restare e a vivere sulle loro terre nella dignità e la sicurezza e praticare la loro fede in piena libertà, come è sempre avvenuto. Questa Terra Santa, culla della civiltà, dove tre religioni monoteistiche hanno coesistito da secoli. E’ in gioco il futuro della regione. Come è possibile immaginare un Medio Oriente amputato di una parte della sua identità che ha contribuito al suo sviluppo di civiltà? Per questo i firmatari invocano una presa di coscienza del dramma che vivono attualmente i cristiani in Oriente”. (testo tradotto dal comunicato APIC n.253 del 10 settembre 2014).

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L’ecumenismo pratico di Papa Francesco

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ai, prima di lui, un pontefice romano si era sobbarcato 400 km. (tra andata e ritorno) per andare a trovare in forma privata un pastore evangelico suo amico. E’ quanto ha fatto, lo scorso 28 luglio, Papa Francesco, che si è recato a Caserta su invito del pastore pentecostale Giovanni Traettino (nella foto), che aveva conosciuto quando era arcivescovo di Buenos Aires. Eppure, nella sua “spericolatezza”, che lo rende ancora più simpatico, il Papa stava per commettere una clamorosa “gaffe”: in un primo momento, aveva infatti fissato l’appuntamento con Traettino per il 26 luglio, proprio nel giorno in cui Caserta festeggiava la sua patrona sant’Anna. Questo aveva ovviamente provocato il malcontento della comunità cattolica (con la quale non era previsto nessun incontro), con in testa il nuovo vescovo Giovanni D’Alise, per cui si rimediò in fretta e furia fissando una visita di Francesco alla diocesi cattolica di Caserta il 26 luglio e un ritorno del Papa nella città campana due giorni dopo per l’incontro privato con Traettino e la sua comunità. Lo stesso Francesco, il 26 luglio a Caserta, aveva così commentato questo episodio: “Grazie tante dell’accoglienza. Grazie. Sono contento e mi sento un po’ colpevole di avere combinato tanti problemi nel giorno della festa patronale. Ma io non sapevo. E quando ho chiamato il vescovo per dirgli che volevo venire a fare una visita privata, qui, ad un amico, il pastore Traettino, lui mi ha detto: ‘Ah, proprio il giorno della festa patronale!’. E subito ho pensato: ‘Il giorno dopo sui giornali ci sarà: nella festa patronale di Caserta il Papa è andato dai protestanti’. Bel titolo, eh? E così abbiamo sistemato la cosa, un po’ in fretta, ma mi ha aiutato tanto il vescovo, e anche la gente della segreteria di Stato. Ho detto al sostituto, quando l’ho chiamato: ‘Ma, per favore, toglimi la corda dal collo’. E lo ha fatto bene!”.

Ma veniamo alla visita del 28 luglio all’amico pentecostale, che nelle intenzioni iniziali di Francesco doveva essere “privatissima”, se non addirittura segreta, ma che strada facendo è diventata più che pubblica. Ad accogliere con molto calore il Papa, nell’erigenda chiesa della Riconciliazione (questo è il nome della comunità evangelica pentecostale di Caserta, pioniera in Italia del dialogo con i cattolici carismatici), c’erano infatti, con il pastore Traettino, circa 350 pentecostali, alcuni venuti apposta dagli Stati Uniti, dall’Argentina e da altri paesi, con un palco e un complesso musicale. Ed è seguito un pranzo tra loro e il Papa nella mensa della comunità. Nel suo discorso, Francesco ha così spiegato il suo concetto di ecumenismo: “Cosa fa lo Spirito Santo? Lo Spirito Santo fa la “diversità” nella Chiesa. Lui fa la diversità! E davvero questa diversità è tanto ricca, tanto bella. Ma poi, lo stesso Spirito Santo fa l’unità, e così la Chiesa è una nella diversità. E, per usare una parola bella di un evangelico che io amo tanto (il riferimento è al grande teologo protestante Oscar Cullmann, morto nel 1999) , una “diversità riconciliata” dallo Spirito Santo. (…) Noi siamo nell’epoca della globalizzazione, e pensiamo a cos’è la globalizzazione e a cosa sarebbe l’unità nella Chiesa: forse una sfera, dove tutti i punti sono equidistanti dal centro, tutti uguali? No! Questa è uniformità. E lo Spirito Santo non fa uniformità! Che figura possiamo trovare? Pensiamo al poliedro: il poliedro è una unità, ma con tutte le parti diverse; ognuna ha la sua peculiarità, il suo carisma. Questa è l’unità nella diversità. E’ in questa strada che noi cristiani facciamo ciò che chiamiamo col nome teologico di ecumenismo: cerchiamo di far sì che questa diversità sia più armonizzata dallo Spirito Santo e diventi unità”. Successivamente, il Papa ha chiesto perdono per le leggi contro i protestanti italiani durante il periodo fascista: “Queste leggi sono state sancite da battezzati! Alcuni di quelli che hanno fatto questa legge e alcuni di quelli che hanno perseguitato, denunciato i fratelli pentecostali perché erano “entusiasti”, quasi “pazzi”, che rovinavano la razza, alcuni erano cattolici… Io sono il pastore dei cattolici: io vi chiedo perdono per questo! Io vi chiedo perdono per quei fratelli e sorelle cattolici che non hanno capito e che sono stati


tentati dal diavolo e hanno fatto la stessa cosa dei fratelli di Giuseppe. Chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscere e di perdonare”. Reazioni negative Se, sul sito della Chiesa della Riconciliazione, sono state espresse gratitudine, soddisfazione e sorpresa per una giornata definita “storica”, il generoso gesto di apertura compiuto da Papa Francesco è stato purtroppo accolto negativamente da quasi tutto il mondo “evangelicale” e pentecostale italiano. In una dichiarazione pubblicato ad Aversa ancora prima della visita di Francesco, l’Alleanza Evangelica Italiana, la Federazione delle Chiese Pentecostali, le Assemblee di Dio in Italia, la Chiesa Apostolica in Italia e le Congregazioni Cristiane Pentecostali affermano di “ritenere incompatibile con l’insegnamento della Scrittura una Chiesa (quella cattolica) che si sente mediatrice di salvezza e che presenta altre figure come mediatrici di grazia, dal momento che la grazia di Dio viene a noi soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù senza le opere (Efesini 2,8) e senza l’intervento di altri mediatori (1Timoteo 2,5). Inoltre ritengono incompatibile con l’insegnamento della Scrittura una Chiesa che si è assunta la responsabilità di aggiungere dogmi (come quelli mariani) alla fede una volta e per sempre trasmessa ai santi (Giuda 3; Apocalisse 22,18)”. Considerato che permangono tuttora differenze teologiche ed etiche inconciliabili ed assolutamente divergenti, le Chiese firmatarie non ritengono di poter dare inizio e corso a qualsiasi iniziativa o apertura ecumenica nei confronti della Chiesa cattolica Romana. Apertura anche verso i valdesi Un altro significativo segnale di apertura, Francesco lo ha dato anche nei confronti dei valdesi. Nella conversazione con l’ex-direttore Eugenio Scalfari pubblicata su “Repubblica” del 13 luglio, il Papa li avrebbe definiti “religiosi di prim’ordine”, indicandoli insieme a pentecostali ed ebrei tra gli interlocutori ecumenici del suo pontificato. “E’ un segnale di attenzione, di rispetto e di fraternità che non possiamo non raccogliere e per il quale ringraziamo”: questa la reazione del moderatore della Tavola valdese, pastore Eugenio Bernardini, che ha ricordato come in Argentina esista il ramo sudamericano della Chiesa valdese, ben radicato e attivo sul piano sociale ed ecumenico. Gino Driussi

Sì della Chiesa d’Inghilterra alle donne vescovo Lo scorso 14 luglio, il Sinodo generale della Chiesa (anglicana) d’Inghilterra ha preso una decisione storica, quella di ammettere le donne prete all’episcopato. Così, soltanto 18 mesi dopo la prima, sorprendente bocciatura per pochissimi voti, il Sinodo questa volta ha detto sì, grazie all’impulso dato dal nuovo arcivescovo di Canterbury Justin Welby (molto favorevole) ed alla procedura accelerata adottata per evitare un’attesa, dal precedente voto, che normalmente sarebbe durata da 5 a 7 anni. Quando era richiesta una maggioranza dei due terzi in ciascuna delle tre camere, in quella dei vescovi i sì sono stati 37, i no 2 e un’astensione, in quella del clero 162 si, 25 no e 4 astensioni, in quella dei laici 152 sì, 45 no e 5 astensioni. Alcuni dei laici che il 20 novembre 2012 avevano provocato la bocciatura del provvedimento, questa volta hanno votato a favore in quanto sono state previste misure per tutelare quelle parrocchie e quei fedeli che si rifiuteranno di sottostare a una donna vescovo nella loro diocesi. Dopo essere stato discusso in Parlamento (sul piano politico una grande spinta è giunta dal premier David Cameron) e approvato dalla regina Elisabetta II, il testo tornerà al Sinodo il 17 novembre per l’approvazione finale e formale. Le prime donne vescovo potrebbero essere ordinate (o perlomeno nominate) entro la fine di quest’anno o più probabilmente all’inizio del prossimo. A 20 anni dalle prime ordinazioni sacerdotali femminili, attualmente vi sono nella Chiesa d’Inghilterra 1.781 donne prete, a fronte dei 6.017 sacerdoti maschi, ossia poco meno del 30 per cento. La Chiesa d’Inghilterra, Chiesa madre della Comunione anglicana (quest’ultima formata da 34 provincie, 4 Chiese unite e 6 altre Chiese in più di 160 paesi del mondo, per complessivi 80 milioni di membri), raggiunge così diverse altre Chiese nazionali della Comunione che hanno già in carica 28 donne vescovo in tutto: si tratta in particolare delle Chiese anglicane di Irlanda, Canada, Stati Uniti, Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda e Cuba. Naturalmente, la decisione della Chiesa d’Inghilterra, se è stata accolta favorevolmente dal segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, il pastore norvegese Olav Fykse Tveit non

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è piaciuta agli interlocutori cattolici e ortodossi del dialogo ecumenico. Rammarico è stato espresso dal Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca e, da parte cattolica, in particolare dall’arcivescovo di Birmingham Bernard Longley, co-presidente della Commissione internazionale di dialogo anglicano-cattolica (ARCIC) e presidente del Dipartimento per il dialogo e l’unità della Conferenza episcopale inglese, da padre Anthony Currer, responsabile del dialogo con gli anglicani presso il Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, da Keith Newton, già vescovo anglicano e ordinario dell’Ordinariato cattolico di Nostra Signora di Walsingham e dal direttore dell’”Osservatore Romano” Giovanni Maria Vian. A nostro avviso, però, fondamentalmente la situazione non cambia. Ricordiamo infatti che è

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sempre in vigore la bolla di Leone XIII “Apostolicae curae”, che dichiara invalide le ordinazioni anglicane (tanto è vero che i preti anglicani che diventano cattolici devono farsi riordinare). Pertanto, che si tratti di uomini, donne, preti o vescovi, in sostanza non cambia nulla. Inoltre, anche se è ancora attiva la Commissione ARCIC III, le sue discussioni sono di pura accademia, in quanto da tempo la prospettiva di una unità tra anglicani e cattolici è sempre più compromessa, tanto più che i gruppi di anglicani contrari alla piega che ha preso la loro Chiesa hanno la possibilità – mantenendo parte dei loro riti e delle loro peculiarità - di entrare negli ordinariati cattolici appositamente creati per loro con la costituzione apostolica di Benedetto XVI “Anglicanorum Coetibus” del 4 novembre 2009, ordinariati già presenti in Inghilterra e Galles, negli Stati Uniti e in Australia.


La sapienza umana e la sapienza della croce Riflessioni sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi A Corinto, come si è visto nelle precedenti puntate, la predicazione di Paolo ebbe successo. Un piccolo gruppo di persone di questa grande città cosmopolita accolse il messaggio del Vangelo che egli annunciava. Dopo un anno di permanenza, Paolo salutò la comunità e, affidandola alla cura di vescovi e diaconi (cf. Fil 1,1), continuò il suo viaggio missionario e giunse ad Efeso. Qui, però, gli pervengono notizie allarmanti circa il comportamento dei cristiani di Corinto, perché, partito lui, sembra abbiano completamente dimenticato l’insegnamento evangelico da lui annunciato: ci sono litigi, incomprensioni, discordie, divisioni, nascono fazioni, supponenza, sopraffazioni. Paolo interviene, scrivendo loro un numero imprecisato di lettere. Di queste lettere, due sono pervenute sino a noi: la prima e la seconda Lettera ai Corinzi. In quella che stiamo esaminando, dopo il saluto iniziale, l’apostolo ringrazia Dio per l’accoglienza iniziale che i Corinzi hanno offerto all’annuncio del Vangelo. Subito dopo, però, c’è una tirata d’orecchie e, quindi, si ripropone con vigore l’annuncio di Gesù, il Crocifisso, che fa da fondamento e da perno a tutta la vita cristiana. In ogni luogo e in ogni tempo il messaggio della croce va proclamato, inteso, accolto e vissuto, perché la sapienza e la potenza di Dio, che è in aperto contrasto con la sapienza e la potenza di questo mondo, possa fare il suo ingresso nella vita di ognuno e della storia. E’ il tema centrale di tutta la lettera, sul quale Paolo ritorna con insistenza a partire da metà del capitolo 1 fino al capitolo 5, e che riprende in seguito soprattutto nell’ultima parte del capitolo 11 fino al capitolo 13, l’inno all’amore leale. 1 Cor 2,1-5: Quando sono venuto tra voi, fratelli, per farvi conoscere il messaggio di Dio, l’ho fatto con semplicità, senza sfoggio di parole piene di sapienza umana. Avevo infatti deciso di non insegnarvi altro che Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi debole, pieno di timore e di preoccupazione. Vi ho predicato e insegnato non con abili discorsi di sapienza umana. Era la forza dello Spirito a convincervi. Così la vostra fede non è fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. C’è una sapienza che «viene dall’alto», dallo Spirito, frutto dell’accoglienza che facciamo all’azione creatrice di Dio nella storia, dell’apertura alla forza della vita; e c’è una sapienza che «viene dagli uomini»

la quale, anche se porta a realizzare cose significative per noi e per gli altri, rimane comunque il più delle volte condizionata, sul piano individuale e collettivo, da interessi parziali e contingenti, che hanno poco a che fare con la gratuità e l’amore. Se poi incontriamo difficoltà e resistenza nell’attuare tali progetti e aspirazioni, questa sapienza che «viene dagli uomini» facilmente diventa dominio del più forte sul più debole, sopraffazione, astuzia, imposizione, prevaricazione, violenza, inquisizione e morte. Nel concreto dell’esistenza, però, non è sempre facile intravvedere con chiarezza a quale delle due sapienze prestiamo, qui e ora, attenzione, se a quella che viene «dall’alto» o a quella che viene «dal basso». Il più delle volte forse, nel nostro agire concreto, ci lasciamo guidare un po’ dall’una e po’ dall’altra, a secondo delle circostanze e delle nostre personali predisposizioni del momento, senza porci troppe domande. Spesso, coloro che – per vocazione, professione e cultura – invocano la sapienza che viene «dall’alto», si limitano a implorarla, conclamarla e celebrarla, senza rendersi conto delle stridenti contraddizioni presenti sia nel loro modo di sentire e di pensare se stessi e la vita, sia sul piano dei loro rapporti concreti con gli altri e le cose. Ma succede anche il contrario; ossia, gente che dice di fidarsi solo della propria ragione e del proprio consiglio dimostra, non di rado, di possedere una sensibilità e un acume spirituali squisitamente evangelici e, quindi, ispirati da quella che Paolo chiama la sapienza che viene «dall’alto». Ma questo lo diceva già Gesù e, a tale riguardo, basta leggere quanto afferma Matteo al capitolo 25, versetti 31-46. A Corinto, invece, tutti erano convinti di agire a gloria di Dio e di Gesù. Non si rendevano conto che, con le loro discordie, animosità e divisioni facevano tutto il contrario di ciò che Gesù aveva tanto raccomandato e testimoniato: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,1). La sapienza che «viene dall’alto» porta ad amare come Dio ama; ossia, con un amore che non viene mai meno. Questo è il criterio supremo dell’agire nello Spirito che Gesù ha testimoniato fino all’estremo con la sua morte di croce. «Inumano è pur sempre l’amore di chi rantola senza rancore e perdona con l’ultima voce chi lo uccide fra le braccia di una croce». Se l’amore leale è «la fonte originaria dell’essere», allora si capisce che la via che porta ad assecondare la volontà di Dio non può essere diversa da quella

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che Gesù ci ha tracciato. E ciò che Gesù ha sempre insegnato e testimoniato è: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la troverà» (Mc 8,34-35). Quando riflettiamo seriamente su queste parole, ci viene anzitutto paura. Paolo ne era perfettamente consapevole. Per questo dice: «Quando sono venuto tra voi, fratelli, per farvi conoscere il messaggio di Dio» ero «deciso di non insegnarvi altro che Cristo, e Cristo crocifisso». E subito aggiunge: «Per questo mi presentai a voi debole, pieno di timore e di preoccupazione». Forse aveva presente l’esperienza vissuta ad Atene, nell’Areopago (At 17,32); o forse aveva sentito parlare di quel che successe a Pietro a Cesarea di Filippo quando, scandalizzato dalle parole di Gesù, cercò d’impedirgli di seguire la sua strada. Gli rispose Gesù: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,31-33). Pensare e sentire secondo Dio, comunque, porta a fare esperienza della «forza dello Spirito». Una forza che convince più di tutti i più «abili discorsi umani», perché fa toccare con mano la «potenza di Dio»; quella potenza di Dio che stravolge fin nelle radici tutto il nostro modo di sentire, pensare e vivere noi stessi e la vita, e che Paolo interpreta come presenza, manifestazione dello Spirito, «forza dello Spirito» che agisce in noi. 1 Cor 2,6-9: Anche noi però, tra cristiani adulti, parliamo di una sapienza. Ma non si tratta di una sapienza di questo mondo né di quella dei potenti che lo governano, e che presto saranno distrutti. Parlia-

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mo della misteriosa sapienza di Dio, del suo progetto di farci partecipare alla sua gloria. Dio lo aveva già stabilito prima della creazione del mondo, ma non lo avevamo conosciuto. Nessuna delle potenze che governano questo mondo ha conosciuto questa sapienza. Se l’avessero conosciuta non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma come si legge nella Bibbia: Quel che nessuno ha mai visto e udito, Quel che nessuno ha mai immaginato, Dio lo ha preparato per quelli che lo amano. La sapienza che viene «dall’alto» cresce e si manifesta nell’uomo e nella società a mano a mano che, aprendoci a essa, l’accogliamo, ed essa diventa il nostro modo di sentire, pensare e agire nella storia e nel creato. Naturalmente, come già si è detto, questo richiede tempo e, insieme, interesse e ricerca continua. Per questo, «tra cristiani adulti parliamo» costantemente di questa sapienza, ma soprattutto meditiamo su di essa e l’ascoltiamo. Si diventa, infatti, ciò che si contempla. L’ascolto e la contemplazione sono indispensabili, perché la sapienza che «viene dall’alto» è profondamente diversa da quella che ispira l’ordinario agire degli uomini e delle stesse autorità preposte al governo della società e il mondo. Paolo – non diversamente da Pietro e dalle comunità cristiane fino quasi ai nostri giorni – era profondamente convinto che ogni autorità viene da Dio. L’autorità, infatti, partecipa di quella che gli antichi ritenevano essere la stessa struttura gerarchica dell’universo, di cui l’autorità e il potere dei grandi del mondo era la naturale e legittima espressione (cf. Rm 13,1-7; 1 Pt 2,13-15.18-20;3,1-6;5,7). Nel contempo, però, Paolo è perfettamente cosciente che «i


Dieci minuti per te potenti che governano questo mondo» esercitano abitualmente la loro missione in stridente contrasto con le esigenze e le indicazioni della «sapienza che viene dall’alto». Era, questa, la convinzione già espressa da Gesù: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,42-45). Il detto di Gesù riportato da Luca presenta alcune importanti e significative sfumature, se confrontato con quello di Marco e Matteo . Scrive Luca: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve» (Lc 22,25-26). Poi, quasi anticipando il racconto della Cena pasquale che si ha in Giovanni, di Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli, aggiunge: «Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o che serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Gesù prende le distanze nei confronti di chiunque esercita un qualche potere sugli altri. Nel racconto di Giovanni, il gesto compiuto da Gesù e le parole che l’accompagnano, assumono un significato inequivocabile. Essi sono in aperto e stridente contrasto con quella che è la prassi quasi scontata, sul piano umano, di chi sente investito di una qualsiasi autorità e potere: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri… Sapendo queste cose siete beati se le mettete in pratica» . In perfetta consequen-

zialità con quanto viene già proclamato da Luca nel Magnificat (Lc 1,46-55) e poi riproposto con vigore da Bach nel suo commento musicale al canto di Maria, l’impegno di chi si pone a servizio della «sapienza che viene dall’alto», ha un futuro assicurato e indistruttibile; al contrario, tutti gli sforzi, il prestigio e la potenza di chi si crede padrone del mondo e agisce di conseguenza, finiranno nel nulla: «Non si tratta di una sapienza di questo mondo né di quella dei potenti che lo governano, e che presto saranno distrutti». Fossero anche ben intenzionati e onesti, tanto da essere acclamati «benefattori», in realtà – e i fatti lo dimostrano – siamo agli antipodi di quella che è stata la posizione di Gesù: «Nessuna delle potenze che governano questo mondo ha conosciuto questa sapienza. Se l’avessero conosciuta non avrebbero crocifisso il Signore della gloria». E’ un’affermazione radicale e forte, sulla quale siamo chiamati a riflettere in continuazione. fra Andrea Schnöller

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Francesco, la luce dei secoli bui

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acques Le Goff, il grande storico del Medioevo scomparso a Parigi il 1° aprile scorso all’età di 90 anni, ci ha lasciato una immensa produzione che spazia dall’anno Mille fino alla Peste Nera del Trecento. Egli ha reso familiare a milioni di lettori questo “lungo Medioevo” attraverso opere piene di fascino che ricostruiscono la vita, le credenze, la mentalità degli uomini che vissero allora. La sua ricerca spazia su tutti gli aspetti di quel periodo in particolare riguardo la vita materiale, i costumi, le strutture sociali, il quotidiano e il meraviglioso. Tra tutte le sue ricerche spicca “San Francesco d’Assisi”, un’opera scritta nel 1999 e pubblicata in Italia da Laterza, un ritratto sicuramente non convenzionale del Santo “ribelle senza nichilismo che ha scosso la religione, la civiltà e la società”, un uomo “con un fisico ordinario e uno splendore eccezionale”. E nel lavoro attento, quotidiano, minuzioso di studioso del Medioevo Le Goff non poteva infatti non imbattersi nella figura dell’ Assisiate. Il suo San Francesco non è chiaramente un libro agiografico, anzi Le Goff se la prende con la falsa immagine di Francesco tramandata nei secoli, un’immagine edulcorata e deformante: per lui Francesco è stato tradito non soltanto dalla Chiesa ma anche dall’arte: provocatoriamente afferma: ”che grande pittore ma anche che grande falsario è stato Giotto!”. Da grande storico Le Goff si assoggetta a tutte le regole della verifica storico-scientifica delle fonti, della lettura critica dei testi, dello studio minuzioso del vocabolario di Francesco e dei suoi discepoli. Si rimane colpiti dal fatto che egli ha nei confronti del Santo una empatia profonda, ne è altamente affascinato, commosso dalla carità così umana e poetica di questo uomo. Per il medievalista, Francesco è il testimone eccezionale di un momento molto importante della Storia in cui, accanto al fenomeno delle eresie, compare e si sviluppa una nuova società caratterizza-

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ta da un intenso movimento di urbanizzazione, con la crescita delle attività commerciali e delle transazioni economiche che richiedono sempre più il ricorso al denaro, così che la disuguaglianza fra le persone scaturisce ora dal gioco economico e sociale e non si fonda più sulla nascita, sul casato e sul sangue. Così che per Le Goff Francesco è l’esempio sorprendente di un uomo aperto verso la nuova società: guarda con amore e simpatia agli uomini del suo tempo, pieni allo stesso tempo di peccati e di bellezza quali creature di Dio. Ma nel medesimo tempo predica la “resistenza” nei riguardi di chi opera per la vittoria del “regno del denaro”, egli oppone un fermo no agli sbandamenti delle innovazioni, all’amore per il denaro e per la ricchezza, al potere intellettuale e alla troppa istruzione. In lui cioè coesistono prodigiosamente l’apertura e la resistenza, in un equilibrio mirabile e straordinario. Di fronte alla società in mutazione Francesco individua chiaramente il problema della ricchezza e delle disuguaglianze che essa genera: di qui il suo rifugio nella Povertà, il suo valore spirituale supremo. Ne fa come dice Dante la sua Sposa e Signora, ”Domina Paupertas”, ”Paupertas Altissima”. Egli predica la necessità di un ritorno al Vangelo, al cui interno si trovano le basi per combattere gli eccessi della ricchezza, come nella famosa parabola: ”E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli”. E se nella povertà, come nella natura, nel creato, Francesco vede la presenza di Dio, gli è chiaro che l’incontro fra Dio e l’uomo si realizza pienamente e totalmente solo nei Sacramenti. Di qui il suo bisogno della Chiesa, ”mater Ecclesia” come si diceva all’epoca, e dei sacerdoti, anche se indegni, in quanto uomini consacrati e dispensatori dei Sacramenti. Non si può uscire dalla Chiesa: l’eresia è un modo di uscire dalla Chiesa, l’eretico è un uomo che ha perso Dio. In Francesco la volontà di rinnovamento coesiste con la necessità di non rompere con le istituzioni. Così egli prende la distanza dal più grande movimento sociale del suo tempo, cioè lo sviluppo delle città. Ad esso Francesco contrappone la natura e la strada, la predicazione ”in via”: nella sua vita e nel


suo apostolato è affascinante come egli unisca la solitudine e la società, il ritiro nell’eremo e nella natura e la presenza e la predicazione nelle strade, nei paesi, nelle città. Il tutto nella tradizionale “lætitia”, la gioia francescana: se nella spiritualità monastica il riso era spesso considerato come un peccato, come qualcosa di diabolico, per Francesco anche il ridere è un dono di Dio, il sorriso è un anticipo di Paradiso. Ma lasciamo la parola a Le Goff: ”Direi, in modo metaforico, che questo sorriso di Francesco, questo illuminarsi del suo volto corrisponde all’illuminarsi delle cattedrali gotiche. Attraverso la luce del sole che penetra in esse si vede la loro bellezza, si vede il loro “sorriso”. Le chiese gotiche sono al loro interno piuttosto buie, a richiamare il peccato, il buio della vita in cui l’uomo si ritrova, l’oscurità dell’ esistenza, la “selva oscura” dantesca. Poi però c’è lo squarcio della luce che entra e che mostra soprattutto l’attrattiva di Dio, l’attrattiva del Paradiso.” Così Francesco raccomanda ai suoi frati, ai suoi discepoli, a tutti gli uomini e a tutte le donne di essere “hilari vultu”, con il volto ridente. Egli è l’apostolo della gioia, della felicità, della fiducia e della speranza. E nel tratteggiare la figura del Santo, nello scriverne la biografia, Le Goff ricorre a quello che egli ha chiamato “un oggetto globalizzante”, cioè una tecnica che permette, a partire dal soggetto studiato, di illuminare e spiegare la società che lo circonda. Per Le Goff Francesco è anche “un Santo fatto di carne”. Egli ne ribalta l’immagine idilliaca tradizionale: per il grande storico la famosa predica agli uccelli non indicava certo un momento felice nella vita di Francesco. Di ritorno da Roma egli, nauseato da quanto ha visto e sentito, si rivolge ai volatili dell’Apocalisse perché attaccassero la Curia con becchi ed artigli rapaci: non dunque uccelletti mansueti, ma bestie aggressive e feroci: nella vera predica c’è un aspetto horror, scioccante, come nel famoso film “Uccelli” di Alfred Hitchcock. E il dono delle piaghe di Cristo nella sua carne, “l’ultimo sigillo”, è il culmine del suo percorso evangelico e della sua imitatio Christi, Ma qual’è l’atteggiamento dello storico Le Goff di fronte ai miracoli? La sua risposta è chiara: lo storico, quando i miracoli sono percepiti come tali dalla società, ha il dovere di considerarli come eventi storici. Egli afferma che: “per Francesco le stimmate rappresentano un messaggio dall’alto: sono una ricompensa, una approvazione divina del suo essere e della sua posizione, e al tempo stesso penitenza che concilia tutte le sue aspirazioni”. Ed egli sfata anche un altro pregiudizio,

quello del Francesco antifemminista: oltre al Vangelo, la sua fonte di ispirazione era la poesia cortese, che ha inventato l’amore moderno, e da cui Francesco ha tratto la figura di Madonna Povertà. Egli voleva abbracciare tutta la Creazione. Il Cantico delle Creature è straordinario perché in quel componimento poetico egli supera il Medioevo. Ci sono il sole, la luna, le stelle, gli animali, la terra, l’aria, il fuoco e persino la sorella morte. Come potrebbe amare un mondo senza donne? Non poteva ignorare l’altra metà dell’umanità, la donna in quanto creatura di Dio. Egli è sensibile alla presenza della Donna sulla terra e ricompone con santa Chiara il modello benedettino san Benedetto santa Scolastica. Ma in conclusione lasciamo ancora la parola allo storico francese: “Mi sembra che la presenza di questi figli, come Francesco, nella storia della Chiesa, permetta al cristiano di credere nello Spirito Santo. San Francesco è stato uno dei grandi ispirati dallo Spirito Santo e così ha salvato la Chiesa, poichè questa rischiava di perdersi nelle derive della nuova società, della nuova economia, delle vecchie e nuove eresie. Francesco ha voluto salvare le cose essenziali. E non ha voluto estendere la sua Regola a tutta l’umanità. Desiderava solo condividerla con i suoi amici, con i suoi compagni. Ed essi mantennero desta un’inquietudine, un fermento buono anche di fronte all’ascesa del benessere, alla seduzione crescente del denaro, alle eresie. Di fronte, insomma, a quei grandi cambiamenti epocali.” Mario Corti

Jacques Le Goff

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Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano

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GAB 6900 Lugano

arrivederci...

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