La Spada di Damocle, n. 6 - Gennaio 2016

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Sommario Editoriale Redazione La destra è cultura Andrea Delmastro Salve o popolo di eroi… Marika Poletti Ich bin Kolm Gabriele Adinolfi Cirinnà e dintorni Guerrino Soini Mercato globale, la sfida dell'Italia e del Trentino Manfred de Eccher Bolzano e Trento con Fratelli d'Italia Alberto Sigismondi L'idiozia è ancora libera Giuliano Guzzo L'eroina dei due mondi Marco Taufer Dal Cermis all'India, l'Italia indecente Alberto Sicari Ab Urbe Condita: il rapporto con gli Dei Mirko Pellini Mary Poppins secondo Walter Elias Disney Elisabetta Sarzi La squadra della mia città: il Trento Marco Coser IL RACCONTO Il leone, la quercia, le aquile Paolo Lorenzoni Grafica: Marco Spinelli Copertina: Elisabetta Sarzi

Il nuovo anno: azione e consapevolezza. Redazione Sarà un periodo intenso, il panorama nazionale ci sollecita ad azioni di contrasto importanti, il lavoro, o meglio il non lavoro, di questo governo fantoccio sta spingendo l’Italia verso rive ignote, ambigue, pericolose. Il popolo è vessato senza ritegno, disprezzato nelle sue più autentiche peculiarità (a partire dalla reiterazione del malvezzo d’impedirgli di andare a votare, se e quando ne ricorrano i presupposti); siamo già al terzo governo senza legittimazione popolare e sembra quasi non importi a nessuno, questo Parlamento, e di conseguenza il Governo di riferimento, giudicati illegittimi dalla Corte Costituzionale, stanno rivoluzionando il nostro assetto costituzionale rivoltando come calzini sporchi ( e non certo in senso positivo) le Istituzioni, che si vogliono sostituire con apparati ad uso e consumo del Premier di turno e, di conseguenza, totalmente asserviti alla maggioranza di governo. Siamo sollecitati allora, come popolo, ad assumere posizioni chiare, senza tentennamenti, pronti, se serve, a mettere la faccia sugli atteggiamenti da tenere e sulle azioni da intraprendere, pronti a dire che non siamo d’accordo con questa gentaglia. Dovremo saper esporre, con chiarezza, le nostre idee e le nostre posizioni spiegando, a chi avrà la bontà di ascoltarci, che “lorsignori” ci stanno riducendo al silenzio, rendendoci schiavi a casa nostra: nei nostri luoghi ma anche nei nostri pensieri. Se così non sarà saremo costretti ad assoggettarci a quella teoria del “pensiero unico“ che da tante parti viene sollecitata e promossa, pur senza mai farne chiara menzione. Coraggio dunque, l’inizio di questo nuovo anno sia segno di una ripresa vigorosa dell’azione politica, sia motivo di un risveglio delle coscienze e motore trainante delle iniziative che andremo a porre in essere per portare la nostra voce proprio là, dove serve.


La destra è cultura Andrea Delmastro

sociale della vita economica, il comunitarismo con il lumeggiare di culture anarcoindividualiste, i temi dell’ambiente con quelli dell’industrialismo.

Dipartimento cultura Fratelli d’Italia/Alleanza Nazionale Abbiamo un terribile spada di Damocle che penzola sulla nostra testa, come capita a tutti color che assumono su se stessi una responsabilità capitale, al limite delle proprie possibilità. Siamo gli eredi del pensiero di quella particolare, anomala, indecifrabile “bestia” che è stata la destra italiana, incompresa, ma anche incomprensibile.

Tutto rigorosamente declinato a destra.

umani e culturali sulla base di quello che passerà alla storia non già come il ventennio del bipolarismo italiano, ma della ‘sindrome bipolare italiana’, vera e propria patologia medico-politica.

La destra politica italiana ha vinto la sua sfida, riportando in italiani avevano deciso di Parlamento una destra liberare le energie della “a testa alta e schiena dritta”, capace di nostra nazione e scrivere un tornare ai temi veri della politica, fuoriuscendo nuovo inizio dalla logica delle tifoserie da stadio. L’estinzione della destra Sembrava la sfida più difficile, politica italiana è stata ma, oggi, tutti avvertiamo che scongiurata per un atto di ben altra è la sfida che ci coraggio, per un grumo di attende ed è ricostruire, pur lucida, raziocinante follia che respirando lo spirito del ha condotto uomini e donne, tempo, l’arcipelago incapaci di arrendersi, a frastagliato che rappresenta la fondare Fratelli di Italia in cultura della destra italiana, piena, irriverente ed ove ha convissuto il entusiastica rottura con il tradizionalismo con il ventennio del bipolarismo futurismo, l’europeismo con il muscolare, urlato e nazionalismo, le piccole patrie sragionato, rappresentato dal del cuore con la grande berlusconismo e dalla sua costruzione europea capace di copia sbiadita e negativa competere sul quadro delle costituita guerre economiche dall’antiberlusconismo. internazionali, il liberalismo Destra e sinistra hanno con una visione partecipata e allegramente bruciato capitali

Era quella destra con cui gli

Una destra che scorreva potentemente carsica, ma una destra che apparve necessaria agli italiani all’indomani della esplosione della prima repubblica. Era quella destra con cui gli italiani avevano deciso di scardinare il “già visto e già vissuto”, di “dare l’assalto alla cittadella del potere” per liberare le energie della nostra nazione e scrivere un nuovo inizio. Era a quella destra a cui guardavano i giovani quando finalmente uscivano dai centri sociali, maleodoranti fortini della sinistra giovanile e radicale italiana. Era a quella destra che guardavano i giovani quando dismettevano la logora e sfilacciata maglietta del “Che”. Arresi all’idea della piccola politica, l’unica alternativa che abbiamo dato ai centri sociali sono stati i centri commerciali, l’unica alternativa alla maglietta del “Che” è stata quella di Giolitti. Eredi della più sterminata cultura novecentesca, non abbiamo saputo e voluto raccogliere quel prezioso ed incontaminato mondo del


sottosuolo in cui ci aveva confinato l’egemonia cultura della sinistra e portarlo con fierezza a galla. Il fiume carsico della cultura della destra italiana non è affiorato. Abbiamo avuto l’ansia di lasciarsi alle spalle l’universo culturale che, per davvero, ci legittimava. La verità è che si è bruscamente interrotto quel rapporto profondo, quasi carnale, che anni fa avevamo instaurato con il popolo italiano che da noi pretendeva una profonda, ancorché incruenta, rivoluzione, in ogni ente di governo. La cultura della sinistra titolava con orrore “sono calati i barbari”. Ma quei barbari, nel corso del ventennio bipolare, si sono smarriti, rectius hanno smarrito il senso della loro missione storica. Quella rivoluzione amministrativa, politica e dei costumi che gli italiani si attendevano non c’è stata. Irretiti dalle sirene dei salotti buoni, ci siamo disinvoltamente seduti a tavola, ma, con l’invito, ci presentarono un abitino stretto, troppo stretto, da indossare, pretendendo che dimettessimo, senza troppi problemi, il nostro. Eppure la nostra identità culturale era una chiave di lettura per i problemi

drammatici ed urgenti della globalizzazione, conteneva le risposte alla crisi economica di una economia soffocata dalla finanza, forniva punti di riferimento per una cultura nazionale capace di ripartire dalla famiglia, dalle comunità e dai corpi intermedi. La nostra identità culturale forniva spunti per comprendere l’insorgere ad est di nazionalismi rabbiosi anche perché conculcati dalla più disumana ideologia internazionalista, per anticipare e comprendere il magma che si agitava in un medio oriente in cortocircuito fra medioevo politico e modernità del pertroldollaro e teatro di guerre per procura che intanto si verificavano in quanto era drammaticamente una politica europea. Questa destra culturale, ancora oggi e forse soprattutto oggi, è necessaria. Non mancano gli autori, i riferimenti, i libri, le riflessioni, gli intellettuali, manca solo la rete che dobbiamo ricostruire e gli aggiornamenti del nostro pensiero. Per fare un solo esempio in campo economico: l’economia arranca, Renzi(e) senza alcun modello economico per una Nazione che rimane una potenza industriale sorride, ebete e beffardo, ai dati che

... manca solo la rete che dobbiamo ricostruire e gli aggiornamenti del nostro pensiero. e gli aggiornamenti del

indicano una crescita dello zero e qualcosa e lo imputa sfacciatamente ad un jobs act che risulta essere, al massimo, un palliativo. Confindustria e CGIL – incredibilmente – immaginano

Eredi della più sterminata cultura novecentesca percorsi di partecipazione economica per rilanciare l’economia, con l’imbarazzo di dover ammettere che l’eresia economica della partecipazione è una delle chiavi di volta per permettere all’Italia di tornare a competere sui mercati internazionali. E’ finita l’illusione di poter competere sui mercati internazionali semplicemente e banalmente riducendo gli stipendi e si comprende che solo la collaborazione, l’idea della comunità industriale può far tornare l’Italia a competere. Noi siamo drammaticamente assenti da questo dialogo che vede fiorire le nostre verità sulla bocca dei nostri avversari. Abbiamo la necessità di aggiornare le nostre tesi, soprattutto ora che ogni modello alternativo pare mostrare tutti i suoi limiti. Da dove cominciare dunque? Dalla Fondazione Alleanza Nazionale che questa estate è stato un vero e proprio


tormentone per la destra italiana. Alla tesi “prendiamo il bottino e scappiamo” abbiamo anteposto l’idea – peraltro connotata dal requisito non banale della liceità – che la Fondazione debba uscire dalla fase di musealizzazione e debba essere un vero e proprio laboratorio per la destra italiana. La Fondazione deve riaggregare i nostri intellettuali, commissionare convegni e studi, conferire spessore culturale alle nostre idee. Possibile che non vi sia un serio studio comparato sui sistemi di partecipazione e socializzazione per uscire dalle secche di un libero mercato che non garantisce nemmeno più livelli accettabili di benessere? Possibile che non esistano studi su come recuperare quote di sovranità nazionale rispetto ad una costruzione europea che non è certo quella che sognavamo quando cantavamo la magnifica

costruzione europea delle tradizioni, delle cattedrali e dei popoli? Possibile che la Fondazione AN non possa immaginare una ricostruzione della figura di Almerigo Grilz per avere una icona vera per la gioventù italiana? Possibile che la Fondazione AN non possa immaginare di finanziare la nascita di un settimanale on line ove i temi dell’ambiente vengano coerentemente declinati a destra, ove la cultura dei neocomunitarians trovi spazio per difendere i valori

Il patrimonio profondo della destra italiana ... è sempre lì che scorre in attesa di donarsi a color che ne saranno degni eredi. tradizionali di una nazione ove il pensiero radicale sembra voler scardinare financo la famiglia, ove il pantheon vero degli autori della destra torni

a sprigionare le sue fascinazioni intellettuali? Possibile che la Fondazione An non possa finanziare studi seri e spendibile per una vera riforma presidenziale dello Stato Italiano che coniughi federalismo vero, con efficienza, decisionismo e democrazia? Il patrimonio profondo della destra italiana anomala, irregolare, irriducibile al panorama delle destre banalmente conservatrici di stampo europeo è sempre lì che scorre, carsicamente, in attesa di donarsi a color che ne saranno degni eredi. E noi, con presunzione, sappiamo di esserne i degni eredi, ma sappiamo anche che la spada di Damocle oscilla sulla nostra testa. E’ il significato della grande politica: comprendere il proprio compito, essere consapevoli delle responsabilità e dei rischi, ma sapere che la grande avventura in mare aperto è il nostro destino.


Salve o popolo di eroi… Marika Poletti L’uomo, qualsiasi uomo, brancola nel buio alla ricerca della sua nicchia di spiritualità. L’estensione verso qualcosa di più alto rispetto alla vita mondana è connaturata nell’essenza stessa dell’essere umano. È per questo motivo che per millenni, da generazione in generazione, al di là dell’ambito religioso, i popoli si tramandano racconti, miti fondativi e favole per alimentare quella scintilla che si accende in tutti noi quando si entra in contatto con personaggi epici ed eroici: sentimenti che, secondo Ortega y Gassett, risvegliano inconsciamente quella parte del nostro io che, seppur rattrappita, intende risollevare le sorti del mondo e ricondurle alla grandezza di un’età dell’Oro. Privare l’uomo di questo spiraglio di crescita interiore significherebbe portarlo al definitivo annichilimento. Che, a ben guardare, è quanto da qualche decennio sta accadendo: edulcoriamo l’immagine di forza e di vitalità a favore di una prospettiva molto più banale e grigia, annientando tutto ciò che di bello vi è in un popolo. E lo facciamo da subito, addomesticando le nuove generazioni sin dai primi anni di vita.Siamo passati dal raccontare loro le favole tradizionali, quelle che raccolgono il patrimonio valoriale della nostra

comunità e le gesta di grandi eroi, ai racconti NPO (“narrativa pedagogicamente orientata”) in cui ciascun aneddoto è incentrato sulla normalità e quotidianità del bambino, come il suo esser capriccioso alla cassa del supermercato od i rapporti con i compagni di scuola. Così facendo abbiamo cancellato dall’immaginario dei più piccoli l’eroismo, il coraggio, la nobiltà d’animo e, soprattutto, la lotta tra il bene ed il male, paradigma di ogni racconto tradizionale.

Rosso o strega di Biancaneve potrà mai essere più destabilizzante del cosiddetto “segreto di papà”. Ogni popolo ha invece bisogno di un mito fondativo. Di questo se ne accorsero anche i nonni dell’attuale degrado italiano che decisero di legittimare l’Italia come ora la conosciamo con un artifizio retorico: “Persino la nostra Repubblica,” per dirla con le parole di Marcello Veneziani “sorta sulle rovine della morte della Patria, cresciuta nel servilismo internazionale e nel

Siamo passati, in altre parole, da Artù ed i Così facendo abbiamo cavalieri della Tavola cancellato dall’immaginario dei Rotonda ai moderni libelli più piccoli l’eroismo, il pedagogicamente orientati come “Il coraggio, la nobiltà d’animo. segreto di papà” in cui si spiega ai destinatari –bimbi di 3/5 anni- che il patriottismo delle patrie proprio padre potrebbe altrui, allergica all’eroismo per lasciare la famiglia per andare definizione, riconosce il suo a vivere con il compagno gay. atto di fondazione in quelli che vengono ancora chiamati Molto spesso questa “gli eroi della Resistenza”. Con sostituzione dei racconti della buona pace dei profeti del 25 nostra cultura è motivata con aprile, l’uomo sano non ama la necessità di difendere la l’astuzia e gli intrighi ma prova sensibilità dei bambini profonda attrazione per il rispetto ad alcuni passaggi valore eroico ed il coraggio; cruenti contenuti nelle favole non alza altari per la vittoria in e nelle leggente tradizionali; sé ma per coloro che sciocchezza, questa, rigettata combatterono, anche nella al mittente anche da Steiner consapevolezza della morte, per il quale i piccoli per un ideale superiore. metabolizzerebbero meglio “Firenze è la più bella città anche i passaggi più crudeli della Penisola perché lì gli dei racconti di sempre rispetto italiani ci accolsero sparandoci ai frangenti negativi delle dai tetti.”: così si espresse il favole moderne . A giudicare Generale Harold Alexander, da quanto emerge, ciò pare Comandante supremo delle assolutamente comprensibile: forze alleate del nessun lupo di Cappuccetto


Mediterraneo, parlando dei franchi tiratori. Del resto proprio sul finire della Seconda Guerra Mondiale la lingua inglese si arricchì di un nuovo termine, “to badogliate”, per indicare un’azione ambigua e volta al tradimento: un qualcosa di molto italiano secondo la cultura anglosassone. Con questo non si vuole dire che dobbiamo accettare lezioni dagli autoproclamati maestri d’oltreoceano ma quantomeno dovremmo avere consapevolezza della considerazione che nutrono per noi anche coloro che sono stati oggetto della nostra idolatria ed ai cui piedi di siamo prostrati. La storiografia che, a questo punto, potremmo definire anch’essa pedagogicamente orientata, esprime una vera e propria apologetica della pace intesa come situazione di stallo da guadagnarsi ad ogni costo. Ne abbiamo avuto ampia riprova durante tutto il 2015 con le celebrazioni in occasione del Centenario della Grande Guerra, appuntamenti durante i quali si è quasi totalmente accantonato il valore delle gesta dei nostri antenati per far posto a superficiali discorsi di fratellanza e amore tra i popoli. La pace è una condizione auspicabile ma non a scapito della libertà di

poter vivere secondo i propri costumi sulla nostra terra. L’educazione pedagogicamente annientatrice dovrebbe esser sostituita con un percorso di formazione che risvegli sia sul piano allegorico che su quello etico una spinta verso una società forte ed integra, creando un ponte con il proprio passato –quello da recuperare-, trasfigurandone l’impianto valoriale anche nei racconti destinati ai più piccoli. Saranno proprio questi

L’uomo sano... non alza altari per la vittoria in sé ma per coloro che combatterono, per un ideale superiore. ultimi a goderne maggiormente, vedendosi garantito il diritto a poter aspirare a qualcosa di più alto rispetto alla melassa in cui li vogliamo costringere. Diamo loro il diritto di crescere guardando a Leonida ed ai suoi uomini, “questo sacello d'eroi valorosi come abitatrice la gloria d'Ellade si prese” o calvacare oltre il Vallo di Adriano, a Camelot. Permettiamo alle bambine di pensare che vi è altro rispetto alle protagoniste dei programmi di Maria de Filippi. Raccontiamo dell’imponente virtù di Penelope, Regina di

Itaca e della forza di Éowyn, figlia di Re Theoden, personaggio nato dalla penna di Tolkien, “bella, bella e fredda, come una mattina di pallida primavera, e non ancora maturata in donna”. Un misto tra storia e leggenda, tra letteratura epica e saghe cavalleresche; una sintesi tra il mondo degli umani ed il cielo (Walhalla, Paradiso o Regno di Allah che sia). E dando ai bambini il diritto di germogliare sani, potremmo garantire alla nostra società di crescere forte. Le conseguenze dell’inebetimento le abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: formare intere generazioni in un clima di catecumenismo dei sentimenti significa voler essere responsabili, per esempio, di ciò che è accaduto la notte di San Silvestro a Colonia, in Germania, dove un migliaio di extracomunitari hanno molestato sessualmente centinaia di donne tedesche in piazza e nei vicoli adiacenti alla stazione ferroviaria. Questo incredibile accadimento ha potuto aver luogo non solo perché abbiamo rovesciato parte delll’Africa nel Vecchio Continente ma anche a causa dell’arrendevolezza dei popoli europei, cresciuti a favolette gender e l’apologia dell’uomo mediocre, quello che votiamo perché “è come noi”, non perché è meglio di noi.


Io sono Colonia

Gabriele Adinolfi Le aggressioni in branco alle femmine di Colonia, di Amburgo, di Salisburgo, di Helsinki, e chi più ne ha più ne metta, possono rappresentare un salutare spartiacque. Dubito francamente che si sia trattato di un fatto inedito: sono convinto che sia ormai endemico e ripetuto nei luoghi e negli anni. Se se ne è parlato solo ora è perché i tedeschi hanno tolto il consueto velo di censura che da tempo immemore copre questi misfatti. Rammentate Jean-Marie Le Pen al secondo turno delle presidenziali del 2002? Quell'exploit fu anche l'effetto di una scelta del presidente Chirac che tutti i sondaggi davano comunque al ballottaggio, ma sconfitto contro qualsiasi altro rivale. L'Eliseo puntò allora tutto sulla sfida con Le Pen e, per farlo crescere, intervenne in un modo semplicissimo: tolse la censura alla stampa tre mesi prima delle presidenziali e i giornali francesi furono improvvisamente pieni zeppi di notizie di stupri, omicidi e rapine commessi da immigrati, al ritmo di quattro, cinque, sei al giorno. Ciò diede l'impressione di un'emergenza

improvvisa che rafforzò il Front National e salvò Chirac. Di fatto non si trattava di altro che della cronaca del nostro quotidiano che viene costantemente trasformato, violentato, stravolto da tutte le Lilli Gruber d'Europa che devono rappresentare in veste paradisiaca il loro inferno da apprendiste stregone, con gioia delle logge progressiste dei finanzieri filantropici e in ottemperanza alla strategia di sottomissione atlantica. Perché i tedeschi hanno lasciato che si sapesse I tedeschi hanno strappato il velo, almeno per un istante. Lo hanno fatto perché sono sotto l'attacco dichiarato dal Council of Foreign Realations americano e dal meltingmaker Soros. Una delle direttrici dell'offensiva, forse la più pericolosa, è rappresentata dalle ondate dei profughi che gli

Si fanno scudo delle nostre debolezze, dei nostri complessi, della nostra mania di apparire illuminati, progrediti, buonisti.

smartphones e i tablet forniti da Soros spingono in Germania. Al fine di non perdere definitivamente terreno nella UE, la Merkel, complice il capitale, ha accettato di accogliere a breve un milione di nuovi invasori, così ha detto, ma è fuor di discussione che i tedeschi non sono contenti. Rendendo pubblico quel che è accaduto a Colonia, da cui poi l'allarme si è allargato a catena ad altre città, essi si muniscono di argomenti per trattare sul tema e per calmierare i flussi imposti dai poteri forti e transanzionali. Scontro di civiltà? Considerazioni di semplice politica a parte, siamo in presenza di una convivenza invivibile. Ma si tratta di uno scontro di civiltà? O di qualcosa da mettere meglio a fuoco? Concordo con chi ci viene a dire che lo “scontro di civiltà” di cui si parla è artificiale e ci è stato imposto dal Pentagono, purché però questo non divenga un alibi per la resa o per l'ignavia. Quarant'anni fa il terrorismo rosso venne messo in piedi da una serie di strutture che facevano il gioco della Commissione Trilaterale. Fu


importante capirlo per non sbagliare il nostro comportamento; ma di lì a convincersi che brigatisti e neogappisti vari non esistessero ce ne correva. Non farvi fronte sarebbe stata diserzione. A restare nell'empireo delle certezze concettuali si rischia poi di fare la fine di quel giornalista, mi par si trattasse di Casalegno, che affermava che le Brigate Rosse non esistessero e venne ucciso dalle Brigate Rosse.

Rigettare ogni possibilità di Ius Soli, integrale o modulata che sia. Colpa dell'Islam? Non sono d'accordo con gli anti-islamici, l'Islam non diversamente da altre religioni, ha prodotto e produce tutto e il contrario di tutto. Non condivido le posizioni di chi odia gli arabi perché anche qui c'è un po' ditutto e basti pensare ad Assad, a Massoud, a Nasser, a Saddam per rendersene conto. Né è solo questione di “intolleranza” perché l'intolleranza dei fondamentalismi religiosi vale quella dei fondamentalismi laici e ci si riflette specularmente. Dal che traggo una conclusione più moderata e una più estremista di quelli che sulla questione Islamlaicità si stanno perdendo in chiacchiere da Ecce Bombo. La più moderata è che resto convinto della necessità di una linea mediterranea euroaraba, la più estremista è che, se la non-integrazione non si

limita all'Islam, allora è più profonda e va puramente e semplicemente rifiutata. Guerra razziale? La gente ci gira intorno ma c'è poco da usare eufemismi: è in atto una guerra razziale. A una sola direzione, d'accordo, perché noi la subiamo e non la imponiamo (come potremmo poi se abbiamo definito per decreto che le razze non esistono?), ma non cambia assolutamente nulla. Per far pace tocca essere in due, ma per fare a botte ne basta uno solo. Per quanto sia infarcita di presupposti religiosi e trovi in essa giustificazione, è una guerra razziale che alcuni stanno combattendo contro di noi. Non sono esattamente gli arabi contro gli europei, ma sono gli arabi europeizzati, è quella che potremmo definire come la “componente banlieue” del nostro inferno globale. A tutte le distorsioni che fanno proprie attingendovi dal Corano, o più spesso da qualche luogo comune ripetuto in un bar o in una Moschea, i partigiani delle banlieues aggiungono l'odio dello sradicato, l'odio di classe e si fanno forti e ignobili di tutte le perversioni che hanno ereditato dalla singolare tolleranza maternalista a loro, ai pendagli da forca e agli animali da grembo, esclusivamente riservata da questo Occidente rammollito ed evirato. Si fanno scudo delle nostre debolezze, dei nostri complessi, della nostra mania di apparire illuminati, progrediti, buonisti. Si riparano quindi, vigliaccamente, dietro la nostra vigliaccheria istituzionalizzata e

partecipano, massivamente, in modo informe, da branco, a una guerra urbana che è al tempo stesso razziale e di classe, anche se trova come schermo ideologico la religione. Uno spartiacque? Colonia, dicevo, può però segnare uno spartiacque, perché è stato colpito il simbolo di quest'Occidente evirato e mammone: la femmina che si concepisce come individuo di consumo, dotato di prerogative e di libertà speciali di cui il maschio è uno stupido fuco. Questo colpo può quindi far vacillare le certezze idiote su cui si fonda, da oltre mezzo secolo, questa civilizzazione floscia e sterile e fungere da elettrochoc. Per quanto ci riguarda, parlo quantomeno per me, non si deve perdere né la bussola né il proprio tempo appresso alle demagogie elettoralistiche dei piazzisti del populismo che mischieranno slogan trinariciuti e guerrafondai con soluzioni per calmierare l'immigrazione (parlare la lingua, imparare l'educazione civica, fare propositi ufficiali di rispetto delle regole ecc). Una cosa va fatta e non due: rigettare ogni possibilità di Ius Soli, integrale o modulata che sia. La relazione con il mondo arabo va poi presa, organicamente, nelle sinergie tra le due sponde e non nell'edificazione della banlieue universale. Essere uomini Tutto questo non basta se non si è prima centrato il proprio asse nella virilità olimpica. Chi è veramente virile non potrà liquidare le infamie di Colonia


boldrinizzate: “si mascolizzano le donne loro perché bisogna

pensando che in fin dei conti le femmine boldrinizzate se la sono voluta. Chi è centrato e ha coscienza olimpica non può scadere in simili tentazioni; egli ha con la donna un rapporto privo di ogni

complesso, da cui deriva la parità che non è in nessun modo eguaglianza e che è marca inequivocabile del nostro plurimillenario dna. Egli sa allora qual è la ragione dell'esistenza delle femmine

essere uomini abbastanza per trarre, dalla donna, la donna”. E altro non rve dire. Una volta assunta la consapevolezza e la forza necessaria, gli uomini soccorreranno a Colonia o in qualsiasi nostro quartiere gettato in preda alle masse senza volto, perfino la Boldrini se qualcuno avesse il pessimo gusto di provare a violentarla. Essi non sono come loro: né come il branco della banlieue né come le Boldrini e le Gruber. A differenza di tutti loro essi sono.

Mercato globale, la sfida dell'Italia e del Trentino. Manfred De Eccher La globalizzazione, ovvero la possibilità di comunicazione globale e di scambiare merci in tutto il mondo, ha portato alla creazione di un mercato economico unico. Il vero cambiamento introdotto dalla globalizzazione però non è lo scambio di merci da una parte all'altra del mondo, scambi che con diversa intensità sono sempre esistiti nella storia, ma il venire meno del collegamento tra prodotto e territorio, ovvero la possibilità di delocalizzare i fattori produttivi. L'Italia dunque si trova a competere in un mercato globale unico che però ha regole di gioco diverse in ogni Paese, in un mercato sempre più concorrenziale nel quale spesso ci si trova a dover subire la concorrenza sleale di chi, senza regole di tutela dell'ambiente e del mondo del lavoro, può produrre a costi inferiori. L'Italia, in questo

nuovo contesto, ha comunque dei valori aggiunti che le possono consentire di sfruttare le opportunità offerte dal mercato globale e di vincere la sfida della globalizzazione. Questi valori aggiunti sono la nostra storia, la nostra cultura, la nostra identità, un patrimonio che non può essere delocalizzato, che non può essere copiato. Nel settore turistico, ad esempio, e' chiaro che il lago di Garda, le Dolomiti e il patrimonio artistico italiano non possono essere riprodotti in Cina; nel settore agroalimentare, e' altrettanto evidente che le condizioni climatiche e di conformazione del territorio non possono essere trapiantate in Thailandia. Questi Paesi potranno copiare sottocosto alcuni prodotti ma non potranno mai copiare la capacità di innovazione e

creazione degli Imprenditori

...un patrimonio che non può essere delocalizzato, che non può essere copiato italiani. Queste potenzialità dunque non possono essere copiate o falsificate ma possono però essere soffocate, soffocate dall'eccesso di burocrazia, dall'incapacità di anteporre la meritocrazia alle clientele, dal prevalere degli interessi di parte sull'interesse generale. Serve dunque una nuova classe dirigente, sia a livello nazionale che locale, in grado di perseguire l'interesse nazionale, in grado di far prevalere la meritocrazia nel settore pubblico quanto in quello privato, in grado di creare le condizioni migliori per far emergere le potenzialità che l'Italia nel suo insieme e' in grado di offrire.


Cirinnà e dintorni. Guerrino Soini Al responsabile del Dipartimento Famiglia e Difesa della Vita di Fratelli d’Italia – AN per la Provincia di Trento tocca ancora una volta, pur non avendone nessuna voglia, intervenire in merito alle unioni tra omosessuali ed alle unioni di fatto previste nel Ddl n° 2081 che porta come prima firmataria la senatrice Cirinnà. E’ un dovere che nasce da dentro, spinto verso l’esterno dall’indignazione per questo sfacelo nel quale si vuole gettare la famiglia naturale e per la violenza indicibile alla quale si vogliono sottoporre i minori, che hanno la sola colpa di non avere voce in capitolo in una materia tanto delicata, che li vede protagonisti degli egoismi degli adulti ma assolutamente inascoltati in quanto le loro prerogative vengono bellamente messe a tacere in totale e cinico spregio della nostra Costituzione e della Dichiarazione dei diritti del fanciullo. Per la verità mi sembra di essere ripetitivo nei concetti ma tant’è, il furore ideologico degli sponsor di questa legge scellerata non demordono e, complice l’alleanza innaturale tra PD e M5S, riusciranno a far passare questa porcheria. All’inizio di questa legislatura (con un Parlamento definito peraltro illegittimo dalla Corte Costituzionale) si è provato a porre le basi per una legge sulle unioni omosessuali (provvedimento depositato con il n° 14 nel 2013), dopo un

travagliatissimo percorso si è giunti alla versione attuale che fra mille contorcimenti linguistici e forzature costituzionali cerca di portare a compimento quello che il mondo LGBT sta anelando da tempo. Cosa succederà quando questa scempiaggine avrà valore di legge: - Gli omosessuali avranno il diritto di ottenere un provvedimento del tutto assimilabile al matrimonio, con diritti e doveri che fanno riferimento agli stessi articoli di legge che regolano lo stesso matrimonio, anche se nello specifico questo termine non viene mai menzionato. - Gli stessi avranno diritto di adozione del figlio del partner. Ora queste cose, che dette così assomigliano ad una banalità, portano diritto diritto alla legalizzazione della pratica dell’utero in affitto che in Italia, come in altri 190 Paesi del mondo, è vietata per legge.

Mi sembra di avere il massimo rispetto per chi vive o desidera vivere una sessualità diversa dalla mia, pretendo però, da queste persone, il rispetto della mia opinione, della società nella quale viviamo, del dispositivo Costituzionale, delle Convenzioni Internazionali ed infine dei diritti delle parti più deboli della società ( i bambini ) che si vorrebbero assoggettare ai desideri malsani di chi questa legge sta spingendo con tanta foga. E’ in atto, e lo vado dicendo da tempo assieme a tanti altri, un tentativo forte, atto a favorire un mutamento antropologico della nostra società, si spinge per una legislazione che ci riduca tutti uguali, non uomini e donne ma più genericamente individui ( in Svezia non si parla più di bambino o di bambina ma più genericamente di hen ), liberi di vivere tutte le forme di affettività pensabili, per questi “ individui” si mettono in campo leggi ad hoc che impediscano a chi è contrario a questo stato di cose anche il solo dissentire dall’ideologia instaurata (i casi di Francia sono emblematici, in questo Paese campione di laicità, si è giunti ad imprigionare, seppur per poche ore, un gruppo di persone perché vestivano magliette raffiguranti una famiglia tradizionale stilizzata, in Germania si arrestano


senza tanti problemi colori che rifiutano le lezioni di avviamento alla sessualità per i figli). Questo tentativo, folle, trae il proprio “modus operandi” dalla strategia di Overton della quale ho scritto nel numero 2 de la Spada di Damocle, si procede a piccoli passi rendendo accettabile e regolamentato dalla legge ciò che un tempo era socialmente inaccettabile, ciò avviene mediante un condizionamento di massa che agli osservatori attenti appare evidente perché è pienamente in atto in questo nostro tempo e, al contrario, passa inosservato ai più perché, come noto, fa più rumore un singolo ramo che cade a terra di un’intera foresta che cresce. In questi giorni, cercando di documentarmi un po’, ho letto diverse posizioni espresse in Internet ed altrove, ho letto di diritti che si vogliono dare e negare alle persone, ho letto di come deve essere considerata una famiglia, ho letto delle libertà che si vogliono garantire, ho letto tanto ma non ho trovato nessuno scritto che riguardasse il diritto, inviolabile, di un bambino ad avere un padre ed una madre. Tutti hanno pensato ai diritti e ai doveri degli adulti, tanti hanno speso paroloni roboanti a favore della legge, i politici vanno dichiarando “….ce lo chiede l’Europa…” (coprendo con questa frase ripetuta ad ogni piè sospinto, e buona per ogni occasione, ogni sorta di porcheria), ma ai

I bambini vanno difesi nei loro diritti con il coltello tra i denti bambini non ha pensato nessuno. Eppure sono loro che pagheranno gli errori di questa legge stolta, sono loro che, a detta del mondo scientifico legato alla psicopedagogia, risentiranno della mancanza di quella giusta diversità d’approccio educativo che solo padre e madre possono garantire. In genere a questo concetto si obietta come esistano famiglie eterosessuali disastrate, peggiori delle coppie omosessuali. E’ un’obiezione tendenziosa poiché con la scusa di qualche (o anche più di qualche) situazione di difficoltà si vuol far passare il concetto che la coppia omosessuale sarebbe migliore della coppia eterosessuale, cosa certamente non vera, non fosse altro che per i numeri derivanti dalla statistica, dalla quale si evince come le coppie gay siano molto meno stabili di quelle eterosessuali. Per non pensare al modello educativo, distorto, che ne nascerebbe: la teoria che ogni forma di affettività è lecita lascia immaginare quale confusione si posa ingenerare nella mente fragile di un fanciullo che vive, di fatto, in una situazione totalmente al

di fuori di quanto Madre Natura ha stabilito: si trova ad essere figlio di due persone che, assieme, non possono averlo generato ed hanno avuto, quindi, bisogno di una terza persona, di fatto anch’essa genitore, che, però, non avrà alcun diritto ne potestà, lo stesso figlio non avrà, se non alla maggior età, alcun diritto di conoscere un suo genitore biologico. Questo solo per sfiorare il tema senza aver la pretesa della completezza. Invito le persone a ragionare sugli effetti bislacchi di questa proposta di legge ed a votare per l’abrogazione in occasione dell’inevitabile referendum che sarà conseguenza ineludibile di questa iniziativa. Con ciò non voglio negare il diritto, sacrosanto, di ognuno ad una vita affettiva diversa da quella di chi oggi scrive questo articolo, non è questo il punto; il fatto essenziale è che non si voglia parificare queste unioni al matrimonio tra un uomo ed una donna ( che è altra cosa ), che non si voglia mettere in piedi, chiamandolo con i nomi più strani, un contratto del tutto assimilabile al matrimonio, sfruttandone financo gli articoli di legge esistenti a tale riguardo per il matrimonio tradizionale, che non si mettano di mezzo i bambini che vanno difesi nei loro diritti con il coltello tra i denti ribadendo i concetti della Convenzione Europea sui diritti del fanciullo che in questo DDL vengono scientemente calpestati.


Trento e Bolzano con Fratelli ’Italia-AN Alberto Sigismondi E' il primo articolo che scrivo solo) in Consiglio comunale a per il vostro giornale quindi, Bolzano. Tre mesi dopo, il vorrei essere cortese con il Sindaco bolzanino si dimette e capoluogo trentino. In realtà quindi prossime elezioni nel gli omaggi vanno ai militanti di maggio 2016. In questi mesi Fratelli d'Italia che ho potuto dunque, il partito deve incontrare (insieme a riorganizzarsi, ri-costituire Gianfranco Ponte) qualche tutti gli strumenti idonei ad giorno fa proprio a Trento, in una campagna elettorale che occasione di una cena preincida direttamente nel natalizia. Un bel gruppo territorio cittadino ed infine, "affiatato e laborioso". Laborioso specialmente e Laboriosi perché "di indole politica" di questi tempi non è votati all'impegno poco. Laboriosi nonostante i riflettori mediatici verso il nostro individuare un candidato partito a Trento "stentino ad Sindaco che possa avere in sé illuminare". Laboriosi competenza, professionalità nonostante non ci sia alcun ritorno "da rendita elettiva". Laboriosi perché "di indole politica" votati all'impegno. Lo dico con certezza perché ho constatato di persona le attività svolte da FdI del Trentino in questo 2015. Anzi mi spingo più in là: hanno avuto poco in confronto a ciò che è stato prodotto! Ma tutto ciò fa ben sperare. ed esperienza. Cercheremo di Questo preambolo per dire fare al meglio delle nostre che l'esempio ricevuto dai possibilità. trentini fa bene alle coscienze Un ultimo punto mi preme dei militanti alto-atesini. sottolineare in questa Quest'ultima è stata una sintetica presentazione: campagna elettorale alquanto l'unitarietà "pesante e complicata" con il d'intenti, la costituzione di risultato di un eletto (uno una

struttura regionale di partito, la possibilità di confrontarci in riunioni periodiche. - Sull'unitarietà di intenti credo non esistano problemi particolari visto che "il tessuto ideologico" di cui siamo composti è lo stesso che ci contraddistingue dal Brennero a Messina. Inoltre, il collante politico che riesce ad emanare l'on. Giorgia Meloni è tale da rendere Fratelli d'Italia un unico organismo valoriale. - La costituzione di una struttura regionale di partito è da intendere come "momento politico di sintesi (se possibile) e di stimolo (si spera) nel rispetto delle peculiarità specifiche dei due territori provinciali". Chissà che le due esperienze non possano suggerire percorsi riformativi ed innovativi proprio in sede di "rielaborazione degli Statuti autonomistici". - Il confronto nelle riunioni periodiche va inteso come suggello dei due momenti sopracitati. E se l'inizio del nostro rapporto (Trento-Bolzano) conterrà le note positive che ho incontrato in quella "cena trentina", credo che Fratelli d'Italia qualche buona soddisfazione saprà ottenerla. Grazie per l'ospitalità.


L’idiozia è ancora libera Giuliano Guzzo Ad un anno esatto dall’attentato terroristico alla sede di Charlie Hebdo, il settimanale satirico uscirà nelle edicole francesi con un numero speciale la cui copertina, disegnata dal direttore Riss Laurent – rimasto ferito nell’attacco del 7 gennaio 2015 -, presenta il Dio trinitario, con tanto d’inconfondibile triangolo in testa, sormontato da una scritta altrettanto chiara: «L’Assassino è ancora libero». Ora, posto che la memoria per le venti vittime di quella terribile strage, dodici delle quali nella redazione della rivista, deve essere condivisa come condiviso fu, un anno fa, lo sgomento per l’accaduto, una copertina del genere non solamente non può lasciare indifferenti, ma dovrebbe stimolare in ciascuno di noi molteplici interrogativi. Il primo. Perché Charlie Hebdo prende di mira, un anno dopo l’attentato alla propria redazione, il Dio cristiano? Ad avviso di molti – incluso chi scrive – il rispetto della fede altrui dovrebbe essere universale e senza eccezioni, ma che senso ha una copertina simile? Non erano cristiani, gli autori della strage del 7 gennaio scorso e neppure quelli che, in precedenza, distrussero la sede del giornale nella notte tra il 1° e il 2 novembre 2011. Dunque quale sarebbe il significato di una prima pagina che non solo pare avere ben poco di satirico, ma contiene

un attacco del tutto gratuito e quando l’antropologa Dounia immotivato, per non dire Bouzar ha effettuato uno palesemente demenziale? studio su più di centosessanta Forse chi avrà la “fortuna” di famiglie di altrettanti aspiranti leggere questo numero jihadisti francesi, oltre a speciale potrà chiarire questo rilevare la giovanissima età di enigma, ma non è affatto questi, ha riscontrato come detto. addirittura l’ottanta percento Secondo interrogativo. La dei loro nuclei familiari fosse satira non è forse tale, da ateo (Métamorphose du jeune sempre, nella misura in cui opérée par les nouveaux ride dei potenti e del potere? discours terroristes, 2014, Ebbene, non v’è chi non veda p.7). come in Francia la Chiesa e i In una prospettiva davvero cristiani detengano sempre satirica non sarebbe dunque meno posizioni di comando o più sensato prendersela con i prestigio. Semmai sono coloro terroristi islamisti o con che disprezzano la fede e, l’ateismo più estremo, a livello magari, pretendono d’imporre europeo spesso – un’antropologia laicista i nuovi potenti ed è la Che senso ha parlare del Dio loro ideologia il cristiano come di «assassino»? vero pericolo. Una prova? In Francia gli atei sono il ventinove incredibilmente, ma neppure percento (Win-Gallup troppo – facce della stessa International, 2012), ma medaglia?


Terzo ed ultimo interrogativo: che senso ha parlare del Dio cristiano come di «assassino»? Le vicende di uomini di fede che ne hanno brutalmente contraddetto valori sono note, ma senza la tradizione biblica e cristiana – come ogni studioso serio non può non ammettere – non esisterebbe neppure il concetto di persona umana, del quale le pur luminose civiltà greca e romana erano prive. Dunque se oggi è chiaro a tutti, o almeno dovrebbe esserlo, che la dignità umana dei redattori di Charlie Hebdo è intangibile, è indubbiamente grazie alle

strade teologiche prima e filosofiche poi che la fede nel contestato Dio ha inaugurato. Ne consegue come la nuova copertina del settimanale – oltre che miope e abbastanza vigliacca – altro non sia che l’ennesimo autogol che si fa la Francia, l’Europa, che in fondo ci facciamo un po’ tutti. Per questo, senza nulla togliere alla commemorazione delle vittime dello scorso anno, forte è l’amarezza per la perdurante incapacità, non solo da parte di Charlie Hebdo, di vedere che è anzitutto dell’idiozia «ancora libera» che dovremmo occuparci.

Alcuni infatti sembrano ignorarlo, ma siamo un Continente economicamente in crisi nonché «l’unica regione» del pianeta, in assoluto, destinata ad assistere, con 46 milioni di europei che saranno seppelliti senza essere rimpiazzati, alla riduzione «della propria popolazione totale fra il 2010 e il 2050» (The Future of World Religions: Population Growth Projections, 20102050, p.147); per non parlare dell’emergenza migranti e tutto il resto. Ha senso, in simili condizioni, ridere di Dio?

L’EROINA DEI DUE MONDI Marco Taufer È noto che nel corso della storia del mondo le donne hanno avuto in tutti i tempi e nelle più diverse civiltà un

ruolo fondamentale. Questo non è diverso nella storia dell’Italia unita. Quando Giuseppe Garibaldi si

è avventurato in Sud America non si aspettava di trovare lì una donna che diventasse la sua compagna e che, anche se all’insaputa degli italiani, è una delle grandi responsabili del processo di unificazione del paese. Ana Maria De Jesus Ribeiro Da Silva, meglio conosciuta come Anita Garibaldi, è nata nel 1821 nella provincia di Santa Catarina, nel sud del Brasile. Per ironia del destino, la provincia di Santa Catarina con il 90% della sua popolazione di origine venetotrentina è il posto (eccetto il Veneto) dove più si parla la lingua veneta in tutto il mondo. Anita diviene la moglie di Garibaldi in Brasile, ed ebbe


da lui tre figli: Menotti Garibaldi in onore del patriota modenese Ciro Menotti, poi già nell’Uruguay Teresita e Ricciotti. Una curiosità su Anita è che Giuseppe prima di conoscerla non sapeva andare a cavallo. La figura di Garibaldi come la conosciamo oggi, l’eroe cavaliere, è merito dell’amazzone Anita. All’inizio del 1840, in una delle battaglie più importanti combattute da Garibaldi nel sud del Brasile, Anita cade prigioniera delle truppe imperiali brasiliane. Ma il comandante, colpito dal temperamento della giovane, le concede di cercare il cadavere di suo marito sul campo di battaglia: Anita, approfittando della distrazione delle guardie, afferra un cavallo e fugge. Dopo aver attraversato un fiume di circa 250 m di lunghezza incinta, riesce a ricongiungersi con Garibaldi, dove poco dopo lei partorisce il suo primo figlio. Finita la guerra, i due girano per un po’ tra Uruguay, Paraguay e Argentina. Però nel 1848 alla notizia delle

dalla madre di Garibaldi. Garibaldi la raggiungerà un mese più tardi. Il 9 febbraio del 1849 avviene laproclamazione della Repubblica di Roma. Garibaldi raggiunge la città, dove poco dopo arriva anche Anita.

Tra queste e altri innumerevoli battaglie, Anita viene raccontata come “la donna con un figlio sotto un braccio e un fucile nell’altro”. Allattava mentre combatteva. Nella fuga dei Garibaldini dagli Austriaci, Anita morì provata dalla febbre. Il suo corpo fu frettolosamente sepolto nella sabbia vicino a Ravenna. Anita Garibaldi viene riconosciuta come la Giovanna d’Arco italiana, e i suoi resti sono stati Cercano di farci credere che il sepolti per ordine del concetto di donna – mamma Duce Benito patriota sono sinonimi di Mussolini nel 1932 sul Gianicolo, dove maschilismo c’è scritto “Al santuario/ Venduto prime rivoluzioni europee de’ miei padri avranno stanza/ Anita e i figli si imbarcano per Le tue reliquie e d’altra donna Genova, per poi spostarsi a amata/ Madre ad entrambi, Nizza dove viene ospitata adornerai l’avello!”.

Per ironia della sorte, l’italianità la ritroviamo in una donna che non aveva origini nel nostro paese, ma che ha fatto dell’Italia una e ha combattuto insieme a Giuseppe Garibaldi per l’unificazione del paese. In un tempo dove delle donne come ad esempio la nostra stimata Presidente della Camera Laura Boldrini, italiana di nascita e di origine forse per mancanza di scelta, cerca di farci credere che il concetto di donna – mamma patriota sono sinonimi di maschilismo, razzismo e xenofobia; per fortuna alcuni avvenimenti storici ci fanno ricordare che per questo paese hanno combattuto e creduto in tanti, e questo ci fa andare avanti e credere in un futuro sempre più legato all’insegnamento dei nostri avi. “Perché adesso è notte, ma poi verrà giorno” (citazione B. M.). Saluti, Viva l’Italia


DAL CERMIS AI MARO'... L'ITALIA INDIGESTA Alberto Sicari

3 Febbraio 1998 Maria, Marcello, Edeltraud, Dieter Frank, Michael, Egon, Annelie, Harald, Jurgen, Marina, Anton, Sonja, Stefan, RoseMarie, Sebastian, Stefaan, Hadewich, Ewa, Philip e Danielle morirono per mano del pilota, il capitano dei marines americani Richard Ashby, che, durante un volo di ricognizione sul Cermis, tranciava i cavi della cabinovia provocando la morte di 20 persone. L'allora governo Italiano, guidato da Prodi, di cui facevano parte come ministri anche Veltroni, Dini e Giorgio Napolitano, condannarono l'accaduto e fecero, apparentemente, la voce grossa con gli USA. Prodi & Co chiesero di poter processare i responsabili in Italia e che gli Usa risarcissero interamente i danni: per l’azione giuridica ciò non fu possibile in virtù del trattato NATO di Londra del 19 giugno del 1951, che assegnava giurisdizione prioritaria allo Stato di Invio, in caso di reati commessi per negligenza in

servizio da parte di un militare dello stesso ( art. VII par. 3 ii ). Per l’aspetto economico pare, ma non è mai stato assodato, che la Provincia di Trento abbia incamerato il 75% delle spese sostenute per il risarcimento dei danni ai familiari delle vittime: nulla di più!

Colpa dello stato di sudditanza di cui siamo vittime dalla fine della Seconda Guerra Mondiale Il capitano Ashby, che durante il volo girava un video, da portare come ricordo negli States, subì un processo farsa negli USA, fu infatti condannato alla sola radiazione dai marines, senza alcun riferimento, nella sentenza, agli omicidi perpetrati in Italia. L'Italia, e la Provincia di Trento si dovettero, o si vollero, accontentare dell’elemosina ricevuta dagli USA. Questi i fatti e gli esiti relativi a quel triste episodio che ha visto un’azione criminale

vergognosamente coperta dall’America e supinamente accettata da un’Italia priva di spina dorsale. Il 15 Febbraio 2012 Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, durante un'operazione anti-pirateria in acque internazionali a bordo della nave Enrica Lexie, , vennero arrestati dalla polizia indiana e accusati dell’ omicidio di due pescatori indiani, Valentine e Ajeesh Pink; l’arresto avvenne illegalmente tramite un tranello teso dalla polizia indiana che, con la scusa di proteggere i due accusati, finì per riuscire a far entrare la nave in porto, incolpare ed arrestare i due militari. Il governo Italiano capitanato da Monti, con Giorgio Napolitano che ricopriva allora la Carica di Presidente della Repubblica, reagì tardivamente invocando giustamente l'art. 97 della convenzione di Montego Bay, secondo il quale, essendo il fatto accaduto in acque internazionali e battendo la


Enrica Lexie bandiera italiana, gli stessi avrebbero dovuto essere giudicati ed eventualmente condannati in Italia. Come ci si poteva ben immaginare i due Marò, grazie all’azione imbelle di Monti, Letta e Renzi, vennero detenuti illegalmente in India (azione che dura tuttora senza che sia mai stata formulata un’accusa precisa), con la possibilità di essere condannati a morte; solo l'allora Ministro-tecnico Giulio Terzi ebbe la decenza di dimettersi per tale motivo, per il resto …. silenzio ! Come sia stato possibile che gli USA abbiano fatto quel che volevano con l'Italia è abbastanza chiaro visto lo stato di sudditanza del quale siamo vittime dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale ed annotati anche i rapporti, alquanto particolari, che l'ex Presidente Giorgio Napolitano e i dirigenti del PD intrattengono con gli Stati Uniti; ma perché l'India non abbia rispettato gli accordi internazionali è cosa che non ci è per nulla evidente.

Il 3 dicembre 2013 si svolse a Bali una importante riunione del “WTO”, la più potente organizzazione legislativa e giuridica del mondo, che stabilisce le regole mondiali sul commercio internazionale delle materie prime e sui dazi doganali da applicare. Durante il meeting di Bali, l'India, già da tempo in urto con gli USA e le Nazioni europee ritardò gli accordi cercando di portare dalla propria parte, tra gli altri, l'Italia. L'India, in quel contesto, chiese di ridurre i dazi sulle importazioni, maggiori sussidi all'agricoltura del proprio paese e lo snellimento delle formalità alle frontiere, cose evidentemente molto svantaggiose per l'Italia dato che il Pil nazionale è basato proprio sul “made in Italy” e l'export. L’occasione era favorevole per una rapida risoluzione del caso dei Marò essendo in quel frangente l’Italia in una posizione di vantaggio: cosa fecero allora i rappresentanti del governo Letta, che nell’occasione godevano anche del supporto degli USA? Nulla! Accadde

allora che gli Americani fecero il proprio accordo con l'India chiudendo i “giochi” italiani, il Sole 24 ore, il 10 marzo 2013, ebbe a titolare “Allarme WTO: l'Italia perde colpi anche nel commercio internazionale”. L'Italia perde sempre, e sempre a sinistra, non rispettata dagli “alleati” Americani e tenuta in scacco dagli Indiani che, proditoriamente e senza alcun supporto giuridico, tengono in ostaggio due nostri connazionali. Oggi l'attuale governo e i governi precedenti di sinistra hanno sulla coscienza le vittime del Cermis, i Marò e tutti i nostri agricoltori, imprenditori e commercianti che, grazie anche agli accordi del WTO, si sono tolti la vita perché svenduti dal PD che prometteva di proteggerli lasciandoli, poi, al loro destino. Su una cosa Renzi ha ragione e cioè quando dice che gli italiani sono un popolo unico; sì, siamo l'unico popolo a pagare sempre le oscenità di una classe dirigente di sinistra che oggi come allora ci governa in modo catastrofico.

Toni Capuozzo sarà nostro ospite in Trentino il 18 febbraio! Tenetevi liberi!


Il rapporto con gli Dei: dall’ira di Giove al costruttore di ponti Mirko Pellini Il terzo re, Tullo Ostilio, (Regnò dal 673 a.C. – 641 a.C.) riprese le ostilità contro i popoli vicini, le sue guerre vittoriose con Alba Longa (a 19 km da Roma), Fidene (a 30 km) e Veio (a 610 km) indicano le prime conquiste del territorio latino e il primo allargamento del dominio romano oltre le mura di Roma. Fu durante il suo regno che avvenne il combattimento fra Orazi e Curiazi, i rappresentanti di Roma e di Alba Longa. Si dice che morì colpito da un lampo come punizione per il suo orgoglio. Tullo Ostilio va considerato semplicemente come il duplicato di Romolo, entrambi sono eletti fra i pastori, continuano la guerra contro Fidene e Veio, aumentano il numero dei cittadini, organizzano l'esercito e spariscono da terra in una tempesta. Poiché Romolo e Numa Pompilio rappresentano i Ramnes ed i Tities, così, per completare la lista dei quattro elementi tradizionali della nazione, Tullo è il rappresentante del Luceres ed Anco Marzio il fondatore della Plebe. La leggenda dice che Tullo era così occupato con una guerra dopo un'altra che aveva trascurato ogni servizio verso le divinità. Una peste terribile si abbatté sui Romani e anche Tullo ne fu colpito. Pregò Giove per avere il suo favore ed il suo aiuto ma la risposta

del dio fu un fulmine che venne giù dal cielo, bruciò il re e ridusse la sua casa in cenere, dopo trentadue anni di regno. Ciò fu visto dai Romani come un'indicazione di scegliere meglio il nuovo re, un re che seguisse l'esempio pacifico di Numa Pompilio e scelsero Anco Marzio, suo nipote. Il successore Anco Marzio, (Regnò dal 641 a.C. – 616 a.C.), riprende l'espansione verso sud a danno dei Latini delle città di Ficana e Politorium, guerra già avviata dal suo predecessore, portando alla schiavitù e alla deportazione di un certo numero di loro sull'Aventino e nella Valle Murcia, creando così il primo nucleo della plebe romana. Aggiunse così alla città di Roma, oltre all'Aventino anche il Gianicolo, e probabilmente anche il Celio. Durante il suo regno sono realizzate numerose opere architettoniche tra cui la fortificazione del Gianicolo, la fondazione della prima colonia romana ad Ostia alla

foce del Tevere (a 25 km da Roma), "evidentemente perché già allora aveva il presentimento che le ricchezze ed i viveri di tutto il mondo sarebbero stati, un giorno, ricevuti lì, come se fosse lo scalo marittimo di Roma"; la costruzione della via Ostiense, dove per primo organizzò le saline e costruì una prigione, la costruzione dello scalo portuale sul Tevere chiamato Porto Tiberino e la costruzione del primo ponte di legno sul Tevere, il Ponte Sublicio. Ristabilì le cerimonie religiose istituite da Numa. A lui si fa discendere la definizione dei riti che dovevano essere seguiti dai Feciali perché la guerra dichiarata ai nemici non dispiacesse agli dei e potesse essere quindi una "guerra giusta". Anco Marzio sarebbe soltanto un duplicato di Numa, come si potrebbe dedurre dal suo secondo nome, Numa Marzio, dal confidente e pontefice di Numa, non essendo niente altro che Numa Pompilio stesso, rappresentato come sacerdote. L'identificazione con Anco è indicata dalla leggenda che indica quest'ultimo come un costruttore di ponte (pontifex), il costruttore del primo ponte di legno sopra il Tevere. È nell'esercizio delle sue funzioni sacerdotali che la somiglianza è mostrata più chiaramente. L’articolo segue dal n. 5 de La Spada e continua sul prossimo numero!


MARY POPPINS SECONDO WALTER ELIAS DISNEY Elisabetta Sarzi

Tutti conosciamo questo celeberrimo film che ha segnato l'infanzia di molti di noi. Mary Poppins (1964), diretto da Robert Stevenson, è basato sulla serie di romanzi scritti da Pamela Lyndon Travers. Durante queste festività, precisamente l'1 gennaio, è stato trasmesso sul piccolo schermo dalla Rai e ne ho ovviamente approfittato per rispolverare i miei ricordi: ero cosciente che sarebbe stato diverso riguardarlo a 25 anni ma non immaginavo di certo che avrei saputo cogliere tanti aspetti e tanti messaggi di cui da bambina nemmeno mi accorgevo, com'è normale che sia. Vorrei quindi ripercorrere con voi i punti salienti di questa storia nel modo in cui l'ho vista io, ossia con occhi nuovi. Tutto si svolge nella Londra del 1906 al numero 17 del Viale dei Ciliegi, in un graziosa villetta tipica della media borghesia di quell'epoca, abitata dall'impeccabile, disciplinato e severo bancario George Banks con la moglie

Winifred, i suoi due bambini e due domestiche. Il primo aspetto che ha subito attirato la mia attenzione è stato il personaggio della signora Banks: una donna estroversa, sbadata, frizzante e costantemente impegnata nel movimento delle Suffragette. Non avendo ahimè letto il romanzo, ho scoperto in seguito che questo particolare non esisteva nella storia originale della Travers e fu un'invenzione di Disney. La signora Banks, presa dalla sua attività politica, vede improvvisamente fallire l'ennesimo tentativo di tenere una tata per i bambini, i quali continuano a fuggire. Al ritorno dal lavoro in banca, il marito viene a conoscenza dei fatti e si infuria subito con la moglie, ritenendola colpevole e incapace di cercare una tata adatta, assumendosi quindi lui stesso la responsabilità del compito. E qui viene un altro punto che colpisce la mia attenzione, che da bambina logicamente non coglievo: tra le note di una

graziosa ed orecchiabile parte cantata, questa scena è particolarmente rivelatrice del tipo di adulti e genitori che Disney vuole presentarci. In assenza del marito, la signora Banks è l'emancipata e moderna suffragetta che non pare occuparsi poi molto delle vicende dei bambini (tant'è vero che quando l'ultima tata rassegna le dimissioni per l'ingestibilità dei bambini, lei sembra cadere dalle nuvole). Ma non appena si ritrova a confrontarsi col marito circa l'accaduto e lui perde le staffe, tutto il senso di ribellione, indipendenza e combattività quasi paleofemminista scompare: di fatti continuerà a scusarsi con lui, a sentirsi tremendamente colpevole, a dargli ragione e a sottomettersi ad ogni tipo di severo rimprovero. Comportamento che cozza sicuramente con l'atteggiamento che aveva tenuto poco prima, quando cantava: «Veri soldati in gonnella siam. Del voto alle donne gli alfieri siam. Ci piace l'uomo preso a tu per tu, ma al governo lo troviamo alquanto scemo. Lacci e catene noi spezzerem e tutte unite combatterem. Noi siam le forze del lavoro e cantiamo tutte in coro: Marciam! Suffragette, a noi!


Non puoi arrestarci o maschio son finiti i tempi tuoi. È un solo grido unanime: Femmine, a noi! […]» Abbiamo poi il personaggio del signor Banks, che ritengo sia quasi il protagonista della storia, o per lo meno lo è di più dei due figli o di Mary Poppins stessa. Già all'inizio del film si può intuire che tipo di uomo e di padre sia: rigido, severo, convenzionale e composto, amministra la propria casa come la banca in cui lavora ed è piuttosto assente dal punto di vista affettivo (tanto che i bambini si sorprenderanno di fare un'uscita con lui quando li porterà alla banca).

vecchietta degli uccelli. Perciò la scena del banchiere che vuole i due penny di Michael, la fuga dei bambini e il licenziamento di Banks per quanto avvenuto, sono state aggiunte dalla Disney. E siamo già a due invenzioni nuove che portano la storia in tutt'altra direzione. Grande è stata la maestria di Disney nel rendere il mondo delle banche e il potere finanziario: una manciata di vecchi avidi, ingannatori, ingessati e folli tanto innamorati del denaro che avrebbero preso anche due miseri penny dalle mani di un bambino. Singolare poi la scelta di un'atmosfera quasi da setta o da loggia, dalla quale Banks viene escluso e licenziato con un preciso rituale dopo il parapiglia causato dai figli. Molto significativo anche il risveglio di George Banks dal torpore di quel mondo che lo aveva sempre irrigidito e allontanato dal suo ruolo di padre di famiglia.

È con lui che arriveremo a uno di quelli che ritengo i due punti clou: vuole che i suoi figli seguano le sue orme, la finanza, e Mary Poppins gli consiglia di portarli con sé alla banca. Durante il tragitto, i bambini ed il papà incontrano presso la Cattedrale la vecchietta dei piccioni, di cui Mary Poppins aveva loro parlato. Michael vorrebbe donarle i 2 penny da lui risparmiati, ma il padre lo trascina in banca e cerca di Disney descrive il potere finanziario: convincerlo coi superiori e come una manciata di vecchi avidi, il direttore Dawes a ingannatori, ingessati e follemente depositare lì il suo denaro. innamorati del denaro Spaventati da quel mondo avido, i bambini scappano Era da molti anni che non tra lo scompiglio generale. guardavo questo film e sono Nel libro c'è sì l'episodio della stata sorpresa dai molteplici visita di Michael e Jane alla messaggi ideologici che cerca banca, però sono di trasmettere ma che da accompagnati da Mary piccola non riuscivo a vedere. Poppins e non dal signor Non mi ero mai resa conto di Banks, anche se i ragazzi non quanto raccontasse il mondo arrivano fino all'ufficio del reale e di come questo non sia padre, ma si fermano dalla

cambiato molto dal 1964 ad oggi. Ci sono generazioni di Jane e Michael Banks che scappano, continuano a scappare, perché senza guida e senza riferimenti morali perché chi dovrebbe occuparsene è incapace o distratto da altro.

Ci sono milioni di Winifred Banks che inseguono senza sosta strani modelli di indipendenza e libertà ma che non riescono ad alzare la testa davvero e che dimenticano il valore del proprio compito. Ci sono milioni di Dawes dediti al denaro, che si sfregano le mani sogghignando ad ogni spicciolo e risparmio che riescono ad intascare e che determinano addirittura se un Paese debba cadere o meno. «Se quei due penny in banca subito impiegar tu li sai senza troppi sforzi in breve raddoppiar li vedrai. Saran sicuri nei forzieri e null'altro dovrai far che affidarti a noi banchieri che sappiam quel che più convien comprar. Con due grami, miseri, semplici penny che hai versato in banca


o meglio ancora nella grande banca Dawes di credito, risparmio e sicurtà! Se tu non perdi tempo e i due penny dai un bel dì arrivar alle stelle il tuo credito vedrai sempre grazie a noi qui. Ed anche tu potrai godere dei vantaggi del denaro e raggiunger quel potere che soltanto il credito può dar […] Finché la Banca d'Inghilterra sta in piedi, l'Inghilterra sta in piedi. Se crolla la Banca d'Inghilterra, crolla l'Inghilterra. […]» Ritengo che soprattutto queste due ultime frasi siano molto significative per ciò che

stiamo vivendo noi oggi. George e Winifred Banks sono due persone troppo occupate, distratte e intrappolate da finanza e attivismo e sono esattamente questi che impediscono loro di rendersi conto realmente delle fughe dei figli. Nel romanzo, Mary Poppins è funzionale a "salvare" Jane e Michael mentre Disney ritiene che lei serva a salvare il padre, non i bambini. Di fatti è lui che con una consapevolezza nuova sente immensa gratitudine per la tata magica: riscoprire la gioia e il valore per nulla scontato della famiglia unita, del ruolo di guida e protezione che da padre e da marito dovrebbe avere, così da coinvolgere in

questa rinascita moglie.

anche

la

Ho trovato nella famiglia Banks la rappresentazione di una società intera, sia distratta da specchietti per le allodole sia bisognosa di una guida etica e morale, lo specchio di generazioni di adulti e giovani che aspettano solo un aiuto per riuscire a trovarsi di nuovo e far volare insieme i loro aquiloni. «Con due penny ti puoi comperar Carta e spago e puoi fabbricar Il tuo paio di ali per poi volar Dello spazio padron Col tuo bell'aquilon»

LA SQUADRA DELLA MIA CITTA':IL TRENTO Marco Coser Era il 1967 e la domenica io e i miei amici si andava allo stadio Briamasco a Trento per vedere la partita di calcio della squadra della nostra città. Allora io avevo 11 anni ma i ricordi sono ancora ben nitidi e potrei raccontare fatti personaggi e aneddoti legati a quel periodo.

del calcio, la domenica erano migliaia le persone che andavano allo stadio.

I papà ed i nonni portavano figli e nipoti la domenica allo stadio. Era un avvenimento: chi non ricorda quei bei momenti, tutti a sostenere il Trento. E tra i numerosi tifosi si mescolavano le varie estrazioni sociali unite dalla I papà e i nonni portavano figli passione e l'attaccamento e nipoti la domenica allo ai colori giallo blu .

stadio. Era un avvenimento.

A quei tempi, in una città dove lo sport agonistico aveva il più¹ alto livello nella pratica

I primi cenni storici sul calcio giocato a Trento risalgono al 1912 dove l'allora Impero Austro Ungarico organizzò un torneo calcistico

militare con squadre formate prevalentemente da militari provenienti da Ungheria, Boemia e Austria e si giocava nell'attuale piazza Venezia allora chiamata Piazza d'Armi. Numerosi i Trentini che assistevano alle partite entusiasti e affascinati da questo nuovo sport. Un anno dopo anche a Trento la Società Sport Pedeste annoverava tra le varie specialità ginniche e atletiche una sezione diretta da Pino Suster che si dedicava alla pratica calcistica. Tra i vari giocatori ricordiamo la medaglia d'oro Gino Buccella,


il legionario giudicariese Sauda, un certo Bertotti, un tal Suarez argentino e residente a Treno il quale, oltre ad essere il capitano, era anche l'elemento di maggior spicco ed infine il popolare farmacista Dott. Prati della farmacia Gallo. Vi fu anche una discreta attività agonistica limitata alle squadre militari, al Ginnasio Tedesco il quale disponeva di una buona formazione, alla Quercia di Rovereto e alla Benacense di Riva che da alcuni anni svolgeva l'attività. E così cominciò timidamente, quasi con pudore, a manifestarsi anche tra la gente trentina quella terribile e contagiosa malattia che è il "tifo" calcistico. Purtroppo lo scoppio del primo conflitto mondiale troncò sul nascere questa nuova attività sportiva ed a Trento per tutti i lunghi anni del conflitto non si parlò più di football. Nel 1919, alla fine del tragico conflitto, la passione calcistica rifiorì anche in terra trentina e le due più importanti società sportive, l'Unione ginnastica e la Sport Pedestre, capirono che non si poteva trascurare lo sport del calcio. Lo sport Pedestre, con le casacche color verde, presentò subito una buona squadra con i vari : Bertolini, Zardini, Dimant, Sevignani e altri e la direzione affidata a Gino Sani. Mentre l'Unione Ginnastica colore sociale l'azzurro si

iscrisse con i giocatori Calliari, Mazzalai, Ambrosi, Lazzari, Widesot, Zanella, Faliva. La direzione tecnica venne assunta dal Cav. Dallago e dal sig. Rosanelli. Ad accrescere l'entusiasmo ed a elevare le qualità tecniche del gioco del calcio nella nostra provincia contribuì in misura notevole la presenza a Trento di militari già appartenenti a grandi squadre nazionali dei quali ricorderemo Bessuti, Pollastri della Milano VI della Pro Vercelli, Santanbrogio e Burlando del Genova F.C. Le squadre militari furono il primo banco di prova per le nostre balbettanti compagini cittadine e contribuirono in modo notevole a propagandare lo sport calcistico nella nostra Regione. Il gioco era sempre agonisticamente elevato e lo spirito di bandiera fortissimo. Un gioco sì pesante, anche d'impeto, però mai cattivo: si giocava dando tutto senza riserve mentali per la carriera calcistica come succede ai nostri giorni perché ognuno aveva la propria attività nella vita e perciò si scendeva in campo per pura passione sportiva. Per i "forestieri" il professionismo o meglio il mancato guadagno si intrinsecava allora in forme puerili. Non ingaggi, non premi

partita, non stipendi più o meno elevati: tutt'al più il regalo di un paio di scarpe bullonate o magari una merenda all'osteria più vicina. In casi limite erano semmai l'aiuto a trovare un posto di lavoro. 1921- Possiamo chiamarlo l'anno base del calcio Trentino, un anno denso di avvenimenti calcistici, l'anno che ci portò ilprimo vero campionato trentino e le prime squadre organizzate sia finanziariamente che tecnicamente. Nei primi mesi del 1921 avvenne la trasformazione dello Sport Pedestre in Pro Trento. Alla guida rimase ancora Pino Suster, affiancato dai dirigenti Bareggia, Gino Sani, Conte Pompeati, Dimant e Carlo Brighenti. Alla direzionetecnica venne chiamato l'austriaco Skcasa.


Nella stessa Pro Trento venne creata la sezione giovanile alla quale aderirono le nuove promesse trentine :Dorigoni, Micheli, Corsi, Manica, Segatta, Fedel, Rungatscher a altri giovani. Il seme calcistico cominciava a dare i suoi frutti anche nel Trentino: su ogni piccolo campo erboso della periferia si vedevano giovani impegnati in furibonde partite ad oltranza che finivano con risultati da pallottoliere.

Si elesse il presidente il Sig.Carmeci, i colori sociali furono il giallo blu con l'aquila di Trento e, sempre grazie al dinamico Ferruccio, la saletta del Bar ne divenne la sede sociale. Un brindisi col democratico Marzemino suggellò la nascita della nostra

Ricordiamo, fra le tante squadre fondate, anche quelle a carattere politico come la compagine del On. Groff fondata da Avancini denominata Associazione Sportiva Proletaria. Naturalmente colore sociale era il rosso. Successivamente, sempre nel 1921, l'ing. Porta finiti gli studi universitari a Milano, dove sportivamente si distinse prima nella sezione calcio Canottieri Milano, e poi nell'Inter Milano sezione Gentlemen. Si rese conto di tutti i giovani che non trovavano posto per giocare a Trento e così dette vita all'Associazione Calcio Trento. Tutto avvenne in una saletta del Bar Teatro, gentilmente concesso dallo sportivo Ferruccio. Assieme all'Ing, Porta c'erano i collaboratori: Carlo Brighenti, Giannantonio Manci, Suster, Salvetti, Toniolatti, Carmeci ed altri rimasti sconosciuti.

cara A,C. Trento. Da quel 1921 ad oggi sono trascorsi 95 anni ma il nostro Trento è ancora la rappresentativa calcistica della città, ha mantenuto i colori giallo blu e l'aquila come simbolo. Alcuni dei Presidenti che si sono succeduti alla guida della società rimarranno sempre nei ricordi dei tifosi, pensiamo all'ing. Del Favero la cui dirigenza segnò il periodo di maggior gloria, altri invece sono da dimenticare per fallimenti e clamorose retrocessioni. Migliaia sono i giocatori che sono approdati a Trento, alcuni di loro poi saliti

alla ribalta del calcio mondiale ed altri al termine della carriera hanno ancora dato e entusiasmato il pubblico Trentino. Pensiamo a Domenghini, Maraschi, Simonini. Ricordiamo le tifoserie trentine: il Trento Club, gli amici Giallo Blu, i Fedelissimi e gli Ultras Trento 1978, flangia giovanile di sostenitori che la domenica macinavano chilometri per poter sostenere il Trento. Oggi, dopo gli ultimi 15 anni di buio con gestioni sconsiderate e retrocessioni che ci hanno portato al livello di calcio provinciale, l'attuale Società con il presidente Giacca ha cominciato a ricostruire le fondamenta per riportare la squadra del Trento verso traguardi ambiziosi che gratificano lo sport del calcio e la città di Trento. L’attuale Società con il

presidente Giacca ha cominciato a ricostruire le fondamenta per riportare la squadra del Trento verso traguardi ambiziosi

Da tifoso e da sostenitore sempre in prima fila mi auguro fra qualche anno di veder volare quell'aquila verso successi importanti e poter rivedere uno stadio pieno e rinverdire quella passione che ai Trentini è venuta meno per le tante delusioni.


ILRACCONTOILRACCONTOILRACCONTOILRACCONTOILRACCONTOILRACCONTOILRACCONTOILRACCONTOILRACCONTOILRA

Il leone, la quercia, le aquile Non perderti i primi capitoli!

Paolo Lorenzoni

CAPITOLO IV Qual è quella ruina che nel fianco di qua da Trento l'Adige percosse, o per tremoto o per sostegno manco, che da cima del monte, onde si mosse, al piano è sì la roccia discoscesa, ch'alcuna via darebbe a chi sù fosse...

Il 2 novembre 1918 la terra

Il XXIX Reparto d'Assalto era

fanteria “Pistoia”, alla quale

tremava ancora una volta sulla ruina dantesca nei pressi

acquattato

Leone era stato inizialmente

cantate dal Sommo Poeta e

aggregato,

dell'abitato di Marco, ma ora a

attendeva

per

l'ordine di attaccare i paesi

percuotere le acque del fiume

gettarsi contro il nemico. Erano arditi alpini, fiamme

sulla riva destra dell'Adige

Adige era l'artiglieria italiana. Quando settecento anni prima

verdi come le mostrine che

principale verso Rovereto era

Dante scriveva i versi del

portavano

sul

stato affidato alle truppe alpine

canto

dietro il

le

rocce

segnale

orgogliosi

mentre

aveva

lo

ricevuto

sfondamento

XII

dell'inferno

bavero aperto della divisa,

con alla testa il reparto d'arditi.

probabilmente

immaginava

smaniosi di aprire all'Italia la

Questi ragazzi erano perlopiù

molto

via di Trento. Leone era con

giovani delle ultime classi di

dissimile a quello che Leone

loro, ma in quel momento si

leva e incarnavano il modello

stava

qualcosa

di

non

quel

stava domandando se aveva

di

pomeriggio autunnale. Alle ore

vivendo

fatto la scelta giusta. Erano

esperienze maturate dopo la

15:00,

passati tre giorni da quella

disfatta italiana di Caporetto.

cannoni avevano cominciato il

memorabile

a

La forza di questi soldati stava

bombardamento

come

in

convenuto, delle

i

mattina

guerriero

nato

dalle

linee

Serravalle ma dal Comando

nello sprezzo del pericolo dato

austriache vomitando fuoco e

non era arrivata la tanto attesa

dalla

acciaio su quel che restava

notizia

bensì

fomentata dalla propaganda,

delle povere case del piccolo

l'ordine di attaccare. Leone,

di combattere per una giusta

paese nel sobborgo sud di

dopo aver fatto rapporto a

causa. Erano la risposta del

Rovereto. Dopo le prime salve

Marchetti, aveva visto la sua

l'aria si era impregnata della

licenza tramutarsi in missione:

Regio Esercito Sturmtruppen degli

polvere

“seguire

durante

Centrali; il loro compito era

verso

quello di avvicinarsi alla linea

della

pietra

dell'armistizio,

le

truppe

convinzione,

alle Imperi

frantumata, del fumo delle

l'imminente

esplosioni

nord per fornire supporto in

nemica

in

piccoli

quanto

durante

il

bombardamento

avvolgendo

e

degli tutto

incendi, in

avanzata

ceca

conoscitore

del

gruppi,

un'atmosfera surreale. Solo il

territorio, dell'organizzazione e

preparatorio d'artiglieria, per

malridotto campanile svettava

della lingua del nemico, ma

poi

ancora sopra la nebbia e

soprattutto

cogliendoli

come una robusta lancia puntava ancora il gelido cielo.

progressi

per

riferire

i

all'Ufficio

Informazioni”. La brigata di

assalire

Dovendo

i di

difensori sorpresa.

combattere

negli

spazi angusti delle trincee, gli


arditi non erano dotati del

governare il fremito dei sui

armeggiare con il cinturino

lungo

muscoli

della

fucile

1891

ma

senza

riuscirci.

Il

fondina

mentre

le

prediligevano armi più corte, le

bombardamento sarebbe stato

sagome dei sui compagni,

bombe

breve, doveva calmarsi, doveva pensare con lucidità.

come spettri, si dirigevano

a

mano

l'immancabile

e

pugnale.

Quest'ultimo era il simbolo stesso dell'audacia e dello spirito

guerriero

della

Specialità, veniva portato alla cintura

con

orgoglio

e

risuonava nelle canzoni che venivano dalla

sovente

truppa.

consegnato Leone.

Ne uno

Una

intonate avevano anche

solida

a

lama

ricavata da una baionetta con al tallone un elsa leggermente stondata,

l'impugnatura

in

legno tornito che ricordava

 Lei cosa ha fatto per l'Italia? L'accusa che Franchini gli rivolse

la

mattina

della

richiesta d'armistizio avevano rimbombato nella sua mente come le granate che sentiva ora. Leone doveva ripagare la

che parve infinito la pistola uscì dal suo involucro, anche per Leone era giunto il tempo di lasciare il riparo e tentare la sorte.

aveva

necessità o per dovere, rischia

concesso;

doveva

dimostrare di meritare la sua

la

nuova divisa e quell'assalto

semplicemente alla fortuna,

era la sua prima, unica e forse ultima possibilità.

come dopo il lancio dei dadi

cuoio nero. Dopo tre giorni in

colpi cominciarono a cadere

compagnia di questi ragazzi

qualche decina di metri più

Leone si era fatto contagiare

avanti,

dal

convenuto. Il suo cuore, che

spirito

processione. Dopo un tempo

Quando un uomo, spinto dalla

L'artiglieria allungò il tiro, i

combattivo

sfilandogli a fianco in muta

fiducia che la nuova Patria gli

quella di una lima, il fodero in

loro

nella nebbia verso il nemico,

era

il

segnale

vita

può

abbandonarsi

da gioco, oppure può affidare il proprio destino a Dio. Come alcuni mesi prima, nel giorno della diserzione, Leone si fece il segno della croce e si diresse verso il nemico.

goliardico nella febbrile attesa

già

del balzo finale verso Trento

all'impazzata,

perciò, giunto l'ordine, aveva

ulteriormente il suo ritmo. Il

strada;

deciso

respiro

percorso

quei

ragazzo

immaginando

di

partecipare

a

quell'attacco insieme ai sui nuovi camerati... se ne stava amaramente.

pentendo

Aveva paura. Ora

si

trovava

supino,

appiattito sul terreno, le mani stringevano

forte

le

falde

dell'elmetto fino a segnarne i palmi. I boati delle vicine deflagrazioni timpani

bucavano

feriti,

direttamente

i

esplodendogli nel

cervello,

mentre le sue narici inalavano polveri

e

fumi

che

gli

bruciavano i polmoni. Tremava come una foglia, la mente cercava in tutti i modi di

da

tempo

affannoso

pompare

l'aria

batteva

La visibilità era limitata dal

aumentò

fumo ma egli conosceva la

prese

a

malsana

molte

aveva

luoghi

il

terremoto

irritate.

preistorici aveva portato le

di

bere

enormi

lasciato la borraccia in trincea;

Zugna fino a valle. L'abitato di

al suo posto portava una

Marco cominciava proprio a

piccola sacca di bombe a

ridosso dell'antica frana. Si

mano e la fondina con la

diresse sulle gambe malferme

pistola. Ecco, si, la sua nuova

verso il campanile ferito che svettava in lontananza.

Beretta modello 1915, molto più leggera e “moderna” della vecchia pistola austriaca, ma anche potente.

meno

massiccia

Nonostante

e gli

conferisse meno sicurezza del suo vecchi “ferro”, quello era il momento di usarla. Le mani tremanti

cominciarono

ad

del

tempi

dell'acqua ma ricordò di aver

arma era una semiautomatica

pietre

in

da

attraverso le fauci inaridite e Pensò

che

volte

monte

Aveva percorso pochi metri, chino e silenzioso come gli spettri che poco prima lo avevano superato, quando i cannoni

cessarono

la

loro

brutale sinfonia. Si fermò in un istante di silenzio surreale... addirittura le nubi sembrarono aprirsi mostrando un timido


baffo

di

cielo...

poi

le

mitragliatrici intonarono il loro ritmico canto. Ciò che accadde nei minuti successivi

si

ripresentò

indistintamente per anni negli incubi

di

Leone.

Spari,

esplosioni,

grida;

tutto

immerso nel fumo incostante della

battaglia.

Egli

corse,

scavalcò un parapetto e non sentì più il terreno sotto ai piedi, cadde con un tonfo sul pavimento

legnoso

di

una

trincea. Nel rialzarsi la mano libera dalla pistola tastò una massa informe, viscida, calda e pulsante. La vista del corpo mozzato

al

quale

stringendo

le

stava interiora

schiaffeggiò così forte la sua anima

che

d'istinto

balzò

indietro. I due pezzi della figura giacevano vicini, come le

due

parti

d'un

foglio

strappato con rabbia da un fanciullo

insoddisfatto

del

disegno del suo fantoccio. Sfilò

con

forza

la

mano

penetrata in quel miscuglio di organi molli, ossa coriacee e liquidi viscosi. Lo shock gli troncò il respiro impedendogli di gridare; un attimo dopo giunse

la

nausea

e

l'irrefrenabile conato di vomito, come se l'orrore cercasse una via per lasciare il suo corpo. Il sapore acido e pungente dei liquidi gastrici lo fece rinsavire parzialmente, uscire

da

ma

doveva

quella

trappola.

Scalò nuovamente la trincea, stavolta verso il paese. Non vide né i furiosi corpo a corpo nè le decine di morti sparsi sul qual lembo di terra: era tutto

indistinto e confuso, l'unico

Fu passando davanti ad una

suo

“devo

finestra infranta che vide i due

campanile!”,

soldati austro-ungarici. Erano

pensiero

raggiungere

fu

il

dopotutto

era

l'obiettivo

all'interno

di

una

casa,

concordato con i compagni

affacciati sulla via principale e

prima

stavano ricaricando i fucili.

dell'attacco.

Avanzò,

pulendosi

la

mano

Sapeva

insanguinata

sulla

nuova

Restando al coperto estrasse

divisa lordandola del primo

dalla sacca un petardo incendiario Thevenot; aveva

sangue non suo e, quando il

che

cosa

fare.

fumo si fu diradato, raggiunse i ruderi dell'abitato. Delle case

visto gli effetti di quell'arma, i

non era rimasto che qualche

incandescente a migliaia di

brandello

gradi

di

muro

che

frammenti

di

fosforo

bruciavano

qualsiasi

delimitava gli spazi occupati

cosa: legno, tessuto e carne

dai piani e dai tetti crollati. La

umana. Ci volle uno sforzo per

via principale echeggiava di

scacciare dalla sua mente

spari e grida; colse alcuni

l'immagine del destino atroce

incitamenti

“avanti!”,

che avrebbe inflitto a quei

“Savoia!”, “Italia!”, miste ad

soldati. Strinse con forza lo

altre esclamazioni in tedesco

strumento di morte ma nel

e in una lingua slava che non

momento in cui inserì il dito

riuscì

nell'asola

come

ad

identificare;

ciò

della

sicura

significava che l'assalto aveva

s'accorse che era lercio di

portato gli arditi in paese e la

sangue raggrumato. Un'ultima occhiata oltre la finestra e...

linea

nemica

stava

per

cedere! Doveva fare la sua parte,

in

un

angolo

della

mente trovò il coraggio di obbligare

il

suo

corpo

a

spingersi

ancora

verso

il

nemico.

Dopotutto

combattimenti

i

infuriavano

tanto di fronte quanto dietro di lui, perciò a rigor di logica non esisteva un posto più sicuro di un altro. Un respiro profondo. Sentì

l'aria

irrompere

nel

corpo tremante come acqua in un torrente montano dopo un acquazzone. Per prima cosa imboccò una via laterale; poi, tenendosi

rasente

ad

un

il suo sguardo non vide due soldati ma due ragazzi. Lo Stahlhelm troppo grande copriva due visi emaciati, le grezze

divise

due

corpi

denutriti. L'acerba barba che ne

velava

discontinua

in i

maniera volti

non

nascondeva la loro giovane età, anzi in qualche modo ne sottolineava la prima gioventù, mentre gli zigomi alti, gli occhi chiari

e

i

tratti

somatici

spigolosi ne tradivano l'origine slava. Erano

come

il

Leone

di

edificio, si diresse verso quello

qualche

che sapeva essere stato il cortile della canonica.

Combattevano una guerra che

mese

or

sono?

non sentivano loro? Dovevano


morire quel giorno d'autunno in un Paese straniero? Ogni soldato in guerra è come un

giudice

condanna

supremo, morte

che

ma un rantolo indicava che lo

inutilmente,

spirito non aveva lasciato il corpo.

l'austriaco

con

due movimenti secchi fu di nuovo pronto a sparare.

ancora

Miracolosamente Leone era

uomini

In quell'attimo, così vicino alla

illeso, evidentemente immune

e

morte,

ebbe

per quella giornata dal piombo

prescindere dai loro crimini.

paura... non ne ebbe il tempo

amico e nemico. Si avvicinò al

Ma per i due giovani la grazia,

o forse l'adrenalina gli impedì

moribondo cingendolo in un

in quel momento, era arrivata

di averne, ma fu il primo

abbraccio

a loro insaputa. Leone tolse il

momento dall'inizio di quella

gratitudine. Anch'egli era un

dito dalla sicura, ripose la

giornata

ragazzo,

bomba e riafferrò la pistola, li

paura. Lo scorrere dei secondi

uniforme come milioni di altri

avrebbe

prigionieri.

rallentò all'improvviso. Fissava

in quella guerra. La differenza

breccia

gli occhi azzurri del ragazzo;

stava nello sguardo, morente

inspirò

di un colore gelido ma che

e penetrante. Si sbottonò la

strideva con impaurito.

giacca e, da poco sotto il foro

senza

a

continuò a premere il grilletto

processo

fatti

Individuò

una

nell'edificio, profondamente irruzione.

e

a

fece

 Aufgeben! Intimò loro di arrendersi, ma

Leone

in

non

cui

non

lo

ebbe

sguardo

di

Aveva paura di morire o di uccidere?

di

pietà

un

soldato

proiettile

cominciava

e

dal a

in

quale sgorgare

copioso il sangue, estrasse un

Non lo seppe mai.

fagotto porgendolo sopravvissuto.

colto di sorpresa, lasciò il

In quel fugace istante da una

 Prendila, ora tocca a te!

fucile e d'istinto alzò le mani;

porta

Una breve frase prima che la

l'altro si girò, puntò l'arma

ardito che scaricò nella stanza

bocca

qualcosa andò storto. Mentre il più distante dalla finestra fu

verso

l'aggressore

sfondata

irruppe

un

gli

si

riempisse

al

di

e

fece

Leone

una

una raffica di colpi dalla sua mitragliatrice Villar Perosa.

sangue, un attimo prima di spirare.

dopo

L'austro-ungarico riuscì però a

premette il grilletto, ma niente,

girarsi e sparare contro il

 Grazie!

nella concitazione non aveva

nuovo

armato la pistola azionando il

essere investito anch'egli dalla

carrello!

mitraglia. Quando il tempo

fuoco. frazione

Anche di

secondo

Fortunatamente

il

assalitore

prima

di

colpo dell'austriaco lo sfiorò

riprese

sulla destra perdendosi nella

normalmente nella stanza si

breccia da cui era entrato. I

presentò

due si guardarono; sarebbe

straziante.

bastato un sorriso o un cenno

pozza il sangue di colui che si

d'intesa ma la paura e lo

voleva

spirito

conservazione

mischiando con quello di colui

sopravvento.

che aveva segnato la fine di

Entrambi presero a ricaricare

entrambi. Poco più in là il

le armi ma, mentre Leone non

proiettile

avendo capito subito perché la pistola non aveva sparato

destinato a Leone aveva centrato l'ardito in pieno petto

ebbero

di il

a

scorrere

una In

scena

una

arrendere

grande si

stava

inizialmente

Rispose Leone mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime. Grazie di avergli salvato al vita e grazie del dono ricevuto. Guadò la stoffa e capì: era una

bandiera

italiana,

ora

intrisa del sangue di un eroe! Ma non fu l'unica cosa che prese

da

quel

soldato,

raccolse anche il pugnale, sostituendolo al suo, sapeva cosa ne avrebbe fatto! Di

quel

soldato

non

conosceva né nome né storia ma ciò che ora gli univa aveva un nome importante antico... Italia.

ed



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