Messaggero 2013-23 Lug-Set

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Trimestrale di formazione e spiritualitĂ francescana

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Luglio n° Settembre 2013


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Luglio n° Settembre 2013

Dossier Concilio Vaticano II

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Leggere la Bibbia nella Svizzera italiana

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La partecipazione ticinese al Concilio Vaticano II

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MESSAGGERO

Messaggio dal Santuario

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Comitato Editoriale

fra Agostino Del-Pietro

Messaggio dall’O.F.S.

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Cristiani nel mondo

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Alberto Lepori

Messaggio ecumenico

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Gino Driussi

I Sacri Monti: un’invenzione francescana Mario Corti

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Rivista fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano ISSN 2235-3291 fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Edy Rossi-Pedruzzi Maurizio Agustoni Gino Driussi Alberto Lepori

Hanno collaborato a questo numero Ernesto Borghi Mario Corti fra Agostino Del-Pietro Franca Humair Enrico Morresi Cynzia Patriarca

Redazione e Amministrazione Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32 Internet www.messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch

Abbonamenti 2013 ordinario CHF 30.sostenitore da CHF 50.CCP 65-901-8 IBAN CH4109000000650009018

Fotolito, stampa e spedizione RPrint - Locarno

Per le fotografie delle pagine 10-11 si ringrazia l’Archivio Diocesano di Lugano

I collaboratori occasionali o regolari non si ritengono necessariamente consenzienti con la linea della rivista


Salari ed equità: una questione delicata

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Nei prossimi mesi il popolo svizzero sarà chiamato a pronunciarsi su due iniziative popolari che, nel loro intento, ambiscono a introdurre maggiore equità in materia salariale. L’iniziativa ‘1:12 - Per salari equi’ (lanciata dai giovani socialisti) propone di introdurre nella Costituzione federale la seguente norma: “il salario massimo versato da un’impresa non può superare di oltre dodici volte il salario minimo versato dalla stessa impresa”. L’iniziativa “Per la protezione di salari equi” (promossa dal sindacato UNIA) propone invece di stabilire per legge un salario minimo, di indicativi 4’000 franchi al mese. Ad un primo sguardo queste iniziative sembrano trovare conforto nel buon senso e nella giustizia sociale. Una persona che lavori a tempo pieno deve percepire una paga dignitosa, che le consenta di sopperire ai suoi bisogni essenziali: questo principio trova pieno riconoscimento anche nella dottrina sociale della Chiesa (su tutti, già nel 1891, Leone XIII, il quale, pur diffidando dell’interventismo statale, scrisse nella Rerum Novarum: “il quantitativo della mercede non deve essere inferiore al sostentamento dell’operaio, frugale si intende, e di retti costumi”). Anche una certa proporzione tra gli stipendi pagati all’interno di una medesima azienda, sembra ragionevole: è equo che un dirigente, dopo un mese, abbia guadagnato più di quanto un dipendente “normale” guadagnerà dopo un anno? In alcune multinazionali questa (s)proporzione è ancora più accentuata e raggiunge rapporti vicini all’1:300 (ovvero il dirigente meglio remunerato raggiunge il salario annuo del dipendente meno pagato già dopo un giorno di lavoro). La divaricazione delle differenze salariali, esplosa negli ultimi 15-20 anni, è mal sopportata dalla maggioranza della popolazione: lo scorso 4 marzo i cittadini svizzeri hanno accolto in modo plebiscitario la cosiddetta “iniziativa Minder”, che limita o vieta alcune tipologie di retribuzione (paracaduti dorati, bonus, ecc.) dei top manager delle società quotate in borsa. L’indignazione popolare non sembra invece lambire altri ambiti della vita sociale dove le remunerazioni sono ancora più alte, in primis lo sport (p.es. il calciatore portoghese Cristiano Ronaldo ha un ingaggio di ca. 15 milioni di franchi a stagione), la musica (la cantante americana Britney Spears nel 2012 ha incassato ca. 55 milioni di franchi) o il cinema (l’attore americano Robert Downey Jr. nel 2012 ha guadagnato ca. 70 milioni di franchi). È difficile (e irragionevole) sostenere che chi gioca bene al pallone (o recita bene) sia più meritevole di chi dirige con successo un’impresa che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone; questa contraddittorietà all’interno

dell’opinione pubblica si spiega verosimilmente con il fatto che c’è una diffusa (e preoccupante) idolatria per sportivi, attori e cantanti. Al netto di questa incoerenza (abbastanza marginale, se si considera la realtà svizzera) la questione del giusto salario, sia verso l’alto che verso il basso, resta sul tavolo in tutta la sua importanza e serietà. L’opportunità di imporre per legge delle norme di presunta equità salariale è per certi versi seducente, ma deve essere valutata con estrema prudenza. Da un lato è giusto che siano riconosciuti (anche da un profilo remunerativo) i diversi gradi di responsabilità e competenza, dall’altro lato è importante che lo stipendio corrisponda a un’effettiva prestazione lavorativa e non si riduca a una specie di “atto dovuto” (come vorrebbero, invece, i sostenitori del cosiddetto “reddito di cittadinanza”). In un’ottica cristiana la questione è particolarmente delicata: per un verso sembra giustificato porre un freno a certi fenomeni di malsana ingordigia economica (riconoscendo nel contempo salari dignitosi per tutti), per l’altro verso occorre evitare meccanismi che incoraggino l’indolenza e soffochino lo slancio a fare del proprio meglio. A una sterile imposizione statale (oltretutto facilmente aggirabile) andrebbe invero preferito un radicale mutamento culturale (o etico, o spirituale) che vada alla radice di certe esagerazioni e promuova un maggiore senso della misura, del pudore e del merito. Questa strada, ineluttabilmente, è più lunga e complessa, ma – proprio perché trae linfa e nutrimento dalla libertà – i suoi frutti sono incomparabilmente più preziosi e duraturi. Maurizio Augustoni

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La riscoperta della Parola di Dio

I

Il Concilio ha voluto ricordare che tutta la vita cristiana è innanzitutto ascolto della Parola di Dio. Dio parla rivolgendosi all’umanità in un incontro autentico. La fede è allora il libero impegno dell’uomo in risposta a questa Parola. Come si è arrivati Nel novembre 1962 la discussione dello schema preparato dai teologi romani sulle sorgenti della divina Rivelazione (De Fontibus) è rimandato ad una sessione ulteriore grazie a un esplicito intervento di papa Giovanni XXIII. Ci vorranno in seguito tre anni ai Padri conciliari per accordarsi sulla stesura finale della Dei Verbum. I punti di vista divergevano in partenza tra coloro che restavano favorevoli alle formulazioni dei secoli passati (le due sorgenti: Scrittura e Tradizione), diffidando delle nuove pratiche dell’esegesi critica, e gli esperti, teologi e vescovi che erano ad esse favorevoli. La Chiesa precisava i punti centrali della sua dottrina: la sorgente della Rivelazione, i rapporti tra Scrittura e Tradizione, il ruolo del magistero nell’interpretazione della Scrittura. Cosa dice questa costituzione “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” dice San Gerolamo. Citata nella Dei Verbum, promulgata il 18 novembre 1965 dal Concilio Vaticano II, questa frase riassume bene la preoccupazione di far riscoprire e rileggere la Parola di Dio. Rifondare la vita della Chiesa e quella di tutti i credenti sulla lettura delle Sacre Scritture: questa era una delle intuizioni centrali del Concilio. Parecchi dei testi adottati tra il 1962 e il 1965 lo ricordano, ma è la Dei Verbum che tratta l’argomento a fondo, rispondendo alla domanda: come i cattolici possono accedere alla Verità che Dio rivela? Su tre questioni questo testo, relativamente breve (26 articoli), ha aperto alcuni ambiti essenziali: circa l’interpretazione della Parola di Dio; circa la necessità di esprimere una nuova pastorale biblica per invitare i fedeli ad appropriarsi della Scrittura, a meglio comprenderla e viverla e, infine, circa gli studi biblici da condurre insieme alle altre confessioni cristiane. Scritture e teologia Sul primo punto, interpretazione della parola, la Dei

Verbum si inserisce in una lunga storia tormentata. Questo testo è frutto di compromessi che traspaiono in certi passaggi. La Dei Verbum allarga considerevolmente l’orizzonte rispetto al Concilio di Trento, al Vaticano I e alle dispute della fine del XIX secolo. Nel 1893 nella sua enciclica Providentissimus Deus, Leone XIII aveva ricordato la natura ispirata della Scrittura, e tentò di enunciare la dimensione critica dello studio dei testi e la necessità per gli esegeti di rispettare la Tradizione della Chiesa. Cinquant’anni più tardi l’enciclica Divino Afflante Spiritu di Pio XII affidò agli esegeti il compito di dare un’interpretazione teologica e morale “vera” delle Scritture, incoraggiando nello stesso tempo la via della ricerca scientifica. La Dei Verbum conferma questa apertura, invitando a una esegesi precisa dei testi biblici, sui piani letterario e storico; ma richiede anche di inserire i singoli testi nelle Scritture prese nel loro insieme, e di leggerli alla luce della Tradizione, in una logica cristologica, e ricorda che la Scrittura deve essere come “l’anima” della teologia. Scrittura e vita cristiana Un altro punto significativo della Dei Verbum è l’affermazione dell’importanza della Scrittura nella vita della Chiesa e di ogni fedele. Le Sante Scritture sono presentate come se avessero un valore quasi sacramentale nella liturgia, dove la “tavola della Parola di Dio” è valorizzata quasi alla pari della “tavola del Corpo di Cristo”. Il testo auspica per i fedeli un accesso diretto alla Scrittura tramite le lingue moderne. Su questo punto il Concilio ha convalidato il “movimento biblico”, iniziato da qualche decennio e ha voluto che la Chiesa accompagnasse questo movimento con una nuova “pastorale biblica”. Le traduzioni della Bibbia in tutte le lingue del mondo si sono moltiplicate; si son visti fiorire corsi biblici, gruppi di studio per i laici, gruppi di preghiera sostenuti dalla lettura della Parola; si sono riportate in auge antiche pratiche come la Lectio Divina. Ma anche la predicazione liturgica, la catechesi, la preparazione ai sacramenti sono state rivitalizzate da questo nuovo interesse per la Scrittura. Il “rinnovamento della vita spirituale” richiamato dalla Dei Verbum si sta verificando da cinquant’anni. Incoraggiati gli studi Infine la Dei Verbum ha incoraggiato le traduzioni e gli studi della Scritture “in collaborazione con i fratelli


Dei Verbum separati”. Ne è seguita, dalla Pasqua del 1966, una traduzione comune del Padre Nostro e poi, nel periodo 1975-1976, la prima Traduzione Ecumenica della Bibbia, detta TOB. Dopo cinquant’anni i metodi di studio e di interpretazione dei testi si sono moltiplicati e si sono ancora molto evoluti. Ma il dibattito sull’interpretazione delle Scritture è sempre attuale. Da: A.Melloni – G.Ruggeri, Chi ha paura del Vaticano II?, Carrocci 2009

La Bibbia restituita alla Chiesa Per secoli la Bibbia è stata messa ai margini del tessuto vivo della Chiesa. La costituzione conciliare Dei Verbum ha rappresentato una completa rivoluzione. La diffusione della Bibbia presso il popolo cristiano, resa possibile dall’invenzione della stampa a caratteri mobili, dal clima culturale dell’Umanesimo e dal ritorno alla Bibbia proclamato dalla Riforma, venne fortemente rallentata in ambito cattolico a partire dal Concilio di Trento che ostacolò le traduzioni in volgare della Scrittura, proibendone la lettura ai laici a meno di particolari dispense. Da una parte si teme l’eresia, dall’altra si ritiene che la lettura della Bibbia non sia necessaria alla salvezza. Il risultato è che la stragrande maggioranza dei credenti ancora oggi sta alla larga dei testi biblici. Dal ‘500 al Vaticano II, la Bibbia appare un libro riservato al clero, mentre i semplici fedeli vi hanno un accesso indiretto e mediato da tre elementi: la liturgia, la predicazione e il catechismo. Nella liturgia, la Bibbia viene letta nel latino della Vulgata, lingua non capita dai fedeli, con brani scarsi e ripetitivi. Nella predicazione la Scrittura viene utilizzata come un repertorio da cui attingere frasi a sostegno di verità dottrinali o di comportamenti etici, con toni apologetici o moralistici. E’ il catechismo lo strumento privilegiato di accesso al messaggio della Scrittura. Gli argomenti del catechismo (Comandamenti, Padre Nostro, Sacramenti) rischiano di diventare sostitutivi della Scrittura, facendo dimenticare che il primo catechismo è il vangelo. Prevale l’aspetto dottrinale su quello storico salvifico. Solo col Vaticano II si opera il passaggio dalla Scrittura contenitore di frasi che possono appoggiare un insegnamento morale o un’affermazione dogmati-

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ca, alla Scrittura che diviene regula fidei, regola della vita cristiana. La Costituzione Dei Verbum ha rappresentato per la comunità cristiana un grande rinnovamento, una rivoluzione nel modo di intendere il rapporto tra la Scrittura e la Chiesa. Innanzitutto nell’affermazione del primato della Parola di Dio nella Chiesa: la Chiesa trae la sua vita dall’ascolto della Parola che poi proclama; la Chiesa è sottomessa alla Parola di Dio, contenuta nelle Scritture. In un’epoca di fondamentalismi e di fanatismi è bene ricordare che la Bibbia è un libro plurale e dialogico. C’è una pluralità di testi, di lingue, di epoche di redazione. Il Nuovo Testamento rinvia al Primo, in un dialogo incessante che apre al futuro di Cristo. Gli stessi vangeli sono quattro: ci sono modi diversi di vivere la stessa fede. L’accostamento alla Scrittura implica la fatica di superare l’alterità del testo, la sua distanza (culturale, temporale, ... ). E’ necessario uno studio, un impegno per evitare ingenue letture spiritualeggianti, in ascolto, più che del testo, delle proprie emozioni e sensazioni. Per superare la tentazione di letture fondamentaliste e letteraliste, la Dei Verbum afferma che la Bibbia non è Parola di Dio, ma contiene la Parola di Dio. La Parola di Dio non può essere racchiusa in una frase della Bibbia, ma eccede la Scrittura. Per ascoltare quella Parola contenuta nelle Scritture è necessario allora il lavoro di interpretazione nello Spirito, facendo calare quella Parola nella vita della nostra comunità, nel nostro oggi. Strumento principe di lettura è la Lectio Divina, una lettura spirituale, orante, della Scrittura, che sa integrare l’approccio esegetico al testo con l’approccio esistenziale, vitale. Così la Bibbia diventa il libro che trasmette la Parola come pane, come nutrimento di vita per tutti, a partire dalle persone semplici . C’è poi un ‘unica mensa della Parola e del Pane’. Il rapporto tra Parola ed Eucaristia è strettissimo. La liturgia della parola non è un semplice preludio, o addirittura qualcosa di facoltativo, ma parte essenziale dell’azione liturgica. Anche la Scrittura è corpo del Signore. Infine bisogna percepire la dimensione sacramentale della Scrittura, vale a dire che la Scrittura non ci dà solo delle istruzioni, ma ci fa entrare in un’alleanza, non comunica solo verità, ma ci trasmette potenza e grazia.

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Breve riassunto, a cura di Giancarlo Martini, delle relazioni svolte a Pallanza da Luciano Manicardi, monaco di Bose, su “Il Concilio e la riscoperta della Bibbia”, 27 novembre 2007

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Maria Martini C Costituzione dogmatica CCarlo e la Bibbia sulla divina rivelazione Alla fine degli studi classici, Carlo Maria Martini entrò nella Compagnia di Gesù. Fu ordinato sacerdote nel 1952 e dopo la laurea in teologia, si dedicò agli studi biblici, per i quali aveva provato una forte attrazione fin da quando era ragazzo. Oltre la Scrittura studiò l’ebraico, l’aramaico e altre lingue, occupandosi della storia dei manoscritti. Fu docente di critica testuale al Pontificio Istituto Biblico di Roma e, in seguito, alla Gregoriana. Partecipò come unico membro cattolico al comitato ecumenico per la preparazione dell’edizione greca del Nuovo Testamento. Martini definì il periodo del Concilio come il più bello della sua vita e così si espresse circa la Dei Verbum: “Come professori dell’Istituto Biblico seguivamo molto da vicino lo Costituzione sulla Parola di Dio, sulla Rivelazione divina. Era un po’ una questione di vita e di morte per noi. Se il Concilio avesse messo delle remore rispetto all’esegesi storico-critica, rispetto alla lettura delle Scritture da parte dei laici, ci saremmo sentiti come giudicati, come bloccati, sarebbe stata un po’ una fine per noi. […] Il testo finale fu certamente molto soddisfacente, riporta tutto al dono che Dio fa di sé e della sua Parola, ma per la sua Parola intende la sua persona, il suo mistero”. Nei ventidue anni in cui Martini fu vescovo di Milano, fece della comunicazione e dello studio della Parola il centro della sua attività pastorale. Nel novembre del 1980 introdusse in diocesi la “Scuola della Parola”, che consisteva nell’aiutare il popolo di Dio, i giovani in particolare, ad accostarsi alla Scrittura secondo il metodo della Lectio Divina. Il cardinal Martini esprimeva una straordinaria capacità di coniugare una fedeltà senza compromessi alla Parola con una partecipazione autentica e solidale alla vita dell’uomo. L’istituzione della “Cattedra dei non Credenti”, indirizzata a persone in ricerca della fede, i suoi Discorsi alla città, le Lettere pastorali, il dialogo tra le religioni, furono tutte iniziative nel segno dell’applicazione dello spirito conciliare. Auspicava la convocazione di un nuovo concilio, che si pronunciasse sulle questione rimaste aperte, quali il celibato dei preti, il ruolo della donna nella Chiesa, la povertà della Chiesa. Martini è morto il 31 agosto 2012, dopo un lungo periodo di malattia, durante il quale non ha mai cessato di far sentire la sua voce a favore di una Chiesa attenta ai segni dei tempi.

Proemio 1. In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il sacro Concilio aderisce alle parole di Giovanni, il quale dice: «Annunciamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò in noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi abbiate unione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (lGv l, 2-3). Perciò, seguendo le orme dei Concili Tridentino e Vaticano I, intende proporre la genuina dottrina sulla divina rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l’annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami. Mutua relazione tra la tradizione e la Sacra Scrittura 9. La sacra tradizione e la Sacra Scrittura sono dunque tra loro congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. La Sacra Scrittura è Parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito divino; la Parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli, viene trasmessa integralmente dalla sacra tradizione ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; accade così che la chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura. Perciò l’una e l’altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e rispetto. Come deve essere interpretata la Sacra Scrittura 12. Poiché Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della Sacra Scrittura per vedere bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione, che cosa gli agiografi in realtà hanno inteso significare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto tra l’altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa nei testi


Dei Verbum in varia maniera storici, o profetici, o poetici, o con altri generi di espressione. È necessario dunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo intese esprimere ed espresse in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso. Origine apostolica dei vangeli 18. A nessuno sfugge che tra tutte le scritture, anche del Nuovo Testamento, i Vangeli meritatamente eccellono, in quanto sono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro salvatore. La Chiesa sempre e in ogni luogo ha ritenuto e ritiene che i quattro Vangeli sono di origine apostolica. Infatti, ciò che gli apostoli per mandato di Cristo predicarono, dopo, per ispirazione dello Spirito divino, essi stessi e gli uomini della loro cerchia tramandarono a noi in scritti, come fondamento della fede, cioè il Vangelo quadriforme, secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni.

Si raccomanda la lettura della Sacra Scrittura 25. Compete ai sacri presuli, “depositari della dottrina apostolica”, istruire opportunamente i fedeli loro affidati circa il retto uso dei libri divini, soprattutto del Nuovo Testamento, e in primo luogo dei Vangeli. con traduzioni dei sacri testi, che siano corredate dalle spiegazioni necessarie e veramente sufficienti, affinché i figli della Chiesa si familiarizzino con sicurezza e utilità con le Sacre Scritture e siano permeati del loro spirito. Inoltre, siano preparate edizioni della Sacra Scrittura, fornite di idonee annotazioni, ad uso anche dei noncristiani e adattate alle loro condizioni, che in ogni maniera sia i pastori d’anime sia i cristiani di qualsiasi stato avranno cura di diffondere con prudenza.

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Schema della Costituzione PROEMIO Cap. I La Rivelazione 2 Natura e oggetto della rivelazione 3 Preparazione della rivelazione evangelica 4 Cristo completa la rivelazione 5 La rivelazione va accolta con fede 6 Le verità rivelate Cap. II La trasmissione della Divina Rivelazione 7 Gli apostoli e i loro successori, araldi del Vangelo 8 La sacra tradizione 9 Relazione tra la tradizione e la sacra Scrittura 10 Relazione della tradizione e della Sacra Scrittura con tutta la Chiesa e col magistero Cap. III L’ispirazione divina e l’interpretazione della S. Scrittura 11 Ispirazione e verità della Sacra Scrittura 12 Come deve essere interpretata la Sacra Scrittura 13 La condiscendenza della divina Sapienza

Cap. IV L’Antico Testamento 14 La storia della salvezza nei libri dell’Antico Testamento 15 Importanza dell’Antico Testamento per i cristiani 16 Unità dei due Testamenti Cap. V Il Nuovo Testamento 17 Eccellenza del Nuovo Testamento 18 Origine apostolica dei Vangeli 19 Carattere storico dei Vangeli 20 Gli altri scritti del Nuovo Testamento Cap. VI La S. Scrittura nella vita della Chiesa 21 La Chiesa venera le Sacre Scritture 22 Le traduzioni devono essere appropriate e corrette 23 Impegno apostolico degli studiosi 24 Importanza della Sacra Scrittura per la teologia 25 Si raccomanda la lettura della Sacra Scrittura 26 Conclusione.


Leggere la Bibbia nella Svizzera italiana La lettura della Bibbia nella Chiesa cattolica è un fenomeno culturale abbastanza diffuso da pochi decenni a questa parte. Il Concilio Vaticano II diede un impulso decisivo in tale senso attraverso uno dei suoi esiti più tormentati ed importanti: la costituzione sulla divina Rivelazione “Dei Verbum”. Già la pubblicazione, avvenuta solo qualche settimana prima della conclusione dell’assise conciliare, testimonia la difficoltà di questo processo, che arrivò a compimento dopo molte tensioni, vari contrasti, numerosi scontri tra posizioni contrapposte tra i padri conciliari. Le ricadute culturali e pastorali di questo documento conciliare e di altri magisteriali che l’hanno seguito (in particolare i testi della Pontificia Commissione Biblica “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” [1993] e “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana” [2001]) sono state significative anche nella Svizzera italiana. Di seguito ne racconto una che mi pare di particolare rilievo.

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Pochi mesi dopo il mio arrivo a Lugano (maggio 1996), invitato ad insegnare esegesi biblica alla locale Facoltà di Teologia, mi resi conto che il Canton Ticino poteva essere un terreno fertile per un proposta di formazione biblica che avesse due connotati fondamentali: costruire un ponte tra la ricerca scientifica in campo biblico e teologico e la divulgazione culturale di carattere esistenziale; favorire il dialogo ecumenico a partire dalla lettura dei testi biblici. Nell’aprile 1999 proposi ad alcuni colleghi ed amici di costituire un comitato organizzativo in vista di un convegno internazionale, che si svolgesse a Lugano e che mettesse la lettura della Bibbia, in chiave ecumenica ed interculturale, al centro dell’attenzione generale, secondo una prospettiva seriamente divulgativa. Sede degli incontri di tale comitato, di cui fui il coordinatore, fu la Facoltà teologica luganese, allora diretta dal teologo domenicano spagnolo Abelardo Lobato. Ci riunimmo ripetutamente e in modo davvero costruttivo e decidemmo di tenere il convegno sovramenzionato, intitolandolo “Leggere la Bibbia oggi” il 30 marzo 2000 presso il Centro San Carlo a Lugano-Besso, già

sede storica del seminario vescovile di Lugano e da qualche anno del Conservatorio della Svizzera Italiana e della Commissione Arte Sacra diocesana. Nessuno dei membri di tale comitato organizzatore avrebbe potuto prevedere che cosa sarebbe successo in quella giornata, giacché si trattava della prima volta in cui nel Canton Ticino si svolgeva un evento di tale portata. La notorietà ed autorevolezza scientifico-culturale di relatrici e relatori (Elia Richetti, Daniele Garrone, Gianfranco Ravasi, Marinella Perroni, Bruno Corsani, Mauro Orsatti, Paolo Ricca, Maria Cristina Bartolomei, Vittorio Dan Segre) erano risapute, ma del tutto imprevedibile era anzitutto la quantità e fisionomia dei partecipanti. La risposta fu davvero sorprendente: oltre seicentocinquanta presenze, di ispirazione culturale e religiosa eterogenea, e un livello di interazione con gli esperti davvero ragguardevole. Questo risultato mi spinse a pensare che si dovesse dare corso a tale esigenza di formazione culturale con qualcosa di più stabile e continuativo rispetto al pur interessante incontro vissuto nel marzo 2000. Nel novembre 2002, insieme a cinque altri colleghi e amici (Daniele Campoli, Azzolino Chiappini, Claudio Laim, Alessandro Pronzato, Sandro Vitalini), inviai a cinquantasei esponenti del mondo ticinese della formazione storico-religiosa e umanistica e della comunicazione massmediale una lettera che li invitava - il 12 dicembre successivo presso la sala “Ut unum sint” della Casa Santa Birgitta a Lugano -, ad una riunione informale. Lo scopo era riflettere insieme su che cosa poter realizzare nel Canton Ticino a favore della diffusione della lettura biblica a seguito del convegno “Leggere la Bibbia oggi” e in previsione dell’imminente “Anno della Bibbia” che, nel 2003, sarebbe stato celebrato in Svizzera, Germania e Austria. Ci ritrovammo in quattordici (altri venti fecero conoscere la loro adesione, ma l’impossibilità a partecipare a questo incontro) e l’esito della riunione fu la decisione di promuovere la fondazione di un sodalizio ecumenico che favorisse in tutti i modi possibili la diffusione della lettura della Bibbia nel territorio ticinese. In un primo tempo – sedici furono i “padri fondatori” (oltre a me, Pio Camilotto, Daniele Campoli, Emilio Conrad, Martino Dotta, Gino Driussi, Renato Fadini, Claudio Laim, Giuseppe E. Laiso, Luigi Maffezzoli, Mihai Mesesan, Italo Molinaro, Enrico Morresi, Carlo Silini, Sandro Vitalini e Giorgio Zappa), i quali sottoscrissero l’atto costitutivo il 15 gennaio 2003, presso la stessa


sala della riunione del 12 dicembre – l’istituzione fu denominata “Associazione Biblica Ticinese” (ABTi). Già prima della sua presentazione ufficiale, però, si concordò unanimemente sulla necessità di mutarne il nome in “Associazione Biblica della Svizzera Italiana” (absi), comprensivo, cioè, anche del territorio a maggioranza italofona del limitrofo Canton Grigioni. Il “battesimo” pubblico dell’absi avvenne a Lugano, nella medesima sede del grande convegno del marzo 2000, il 25 gennaio 2003 e relatore principale di quella giornata fu Rinaldo Fabris, allora presidente dell’Associazione Biblica Italiana. Come avviene nella quotidianità di qualsiasi sodalizio culturale, l’attività dell’absi ha conosciuto momenti diversi, ma ha cercato di perseguire costantemente, sia in rapporto con le comunità ecclesiali sia in relazione con tante istituzioni della società civile, tanto la lettura di sezioni bibliche e testi primo e neo-testamentari in sé sia la trattazione dei rapporti delle raccolte bibliche con tante discipline culturali diverse. Ecco alcuni dati dell’attività dell’associazione: • vi sono, anzitutto la serie di periodici – 21 numeri eterogenei e 14 monografici della rivista “Parola&parole” – e gli 8 volumi che sono stati i frutti anche dell’azione convegnistica e dei contatti multiformi avuti con tanti esponenti e istituzioni del mondo biblico e umanistico essenzialmente italiano e svizzero; • in secondo luogo appare significativo la nutritissima sequenza di 198 incontri seminariali o conferenze formative, il tutto organizzato in proprio o con il copatrocinio di altre istituzioni, sia ecclesiali sia “laiche”. Si è trattato, in larga misura e ovviamente, di incontri che hanno visto la presenza, come relatrici e relatori, di bibliste e biblisti professionisti, ma, in misura non piccola, anche di esponenti di altri ambiti culturali. Le provenienze geografiche e le ispirazioni intellettuali ed esistenziali di tutti coloro che abbiamo invitato sono state eterogenee, ma abbiamo badato anzitutto a due loro condizioni: la competenza scientifico-didattica e l’indipendenza di pensiero, al di fuori di gruppi di potere ecclesiastico o civile e di finalità indottrinanti e prospettive fondamentalistiche. Abbiamo cercato di operare nella prospettiva non sincretistica, ma interculturale che absi ha inteso costantemente di vivere e proporre, nell’evidente logica di contribuire anche ad evidenziare i rapporti tra i testi biblici e vari campi dello scibile umano.

Infine risulta rilevante la dinamica del sito internet absi.ch (140 contatti in media al giorno dal gennaio 2011 in poi) e del canale YouTube ‘absiluch’ (oltre 10’000 visualizzazioni complete di almeno una delle molte decine di registrazioni di eventi di formazione biblica organizzati da absi dal 10 febbraio 2011 al settembre 2013). Certamente, soprattutto negli ultimi vent’anni, la proposta di formazione biblica ha visto, nella Svizzera Italiana, tante altre importanti iniziative al di fuori di quanto realizzato da absi e dal coordinamento della formazione biblica della Diocesi di Lugano (istituzione quest’ultima nata l’1 ottobre 2003, per volontà dell’allora vescovo di Lugano Giuseppe Torti e confermata dal suo successore Pier Giacomo Grampa, con il sostegno finanziario determinante della fondazione “Torti-Bernasconi”). Cinquant’anni fa tutto ciò sarebbe stato impensabile. Lo stesso insegnamento di cultura religiosa, sia cattolico che evangelico, nelle scuole pubbliche ticinesi ha fatto segnare un salto di qualità notevole ed indubbio anche in campo biblico. E molto altro si potrà fare di più e meglio in futuro. Il valore dei risultati dell’impegno di tante persone, varie per ispirazione religiosa e formazione culturale, sia nella Svizzera Italiana che altrove nel mondo, deve essere valutato con attenzione e darà esiti in un futuro anche lontano. Cionondimeno lo scopo di chi desidera essere attore aperto e interattivo della formazione e informazione biblica dovrà essere quello di poter proseguire la sua attività secondo prospettive che facciano crescere il livello qualitativo di tali processi formativi senza tecnicismi e scadimenti nella ricerca dell’erudizione. Si deve poter continuare a fare della divulgazione biblica ed umanistica seria e comprensibile, a servizio contestuale delle istituzioni religiose e della società civile, secondo logiche di ampio respiro, al di fuori di settarismi e fondamentalismi di qualsiasi genere. Secondo un umanesimo biblico del cuore e della mente a favore di persone di tanti, diversi orientamenti culturali e religiosi. L’avvenire dirà se ciò sarà ancora possibile nel Canton Ticino, nella Svizzera Italiana e nel mondo intero. Ernesto Borghi

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La partecipazione ticinese al Concilio Vaticano II

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Il vescovo Angelo Jelmini, amministratore apostolico della Diocesi ticinese (1893-1968), fu molto assiduo al Concilio. Membro della Commissione centrale preparatoria, si annunciò per intervenire sullo schema De sacra Liturgia il 23 ottobre 1962 ma poi vi rinunciò, probabilmente per ragioni di tempo. Non sono registrati altri suoi interventi su questo argomento. Il suo primo intervento orale fu pronunciato il 3 ottobre 1963, durante la seconda sessione, sul progetto de Ecclesia. Mons. Jelmini si annunciò per esprimersi nuovamente, sempre a nome dei Vescovi svizzeri, sul De Ecclesia, il 23 ottobre 1963, ma il suo intervento per ragioni di tempo fu trasformato in documento scritto e trasmesso alla commissione. Più importante e significativo il terzo intervento di Mons. Jelmini, il 20 novembre 1963, sul progetto di decreto sull’ecumenismo “Nessuno entra nella Chiesa se in qualche modo già non vi fa parte” – premetteva Jelmini – “per cui la Chiesa non è una società in sé chiusa bensì aperta alle dimensioni di tutto il genere umano, sempre ed ovunque”. Jelmini voleva che non solo gli Ebrei fossero citati ma anche gli Islamici e gli stessi atei. Il suo quarto intervento, pure consegnato per iscritto, fu durante la terza sessione. Le sue proposte riguardavano il concetto di libertà religiosa. Secondo Jelmini, “dev’essere solennemente dichiarato che la Chiesa non intende proclamare la libertà religiosa quando è in stato di debolezza e rinnegarla quando detiene il potere ma intende definirla come condizione dell’atto di fede, senza il quale né la Chie-

Mons. Angelo Jelmini (in bianco) durante i lavori conciliari

sa sussiste, né alla persona umana si riconosce dignità, né è possibile un ordine civile pacifico. Jelmini era iscritto a parlare anche il 21 ottobre 1964 sullo Schema 13 (la futura Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno), subito dopo Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, ma per ragioni di tempo vi rinunciò. Chiese di intervenire l’anno dopo, durante la quarta e ultima sessione, il 22 settembre 1965, e disse cose forti sul documento ormai avviato all’ultima redazione. Un quinto e ultimo intervento Jelmini fece il 4 ottobre 1965, sempre sullo Schema 13, lamentando dallo schema in esame parecchie omissioni: per esempio la “sussidiarietà”, la “programmazione economica”. Su tutti i documenti sottoposti a votazione, Jelmini diede sempre voto positivo. Mons. Jelmini fu assistito da due valenti sacerdoti della Diocesi, mons. Luigi Del-Pietro e mons. Franco Biffi. I vescovi infatti avevano il diritto di farsi accompagnare, anche in aula conciliare, da esperti. La mano di mons. Del-Pietro si avverte nelle osservazioni presentate sullo Schema 13. Tutti gli interventi furono fatti in latino. Le lettere alla Diocesi Oltre agli interventi sopra citati, Mons. Jelmini scrisse sette lettere, cui si deve aggiungere un’altra mezza dozzina di messaggi e di appelli scritti in diocesi tra le sessioni. Le lettere di Jelmini sono all’inizio puramente esortative: “Nessuno dei figli della Chiesa deve restare estraneo alla preparazione soprannaturale del supremo Consesso Ecumenico”. Poi sottolineano “la libertà, l’unità e la carità che hanno sempre trovato così manifesta accoglienza, per tutte le discussioni, da raccogliere l’ammirazione e il consenso degli osservatori acattolici presenti e della pubblica opinione”. Nel febbraio del 1963, in una Lettera quaresimale dal titolo “Nel clima del Concilio”, il vescovo si chiede: “Come collaborare?” e risponde: “Continuando a volerci bene, cogliendo quello che ci unisce e tralasciando quello che ci divide”. L’autunno seguente, quello del 1963, seconda sessione, è il periodo decisivo per la genesi del documento fondamentale sulla Chiesa. Scrive Jelmini: “È in discussione uno fra gli schemi più importanti: il De Ecclesia. Si sta cioè trattando tutto ciò che riguarda la costituzione divina della Chiesa, la sua Gerarchia, da Cristo il fondatore al Papa, ai Vescovi, ai sacerdoti, ai laici…”. Dai commentatori, quel docu-


Tessera di accesso al Concilio di Mons. Angelo Jelmini

mento (la futura costituzione dogmatica Lumen gentium) è ritenuta quasi una “rivoluzione copernicana”. Ma mons. Jelmini pare non accorgersene, tanto che, nella lettera del successivo febbraio, il Vescovo pone l’accento sul capitolo IV (De laicis), allargando subito il discorso all’Azione cattolica, ma non spende una parola per il decisivo capitolo II (De populo Dei). Effetto senza dubbio della mentalità prevalentemente pragmatica del Vescovo, più che di negligenza; ma sta pure il fatto che la Lettera s’intitolava “Vita nuova” e il capitolo sulla Lumen gentium “Vivere il mistero della Chiesa”. Facendo un passo indietro, ancora durante la seconda sessione, nel 1963, Jelmini pare preoccupato di correggere il quadro che i mass media davano del Concilio: quello di un’assise straziata da forti dissensi tra “progressisti” e “conservatori”. “I famosi contrasti in seno al Concilio – scriveva – ai quali la stampa ha spesso accennato, non furono affatto, come si è tentato di presentarli, contrasti sui problemi di fondo o di dottrina, ma contrasti sulle modalità, sulle forme concrete di presentare agli uomini del nostro tempo le verità di sempre”. Il che [dico io] proprio non era vero, ma, insomma, si può capire… L’anno dopo, il disagio che doveva aver provato di fronte a questi contrasti era già divenuto fierezza. Già nella lettera di Quaresima del 1964, tutta dedicata alla Costituzione pastorale sulla liturgia, Jelmini esprime una legittima fierezza: “Benediciamo il Signore, ringraziamo la Chiesa e il Concilio Vaticano II per questa riforma, vero dono dall’Alto: ringraziamo e cooperiamo sinceramente e generosamente”. Nella lettera dell’autunno seguente, citando “la grande libertà di cui la Chiesa sta dando chiara e inoppugnabile prova”, Jelmini scriveva: “Chi si era abituato a pensare a una Chiesa irreggimentata o addirittura quasi dittatoriale dovrà pur ricredersi”. I mass media ticinesi al Concilio I mass media ticinesi furono variamente impegnati a seguire il Concilio. Lo ignorò del tutto il quotidiano liberale-radicale “Il Dovere”, lo commentò con molto

distacco e perlopiù negativamente la socialista “Libera Stampa”. Con molta più attenzione lo seguì “Gazzetta Ticinese”, per la penna di Pino Bernasconi. Il conservatore “Popolo e Libertà” pubblicò articoli di commento sparsi ma di qualità. Il “Corriere del Ticino” fu l’unico a essere rappresentato da un inviato alla seduta inaugurale del Concilio: il giovane Enrico Morresi – che si firmava “Timoteo” – seguì parzialmente le quattro sessioni, pubblicando soprattutto articoli di presentazione della tematica e di commento. Il “Giornale del Popolo” fu incerto all’inizio (si servì di un corrispondente per le prime due sessioni). A partire dalla terza fu ottimamente servito da articoli di suoi inviati: don Franco Biffi e don Giulio Nicolini. Radio e Televisione della Svizzera italiana furono molto avari di notizie e di servizi sul Concilio. Decisiva fu la mancanza di giornalisti in grado di riferire con un livello sufficiente di competenza e di autonomia professionale.

Enrico Morresi

Le informazioni di questo articolo sono dedotte da varie fonti e da vari autori, che ringraziamo per la messa a disposizione. Per la prima parte (il ruolo al Concilio del Vescovo Jelmini) dal volume di Timoteo Morresi, in corso di preparazione, sulla parte svolta dalla Diocesi ticinese nella riforma liturgica. Per la seconda parte (le lettere di Mons. Jelmini alla Diocesi), dalla relazione di Enrico Morresi alla giornata di studio delle associazioni vincenziane del 10 novembre 2012. Per l’ultima parte, sui mass media, dall’articolo dello stesso autore pubblicato su “Dialoghi” n. 223, (ottobre 2012).

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La Madonna si è rifatta il trucco

L

“La Madonna si rifà il trucco” è il titolo di un documentario realizzato all’inizio dei lavori di restauro del nostro Sacro Monte da Romano Venziani per RSI e diffuso per la prima volta nella rubrica “Svizzera e dintorni” del 2 novembre 2009. La fase più importante dei lavori di restauro è stata portata a compimento all’inizio della primavera 2012. Al termine di una “Peregrinatio Mariae” dell’effigie della Madonna del Sasso nelle chiese principali dei Vicariati foranei della nostra Diocesi, il 25 marzo 2012 la chiesa della Madonna del Sasso è stata riaperta al pubblico. Nel corso di una solenne liturgia monsignor Pier Giacomo Grampa, vescovo di Lugano, ha benedetto il nuovo ambone e ha dedicato il nuovo altare realizzati nel presbiterio della basilica. Delle fasi salienti di quelle settimane così significative e importanti per la storia del nostro Sacro Monte, Klara Binek e Vito Robbiani hanno realizzato per la RSI un documentario. Il filmato è stato trasmesso per la prima volta nella rubrica “Quotidiano” il 9 aprile 2012, con il suggestivo titolo “Mira il tuo popolo”. Con la riapertura della chiesa e la conclusione quasi definitiva della vasta campagna di restauro del nostro Sacro Monte, l’interesse del pubblico per la Madonna

del Sasso è stato vigorosamente ravvivato. In questo articolo, senza pretese di completezza, presenteremo una rassegna dei visitatori degli ultimi diciotto mesi. Il vasto pubblico che arriva da noi possiamo teoricamente suddividerlo in due gruppi di interesse. C’è chi arriva prevalentemente per motivi di fede o di devozione, il pellegrino, e chi arriva invece con un interesse prevalentemente culturale o ambientale. All’apice del pellegrinaggio alla Madonna del Sasso c’è normalmente la celebrazione dell’Eucaristia. Dal 25 marzo 2012 essa può essere di nuovo celebrata nella chiesa principale del Sacro Monte, chiesa dedicata all’Assunzione della B.V. Maria in cielo. Così, già nel tempo di Pasqua dello scorso anno la chiesa era a disposizione per riaccogliere i pellegrini delle tradizionali processioni votive dei paesi viciniori: il lunedì di Pasqua quelli della Verzasca e Piano, la vigilia della domenica in Albis quelli di Muralto, Minusio, Orselina, Brione e Mergoscia, il trentun di maggio i Locarnesi, e la prima domenica di maggio i dirimpettai del Gambarogno. Quasi a restituire la visita fatta dalla Madonna nelle chiese vicariali, l’anno scorso e anche quest’anno diversi preti della nostra Diocesi, singolarmente, o in gruppo, o accompagnati


Messaggio dal Santuario dai fedeli delle loro parrocchie sono arrivati a rendere omaggio alla Vergine del Sasso. Anche i pellegrini delle nazioni confinanti, soprattutto dall’Italia, sono ritornati in buon numero. Un semplice dato statistico ci dice che lo scorso anno i gruppi di pellegrini giunti in Santuario sono stati ben ottantaquattro. Tra di essi quelli venuti da più lontano dovrebbero essere quelli giunti nell’ottobre del 2012 dalla parrocchia della Madonna del Sasso di Salinas in California. L’interesse per il Santuario è stato riacceso anche tra i cappuccini, a cominciare dal Ministro generale, che nel giugno dello scorso anno è venuto alla Madonna del Sasso accompagnato dai collaboratori della curia generale a renderci visita e a celebrare l’Eucaristia. Altri momenti di condivisione fraterna sono stati quelli sorti durante le visite dei frati dei conventi di Varese e di Lucerna e soprattutto dei giovani frati postnovizi delle Province italiane, arrivati alla fine del mese di luglio dello scorso anno. Un’Eucaristia che ha permesso a un gran numero di persone di “fare visita” al nostro rinnovato Santuario è stata quella celebrata il quindici agosto 2012 in occasione della solennità della B.V. Maria assunta in cielo. La cerimonia è stata infatti teletrasmessa in eurovisione. Negli scorsi diciotto mesi numerosi sono poi stati i gruppi di visitatori interessati soprattutto alla storia, all’architettura, all’arte e alla natura che caratterizzano il nostro Sacro Monte. Questi visitatori ci chiedono normalmente di essere accompagnati a scoprire le peculiarità della Madonna del Sasso. La maggior parte delle richieste viene da gruppi omogenei di persone, come ad esempio le classi scolastiche durante la gita di inizio o fine anno, i gruppi legati a varie associazioni sia civili, sia ecclesiali, i gruppi di dipendenti di ditte o altri raggruppamenti professionali o civili. La visita al Sacro Monte comprende di solito un’introduzione storica, la visita della chiesa dell’Assunta con spiegazione dei capolavori contenutivi e delle caratteristiche dei recenti interventi di restauro, e per finire la visita della biblioteca conventuale. Alcune associazioni hanno approfittato della struttura, realizzata in convento all’inizio dei recenti lavori di restauro per la celebrazione dell’Eucaristia durante la chiusura della chiesa principale ed ora a libera disposizione, per svolgervi un’assemblea prima di visitare il complesso della Madonna del Sasso. Negli scorsi mesi due documentari televisivi hanno inoltre permesso ad un’ampia cerchia di persone di visitare virtualmente il Sacro Monte della Madonna del Sasso e di conoscerne meglio le peculiarità. Il primo realizzato alla fine del mese di giugno 2012 da una

13 troupe della RAI guidata dal regista Salvatore Tomai per la rubrica “A Sua immagine”, intitolato “Viaggio alla Madonna del Sasso”, ed il secondo realizzato nella primavera di quest’anno per la RSI dal regista Ruben Rossello intitolato “Salirò sul monte e ti cercherò”, trasmesso per la prima volta il 28 aprile 2013 a “Storie”. Un “miracolo” delle moderne tecnologie permette con alcuni semplici clic di vedere o di rivedere tutte le immagini di queste trasmissioni televisive. In questa succinta carrellata sui visitatori del nostro complesso non vorrei tralasciare di citare una categoria di persone che, grazie ai recenti interventi di ristrutturazione, può ora raggiungere il Santuario. Grazie infatti al prolungamento del montascale conventuale e all’installazione di una nuova rampa mobile all’interno del convento anche le persone disabili che si spostano in carrozzella possono ora giungere autonomamente nella chiesa della Madonna del Sasso, se sono dotate di una “eurokey”. A completamento della vasta campagna di restauro del nostro Sacro Monte manca ancora un ultimo tassello: l’allestimento del museo “Casa del Padre”. La data della riapertura di questa struttura non è ancora stata fissata. Ma il museo rinnovato potrà costituire di nuovo un buon motivo per ritornare a farci visita.

fra Agostino Del-Pietro


Incontro formativo nazionale “CamminiAMO” Dal 14 al 16 giugno 2013 ha avuto luogo ad Assisi un incontro formativo nazionale. Alla proposta abbiamo aderito in tre: Aldo, Carla e Franca. I lavori si sono svolti in un grande centro che si chiama “Domus Pacis”, situato vicino alla chiesa di Santa Maria degli Angeli. Troviamo subito fratelli e sorelle che già conosciamo: Remo di Pinto, ministro nazionale; Noemi Ricciardi e Fra Giancarlo, del Consiglio nazionale, che erano venuti da noi per il Capitolo Elettivo; Riccardo Farina, pure lui già nostro ospite; Padre Piero che ha tenuto varie volte il ritiro a Bigorio. Dopo la cena, anche se l’ora era abbastanza tarda, ci siamo trasferiti sulla tomba di San Francesco per la cerimonia di apertura, improntata sui canti delle Ascensioni, i salmi usati dagli antichi pellegrini in viaggio verso Gerusalemme, pellegrinaggio che simboleggia il cammino di ogni fedele che, pur immerso nelle realtà del secolo, vuole dare un senso alla sua vita e lo trova in Dio. Le letture sono tratte dal Testamento di San Francesco, dalla Regola e dalle omelie di Papa Francesco. Vengono portati all’altare dei simboli: un paio di sandali, un bastone, una tonaca, la cintura con una corda. Tutti oggetti che servono ai pellegrini, servono a chi cammina. L’incontro è infatti chiamato “CamminiAmo”. Ci prepariamo a camminare tutti insieme. San Francesco lo ha fatto spesso. “Per vedere l’altro occorre camminare…..” Occorre trovare il passo giusto, percorrere il cammino con i fratelli, dei quali bisogna fidarsi, e stare con Dio che è il nostro cammino. Anche la Professione è la partenza di un cammino, magari contro corrente. In questo spirito si dà continuità al percorso formativo. Non si può stare fermi quando si è incontrato il Signore. Il credente è un camminatore. La strada è il vero posto antropologico dove incontrare Dio. “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo”. Ma per annunciare il Vangelo sono necessarie delle virtù… Si deve pensare dove si vuole andare, ma anche sopportare la stanchezza del cammino. La prima cosa necessaria è però la preghiera. Ed è infatti la conclusione del primo momento dell’incontro formativo. L’Assistente ce ne propone una bellissima:

“Signore, fa che io possa sempre gioire in Te. Insegnami a collocare i miei occhi davanti a Te che sei specchio dell’eternità; la mia anima nello splendore della gloriosa luce della risurrezione; il mio cuore in Te, perché vedere Te è vedere il Padre. Tu, che Ti sei fatto in tutto simile a me, trasformami in Te, e la mia vita si apra alla dolcezza di amare ed essere amato. Nel tempo della fatica, ricordami la Tua fedeltà; fra gli abbagli splendenti nel mondo, mostrami la vera luce; fra le immagini vuote, i miti e i rumori, guidami al porto sicuro della Tua Verità. Nelle avversità donami fortezza; nella prosperità l’umiltà del cuore per saperti sempre ringraziare. Non cada mai dalla mia mente la memoria di Te. “

Sabato 15 giugno 2013 Alle 8.00, Lodi e Santa Messa nel vecchio refettorio di Santa Maria degli Angeli, ai piedi di una magnifica Ultima Cena. Notiamo la presenza di molti frati. Presenza anche di tutte le famiglie OFS, francescani secolari, gioventù francescana e anche araldini. Che bello! I lavori entrano subito nel vivo. Viene presentato il sussidio di formazione 2013-2014. Dopo “Educazione al Vangelo e vita quotidiana” (2011) e “Novità dell’annuncio e della fede” (2012) viene proposto quest’anno “Con San Francesco sui sentieri di Cristo”. È un testo che non può essere “venduto” alle fraternità, ma dovrà stimolare la ricerca individuale. Il testo non sarà da “leggere” ma da “fare”. E’ uno degli elementi per il cammino francescano. Percorreremo una strada nelle nostre fraternità, per le nostre fraternità. Una strada che ci deve vedere protagonisti, attori. Lo scenario della formazione è l’azione, il prendere forma, il progetto formativo e pastorale il cui obiettivo è la crescita della persona. La fraternità ci educa alla vita buona del Vangelo. Chiave di lettura del sussidio è quello di suscitare l’attenzione sul tema “abitare la strada”. Per un cammino di conversione, i piedi devono essere sulla strada e cioè: stare con la gente, farsi prossimo, accogliere, condividere, rimboccarsi le maniche, non improvvisare.


Messaggio dall’O.F.S. Il sussidio si articola in 4 capitoli: – in cammino per abitare il mondo; – abitare il cuore per essere nuove creature; – abitare il presente con le sue fragilità; – abitare la strada per essere testimoni credibili. Struttura dei singoli capitoli: – lo sguardo sul mondo – lettura orante della parola – in ascolto della parola – in ascolto dei fratelli – la fraternità in servizio. I singoli capitoli vengono poi illustrati dai rispettivi responsabili. Sguardo sul mondo: Morena e Cinzia ci invitano ad uno sguardo sul mondo che abitiamo, sulle sofferenze presenti nella nostra famiglia, nella nostra fraternità e nella realtà quotidiana. Noi siamo circondati da una umanità impoverita. Dobbiamo prenderci cura del vicino, aiutarlo ad alzare gli occhi verso Dio. Ce lo raccomanda Papa Francesco, che ci esorta ad uscire da una fede stanca e abitudinaria e andare verso la periferia. Il seguire Cristo esige un continuo uscire da se stessi. E’ necessario quindi metterci in cammino per abitare nel mondo. In ascolto della parola Fra Giorgio ricorda che San Francesco dava grande importanza alla “Parola”. (Amm. XX – FF 692). Anche la Chiesa ha pubblicato diversi documenti. Ci presenta tre idee-guida per una corretta interpretazione della Bibbia. La fraternità in servizio Alfonso ci dà una lezione sul come interrogarsi in fraternità. Dobbiamo guardare all’esempio di San Francesco. Poi chiarire un concetto: il servizio è una modalità formativa. All’interno della fraternità è importante programmare il momento dove la fraternità si mette concretamente al servizio: Se non c’è, bisogna inventarlo. Lettura orante della Parola Fra Giancarlo ci propone dei percorsi perché la parola di Dio diventi molto legata alla preghiera e all’azione. In ascolto dei fratelli Noemi e Federica ci presentano degli esempio di incontro in fraternità: costruire delle relazioni per viverle

nell’ambito della fraternità e portarlo negli ambiti in cui noi viviamo. Oltre a questo c’è un approfondimento di Regola e Costituzioni. Infine Gianpaolo presenta il progetto grafico dell’opuscolo. La copertina è la foto di un centro urbano. Ogni capitolo inizia con delle citazioni. Nel pomeriggio partecipiamo ad una Tavola Rotonda che si apre con la lettura della pagina del Vangelo “Maestro, cosa devo fare per ottenere la vita eterna?” Vengono presentati degli esempi concreti di servizio: testimonianza di Marco e Vania, fidanzati, collaboratori di un gruppo che opera ogni venerdì notte alla stazione di Padova. Suor Anna che, con un gruppo di giovani, vive l’esperienza della povertà facendo un percorso a piedi, senza bagaglio e senza denaro. Prima ascoltano la Parola di Dio poi si mettono in cammino, in silenzio. Anche non parlando, si parla. Il silenzio provoca qualcosa in chi li guarda. A volte sono interpellati e ogni occasione è buona per illustrare cosa stanno facendo. Imparano a riconoscersi figli di Dio e riconoscersi fratelli. (Ci è rimasta nel cuore una frase : “…Passo dopo passo, sui passi di Qualcun Altro….”)

Domenica16 giugno Momento dedicato agli incontri di settore (Assistenti, Gifra, Araldini, Ministri, Responsabili della formazione). Noi naturalmente abbiamo fatto parte di quest’ultimo settore. Tema della lezione: Strumenti per la formazione in fraternità La relatrice ci chiede di dire cosa pensiamo quando udiamo la parola “formazione”. Viene risposto: crescita – scuola – unione – condivisione – e molti altri. Tutti i termini trovati sono dinamici. Ed è giusto. Ci vuole dinamicità nelle relazioni fraterne. Noi abbiamo a disposizione due mezzi importanti; sono le pubblicazioni: Francesco Volto Secolare, rivista mensile Momenti francescani (Vangelo, fonti francescane e attualizzazioni per ogni giorno).

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Ci fa prendere il numero di maggio di FVS, segnatamente l’articolo “Nuova evangelizzazione e carisma francescano” (da pag. 44 a pag. 50). Prende spunto da un capitolo del testo di formazione di quest’anno e cioè “Abitare la strada per essere testimoni credibili” e poi dall’articolo di FVS ci fa individuare gli aspetti di maturità sociale, di maturità umano-spirituale e di maturità fraterna. E’ stato un lavoro molto interessante, che ci ha impegnati assai, soprattutto perché non abbiamo l’abitudine di fare questo genere di esperienze. Comprendiamo benissimo che il “cammino” è appena incominciato. Il tema di quest’anno va approfondito e portato nelle nostre fraternità della Svizzera Italiana.

Siamo coscienti che non sarà facile fare da noi un lavoro come quello che abbiamo fatto ad Assisi. Ci proveremo. Vedremo qual è il modo migliore per “abitare la strada” nella Svizzera italiana. Portiamo comunque nel cuore il ricordo di momenti intensi, di preghiera anzitutto, che ha marcato l’inizio di ogni sessione di lavoro, la bravura e la competenza dei responsabili e l’attenzione riservata ad ogni fratello che stava vicino. E’ stata un’esperienza che ci stimola molto e che avrà una continuità, visto anche che Aldo fa ora parte del Gruppo del laboratorio di formazione. Chiediamo a voi tutti, sorelle e fratelli, di sostenerlo con la preghiera. Franca Humair

Assisi maggio 2013 Bellissimo ed emozionante il tema che quest’anno fra Michele ha scelto per il nostro pellegrinaggio annuale:

L’amicizia in Cristo di Francesco e Chiara Lo studio e l’approfondimento durante le omelie e le riflessioni hanno portato i partecipanti ad una introspezione personale e all’elaborazione su come individualmente viviamo il sentimento dell’amicizia.


Cristiani nel mondo CHIESE MULTICULTURALI IN FRANCIA In Francia le Chiese riformate e luterane multiculturali sono sempre più numerose e ormai sono parte integrante della nuova Chiesa protestante unita di Francia (EPUdF). Così la chiesa di Villeneuve-Saint-Georges, nella banlieue parigina, è una chiesa frequentata per il 75% da persone provenienti dall’Africa nera, eppure la liturgia riformata non è stata modificata. Quattro volte all’anno, un “culte d’offrande” dà luogo a una processione e a danze africane. In Francia, non solo la globalizzazione ma anche il passato coloniale hanno portato da tempo quella multiculturalità che ormai caratterizza tutti i Paesi europei. Multiculturalità che si manifesta non solo nelle Chiese etniche o evangelicali, ma anche in molte Chiese storiche riformate e Iuterane, ora confluite nella nuova Chiesa protestante unita di Francia. Di quelle Chiese multiculturali se ne Programma: Mercoledì 8:

durante il viaggio di andata,

tappa al Santuario della Verna Giovedì 9: S. Messa sulla tomba di S. Francesco Visita alle basiliche del Santo Visita alla Porziuncola Venerdì 10:

S. Messa nel Convento delle Celle di Cortona. Luogo caro a S. Francesco ubicato sulla strada che da Assisi sale verso la Toscana ove lui soleva ritirarsi in preghiera e solitudine. Luogo nel quale continua la secolare tradizione della ricerca di Dio nel silenzio, nella meditazione e nella preghiera. Per cinque secoli casa di noviziato.

Sabato 11:

salita all’Eremo delle Carceri con S. Messa nel bosco. Sentiero didattico nel bosco sottostante la Basilica

Domenica 12: S. Messa in cappella della Domus Laetitiae. Rientro in Ticino Ringraziamo sentitamente suor Carla Pia per la perfetta organizzazione e fra Michele per l’assistenza spirituale.

trovano ormai nelle periferie di qualsiasi grande città francese e anche, a volte, in pieno centro. Ad Orléans, il 20% dei membri della Chiesa riformata è di origine straniera (Congo, Camerun, Togo, Tahiti, Madagascar, …). Ad Aubervilliers, il 95% dei membri di Chiesa proviene dall’immigrazione africana. Secondo la pastora, «essi chiedono un autentico culto riformato, con una predicazione e una liturgia ben curata». In quanto agli inni, gli africani sono molto legati a quelli del vecchio ìnnario Les ailes de la foi. Uno dei problemi che si pongono è quello delle potenziali tensioni tra le diverse etnie. «Quando sono arrivata sette anni fa - dice la pastora - ho sentito fortemente i particolarismi nazionali, ma, da allora, i figli sono cresciuti insieme e non avverto più per niente questo comunitarismo, soprattutto a livello dei giovani. La Chiesa ha fatto da crogiolo». A Lione tre Chiese si sono unite cinque anni fa per aprire il loro nuovo tempio a Vaulx-en-Velin, città cosmopolita segnata dall’immigrazione. In quel quartiere, abitato soprattutto da maghrebini, i cristiani sono minoritari. «Tra le comunità malgasce, lusofone, africane, pentecostali e un campo Rom, i legami si intrecciano e le interazioni si stanno moltiplicando. Nella Chiesa protestante unita, i congolesi ed i camerunesi si sono uniti ai francesi. Ogni domenica si pone la domanda su come conservare la liturgia della Chiesa protestante unita alla quale i più anziani sono legati, pur tenendo conto delle altre sensibilità. Mescolare l’organo e lo djembé è un lavoro da sviluppare sempre». Ad Orléans, l’integrazione degli stranieri nella liturgia riformata non pone problemi, ma alcune domande di accompagnamento lasciano il pastore perplesso «Vogliono fare dei culti di anniversario per un defunto morto nel loro Paese, chiedono dei riti di esorcismo oppure culti di riconoscenza quando guariscono da una grave malattia», «Come rispondere a queste domande senza essere assimilati a dei marabutti o a dei guaritori?». La strada è ancora lunga - conclude l’articolista - ma la strada è bella. Ma all’altro capo della Francia, a Marsiglia, le cose vanno esattamente in senso inverso. Lì prevale il comunitarismo più spinto. Il pastore Frédéric Keller afferma senza esitazioni: «Qui, non rientriamo nella logica dell’integrazione repubblicana». Per questo motivo nella Chiesa riformata di Marsiglia, ogni cultura presente nella chiesa ha il suo proprio momento durante il culto: i kanak, i ghanesi, i camerunesi, etc ... «Così - afferma il pastore Keller - viviamo una vera fratellanza in cui la Chiesa è un porto d’immatricolazione per stranieri» Così stanno le cose nella laica Francia, a 50 anni dalla decolonizzazione.

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CRISTIANI IN EGITTO

DONNE IN PREGHIERA

In Egitto è facile riconoscere un copto. Incrociandolo per la strada, oppure a un bar, mentre si sorseggia un caffè e si fuma un narghilè. In Egitto, per certificarsi, molti cristiani hanno tatuato sulla mano destra una piccola croce. Un segno indelebile, bluastro, che con il tempo sfuma e si confonde con il colore scuro della pelle e con le rughe. Un simbolo che tuttavia non scompare. Per gli uomini poi basta vedere se la fede di nozze sia in oro. I precetti coranici vietano ai maschi musulmani di indossare il più prezioso dei metalli. Anelli, bracciali e collane, per gli uomini devoti al Profeta devono essere di metalli meno nobili, come l’argento. I materiali fanno quindi la differenza anche in campo religioso. Argento per i musulmani, oro per i cristiani. Non c’è Paese in Medio Oriente, dove sia facile come in Egitto identificare un cristiano. Per i copti si tratta di un’esteriorizzazione della propria religione, una rivendicazione della propria identità. Ma quella croce tatuata vuoi dire anche appartenenza e protezione. Un copto che entra in un caffè e al tavolo di fianco al suo trova un uomo che porta lo stesso simbolo impresso sulla pelle, sa che su quella persona potrà fare affidamento. Per qualunque motivo: se discriminato nel servizio dal cameriere musulmano o, peggio, perché insultato da clienti islamici. La cristianità in Egitto ha una storia secolare. L’evangelizzazione è approdata ad Alessandria con san Paolo e san Marco. E quando il primo ha proseguito nel suo peregrinare nel bacino del Mediterraneo, il secondo è rimasto nel Paese per predicare il messaggio di Gesù Cristo. La leggenda racconta che scrisse il suo Vangelo in una fortezza, di cui oggi restano possenti rovine, appena fuori il Cairo. Ed è sempre ad Alessandria che, nella seconda metà del I secolo d.C., Marco venne martirizzato. “Noi siamo qui da ben prima che arrivasse il Corano”, dicono i monaci che vivono in clausura nei monasteri del deserto, testimonianze di un’evangelizzazione primordiale. Cellule di ascetismo dalle quali successivamente si è sviluppata una gerarchia ecclesiastica, al cui vertice c’è una guida spirituale che porta il titolo di Papa. Per gli egiziani di fede cristiana, il Paese è una parte della Terra Santa, perché l’Egitto è la casa di Gesù fanciullo, come insegna il Vangelo di Matteo (2, 14), quando la Sacra Famiglia si rifugiò lungo il Nilo per fuggire alla furia di Erode e alla sua strage.

Il Movimento che ha istituito la ‘Giornata di Preghiera’ ha preso il via oltre un secolo fa (1812) per iniziativa di Mary Webb della comunità battista di Boston, cui si sono aggiunte ben presto altre organizzazioni prima nordamericane, poi anche europee. Dal 1927 assume un carattere mondiale, e dal 1969 la Giornata da evangelica diventa interconfessionale con l’entrata dei movimenti cattolici. Esiste un Comitato mondiale con sede a New York. Il Comitato affida di anno in anno la preparazione della Giornata a gruppi di donne nelle diverse parti del mondo (nel 2013 in Francia, lo scorso anno in Malaysia e l’anno precedente in Cile) e sono oltre 170 gli Stati coinvolti nell’iniziativa. In parallelo alla preghiera esiste tutta una rete di promozione umana a favore delle donne nei paesi in via di sviluppo: corsi di formazione in vari campi (educativo, professionale, civile), la concessione di crediti per avviare aziende agricole o artigianali e ogni altra attività per sottrarre quanto più possibile le donne dall’emarginazione e dalla povertà. L’obiettivo resta quello di un’attenzione alla situazione femminile, alle donne ne resta affidata la messa a punto. La Giornata vorrebbe diventare un momento di preghiera universale “di uomini e donne”: il tema della Giornata 2014 è stato affidato alle donne d’Egitto. UNA DOTTRINA SOCIALE IN RUSSIA Fino ad oggi non era mai accaduto che una Chiesa ortodossa avesse definito in modo ufficiale e sistematico le proprie posizioni su temi di attualità sociale. Ne riferisce, in un recente volume edito anche in italiano, Kirill di Smolensk, in “Fondamenti della dottrina sociale” (Esd, Roma 2011). Ben consapevoli dei pericoli del mondo moderno, ma avendo per esso uno sguardo decisamente ottimista, i Fondamenti della Dottrina sociale costituiscono una vibrante esortazione alla testimonianza ed all’impegno dei cristiani nella società contemporanea, con particolare riferimento alla vita politica e sociale. Dando la parola ai propri vescovi, la Chiesa russa definisce la sua posizione riguardo a numerose questioni relative all’insieme della vita politica, economica e sociale del mondo contemporaneo, come le relazioni tra Chiesa e Stato, la nazione ed il diritto, il lavoro e la proprietà, i rapporti internazionali, l’etica familiare, i diritti dell’uomo, la salute, la bioetica, la cultura, i mass-media, i rapporti tra scienza e fede, la globalizzazione. l’ecologia. Oppressa da decenni di


La Chiesa scozzese a Roma La Chiesa di Scozia St. Andrew’s di Roma ha celebrato i 150 anni di testimonianza evangelica nella Città eterna. Costituitasi nel 1862 per iniziativa della Chiesa libera di Scozia, la comunità iniziò a incontrarsi clandestinamente in case private, sfidando continue vessazioni da parte della polizia papale. Il primo locale di culto fu eretto fuori dalle mura cittadine lungo la via Flaminia, mentre nel 1885 fu aperta la chiesa attuale di via XX Settembre. Il culto celebrativo ha visto la partecipazione del pastore David Arnott, moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, che ha letto una lettera augurale inviata per l’occasione dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. La chiesa di St. Andrew’s, da luogo di riferimento per viaggiatori e residenti britannici, oggi è una comunità dal carattere internazionale ed espressione di una società italiana ormai multiculturale. Tra i suoi 80 membri figurano infatti 15 diverse nazionalità africane, europee, asiatiche e americane. La Chiesa di Scozia St. Andrew’s è membro della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI).

martirio, la Chiesa ortodossa dichiara di sostenere il principio di “non-ingerenza” nelle relazioni tra Chiesa e Stato e di rivendicare il diritto alla disobbedienza civile in caso di disaccordo con l’autorità politica. PER LO SVILUPPO IN AFRICA Gli investimenti economici dell’Unione europea, degli Stati Uniti e della Cina in Africa non hanno intaccato in modo significativo le radici della povertà del continente. Partendo da questa affermazione negli scorsi mesi si sono ritrovati ad Arusha, in Tanzania, un gruppo di venti economisti, sociologi ed esperti di ecologia, per riflettere su un diverso modello di sviluppo per il continente africano. L’incontro è stato promosso dal programma «Povertà, ricchezza ed ecologia» del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec). Notando come gli investimenti dai Paesi del mondo industrializzato abbiano portato benefici limitati, i partecipanti hanno sottolineato come si debba ormai superare la semplice critica all’attuale sistema economico. E’ giunto il momento di proporre la concreta definizione di un sistema alternativo, basato su giuste relazioni economiche tra nazioni, il concetto di «pienezza di vita per tutti», e il rispetto dell’ambiente.

UNITÀ E PLURALITÀ ISLAMICA Una grande unità nei fondamentali principi della fede, ma anche diversità per quanto concerne la pratica religiosa e l’interpretazione in materia di dottrina. È la “fotografia” del mondo musulmano che emerge da uno studio, condotto tra il 2008 e il 2012 dal Pew Forum Research, esaminando la popolazione di 39 Paesi che ospitano i due terzi della popolazione musulmana mondiale, sulle tradizioni religiose di oltre un miliardo e mezzo di fedeli. L’osservanza dei cinque pilastri della fede costituisce il tratto caratteristico che lega tra loro le comunità, ma differenze anche di rilievo esistono tra le varie nazioni circa l’impegno religioso dei fedeli e per quanto concerne l’interpretazione dottrinale, oppure l’accettazione nei confronti di alcuni movimenti fondamentalisti o gruppi considerati eretici. I musulmani si mostrano divisi soprattutto sul tema dell’importanza della religione nella propria vita: mentre in alcune aree del mondo, come a esempio nel sud-est asiatico o nell’Africa subsahariana, le comunità esprimono un forte attaccamento alle proprie tradizioni, in altre invece, come in Russia, nei Balcani o nell’Asia centrale, la religione gioca un ruolo meno essenziale nella vita delle persone.

(testi raccolti e adattati da Alberto Lepori)

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Una chiave ecumenica per il 500mo anniversario della Riforma

I

Il 31 ottobre 1517 il monaco agostiniano Martin Lutero appese le sue famose 95 tesi sulla porta principale della Schlosskirche di Wittenberg e quella data è convenzionalmente considerata quella dell’inizio della Riforma protestante. Pertanto, il 2017 sarà l’anno del 500.o anniversario di quell’evento così importante per la storia del cristianesimo e anche se la data sembra ancora lontana

ci si sta già attivando, in particolare in Germania ma non solo, per allestire un calendario di manifestazioni e di celebrazioni che non vogliono avere nulla di trionfalistico, ma alle quali si intende dare una connotazione il più possibile ecumenica, in un clima di collaborazione e non più di contrapposizione, come nel passato. E in questo senso, lo scorso 17 giugno al Centro ecumenico di Ginevra, nel corso di una conferenza stampa congiunta, la Chiesa cattolica e la Federazione luterana mondiale (FLM) hanno presentato un importante documento congiunto, intitolato “Dal conflitto alla comunione”. Relatori principali (nella foto) il pastore luterano cileno Martin Junge, segretario generale della FLM, e il cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Si tratta di un lungo e dettagliato testo, frutto di anni di lavoro e scritto dalla Commissione internazionale cattolico-luterana per l’unità (che proprio nel 2017 compirà 50 anni), che si pone come riferimento al fine di superare le incomprensioni reciproche e per ribadire l’impegno alla comune testimonianza cristiana nel mondo. In sostanza, si afferma che non si tratta di raccontare una storia diversa, ma di raccontare la storia “in modo diverso” e soprattutto di “raccontarla insieme” e questo è la prima volta che accade.

Nel testo, pur riaffermando l’esistenza di alcune differenze, diverse delle quali certamente notevoli, si sottolinea che è stata raggiunta una tappa del cammino ecumenico nella quale cattolici e luterani possono offrire una interpretazione diversa della storia e apprezzare la sincera fede di entrambi. «Sta nascendo la consapevolezza tra luterani e cattolici — si legge — che la contrapposizione del secolo XVI è finita e che le ragioni per condannarsi a vicenda sulle questioni di fede sono cadute nel dimenticatoio». Cinque imperativi ecumenici Oltre a riflettere insieme sul passato, “Dal conflitto alla comunione” propone cinque imperativi ecumenici che possono servire come linee guida per il futuro del dialogo: 1) rafforzare la consapevolezza di ciò che luterani e cattolici già condividono – per esempio, il battesimo – rispetto alle differenze, certamente più facili da individuare; 2) riconoscere di avere bisogno dell’esperienza, dell’incoraggiamento e della critica reciproca per giungere a una comprensione più profonda di Cristo; 3) impegnarsi ancora per cercare l’unità visibile, per elaborare assieme cosa significhi nel concreto e per raggiungere questo obiettivo; 4) riscoprire insieme la forza del Vangelo di Cristo per il nostro tempo e condividerla con gli altri in modo tale che non aumentino le divisioni e la competizione tra le comunità; 5) testimoniare insieme la misericordia di Dio nella predicazione e nel servizio verso il mondo, riconoscendo che la credibilità dei cristiani aumenta nel momento in cui si approfondisce anche la loro unità. Superare le divisioni Il documento, come detto, si pone come punto di confronto privilegiato in vista della celebrazione dell’anniversario della Riforma protestante. Il cardinale Koch, riferendosi all’evento, ha sottolineato che “il vero successo della Riforma può essere raggiunto solo attraverso il superamento delle nostre divisioni” mentre per il vescovo palestinese Munib A. Younan, presidente della FLM, il documento “offre l’opportunità di riflettere sulla nostra storia particolare, in modo che possiamo correggere il nostro comportamento e impegnarci gli uni e gli altri in modo più costruttivo per il bene della missione di Dio”. Indubbiamente, il testo costituisce una tappa incoraggiante nel cammino – che si prospetta ancora molto lungo – verso l’unità tra cattolici e luterani. Tra i nodi da sciogliere, il riconoscimento dei ministeri (nella maggior


Messaggio ecumenico parte delle Chiese luterane è ammesso anche il ministero delle donne pastore e vescovo) e l’impossibilità di praticare l’ospitalità eucaristica, senza contare le questioni di etica e di morale, come ad esempio l’omosessualità nel clero. Il testo completo in italiano del documento “Dal conflitto alla comunione” è stato pubblicato nel n. 11/2013 della rivista “Il Regno Documenti” (via Nosadella 6, 40123 Bologna). Gino Driussi

Intervista esclusiva al cardinale Kurt Koch “Il termine giusto è commemorazione” Cardinale Koch, perché è importante questo documento “Dal conflitto alla comunione”? Sono passati 500 anni dalla Riforma, un evento importante soprattutto per i luterani, perché la riscoperta del Vangelo, della giustificazione è il cuore, il centro della teologia di Lutero. Ma dobbiamo pure constatare che la Riforma ha portato anche la divisione tra le Chiese ed ha provocato molte sofferenze in questi 500 anni. Tuttavia, dopo il Concilio Vaticano II c’è stato un grande dialogo ecumenico tra luterani e cattolici e questo documento vuole proprio esprimere la gioia, la gratitudine per tutto quanto abbiamo potuto affermare insieme, senza nasconderci le sofferenze della divisione. E poi costituisce un fondamento per fare ulteriori passi avanti. Questa è la nostra speranza. In un certo senso, si può dire che questo documento costituisce un pò una “riabilitazione” di Lutero da parte della Chiesa cattolica, perché nel testo si parla molto della teologia di Lutero. C’è effettivamente una riscoperta della teologia di Lutero, ma non parlerei di riabilitazione globale, universale, perché ci sono ancora alcuni punti di divergenza che impediscono la comunione tra la Chiesa cattolica e quella luterana, punti che vanno approfonditi: penso in particolare al concetto di Chiesa, che mi sembra il tema principale da affrontare in futuro nei nostri dialoghi. Nel corso della conferenza stampa, qui a Ginevra, è stato detto che questo documento deve essere letto e studiato a tutti i livelli. Non c’è il pericolo che rimanga in un cassetto, che resti lettera morta, un po’, in fondo, come è stato per l’importante dichiarazione comune sulla giustificazione firmata ad Augusta nel 1999 tra cattolici e luterani che però non ha portato a passi concreti nel dialogo tra le due Chiese? No, perché penso che questo nuovo documento è proprio il frutto della dichiarazione del 1999. Senza di essa, non sarebbe stato possibile fare questo passo. Non possiamo vedere o tutto o niente. Dobbiamo vedere cosa si è già potuto fare. E’ chiaro che si tratta di un documento teologico, non facile da leggere, ma spero che esso non rimanga ristretto al dialogo - seppur importante - tra i teologi delle due Chiese, ma che ci sia la possibilità che gruppi ecumenici lo leggano e lo studino insieme e discutano su come vedono la fede comune. Lei, lo scorso anno a Vienna, aveva detto che quello della Riforma non è un anniversario da festeggiare, perché non si può festeggiare un peccato: sarebbe più opportuna una confessione di peccato da parte di entrambe le Chiese. Queste sue affermazioni sono state criticate, in particolare da ambienti evangelici. Può precisare il suo pensiero a questo proposito? L’equivoco è nato dal fatto che i giornalisti hanno menzionato soltanto uno dei tre punti che avevo evocato. Primo, la gioia, la gratitudine per tutto ciò che abbiamo fatto in 50 anni di dialogo; secondo, la tristezza per la rottura, una rottura che non possiamo festeggiare; terzo, la speranza per il futuro ed in questo senso il documento utilizza il termine “commemorazione”. Questa è la parola giusta, che può essere accettabile sia per i luterani sia per i cattolici. Festeggiare la Riforma come riscoperta del Vangelo è possibile anche per noi cattolici, ma festeggiare la Riforma come rottura nella Chiesa, evidentemente no. Era questo il vero senso della mia dichiarazione di Vienna.

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Titolo ITitolo Sacri Monti: un’invenzione francescana

Q

Quelli che oggi chiamiamo i “Sacri Monti”, cioè un gruppo di cappelle disposte lungo le pendici di un’altura, arredate da statue a grandezza naturale e spesso decorate con affreschi che evocano i grandi temi della fede cristiana e molti dei quali portano ancora oggi il nome di “Gerusalemme”, rappresentano un geniale esperimento di “urbanistica santuariale” ed il frutto di una grande idea francescana. Furono infatti un gruppo di francescani della Custodia di Terrasanta che, di ritorno in Italia, si prefissarono di riprodurre in patria i luoghi della Passione di Cristo. Gli obiettivi erano duplici: da un lato rilanciare il culto dei luoghi santi di Palestina e dall’altro consentire un “pellegrinaggio sostitutivo” a chiunque fosse impossibilitato a recarsi in Terrasanta per i più svariati motivi (economici, di salute, di pericolo, ecc.) in modo tale da poter sperimentare emozioni spirituali forti ed ottenere indulgenze analoghe a chi faceva il pellegrinaggio vero e proprio in Medio Oriente. Furono due francescani, fra’ Bernardino Caimi a Varallo Sesia e fra’ Tommaso da Firenze a San Vivaldo di Montaione presso San Gimignano che, individuate due aree nelle quali avevano riscontrato delle somiglianze geofisiche e paesaggistiche col territorio di Gerusalemme, vi costruirono una serie di cappelle ispirate per forma e dimensioni ai diversi luoghi della Città Santa. Così nello snodo di tempo fra Quattrocento e Seicento in seguito alla guerra contro i Turchi e nell’ambito della Controriforma assistiamo alla proliferazione di Sacri Monti in Piemonte e Lombardia (ricordiamo oltre a Varallo Sesia, Orta, Crea, Varese, Oropa, Domodossola, Ghiffa, Ossuccio solo per ricordarne i principali) e anche in Ticino (Brissago, Orselina) e Oltralpe (Visperterminen). Nel 1656 un altro padre cappuccino, Ludwig von Wil, progettò di costruire sui ripidi pendii del Pilatus un Sacro Monte grandioso, che avrebbe dovuto trasportare i fedeli in un mondo immaginario: ma di esso venne realizzato solo il Santuario, fra le più originali opere del primo barocco svizzero. Si realizzò così lungo l’arco alpino e prealpino quello che Giovanni Testori con una bellissima immagine ha definito “il gran teatro montano”. Molto spesso però col passare del tempo e sull’esempio proprio di Varallo Sesia il Sacro Monte, più che rappresentare lo specchio o la figurazione della Città Santa di Gerusalemme, evolvette verso altre forme devozionali, in particolare verso la rappresentazione della vita di Cristo nel suo complesso; si compì cioè quella che è stata definita la “teatralizzazione urbanistica” dei Sacri Monti. Solo la toscana San Vivaldo, più appartata e isolata, mantenne immutati i suoi caratteri architettonici originali e il suo scopo devozionale.

Di Bernardino Caimi fornisce un bel ritratto Sebastiano Vassalli nel suo romanzo “Le due Chiese”. Lo descrive “… piccolo di statura e brutto, con una corona di capelli che sembrano setole attorno al cranio rasato… fornito di un’energia prorompente e inesauribile... Il Papa lo manda a Gerusalemme con l’incarico e il titolo ufficiale di ‘Rettore dei Luoghi Santi’… Il Santo Sepolcro è sempre lì, ma non lo visita più nessuno, troppo pericoloso arrivarci sia per mare che per terra… Fra’ Bernardino non si scoraggia: Gerusalemme è dovunque; Dio è dovunque e la passione e morte di Gesù si ripetono ogni giorno con la Santa Messa, in ogni luogo dove c’è un sacerdote. Se la fede, come dicono i Vangeli, può muovere le montagne, potrà anche spostare i quattro sassi di cui è fatta Gerusalemme. Bisogna trasferire Gerusalemme in un paese cristiano, pensa il frate. Bisogna trovare fra le nostre montagne un Monte santo: un luogo che per la sua collocazione geofisica e per le sue caratteristiche si presti a ricreare il Santo Sepolcro e gli altri ambienti dove si svolsero la predicazione e la morte di Gesù. Di ritorno in Italia l’attività di Bernardino diventerà davvero frenetica: costruire la nuova Gerusalemme, destinata a prendere il posto di quella diventata inarrivabile al di là del mare nel paese dei Turchi. E dopo la sua morte i lavori continueranno per oltre tre secoli. Alla fine non produssero quella nuova Gerusalemme che lui avrebbe voluto, ma daranno vita ad un complesso unico al mondo, che molti cercheranno di imitare in altri luoghi, ma che rimarrà inimitabile: con le sue 50 cappelle e 800 statue racconterà al mondo la vita, la passione e la


Messaggio Messaggio amico ???

morte di nostro Signore Gesù Cristo; e racconterà anche la vita, la passione e la morte degli uomini e delle donne che sono vissuti e hanno visto e aiutato a sorgere questo prodigio.” Ma dobbiamo chiederci: fino a che punto il pellegrinaggio ai luoghi santi aveva divulgato una conoscenza precisa dell’aspetto effettivo della Gerusalemme coeva, in modo tale da indurre gli artisti dell’epoca a rappresentarli nel modo più appropriato ed esatto possibile? Su questo aspetto abbiamo due esempi molto significativi: nel Palazzo Ducale di Mantova è stato di recente scoperto un affresco attribuito alla scuola del Pisanello che rappresenta con molta precisione la Valle del Cedron col torrente e la chiesa del sepolcro della Vergine in “Val di Giosafat”, la porta di santo Stefano, la chiesa di sant’Anna e la parte orientale della Via Dolorosa: questa rappresentazione così esatta risalirebbe alla prima metà del Quattrocento. C’è da chiedersi se questo affresco mantovano fosse conosciuto da Bernardino Luini e dalla sua scuola quando ai primi del XVI secolo affrescarono la chiesa degli Angioli a Lugano. Proprio lì, nel deambulatorio centrale sotto la Crocifissione, ritroviamo una veduta di Gerusalemme anch’essa di notevole precisione. Occorre anche ricordare che la pratica del pellegrinaggio non era mai riuscita ad uscire da una certa forma di ambiguità da parte della Chiesa: da un lato se ne ribadiva la santità della pratica, dall’altro i suoi pericoli e le sue tentazioni. Fin dai primordi dell’era cristiana l’intera tradizione ecclesiale da Gerolamo a Bernardo di Clairvaux, da Erasmo da Rotterdam fino allo stesso Lutero è percor-

sa da una istanza polemica e di natura etica contra peregrinantes. Al pellegrinaggio concreto, fisico, materiale si contrappone quello spirituale, la peregrinatio animæ, l’iter mentis in Deum. Del resto fra il pellegrinaggio materiale e quello spirituale esisteva un rapporto reciproco: il viaggio a Gerusalemme come esperienza interiore, la via gerosomilitana terrestre e marittima come strada per giungere alla Gerusalemme celeste, al Regno dei Cieli. Ancora una volta furono i francescani che, resistendo alle tendenze svalutatrici del pellegrinaggio e quali ardenti sostenitori delle Crociate, provvidero fra il XIV e XV secolo a un rilancio della pratica dell’iter Ierosolymitanum, grazie anche alla disponibilità in Terrasanta di supporti logistici e strutturali di grande efficacia. Fu un altro celebre francescano, Bernardino da Siena, a proporre in un celebre exemplum predicato durante un ciclo di prediche tenute a Padova nel 1423 e ripetuto due anni dopo a Siena, un perfetto modello di coincidenza fra peregrinatio penitentialis e peregrinatio animæ. Il suo “pellegrino esemplare” compiva un viaggio che era certo fisico e materiale ma anche mistico ed interiore, una imitatio Christi vissuta attraverso la visita ai luoghi fisicamente attinenti la vita di Gesù. Sulla scia delle sue predicazioni, quando i pellegrinaggi ai luoghi santi si fecero lunghi, difficili, costosi e pericolosi, quando il numero dei pellegrini in Terrasanta andò assottigliandosi in maniera drammatica che i francescani osservanti della Custodia di Terrasanta già ricordati (fra’ Bernardo Caimi e fra Tommaso) ebbero l’idea del “pellegrinaggio sostitutivo”, del surrogato domestico, di orizzonti più facilmente accessibili che si concretizzarono nelle geniale e innovativa esperienza dei Sacri Monti. Testimonianze che sono giunte fino a noi, che ancora ci affascinano e testimoniano di una fede vissuta realmente o surrettiziamente nei luoghi di Cristo “nel Cristo e col Cristo”, così che il cerchio iniziatico del pellegrinaggio appare finalmente saldato e concluso. Così possiamo dire che il pellegrinaggio, il ritorno alla Casa del Padre, la visita devota alle vestigia terrene del passaggio del Salvatore su questa terra, l’amore per i luoghi santi, la ferma volontà di radicarne la conoscenza, la venerazione e addirittura di trasferirla coi Sacri Monti in Occidente, appare come un tratto essenziale del francescanesimo: un tratto che risale senza dubbio a san Francesco stesso e al suo viaggio in Egitto e in Terrasanta: egli, inerme, portava una croce che non era un’elsa di spada, ma solo il semplice, povero e scabro strumento della Passione e la forma più alta, più pura e più umile di testimonianza cristiana. Mario Corti

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Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano

Abbiamo letto... abbiamo visto... Yves Congar

Mon Journal du Concile, CERF, Parigi 2002, due volumi 595, 632

GAB 6900 Lugano

«Io cammino perché proceda la Chiesa». È quanto dichiara nel suo Giornale del Concilio un lavoratore e un riformatore instancabile e appassionato, il fratello domenicano Yves Congar, esperto al Concilio Vaticano II, quando già era gravemente impedito da una malattia che poi lo paralizzerà. “Ho molto lavorato”, dirà ancora il futuro cardinale, quando enumera le commissioni del Concilio alle quali ha partecipato, e i testi conciliari ai quali ha contribuito. Nel giornale descrive, talvolta con passione, ciò che sente giorno per giorno, delle discussioni di cui è testimone e della progressione e maturazione dei documenti conciliari.

Cettina Militello (a cura)

I laici dopo il concilio: quale autonomia? EDB, Bologna 2012 La curatrice, una delle prime laiche impegnate nel lavoro teologico, dopo un libro dal titolo intrigante “Esiste ancora il laicato?”, ha raccolto a cinquant’anni dal Concilio i contributi di esperti di diversa estrazione e formazione su alcuni temi peculiari relativi al laicato. Che ne è dei laici dopo il Vaticano II? E soprattutto, che ne è della pur affermata loro “autonomia” ? Si collocano davvero nella Chiesa secondo le aspettative in esse maturate a partire da non pochi passaggi conciliari?


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