Messaggero 2014-26 Apr-Giu

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Aprile n째 Giugno 2014


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Aprile n° Giugno 2014

Dossier Concilio Vaticano II

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Messaggio dal Santuario

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La Pentecoste

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fra Callisto Caldelari

Bibbia e letteratura alla Biblioteca Salita dei Frati

MESSAGGERO

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Comitato Editoriale

Fernando Lepori

Francescani svizzeri laici al Bigorio Messaggio ecumenico

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fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Edy Rossi-Pedruzzi Gino Driussi Alberto Lepori

Hanno collaborato a questo numero

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Gino Driussi

Religioni nel mondo

Rivista fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano ISSN 2235-3291

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Maurizio Agustoni Famiglia Casoni Mario Corti Fernando Lepori Paolo Sala fra Andrea Schnöller don Sandro Vitalini

Alberto Lepori

Redazione e Amministrazione

Dieci minuti per te

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Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32

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Internet www.messaggero.ch www.facebook.com/messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch

fra Andrea Schnöller

Una favola vera Mario Corti

Abbonamenti 2014 ordinario CHF 30.sostenitore da CHF 50.CCP 65-901-8 IBAN CH4109000000650009018

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I collaboratori occasionali o regolari non si ritengono necessariamente consenzienti con la linea della rivista


L’Europa è presupposto di pace

L’

Unione Europea costituisce senza dubbio il più grandioso progetto politico dell’era contemporanea. La follia devastante della Seconda Guerra mondiale aveva dilaniato i popoli europei, contagiando l’intero pianeta in una carneficina di proporzioni inimmaginabili. Osservando a distanza di settant’anni quel periodo storico, stupiscono – più che le proporzioni colossali del massacro (75 milioni di morti) – le deliranti motivazioni del conflitto e la pazzia crepuscolare che sembrava intossicare interi popoli. Eppure, appena 6 anni dopo quegli eventi terribili, vi fu una generazione determinata a costruire un ideale di amicizia che oltrepassasse i confini nazionali. Il 9 maggio 1950 il Servo di Dio Robert Schuman, allora ministro degli esteri francese, pronunciò a Parigi un ispirato discorso con cui – partendo dalla constatazione che “L’Europa non è stata fatta e abbiamo avuto la guerra” e che “l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto – propose alla Germania e ai paesi vicini di istituire una Comunità europea del carbone e dell’acciaio. La cosiddetta CECA, creata il 18 aprile 1951, fu il primo passo verso un progressivo cammino di integrazione tra gli Stati europei. Nel 1957 fu il turno del Trattato di Roma, che istituiva la Comunità Economica Europea (CEE). Nel 1979 il Parlamento europeo fu eletto per la prima volta con il suffragio universale. Nel 1993, con il Trattato di Maastricht, viene di fatto fondata la moderna Unione Europea. L’ambizioso progetto di una Costituzione europea fu affossato nel 2005 dal voto popolare negativo di Francia e Paesi Bassi. Ciò non impedì l’allargamento e il rafforzamento istituzionale dell’Unione Europea, che conta oggi 28 Stati membri. La Svizzera, per diversi motivi, si è tenuta ai margini del processo di integrazione europea. La cittadinanza elvetica, a più riprese, ha espresso la volontà di conservare la più ampia sovranità rispetto all’Unione europea, rifiutando decisamente ogni ipotesi di adesione. Ciò non toglie che occorra guardare con schietta ammirazione al percorso di pace che gli Stati europei hanno saputo intraprendere negli ultimi 60 anni. Per lo stesso motivo, non si può nascondere una certa preoccupazione per la crescente, quasi rabbiosa, disaffezione che molti cittadini europei riservano all’Unione europea. Le elezioni europee del 25 maggio 2014 hanno delineato alcune tendenze per certi versi inquietanti: 1. la scarsa affluenza alle urne (43%): solo in 7 Stati su 28 la partecipazione è stata superiore al 50%. In Slovacchia appena il 13% degli elettori si è recato alle urne. 2. Il crescente successo dei partiti apertamente contrari all’integrazione europea. In Francia e in Gran Bretagna questi partiti sono diventati la prima forza politica. La miscela di indifferenza, sfidu-

cia e rancore – unita alla persistente crisi economica – ha il potenziale per fare riaffiorare tensioni foriere di plumbei presagi. Le istituzioni europee devono urgentemente mettersi all’ascolto dei cittadini e tentare di capire le ragioni dell’affievolimento del fervore comunitario. È evidente che un’Europa motivata unicamente da obiettivi economici è priva della solidità necessaria per superare periodi di crisi e di difficoltà. Già nel 2003, con l’esortazione apostolica Ecclesia in Europa, San Giovanni Paolo II aveva preconizzato la necessità di “un nuovo slancio per l’Europa” individuando nel riconoscimento dell’ispirazione cristiana un mezzo per “trasformare l’aggregazione politica, culturale ed economica in una convivenza nella quale tutti gli europei si sentano a casa propria e formino una famiglia di Nazioni”. L’obiettivo di un’Unione Europea costruita attorno all’identità cristiana sfiora l’utopia se lo si concepisce in un’ottica confessionale (secondo recenti inchieste appena la metà degli europei crede a una qualche forma di divinità), mentre appare più realistico se lo si intende come lo sforzo di raccogliersi attorno a valori comuni ispirati dalla comune eredità spirituale cristiana. È in fondo questa la sfida che attende i popoli europei nei prossimi anni; e dalla quale dipende la pace. Maurizio Agustoni

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Decreto conciliare sull’Ecumenismo

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ell’ultimo numero di questa rivista abbiamo parlato delle Chiese cattoliche orientali unite a Roma. In questo vogliamo trattare delle Chiese cristiane, orientali ed occidentali, staccate da Roma, tema che forma il soggetto di quel decreto del Concilio Vaticano II che ha, quale titolo in latino, Unitatis Redintegratio, detto più comunemente Decreto sull’Ecumenismo. Questo decreto, approvato dai padri conciliari il 21 novembre 1964, dopo un Proemio si divide in tre capitoli che cercheremo di sintetizzare. Vogliamo anche approfondire questo concetto di ecumenismo e lo facciamo riportando letteralmente, nella pagina seguente, la spiegazione che ne dà il decreto stesso al n°4 del primo capitolo. Il primo Capitolo di questo decreto espone i “Principi cattolici sull’ecumenismo”, constatando come la Chiesa fondata da Cristo sia oggi divisa, ma insistendo che il Signore Gesù ha fondato una sola Chiesa e che le divisioni sono subentrate dopo per motivi storici e teologici. Si parla però di “unità” della Chiesa e non si invoca l’uniformità, cosa desiderata da parecchi cattolici che vorrebbero riunire tutte le Chiese in un’unica istituzione che, per loro, dovrebbe essere la Chiesa cattolica romana. Il Concilio dice invece chiaramente che fuori della Chiesa cattolica si trovano elementi di unione, come la Parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, ecc. Perciò afferma che lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di tutti questi tesori comuni, veri strumenti di salvezza. Siamo lontanissimi dai tempi delle reciproche scomuniche. Il secondo Capitolo del Decreto parla dell’esercizio dell’ecumenismo e inizia dicendo che l’unione deve interessare tutti. Questa unione avverrà innanzitutto riformando la Chiesa stessa, lavoro già in

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atto, ma forse un po’ rallentato in questi ultimi anni. Una struttura che deve essere rinnovata è quella del Vescovo di Roma: non dimentichiamo che già papa Giovanni Paolo II diceva che un ostacolo all’ecumenismo era proprio la funzione del Sommo Pontefice romano. L’attuale papa Francesco ci fa sperare in questo rinnovamento. Ma non basta un rinnovamento delle strutture: è indispensabile una sincera conversione del cuore, una unione nella preghiera, una comunicazione delle cose sacre (liturgie ecumeniche). Indispensabile è la conoscenza reciproca fra le varie Chiese: molte divisioni sono nate dall’ignoranza che crea sospetto e genera lacerazioni. E, per conoscersi reciprocamente meglio, bisogna puntare su una formazione ecumenica costante a tutti i livelli. Il terzo Capitolo parla delle varie divisioni, quelle orientali e quelle occidentali. Le prime avvennero per la contestazione delle formule dogmatiche dei Concili di Efeso e Calcedonia e, più tardi, per la rottura della comunione ecclesiastica tra i Patriarcati orientali e la Sede Romana. Le altre sono sorte dopo più di quattro secoli, in Occidente, a causa degli avvenimenti che comunemente passano sotto il nome di Riforma Protestante. Tra quelle nelle quali continuano a sussistere delle strutture cattoliche, tiene un luogo speciale la Comunione anglicana. Tuttavia, nota realisticamente il Decreto, queste diverse divisioni differiscono molto tra di loro e non solo per ragione dell’origine, del luogo e del tempo, ma soprattutto per la natura e la gravità delle questioni spettanti la fede e la struttura ecclesiastica. Il decreto venne approvato con 2137 voti favorevoli e 11 contrari dai vescovi riuniti in Concilio e fu promulgato dal papa Paolo VI il 21 novembre 1964.


Unitatis Redintegratio L’ecumenismo 4. […] Per «movimento ecumenico» si intendono le attività e le iniziative suscitate e ordinate a promuovere l'unità dei cristiani, secondo le varie necessità della Chiesa e secondo le circostanze. Così, in primo luogo, ogni sforzo per eliminare parole, giudizi e opere che non rispecchiano con giustizia e verità la condizione dei fratelli separati e perciò rendono più difficili le mutue relazioni con essi. Poi, in riunioni che si tengono con intento e spirito religioso tra cristiani di diverse Chiese o comunità, il «dialogo» condotto da esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della propria comunione e ne presenta con chiarezza le caratteristiche. Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più vera e una stima più giusta della dottrina e della vita di ogni comunione. Inoltre quelle comunioni vengono a collaborare più largamente in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune, e possono anche, all'occasione, riunirsi per pregare insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di riforma. Tutte queste cose, quando con prudenza e costanza sono compiute dai fedeli della Chiesa cattolica sotto la vigilanza dei pastori, contribuiscono a promuovere la giustizia e la verità, la concordia e la collaborazione, la carità fraterna e l’unione. Per questa via a poco a poco, superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione ecclesiale, tutti i cristiani, nell’unica celebrazione dell’eucaristia, si troveranno riuniti in quella unità dell’unica Chiesa che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa, e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica, e speriamo che crescerà ogni giorno più fino alla fine dei secoli. È chiaro che l'opera di preparazione e di riconciliazione delle singole persone che desiderano la piena comunione cattolica, si distingue, per sua natura, dall'iniziativa ecumenica; non c'è però tra esse alcuna opposizione, poiché l'una e l'altra procedono dalla mirabile disposizione di Dio. I fedeli cattolici nell’azione ecumenica si mostreranno senza esitazione pieni di sollecitudine per i loro fratelli separati, pregando per loro, parlando con loro delle cose della Chiesa, facendo i primi passi verso di loro. E innanzi tutto devono essi stessi con sincerità e diligenza considerare ciò che deve essere rinnovato e

realizzato nella stessa famiglia cattolica, affinché la sua vita renda una testimonianza più fedele e più chiara della dottrina e delle istituzioni tramandate da Cristo per mezzo degli apostoli. Infatti, benché la Chiesa cattolica sia stata arricchita di tutta la verità rivelata da Dio e di tutti i mezzi della grazia, tuttavia i suoi membri non se ne servono per vivere con tutto il dovuto fervore. Ne risulta che il volto della Chiesa rifulge meno davanti ai fratelli da noi separati e al mondo intero, e la crescita del regno di Dio ne è ritardata. Perciò tutti i cattolici devono tendere alla perfezione cristiana e sforzarsi, ognuno secondo la sua condizione, perché la Chiesa, portando nel suo corpo l’umiltà e la mortificazione di Gesù, vada di giorno in giorno purificandosi e rinnovandosi, fino a che Cristo se la faccia comparire innanzi risplendente di gloria, senza macchia né ruga. Nella Chiesa tutti, secondo il compito assegnato ad ognuno sia nelle varie forme della vita spirituale e della disciplina, sia nella diversità dei riti liturgici, anzi, anche nella elaborazione teologica della verità rivelata, pur custodendo l’unità nelle cose necessarie, serbino la debita libertà; in ogni cosa poi pratichino la carità. Poiché agendo così manifesteranno ogni giorno meglio la vera cattolicità e insieme l’apostolicità della Chiesa. D’altra parte è necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati. Riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo talora sino all’effusione del sangue, è cosa giusta e salutare: perché Dio è sempre mirabile e deve essere ammirato nelle sue opere. Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene compiuto nei fratelli separati, può pure contribuire alla nostra edificazione. Tutto ciò che è veramente cristiano, non è mai contrario ai beni della fede ad esso collegati, anzi può sempre far sì che lo stesso mistero di Cristo e della Chiesa sia raggiunto più perfettamente. Tuttavia le divisioni dei cristiani impediscono che la Chiesa realizzi la pienezza della cattolicità a lei propria in quei figli che le sono certo uniti col battesimo, ma sono separati dalla sua piena comunione. Inoltre le diventa più difficile esprimere sotto ogni aspetto la pienezza della cattolicità nella realtà della vita. […]

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Domande a don Sandro Vitalini Cosa è cambiato dopo il Concilio nel movimento ecumenico? È anche lei d’accordo che dopo una prima fiamma entusiasta è subentrata una stasi? Dopo il Concilio, nel movimento ecumenico è cambiato molto e poco. Mi si perdoni la contraddizione. Per “molto” intendo il clima che si è instaurato con il Vaticano II. Le chiese non in piena comunione con Roma vi hanno inviato i loro osservatori. E’ stato prodotto un documento significativo sull’ecumenismo di tale intensità che si pensava che l’unità fosse a portata di mano. Ci si è resi conto che è molto più quello che ci unisce di quello che ci divide, come spesso ha ripetuto papa Giovanni XXIII. Paolo VI in un discorso affermava che la ritrovata unità tra i cristiani sarebbe stata il maggiore avvenimento del XX secolo. Purtroppo nei fatti “poco” è cambiato. Dalla primavera conciliare si è passati all’inverno post-conciliare. La Chiesa cattolica si è di nuovo considerata l’unica vera Chiesa di Cristo, l’unica depositaria dei mezzi di salvezza, e ogni forma d’intercomunione è stata esclusa. I testi e lo spirito del Concilio sono stati prima frenati e poi fermati e infine s’è fatta ancora marcia indietro, cercando di recuperare anche il gruppo che aveva rifiutato il Concilio (Ecône). E’ emersa la paura che l’unità avrebbe cambiato i connotati delle comunità cristiane. Di fatto i cristiani che si riconoscessero fratelli in un’unica Chiesa si sentirebbero diversi, tutti figli del Padre, tutti inviati a portare al mondo il Vangelo. Se pensiamo che un tempo si sgozzarono a vicenda e una Chiesa scomunicò l’altra, il passo è notevole. Purtroppo questo triste inverno, superato solo con il servizio umile di papa Francesco, ci lascia ancora congelati. Che ne pensa di ciò che disse Giovanni Paolo II in merito al Sommo pontificato Romano quale ostacolo all’Ecumenismo? Il servizio petrino va ripensato alla luce di quanto la Chiesa unita visse nel primo millennio. Le chiese particolari godevano di ampia autonomia e la Chiesa di Roma, che con il suo vescovo presiedeva l’amore universale, era vista come l’ultima istanza per chiarificare questioni di fede, ma soprattutto come la Chiesa del primato nel servizio alla carità universale in vista di servire i poveri, di nutrire gli affamati, di liberare gli schiavi. Un Vangelo non ancorato in un concreto servizio diaconale non è credibile e si smentisce da

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sé stesso. Il vescovo di Roma è il servo dei servi di Dio e non può essere paragonato ad un dominatore di questo mondo. Con la sua Chiesa cerca di aiutare le altre a vivere in armonia, ma rispetta le loro scelte (come quella dei vescovi) e il genio liturgico specifico. Il vescovo di Roma non è “vicario” sostituto di Cristo, ma l’umile suo servo. Questo recupero del messaggio evangelico ridimensiona la curia romana al servizio della Chiesa di Roma e ridà al suo vescovo quel primato d’amore e d’onore che tutte le chiese del mondo sarebbero pronte a riconoscere, nella linea della più antica tradizione. Papa Francesco ha aperto una prospettiva tanto nuova quanto antica. Anche se ha commosso il mondo intero, egli è aspramente osteggiato dagli ambienti ultraconservatori anticonciliari. Auguriamoci che egli possa dare alla Chiesa cattolica romana un minimo di struttura collegiale permanente, così che le riforme appena iniziate si approfondiscano e stabilizzino la Chiesa nell’ottica conciliare anche nei secoli futuri. Sia P. Congar che K. Rahner avevano denunciato il pesante freno che la curia applicava al Vaticano II. Solo una nuova struttura collegiale (non simbolica come il Sinodo dei Vescovi) ci assicurerà che gli orientamenti di papa Francesco non potranno più essere affossati (come capitò con la morte di papa Giovanni). Secondo lei quali sono i prossimi urgenti passi per arrivare non a una uniformità ma a una unità delle Chiese cristiane? E’ indispensabile un’umile confessione del proprio peccato, oltre che dei propri limiti, di ogni singola chiesa. Sarà allora possibile che le chiese imparino a perdonarsi, ad ascoltarsi, ad apprezzarsi a vicenda. Le chiese dovrebbero recuperare il “criterio escatologico”: è eterno e immutabile ciò che vale per la Chiesa celeste: la parola di Cristo, condivisa nell’amore fraterno. Le chiese si sono già date delle direttive comuni sul riconoscimento del battesimo, dell’eucaristia e del ministero ordinato (BEM). Qui ci sono già i principi che ci permettono di arrivare all’intercomunione nel riconoscimento dei vari ministeri. Se si arriva all’intercomunione si riconosce ad ogni chiesa la dignità di sorella e i cristiani ritrovano l’unità, pur restando diverse le loro tradizioni e le loro discipline. Di fatto nei cieli il vissuto essenziale sarà di questo tipo: non ci saranno steccati tra cattolici e protestanti e nemmeno tra cristiani e non cristiani. In un amore fraterno attinto alla Trinità tutte le creature vivranno l’essenziale della vita in Dio. Quanto più noi già sulla terra ci avviciniamo a vivere


Ampliamo gli orizzonti

L

a caratteristica del concilio Ecumenico Vaticano II è quella di essere stato non dogmatico ma pastorale. Nessuna proclamazione di verità di fede, nessun anatema, bensì l’apertura ad una rinnovata comprensione dei contenuti essenziali della fede, nello sforzo rendere il messaggio evangelico più trasparente e comprensibile agli uomini d’oggi. Anche il documento sull’ecumenismo non porta alcuna novità sostanziale dal punto di vista dottrinale, ma un modo diverso di considerare i rapporti con le altre chiese cristiane, sia dal punto di vista teologico sia da quello pratico. Una prima osservazione è di ordine linguistico: gli appartenenti alle altre chiese sono chiamati “fratelli separati”. Questo termine, mentre marca le differenze, indica un rapporto di dialogo anziché di condanna. Ciò è stato reso possibile, sul piano teologico, dalla riscoperta di una ecclesiologia che definisce la Chiesa come “popolo di Dio” prima che entità giuridica gerarchicamente costituita e ne riscopre il fondamento su Cristo, sulla Parola Dio rivelata attraverso la Scrittura, sul Battesimo condiviso da tutti coloro che si riconoscono nella stessa fede. Una visione che sottolinea l’inclusività rispetto all’esclusività; per usare l’espressione di Giovanni XXIII, l’attenzione va posta più su quello unisce che su quello che divide. Nel testo non appare mai il termine “ritorno” che caratterizzava i primi passi dell’ecumenismo preconciliare, la cui la finalità era vista, da parte cattolica, come un ritorno all’ovile delle pecore smarrite che avevano abbandonato l’unico vero pastore, il Pontefice romano. La via dell’unità viene ora vista come un percorso di conversione, da parte di tutte le Chiese, verso una maggiore fedeltà all’unico Signore. Si tratta di un rovesciamento di prospettiva che ha avuto conseguenze di rilievo per il dialogo ecumenico e che ha portato le relazioni tra le Chiese – ma più ancora fra Cristiani di chiese diverse – ad una condizione fino a pochi decenni fa impensabile. Guardando al documento conciliare a mezzo secolo di distanza, anche in base all’esperienza delle difficoltà che l’ecumenismo, dopo l’entusiasmo dei primi tempi, sta attraversando oggi, ne scopriamo tuttavia anche i limiti. Quello principale sta nella coscienza, che la Chiesa cattolica continua ad avere, di essere l’unica a possedere in modo completo le caratteristiche della “vera”

Chiesa in grado di disporre pienamente dei mezzi della salvezza. “Infatti, solo per mezzo della cattolica chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza (Cap.1,3). Certo, nessuno fra coloro che professano la fede in Cristo, anche fuori dalla Chiesa cattolica, è escluso dalla salvezza e tutti sono riconosciuti come fratelli in Cristo, ma ”in forza di una certa parziale comunione, sebbene imperfetta con la chiesa cattolica”. A proposito dell’”unità dell’una e unica chiesa”, il testo dice “crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella chiesa cattolica”. La conseguenza é un diverso modo di riconoscere il carattere di “ecclesialità” alle altre denominazioni cristiane, in base all’aver conservato o meno elementi ritenuti essenziali, come la successione apostolica tramite l’episcopato e i ministeri ordinati. Così i “fratelli separati” restano divisi in due categorie, secondo “la natura e gravità” degli elementi di divisione “che riguardano la fede e la struttura ecclesiastica”: mentre a quelle d’Oriente non in comunione con Roma viene riconosciuto lo statuto di “Chiese”, quelle d’Occidente, nate dalla Riforma, devono accontentarsi di essere considerate “Comunità ecclesiali”. Questa prospettiva, anche se ha una propria logica all’interno della concezione cattolica romana, non favorisce un ecumenismo a tutto campo, come le difficoltà attuali stanno dimostrando. È proprio su queste questioni, non certo marginali, che il dialogo ecumenico, passato il fervore e l’entusiasmo dei tempi del Concilio, sta incontrando gravi difficoltà. La strada da percorrere rimane lunga e non di tutto riposo. Paolo Sala Presidente della Comunità di lavoro delle Chiese Cristiane del Canton Ticino

questo “essenziale”, questo “unico necessario”, tanto più comprendiamo che per tutti c’è “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti

ed è presente in tutti” (Efesini 4, 5-6). Si raggiunge così il felicissimo fine dell’intera creazione: “che Dio sia tutto in tutti” (1Corinzi 15, 28).

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Vita in Santuario Riprendiamo la cronaca del Santuario a partire dal punto in cui l’abbiamo interrotta, ossia dal 16 febbraio 2014. Concluse le feste natalizie, la vita e le attività in Santuario sono andate progressivamente scemando, come sempre nel periodo invernale. A parte gli appuntamenti domenicali, a rompere il silenzio è stato un gruppo di aderenti al Club Alpino Svizzero di Locarno, che hanno visitato il Convento e il Santuario del Sasso mercoledì 25 febbraio. Per l’occasione, Lauro Filipponi ha illustrato prerogative e difetti dell’organo installato nella Chiesa del Sasso nel 1961 da parte della ditta Balbiani-Vegezzi e Bossi di Milano. L’organo, che ha sostituito quello della rinomata ditta Mascioni di Cuvio installato nel 1923, è dotato di una consolle a tre tastiere, con un complesso di tremila canne e settantun registri. Con la sua consueta maestria, Lauro Filipponi ha permesso ai convenuti di gustare, in dieci magici minuti, la ricca gamma di suoni e di combinazione di suoni che lo strumento, utilizzato a dovere, propone sia all’organista che ai devoti ascoltatori. Sabato 5 aprile, invece, l’Ensemble Vocale Ermitage di Pietroburgo ha offerto un eccezionale esecuzione di canti russi per voci maschili, senza lasciarsi per nulla condizionare dalla purtroppo ridotta presenza di pubblico. Intanto continuano regolarmente gli incontri di meditazione, iniziati già in novembre. Ogni lunedì e martedì sera, dalle ore 20.15 alle ore 21.45 due gruppi distinti di meditanti s’incontrano al Santuario per praticare insieme la meditativa nel raccolto e suggestivo ambiente della cripta ricavata dal seminterrato sottostante l’altare ed il presbiterio della chiesa del Sasso. Sabato 15 marzo sono presenti al Sasso i ragazzi dell’Oratorio di Balerna con don Sebastiano che, dopo la visita guidata al Santuario, celebra per loro l’Eucaristia. Segue il pranzo al sacco nella sala dei Pellegrini. Con l’inizio della Quaresima, a partire da venerdì 21 marzo, un consistente gruppo di persone si è incontrato regolarmente alla pratica della Via Crucis. L’appuntamento era alle ore 17.45 di ogni venerdì presso la chiesetta dell’Annunciata, ai piedi del Monte. Da qui si saliva processionalmente al Santuario, sostando per brevi momenti di preghiera e di meditazione davanti ai misteri della Passione del Signore raffigurati nelle 14 cappelle che costeggiano l’irto sentiero che, passo dopo passo, conduce il pellegrino alla basilica del Sasso. In occasione delle feste Pasquali il concorso di fedeli al Santuario è stato alquanto ridotto sia il Giovedì che il Venerdi santo, a motivo soprattutto dell’incertezza del tempo. E’ decisamente aumentato per

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la Veglia pasquale del Sabato santo e, in seguito, per le celebrazioni della Domenica di Risurrezione. Nel pomeriggio della domenica di Pasqua, alle ore 15, la violinista Raffaella Teresa Morelli ha offerto agli amici e alle persone convenute e presenti al Santuario un apprezzato concerto, che ha riscosso lunghi applausi, con musiche di Paganini e di altri compositori della fine ’700-inizio ’800 italiani. Lunedì di Pasqua ha avuto luogo la prima processione votiva della Gente del Piano: Cugnasco, Gerra Piano, Riazzino, Gordola, Tenero. Subito dopo era presente un gruppo filippino di una cinquantina di persone, il cui accompagnatore ha presieduto, insieme a padre Titus alla Messa delle ore 11 in Santuario. Sabato 29 marzo la Società Ticinese di Belle Arti ha tenuto al Sasso la sua assemblea, preceduta da una visita al Santuario condotta da Lara Calderari, storica dell’arte e collaboratrice dell’Ufficio dei beni culturali del Canton Ticino. L’incontro ha consentito di ripercorrere le varie fasi dei lavori di restauro e di ammirare il complesso del Sasso nel suo ritrovato valore artistico, storico e culturale. Erano presenti una buona cinquantina di associati. Sabato 26 aprile, sono stati accolti festosamente al Santuario i fedeli delle parrocchie di Minusio, Muralto, Orselina, Brione sopra Minusio e Mergoscia, per quello che viene considerato il secondo pellegrinaggio annuale e votivo al Sasso della regione del locarnese. In occasione del 1° maggio sono ospiti in Santuario il gruppo del Piccolo Coro dei bambini della parrocchia di S. Teresa di Viganello, accompagnati all’organo dal maestro Stefano Keller e sotto la direzione di Annamaria Marzini. Animano con i loro canti la messa celebrata appositamente per loro alle 10.30, ma alla funzione partecipano pure molti pellegrini e turisti affascinati dal lieto evento. Nella stessa mattinata è presente al Santuario un numerosissimo gruppo di pellegrini provenienti da Varese che, dopo la Messa celebrata alle 11.30, pranzano al sacco nella sala del pellegrino. Domenica 4 maggio si danno appuntamento al Sasso le parrocchie del Gambarogno: Magadino, Gerra Gambarogno, Vira Gambarogno, San Nazzaro per la terza tradizionale processione votiva annuale del locarnese al Santuario nell’immediato dopo Pasqua.


Messaggio dal Santuario Echi dal passato Riprendiamo la storia degli inizi del Santuario della Madonna del Sasso, seguendo, come abbiamo fatto l’ultima volta, la descrizione che ne fanno Giacomo Stoffio, canonico di Locarno, nel 1625, e padre Michele Leoni del convento di S. Francesco in Locarno, nel 1677. Riassunto introduttivo: Il Santuario della Madonna del Sasso fa parte di tutta una costellazione di luoghi di pellegrinaggio dedicati a Maria. Di questi luoghi, sia lo Stoffio che il Leoni tessono un convinto elogio, perché sono luoghi preziosi, di crescita spirituale e di grazia. Questo è ciò che ci è stato detto nell’ultimo appuntamento, che era anche il primo, dai due citati autori. Proseguendo nel discorso, ora essi ci descrivono le origini del Santuario del Sasso e i suoi primi sviluppi. Si parte con la descrizione dell’apparizione della Madonna a fra Bartolomeo d’Ivrea la notte della vigilia dell’Assunta, nel lontano 1480. Fra Bartolomeo risiedeva allora nel Convento di San Francesco in Locarno e, non potendo prendere sonno, si reca sul loggiato del Convento, quello che dava sul mezzogiorno. La Madonna gli appare sul Monte dirimpetto, ed egli cade in uno stato estatico. E’ ricondotto alla realtà contingente da un frate, il quale di buon mattino si recava in chiesa per la preghiera comunitaria del mattino. Avvertito del fatto, il superiore del convento impartisce a fra Bartolomeo di raccontargli per filo e per segno l’accaduto e, in seguito alla sua confessione, fra Bartolomeo chiede di potersi ritirare come eremita sul Sasso. Ottiene il beneplacito di fra Francesco Sansone, allora superiore generale di tutti i frati. Nel contempo, i fratelli Masina, proprietari di luogo, gliene fanno libera donazione. Ritiratosi sul Monte, fra Bartolomeo dà avvio alla costruzione di una piccola cappella, trovando per se stesso dimora in una grotta che si trova nelle immediate vicinanze. Inizia così la sua vita eremitica al Sasso. La donazione dei fratelli Masina è confermata da un Breve papale datato al 16 febbraio 1498, che porta la firma di papa Alessandro VI ed è conservato nel convento di San Francesco in Locarno. In seguito, al posto della cappella o al di sopra di essa, sulla sommità del Sasso, fra Bartolomeo costruisce una chiesetta con un altare, dedicata a Maria Avvocata. Chiesetta e altare sono consacrati il giorno 15 giugno 1487 dal vescovo di Como, mons. Branda Castiglione. Poco sotto erige una piccola casa e, ac-

canto a essa, un’edicola o oratorio detto della Pietà, perché ospita l’altare ligneo del compianto di Cristo morto, che ancora oggi si ammira sotto la seconda arcata della cosiddetta «Casa del Padre», situata sul lato destro del chiostro conventuale per chi scende da Orselina al Santuario. Nel frattempo il concorso di pellegrini e devoti al Sasso si accresce di giorno in giorno e, con esso, le perplessità e le contestazioni, ma forse soprattutto le gelosie di alcuni. I frati del convento di S. Francesco in Locarno ne prendono atto e sollecitano dagli eredi Masina una conferma scritta delle donazioni fatte a fra Bartolomeo dai loro predecessori. Nel contempo si fa richiesta alla Curia Romana di confermare per iscritto la legittima presenza dei frati al Sasso. Papa Leone X risponde con una Bolla papale conservata nel convento di Locarno, che porta la data del 10 gennaio 1515. Il concorso di fedeli e la devozione alla Madonna del Sasso si accrescono ulteriormente, soprattutto in seguito alle due visite che san Carlo Borromeo, vescovo di Milano, fece al Santuario del Sasso. La prima risale al 5 ottobre 1567, ed è posto in concomitanza con la sua visita pastorale in Leventina, val Blenio e la Riviera. La seconda è del 14 agosto 1570, quando san Carlo, cardinale protettore dell’Ordine francescano, fu nuovamente ospite al convento di San Francesco in Locarno. In entrambe le occasioni, san Carlo ebbe modo di conoscere e di apprezzare alcuni nobili e influenti sostenitori, promotori e amministratori del Santuario del Sasso, chiamati allora «Sindici». Tra questi sono citati il Sig. Baldassaro Lugsinchero, l’alfiere Giovanni Antonio de Orello, e il luogotenente Agosto Badi; come pure i loro figli, ossia il Sig. podestà Francesco di Orello e il luogotenente Giovanni Pietro Badi. Si menzionano pure i nomi dei «sindici» Giovanni Antonio Marcatio e degli alfieri Giuseppe Orelli e Olivero Bacciocco. Vengono inoltre ricordati, nel contesto della prima visita di san Carlo, il nome di fra Bartolomeo da Fusio, guardiano al Sasso e, in occasione della seconda visita, quelli di padre Lodovico Marcazio e del suo successore, padre Lodovico Griffo da Varese. Di quest’ultimo si precisa che fu superiore al Sasso per ben 27 anni continui, nei quali presiedette con zelo ai lavori di costruzione che si stavano eseguendo sul Sacro Monte. Detti frati – si afferma – fecero un uso intelligente e coscienzioso delle elemosine che aumentavano di giorno in giorno, a motivo del crescente numero di fedeli che accorrevano al Sasso. Prima di proporvi il testo originario dello StoffioLeoni, può essere utile precisare alcuni punti: fra Barto-

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lomeo d’Ivrea, riconosciuto quale ispiratore e fondatore del Sacro Monte del Sasso, muore tra il 1511 e 1513. E’ sepolto nella chiesa dell’Annunciazione, ai piedi del Monte, che fu consacrata nel 1502. Al tempo del suo trapasso esistevano quindi sul Monte del Sasso la chiesetta con un altare, consacrati del vescovo di Como, mons. Branda Castiglione il 15 giugno 1487 e dedicata a Maria Avvocata. Poco sotto la casetta destinata a ospitare l’eremita o forse tale da poter accogliere una piccola comunità di frati. Accanto a essa l’edicola della Pietà. Infine, ai piedi del Monte, la chiesa dell’Annunciata. Tutte la costruzione delle altre cappelle e delle vie d’accesso al Monte del Sasso risale a un epoca che è posteriore a quella della morte di fra Bartolomeo. Il periodo forte di tali interventi è sicuramente quello va dal 1513 al 1625, anno in cui lo Stoffio pubblica la prima Storia della Madonna del Sasso. Altri interventi, ma sicuramente più modesti, si hanno nel periodo che va dal 1625 al 1677. Di questi successivi interventi riferisce padre Michele Leoni, che aggiorna la Storia dello Stoffio con notizie scritte in corsivo. Ma va anche detto che, fin dagli inizi, i ritmi d’intervento al Sasso sembrano subire delle continue oscillazioni, con momenti di forte attività e altri di arresto. Nel 1596, ad esempio, l’arciprete Banfi di Locarno, descrivendo le cappellette locarnesi, annota che «se fossero ben ornate rassembreriano al sacro monte di Varallo, ma sono sguarnite et non vi

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si fa più diligenza». A 29 anni di distanza, invece, lo Stoffio non esita ad attestare che gli ultimi «Sindici» da lui menzionati, ossia il signor podestà Francesco di Orello e il luogotentente Giovanni Pietro Badi, «seguendo i virtuosi paterni vestigi» si sono dimostrati molto zelanti nel rinnovare, ingrandire e perfezionare la chiesa del Sasso, tanto che questa «hora è una delle più belle e più ben tenute che in questi contorni si vegghino». Ma ecco a voi ora il testo originario dello Stoffio-Leoni.

Descrizione della devotissima chiesa di Santa Maria del Sasso ad opera di Giacomo Stoffio di Locarno e di Michele Leoni, francescano «L’Anno del Signore 1480 habitava di famiglia nel Venerando e Antichissimo Convento di S. Francesco di Locarno, dell’Ordine de’ Minori Conventuali, un Fra Bartolomeo da Ivrea, Religioso di santi costumi dotato e della Santissima Vergine divotissimo. Solea costui tra l’altre sue divozioni digiunare i Sabati e le Vigilie della Madonna, contentandosi in quei giorni di gustar solo un poco di pane e acqua: e havendo osservato questo solito digiuno suo la Vigilia dell’Assonzione dell’istessa Gloriosa Vergine, si ritirò la sera in camera per riposarsi; ma essendovisi fermato un pezzo senza poter prender sonno, parea che in essa quella notte non trovasse riposo; onde – e fu volere Divino – uscito dalla cella inviossi dicendo la Corona della Madonna in capo del dormitorio, verso mezzo giorno, dove prima che il Convento fosse rinovato, era una loggia, qual guardava anco l’Orien-


Messaggio dal Santuario te verso il Borgo e famosissimo all’hor suo Castello; e quivi sopra un muretto appoggiatosi, vide verso il Monte poco più alto del Borgo, un grandissimo splendore; e in mezzo un’Immagine di Maria Vergine col Santissimo Figliuolo in braccio, che posava sopra un luogo addimandato all’hora il Monte delli Masina. Né fu questa visione subitanea o per poco tempo, poiché egli stette mirando e godendo di tal’apparizione sin’alla mattina all’hora che si levanvano i Padri per gire in Chiesa al Matutino. Et però uno di loro, che primo capitò sopra l’istessa loggia, vidde questo Venerando Padre, qual stava immobile, quasi fuori di sé, onde pigliatolo per un braccio gli adimandò che haveva di starsene così astratto; ed egli, quasi piangendo, soggiunse: “M’havete privato d’una somma consolazione”; e perché era costui tenuto – come in fatti fu – huomo di santa vita, communicò quel Frate la risposta di Fra Bartolomeo al Guardiano, qual gli comandò che in virtù di santa obbedienza dicesse che consolazione o gusto era quello, dal quale diceva esser stato sturbato; per il che gli convenne scuoprire tal sua visione, et con questa occasione dimandò licenza a’suoi Superiori di poter habitare come Romito sopra questo luogo, ove vidde posare la Beatissima Vergine. Et così ottenuta dal suo Generale, che a quei tempi era Fran Francesco Sansone, la licenza et dalli suddetti Masina la cessione e donazione del dominio che havevano sopra tal luogo – confirmata doppo et alla lui Religione applicata per un Breve di Papa Alessandro VI, dato in Roma li 16 Febraro 1498, come si vede nell’Archivio delle Scritture del sudetto Venerabile Convento – cominciò a farvi edificare una divota Capella, sotto la quale in una grotta, dalla natura assai capace fatta, visse lui per alcuni anni. Tra tanto – a quisa di un nuovo Gedeone, a cui fu detto dal Signore: Nemus, quod circa aram est succide, et aedificabis Altare Domino Deo tuo in summitate petrae huius1 – fece fabricare nella sommità del sasso una Chiesuola, et in essa un altare, quali un giorno di Venerdì alli 15 di Giugno dell’anno 1487 furono consacrati dal Reverendissimo Branda Castiglione Vescovo di Como; e poco più a basso fece erigere un luoghetto per abitazione sua, ancorché la maggior parte del tempo egli consumasse nella su1. Libera citazione del comando che il Signore impartisce a Gedeone in Gd 6,25-26: «Demolisci l’altare di Baal e taglia il palo sacro che gli sta acconto. Costruisci un altare al Signore tuo Dio sulla cima di questa roccia».

detta Grotta; e congionto ad esso suo abitacolo un Oratorio della Santa Pietà, di cui si farà menzione più a basso. Ma cominciando il Sacro Luogo ad esser frequentato, parve che li sudetti RR. Padri sentissero non sò che molestia intorno a quello, e però dibitando eglino di sentirne maggiore in progresso di tempo, massime che s’era smarrito l’Istromento di donatione fatta dalli sodetti Masina, quella fecero ratificare dalli loro heredi e poscia, supplicatone il Sommo Pontefice per l’approbazione et unione di tal luogo al sodetto Convento, l’ottennero da Leone Papa X, come appare per la Bolla data in Roma l’anno 1514, li dieci di Gennaio, in virtù della quale sono li detti RR. Padri sempre conservati nel pacifico possesso di quella Chiesa. Et se bene la divozione a questo Sacro Luogo sia sempre andata crescendo, tuttavia si vede avanzata notabilmente da che due volte fu visitato da S. Carlo: l’una fu l’anno 1567, alli 5 Ottobre, essendo all’hora il Santo Protettore dell’Ordine di S. Francesco, con occasione che si conferiva la prima volta alla visita delle tre Valli Levantina, Bregno et le Riviere, alloggiò nel sodetto Convento di S. Francesco e salì anco a questo Sacro Sasso, restando molto sodisfatto di così bella divozione; e nel scendere che fece, essendoli raccontato come et da chi hebbe principio, disse a molti Signori di

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Locarno che l’accompagnavano – fra’ quali v’era Fra Bartolomeo da Fusio, Guardiano, et il Sig. Baldassaro Lugsinchero, Sindico molto benemerito di detta Chiesa – che la Santissima Vergine haveva fatto singolar favore à quelle Parti, essendosi compiaciuta d’esser sopra di questo Sasso honorata; et essortando quelli Signori a tener conto di tal luogo, al quale predisse anco il gran concorso che così dalli vicini come lontani Paesi dovea farsi, con queste proprie parole: Fluent a ad eam omnes gentes.2 La seconda volta che visitò et celebrò in questo Sacro Luogo fu l’anno 1570, li 4 Agosto, et anco all’hora fu ricevuto nel medesimo Convento di S. Francesco, onde è che quei Padri tengono particolar’ ordine delle 2. «Vi affluiranno tutte le genti».

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Visite de’suoi Generali, che la Camera di S. Carlo si debba tenere con divozione. Crescendo dunque sempre più il concorso de’ Fedeli verso questi Santi Luoghi, con le molte elemosine che venivano offerte, con la diligenza del Rev. Padre Lodovico Marcazio, et dopo molti anni, del Padre Lodovico Griffo da Varese, quale governò questa Benedetta Chiesa e Fabbrica per spazio di 27 anni continui, aggiuntavi anco la singolar cura, sollecitudine e larghe sovenzioni delli Signori Giovanni Antonio de Orello Alfiere et Agosto Badi Luogotentente Sindici, Gentilhuomini timorati di Dio, fedeli dispensatori e molto zelanti dell’accrescimento di questa Fabrica, nel qual’officio di Sindicato doppo la loro morte successero li Signori Podestà Francesco di Orello e il Luogotentente Giovan-

A DIO OTTIMO E MASSIMO. QUESTO LUOGO DEL SASSO FU DONATO AI FRATI MINORI DI SAN FRANCESCO DALLA FAMIGLIA MASINA DEL MONTE. FRA BARTOLOMEO DA IVREA VI ABITÒ DOPO AVER COSTRUITO UN ORATORIO DEDICATO ALLA BEATISSIMA MADRE DI DIO NEL ANNO 1485. ALESSANDRO VI NE FECE LIBERA CONCESSIONE AL DETTO ORDINE NELL’ANNO 1498. LEONE X LO DICHIARO’ ESENTE DA OGNI ALTRA GIURISDIZIONE. FILIPPO ARCHINTE, VESCOVO DI COMO, CONSACRO’ LA CHIESA IL 1 MAGGIO 1616. LODOVICO CONTE DI SAREGO, VESCOVO DI ADRIA E NUNZIO APOSTOLICO, INCORONO’ L’EFIGE DELLA MADRE DI DIO NELL’ANNO 1617. IL PADRE GIOVANNI FELICI LUCIAGO DI BRESCIA, MAESTRO E MINISTRO PROVINCIALE, IN VISITA A MILANO ORDINO’ DI POSARE QUESTO PERPETUO

MONUMENTO, PRESCRITTO ALLORA DAL PADRE GIACOMO DA BAGNACAVALLO, MAESTRO E GENERALE DEL SUDDETTO ORDINE, E ORA DA PADRE FELICE DA CASSINA, MAESTRO E VICARIO GENERALE APOSTOLICO, AI PADRI GIOVANNI BATTISTA TOMEO BACCALAUREATO E GUARDIANO, BENEDETTO ROVERE MAESTRO E VICARIO DI QUESTO LUOGO, TRAMITE IL SIGNOR MELCHIORRE LUSSI, SCRIBA PRESSO GLI ILLUSTRISSIMI E POTENTISSIMI SIGNORI DEI SETTE CANTONI CATTOLICI E I SIGNORI CAVALIERI CRISTOFORO ORELLI, GIOVANNI ANTONIO MARCACCI FISCALE, E GIOVANNI ANTONIO MAINOLO CHE, IN QUALITA’ DI SINDACI, CURANO LA COSTRUZIONE DI QUESTA AUGUSTISSIMA CASA PER VOLONTA’ DEI SUPERIORI DEL DETTO ORDINE. IL 10 LUGLIO 1624


Messaggio dal Santuario ni Pietro Badi, loro figliuoli, quali come sono stati veri imitatori de gli altri virtuosi paterni vestigi, così nel praticolare di questo (si sono dimostrati) molto desiderosi che la Santissima Vergine nostra Signora fosse qui venerata, dove ogni giorno et hora molte grazie alli suoi divoti concede; (e quindi) procurarono che si rinovasse, aggrandisse e riducesse a tal perfezione questa Chiesa, che hora è una delle più belle e più ben tenute che in questi contorni si vegghino. Di presente – aggiunge in corsivo padre Michele Leoni nel 1677 – sono Sindici l’Illustrissimo Sig. Giovanni Antonio Marcatio, il Nobile e Molto Illustre Sig. Alfiere Giuseppe Orelli, et il Nobile Sig. Olivero Bacciocco, qual’ anco è Cassiere della Fabbrica e Cancelliere d’essa e Convento. Tutti tre questi signori Sindici

Eremo o Sacro Monte?

con l’indefesso impiego dell’opere personali e spesso delle proprie loro sostanze chiaramente dimostrano quanto eglino sijno devoti della Santissima Vergine, quanto desiderosi dell’accrescimento di questo suo Santo Luogo, e quanto amorevoli e caritativi verso i Religiosi suoi Servi. L’anno poi del Signore 1616, il primo giorno di Maggio, fu insieme coll’Altare Maggiore con grandissima solennità e infinito concorso de’ popoli consacrata da Monsignor Illustrissimo e Reverendissimo Filippo Archinto Vescovo di Como, ritrovandosi all’hora, conforme la solita diligenza sua Pastorale alla Visita della Pieve di Locarno, e concesse la solita Indulgenza di 40 giorni alli Fdeli che nell’Anniversario giorno di tale consegrazione visitaranno la sodetta Chiesa».

Se si scarta l’apparizione, l’altra questione non ancora del tutto risolta riguarda la motivazione che condusse fra Bartolomeo a ritirarsi sul Monte del Sasso. C’è chi, come fa Virgilio Gilardoni, la identifica con la volontà di costruirvi un Sacro Monte, a imitazione di quanto stava già facendo padre Bernardino Caimi a Varallo. Altri invece, come sostiene padre Callisto Caldelari, ritengono che l’ispirazione iniziale di fra Bartolomeo fosse quella che lo conduceva verso una forma di vita eremitica, dimensione che contrassegna le origini e che riemerge di continuo nella storia del francescanesimo, e solo in un secondo momento quella del Sacro Monte.

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La Pentecoste

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ontinuando questa rubrica liturgica iniziata nell’ultimo numero, parliamo della successiva grande festività: la Pentecoste.

Già il nome – Pentecoste – evoca una grande storia. Era la festività ebraica che il Popolo Eletto, liberato dalla schivitù dell’Egitto festeggiava per ricordare l’alleanza avvenuta cinque anni dopo la fuga dal faraone sul Monte Sinai. In quell’occasione Mosè ricevette le Tavole della Legge che consegnò al popolo. Momento fondamentale nella storia d’Israele che meritava di essere ricordato annualmente, almeno dopo l’entrata nella Terra Promessa. L’evangelista Luca, autore di quel bellissimo libro dal titolo “Atti degli Apostoli” scrive che la Chiesa primitiva di Gerusalemme, formata dagli apostoli e da non molti altri discepoli, proprio il giorno della Pentecoste ebraica, ricevette il più volte promesso da Gesù stesso, quindi da tempo aspettato, l’atteso “Ospite delle anime”, lo Spirito Santo. Per comprendere bene cosa avvenne quel giorno nell’interno del Cenacolo dove era riunita la prima Comunità critiana è indispensabile leggere il testo di Luca. Quando venne il giorno della Pentecoste, i credenti erano riuniti tutti insieme nello stesso luogo. All’improvviso si udì un rumore dal cielo, come quando tira un forte vento (altra trad., più letterale: “un rombo come un vento violento che passi”) e riempì tutta la casa dove si trovavano (dove stavano seduti). Allora videro qualcosa di simile come lingue di fuoco che si separavano e si posavano sopra di loro. Tutti furono ripieni di Spirito Santo ed iniziarono a parlare altre lingue, come lo Spirito Santo concedeva loro di esprimersi. A Gerusalemme c’erano Ebrei, uomini molto religiosi, venuti da tutte le parti del mondo. Appena si sentì quel rumore si radunò una grande folla e non sapevano cosa pensare. Ciascuno si sentiva parlare nella propria lingua, per cui erano pieni di meraviglia e di stupore e dicevano: “Questi uomini che parlano sono tutti Galilei? Come mai allora li sentiamo parlare nella nostra lingua nativa? Noi apparteniamo a popoli diversi: Parti, Medi ed Elamiti. Alcuni di noi vengono dalla Mesopotamia, dalla Giudea e dalla Cappadocia, dal Ponto e dall’Asia, dalla Frigia e dalla Panfilia, dall’Egitto e dalla Cirenaica, da Creta e dall’Arabia. C’è gente che viene perfino da Roma; alcuni sono nati Ebrei, altri si sono convertiti alla religione ebraica. Eppure sentiamo annunziare nella propria lingua, le grandi cose che Dio ha fatto. (Atti 2, 1-13)

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Notate come l’autore per ben due volte dice che parte degli accorsi non sapevano cosa pensare, mentre altri, i materialisti di turno, avevano già trovato la soluzione: Ridevano e dicevano: “Sono completamente ubriachi”. Noi, certamente, non vogliamo metterci fra questi ultimi, caso mai desideriamo collocarci tra gli stupiti e meravigliati che non sanno darsi una spiegazione. Per averla mi faccio aiutare da un libro scritto da autori spagnoli, il “Commento alla Bibbia liturgica” (Edizione Paoline. pp. 1452-4) che inizia ponendosi una domanda intrigante. Le cose andarono realmente così? L’interrogativo è inevitabile data l’immaginosa coloritura del testo, ma prima di rispondere, una regola ermeneutica elementare ci obbliga a chiederci quale sia lo scopo del racconto. Il redattore degli Atti mira a descrivere l’avvenimento più importante dopo la partenza di Gesù, la venuta dello Spirito Santo; quindi è impegnato in un’impresa così difficile e rischiosa che pare destinata all’incomprensione. Come può essere descritta questa effusione? Teniamo innanzitutto presente che tutti gli autori del Nuovo Testamento sottolineano la presenza di questo Spirito e partono sempre da essa, ma nessuno ha osato descriverla. Ora, nel presente racconto, Luca tenta una descrizione grafica e intuitiva della venuta di quello Spirito che avrebbe portato i discepoli alla verità completa. Mancando di dati storici ricorre a passi biblici per esprimere alcuni concetti importantissimi: 1. Lo Spirito viene da Dio, perciò dal cielo; ma, non essendo una realtà che si possa avvertire con i sensi, è necessario renderlo percettibile usando la parola pneuma che può significare tanto lo spirito come il vento. Luca descrive l’effusione dello Spirito Santo come un forte vento, sul tipo di quello che investì la teofania del Sinai. 2. Lo Spirito è destinato ai discepoli; per questo il vento investe la casa in cui erano riuniti in preghiera in sua attesa, ubbidienti al comando del Maestro.


Capire la liturgia gna coloro che abitavano in Giudea, la regione dove il fatto avvenne, col suo capoluogo Gerusalemme. Probabilmente non si tratta di Giudei pellegrini venuti alla festa, ma di Giudei locali e della diaspora che si erano sistemati in Gerusalemme. Nella mente dell’autore degli Atti questi Giudei simboleggerebbero l’universalità. Per questo, almeno nel testo originale greco, sono enumerati Giudei provenienti da 12 regioni diverse. L’estensore degli Atti conosceva queste tradizioni e le utilizzò liberamente per farle servire al suo scopo.

3. Lo Spirito soffia dove vuole; ecco perché Luca riunisce attorno al Cenacolo popoli di tutte gli idiomi che poi sentiranno Pietro nella propria lingua. Luca si serve anche della tradizione giudaica secondo la quale, sul monte Sinai, la parola di Dio si comunicò in 70 lingue (allusione all’idea dei 70 popoli che formano il genere umano), così che ogni popolo potesse ricevere la Legge nella propria lingua. Filone racconta che “la fiamma si trasformò in lingua” per indicare che la presenza di Dio è resa comprensibile poiché, per mezzo della lingua, noi ci manifestiamo agli altri. 4. Tutti sentirono parlare nella loro lingua delle “grandi opere di Dio”; è il ricalco della Torre di Babele (Gn 11, 1-9), dove tutti si confondono perché tentano di scalare il trono di Dio. La nuova Pentecoste, in forza dell’effusione dello Spirito d’amore, ristabilisce quell’universalità rotta dallo spirito di divisione. Il racconto necessita due codicilli. Luca, fra i popoli accorsi nei pressi del Cenacolo nomina anche i Giudei e usa questo nome a proposito, perché desi-

Secondo codicillo: se l’elenco dei popoli offertoci da Luca registra le varie regioni ove si erano diffusi gli Ebrei (la diaspora), nello stesso tempo ci avverte che lo Spirito discende su chi vuole, non fa distinzione di razza, di lingua, di religione, di nazionalità. Vi è un chiaro invito all’universalità e all’ecumenismo, perché quelle popolazioni ricevettero e compresero l’annuncio secondo la loro capacità intellettiva, donata dalla loro cultura, dai loro usi e costumi. Una cosa avevano in comune, la comprensione delle grandi cose che Dio ha fatto. E quando gli uomini si uniscono a magnificare le grandi cose di Dio scompaiono le diversità e nasce la vera fraternità, si realizza la Chiesa pur nella diversità di adesione ai diversi dogmi. Questi pensieri dovrebbero aiutarci a valorizzare la festa di Pentecoste che oggi, anche per molti cristiani, è dedicata alle uscite primaverili. Evidentementre è bello che intere famiglie sfruttino i tre giorni festivi per vivere insieme esperienze comunitarie, ma è doveroso un momento, specialmente la domenica, per partecipare anche in paesi lontani a delle celebrazioni invocati lo Spirito Santo. Inoltre la Pentecoste deve rinnovare in noi il sacramento della Cresima, che per troppi è una festa laica e non una conferma (come dice il nome stesso Confermazione) del proprio battesimo. Per questo sono dell’avviso che detto sacramento vada amministrato quando il cristiano abbia raggiunto l’età adulta (dopo i 16 anni) e non in piena crisi preadolescenziale. fra Callisto Caldelari

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Analisi delle risposte al questionario sulla famiglia

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na cinquantina di lettori del messaggero rispondono all’inchiesta su matrimonio e famiglia

Il formulario su matrimonio, famiglia e vita di coppia, elaborato dal Centro pastorale dei vescovi svizzeri e inserito nel numero di marzo 2014 del MESSAGGERO ha suscitato un discreto interesse: la redazione ha ricevuto 48 formulari compilati da 19 donne, 19 uomini, 5 coppie e 5 senza indicazione. Con le risposte richieste dal formulario, oltre una trentina dei compilatori hanno aggiunto osservazioni, proposte e critiche, segno evidente dell’interesse suscitato. Non tutti i formulari sono stati riempiti in modo completo, per cui le singole valutazioni risulteranno forzatamente approssimative. Dalle indicazioni dai formulari, si deduce che la maggioranza è costituita da persone adulte (15 donne e 16 uomini sopra i 60 anni), mentre solo 6 risposte provengono da persone di età minore di anni 50; si tratta quindi del giudizio di persone che esprimono l’esperienza di 25 una vita, nella stragrande maggioranza residenti nel Ticino, cattolici (47) e che hanno contratto un matrimonio religioso. Logica quindi la valutazione positiva del matrimonio religioso: molto importante per 16 risposte, zzeri dei vescovi svi sulla famiglia Il questionario importante per 20. I giudizi si differenziano maggiormente sulla domanda: Qual è il vostro punto di vista sul “matrimonio di prova” (la c.d. coabitazione preconiugale); si sono dichiarati molto favorevoli 4 donne e 2 uomini e favorevoli 6 donne e 6 uomini, in totale quindi 18; poco favorevoli 6 donne e 4 uomini e sfavorevoli 3 donne e 4 uomini, con un totale di 17. Sull’altra domanda significativa, cioè: E’ giusto, secondo voi, escludere dai sacramenti le persone sposate in chiesa che hanno divorziato e si sono risposate con rito civile?, il risultato complessivo delle risposte appare a favore di una maggiore “accoglienza” dei divorziati risposati da parte della Chiesa; contro l’esclusione dai sacramenti si esprimono ben 12 donne e 7 uomini, cui si possono aggiungere altre 8 risposte col un giudizio “piuttosto n°

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Gennaio Marzo 2014

negativo” sull’esclusione, per un totale di 25; mentre per il rifiuto dei sacramenti sono 1 coppia, 2 donne e 4 uomini. Pure esplicita la scelta a favore dei divorziati, rispondendo alla domanda: Vi augurate che la Chiesa riconosca e benedica coppie divorziate risposate?: 23 risposte favorevoli e 16 piuttosto favorevoli; poche unità le risposte nettamente negative. Sul tema del partenariato omosessuale (Ti auguri che la Chiesa riconosca e benedica le coppie omosessuali?), i pareri espressi sono più differenziati: 26 risposte negative e 4 piuttosto negative, contro 16 risposte favorevoli o piuttosto favorevoli. Da notare che spesso le domande si prestano a difficile interpretazione (e alcuni lo hanno fatto notare). Difficile l’interpretazione delle risposte ad altre domande del formulario, in considerazione dell’età adulta dei partecipanti e la mancanza di molte risposte: se la maggioranza ricorda di aver ricevuto una formazione al matrimonio, in 17 casi essa viene giudicata non utile. Una netta maggioranza risponde di essere a conoscenza dei metodi anticoncezionali naturali, in 21 risposte si afferma di preferire metodi non naturali, contro 12 per quelli naturali; è conosciuta la posizione ufficiale della Chiesa e largamente condivisa, ma in 11 risposte si afferma di non condividerla (come già prima risulta dalle risposte sui divorziati risposati e sul “matrimonio di prova”). Circa la trasmissione della fede in famiglia (gran parte dichiara di avere figli già adulti), la quasi totalità ritiene importante l’educazione religiosa, ma solo in 29 ritengono di aver trasmesso la fede ai figli, e 11 rispondono “piuttosto no” e 2 no; molto diverse le risposte sulla pratica della preghiera coi figli (4 molto spesso, 9 spesso, 14 raramente, 15 mai), ma il questionario non indicava se la domanda riguardava situazioni precedenti, cioè coi figli in minore età, o attualmente ….. Utile sarebbe stata anche una analisi particolareggiata delle osservazioni personali formulate nei diversi questionari (alcune anche critiche per la Chiesa e per il questionario), ma il numero limitato non permette una valutazioni d’insieme, che lasciamo al Centro di pastorale di San Gallo, al quale abbiamo trasmesso il materiale raccolto. La redazione del MESSAGGERO rinnova i ringraziamenti a coloro che con molto impegno hanno partecipato all’iniziativa, dimostrando interesse pei temi sollevati dall’inchiesta promossa in preparazione al Sinodo dei Vescovi sulla famiglia.


Bibbia e letteratura alla Biblioteca Salita dei Frati

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nche nell’autunno del 2013, nell’ambito dei consueti incontri biblici, l’Associazione Biblioteca Salita dei Frati ha proposto, come nel 2012, un breve corso di lezioni sul tema “Bibbia e letteratura”, con il proposito di illustrare grandi opere letterarie, di diversa epoca e tradizione, ispirate alla Scrittura. Il presupposto è che la Bibbia è il «grande codice» della cultura occidentale, per usare la famosa definizione di Northorp Frye, secondo il quale la Bibbia costituisce «un sistema immaginativo […] entro il quale la letteratura occidentale ha operato sino al diciottesimo secolo, e sta in larga misura ancora operando» (Il grande codice. La Bibbia e la letteratura, Torino, Einaudi, 1986, p. 3). Ad una conclusione analoga, muovendo da altre premesse e da analisi di altro genere, giunge anche Erich Auerbach, quando scrive che lo stile di Omero e quello del Vecchio Testamento «esercitarono la loro influenza costitutrice sulla rappresentazione della realtà nelle letterature europee» (Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, I, Torino, Einaudi, 1974, pp. 28-29). Gli incontri hanno avuto inizio il 4 ottobre, con una lezione di Pietro Gibellini su La Bibbia e la letteratura italiana moderna, tra riscrittura e parodia. Il 15 ottobre Piero Boitani ha parlato sul tema Shakespeare e la Bibbia. Le ultime due relazioni sono state impostate secondo un’analisi propriamente intertestuale, avendo ciascuna per oggetto un singolo testo. Il 14 novembre Edoardo Fumagalli ha preso in esame l’opera con cui nasce la poesia italiana parlando delle Presenze bibliche nel Cantico di san Francesco. Il 28 novembre, infine, Adalberto Mainardi ha tenuto una lezione su La leggenda del Grande Inquisitore in Fëdor Dostoevskij. Iniziando con la presenza della Bibbia nella cultura letteraria italiana del tardo Settecento e dell’Ottocento s’è voluto anche sottolineare che gli italiani ebbero nel passato una scarsa familiarità con la Bibbia. Il richiamo all’illuminismo razionalista, che rappresenta una fase e una concezione per cui la cultura biblica viene per così dire messa in disparte se non rifiutata, vale certamente per tutte le culture europee. Ma per l’Italia occorre risalire ai secoli precedenti. Innanzi tutto si deve ricordare che fu un umanista italiano, Lorenzo Valla, ad applicare per la prima volta l’esercizio della lettura critica e filologica anche alla Scrittura: le sue Collationes, che risalgono al 1449, misero in discussione la Vulgata di San Gerolamo. Nel tardo Quattrocento e nel primo Cinquecento fiorirono in modo sorprendente in Italia le traduzioni in volgare della Scrittura: tra il 1471 (quindi poco dopo l’invenzione della stampa) e il 1520 vennero pubblicate 15 edizioni della Bibbia integrale tradotta, segno di una forte familiarità degli

italiani coi testi biblici. Ma ben presto la situazione cambiò perché con l’Indice del 1559, e poi con quello del Concilio di Trento (1564), i volgarizzamenti biblici vennero vietati: la decisione va messa in rapporto con la volontà di arginare l’eresia protestante, nella convinzione che la divulgazione della Scrittura favorisse la propagazione della Riforma. Già Lutero lamentava che «in Italia Scriptura Sancta ita neglecta est, ut rarissime Biblia ibi reperiatur». Fu così ostacolato il contatto caro agli umanisti coi testi biblici originali (in seguito all’imposizione della Vulgata) e vanificata (in Italia, ma non in altri paesi europei: si pensi alla Germania, con la Bibbia di Lutero, e poi all’Inghilterra, con la Bibbia di re Giacomo) l’esperienza così diffusa delle traduzioni in lingua viva, tanto che nel 1546 in Italia la Bibbia in volgare fu dichiarata «madre e figlia dell’eresia». Francesco Toledo, nel suo celebre manuale per i confessori, ricorda con forza che fra i libri che è peccato mortale leggere non ci sono solo quelli degli eretici ma anche la Bibbia tradotta. Così la Bibbia tradotta finì col confondersi, nell’immaginario degli italiani, con gli scritti degli ‘eretici’ e questa assimilazione si è protratta ben oltre la sospensione del divieto da parte di Benedetto XIV, nel 1748. Certo la conoscenza della Bibbia poteva avvenire pure attraverso altri tramiti che non fossero la lettura del testo in traduzione italiana, ad esempio la liturgia e la devozione. Ma ciò non toglie che la Scrittura sia stata meno letta in Italia e in Spagna che nei paesi dove si leggeva la traduzione di Lutero o la Bibbia di re Giacomo. Anche con queste ragioni storiche, oltre che con la laicizzazione propria dell’illuminismo, si spiega perché gli italianisti sia siano interessati prima dell’eredità mitologica e poi di quella biblica. È illuminante, per riferirci espressamente alla cultura letteraria italiana moderna, questa testimonianza di Francesco De Sanctis, il maggior critico letterario dell’Ottocento e il primo che abbia studiato la letteratura italiana secondo un’interpretazione unitaria. Egli, fra i ricordi della sua giovinezza, cita «l’indifferenza mescolata a disprezzo» che teneva lontano dalla lettura della Bibbia lui e i suoi allievi, e dice con queste parole l’impressione che provò un giorno leggendo il Libro di Giobbe: «Rimasi atterrito. Non trovavo nella mia erudizione classica niente di comparabile a quella grandezza». Tuttavia il «grande codice della Bibbia» ha continuato ad influenzare gli autori italiani dei secoli XVIII e XIX, nell’età

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della secolarizzazione. Nella sua relazione Gibellini (curatore di volumi su La Bibbia nella letteratura italiana, Brescia, Morcelliana, 2009-2011) ha parlato degli Oratori del Metastasio, ha ricordato che il Monti e il Varano sostituiscono il ‘meraviglioso’ mitologico con il ‘meraviglioso’ biblico, ma soprattutto ha analizzato numerosi testi poetici di ispirazione biblica di due eccelsi poeti dialettali come Porta e Belli, per concludere che persino un autore come Verga non può evitare di riferirsi alla Bibbia quando, nella Cavalleria rusticana, fa una parodia dell’Ultima cena di Cristo. Parlando di Shakespeare e della Bibbia, Boitani ha esordito sottolineando come la Bibbia inglese, quella di Re Giacomo (1611), e le opere del grande drammaturgo siano coeve: sono queste le pietre di fondazione della lingua e della letteratura inglese. Egli ha poi mostrato, con un’abbondante documentazione, l’uso frequente che Shakespeare fa della Scrittura. L’Antico Testamento suggerisce temi fondamentali quali il monoteismo geloso di Dio e la rivolta del Male in alcune fra le maggiori tragedie come Otello, Macbeth e Re Lear. Temi del Nuovo Testamento sono scopertamente presenti in Amleto e in tutti gli ultimi drammi di Shakespeare, i cosiddetti «drammi romanzeschi» (Pericle, Cimbelino, Racconto d’inverno, Tempesta) dove, abbandonato il pessimismo delle opere precedenti, viene messa in scena una buona novella immanente: sono il «nuovo testamento» di William Shakespeare (Boitani, Il Vangelo secondo Shakespeare, Bologna, il Mulino, 2009). Il Cantico di frate sole di san Francesco d’Assisi è senza dubbio uno dei testi più famosi ispirati a passi biblici. Si tratta della prima poesia italiana in ordine di tempo: e questa particolarità contribuisce a spiegare perché esso sia stato studiato con tanta attenzione anche indipendentemente da ragioni di ordine religioso (il Cantico è infatti una preghiera, per la quale era stata composta anche la musica: e sappiamo che Francesco voleva che i suoi confratelli andassero in giro cantandola pubblicamente). Sono straordinari l’interesse e l’acribia con cui questo testo, nella seconda metà del secolo scorso, è stato studiato anche al di fuori di motivazioni religiose, per chiarirne gli aspetti testuali e filologici prima di tutto, poi linguistico-stilistici e tematici. Se ne sono occupati critici come Ageno, Branca, Contini, Folena, Pagliaro, Segre, Spitzer, Terracini e, soprattutto, padre Giovanni Pozzi, che ha compiuto gli studi più approfonditi e più innovativi sia sul piano stilistico sia sul piano tematico, giovandosi fra l’altro anche della sua competenza sul linguaggio della mistica

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(Sul Cantico di frate Sole. Di grammatica in preghiera, Bigorio, Convento di Santa Maria, 1985; Sul Cantico di frate Sole, in Alternatim, Milano, Adelphi, 1996, pp. 17-44). Il titolo Cantico di frate Sole, voluto da Francesco stesso, e l’altro di Laudes creaturarum che gli è stato affiancato offrono subito due indizi per risalire alle fonti bibliche. Il termine cantico va infatti inteso in senso tecnico: cantico per eccellenza, nella preghiera della liturgia, è il cantico dei tre giovani di Daniele 3, 57-89 (si rifiutarono di adorare la statua d’oro fatta erigere da re Nabucodonosor, che li fece gettare in una fornace ardente, ma l’angelo del Signore allontanò da loro la fiamma: così essi si salvarono e innalzarono a Dio un inno di lode, il Benedicite); anche Laudes è un nome tecnico, ed indica una parte dell’ufficio liturgico, in cui sono inclusi gli ultimi tre salmi (148-150) e, in certe feste dell’anno, anche il cantico di Daniele. Si arriva così, muovendo da due nomi Cantico e Laudes, a due fonti veterotestamentarie: appunto il Benedicite e il Salmo 148. Si aggiunga il riferimento alle beatitudini evangeliche (beati e guai, Luca 6; solo beati Matteo 5). Ma la fonte biblica più affine alla preghiera di san Francesco è il Benedicite di Daniele. Edoardo Fumagalli ha continuato gli studi sul Cantico soprattutto con il saggio San Francesco, il Cantico, il Pater noster (Milano, Jaca book, 2002). Egli riprende, a volte con nuove soluzioni, molte delle interpretazioni proposte


ma, soprattutto, aggiunge per la prima volte alle fonti bibliche finora indicate anche il Pater noster, non tuttavia nella forma dei Vangeli di Matteo (6, 9-13) né di Luca (11, 2-4), bensì nella forma adottata dalla liturgia. Come ha sottolineato nel corso della sua lezione, questa dipendenza del Cantico dal Pater spiegherebbe l’assenza degli animali, che rappresenta una delle differenze più notevoli rispetto alle fonti veterotestamentarie. Fumagalli ha anche sottolineato un dato spesso dimenticato, cioè che il Cantico, a causa della sua storia singolare e tormentata (per quasi duecento anni è stato letto nella traduzione italiana della traduzione castigliana della traduzione portoghese dell’originale preparato alla fine del secolo XIV da Bartolomeo da Pisa), è stato trascurato per secoli ed è stato restituito ai lettori e agli studiosi nella sua versione originale solo con la filologia ottocentesca. La “Leggenda del Grande Inquisitore” dei Fratelli Karamazov (1879-1880), l’ultimo romanzo di Fëdor Dostoevskij, rappresenta il punto culminante della dialettica della libertà dell’uomo di fronte al suo destino, che trova la sua paradossale soluzione nelle parole del Grande Inquisitore a Cristo: «Tu hai desiderato l’amore libero dell’uomo, perché venisse dietro di Te, sedotto e affascinato da Te». Questo testo è un poema filosofico che Ivan Karamazov dice di aver composto a mente e che narra al fratello Alëša. Il nucleo centrale è il dia-

logo che l’autore immagina si sia svolto a Siviglia, nel secolo XVI, tra il Grande Inquisitore, che aveva messo al rogo cento eretici, e Gesù, comparso a compiere un miracolo, la resurrezione di una bambina morta. L’Inquisitore fa arrestare Gesù e poi va a trovarlo in carcere. Qui ha luogo quello che possiamo chiamare impropriamente dialogo, perché, in realtà, parla solo l’Inquisitore, e il pensiero di Gesù viene comunicato al lettore attraverso le parole dello stesso Inquisitore. Dostoevskij in questo modo mette in atto una tecnica narrativa estremamente efficace. Il nucleo tematico centrale è quello della libertà dell’uomo che, secondo il Grande Inquisitore, è ciò che più rende infelice l’uomo. E qui il riferimento biblico va alle tentazioni del diavolo a Gesù (Matteo 4, 1-11 e Luca 4, 1-13): trasformare le pietre in pane, gettarsi dal pinnacolo del tempio per farsi salvare dagli angeli, prostrarsi ad adorare Satana per aver potere su tutto il mondo. Gesù non ha compiuto atti che avrebbero comportato una fede non dovuta ad una scelta libera; l’Inquisitore lo accusa di aver così sottoposto l’uomo al tormento della libertà. Il dialogo si conclude così: «Quando l’Inquisitore ha terminato, rimane per un tratto di tempo in attesa che il Prigioniero gli risponda. Il silenzio di Lui gli riesce gravoso. Ha osservato come finora l’Incatenato sia restato in ascolto, col penetrante e pacato sguardo fisso negli occhi suoi, senza desiderare evidentemente di ribattergli nulla. Al vecchio piacerebbe che quello gli dicesse qualche cosa, foss’anche qualche cosa di amaro, di tremendo. Ma Egli, di colpo, in silenzio, si appressa al vecchio e lievemente lo bacia sulle esangui labbra di novantenne. Ecco tutta la risposta. Il vecchio sussulta. Un fremito contrae gli angoli delle sue labbra: si dirige alla porta, l’apre e Gli dice: “Va’, e non venire più… non venire più a nessuno costo… mai, mai più!” E lo fa scivolare verso ‘gli oscuri meandri della città’. Il Prigioniero dilegua. - E il vecchio? [chiede Alëša a Ivan]. - Quel bacio gli brucia nel cuore, ma il vecchio rimane fisso nell’idea di prima». Attraverso un’analisi delle fonti letterarie (dagli apocrifi medievali a Puškin, a Eugène Sue) e soprattutto bibliche (i racconti evangelici delle tentazioni di Gesù) di questo straordinario ‘testo nel testo’, Adalberto Mainardi ha proposto una rilettura attenta alla sua funzione nell’economia del romanzo, riuscendo a lasciar parlare il testo in tutta la potenza espressiva e nella sua enigmatica modernità, che non cessa di interrogare le dimensioni più profonde dell’esistenza umana dinanzi al mistero del Dio cristiano. Fernando Lepori

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Francescani svizzeri laici al Bigorio

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nendo con un ideale trattino tre punti geografici della Svizzera, St. Maurice, Morschach e Bigorio, formiamo un triangolo di spiritualità francescana che si è ritrovata ad un anno distanza dal primo incontro. Stiamo parlando di francescani laici che sullo slancio del tema “Fraternité Ose da Bonne Nouvelle” hanno coltivato il seme posto nella terra di St. Maurice nell’aprile dello scorso anno. Grazie quindi ad Aldo, Brigitte, Edith e Nadia per avere tenacemente riproposto alle tre identità francescane laiche svizzere, OFS, Mouvement Franciscain Laïc (MFL) e Franziskanische Gemeinschaft (FG) di riprendere questo discorso di reciproca conoscenza. Uso il termine laico e non secolare poiché è importante sottolineare le varietà che ci contraddistinguono nel reciproco rispetto, l’OFS è composto unicamente da Professi mentre il MFL e la FG sono eterogenei poiché raccolgono sia Professi provenienti dal precedente TOF, sia da persone che ricercano e approfondiscono la spiritualità francescana senza tuttavia sentire il bisogno di emettere una Professione, in un certo senso sono molto vicine al Soffio di Assisi. Anche in questa occasione abbiamo ospitato con gioia e gratitudine la Ministra Generale nel nostro Ordine, Encarnacion Del Pozo, accompagnata dall’amica e interprete Michelle, ma pure dei nostri Fratelli maggiori Cappuccini, il Provinciale fra Agostino, fra Ugo nostro Assistente regionale, fra Pierre e fra Marcel da St. Maurice e la domenica fra Martino. “Forma di vita francescana” è stato il contenuto delle riflessioni di sabato e domenica. Quindi spazio alla presentazione delle rispettive attività che differiscono non tanto per etnia ma per collocazione geografica, diverse se svolte in città piuttosto che nelle valli. Apprezzata la proiezione proposta da Nadia su come viene percepita oggi la persona e il messaggio di Papa Francesco, un estratto dalla stampa internazionale allestito con vignette e titoli. Ascoltata attentamente la relazione di fra Martino sull’attività del Tavolino Magico e della mensa sociale Centro Bethlehem. Il Tavolino Magico è un progetto nazionale di sostegno alimentare proveniente dall’economia privata e promosso congiuntamente da Tischlein deck dich, Schweizer Tafel e Tables du Rhône. In Svizzera sono gettate al macero ogni anno 2 milioni di tonnellate di generi alimentari perfettamente commestibili. Nel 2013 queste organizzazioni hanno recuperato e distribuito nei 90 centri 2’650’000 kg di alimenti destinati ad oltre 13‘000 persone bisognose, dando un contributo sostenibile, sociale, sensato ed ecologico a favore di un’attitudine rispettosa verso i generi alimentari. Il Centro Bethlehem è una mensa sociale delle ACLI di Lugano aperta a tutti, 365 giorni l’anno. Oltre ai pasti, vi sono docce, macchine per il lavaggio della biancheria e un guardaroba per la distribuzione di vestiti. Agli ospi-

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ti viene richiesto un contributo finanziario modesto per i diversi servizi offerti. Per fra Martino l’impegno costante a fianco dei più deboli ha coinciso con un’evoluzione importante dal profilo personale. “Con il passare del tempo un fatto è diventato chiaro ai miei occhi: o il Vangelo si applica in modo estremamente concreto nella vita, oppure si tratta di chiacchiere vuote. E questo vale anche per la preghiera individuale e comunitaria. Inoltre, soltanto impegnandosi seriamente ci si guadagna la credibilità, e quindi la generosità delle persone. Non fatico a dire che questa presa di coscienza è stata per me una sorta di conversione. Infatti, a un certo punto della mia vita, dopo gli studi di teologia, avevo la possibilità di restare nell’ambiente accademico. Poi però, attraverso il confronto quotidiano con le difficoltà vissute da tante persone, ho maturato la scelta di... scendere in campo. Come diceva un autore che mi è molto caro, il prete scrittore romando Maurice Zundel, i poveri mi hanno salvato: anch’io, grazie a loro, ritengo di avere salvato la mia fede francescana e cappuccina”, conclude fra Martino. Dopo averci pazientemente ascoltati per due giorni la Ministra Generale si è così espressa: Il nostro Ordine è presente in 115 paesi del mondo. Questo vuol dire che la diversità è una delle sue caratteristiche nel vivere una stessa vocazione e una stessa missione. L’OFS è ancora oggi poco conosciuto. Sembra sia una realtà marginale, che sia un’appendice del I Ordine. Invece tutti noi, membri del primo, secondo e terzo Ordine siamo una famiglia. Condividiamo la stessa missione che è quella di evangelizzare, ma prima dobbiamo noi stessi essere evangelizzati. Questo è stato anche l’argomento del Capitolo OFS in Brasile: evangelizzarsi per evangelizzare. San Francesco aveva fondato il Primo e Secondo Ordine. L’OFS non era prestabilito. E’ lo Spirito Santo che ha suscitato in Francesco il terzo Ordine. L’unico documento approvato dalla Chiesa che parla della famiglia francescana è la nostra Regola che dice al Capitolo I delle Costituzioni: “Tra le famiglie spirituali, suscitate dallo Spirito Santo nella Chiesa, quella francescana riunisce tutti quei membri del popolo di Dio, laici, religiosi e sacerdoti che si riconoscono chiamati alla sequela di Cristo, sulle orme di San Francesco di Assisi. In modi e forme diverse, ma in comunione vitale reciproca, essi intendono rendere presente il carisma del comune Serafico Padre nella vita e nella


missione della Chiesa.” E’ una storia che ha avuto inizio otto secoli fa. La sua fisionomia è andata modificandosi secondo i tempi in cui l’Ordine è vissuto. Oggi ci troviamo in un momento molto complesso. Abbiamo un Papa che si chiama Francesco e si è tentato di fare un parallelismo tra lui e San Francesco, ma per noi è importante invece approfondire la parola che il Papa ci dice ogni giorno. Non sono importanti i segni esterni, non si può confrontare un Papa con un altro, perché anche il modo di essere viene dalla propria natura. Uno dei suoi primi pensieri è stato “come vorrei una Chiesa povera, con i poveri” e ci ha detto che noi dobbiamo testimoniare Cristo povero e crocifisso. Nelle nostre Costituzioni c’è un articolo che usa le stesse parole. E’ l’art. 10 che dice: ”Cristo povero e crocifisso”, vincitore della morte e risorto, massima manifestazione dell’amore di Dio all’uomo, è il “libro” in cui i fratelli, a imitazione di Francesco, imparano il perché e il come vivere, amare e soffrire.” Papa Francesco parla sovente della misericordia, e fa ripetere queste parole “Dio è sempre misericordioso. Avete capito?”. Papa Francesco è per noi una sfida. E’ lo specchio che Dio ci mette davanti per capire che la nostra missione è comunicare il Vangelo alla maniera di San Francesco. Io ho visitato 11 paesi dell’Africa e ovunque ho trovato molta vitalità, il desiderio di vivere la Regola dell’OFS come cammino verso la santità ed è a questo che loro aspirano. Io non sento questo in Europa. Perché? Trovo una grande gioia nei fratelli africani nell’essere cristiani e francescani e non trovo questa gioia in Europa. Ai nostri fratelli africani mancano molte cose materiali. Dobbiamo chiederci a quante cose noi potremmo rinunciare nel nostro quotidiano. Noi abbiamo il diritto di avere dei beni, ma anche i nostri fratelli hanno diritto a poter mangiare. Quando il Papa Francesco ci chiede di esaminare la nostra coscienza, ci fa una domanda “forte”: sappiamo rispondere? Le Fraternità in Africa ci chiedono di aiutarle ad avere più formazione, mentre qui in Europa si sente dire: l’OFS non è formato. Sembra sia più importante il sapere e il fare che il vivere e l’essere. La diversità è una delle ricchezze del nostro Ordine: la diversità e la pluralità. La fisionomia dell’Ordine è multiforme, sono molte-

plici i luoghi di provenienza, ma quello che fa l’unità è che abbiamo la vocazione ad essere cristiani, a vivere il Vangelo alla maniera di San Francesco, senza altre interpretazioni. Questo è il punto più importante che regola i rapporti tra tutti i membri della famiglia francescana. Questa è la circolazione della spiritualità tra il I, II e III Ordine per realmente diventare quello che il Papa ha chiesto ai cinque rappresentanti del francescanesimo che sono stati ricevuti in udienza. Nei vostri rapporti di attività che ho sentito, ho trovato un po’ di confusione. Sono sorpresa del vostro pensiero che Regola e Costituzioni “legano le mani”. Ma avete letto la nostra Regola? E’ una Regola che non ci dice cosa fare, ci dice solo di cercare noi il modo di realizzarla. E’ una sfida. Ci viene chiesto di prendere sul serio la Regola. Condivido il fatto che le nostre Fraternità sono anziane. Condivido il fatto dell’attenzione all’ecumenismo, alle realtà del mondo di oggi. Per la formazione va bene farla per mezzo del bollettino, ma è molto meglio andare nelle Fraternità e farla di persona. La differenza tra il Movimento laico e l’Ordine francescano: i membri dell’OFS non devono avere paura, l’Ordine sta in linea con la Chiesa guidata da un Papa Francesco, non bisogna avere paura di perdere l’appartenenza al Movimento, le due cose non sono incompatibili, si possono arricchire a vicenda. Questo è molto importante perché apre un’altra finestra e ci dà l’opportunità di avere aria fresca. Non abbiate paura e siate orgogliosi della strada che percorrete! Raccogliendo la proposta di Encarnacion continueremo a tenere aperta la finestra del dialogo, consapevoli che la nostra complessità non ci consente giuridicamente di creare una Fraternità OFS Svizzera, non è questo lo scopo, tuttavia in concreto abbiamo formato una delegazione che si troverà a settembre per studiare proposte comuni di collaborazione. Un evento comunque è già fissato per l’anno prossimo, il 20 e 21 giugno 2015 ci raduneremo al Ranft, luogo del nostro Santo Patrono Nicolao della Flüe, “Bruder Klaus”, che tanti tratti in comune ha con il nostro Padre Serafico Francesco. E’ un invito rivolto a tutti. Franca e Franchino


Chiese cristiane svizzere sempre più unite nel battesimo

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n Svizzera, un fedele battezzato in una Chiesa che decide di passare a un’altra Chiesa non deve essere ribattezzato. Questa prassi, già in vigore dal 1973 per le Chiese cattolica romana, evangelica riformata, metodista e cattolica cristiana, è stata confermata da questa stesse Chiese ed estesa alle Chiese anglicana e luterana lo scorso 21 aprile, lunedì di Pasqua, con la firma di un documento nel corso di un vespro ecumenico organizzato a Riva San Vitale (vedi foto) dalla Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera. Si tratta di un passo avanti significativo per l’ecumenismo nel nostro Paese, come significativo è stato il luogo dove ha avuto inizio la celebrazione: il battistero, che risale al V secolo ed è il più antico monumento cristiano in Svizzera ancora esistente ai nostri giorni.

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Il testo è stato firmato dal vescovo Charles Morerod per la Conferenza dei vescovi svizzeri, dal pastore Gottfried Locher per la Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera, di cui è presidente, dal vescovo Harald Rein per la Chiesa cattolica cristiana, dal vescovo Patrick Streiff per la Chiesa metodista, dalla signora Elisabeth Benn per la Chiesa luterana e dall’arcidiacono Peter Potter per la Chiesa anglicana. Presenti anche il vescovo di Lugano, mons. Valerio Lazzeri, e il presidente del Consiglio sinodale della Chiesa evangelica riformata nel Ticino, pastore Tobias Ulbrich.

condivisione eucaristica, nonché nella testimonianza e nel servizio comune”. La Comunità di lavoro ha così elaborato una “Dichiarazione per il mutuo riconoscimento del battesimo”, quella che è stata firmata a Riva San Vitale e nella quale si afferma tra l’altro che “Il battesimo viene effettuato secondo l’ordine di Gesù nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insieme con il gesto simbolico dell’immersione oppure dell’aspersione con acqua. È un evento unico e irripetibile nella vita di una persona. Noi condividiamo questa comprensione di fondo del battesimo, sebbene vi siano chiare differenze nella sua pratica (…) Il mutuo riconoscimento del battesimo è allo stesso tempo un riconoscimento del vincolo di unità che si fonda su Gesù Cristo e sullo Spirito Santo (Efesini 4:4-6). Anche se continuano ad esserci differenze nella concezione della Chiesa o in questioni di fede, il battesimo ci unisce in una, seppure ancora imperfetta, unica comunità nella Chiesa di Dio che è una. In questo senso esprimiamo la nostra gioia per ogni persona che viene battezzata. Questo comporta come conseguenza pratica che le persone battezzate in una Chiesa che passano a un’altra Chiesa non vengono battezzate di nuovo”.

Evento unico e irripetibile

Alcuni no

Con questa iniziativa, la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera ha voluto attuare, almeno in parte, una delle prerogative della “Charta Oecumenica” firmata nel 2001 dalle Chiese europee e nel 2005 da quelle svizzere, laddove si afferma che “le Chiese si impegnano ad operare, nella forza dello Spirito Santo, per l’unità visibile della Chiesa di Gesù Cristo nell’unica fede, che trova la sua espressione nel reciproco riconoscimento del battesimo e nella

Sebbene abbiano partecipato all’elaborazione del documento e lo appoggino, tre Chiese appartenenti alla Comunità di lavoro svizzera non lo hanno firmato. I battisti e l’Esercito della Salvezza spiegano la loro posizione in un allegato alla dichiarazione. ”Siccome l’Esercito della Salvezza non conosce la pratica sacramentale del battesimo –ha indicato Rita Famos, pastora a Zurigo e presidente della Comunità di lavoro - non può firmare la dichiarazione.


Nel 2016 il grande Concilio della Chiesa ortodossa Per questa organizzazione, tutti i credenti sono battezzati all’interno di un unico corpo. Quanto ai battisti, che sono un movimento congregazionalista, affermano che vi sono sicuramente singole comunità che potrebbero firmare la dichiarazione, ma che non c’è un consenso generale di tutti i membri della Federazione battista. Inoltre, il rifiuto del battesimo dei bambini e di una comprensione sacramentale del battesimo impediscono ai battisti di firmare il documento”. Quanto alle Chiese ortodosse della Svizzera, spiegano, sempre in un allegato, che al momento attuale, per motivi che hanno a che fare con la loro condizione di “Chiese nella diaspora”, non si ritengono nelle condizioni di sottoscrivere il mutuo riconoscimento del battesimo. Questo rende difficile una decisione comune, che deve essere presa tenendo in considerazione le Chiese madri, in modo da non dare adito ad equivoci. Bisogna anche ricordare che la Chiesa ortodossa conferisce ai neonati (e anche a chi è più avanti negli anni) in rapida successione e nel corso della stessa celebrazione (come nella Chiesa primitiva) i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana: battesimo, confermazione ed eucarestia. Questo è uno dei motivi per i quali gli ortodossi non hanno potuto firmare la dichiarazione, in quanto le altre Chiese generalmente agiscono diversamente. Concludiamo con un breve profilo delle due nuove Chiese firmatarie. L’Arcidiaconato della Svizzera fa parte della diocesi d’Europa della Chiesa d’Inghilterra, il cui nuovo vescovo, nominato lo scorso maggio, è mons. Robert Innes. Vi sono 9 cappellanie (o parrocchie) fisse e a tempo pieno, con la propria chiesa (salvo Neuchâtel): quelle di Basilea, Berna, Ginevra-La Côte, Losanna, Lugano, Montreux, Neuchâtel, Vevey e Zurigo. Ad esse si aggiungono una quindicina di luoghi, principalmente di villeggiatura, dove vengono celebrati sporadicamente servizi religiosi. Quanto alla Federazione delle Chiese evangeliche luterane in Svizzera e nel principato del Liechtenstein, è stata fondata nel 1967 e ne fanno parte le Chiese di Basilea-Svizzera del Nordovest, di Berna, di Ginevra, del Liechtenstein, di Zurigo e la comunità di lingua finlandese, per un totale di circa 7 mila fedeli. Gino Driussi

Nel precedente numero del “Messaggero”, avevamo sottolineato le complicazioni che stava incontrando la preparazione del santo e grande Concilio (o Sinodo, a dipendenza della lingua) della Chiesa ortodossa, preparazione iniziata negli anni ’60 del secolo scorso. Ebbene, nella sinassi (ossia la riunione) convocata dal patriarca ecumenico Bartolomeo I dal 5 al 9 marzo di quest’anno a Costantinopoli, i primati di tutte le Chiese ortodosse hanno preso una decisione che si può definire storica: hanno fissato per il 2016 la tenuta del Concilio pan-ortodosso a Istanbul, probabilmente nell’antica chiesa di Sant’Irene. Sarà la prima volta dallo scisma del 1054 che ha sancito la separazione tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa che tutte le 14 Chiese ortodosse autocefale e autonome si riuniranno in un’assemblea conciliare. L’annuncio, inatteso, costituisce indubbiamente una gradita sorpresa, date le tensioni che stavano caratterizzando i rapporti tra alcune delle Chiese ortodosse, in particolare – come rilevavamo nel precedente numero – tra Mosca e Costantinopoli. Ma risolutiva è stata la lunga discussione privata, prima dell’inizio della sinassi, tra Bartolomeo di Costantinopoli e Kirill di Mosca, il quale aveva in un primo momento minacciato di non partecipare ai lavori. “Questa sinossi dei primati – si legge nel messaggio pubblicato al termine dei lavori di marzo – costituisce per noi un’occasione benedetta per riaffermare la nostra unità attraverso la comunione e la collaborazione. Affermiamo la nostra dedizione per il concetto di sinodalità, che ha un’altissima importanza per l’unità della Chiesa (…) Il nostro cuore è concentrato sul tanto atteso santo e grande Sinodo della Chiesa ortodossa, che verrà convocato dal patriarca ecumenico a Costantinopoli nel 2016, a meno che non si verifichi qualcosa di imprevisto”. Nel messaggio, si indica anche che una speciale commissione interortodossa preparatoria inizierà i suoi lavori nel settembre di quest’anno e li completerà per la Pasqua 2015. Avrà tra l’altro il compito di allestire l’elenco dei temi che verranno affrontati durante il Concilio. Seguirà una Conferenza pan-ortodossa preconciliare nella prima metà del 2015 presso il Centro ortodosso del Patriarcato ecumenico di Chambésy, vicino a Ginevra. Tutte le decisioni, sia durante il Concilio sia nelle sue fasi preparatorie, saranno prese per consenso. E’ già stato stabilito che ogni Chiesa invierà al Concilio una delegazione di 20 vescovi e che nel corso delle votazioni finali ogni delegazione avrà un singolo voto a disposizione.

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Religioni nel mondo AMA IL TUO PROSSIMO Il Segretariato attività ecumeniche (Sae), associazione interconfessionale di laici per l’ecumenismo e il dialogo «a partire dal dialogo ebraico-cristiano», ha reso noto il programma della prossima «Sessione di formazione ecumenica», la cinquantunesima che si terrà a Paderno del Grappa (Treviso) dal 27 luglio al 2 agosto. Il tema della Sessione riprende il ciclo sull’etica avviato nel 2011 (e interrotto l’anno scorso per le celebrazioni della cinquantesima Sessione): «Ama il prossimo tuo come te stesso (Levitico 19,18). La vita in relazione: prospettive etiche». Sono previste relazioni e gruppi di studio su temi quali: la bioetica, il modello di etica della responsabilità e l’etica delle relazioni, il prossimo nella Bibbia, famiglia, nuove famiglie e relazioni di coppia, la vita in relazione in una società plurale, identità e genere, l’etica del lavoro, l’accompagnamento pastorale dei malati. Come ogni anno la Sessione sarà animata da esperti appartenenti alle diverse Chiese cristiane, al mondo ebraico e ad altre fedi. Per iscrizioni e ulteriori informazioni: www.saenotizie.it - sessione.estiva@saenotizie.it, cellulare +39 373 5100524 (ore 12-14,1617 e 19-21). Le iscrizioni si chiudono il 19 luglio. SETTIMANA DI EVANGELIZZAZIONE Il Sinodo valdese del 2011 ha incaricato la Tavola (presidenza) di promuovere una campagna di evangelizzazione e il Sinodo 2013 ha chiesto alla Tavola di indire una settimana dell’evangelizzazione che si è svolta dal 5 all’ 11 maggio scorso, conclusasi la seconda domenica di maggio con predicazioni all’aperto, gazebo in piazza, «maratone bibliche» (letture continuate di parti della Bibbia), mostre, e tanto altro, promosse dalle varie Chiese locali valdesi e metodiste e, in alcuni casi, condivise con altre comunità. A Firenze, in chiusura della «Settimana di evangelizzazione» è tornata la «Bibbia in piazza», organizzata insieme ad altre comunità evangeliche. La «Settimana» si è svolta dalla Sicilia a Torre Pellice, per annunciare il messaggio evangelico in modo «esplicito», dimostrando che è possibile evangelizzare in molti modi, anche al di fuori dei templi e dei centri culturali, in maniera efficace, ma anche senza scoraggiarci di fronte alla prospettiva di non trovare reazioni entusiastiche. La promozione di campagne nazionali di evangelizzazione sono non solo occasione, stimolo e spunto per ripensare il rapporto con il tema «evange-

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lizzazione», ma anche per realizzare e diffondere nuovi materiali destinati all’esterno delle Chiese. Così, il lavoro della commissione nominata dalla Tavola valdese ha prodotto opuscoli, dépliants, locandine, video, una pagina web, un’immagine grafica utilizzata per la stampa dei Nuovi Testamenti e come filo conduttore della campagna di evangelizzazione. Materiale che le Chiese sono state invitate ad utilizzare non solo per la «Settimana nazionale dell’Evangelizzazione», ma anche nelle varie iniziative locali durante l’anno. Nel complesso sono state stampate 2.500 copie della locandina «Il vento soffia dove vuole» (dal versetto di Giovanni 3,8); 5.000 copie del «Nuovo Testamento e Salmi» (traduzione Nuova Riveduta) che verranno ristampate per iniziative future; 20.000 opuscoli «Altri discorsi», una sorta di vademecum e di alfabeto della fede evangelica; 50.000 volantini pieghevoli «La Buona Notizia» (con citazioni bibliche intorno alle frasi «Dio ti ama così come sei»; «Dio ti parla e ti ascolta», «Dio ti perdona ... sempre»; «Dio ti salva ... gratis» e «Dio ti dà la vita eterna»). In più sono state acquisite 5.000 copie del Nuovo Testamento «Tilc» (traduzione interconfessionale in lingua corrente). UNA INCHIESTA TRA I MUSULMANI L’Istituto di ricerche sociali dell’Università del Michigan ha condotto una ricerca sugli atteggiamenti degli appartenenti all’Islam. Lo studio è stato pubblicato il 15 dicembre scorso, ed è stato effettuato tra il 2011 e il 2013, con un tasso di risposta media del 78%. Fra le 3070 persone interrogate, il 55% erano donne. I sette Paesi studiati rappresentano circa un quarto del mondo musulmano: l’Arabia Saudita ha visto nascere l’Islam, mentre la Tunisia è stata il punto di partenza della cosiddetta Primavera araba. Le conclusioni sono talvolta sorprendenti, ma anche in parte contradditorie, e con notevoli variazioni tra i diversi Paesi. Così per la maggioranza le donne dovrebbero coprire i loro capelli, i governi dovrebbero applicare la Sharia, ma la democrazia e la separazione tra Chiesa e Stato sono probabilmente quello che c’è di meglio per la società. Le donne dovrebbero scegliere liberamente il proprio modo di vestire, per oltre la metà di coloro che hanno risposto in Turchia e in Tunisia e per circa la metà delle persone interrogate in Arabia Saudita. Ma la maggioranza, in questi tre Paesi, considera che dovrebbero essere velate in pubblico, mentre il tipo di velo varia da un Paese all’altro. Circa i tre quarti degli interrogati in Arabia Saudita dichiarano di credere che le donne


Suora in prigione Megan Rice, suora cattolica e pacifista militante di 84 anni, è stata condannata recentemente a tre anni di reclusione da un giudice federale di Knoxville, per atti di vandalismo contro la proprietà dello Stato e “interferenza con la sicurezza nazionale”. Assieme ad altri due attivisti del movimento pacifista cattolico Plowshares - il nome si riferisce alle spade convertite in aratri di cui parla il libro di Isaia - , l’ottuagenaria militante si era introdotta nel deposito militare “Y-12” dove vengono custodite le scorte nazionali di uranio arricchito, usato per fabbricare le testate del maggiore arsenale atomico attivo al mondo, e produrre carburante per le navi nucleari della marina Usa. Noto come il “Fort Knox dell’uranio”, il centro si trova presso la cittadina di Oak Ridge, in Tennessee. Il 28 luglio 2012 Rice assieme a Greg Boertje-Obed, un imbianchino del Minnesota e Michael Walli, un reduce diventato pacifista militante dopo due turni di leva in Vietnam, avevano tagliato le recinzioni dell’istallazione, eluso le ronde della base e raggiunto il silos dove hanno affisso striscioni, e scritto “il frutto della giustizia è la pace” sul muro esterno. Le guardie sono sopraggiunte solo due ore dopo, trovando i tre che cantavano tenendo in mano la Bibbia.

dovrebbero indossare o un burqa o un niqab (un velo che copre il volto a eccezione degli occhi), mentre i tunisini e i turchi preferiscono versioni più moderate del velo, come lo hijab, e una minoranza non trascurabile (32% in Turchia e 15% in Tunisia) considera che le donne non sono tenute a essere velate in pubblico. In Libano, dove il 27% di coloro che hanno risposto si dichiarano cristiani, il 49% delle persone interrogate dichiarano che le donne non sono tenute a essere velate. Lo studio sorprende anche per quanto riguarda gli atteggiamenti di fronte ai governi e alla tolleranza religiosa. Ampie maggioranze delle persone interrogate in Egitto, Iraq, Libano, Tunisia e Turchia pensano che il loro Paese starebbe meglio se la religione e il governo fossero separati, ma in Pakistan solo il 9% lo pensa e nessun risultato è disponibile per l’Arabia Saudita. Nei sette Paesi considerati, maggioranze schiaccianti difendono la democrazia come forma migliore di governo, ma nello stesso tempo, forti maggioranze in Arabia Saudita, Pakistan ed Egitto, nonché la metà degli iracheni, pensano che il governo dovrebbe mettere in atto la Sharia, opinione per contro condivisa solo tra il 20% e il 27% delle persone in Libano, Tunisia e Turchia. Secondo Ebrahim Moosa, professore di religione e di studi islamici all’Università Duke, queste cifre mostrano che la gente vuole una democrazia in cui la religione svolga un ruolo, e non vuole una democrazia che sia contraria alla religione. Dall’indagine risulta che la percezione della Sharia, o legge islamica, non è la stessa in Occidente che nei Paesi musulmani. Mentre

gli occidentali la percepiscono come un codice penale rigoroso, molti musulmani la concepiscono come una garanzia di giustizia ed equità. Circa la libertà religiosa, in Arabia Saudita il 70% di coloro che rispondono pensa che i non musulmani non dovrebbero avere il diritto di praticare liberamente la loro religione, posizione che è condivisa soltanto dal 27% dei turchi, il 23% degli iracheni e il 18% dei tunisini. Anche in Pakistan, dove le violenze anticristiane sono frequenti, solo il 4% di coloro che hanno risposto vuole vietare la pratica della loro religione ai non musulmani. ASCOLTARE IL NUOVO TESTAMENTO Il Nuovo Testamento della revisione 2010 della Traduzione ecumenica in francese della Bibbia (Tob 2010) è disponibile in libro audio: trentatrè ore di lettura sono contenute in formato MP3 su un cd. Questo disco è leggibile da ogni lettore compatibile con questo formato. Il disco rappresenta circa 33 ore di suono, ed è stato realizzato da volontari con il sostegno in particolare della Société biblique Suisse e della Ligue pour la lecture de la Bible. Per la pubblicazione dell’Antico Testamento bisognerà attendere ancora circa 18 mesi. Questa pubblicazione si rivolge a tutti gli ipo-vedenti o alle persone che hanno difficoltà di lettura: è raro che le persone che soffrono di un handicap della vista legato all’età sappiano leggere il braille; la registrazione sonora rappresenta un’alternativa più accessibile e

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potrebbe servire in Svizzera a 450.000 persone. Esiste anche una Bibbia Tob sotto forma di libro in braille, nettamente meno pratica da trasportare della versione libro-audio, visto che pesa 45 kg e costa circa 500 franchi. CENTRO ECUMENICO DI AGAPE A PRALI Agape è un centro ecumenico internazionale, aperto tutto l’anno, che si trova a 1600 metri d’altitudine, a Prali, nelle Alpi Cozie, a 70 km circa da Torino. Da più di 60 anni, questo è un luogo di formazione, di elaborazione teologica, di impegno politico, di accoglienza e valorizzazione delle differenze, ma soprattutto è un luogo di incontri dove vivere un’esperienza comunitaria e di confronto, innanzitutto attraverso i campi che Agape organizza, o attraverso un periodo di volontariato (campo lavoro), o con gruppi autonomi con programma proprio. Inoltre si organizzano anche programmi specifici per le scuole. Agape è legata al mondo protestante italiano e ne è in parte caratterizzata, tuttavia non è un luogo confessionale, ma appartiene all’ecumene, a tutti e tutte quelle che la vivono con piena libertà, con rispetto della libertà altrui e desiderio di condivisione. Agape si definisce dunque fin dalle sue origini Centro Ecumenico e intende il suo ecumenismo in un senso molto ampio. Incontro fra credenti di diverse fedi e confessioni religiose, incontro tra atei, agnostici e credenti, tra uomini e donne, in un dialogo in cui ognuno lasci cadere la presunzione di sapere e di possedere la verità, per incontrare l’umanità dell’altro. La sua costruzione iniziò nel 1947. Giovani provenienti da tutto il mondo, venuti insieme a costruire un sogno: il sogno che dopo gli anni dell’odio e della distruzione della guerra mondiale, fosse possibile credere nella riconciliazione e nell’amore. Guidati da un grande sognatore e profeta, il pastore Tullio Vinay, e sostenuti dal movimento ecumenico internazionale, centinaia di giovani e meno giovani si sono impegnati per anni a costruire a mano, pietra su pietra, questo sogno di vita comune, di condivisione, di sforzo collettivo nel lavoro manuale, nella ricerca intellettuale e nella vita comunitaria. Tutto questo veniva racchiuso nel nome “Agape” (amore in greco), che richiama l’amore di Dio per l’umanità. L’affermazione dell’apostolo Paolo: “L’agape non verrà mai meno” (I Corinzi 13) è inscritta nelle pietre della “chiesa all’aperto”, il luogo che ben rappresenta il senso della fede e della spiri-

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tualità ad Agape, dove non esiste una vera cappella, ma questo spazio che racconta la decisione iniziale di non volere muri di separazione, né muri che separino le persone, né muri che delimitino spazi riservati al rapporto con Dio, da spazi riservati alle discussioni cosiddette profane. Agape è gestito da un gruppo residente di volontari (attualmente 11 di tre nazioni diverse) che si occupano dell’organizzazione pratica del Centro ed accompagna anche la elaborazione culturale. CRISTIANI PRO MOSCHEA Il Consiglio delle Chiese cristiane di Parma (Cccpr), l’organismo ecumenico che riunisce avventisti, cattolici, metodisti e ortodossi (greci e rumeni), con un documento presentato alla stampa lo scorso 28 gennaio, ha chiesto una «soluzione rapida e dignitosa» all’annosa questione della sede del Centro di cultura islamica e della creazione di una moschea di Parma. E’ una richiesta che ormai da diversi anni è formulata all›interno della comunità civile di Parma, per consentire ai cittadini e agli immigrati di fede musulmana di poter svolgere in pace e con dignità gli adempimenti richiesti dalla loro fede. Dal 2007 il Centro islamico ha sede in un capannone dell’area artigianale, ma tale sistemazione, oltre che essere inadeguata per rispondere ai bisogni dei circa 10.000 musulmani di Parma e dintorni, è stata contestata da alcuni «vicini», guidati da un artigiano che ha promosso varie proteste e azioni giudiziarie contro la presenza del Centro. L’ultimo ricorso per presunti abusi edilizi stato respinto lo scorso gennaio, ma altre proteste erano state sollevate, come ad esempio durante la festa islamica del Sacrificio, con la raccolta delle firme di 108 artigiani e commercianti della zona, che sostenevano problemi di viabilità, mentre la Lega Nord ha organizzato una serie di incontri per esprimere la propria opposizione alla edificazione della moschea. Il Cccpr ritiene che dare risposte adeguate e civili alle esigenze richieste dalla ordinaria vita religiosa, come assicurare un luogo di culto, non è solo richiesto dal diritto alla libertà religiosa, garantito dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale, ma fa parte anche di una politica di facilitazione all’integrazione e alla tolleranza. Alberto Lepori


Una tirata d’orecchie

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n saluto, un grande grazie a Dio, che però è anche un elogio fatto ai cristiani di Corinto, i quali, a differenza di ciò che avvenne ad Atene, hanno accolto il lieto messaggio del vangelo, hanno aderito con slancio all’iniziativa divina. Ma, subito dopo, una tirata d’orecchie: perché i cristiani di Corinto sono soltanto all’inizio del cammino. Rimane ancora molto lavoro da fare. Tra loro le cose non vanno sempre come dovrebbero andare. Il motivo principale del disappunto di Paolo risiede nel fatto che a Corinto si discute troppo. Ci sono fazioni, divisioni, litigi. Alcune di queste tensioni nascono da situazioni reali di vita, da contrasti che accompagnano inevitabilmente ogni esperienza umana. E’ del tutto naturale che sia così. Ma le cose inautentiche e le difficoltà che si incontrano vanno prese in mano, affrontate e risolte. Nei capitoli 5-11 Paolo si china su alcune di queste difficoltà, aiutando i Corinzi a trovare una risposta. Altre difficoltà sono di natura più essenziale. Riguardano la nostra impostazione fondamentale di vita. Hanno delle conseguenze determinanti su quelli che sono l’impostazione e i valori a cui si ispirano e su cui si fondano le nostre scelte di fede. Se male affrontate e non risolte, mettono a rischio i fondamenti stessi del nostro essere cristiani, vanificando il nostro impegno a servizio del vangelo. E’ una tematica che Paolo prende immediatamente in considerazione, perché è di fondamentale importanza. Proprio per questo vi ritornerà anche in seguito nella sua lettera. Succede, cioè, a Corinto quello che succede sempre quando più persone si trovano a vivere insieme e si pongono al servizio di un ideale comune. Vi si aderisce con slancio, ma non sempre con un’adeguata preparazione, conoscenza e profondità. Allora, a mano a mano che si procede nel cammino, invece di sentirsi più uniti, nascono malintesi, opposizioni, separazioni e divisioni. Ci si arranca sulle proprie convinzioni e posizioni. Ognuno porta acqua al suo molino, e c’è sempre chi si ritiene più colto, più informato, più esperto, più genuino, più osservante e migliore degli altri. Si perde la semplicità e la mitezza, l’umiltà e la discrezione e, senza rendersene conto, si lascia spazio all’arroganza e all’orgoglio sia individuali che di gruppo. Nascono divisioni, faziosità, incomprensione. Ognuno ritiene di saperla più lunga degli altri, ha il maestro più autorevole dalla sua parte, si ritiene il portavoce più accreditato degli insegnamenti originari, scopre l’ultimo documento assolutamente affidabile e autorevole che gli dà ragione. E’ ciò che succedeva a Corinto: 1 Cor 1,11-12: Purtroppo alcuni della famiglia di Cloe mi hanno fatto sapere che vi sono litigi tra voi.

Mi spiego: uno di voi dice: «Io sono di Paolo»; un altro: «Io di Apollo»; un terzo sostiene: «Io sono di Pietro»; e un quarto afferma: «Io sono di Cristo». Di fronte a una simile situazione, le parole di Paolo suonano anzitutto come parole dettate dal buon senso, come un consiglio spirituale d’indubbio valore, perché pone l’amore e la concordia al centro di tutto. E’ in virtù della comprensione reciproca, del dialogo fraterno e dell’amore che si superano i contrasti e le discordie. E questo ci deve stare a cuore, perché l’unità e la concordia ci rendono forti, ci sostengono nel cammino, permettono alla verità e alla vita di fiorire in mezzo a noi. 1 Cor 1,10: Fratelli, in nome di Gesù, il Cristo, nostro Signore, vi chiedo di mettervi d’accordo. Non vi siano contrasti e divisioni tra voi, ma siate uniti: abbiate gli stessi pensieri e le stesse convinzioni. Le parole che Paolo indirizza ai cristiani di Corinto, però, vanno ben oltre gli incoraggiamenti, le pie esortazioni, le opportune raccomandazioni. Esse mirano soprattutto a mettere in luce quello che è il fondamento stesso della nostra fede, ossia la testimonianza di Gesù che, proprio perché ha amato come Dio ama, è il Cristo, il Kyrios, il Signore. Senza un solido e convinto riferimento a lui, non si è cristiani. Se non manteniamo viva e se non rinnoviamo costantemente in noi la capacità di superare i conflitti e le divisioni in nome della stima, dell’apprezzamento reciproco e, quindi, dell’amore che è al di sopra di tutto dimostriamo di non essere ancora stati battezzati in Gesù, il Cristo: immersi in lui, così da essere una cosa sola con lui. L’amore, che porta a superare ogni forma di divisione e le faziosità, è l’unica realtà che ci rassicura che apparteniamo a Cristo, che siamo realmente stati battezzati in lui, che siamo risorti con lui alla vita nuova nello Spirito. Senza il passaggio dalle divisioni all’unità ispirata e sostenuta dall’amore, le nostre attestazioni di fede – con le quali proclamiamo che Gesù è la «Via» da seguire, la «Verità» che ci fa liberi, la «Vita» che si dona a noi – sono e rimangono belle parole. Parole di cui tutti abbiamo piena la bocca ma delle

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uno di voi dice: «Io sono di Paolo» un altro: «Io di Apollo» un terzo sostiene: «Io sono di Pietro» e un quarto afferma: «Io sono di Cristo» quali dimostriamo, con i fatti, di non avere capito assolutamente nulla del messaggio che trasmettono alla nostra intelligenza e al nostro cuore. Di conseguenza, anche se abbiamo aderito a Gesù, di fatto non siamo stati battezzati nel suo nome, non ci siamo convertiti e consacrati a lui, risorti con lui alla nuova vita. In una parola: non gli apparteniamo. 1 Cor 1,13-17: Cristo non può essere diviso! Voi dite: «Io sono di Paolo!» – ma Paolo non è stato crocifisso per voi. E nessuno vi ha battezzato nel nome di Paolo. Grazie a Dio non ho battezzato nessuno di voi, se non Crispo e Gaio. Così nessuno può dire di essere stato battezzato nel mio nome. E’ vero: ho anche battezzato la famiglia di Stefana, ma non credo proprio di averne battezzati altri. Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunziare la salvezza. E questo io faccio senza parole sapienti, per non rendere inutile la morte di Cristo in croce. Paolo, dunque, non si preoccupa di battezzare, ma di annunciare la buona notizia che è Gesù, il Cristo, il testimone verace di Dio. Per farlo in modo efficace e chiaro, prende spunto proprio dalle divisioni presenti nella chiesa di Dio che è a Corinto. E’ a partire da queste divisioni che annuncia, per contrasto, Gesù, il Cristo, il testimone verace di Dio. Il suo punto di riferimento, il fondamento di tutto il suo messaggio ai Corinzi è Gesù, e Gesù crocifisso. La fede cristiana non si fonda su una dottrina, non è adesione a una teoria, a una filosofia. Il suo fondamento è la testimonianza che Gesù ha dato a Dio, al suo amore leale, che non viene mai meno. Questo – dirà Paolo più avanti – è il cibo solido di cui si nutre il discepolo di Gesù. E’ il messaggio che lo porta a divenire una cosa sola con lui, un adulto in Cristo. Tutto il resto – le discussioni e i dibattiti su argomenti che sono anche interessanti e di grande valore – è latte per bambini non ancora svezzati. Il latte è necessario, perché altrimenti il bambino muore; ma non è il latte che ci fa diventare adulti in Cristo. Le discussioni, i dibattiti e la ricerca hanno una loro sicura importanza e funzione. Ma ciò che conta è l’amore. Quell’amore che ci unisce e ci fa diventare un corpo solo in Gesù, il Cristo. L’amore leale, che sempre di nuovo ci riconcilia e unisce, è l’unica via che porta all’incontro con Dio, al compimento, alla definitiva liberazione. E’ un annuncio che tutti condividiamo e ripetiamo. Siamo anche convinti di averlo capito. Ma è un messaggio non facile da capire. E, più ancora, difficile

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Basilica della Natività di Betlemme 2000 anni dopo S. Paolo


Dieci minuti per te da mettere in pratica una volta che è stato capito. Ma, al di là di tutte le difficoltà che incontriamo, è il messaggio che risuona da tutte le pagine non solo da Paolo, ma da tutti gli scritti del Nuovo Testamento. E’ anche l’annuncio che ci viene riproposto di continuo lungo tutto il percorso cristiano da parte di coloro che hanno realmente aderito a Gesù. Ed è il messaggio che riecheggia, quando non siamo sordi o prevenuti, da tutti i grandi cammini spirituali dell’umanità, sia pure con linguaggi e modalità che sono proprie ad ognuno di essi. Per tutti gli scritti del Nuovo Testamento, Gesù crocifisso è l’icona, non della sofferenza, ma della Gloria di Dio. La Gloria di Dio è il suo amore leale, l’amore che non viene mai meno. Di questo amore, Gesù crocifisso è la grande testimonianza. Per questo si legge in Giovanni: «Se il Figlio dell’uomo avrà in sé la forza di dare testimonianza alla Gloria di Dio, presto anche il Figlio dell’uomo sarà rivestito della Gloria di Dio. Allora, innalzato sul legno, attirerò tutto a me» (cf Gv 12,23-33; 7,39; 8,28; 13,31-32; 17,1-5). Naturalmente, la Croce non va disgiunta da quella che è stata l’intera vita di Gesù. E’, invece, l’espressione suprema di quella testimonianza, data in parole e opere. Una vita consacrata al servizio e alla liberazione dell’uomo, perché la vita possa fiorire in lui e pervenire al suo compimento. Gesù stesso lo ribadisce più volte, indicando ai suoi discepoli con precisione la via da seguire: «Se qualcuno vuole venire con me, smetta di pensare a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi pensa soltanto a salvare la propria vita la perderà; chi invece è pronto a sacrificare la propria vita per me la ritroverà» (Mt 16,24-25). 1 Cor 1,18-25: Predicare la morte di Cristo in croce sembra una pazzia a quelli che seguono la via che porta alla perdizione; ma per noi, che Dio salva, è la potenza di Dio. La Bibbia dice infatti: «Distruggerò la sapienza dei sapienti e squalificherò l’intelligenza degli intelligenti». Infatti, che cosa hanno ora da dire i sapienti, gli studiosi, gli esperti in dibattiti culturali? Dio ha ridotto a pazzia la sapienza di questo mondo. Gli uomini, con tutto il loro sapere, non sono stati capaci di conoscere Dio e la sua sapienza. Perciò Dio ha deciso di salvare quelli che credono, mediante questo annunzio di salvezza che sembra una pazzia. Gli Ebrei infatti vorrebbero miracoli, e i non Ebrei si fidano solo della ragione. Noi invece annunziamo Cristo crocifisso, e per gli Ebrei questo messaggio è offensivo, mentre per gli altri è assurdo. Ma per quelli che Dio

ha chiamati, siano essi Ebrei o no, Cristo è potenza e sapienza di Dio. Perché la pazzia di Dio è più sapiente della sapienza degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte della forza degli uomini. L’amore, se è veramente amore, è sempre anche intelligenza. Come del resto l’intelligenza, se è veramente tale, è sempre amorevole. Un intelligenza non amorevole non è intelligenza, ma supponenza. Intelligenza vera è soltanto quella che produce vita e fa fiorire la vita. Se non produce vita, è prepotenza, imposizione, stupidità. Non si tratta quindi di squalificare nulla di ciò che è autenticamente umano e, proprio per questo, porta a una crescita di umanità. Importante è che ci sia in noi questa preoccupazione: di fare un uso intelligente, ossia amorevole, dell’intelligenza che ci è data e di tutte conoscenze e la scienza che abbiamo acquisito. Stando, per concludere, a quello dice Paolo, ma credo sia esperienza abbastanza comune, a seguire con maggiore prontezza e facilità il cammino che porta alla vera intelligenza sono soprattutto coloro che hanno poco o nulla di cui vantarsi. Certamente non è sempre così. Anzi, a volte succede il contrario. Ma nell’essere spogli di tutto – avere e potere – ci sono dei vantaggi: è una condizione che stimola a tenere gli occhi aperti, ci aiuta a vedere meglio, ad orientare lo sguardo nella giusta direzione. Non è detto che succeda sempre così; ma, stando all’insegnamento di Gesù e alla sua testimonianza, sembra costituire un sicuro vantaggio. 1 Cor 1,26-31: Guardate tra voi, fratelli. Chi sono quelli che Dio ha chiamati? Vi sono tra voi, dal punto di vista umano, molti sapienti o molti potenti o molti personaggi importanti? No! Dio ha scelto quelli che gli uomini considerano ignoranti, per coprire di vergogna i sapienti; ha scelto quelli che gli uomini considerano deboli, per distruggere quelli che si credono forti. Dio ha scelto quelli che, nel mondo, non hanno importanza e sono disprezzati o considerati come se non esistessero, per distruggere quelli che pensano di valere qualcosa. Così, nessuno potrà vantarsi davanti a Dio. Dio però ha unito voi a Gesù, il Cristo: egli è per noi la sapienza che viene da Dio. E Gesù, il Cristo, ci rende graditi a Dio, ci dà la possibilità di vivere per lui e ci libera dal peccato. Si compie così quel che dice la Bibbia: «Chi vuol vantarsi si vanti per quel che ha fatto il Signore». fra Andrea Schnöller

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Una favola vera

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ikos Kazantzakis è il più celebre romanziere greco del Novecento, più volte in odore di premio Nobel per la letteratura.

Egli, spirito inquieto e insoddisfatto, viaggiatore instancabile e sempre alla ricerca di una conoscenza superiore, insofferente di ogni autorità e perennemente in travaglio interiore, è conosciuto in particolare per due romanzi, da cui sono state tratte delle fortunate versioni cinematografiche: ”Zorba il greco”, portato sullo schermo nel 1964 da Cacoyannis e magistralmente interpretato da Anthony Quinn e da Irene Papas, una rivendicazione dell’antico orgoglio ellenico, capace di fiorire anche nelle difficoltà e nelle ristrettezze della modernità, e il discusso “L’ ultima tentazione di Cristo”, da cui Martin Scorsese trasse nel 1988 un film capace di scandalizzare e di irritare numerosi gruppi religiosi negli Stati Uniti e che fu messo all’indice anche dalla Chiesa Cattolica: Gesù immagina di scendere dalla Croce per vivere un’esistenza qualunque, umanissima eppure divina perché capace di sublimarsi fino all’estremo sacrificio di sé. Nel 1956, un anno prima della morte avvenuta a Freiburg in Brisgovia nel 1957, Kazantzakis diede alle stampe il romanzo ”Il Poverello di Dio”, ispirato alla vita di San Francesco; l’autore amava molto l’Italia, già da quando frequentava la scuola dei Francescani a Naxos: l’ammirazione per il Santo lo affascinò e accompagnò per tutta la vita. Egli ne studiò la vita in tutti i particolari durante una permanenza ad Assisi per 3 mesi nel 1924. Nel 1926 partecipò quale inviato giornalista ai festeggiamenti indetti da Mussolini per il 7° centenario della morte del Santo e alla sua proclamazione quale patrono d’Italia. Ne trasse una profonda e violenta indignazione. Egli scrisse: ”Una grande indignazione nasce in chiunque guardi con occhio chiaro questa imponente celebrazione, non perché la nostra epoca sia tanto in antitesi con gli ideali francescani, ma perché non ha l’onestà di confessarlo. La nostra falsità, l’ipocrisia, la viltà riempiono il cuore di indignazione”. Per lui Francesco era l’eroe, il fratello, l’amico, ma soprattutto il compagno: e la sua ammirazione per il Santo la traspose in tutti i suoi romanzi, i cui protagonisti sono consunti e logorati da un grande fuoco che li spinge alla ricerca della verità nell’amore, nell’umiltà e nella semplicità. Questo anelito si stemperò solo quando egli ebbe portato a termine il suo eccezionale romanzo sulla vita del Santo “Il Poverello di Dio”, ora ripubblicato in Italia da Crocetti col titolo, furbescamente adattato, di “Francesco”, forse un indiretto omaggio al primo Papa che ha osato portare il nome

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dell’ Assisiate. Non si tratta di una biografia, di un libro agiografico, ma di una rivisitazione molto personale. Nella prefazione al libro l’autore scrive infatti: ”Per me San Francesco è il modello dell’ uomo militante, che con una lotta incessante e durissima riesce a compiere il dovere supremo dell’uomo, quello che è superiore anche alla morale, alla verità e alla bellezza: trasformare la materia che Dio gli ha affidato rendendola spirito”. Quella di Kazantzakis è una scrittura concreta e insieme visionaria: l’intera vicenda è narrata dalla voce di frate Leone, il primo e sempre fedele compagno del Poverello, l’unico che non abbia mai tradito la vocazione originaria. E se Francesco è lo spirito, Leone è la materia. Essi si completano: Francesco è la saggezza, la lotta, la conquista, il cammino verso Dio. Leone è la materia, la semplicità, la debolezza con tutte le sue tentazioni (vedi le sue difficoltà a rinunciare ai piaceri del cibo e del sesso). Nel romanzo di Kazantzakis c’è tutto Francesco: dagli anni giovanili scapestrati: ”Per salire al Cielo - dice Leone - hai preso la rincorsa dal fondo dell’inferno”, all’abbandono delle ricchezze del padre Bernardone: ”Non aggiusto botteghe, le abbatto”, dice Francesco. E Chiara, la donna prediletta a cui dedicava le sue serenate notturne che, forte e ribelle anche dopo la costrizione e il ritiro a San Damiano, sarà l’unica a tappare la bocca del Santo quando gli dice: ”Non sarà la tua santità a stabilire i confini della virtù”. Il restauro operoso della chiesa di san Damiano e il pellegrinaggio a Roma da Papa Innocenzo III per ottenere l’approvazione della Regola e la proverbiale “lætitia” francescana. Restano nella mente del lettore molte pagine stupende: nel pieno della tribolazione, per esempio, il Santo se ne esce con una canzone appena composta. ”Ti sembra il momento?”, chiede il buon Leone; ”Se non cantiamo adesso” - gli risponde Francesco - ”quando canteremo?”. Francesco esprime la sua gioia e la sua adorazione per il creato con canti, musica e danza insieme, in modi immaginati simili a quelli dei dervisci rotanti: ma quel che conta è la tensione interna e spirituale, l’esaltazione della povertà, della pace e dell’amore, l’abbandono totale a Dio. In un’altra bellissima pagina, mentre si trovano alla Verna, Leone sentì Francesco piangere e ripetere in continuazione: ”L’Amore non è amato, l’Amore non è amato”. Leone forse per consolarlo gli disse: ”Non baciasti il lebbroso che tanta ripugnanza ti causava?”;


”Non è abbastanza”, rispose Francesco. ”E non abbandonasti tua madre monna Pica e non ti rendesti ridicolo restituendo i vestiti a tuo padre e restando nudo davanti alla gente?”: ”Non è abbastanza”. ”E non ti bastano le sofferenze nella carne che ti provocano le stimmate, la ribellione e la disobbedienza dei nostri fratelli, la malattia degli occhi?”; ”No, non basta, non basta. Scrivi e ricorda nel tuo cuore, frate Leone ,Dio non è mai abbastanza”. Uno dei nodi centrali del romanzo resta quello del conflitto di Francesco con frate Elia e con il futuro dell’Ordine francescano. Dice Elia che: ”bisogna procedere in accordo con il tempo in cui si vive, questo è il dovere dell’ uomo”, mentre per Francesco: ”bisogna andare contro il tempo in cui si vive, questo è il dovere dell’ uomo libero”. Sarà Elia a vincere e Francesco, consenziente, a cedere con la seconda Regola, quella light concessa ai timorosi. Ma per Kazantzakis il messaggio prioritario è quello che Francesco lascia a Leone: ”Hai detto, chi vive coi lupi deve essere lupo, e non agnello; questo hai detto, frate Leone, questo dicono gli uomini assennati; però a me Dio ha dato una follia, una nuova follia, e dico: chi vive con i lupi deve essere agnello, e lo divorino pure! Come si chiama quella cosa immortale che c’è dentro di noi?”. ”L’ Anima”, risponde Leone. ”Quella, frate Leone, non la possono divorare”. Spiccano nel romanzo alcune belle invenzioni, fra cui quella del brigante Lupo che, dopo essere stato ammansito da Francesco, prende il nome di frate Agnello. La figura di Leone sembra venire direttamente dai Fioretti: egli, la ”spalla” necessaria al racconto, porta in sé il peso dei bisogni materiali e delle tentazioni mondane e la lotta dei comuni, dei non-santi, per liberarsene. E tutto in Francesco è teso all’elevazione, alla vera ascesi, alla incessante tensione dell’anima. Il suo ideale è di superare anche le proprie possibilità per giungere, come dice emblematicamente lo scrittore: ”là dove non può”. ”Tu stesso, frate Leone, non mi hai detto un giorno di essere andato da un asceta famoso, che conduceva vita ascetica in cima ad un albero. “Dammi un consiglio, Padre Santo”, gli gridasti. E lui, dalla cima dell’ albero, ti rispose: “Arriva dove puoi”. ”Dammi un altro consiglio, Padre Santo”, gli gridasti di nuovo. “Arriva dove non puoi”, ti rispose.”. Così Francesco assume

Nikos Kazantzakis

quasi i tratti di un Ulisse del Cristianesimo, guidato da una certezza e da una forza interiore che lo porta a sfidare ogni sapere e ogni convenzione sociale. Nella sua esaltazione e nel suo totale abbandono a Dio egli arriva a gridare: ”Tutto è miracolo”. Lo ripeterà dal suo letto di morte il povero parroco di campagna di Bernanos: ”Che importa? Tutto è grazia”. E la lettura del romanzo di Kazantzakis appare coinvolgente: in ogni pagina si ritrova la passione con la quale lo scrittore cerca di ritrarre il senso di una vita eccezionale, con le sue gioie, i suoi tormenti e le intime battaglie: egli non cerca di ricostruire un quadro storico minuzioso e attendibile, ma cerca di penetrare le pulsioni medioevali al confronto con Dio e con la creazione. L’arte ha la capacità di nutrirsi della storia, di assimilarla e trasformarla in leggenda o in favola: è quello che Kazantzakis fece quando scrisse la sua opera: ”Amore, devozione e ammirazione per l’eroe e il grande martire mi aveva pervaso mentre scrivevo questa leggenda, più vera persino della verità; spesso grosse gocce di lacrime macchiavano il manoscritto; spesso una mano, con una secolare e rinnovata ferita, come se eternamente la inchiodassero, mi appariva davanti; e ne sentivo dappertutto intorno a me mentre scrivevo l’invisibile presenza”. Mario Corti

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Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano

Titolo

Abbiamo letto... abbiamo visto... Romeo Fabbri (a cura di)

Confessioni di fede delle Chiese cristiane

GAB 6900 Lugano

Edizioni Dehoniane, Bologna, 1996 Il volume presenta, tradotte in lingua italiana, le Confessioni di fede cristiane, a partire dalla Chiesa antica, poi quelle delle Chiese luterane, riformate, valdese, anglicana, vetero-cattolica, libere, corredato dagli indici dei passi biblici, delle fonti e dei nomi che ne facilitano la consultazione.

R.Rouse - S.C. Neill - E.H.Fey

Storia del movimento ecumenico dal 1517 al 1968 Edizioni Dehoniane, Bologna, 1973, 1982 L’o­pera che originariamente si articolava in tre volumi [I° Dalla riforma agli inizi dell’800; II° dagli inizi dell’800 alla conferenza di Edimburgo (1910) ; III° Dalla conferenza di Edimburgo all’assemblea ecumenica di Amsterdam (1948)] è stata completata con un quarto volume sulla storia del movimento ecumenico dal 1948 al 1968. I diversi volumi ricostruiscono la storia dei tentativi di superare le divisioni, giudicate uno scandalo dia­ metralmente contrario al comando divino della carità e dell’unità nella testimonianza, e costituisco­no l’essenza di quello che si denomina movimento ecumenico.

Paolo Ricca

L’Ultima Cena, anzi la Prima. La volontà tradita di Gesù Claudiana, Torino, 2013 Un’ampia antologia di testi descrive i cambiamenti nei secoli dell’interpretazione e della pratica della Cena e accompagna i ragionamenti di Paolo Ricca, per il quale le divisioni tra i cristiani sono in contrasto con la volontà di Gesù.

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