Autoghettizazione

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PROGETTO EDITORIALE:

Marco Mauro PROGETTO GRAFICO:

Josephine Mauro EDITING TESTI:

Giupps REDAZIONE:

Luca Daniele Elisabeth Eleonora Filippo Federica Daniele Dario Federica Alessio Lorenzo Laudica Massimiliano



sommario 07

EDITORIALE: 2013 RECENSIONI:

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THE POWER OF LOVE

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CATHERINE (VERSIONE PS3)

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GIRLS IN THE HOUSE AUTOGHETTIZAZIONE :

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CARNEFICI DI NOI STESSI

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GAYMERCON

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PERCHÉ I CANI RUOTANO SU SE STESSI PRIMA DI ACCUCCIARSI?

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RUBRICHE : 22

CHANDRA

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“CARA ELES, SONO GAY..

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INTERVISTA A LEONIDA.

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sommario 28

TENDENZE MODA PRIMAVERA/ESTATE 2013.

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ARTICOLI NON INERENTI AL TEMA : 32

“ I NERD: CHI SONO?!”

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FINE MESE

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ESSERE NERD… O NO?

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AFORISMI E PROVERBI

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FIX YOU

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HUMOR: 44

COLLABORAZIONE CON KAMOSCANS

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VIGNETTE MEME POLITICA:

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ELEZIONI DANIELE

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editoriale

AUTOGHETTIZAZIONE:

2013

Siamo nel 2013, eppure in europa abbiamo ancora milioni di persone che sono discriminate nell’accesso al lavoro, all’istruzione, all’alloggio e ad un’assistenza sanitaria adeguata. La causa? Semplicissima, l’uomo anche nel 2013 ha paura del buio. Se pensiamo alla preistoria l’uomo, al calare della notte, non poteva controllare ciò che gli succedeva intorno e quindi si rifugiava coi suoi simili nelle caverne. Poi ha scoperto il fuoco e ha iniziato a scoprire ciò che lo aspettava nel buio. Purtroppo millenni di evoluzione ci hanno lasciato allo stesso punto. Aggiungiamo che il nostro attuale modo di vivere si basa sull’apparire e non sull’essere ed ecco che giudichiamo gli altri per quello che presumiamo siano o ciò in cui credono. Ed ecco l’isolamento, il bullismo, la povertà, la violenza verso il diverso. E questa cosa è talmente dentro il nostro DNA che siamo noi stessi i primi a ghettizzarci. Ci guardiamo allo specchio e non vediamo più noi stessi ma le varie sottocategorie di essere umano che siamo. Non siamo più Marco, Filippo, Daniele, Luca, Claudia, Federica o Eleonora ma diventiamo gay, nerd, emo, terroni, polentoni, magri, musulmani, cattolici, atletici etc… E quindi come tale sottocategoria agiamo. Se possibile ci circondiamo di persone che sono nella nostra categoria, se non è possibile ci rassegniamo sperando in tempi migliori e ci mettiamo nel nostro angolo ad aspettare che gli insulti passino, sperando di diventare invisibili; creando attorno a noi mura che si faranno sempre più strette, che diventeranno veri e propri ghetti. Lettori e lettrici è ora che ci svegliamo, che afferriamo con forza le nostre torce e che guardiamo il mondo che abbiamo di fronte. L’essere che abbiamo di fronte, se ben illuminato, si rivelerà essere un’ottima persona, un’ ottimo amico e sopratutto con un’identità completamente diversa da quella dell’essere che gli sta alla sua sinistra, magari entrambi sono terroni, ma questo li rende solo persone che vivono più al caldo di voi.


TH

“Ahi ah Feels l I'm so in lo Dreams ar They keep ba b Love is Scaring darkn


E V O L F O R E OW

P E H

hi ahi ah like fire ove with you re like angels ad at bay-bad at bay the light ness away-yeah”

Parliamo dei Frankie Goes To Hollywood? Non credo, anche se il titolo magari poteva trarre in inganno. In realtà sono poco invitato a deliziare i padiglioni auricolari dei lettori proponendo pezzi storico-melensi quanto, meglio per me, mi piacerebbe invitarvi alla lettura d'un testo: La forza di amare. Scritto niente meno che dal leader dei diritti civili, premo Nobel per la pace nel '64 e ispiratore della marcia su Washington, ossia Martin Luther King. È troppo famoso perché m'azzardi a presentarvelo biograficamente, sarebbe un insulto a lui e a voi. Sono più interessato a discutere con voi dell'essenza contenuta in questo testo. Premettiamo subito: Mr. King era un predicatore, quindi la componente salmodiale e il contenuto religioso sono predominanti in tutta l'opera. Ma questo non disturba affatto un ateo che si trova a comprendere quanto, la portata culturale di questo testo, sia condivisibile a degna d'approvazione. Cos'è la forza d'amare? Non il titolo, parlo della capacità in sé. Che la popolazione di colore negli Stati Uniti, ai tempi di King, fosse oggetto di persecuzione violenta questo non è un mistero. Pestaggi, omicidi, discriminazione nei più consueti momenti di vita sociale, diseguaglianza erano all'ordine del giorno. Il KKK, famigerato e violento, rappresentava solo la punta dell'iceberg d'un costume diffuso quanto deprecabile. E allora King coniuga la non violenza, l'attiva accettazione della sofferenza, con la forza intrinseca di chi l'accetta, di chi subisce.

Infatti egli sostiene che i neri non possono, e non devono, reagire con la legge del taglione a quanto subiscono, ma mostrarsi sofferenti e fieri. E questo, più di tutto, sarà d'esempio a coloro che malversano. Renderà chiaro, agli occhi dei più accaniti razzisti, l'insensatezza e la mancanza di scopo del loro odio, e questo sarà l'inizio del rinnovamento che King predicava ed auspicava nel futuro. Quindi, per King l'umiliazione, la sottomissione è una forza attiva, agente. Una capacità di sollevare le coscienze, anche dei "peccatori" verso una nuova condotta etica, un nuovo modo di vivere sociale improntato all'uguaglianza e al rispetto. Nella Lettera di San Paolo ai Cristiani d'America, il reverendo King esplica questa sua visione in maniera chiara e riassuntiva, senza fronzoli, coniugando al meglio la sua dottrina cristiana con la contemporaneità. Ma, e qui ancora c'è sempre un ma. Questa non è l'unica visione possibile. E così, fornito un esempio, è doveroso proporne un altro, complementare ed antitetico. Nietzsche, nella Genealogia della Morale, definiva questa condotta etica: la morale degli schiavi. Ossia gli ultimi, i deboli, riconoscendosi incapaci d'appropriarsi di dignità e rispetto per se stessi, smettono di sentire questi come a loro appartenenti, e se ne lasciano privare senza intromissioni. Animali che spontaneamente si presentano al macello per essere devastati. La loro speranza è quella di essere totalmente sconfitti. Così facendo il nemico s'alleerà con loro non per pena, ma per inutilità.


Un uomo con del danaro attira i ladri. Una volta povero, senza nulla da sottrargli, per i ladri è inutile, privo di considerazione alcuna. Tralasciamo la promessa religiosa di ricompense oltre la vita per questa condotta, questo discorso non verte sui dogmi teologali. È necessario comprendere le due istanze come poli attrattivi di vita e prendere una posizione. La "religione" del filosofo tedesco ha l'uomo come Dio. L'oltreuomo altro non è che un soggetto che riconosce l'altro come fattualmente uguale a lui, non in diritti e doveri, questo è superato. Lo riconosce uguale per capacità e dignità. E lo rispetta come pretende d'esser rispettato. Pastore d'un gregge che ha lui stesso come unico membro, e come unico depositario della responsabilità eterna delle sue posizioni. Non sottomesso, ne tiranno. Libero da entrambe le istanze. Chiaro quanto, rispetto a King, questo sia antitetico: se un uomo è tale nell'uguaglianza e rispetto, come può esserlo quando ne è privo? E come considerare qualcuno "uomo" se questi non rispetta? E, ancora, come considerare qualcuno "uomo" se questi non è capace di farsi rispettare? E perché tributare a qualcuno il rispetto che si deve ad un "uomo" se, per una ragione o per un'altra, questo "uomo" non lo è? In entrambi i casi, o nell'ipotetica speranza d'una vostra capacità di pervenire a sintesi delle due posizioni opposte, vi lascio con una riflessione. Il tiranno non è un uomo. Si lascia ghettizzare, dall'animale che contiene in se e che ne muove i fili, in un carcere di inadeguatezza. Il passivo, il remissivo, l'autosconfitto non è un uomo. Non vive nel suo futuro presente, e come tale l'umanità l'ha abbandonato. Entrambe le categorie si autocarcerano in uno stile di vita fallace e relegante, incapace d'uscirne perché quest'appartenenza li rassicura, e li "contraddistingue". Solo un "uomo" degno di tale appellativo non necessita di categorie. Non ne ha alcun bisogno. Vive. E agisce. È morale chi compie il bene per paura o desiderio d'un premio o chi compie il male per libertà e scelta? E quale "male" potremmo compiere, se, diventati "uomini" comprendessimo l'esistenza fattuale dell'uguaglianza e del rispetto? Mi piacerebbe poter affermare che il futuro conosce la risposta. Ma, se mai riusciremo come genere a vivere una risposta a questa domanda, ecco che questa a noi non apparterrebbe più. Nel momento in cui sarà data, la persona che la fornirà non sarà un "uomo" come da noi inteso, ma un "uomo" come a noi non è dato intendere. I sinonimi non esistono. I contrari, invece, si… purtroppo.

Autore: Max Max alias Massimiliano: C’è perché c’è, fa quel che fa, è quel che fa. Talvolta riesce ad essere ciò che vuole. Talvolta è quel che è: Max, ma per pochi. Instabile, maneggiare con cura. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Il prodotto è composto da parti tossiche pericolose. Evitare il contatto con occhi e mucose, qualora questo dovesse avvenire contattare un medico. Non è un prodotto medicinale.

http://sottounosguardo.tumblr.com


Lorenzo , nato nel maggio dell’89. Uomo ramingo che vaga alla ricerca di qualcosa, precario cronico che vive alla giornata come il passero che non sa di cantare e il bambino che non sa di giocare. Spartano e amante della semplicità del vivere ha la pecca dell’essere nato nerd poi riconvertito alla “normalità”.

Autore: Leonida989

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Introduzione II rapporti di coppia sono una costante della vita di tutti i giorni. A volte vanno a gonfie vele, mentre altre pian piano il sentimento di amore potrebbe logorarsi fino a morire. Quante volte succede di incontrare la propria presunta anima gemella mentre si è impegnati con un’altra persona? Che dilemma!!! Quale scegliere??? Proprio intorno a questi clichè della vita quotidiana di tutti noi prende vita Catherine. Trama 9,0 e gameplay 8,0 MA QUALE SCELGO?!?!? La trama è il fulcro del titolo targato Deep Silver. Appena iniziato il gioco ci si troverà di fronte ad una appariscente e prosperosa narratrice (Trisha, la Venere di mezzanotte), la quale introdurrà la storia e il personaggio di Vince con piglio da conduttrice di programmi sexy in seconda serata. Già da qui il giocatore viene incuriosito da questa atmosfera sexy e allo stesso tempo noir, che caratterizzerà l’intera narrazione. Già dal filmato introduttivo, in stile anime giapponese, Vince conversa in maniera del tutto confusa e apatica in un bar con Katherine, sua ragazza da parecchi anni. Sarà solo l’antipasto perché nel corso della storia Vince si ritroverà a dover scegliere tra Katherine e Catherine, una ragazza incontrata al bar dopo una sbronza tra amici con la quale il nostro protagonista si risveglia dopo una notte di presunta passione… presunta perché Vince non ricorderà di quella notte, tranne di aver avuto un terribile incubo. Si dipanerà un intreccio narrativo che terrà attaccato il giocatore allo schermo per circa 9-11 ore (a difficoltà normale), godendo di una sceneggiatura da anime davvero ben riuscita e di una caratterizzazione del protagonista ottima, scoprendo man mano un Vince indeciso ma dinamico, che crescerà in base alle sue convinzioni fino all’epilogo. Un Vincent che si evolve in base alle scelte che il giocatore adotterà per qualsiasi cosa, dal bere con gli amici, passando per l’aiuto o non aiuto verso i problemi del prossimo, a cosa rispondere agli sms delle due ragazze tra cui scegliere. Una trama sexy/noir quindi, tutta da gustare grazie alla possibilità di scelta che influisce sul finale, la quale saprà donare molte emozioni. Durante i sogni si gioca un puzzle game in cui l’obiettivo è scalare una pila di cubi di molti materiali diversi, che gradualmente sprofondano nell’oblio man mano che si sale, spostando questi ultimi per creare vie di uscita e salire celermente prima di precipitare di sotto quando la fila sulla quale ci si trova cade nell’abisso. Quando invece Vince è sveglio ci si trova allo Stray Sheep, il pub preferito di Vincent e dei suoi amici: non si deve far altro che bere, girare per il locale, parlare con la gente e rispondere agli sms che le due donne manderanno, scegliendo tra parecchie frasi e opzioni, andando ovviamente a influire sul dinamico carattere di Vince e sulla trama in generale. Un gameplay solido quindi, che si sdoppia da puzzle game ostico, frenetico e adrenalinico a tranquillo free roaming circoscritto allo Stray Sheep in cui si va a influire su tutto ciò che riguarda la narrazione, trovandosi in continuazione a dover scegliere tra una opzione “da buono” e una “da cattivo”. Grafica 7,5 sonoro 8,3 STO VIVENDO UN ANIME!!! Graficamente Catherine non ha nulla di più di un solido e collaudato cell shading, che rende tutto ciò che riguarda il comparto video un cartone animato, in questo caso un anime in tutto e per tutto. Data la leggerezza grafica il framerate è buono e non

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ci sono particolari difetti che spesso si notano nei modelli poligonali più complessi (tearing, cali di frame ecc ecc ). Niente di trascendentale quindi, ma comunque una scelta azzeccatissima il cell shading in quanto da al giocatore la piacevole sensazione di vivere all’interno di un anime in perfetto stile giapponese. Il sonoro è molto buono grazie ai doppiaggi di ottima qualità, sia in lingua del sol levante sia in inglese. Da menzionare le musiche e le colonne sonore, sempre molto appropriate al contesto in cui sono state inserite e molto gradevoli. Un sonoro di tutto rispetto quindi, che fa entrare ancor di più il player nel personaggio di Vince e nella complessa nonché dinamica trama. Longevità 8,5 innovazione 8,5 MA QUANTI FINALI POSSIBILI!!! La longevità si attesta tra le 9-11 ore a difficoltà normale, anche se può variare parecchio in base alle abilità del gamer. Ciò che le fa meritare un 8,5 è la rigiocabilità che il titolo offre, visti i 10 possibili finali e l’appassionante dipanarsi della trama, non sarà difficile sentire la necessità di vederne di alternativi rispetto alla prima “run”; aumentando di gran lunga quindi le ore di gioco trascorse in Catherine. L’innovazione per quanto riguarda la fase puzzle, è discreta, ma per quanto riguarda le serate al pub e il tipo di atmosfera che permea tutte le ore di gioco compresa la possibilità di influire seriamente sulla storia con le proprie scelte , è ampiamente superiore a gran parte dei titoli più blasonati in commercio; raramente si può godere di conseguenze credibili che si ripercuotono sulla trama a seconda di cosa si decide in game… in Catherine invece ogni scelta ha un peso sia nell’evoluzione di Vince sia sull’intreccio generale degli eventi. Multi 6,0 NON SERVE DI PIU’ Il multi competitivo non ha molto senso in un gioco del genere, ma ha motivo di esistere se come in Catherine lo si utilizza in modo del tutto statistico. Infatti tra i vari livelli, durante il caricamento, apparirà un grafico che indica in percentuale quanti giocatori hanno preso la stessa od opposta scelta rispetto al player. Conclusione e voto finale 8,5 UNA MOSCA BIANCA IN PURO STILE GIAPPONESE Catherine non è un gioco per tutti. In questo titolo si deve ragionare, si gioca con la testa e si debbono prendere moltissime decisioni che incideranno ampiamente sull’epilogo, sulla trama in sè e sulla personalità di Vince. I Deep Silver hanno creato un indubbio prodotto di nicchia, destinato a un pubblico abbastanza maturo che cerca qualcosa di più in termini di narrazione ed emozioni; senza ricercare artifizi grafici hollywoodiani e multiplayer. Una mosca bianca giapponese, in stile old school che metterà alla prova il giocatore dall’inizio alla fine della tragicomica epopea psicologica del povero Vincent.


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Girls in da house Autore: Max Max alias Massimiliano: C’è perché c’è, fa quel che fa, è quel che fa. Talvolta riesce ad essere ciò che vuole. Talvolta è quel che è: Max, ma per pochi. Instabile, maneggiare con cura. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Il prodotto è composto da parti tossiche pericolose. Evitare il contatto con occhi e mucose, qualora questo dovesse avvenire contattare un medico. Non è un prodotto medicinale.

http://sottounosguardo.tumblr.com

Molto spesso focalizzo la mia attenzione sul grande schermo, “grande” per dimensioni, ma talvolta molto poco imponente per effettiva qualità. E, sia chiaro, per qualità non s’intende un elitario e snobbistico spessore roboante alla Gad Lerner, ma qualità dello scritto, resa finale, contenuti divertenti e non scontati e soprattutto unicità (magari innovativa) del prodotto presentato. In questa sede però, anche per rispondere al criterio della preminenza dei “tempi correnti”, vi parlerò d’una strana attrazione. Quasi impalpabile, ma decisamente molto poco “inspiegabile”. Sono stato attratto da alcuni spot messi in onda da Mtv per pubblicizzare una nuova (nuova?) serie tv. Trattasi di Girls, che infesta la HBO precisamente dal 15 aprile del 2012, e che vanta come produttore e sceneggiatore una figura hollywoodiana di rilievo tra le penne comiche, ossia Lena Dunham. Ricordiamo che la serie, scritta dalla suddetta e sempre da lei interpretata, s’è aggiudicata il WGA 2013, ossia il Writers Guild Awards per la miglior sceneggiatura per una nuova serie televisiva (cito testualmente la nomenclatura dell’onoreficenza quasi fosse una malattia infettiva). Domandiamoci: premio per la miglior scrittura, ma stenta a decollare negli ascolti? Siamo così idioti da non guardare, noi spettatori, una se14

rie di cotanto rilievo compositivo? Temo di no, e temo altresì d’aver le prove di ciò che dico. Sia chiaro: un qualsiasi prodotto deve avere un target. Costruisco spazzolini da denti? Cerco di venderli a chi ha i denti. Produco assorbenti? Mi sembra assurdo proporne la vendita nel monastero dei Padri della Divina Ascesi Mistica, no? Anche le serie tv sono, a tutti gli effetti, prodotti mediatici. Costano soldi e, una volta messe in onda, lo si fa per guadagnare soldi. Le case produttrici, o i produttori per intenderci, non sono associazioni pro bono, enti assistenziali di beneficienza per attori squattrinati. Quindi anche Girls, essendo un prodotto televisivo, deve avere un target. E che questo target non è rappresentato dai sopracitati Padri della Divina Ascesi Mistica è abbastanza lapalissiano. Ma, sempre i miei adorati ma, Girls ha un target limitato. Così limitato da essere un carcere mediatico. Vedete, in Italia spesso, anzi sempre, assumiamo in stile pillole, o talvolta supposte, prodotti americani. Questi rappresentano un tipo di cultura che poco c’appartiene, ma, per essere apprezzati anche da noi, devono contenere elementi comici o scritturali di portata universale.


Qualcosa che permetta al soggetto spettatore di ridere, immedesimarsi, o semplicemente trovare interessante quel tipo di prodotto. Girl non ha questo “colore” d’universalità. Resta drammaticamente chiuso in una visione stereotipata d’una realtà distantissima che non coinvolge, non inspira, non parla alle “girls” nazionali. Non basta, per citare un neologismo composto dall’esimio poeta Mauro Lucchini, essere vaginomunite, aver avuto delusioni amorose e sproloquiare in preda ai deliri d’una febbre celebrale di inusitata entità per coinvolgere donne nell’immedesimarsi. Non sono sufficienti neanche insicurezze banali e scialbe crisi emotive. La mancanza di spessore effettivo ha un costo, e si paga.

Traduzione: piace poco. E, badate, questo non è un semplice parere mio, ma semplicemente una lettura dei dati auditel, o per banalizzare audience. Mtv reagisce al flop cercando di dare colore alla serie a priori. Come? Con gli spot. Mtv, che oramai poco parla di musica come nei bei tempi andati, sopravvive delle sue stesse pubblicità. E ne manda un gran numero, spesso anche con grande frequenza. E questo è giustissimo: se non lo facesse semplicemente si condannerebbe all’estinzione. Propone Ginnaste, Ballerini, serie varie ed eventuali con spot che ne presentano i tratti salienti. Gli spot di Girls cambiano di settimana in settimana. Ho provato pietà e commiserazione per i poveri pubblicitari della rete, costretti settimana dopo settimana ad un lavoro di taglia e incolla per costruire montaggi d’una cinquantina di secondi sempre diversi e sempre con un sot-

tofondo diverso. S’aspettano che lo spettatore ora veda Girls, o al minimo veda nel suo spot una promessa di realtà, poi di comicità, poi di romanticismo, poi di afflato femminil universalistico. Bè, sin ora mi dichiaro abbastanza felice che le mie connazionali rispondano poco e abbastanza sospettosamente a questi continui mutamenti di colore, per una serie che un suo colore ce l’ha. Anche premiato. Solo che non è nostro. E, vi prego esimi scrittori di reclame: non basta dire che qualcosa è un “cult” perché questo lo diventi. Scrubs, ad esempio, è stato chiamato cult solo dopo l’analisi dei dati di gradimento del pubblico. Davvero, farlo a priori è un inganno inutile, dai risultati non sempre gradevoli. 15


CARNEFICI DI NOI STESSI

Studente universitario speranzoso di diventare giornalista. “Chitarrista” a tempo perso; vive di musica e libri. Pensatore fallito. Agnostico praticante. “[...] And I will spend the rest of forever trying to figure out who I am”.

http://italianvoices.altervista.org

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Autore: Daniele


Ghettizzazione: separazione, allontanamento di una persona o di un gruppo sociale dal vivo della società. Così il dizionario online del Corriere della Sera definisce il concetto cardine di questo numero dell’OUReports, declinato nella versione dell’auto-ghettizzazione: ovvero di una separazione attuata in maniera più o meno conscia, ma in fin dei conti volontaria, dal soggetto (o gruppo) interessato. Questo processo può essere considerato un sinonimo dei termini sociologici “etichettamento”, “stigmatizzazione”, “isolamento”, “marginalizzazione”, “devianza”. Per rimanere in ambito sociologico l’auto-ghettizzazione può essere interpretata come una delle conseguenze della cosiddetta profezia che si autoadempie, derivata dal teorema di Thomas secondo cui “se una situazione viene ritenuta reale dal soggetto essa sarà reale nelle sue conseguenze”: in altre parole se io mi convinco di una cosa farò in modo che questa si realizzi concretamente. Facciamo qualche esempio concreto, per chiarire ancora meglio ciò a cui mi riferisco: un certo numero di cittadini deposita i suoi risparmi, centinaia di migliaia di euro, in una banca. A un certo punto inizia a diffondersi la voce che quella banca sia sull’orlo del fallimento o sia coinvolta in traffici poco sicuri; la reazione immediata da parte dei risparmiatori è, ovviamente, quella di ritirare i risparmi per evitare che vengano perduti per sempre. La voce si rivela falsa, ma nel frattempo il processo si è innescato: la banca si ritrova privata di buona parte dei suoi fondi e fallisce. Oppure: un ragazzo viene arrestato per un crimine e passa un certo periodo della sua vita in carcere. Al momento della liberazione preferirebbe però non abbandonare quel posto, quello stesso posto che noi giudichiamo così orribile. Come mai? Perché, nel periodo della sua carcerazione, è stato etichettato dalla società come un criminale, come una feccia, dunque da condannare. Immaginiamo le difficoltà con cui questo ragazzo dovrà confrontarsi una volta libero: reinserirsi nella sua città, sostenere gli sguardi di gelo dei suoi coetanei, magari sentirsi abbandonato dai propri cari. Una delle prime reazioni può essere quindi quella di perseverare nel crimine: gli altri mi considerano un criminale e forse questo è quello che sono davvero. Insomma, l’auto-ghettizzazione può nascere dalla consapevolezza (o dalla presunzione) di essere ghettizzato – quindi: escluso, discriminato, maltrattato – da altri. Per questo articolo ho deciso di non affrontare questioni monumentali quali le ghettizzazioni razziali o religiose, quanto piuttosto di soffermarmi sulle vicende quotidiane partendo proprio dalla mia personale esperienza, per quanto banale possa essere, sperando che alcuni di voi si ritrovino nelle mie parole. Inizio col dire che non sono di certo il tipo di ragazzo figo, sicuro di sé, accattivante che va tanto di

moda e fa andare fuori di testa le ragazze. Non lo sono, non lo sono mai stato, e forse non lo sarò mai. Il che non aiuta di certo quando sei inserito in un ambiente scolastico non dei più tranquilli. Per non dilungarmi troppo, comunque, confinerò il discorso ai soli anni del liceo: essendo abbastanza “socialmente sfigato” e, per di più, ottenendo più che buoni risultati scolastici, fin dai primi giorni sono stato oggetto di critiche, frecciatine e invidie da parte dei miei compagni di classe – la maggior parte dei quali pensava probabilmente di poter prendere un otto studiando l’incipit dell’Iliade in dieci minuti. A questo bisogna aggiungere il fatto che, sfiga per sfiga, ho sempre ascoltato musica particolare e poco apprezzata: nei primi anni soprattutto punk-rock, hard rock e heavy metal; negli ultimi anni delle superiori generi ancora più incomprensibili e complessi quali death, technical, progressive rock e metal e così via. Quindi: non solo sono uno tra i pochi ad avere un’ottima media scolastica, non solo non ho l’aspetto del piacione, non solo non ho il carattere da Sawyer di Lost ma ascolto pure la musica del diavolo – e, conseguentemente, mi vesto e mi comporto in un certo modo, seguendo una moda ben precisa. Questa situazione ha ovviamente pesato su di me, per cui un bel giorno mi sono detto: perché dovrei cercare l’apprezzamento altrui? Se i miei compagni di classe, i miei coetanei sono così ignoranti da schernirmi solo perché sono in qualche misura diverso da loro, perché questo deve essere per me un peso? Avrò pur altre virtù che loro non apprezzano: non sono degni della mia attenzione. E così, con una reazione psicologica di rifiuto, ho iniziato a chiudermi a riccio e a rifiutare il contatto con quelle persone. Ho iniziato a non parlare più con i miei compagni di classe, a frequentare l’ambiente dei forum e dei social network, a conoscere persone come me e che avessero i miei stessi interessi e gusti musicali, e così via. Ho dato vita, quindi, ad un processo di auto-ghettizzazione: ho creato un muro, una trincea tra me e gli altri come reazione all’atteggiamento di disprezzo che gli altri hanno mostrato nei miei confronti, cercando e creando al tempo stesso nuove cerchie di amici che si trovassero nella mia stessa posizione – in tal modo è chiaro anche come l’auto-ghettizzazione si caratterizzi sia per una dimensione soggettiva che sociale e collettiva: riguarda sia il singolo che il gruppo. Naturalmente questo mio atteggiamento di chiusura ha avuto sia effetti positivi che negativi: positivi perché mi ha permesso di conoscere nuove persone che sono entrate stabilmente nella mia vita, con cui davvero ho condiviso tutto in questi ultimi anni e che mi hanno permesso di sentirmi parte per la prima volta di un gruppo sociale; negativi perché ho alimentato io stesso la situazione di marginalizzazione di cui ero vittima e mi sono

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precluso molte altre esperienze, chiudendo la porta in faccia a persone che, con il senno di poi, non erano così maligne. Solo oggi sto cercando con fatica di rovesciare almeno in parte questo processo, sebbene alcuni residui siano profondamente radicati in me: ad esempio la convinzione che chi ascolta determinati generi musicali, ami l’arte e la cultura, faccia certi tipi di letture e abbia determinati interessi sia in qualche modo uno “spirito elevato”, a cui sono legato da qualche affinità. Quindi, in conclusione: per diversi anni mi sono sentito oggetto di disprezzo da parte di alcune persone, il che mi ha portato ad isolarmi volontariamente da loro e trincerarmi all’interno di gruppi di altri simili a me. Ovviamente questo è solo un esempio, piuttosto banale a dire il vero (ma cionondimeno diffuso), di ghettizzazione che alimenta l’auto-ghettizzazione. Questo processo avviene poi per motivazioni ben più gravi: pensiamo ad esempio alle diversità economico-sociali che in certi contesti portano alcuni individui ad essere discriminati; pensiamo all’assenza di alcune caratteristiche socialmente apprezzabili – o, al contrario, alla presenza di altre caratteristiche non comuni – che spesso ci rendono disprezzati da altri; o ancora a problemi di salute che ci possono far diventare oggetto di scherno. La nostra mente rielabora questi traumi e ci porta ad affrontarli allontanandoci da ciò che noi vediamo come il “male”, come la causa della nostra sofferenza. In definitiva mi sento di dire che l’auto-ghettizzazione può essere considerata al tempo stesso come un fenomeno psicologico – per questi motivi – e sociale al tempo stesso; un comportamento sicuramente legittimo e accettabile che ci permette di difenderci dalle difficoltà che tutti dobbiamo affrontare – conseguenza quindi di una debolezza interiore – ma che può anche rivolgersi contro di noi e alimentare quella stessa situazione da cui cerchiamo di fuggire. In qualche modo possiamo quindi dire di diventare noi stessi i nostri carnefici.

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Autore: Mauro Mauro Aka Various (13 febbraio1987) è un informatico valtellinese, attualmente codirettore del OUReports. Sognatore incazzato. Prova un amore folle verso gli animali e ne possiede di diverse specie. Scrivere è per lui uno sfogo, un momento di riflessione fra se e il mondo che sta dentro di lui.

Un “gamer” è un videogiocatore. Un “gaymer” è un videogiocatore omosessuale. Sarà che per me un videogiocatore eterosessuale e uno omosessuale sono la stessa cosa: una persona che gioca coi videogame. Dunque, non sentivo il bisogno dell’ennesima etichetta che in questo caso è auto-applicata da una parte della comunità gay. Lo scorso Agosto è comparsa sul noto sito di crowdfunding Kickstarter una campagna per la realizzazione di una convention ludica dedicata ai gay. La raccolta ha avuto successo raggiungendo quasi la quota di 100.000 dollari: la GaymerCon. Dunque a San Francisco si terrà la prima edizione di questo evento ludico. Tormentato, conflittuale, se non apertamente ostile: il rapporto tra i videogiochi e la comunità LGBT (acronimo di lesbian gay bisexual e transexual) è tutt'altro che pacifico. I gamers con orientamenti sessuali alternativi rispetto al canone eteronormativo sono spesso discriminati, se non addirittura attaccati - verbalmente - all'interno della comunità. Il GaymerCon ha ricevuto il supporto di numerosi celebrità dell'industria, tra cui la doppiatrice di GLaDOS (Portal) Ellen McLaine, il doppiatore del cecchino di Team Fortress 2 John Patrick Lowrie e Jerry "Tycho" Holkins di Penny Arcade. L'obiettivo della conferenza? Portare in primo piano le tematiche di natura LGBT nei videogame e discutere gli aspetti di natura retorica e procedurale dell'intrattenimento elettronico presente, passato e futuro. Qual’è il problema? In una parola, l’autoghettizzazione. Eliminare le discriminazioni non parte proprio dall’eliminazione di etichette? Ha senso che proprio un movimento gay se ne applichi di nuove per dire “sono videogiocatore E gay”? Non so quanto tutto ciò si applichi in altri ambiti, però non credo che esista qualcosa di analogo per altri hobby. Non so quanto si senta il bisogno di una convention di pescatori gay o lettori gay. Mii sembra un’azione che porta le persone a rinchiudersi in qualcosa di auto-imposto e come tale, forse più dannosa che altro. Anche perché, analizzando bene il mercato dei videogame negli ultimi anni, sembra proprio che si tratti del media che più di altri ha abbracciato la coscienza gay del mondo, proponendo spesso e volentieri esperienze di gioco in cui l’orientamento sessuale dei personaggi non è predefinito.

www.tamalife.com

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PERCHÉ STESS

Si tratta di un'abitudine rimasta nel lor in cui erano allo stato selvatico, un met re eventuali ramoscelli, foglie, o altro p no, in modo da renderlo più confortev Alcuni sostengono che lo facessero anc sguardo intorno, per controllare che n fossero dei nemici. Se qualcosa di così elementare eppure masto nell'indole di quelli che oggi sono amici a quattro zampe, allora Madre N delle doti incredibili, per quel che conce stico/adattativo della razza animale. Lo mille altri comportamenti di animali di qui ad elencare. Per quanto riguarda l quali potenti armi sono state impiegat di vivere con il minimo sforzo gli imp Beh, il forno a microonde, per esempio che ci avvantaggia in cucina, ma anche è niente male! Chi non vorrebbe un'asc gli inverni freddi in cui quello straccio non si asciugherà mai da solo, e se ti azz casa, vicino al termosifone, ti procurerà tà sulle pareti del soffitto. La vita è dur però molte persone che questi problem no, che preferiscono l'umidità sui muri. Queste persone hanno bisogno di poch cose, se le procurano, e del resto che col minimo necessario, spesso facendo fici; viene spontaneo ricordare, tra que una creazione di Jack London, che si d bevute, che faceva il marinaio per gua vita sulla terraferma. Poi, un giorno, p scoperto i libri e l'amore, e da allora ha didatta migliaia di testi, col sogno di d nel cuore, abbandonando il grezzo m sociale a cui apparteneva. Martin dor fumava, ma dopo quel casuale incontro perseguendo il sogno di diventare uno cesso. La sua ricetta comprendeva non di sonno per notte, usare tutto il temp leggere e scrivere, imbustare poesie, ra scritti a macchina e spedirli alle più d trici e redazioni giornalistiche. Rinunc mangiare, se questo poteva permetterg francobollo per quelle Liriche del Mare pena state rimandate. Di cosa ha bisogn 20


I CANI RUOTANO SU LORO SI PRIMA DI ACCUCCIARSI?

ro DNA dai tempi todo per appiattipresenti sul terrevole per il sonno. che per darsi uno nei paraggi non ci

ragionevole è rio i nostri migliori Natura deve avere erne l'aspetto logivediamo anche in iversi che non sto l'umanità, invece, te per permetterci pegni quotidiani? o, è un ottima skill l'asciugatrice non ciugatrice, in queo del tuo pigiama zardi a metterlo in à sciami di umidira, è vero. Ci sono mi non se li pongo. he e fondamentali importa? Vivono o anche dei sacriesti, Martin Eden: dava alle risse, alle adagnarsi mesi di per puro caso, ha a studiato da autodiventare scrittore mondo della classe rmiva, mangiava, o tutto è cambiato, o scrittore di sucpiù di quattro ore po rimanente per acconti, saggi tradisparate case edinciava volentieri a gli di comprare un e che gli erano apno, quindi, Martin

Eden? Di un'asciugatrice? No. Martin Eden ha bisogno di scrivere, di leggere e di vedere occasionalmente Ruth, la sua amata. Se ne stava lontano da tutti quasi involontariamente, finché le cose non sono mutate nuovamente, chiudendo il cerchio della sua avventura, e ritrovandosi a detestare tutti quelli che lo circondavano. Una specie di improvvisa misantropia, un cambiamento talmente radicale da non riconoscerlo più, questo personaggio che per quasi quattrocento pagine ci aveva accompagnato. Personalità complesse come la sua ci sono sempre state; esse compiono non solo svolte radicali, ma anche isolamenti volontari, veri e propri fenomeni che dall'esterno risultano incomprensibili. Non mancano i professoroni, gli psicanalisti che subito sono lì, in prima fila, a voler svelare i reconditi motivi di tali comportamenti. È sempre successo, e soprattutto con persone in vista, persone che esercitano tanto più fascino quanto più si privano di un'identità pubblica. Tutti ricordano il genio del pittore maledetto Caravaggio, tutti ricordano il periodo buio di Buster Keaton all'arrivo del sonoro nel cinema degli ultimi anni dei “Roaring Twenties”, e il suo perseverare, nonostante tutti gli altri attori recitassero normalmente, nell'apparire in alcuni film facendo la parte del muto, di colui che non viene considerato, dell'uomo che adombra se stesso come scelta personale; e poi ancora Ludvig Van Beethoven e il suo caratteraccio, Glenn Gould e la sua personalità tutt'altro che loquace, tutt'altro che ordinaria. La storia è piena di uomini che, per loro volontà, hanno voluto rinchiudersi in sé, lasciarsi andare, soli, tanto per esigenza creativa quanto terapeutica: Marcel Proust si isolò volontariamente in una casa sul viale Haussmann, dentro una stanza foderata di sughero, in cui non potessero entrare luce o suoni esterni, e a cui solo la domestica Celeste aveva accesso. Inizialmente, la scusa per tale comportamento sarebbe stata quella di combattere la sua asma, che fin da piccolo lo tormentava, ma piano piano la reclusione divenne per lui una sorta di droga, da cui non voleva uscire e che, al contrario di quello che voleva far(si) credere, peggiorava il suo stato di salute, respirando continuamente i suoi stessi effluvi ansiogeni. Il bel mondo dei salotti parigini lo acclamava, mentre lui dormiva di giorno e scriveva di notte, assistito solo dalla sua nausea sociale, dalla sua amante musa, plasmata su note e correzioni a piè di pagina. Non serve andare incontro alle tendenze decadenti o ad un periodo per nulla facile della storia mondiale: figure

del genere sono sempre esistite, basti pensare a Diogene il Cinico aka il Socrate Pazzo, che viveva in una botte e che fece dire ad un re del calibro di Alessandro Magno “Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene”. Mica spiccioli! È il solito binomio 'genio e sregolatezza' che affascina, che fa perdonare ogni strano comportamento, ogni mania, ogni occasione persa. Resta da chiedersi se, dietro questa solitudine autoimposta, spesso creativa, ci sia anche un fine terapeutico. In altre parole: a che giova? Il fatto di avere oggi a disposizione decine di quadri di Amedeo Modigliani cosa rende al grande pittore, andatosene da questa terra nella più nera miseria? La fortuna postuma non è forse una maledizione, uno spregio a queste eminenze geniali, quando avrebbero potuto avere la fama di cui oggi godono anche in vita? Per tornare a Martin Eden, nell'ultima parte del romanzo dice più volte a se stesso “Avevo già scritto tutto!”. Tutta la produzione per cui, improvvisamente, diventa famoso, appartiene al periodo in cui faceva la fame. Nessuno dei lavori che manda agli editori è inedito, erano tutti stati scritti prima del successo. E lo stesso è per i vari letterati e artisti che si sono succeduti nei secoli dei secoli. Scrittori come Giovanni Pascoli, Italo Svevo, Charles Baudelaire, e tutti quelli che con loro hanno partecipato ai movimenti dell'ermetismo, del simbolismo, del decadentismo, e che perciò venivano appunto considerati “decadenti della società”, poiché non si attenevano alle ideologie del Positivismo, erano quasi costretti ad un isolamento volontario, lontani da quei circoli letterari accademici e reazionari che volevano per forza mettere in confronto una poesia come “Digitale Purpurea” ad un romanzo di Zola. Sarebbe come voler comparare un'opera buffa napoletana di Alessandro Scarlatti ad un'opera seria del maestro Christoph Willibald Gluck; oppure pretendere di poter trovare similitudini tra il giorno e la notte: sono cose estremamente diverse, speciali in modi diversi, e dunque incomparabili, senza che questo voglia indicare la prevalenza di una sull'altra. I cani ruotano su se stessi prima di accucciarsi a causa di un'abitudine rimasta nel loro DNA dai tempi in cui erano allo stato selvatico; un metodo per appiattire eventuali ramoscelli, foglie, o che altro presenti sul terreno, in modo da renderlo più confortevole per il sonno. Allo stesso modo, ci sono persone (non solo artisti o letterati) che hanno bisogno di farsi un proprio spazio ideale per riposare il più comodamente possibile, per vivere 21


in tranquillità, senza turbe esterne (ché già quelle interne sono innumerevoli e opprimenti). C'è un “cantuccio d'orto”, come avrebbe detto Pascoli, che ognuno deve avere il diritto di costruirsi, e che non deve essere necessariamente una prigione entro cui sodomizzarsi o lasciarsi andare nei fumi dell'oppio o di qualche altra strana sostanza. Può essere anche solo un rifugio, un placido luogo di creatività, produttività, ma soprattutto di equilibrio.

“Piangono, un poco, nel tramonto d'oro,

senza perché. Quante fanciulle sono nell'orto, bianco qua e là di loro! Bianco e ciarliero. Ad or ad or, col suono di vele al vento, vengono. Rimane qualcuna, e legge in un suo libro buono. In disparte da loro agili e sane, una spiga di fiori, anzi di dita spruzzolate di sangue, dita umane, l'alito ignoto spande di sua vita.” Giovanni Pascoli, Digitale Purpurea, da Primi poemetti (1897)

”passaggio In fondo alla rue Guénégaud, venendo dal lungofiume, si trova il del Pont-Neuf, una specie di corridoio stretto e cupo che

Autore: Laudica Laudica aka Lucienne De Rubempré (02/12/1993). Studentessa universitaria, si dedica ventiquattrore su ventiquattro ad amare l’arte, la musica, la letteratura. Canticchia arie delle opere di Mozart e venera Honoré de Balzac (come Antoine Doinel, ha anche lei un altarino in onore allo scrittore, in camera). Nel tempo libero fa razzie nella sua libreria di fiducia, o va a farsi prendere da crisi di Stendhal multiple in qualche museo, dopodiché si reca ad ingozzarsi in un sushi bar.

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va dalla rue Mazarine alla rue de Seine. Lungo tutt’al più trenta passi e largo due, è lastricato di pietre giallastre, consunte, sconnesse, che trasudano sempre un’acre umidità; la vetrata che lo copre, tagliata ad angolo retto, è nera di sporcizia. Nelle belle giornate d’estate, quando il sole pesante arroventa le strade, una luce biancastra cade dai vetri sudici e striscia miseramente lungo il passaggio. Nelle brutte giornate invernali, nelle mattine di nebbia, i vetri diffondono sulle pietre vischiose solo il buio della notte, una notte sporca e ignobile. [...] Qualche anno fa, di fronte a questa venditrice, c’era una bottega i cui pannelli di legno verde bottiglia trasudavano umidità da ogni fessura. l’insegna, fatta con un asse stretto e lungo, recava, in lettere nere, la scritta MERCERIA, e su uno dei vetri della porta c’era un nome di donna: THERESE RAQUIN, a caratteri rossi. A destra e a sinistra due vetrine profonde, tappezzate di carta azzurra, affondavano nell’oscurità. [...] D’estate, verso mezzogiorno, quando il sole bruciava le piazze e le strade con raggi fulvi, si poteva scorgere, dietro le cuffie dell’altra vetrina il profilo pallido e serio di una giovane donna. Quel profilo usciva vagamente dalle tenebre che regnavano nella bottega. Alla fronte bassa e secca si attaccava un naso lungo, stretto, affilato; le labbra erano due tratti sottili di un rosa pallido, e il mento, corto e nervoso, si congiungeva al collo con una linea morbida e grassa. Non si vedeva il corpo, che si perdeva nell’ombra; appariva solo il profilo, di una bianchezza opaca, squarciata da occhi neri spalancati, e come schiacciati da una folta capigliatura nera e folta. Emile Zola, Thérèse Raquin (1867)


CHANDRA Autore: Federica Studentessa all’ultimo anno del Liceo quasi pronta per l’Università, amante della Filosofia e Pedagogia. Appassionata di Libri e Fotografia. Insomma...appassionata di tutto quello che inizia con la parola: Arte. http://www.poesieracconti.it/community/utenti/LiliumCruentus

Sotto i raggi lunari improvvise apparizioni d'infinito giungono all'ego Gli attimi che si percepiscono contemplando la natura sono come colori, emozioni che lasciano dentro scie luminose di spirito Piedi nudi sulla terra verde e blu di rugiada Un senso di leggerezza potente sfiora tutto il corpo fino all'anima Dita sfiorano il vento toccano foglie e la speranza s'insinua La vita rinasce esplode luminosa come stelle cadenti nel cielo nero quando avviene la riscoperta dei sensi grazie alla natura La luna specchio dell'anima scuote gli animi cechi e va sospirando parole al vento e alla terra Cammina sull'acqua sull'oceano

sul mare creature marine magiche intorno a noi ci spiegano il senso di questa terra che ci incanta La nostra madre, madre terra, è ovunque Scende la pioggia presenza trascendente Spazza via ogni cosa resisterà solo la felicità Un'isola verde vedo da quassù insieme a te insieme a te che puoi volare con la mente con il cuore insieme a te che puoi farmi risalire fino alle mie origini fino a farmi ricongiungere con la mia madre terra adorata perché solo lei può donarmi gli interventi divini della natura solo lei può aprirmi gli occhi e farmi Essere Farmi essere unica cosa con cielo e terra

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Cara Eles, sono gay!

"Si deve ave di cose peric quello che c'è amore è qualc glioso."

"Ciao Eles, sono un lettore dell'oureports e adoro la tua rubrica. In realtà ci siamo anche conosciuti realmente ma preferisco rimanere anonimo. Ti scrivo perché ho bisogno di un consiglio prima che la mia testa parta del tutto. Sono uno studente d'ingegneria e sono gay. Da quando sono al nord non me ne vergogno e lo dico abbastanza facilmente anche se non credo che si noti troppo. Ma arriviamo al mio problema. E' il mio ragazzo. Già, da un anno viviamo assieme e il fatto che io sono lontano e studio rende la cosa normale e accettabile anche dai miei parenti che non sanno nulla. Lui si è laureato e ha appena trovato un buon lavoro. Il problema nasce dal fatto che il suo nuovo lavoro lo rende direttamente subordinato a mia sorella e io ho il terrore che, benchè siano in due sedi diverse, lei scopra che è gay e quindi scopra anche me. Come posso gestire il tutto?"

"Se la gente ti giudic è perché non capisce fino in fondo cosa si l'amore." (By Petite Pazza) 24


ere paura solo colose, mentre è tra te e il tuo cosa di meravi" (by . . .) "viva la sincerità, ma solo se si è disposti a sopportarne il peso e le conseguenze." (by Nekomusume)

ca e ia

Caro lettore, Scusa se ti ho fatto attendere un po’ per la risposta, ma sono felicissima di rispondere alla tua letterina e a maggior ragione di rispondere in questo numero. Come puoi leggere dal titolo e dagli articoli abbiamo voluto trattare un tema serio e molto attuale e che comprende anche l’omosessualità. Io non voglio parlare di ciò che accade nella nostra società, dei pregiudizi e dell’arretratezza che c’è ancora nel nostro Paese su questo argomento, ma voglio concentrarmi su di te e il tuo “problema”. Ti parlo per esperienza, perché ho vissuto storie simili alla tua proprio con persone a me molto vicine, riesco a capire perfettamente la paura che hai e i motivi per cui ti nascondi con la tua famiglia. Per quanto riguarda i tuoi genitori il passo dell’accettazione sarà difficile, soprattutto se te non hai mai dato segni e non hanno mai sospettato nulla, anche se i genitori riescono a capire un figlio più di chiunque altro a volte certe cose non le possono accettare e di conseguenza non le considerano possibili, anche se in fondo al cuore sanno. Con loro non devi affrettare i tempi, non devi dire tutto subito, ma appena riuscirai a liberarti di questo grande “segreto” ti assicuro che starai molto meglio. Non ti aspettare subito una reazione da film, dove tutti accolgono la cosa con facilità e serenità, perché purtroppo i nostri genitori non sono nati nella nostra generazione, in cui abbiamo a che fare ogni giorno con coppie eterosessuali o omosessuali senza alcuna differenza, ma hanno ancora l’idea che sia qualcosa di “diverso” e “sbagliato” e soprattutto hanno paura del giudizio degli altri. Che poi chi sono questi “altri” che hanno il diritto di giudicare noi o i nostri figli? La gente purtroppo può essere tanto cattiva e la cattiveria

ferisce più di qualsiasi altra cosa, ciò che dovremmo fare tutti è fregarcene del giudizio degli altri, cosa che definirei utopica in quanto qualsiasi nostra azione è sempre condizionata da altri. Ma torniamo a noi, la parentesi sui genitori era per arrivare alla questione “sorella”, credo che il tuo comportamento e la tua paura verso il suo giudizio dovrebbero essere diversi rispetto a quelli per il resto della famiglia, se hai detto che riesci a dirlo tranquillamente agli altri, di aver superato il timore di esser giudicato dall’esterno, un piccolissimo passo in più sarebbe confessare la cosa a tua sorella. Non solo ti farebbe sentire più leggero, ma ti eviterebbe quest’ansia in attesa che lo scopra da sola e credo che farebbe sentire più sicuro di voi e della vostra storia anche il tuo ragazzo. Potrebbe essere una conferma in più per la vostra relazione, non dico che a lui servirebbe ma che sicuramente vi farebbe crescere ancora di più come coppia. Io credo che la cosa più bella in qualsiasi rapporto sia poter essere liberi di viverlo, di uscire fuori a testa alta senza vergognarsi di nulla e poter condividere la propria felicità con le persone a noi care. Io non penso che tua sorella da sola possa arrivare a capire di lui e quindi conseguentemente di te, non è un collegamento obbligatorio, potreste essere semplicemente due amici che vivono insieme; ma ciò non toglie che magari il tuo terrore di esser scoperti è causato solo dalla voglia di confessar tutto e sentirti più sincero con lei. Sono sicura che saprai da solo qual è la cosa migliore da fare, forse basta solo un pizzico di coraggio più di quello che hai già avuto fin ora. Ti faccio un in bocca al lupo per tutto e continua a seguirmi! XOXO Eles 25


Intervista

Intervista a Leonida - Nerd a chi ? 1) Spiegaci il tuo concetto di “Nerd”. Penso che la parola NERD sia un termine mal italianizzato. Ormai si affibbia genericamente questo appellativo a determinate persone con degli hobbies o passioni quali videogiochi, informatica, fumetti… ma in realtà il NERD è una persona di cultura tendente alla solitudine che si interessa ANCHE di videogiochi ecc: il classico secchione in italiano. A volte in Italia si etichetta la gente in base a criteri del tutto sballati dettati da un qualunquismo dilagante.

2) Favorevole o contrario a una società meritocratica? Perché? Favorevole, come penso tutti. Trovo diabolico l’assetto della nostra attuale società: Tizio vuole lavorare da Caio sapendo di avere delle buone capacità. Ma Sempronio pur non avendo qualità paragonabili a Tizio viene preso al posto di quest’ultimo perché ha una spintarella. Tizio quindi per sopravvivere dovrà cercare un suo personale Caio che lo spinga per non farsi superare da

Autore: Galdo Marco aka Galdo, del clan Esposito. Convinto assertore della diceria secondo la quale “Un animo nobile titaneggia nel più piccolo degli uomini” (Jebediah Springfield), intervista cani e porci. Architetto abusivo, studente paranoico, baseball player, alfiere della fratellanza, esecratore dell’arroganza.

http://galdo81.tumblr.com

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un Sempronio qualunque. Siccome ormai in Italia questa consuetudine è una regola, il Paese è tenuto in mano da una miriade di Semproni del tutto privi di capacità cognitive e intellettuali consone alle loro posizioni di leadership.

3) Trovi che Leonida sia stato quantomeno scortese nei confronti dell’ambasciatore di Serse? Gli ha dato del blasfemo e del pazzo!!! Cosa pretendeva che gli regalasse una notte con la sua regina per questo? Questa è meritocrazia: mi insulti? Io ti butto nel pozzo!

4) In che modo sei coinvolto col sito OUReview? Sono dj oltre a scrivere nell’OUReports.

5) Un tuo difetto universalmente riconosciuto? Non so quale dei tanti scegliere! In linea di massima faccio dei miei difetti la mia forza con un po’ di autoironia, ma penso che se dovessi scegliere quello più spigoloso e meno malleabile direi senza dubbio la testardaggine. Quando mi impunto non mi stacchi dalla mia idea nemmeno con la gru. Ah sono anche abbastanza lunatico!

6) I tuoi gusti musicali? Sono molto ampi, vado dal metal al pop, senza disdegnare il rap USA; in linea di massima scelgo la musica da ascoltare in base al mio umore e alla situazione: a volte ho il bisogno di caricarmi, quindi metto su i Linkin Park; altre cerco un po’ di relax: cosa meglio di un po’ di pop leggero o qualche canzone di Bob Marley? Spesso mi piace rievocare il passato e mi dò alla musica anni ‘90 e ‘80… non mi sento di porre limiti alla mia cultura musicale insomma, anzi, tendo sempre a volerne allargare gli orizzonti. Chi ricorda le mie trasmissioni potrà certamente confermare che passavo di palo in frasca ogni 5 minuti!!!


7) Ormai ti conosco bene e posso farti questa domanda: i videogiochi rincretiniscono?

10) Cosa pensi della possibilità di estendere ai gay i diritti civili che sono loro negati?

Rincretinisce di più la TV, ma siccome ormai i media ci hanno inculcato che chi dopo una certa età ancora videogioca si rincretinisca gradualmente, la gente ci crede. Io gioco con i videogames da quando ho 5 anni, iniziando con l’Atari 2600 per poi passare a Supernintendo e Gameboy fino ai giorni nostri con PC e PS3: non mi sento un inetto nè tantomeno un fallito perché conduco una vita sociale normale con i miei amici, ho una meravigliosa ragazza e pian piano porto avanti i miei target lavorativi nonostante il periodo difficile .

Penso che la presenza del Vaticano in territorio Italiano renda questo processo molto più difficile rispetto al resto del mondo. Ma sono anche convinto che sia deleterio per un bambino essere affidato a una coppia omosessuale, non per una presunta carenza educativa, ma più per una discriminazione sociale che i coetanei applicherebbero su di lui spietatamente. Se i bambini sovrappeso vengono quasi sempre perseguitati per l’aspetto fisico, figuriamoci un ragazzino con due genitori dello stesso sesso cosa può subire in un periodo delicato come l’infanzia, appunto per un “difetto di forma”… è una situazione annosa questa e sono del parere che non si dovrebbe lasciare nelle mani della sola classe politica italiana, la quale la utilizzerebbe solo per pura propaganda, senza farsi scrupoli sulle conseguenze delle loro decisioni. Sono invece d’accordo col dare modo agli omosessuali di sposarsi. Anche se è un rito più formale che pratico, capisco che chi tiene alle formalità abbia il bisogno di mettere su carta la propria unione con il suo partner, perciò chi siamo noi tutti per impedirglielo?

8) Credi che il bisogno di ritrovarsi tra persone a disagio con la società spinga gli individui ad autoghettizzarsi? Sì ma credo anche che questo bisogno sia una grossa sconfitta di una società civile e tollerante come quella che vorremmo avere o far credere di avere.

9) Hai mai avuto a che fare con delle comunità straniere, come quella cinese o rom, che tendono ad autoghettizzarsi? Sì, penso che vadano fatte molte distinzioni in questi ambiti. Non sempre chi fa parte di queste comunità si estrania dal contesto che lo circonda per propria scelta e ci sono anche coloro che si integrano perfettamente con le culture che li ospitano. Ma ci si deve anche domandare se si usano i metodi giusti per far integrare a dovere gli extracomunitari.

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Mentre la stagione fredda imperversa ancora per le strade, i grandi stilisti e le più importanti griffe tingono le sfilate come non mai, eterogenee, varie e sorprendenti per una primavera/ estate 2013 tutta da giocare. I grandi classici della bella stagione, rivisti e reinterpretati in chiave decisamente contemporanea. Trasparenze, veli, ricami e sovrapposizioni su un bianco che domina incontrastato. A fargli da contraltare sono i colori vivi, pieni e grintosi: il giallo, l’arancio, il verde e il fucsia. Un grande ritorno per le stampe floreali, puntuali a dominare le passerelle. Dimenticate i classici fiori e puntate invece su quelli iperstilizzati e grafici. Quanto ai volumi, a farla da padrone

saranno gli abiti extralong ed extralarge, ampi e leggeri come mongolfiere. In tinta unita, in pizzo di sangallo e in stampa fantasia, ciò che conta è che lambiscano il suolo. Un must sarà poi lo smoking, dove le varie griffe ne hanno dato una libera e diversa interpretazione. Quanto ai temi decorativi, la partita più cool se la giocano in tre: le righe (in versione macro, tipo sdraio al mare), le ruches (leitmotiv di collezioni come quelle di Gucci) e la stampa pitone, soprattutto in versione patchwork o colorfull. Per chi ama guardare lontano, una menzione al Giappone con kimono e obi a go go, per le più estrose delle geishe metropolitane.

Ma questo non è tutto, vediamo assieme tutti i nuovi trend che ci aspettano:

OSCAR DE LA RENTA

2013

Le Righe. Come sdraio da spiaggia o ombrelloni aperti al sole delle coste marittime, le righe conquistano di nuovo le passerelle. Una delle fantasie più amate di sempre torna prepotentemente di tendenza, per total look eye catching o per singoli pezzi da mixare con abilità a tinte unite o (meglio ancora) ad altre fantasie. Unico punto da tenere sempre ben presente: verticali allungano, orizzontali allargano. AQUILANO RIMONDI Autore: Elisabeth Elisabeth Hair Stylist dalla mente contorta e insana. Amore folle per gatti e felini, scrittrice notturna incompresa. Appassionata di letteratura inglese e poesia, vive in un universo parallelo con la dedizione per la moda in tutte le sue forme.

JONATHAN SAUNDERS

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http://insaname.blogspot.it/


Frutta Colours.

PRADA

Vietati alle timide, e (forse) anche alle pallide. L’arancio succoso del mandarino. Il verde intenso del kiwi. Il rosso vivace del lampone. Il giallo acido del lime. Una macedonia di colori vivi tutta da indossare! VERSACE

LÉONARD

PPQ

TENDENZE MODA PRIMAVERA/ESTATE

ISSA LONDON

ISSA LONDON

LOUIS VUITTON

Le Ruches.

Vibranti come ali di farfalla, fluttuanti come petali di fiori esotici. Ad ogni passo regalano un movimento, ad ogni gesto donano una fluidità sensualissima. Delicati ma scultorei, macro o micro, volant giocano nell’aria della nuova stagione con divertimento e gioia.

MUGLER

I Nuovi Fiori.

Il flower power del 2013 è decisamente nuovo e fresco, niente roselline romantiche, addio margheritine delicate. I fiori della prossima primavera saranno grafici, stilizzati, astratti; segni primordiali misteriosi e niente affatto leziosi. A cominciare da Prada:

ISABEL MARANT

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GUCCI

VICTORIA

Grafismi.

M

I

BECKHAM

S

S

O

N

I

Le grafiche delle stampe della prossima primavera sono quadri di arte moderna, essenziali, colorati e astratti. Campiture di colori pieni che s’intersecano, geometrismi a tratti imprecisi, a volte nettissimi, disegnano il corpo con tracce inattese e innovative. LACOSTE

SASS

&

BIDE

GABRIELE COLANGELO

Rete.

PEDRO LOURENÇO

Sfumature di Bianco.

Che la scelta del bianco di primavera e d’estate non sia proprio una novità, lo sappiamo bene. Ma lo styling del 2013 è interessante e niente affatto banale. Il più neutro e luminoso dei non colori vive una vita nuova grazie a trasparenze, sovrapposizioni, ricami, vedo non vedo e giochi di sfumature che contribuiscono a vivacizzarlo.

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Intrecci originali o vere e proprie reti, per interi abiti o per inserti maliziosi, le donne della prossima primavera saranno sirene suadenti catturate dal mare della moda.Acrobate dello stile pronte a rischiare. AKRIS

BALMAIN


GIORGIO

ARMANI

Abiti Extralong&Extralarge.

FRANKIE

ALVIERO

MORELLO

MARTINI

1A

CLASSE

Lunghissimi, larghissimi e leggerissimi. Saranno così gli abiti must have della prossima primavera/estate. Non si tratta di un revival hippie, perché sono proprio gli stilisti all’avanguardia a darne le interpretazioni più curiose e affascinanti. Colori neutri o shock, tinte unite o fantasie azzardate, purché siano XXXL. Pronte a trasformarsi? PHILIPP PLEIN

ALBERTA

YOHJI

FERRETTI

YAMAMOTO

Lo Smoking.

TOMMY

HILFIGER

Signore e signori, è tornato il tuxedo! Il completo da cerimonia rivive anche per lei, reinterpretato in tanti modi quante sono le griffe che l’hanno “rivisto e corretto”. A partire da Saint Laurent che ha rispolverato un classico della griffe, portandolo di nuovo in auge. Sulle passerelle imperversano il rigore black dei revers lucidi e la compostezza raffinata dei pantaloni con la piega, per una donna che vuole esprimere la sua sensualità con consapevolezza e classe. E quel tocco di mascolinità che non guasta mai. SAINT LAURENT

Il Metallizzato.

La primavera 2013 sarà metallized dalla testa ai piedi. L’effetto metal non si esaurirà nei classici gold e silver. Tessuti liquidi e fluidi, ma anche preziose incrostazioni, brilleranno nei colori dell’arcobaleno e ogni outfit sembrerà un pacchetto regalo!

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VALENTIN

A

YUDASHKIN

K

R

I

S

P

R

E

E

N

Il Giappone.

E’ il Paese del Sol Levante ad ispirare le passerelle dei grandi stilisti, con i suoi volumi femminili e i suoi dettagli sofisticati, i suoi ricami preziosi e le stampe ricche di mistero cariche di poesia. Il kimono sarà un must assoluto, le cinture obi saranno irrinunciabili e gli zoccoli geta, reinterpretati con l’occhio occidentale, saranno le it shoes più it di tutte. Geishe di ieri e di oggi, unitevi! ANN DEMEULEMEESTER

Effetto Pitone.

Pelli di serpente che si colorano di nuances calde e suadenti, mixandosi in un pirotecnico gioco patchwork con altre fantasie. Protagonista anche di un piccolo ma significativo dettaglio o ad un accessorio di carattere. Tradizionalmente è più amata nella stagione invernale ma questa volta s’impone fortemente, anche per quella più calda. Ciò che è certo, è che è arrivato per tutte il momento di cambiare pelle! SALVATORE FERRAGAMO

P

ROBERTO

M

CAVALLI

R

U

A

G

D

L

A

E

R

Giocate e divertitevi a scegliere il trend che più vi aggrada, ricordando però che quel tocco di gusto non deve mancare mai!

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Carissimi lettori, prima di iniziare a leggere, voglio fare una precisazione: il seguente articolo non vuole offendere la sensibilità di nessuno, è solo un modo per farsi quattro risate! Come dice il titolo, in questo numero parlerò un po' riguardo queste persone che vivono intorno a noi: i NERD! I nerd sarebbero degli appassionati del mondo videoludico, appassionati in modo molto assiduo. Aspetto fisico: molto trascurato, occhi con dei tendoni da circo sotto le palpebre, capelli di una lucentezza pari a un palo della luce causato da un mai fatto lavaggio, peso forma mai raggiunto. Il vestiario è molto semplice: maglietta e pantalone, di solito sulla maglietta c'è il simbolo o l' immagine del proprio videogioco preferito. L'ambiente che li circonda è fatto da: riviste di videogiochi, statuette di personaggi di videogiochi, qualche poster di donna nuda o uomo, consoles di qualsiasi tipo, resti di cibo sparsi. Il loro carattere è molto solitario, non sanno cosa sia l'esistenza al di fuori del videogioco (il concetto di questo argomento, viene espresso al meglio nell'articolo del nostro Leonida, quindi vi raccomando di leggerlo!). Però, aldilà di questo, non è detto che "Nerd = sfigato, brutto, che non sa relazionarsi", questi purtroppo sono pareri che il mondo porta a dire, ma non è detto che una persona appassionata di videogames sia un essere inutile. Anzi, oltre a quelli cattivi, ci sono bravissime persone, simpatiche e piene di vita e che magari sono dei latin lover, quindi eliminiamo questi pregiudizi! Con questo è tutto, vi abbandono per farmi una bella partitozza a qualche videogioco! Bacioni! 33


FINE MESE Fine mese (di SangueBlues) Era stata la solita giornata del cazzo, epilogo di una settimana del cazzo, a sua volta epilogo di un mese dello stesso tipo. Nell’incombente e costante bisogno di soldi, ad elemosinare un lavoro di merda avanti e indietro, con il freddo umido che mi entrava nelle ossa, questo periodo della mia vita non aveva ancora acquisito un po’ di sapore. Aveva lasciato, per ora, soltanto un senso di insipido, di annacquato, dai leggeri sentori di acre. E per cosa? Per niente. Tuttavia continuavo a perseverare, non so perché, forse per veder eretta la mia piccola torre di speranze, messe lì come pezzi di costruzioni, guardarla e riguardarla, pur avendo la certezza, seppur nascosta e inutilmente repressa, che sarebbe crollata al primo soffio emanato dalla realtà. Ma la realtà non ti soffia soltanto addosso, ti sputa in faccia, continuamente, e la saliva, anche se provi a lavarla col sapone della speranza e della tenacia, lascia comunque impregnata sulla pelle la sua puzza. Mentre tornavo a casa stanco, 34

schiaffeggiato, incazzato e totalmente privo di idee e di fiducia, stava già per imbrunire. La sera porta calore, un pizzico di follia e, talvolta, strafottenza, ma quella che stava per cominciare sarebbe stata, con ogni probabilità, come il resto della giornata, come il resto della settimana e il resto del mese, una serata del cazzo. Ma il mese era stato dedicato ad un proposito, ad una promessa: cercare di procurarmi un lavoro o un guadagno onesto. A furia di essere rimproverato e consigliato dai vari Soloni, tutto questo diventò una specie di regolamento di conti con me stesso, una sfida per dimostrare, sempre a me stesso (non mi fregava niente degli altri), che anch’io ero capace di alzarmi presto e darmi subito da fare ottenendo dei risultati. Magari sarei riuscito a fissare un appuntamento di lavoro, propormi come operatore di call canter, commesso, cameriere, operaio, lavacessi, qualunque cosa. Sì, una parola. Fin’ora, come in passato, era stato impossibile. Altre volte riuscivo a tirare parzialmente

avanti spacciando qualche droga leggera, un po’ di cannabis coltivata da un mio amico o roba sintetica preparata da noi stessi. Oppure rubavamo qualche superalcolico al supermercato e lo rivendevamo a prezzi più ragionevoli. Ma quel mese avevo deciso di impegnarmi a cercare solo lavori onesti. Per tutto il periodo, inoltre, con l’intento di seminare anche qualche prospettiva futura, avevo fatto il giro per le agenzie interinali, le cui leggiadre signorine ti rispondevano con quel viso fintamente dispiaciuto e imbarazzato, dopo aver subito soffocato la tua speranza senza farti finire nemmeno di parlare, anzi senza nemmeno ascoltarti. Avevo inviato decine e decine di curriculum, fatto qualche misero colloquio ipocrita e scoraggiante, cercato informazioni a destra e a sinistra, insomma ero andato a sbattere dappertutto, pur sapendo che il seminare su un terreno per nulla fertile, fatto di esseri insignificanti che sanno di niente, serve a raccogliere nient’altro che commiserazione per sé stessi, rabbia e poi


il nulla. Il rimpianto di aver gettato via tanto tempo della propria preziosa vita. Ruba più vita il cercare lavoro che lavorare, ti infiacchisce di più. Perché, tra l’altro, qualunque lavoro esso sia, si tratta di fare comunque nuove esperienze, nuove conoscenze, si creano in un certo modo dei rapporti umani che, positivi o negativi che siano, ti porterai dietro costruttivamente, ed anche serenamente. Ma invece, in queste giornate passate a cercare, cercare, cercare, tutto ben presto si tramuta in muri, le persone che incontri diventano manichini, non c’è più umanità. Mi sembrava persino di non aver avuto neanche il tempo di dedicarmi a me stesso, che so, leggere un libro, suonare il piano, riflettere, uscire a bere qualcosa, fare l’amore, tagliarmi le unghie, grattarmi la schiena, masturbarmi, scorreggiare… Neanche il tempo di sognare. Non mi sentivo quasi più un essere umano. Era l’ultima sera del mese dei buoni propositi, mi restavano ancora poche ore di tempo per mettermi alla prova, terminate le quali, se l’esito fosse stato positivo, avrei comin-

ciato una nuova vita, viceversa mi sarei considerato libero di andare dove portava il vento. Ma qualcosa mi suggeriva che sarebbe stata l’ennesima e uguale sera, seguita da una notte uguale a tutte le altre (è sempre così quando non sogni), a coronare un mese fatto di niente. Decisi, tuttavia, di fare un ultimo tentativo: sarei andato al bar di Gianni, frequentato solitamente da tre o quattro sconsolati, a domandargli se avesse bisogno di un aiutante. Magari mi avrebbe tenuto lì anche il sabato e la domenica successivi, quando c’era un po’ più di gente. Feci una doccia tentando di considerarla rigenerante, mi cambiai e uscii. Faceva sempre freddo, l’aria era umida e ferma, il cielo senza stelle, coperte probabilmente da un velo di foschia, e ogni tanto s’alzava un soffio di vento gelido. Per strada un deserto di pietra e metallo. Tipica serata di un inutile gennaio, con un clima inutile. Entrai nel bar. L’ambiente appariva squallido ma abbastanza accogliente, un rifugio. Due disperati, ormai

rassegnati, ai videopoker, impegnati ad accelerare in qualche modo il ritmo della loro vita, ad avvicinarla sempre più alla distruzione per sgretolamento; un ubriacone, puzzolente dalla testa ai piedi, con il capo chino sulla sua bottiglia; poco più in là Cicerone, uno che si era bruciato il cervello e che sfogava le ultime scintille tramite improvvise digressioni ed arringhe a sostegno e difesa di una tesi o di una persona. Questa volta, però, la scintilla forse non era ancora partita e se ne stava buono buono sull’uscio a guardare nel vuoto con una birra in mano. Gianni guardava un telefilm poliziesco (l’ennesimo di cui ci imbrattavano la mente). Mi sedetti, presi una birra. Era ghiacciata, per fortuna, me la bevvi in silenzio, senza desiderare nulla, o forse con la paura di desiderare troppo. Quando la finii me ne offrì un’altra lui. Chiacchierammo del più e del meno, poi: “Gianni” dissi, “senti una cosa: per caso in questi giorni, non so, magari già da stasera, e poi anche nel week-end, hai bisogno di un aiutante?” 35


Autore: SangueBlues Vengo dalla provincia di Napoli, una città abbastanza caotica ma di cui, fin’ora, tra le città che ho visitato, non sono riuscito a trovarne una al pari, per magia, fascino, ricchezza artistica e vitalità. Suono il pianoforte e le tastiere in una band rock-blues con testi in napoletano, di cui compongo le canzoni. Adoro anche scrivere, in particolare racconti incentrati soprattutto sull’attualità, ma anche poesie e articoli.

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“Eh…” rispose, “vedi, in giorni proprio no, sai com ra già so che non viene ne ogni fine settimana c’è poc giusto qualche ragazzo d parti per un caffè a tarda Poi mo lo sai, è un periodo a gennaio qua stanno quasi chiusi in casa.” “Capisco… Ma anche solo p re il locale, roba da niente, m quanto vuoi.” “Eh, lo so, ho capito, ma sa darei una miseria… Qua è la, Danie’, lo vedi, no? Poi anche la crisi, c’è una cris spavento… La gente non non si ingrana, mi dispia mente.” “E va be’, grazie lo stesso. A vediamo, ciao.” “Ciao, buona serata.” Sì, certo, buona serata. fuori, fui colpito da un’imp folata di vento malsano. Un di birra vuota, vuota come riodo della mia vita, venn dal vento fino al bordo del piede, ed io ero spinto, sen verso gli stessi inutili luo gatto attraversò la strada, di cibo. Giorovagai in cerca di nien di un fluire di strade e di co vo bisogno di scaricarmi, vermi, di scuotere la mente mi venire in mente qualc erano rimaste scarse e inc da scegliere: tentare alla tra Gino, ma lì erano solo sfr con cui ero anche in cattivi ti, oppure andare dal mio Giulio l’indomani mattina do si sarebbe recato al “m delle pulci” di Poggioreale tere la sua bancarella. Avrei qualcosa anch’io, vecchi LP cassette, maglie, posacener fondo già sapevo che quel andava molto male, soprat inverno. A un certo punto vidi da alla fine della via, all’ang mando, appoggiato al mur vo già cosa stava facendo. il diavoletto punzecchiarm tarmi, ma feci di tutto per


n questi m’è, staseessuno, e ca gente, di queste a serata. o morto, i sempre

per lavami paghi

ai, poi ti una palsi mette si che fa spende, ace vera-

Allora ci

Appena mprovvisa na lattina quel pene spinta l marcianza meta, oghi. Un in cerca

nte, solo ose. Avedi muoe, di farcosa. Ma certe vie attoria di ruttatori i rapporo amico a, quanmercatino e, a meti portato P, audiore, ma in ll’attività attutto in

lontano, golo, Arro. Sape. Sentivo mi e tenr far pre-

valere la voce del suo celeste rivale. E aveva ragione. Dovevo resistere. Che diamine, cedere proprio a fine mese? No! Solo cose pulite… Ma che cazzo fare? Camminai, camminai e camminai, respiravo l’aria fredda, umida, ostile, ma in quel momento ne avevo bisogno, mi rafforzava. Il sentire freddo mi distoglieva un po’ dal pensare. Camminai piuttosto a lungo, fino a giungere in un quartiere residenziale elegante, luogo dei ricconi della città, tra cui i glamour, i fashion, i “raffinati”, i “chiattilli”. Futili e vuoti, perennemente ottusi ma presuntuosi, figli di ladri o ladri provetti, spesso razzisti e cattivi nei pensieri e nelle intenzioni. Osservavo le case, le ville e villette, i palazzi un po’ antichi, i giordini coi fiori, curatissimi, pacifici. Le persiane quasi tutte chiuse, qualche luce accesa e i pochi lampadari che si potevano intravedere e che facevano immaginare cene e dialoghi in famiglia. “Che cavolo,” pensavo, “abitassi io qui, avessi i soldi che hanno loro, sarebbero finiti i miei problemi, avrei finalmente quella serenità per poter assaporare la vita.” Invece la maggior parte dei chiattilli, in fondo, non sa cosa farsene della vita. Tutti applicati a mantenere l’immagine, lo status, il capello, le ultime mode di merda, le marche, il linguaggio in voga… Ah, che coglioni. E intanto loro erano su e io giù, senza essere riuscito a trovarmi un lavoro onesto. Niente da fare. Adesso mi aspettava un week-end per cercare di rilassarmi, per staccare da tutto, poi un altro mese con un enorme punto interrogativo: che fare? Non ero sicuro che avrei continuato a cercare lavoro, ero troppo sfiduciato e amareggiato, ma forse non avrei nemmeno fatto il nullafacente, troppi sensi di colpa. Ero insomma in quel classico maledetto bivio, ma con la differenza che l’unica scelta che riuscivo a considerare era quella di andare a sbattere dritto al centro, nel muro. Mentre ero immerso di nuovo nei

pensieri, un suv dai lineamenti mostruosi uscì veloce da un cortile di un palazzo. Era uno di quei testicoli a guidarla, e non aveva per nulla guardato chi avrebbe potuto passare sulla strada. Mi sfiorò la coscia destra, ci mancò poco che mi ammazzasse o mi mandasse all’ospedale. Gli gridai: “Oooh, strunzo! Ma che cazzo fai?!” Lui mi guardò con quella sua faccia di culo stupita e subito si precipitò fuori dal veicolo, terribilmente atterrito per un’eventuale ammaccatura al paraurti del carro armato procurata dalla mia gambina. “Mannaggia!” esclamò con voce acuta e leggermente stridula, “No! Ma guarda dove vai. Che fai, dormi?” Tutto lampadato e fonato, un gilè verde pistacchio su una camicia bianca, cintura con la scritta “Dolce & Gabbana” in bella mostra, quasi come un marchio a fuoco sullo scroto, come di quelli che si fanno sul corpo del bestiame, pantaloni nero lucido strettissimi alle caviglie e mocassini scamosciati marroni con fibbia dorata, da frocione. Come cazzo era brutto! Lo lasciai blaterare e lamentarsi per un paio di minuti, anche perché rimasi per un po’ ad osservarlo con stupore, come si osserva un animale esotico, poi gli dissi: “Ma che vuoi, coglione, vuoi avere anche ragione adesso?! Devi guardare quando esci da un cancello, devi andare piano, a momenti mi ammazzavi, ma vaffanculo!” “Stai zitto, scemo, per piacere, tu dormivi, eri ubriaco, o stavi tutto fatto?” “Faccia di cazzo, tu insisti a darmi torto, ma vedi ‘sto damerino…” “Non ti permettere, stronzo, e adesso dammi i tuoi dati, che qui sembra che c’è un graffio, l’hai fatto con la borchia dei jeans.” “Ma quali dati, ma per piacere! Ho ragione io, e ringrazia che non ci sono testimoni, altrimenti ti denunciavo. E poi quale graffio?” “Madonna, proprio stasera mi doveva capitare questo perdente, ma perché non ve ne tornate nella spazzatura da dove siete venuti?!” Non ci vidi più. Gli stampai uno

schiaffone sulla guancia destra tanto da fargli venire quasi il torcicollo. Rimase per un po’ inebetito e poi gliene sferrai un altro tra l’occhi sinistro e il naso. Urlò in modo comico e ridicolo, poi cercò di reagire con schiaffi mollati dall’alto. Mi colpì in testa una volta, poi glieli parai e gli diedi un calcio nell’addome. Si piegò in due. Stavo per andarmene quando, con la coda dell’occhio, intravidi il suo portafogli penzolante dalla tasca posteriore degli strettissimi pantaloni. Sembrava chiamarmi e tentarmi con quel suo oscillare sensuale. “Cosa faccio?…” Ma mentre riflettevo già gli ero vicino. Gli diedi un calcio alla schiena mentre era ancora piegato, spingendolo in avanti, a terra, e contemporaneamente glielo sfilai, senza che se ne accorgesse. Sparii in una folta siepe e attraversai velocemente la strada. Mi inabissai nei vicoli e salii sul primo autobus che trovai. Dentro c’erano quattro o cinque passeggeri, solitari, tranquilli, qualcuno dormiva. Pian piano, con disinvoltura, sbirciai nel portafogli: cazzo… 300 euro! Si tratta bene il marchesino. Scesi dall’autobus e proseguii a piedi fino al bar degli sconsolati. Lì dentro lo stesso mondo, immutato, incantato. I disperati tutt’uno coi videopoker, Cicerone sempre sull’uscio che ogni tanto ruttava, solo l’ubriacone aveva progredito, accasciando il capo pesantemente sul bancone e addormentandosi, e Gianni davanti al suo telefilm di merda. Presi un Jack Daniel’s e offrii da bere a tutti. Fu come aver lanciato un masso in un fetido stagno: alzarono la testa e il drink in segno di gratitudine e nell’atto di brindare, mostrando un’espressione ilare e dolce che forse da tempo immemore non conoscevano più. Mi appoggiai all’uscio, in pace. 300 euro… Diciamo che ho fatto uno stage, un part-time, ok? Gustavo il whisky lentamente. In cielo si era diradato lo strato di foschia e nuvole. Brillavano le stelle. 37


L’appellativo NERD fa parte ormai del linguaggio di molti Italiani, anche se di origine anglosassone, e con tale si intende etichettare una persona dedita alla ricerca intellettuale con tendenze solitarie e conoscenze, di norma, ampie del settore hi-tech. Uno stereotipo tutto anglosassone nel quale si identifica il classico “secchione” ma che oramai si sta spalmando un po’ dappertutto. Per l’italiano medio il nerd non è il secchione ma il tipo più o meno stramboide e più o meno solitario che ama la tecnologia, i videogiochi e i manga orientali. Per l’americano il nerd è ormai un’icona come lo è il punk o il metallaro o il belloccio, un semplice clichè che identifica una comunità di persone culturalmente molto preparate che negli States affolla le università e ottiene i migliori risultati. Insomma il NERD non è, come potrebbe pensare un italiano, lo sfigato che cerca di essere un qualcuno malgrado una scarsa collocazione sociale e una cultura più erudita che eccelsa, appassionato di videogames, senza una donna ne un fisico presentabile… forse il termine più appropriato sarebbe geek, ma

a che pro cadere nel rischio di mal utilizzare delle parole non nostre che fungono da surrogati ad appellativi molto più calzanti e appropriati con la nostra cultura? Un mistero tutto Italiano. Siccome il ragazzo medio appassionato di videogiochi si è evinto che non è necessariamente un NERD o un GEEK, perché nella penisola a forma di stivale i videogames sono passione/hobby anche di chi ha una vita sociale appagante, si eviterà di mal definire questa mitologica figura come appunto NERD. Ci si appresterà quindi a scendere più nell’esplorazione del classico gamer italiano, in tutte le sue forme, dando per scontato che i suddetti concetti siano stati abbastanza esaustivi. IL VETERANO: costui è il più antico e saggio videogiocatore che in Italia si possa incontrare. Ha un età media che parte dai 30 anni fino ai 50 ed è colui che si è goduto la nascita dei primi videogiochi su commodore per poi arrivare alle attuali consolle. La sua cultura videoludica è ampia come quella di un anziano saggio che guida la sua tribù nella jungla amazzonica tra antiche fronde e selvagge fiere.

Predilige quasi esclusivamente il gioco offline ed è maestro nei punta e clikka e negli action adventure ricchi di enigmi, ma non si limita di certo a ciò che sa fare meglio esplorando talvolta ogni genere di videogame presente sul mercato, da buon capotribù. Spesso colleziona tutti i videogiochi e le consolle che ha gelosamente, senza nemmeno lontanamente pensare di vendere qualcosa. L’ERUDITO: l’erudito è forse la figura più diffusa in Italia. E’ un adolescente rispetto al veterano, ma ha una cultura abbastanza buona e profonda in campo videoludico. La sua età media va dai 18 (inizio empirico questo… più in la si scoprirà perchè) ai 29 anni e consuma ogni genere di game lo aggradi. Discreto collezionista, preferisce rivendere ciò che non lo ha appagato particolarmente e non disdegna il gioco online e gli sparatutto. Andrebbero fatte due sub categorie tra chi ormai è stufo degli fps (first person shooter) e chi invece non fa altro che giocare online solo ed esclusivamente con questi ultimi, ma verrà tralasciato questo lungo e delicato artifizio per non annoiare voi signori

lettori. Molto frequente in questa ampia simil categoria, è l’amante del Giappone in ogni sua forma, che consuma qualsiasi musoe (un action lineare che ripercorre le trame di famigerati manga e anime giapponesi) come fosse champagne e conosce anche qualche parola del Sol Levante. Magna probabilità di evolversi in veterano per questa giovane, ma promettente fiera videoludica, cioè l’erudito. IL BIMBOMINKIA: arduo sarà per il medesimo definire questa quantomeno molesta classe di videogamers italiani. I suoi appartenenti sono cuccioli rispetto

al Veterano, e pochi si evolvono in erudito. Si possono iniziare a distinguere chiaramente già dalla tenera età, anche dai 10 anni in su e purtroppo questa fase potrebbe non avere mai fine. Potrebbe, perché fortunatamente qualcuno si evolve alle suddette categorie. Questi soggetti amano passare il loro tempo online, giocando a CoD e dimostrando di saper fare tutto ciò che di umano non può essere: trick, quick scope, scorpione, runner… e chi più ne ha più ne metta. Si trovano anche in giochi di calcio, ovviamente online, nei quali come in CoD amano fare tutto

fuorchè rispettare il gameplay del gioco. Fuori dubbio tra le loro fila combattono moltissimi ragazzini che amano insultare e dimostrare che videoludicamente parlando “ce l’hanno più grosso”. Tutti questi giocatori medi italiani sono accomunati, chi più chi meno, nel gioco online, da consuetudini e modi di agire e parlare particolari. Non sono nerd, perché un nerd è una persona di cultura che non si azzarderebbe mai a comportarsi come spesso si comportano molti players (anche stranieri). Chi non ha mai giocato con un videogame di guerra online? Tutti

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prima o poi si son trovati ad affrontare il problema dell’insulto subito per qualsivoglia ragione: a volte si scopre di avere una madre di facili costumi, a volte di essere un totale inetto nel gioco e nella vita reale, a volte si scopre di essere semplicemente di un etnia diversa (un nero o uno slavo), quindi una feccia, altre volte di essere omosessuale. Infatti di norma l’omofobia o il disgusto verso un diverso vengono amplificati dal fatto di essere nascosti al sicuro dietro un monitor; sfogando queste ideologie o attitudini sul prossimo al fine di insultarlo, dando per scontato che per questa persona sia un insulto e che una possibile scarsa abilità sia legata al fatto di essere omosessuale o per l’appunto differente da chi offende. Il problema è che quasi sempre ci si trova a doversi rassegnare a difendersi, quindi a perdere il controllo e uniformarsi per offendere chi ha per primo offeso, cadendo in un batti e ribatti di maleparole. Non ci sono seri metodi di denuncia per l’offesa subita, rarissimi ban o punizioni serie per questi comportamenti, che spesso si palesano in giocatori della categoria “bimbominkia”, anche se cresciuto, a prescindere dall’età. Un ambiente quindi, l’online, che apre gli orizzonti a uno scambio culturale senza ombra di dubbio positivo, ma che purtroppo non filtra adeguatamente comportamenti scorretti che amplificano idee discriminatorie covate nel proprio io quando ci si relaziona nel mondo reale. Spesso quindi ci si trova a sentire squadre organizzate di giocatori denigrare un player solo per il gusto di farlo, nessuna distinzione di età in questo gruppo, perché tutti sono delle stesse idee; il bambino di 10 anni può così giocare contro avversari qualunque, affiancato magari da un ragazzo di 25-30 o più anni che invece di trattenersi adotta comportamenti omofobi, discriminatori o scarsamente educativi senza nessun tipo di freno nonostante il minore lo stia ascoltando ed emulando. Online non c’è spazio per il diverso, o per il più debole, tutti debbono primeggiare sul prossimo; quasi a tornare ai tempi della ricerca del superuomo, il perfetto e potente essere

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umano che viene osannato per le sue eroiche imprese, in un videogioco di guerra o di calcio. Se si è poco abili, magari perché si gioca da poco con quel game, si viene massacrati ovunque da chiunque, anche meno abile, perché gli sviluppatori spesso tendono a dare meno armi o meno possibilità di vittoria ai neofiti, grazie a scarsi equipaggiamenti o squadre inferiori a chi ha raggiunto un livello superiore. Oppure vengono inserite microtransazioni (paghi tot? Eccoti armi più devastanti rispetto a un pezzente) che creano grossi squilibri a parità di abilità. Non basta. Anche al momento dell’acquisto del gioco ci si trova di fronte a continue discriminazioni, anche se fondate sulla quantità di denaro che la persona sborsa per avere il videogame in versione limited, pieno di contenuti offline e online, per fare il figo sui comuni pezzenti che hanno modo di prendere solo la versione base del titolo; senza contare di varie tessere fedeltà che, ovviamente pagando, vengono rilasciate per ottenere sconti o vantaggi rispetto al solito barbone che non sgancia manco per la card “vip”. Un mondo quello dei videogiochi in continuo cambiamento, cambiamento che non sempre è un miglioramento. Se lo scopo è divertirsi, si provi a chiedere a un veterano se si divertiva meno giocando con pacman o super mario. Giochi che adesso sono semplici, ma che forse hanno molto da insegnare ai giochi e ai giocatori di adesso.

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Autore: Leonida989 Lorenzo , nato nel maggio dell’89. Uomo ramingo che vaga alla ricerca di qualcosa, precario cronico che vive alla giornata come il passero che non sa di cantare e il bambino che non sa di giocare. Spartano e amante della semplicità del vivere ha la pecca dell’essere nato nerd poi riconvertito alla “normalità”.


AFORISMI E PROVERBI Autore: SangueBlues

Dalle vostre bocche pendono bell'e pronte, impacchettate a caratteri lucenti tante frasi di saggezza sulla vita, sull'amore formulate, architettate da un acrobata del verbo che qualcuno, o egli stesso ha elevato a pensatore impegnato, senza sosta a produrre enormi peti che, per lor costituzione son composti solo d'aria certo non rigenerante ma stantia e derivante da rifiuti non rimossi di pensieri senza sale. E quest'aria voi ingerite rigettandola dal culo per un plauso potente a riempire con il nulla il vostro vuoto, il vostro niente. Vengo dalla provincia di Napoli, una città abbastanza caotica ma di cui, fin’ora, tra le città che ho visitato, non sono riuscito a trovarne una al pari, per magia, fascino, ricchezza artistica e vitalità. Suono il pianoforte e le tastiere in una band rock-blues con testi in napoletano, di cui compongo le canzoni. Adoro anche scrivere, in particolare racconti incentrati soprattutto sull’attualità, ma anche poesie e articoli.

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Torno a casa. In punta di piedi salgo le scale, ogni piccolo rumore in questi giorni ti urta e io n Sei lì, sdraiata nel nostro letto, nel nostro nido. Mi volgi la schiena e non riesco a capire dal ripensa a quella sera, a te con la schiena appoggiata al muro e la testa che sussulta ad ogni p uscivi a dirmi cos'é successo. Ti ho abbracciato, tu hai iniziato a prendermi a pugni e a stringer controllo, senza senso. Sono riuscito a trasportarti in camera a farti stendere e appoggiarti una gelata. Da allora non ti sei mossa da lì. Ho saputo da tua madre cos'è successo. Non potevi fa era troppo fragile, troppo sensibile, troppo lei per stare bene in questo dannato mondo. Ho pr un’altro livido. Non sò come farti riprendere. Come raggiungerti come starti accanto. Sto face che tua sorella abbia portato via qualcosa di te. Mi stendo sul letto e ti abbraccio. Non mi resp sono gonfi, arrossati ormai non hanno più lacrime, cercano i miei ma sembrano vuoti. Dove s enormi occhi verdi. Accarezzo i tuoi capelli, e ricominci a singhiozzare. Mi alzo, vado a prende un po’ l’acqua aspettando che si scaldi. L’immagine riflessa nello specchio sembra di un uomo sopra lo zigomo non aiuta. Spengo l’acqua. Torno in camera e cerco di passarti il panno umido Nessuna risposta. “Ti prego amore”. Entro un’ora devo riuscire a farla sgusciare fuori da ques luto. I suoi occhi mi riguardano, le sue labbra si socchiudono “Perchè?” E’ la prima parola che s “Perché devi vivere, devi vivere per tutte e due ora, devi farlo per i tuoi genitori, devi farlo per Ti afferro e ti porto in bagno, ti spoglio e ti immergo nella vasca. Lavo ogni parte di te, sperand anche il tuo dolore. Quanto vorrei poterlo fare davvero o almeno poterlo prendere dentro di me non posso sopportarlo. Ti asciugo lentamente, passo la spazzola nei tuoi capelli e tu ricominc altro che voltarti e stringerti e tu di nuovo cominci a procurarmi lividi. Devi sfogarti lo capisco. manca meno di mezzora. E io sono completamente fradicio. Ti lascio lì. Mi spoglio davanti a t meno di un minuto e mi asciugo. I tuoi occhi sempre più gonfi tracciano delle linee sugli emato che tu mi hai lasciato. Mi vesto, ti vesto. Ti riprendo in braccio, scendo le scale. Devo lasciarti gi e scusa” mi dici. Scendi le scale e sali in macchina in silenzio. “Sono pronto a trasformarmi in serve per tornare da me.” Ingrano la retro ed esco dal vialetto. Il tuo sguardo torna per un mo tu sei ancora lì dentro e questo mi basta, continuerò ad essere la luce che ti guida verso la vit

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non posso fare altro che rispettarlo. tuo respiro se dormi. La mia mente pianto. Non riuscivi a parlare, non rirti a me in modo irrefrenabile, senza a coperta sopra. Eri completamente arci nulla. Non è stata colpa tua. Lei rovato a dirtelo ma ho ottenuto solo endo di tutto e sto fallendo. Sembra pingi. "Sono qui”. Ti volti. I tuoi occhi sei finita, rivoglio vedere vita in quei ere un asciugamano, faccio scorrere o molto più vecchio e quel giallo-blu o sul viso. “Devi mangiare qualcosa” sta casa e portarla a fare l’ultimo sasento da giorni uscire dalla tua gola. r te stessa e per me”. “ Non posso”. do che con la spugna riesca a lenire e. Non riesco a guardarti ridotta così, ci a versare lacrime. Non posso fare . Il mio sguardo si posa sull’orologio te e mi infilo sotto la doccia. Esco in omi giallo violacei che mi segnano e iù per aprire la porta di casa. “Grazie un simpson per te, se solo questo ti omento ad avere luce. La prova che ta e proverò ancora a consolarti.

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Autore: H Alessio, conosciuto nei testi sacri come Hyena, fin da bambino si cimenta in varie discipline che l’hanno portato ad essere un profeta, uno scrittore, un doppiatore, un musicita, un compositore, un dj, un filosofo, un animatore, una guida turistica, un attore, nonchè PR. Normale essere umano nel tempo libero.


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