La Spada di Damocle - Marzo 2016

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SOMMARIO Editoriale……………………………………………………………………………………………………………………

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Il Madrinato di Guerra……………………………………………………………………………………………….. 4 Redazione La Sottomissione……………………………………………………………………………………………………….. di Costanza Miriano (giornalista Rai e promotrice Family Day)

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L’universo femminile nell’opera di J.R.R. Tolkien……………………………………………………….. 8 di Marinella di Nunzio (musicista e compositrice della Compagnia dell’Anello) La militanza al femminile: la consapevolezza dell’identità…………………………………………. di Casaggì Firenze

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La violenza contro le donne fra mito, realtà e (vera) prevenzione…………………………….. di Giuliano Guzzo

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Donne e “donne” d’Italia…………………………………………………………………………………………… di Marco Taufer

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Donne, non femministe……………………………………………………………………………………………… 15 di Marika Poletti Contro-recensione: “Dalla parte delle bambine”…………………..…………………………………… 17 di R. L. Guerriera e vestale: la donna soldato…..……………………………………………………………………. 18 di Elisabetta Sarzi Donne e lavoro………………………………………………………………………………………………………….. di Marco Spinelli

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Ab urbe condita: i re etruschi di Roma………………………………………………………………………. di Mirko Pellini

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17 marzo: unità nazionale o identità nazionale perduta? …………………………………………. di Alberto Sicari

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IL RACCONTO Lo Sconfitto……………………………………………………………………………………………………………….. di Luigi Tramonti IL ROMANZO Il leone, la quercia, le aquile – cap. IV (III parte)………………………………………………………… di Paolo Lorenzoni Copertina ed impaginazione di Elisabetta Sarzi

I

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STORIA E MEMORIA

le madrine di guerra

F

enomeno

singolare,

connotato da un senso

spirituale

e

romantico,

le

che fornivano la lista dei

certi di avere una donna, da

combattenti

avevano

qualche parte, che conosce i

ricevere

loro nomi, che spererà e

talvolta

pregherà per loro.

chiesto

che di

cosiddette Madrine di Guerra

corrispondenza,

furono

grandi associazioni femminili

invisibile

una

parte

ma

quasi

fondamentale

e

emancipazioniste.

delle guerre del nostro secolo. Attraverso questi rapporti Fu un’istituzione nata nella Prima

Guerra

Avevano

Mondiale.

cominciato

epistolari, viene narrata una Storia ben diversa da quella dei

le

manuali, una Storia pregna di

signorine della buona società,

emozioni, disagi, disperazioni,

confortando con lettere e

amori, coraggio e conforto,

pacchi i soldati, più spesso gli

emergono eserciti di uomini

ufficiali, che si trovavano al

provati dalla guerra ma spesso

fronte. A volte, anzi molto

rincuorati, speranzosi e dediti

spesso,

al proprio dovere fino alla fine,

i

due

non

si

Prima di una serie di lettere da parte di un soldato alla sua madrina di guerra, datata 6/5/42/ XX (ventesimo anno era fascista).

conoscevano, erano stati messi in contatto epistolare nei modi più svariati. La corrispondenza tra la ragazza e il militare serviva a non farlo sentire troppo solo e a confortarlo nei momenti peggiori. Al ritorno i due potevano anche sposarsi, più spesso restavano soltanto amici,

oppure

non

si

incontravano mai e tutto finiva in niente. Si erano fatti promotori dell’iniziativa presso le giovani italiane

alcuni

giornali

dell’epoca come “La Donna” MARZO 2016

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EDITORIALE

più scorretti del solito!

E

eccoci giunti al tanto atteso numero 8!

Racconteremo l’eredità femminista, nella

Come sempre scomodo, come sempre

politica e nella cultura di massa e racconteremo

discutibile, come sempre non in linea con i

della deriva perversa di molte teorie psico-

principi di chissà chi.

pedagogiche che mai come oggi pervadono

Si avvicina l’8 marzo, occasione per molti, in

l’istruzione e i salotti intellettuali.

tv o sui social, di distribuire gadget gratuiti di

Ma intraprenderemo anche il consueto

concetti preconfezionati, ma occasione anche

viaggio nella storia, con qualche considerazione

per chi come noi ha voglia di dire qualcosa di

su cosa ne è della nostra identità nazionale e

diverso, di ragionato, di poco ortodosso per la

della

macchina del “politically correct”. Parleremo

accompagnato da piccoli spunti musicali di area.

nostra

terra,

il

tutto

ovviamente

insomma della donna e di donne, senza troppi

Confidiamo che questo numero sia all’altezza

zuccheri aggiunti, chiamandone in causa il ruolo

delle vostre aspettative, risvegli in voi qualche

di fondamenta che è chiamata a ricoprire.

interrogativo o qualche certezza e, perché no,

Parleremo delle donne che si sono distinte in guerra, assistendo i combattenti moralmente e

faccia strabuzzare gli occhi a qualche comitato delle pari opportunità.

fisicamente o combattendo esse stesse per la propria Terra e per un’Idea, ben consapevoli di

Tra i meravigliosi contributi in questo

andare incontro a torture, soprusi, sevizie e

numero, un ringraziamento speciale va ai nostri

morti spesso più disumane di quelle riservate

ospiti Costanza Miriano (giornalista Rai e

agli uomini.

promotrice del Family Day), Marinella Di Nunzio

Parleremo di donna nella famiglia, di cosa significa per lei sostenerla e sostenere il proprio

(musicista e compositrice della Compagnia dell’Anello) e alle ragazze di Casaggì Firenze.

compagno di vita, magari lavorando, magari con dei figli.

Buona lettura!

Parleremo

della

donna

nel

grande

immaginario del celeberrimo Tolkien, di come ne ha raggiunto l’essenza ispirandosi alle grandi

La Redazione de La Spada di Damocle

culture del passato. Non tralasceremo la questione della violenza sulle

donne,

sicuramente

sicuramente

innegabile,

ma

esistente con

e

qualche

precisazione in più che magari può fare la differenza tra lo slogan e l’informazione. MARZO 2016

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POLITICAMENTE SCORRETTO

la sottomissione

A

llora chiariamo lavoro in un telegiornale incommensurabile di ospitare e subito una cosa. nazionale, ho girato documentari sentir muovere quattro bambini Ognuno deve fare la sua a New York e corso maratone nella pancia, anche se, lo parte. C’è chi predica e chi oltre Oceano. Insomma, ho fatto ammetto, nei momenti di farli razzola. Io mi candido per la parte il militare a Cuneo. uscire l’aspetto del …il frutto della scelta della predicatrice, che razzolare Credo comunque che privilegio non mi è bene è troppo faticoso. le donne si debbano sembrato il più della donna è il fatto Quando parliamo – sottovoce riappropriare della evidente. che l’uomo sarà per evitare il linciaggio – di loro vocazione pronto a morire per sottomissione dobbiamo uscire all’accoglienza della Non ho mai subito lei. dal linguaggio del mondo, che vita, quella che viene discriminazioni di legge tutto nell’ottica del dal loro essere morbide, capaci di genere. Al lavoro capita di non dominio, del potere. Il nostro Re ricucire i rapporti, di fare spazio, essere apprezzati e valorizzati, sta in croce, però così ha vinto di intessere relazioni, di tirare ma capita agli uomini e alle contro l’unico nemico invincibile, fuori da tutti il meglio. Che donne. E la riuscita professionale la morte. Anche noi quindi mettano questo loro genio è determinante per l’identità di dobbiamo uscire dalla logica del femminile in cima alle priorità. un uomo. Conosco molti, potere, capovolgerla Non c’entra niente con il trovare moltissimi uomini demoralizzati, completamente. Innanzitutto un marito ricco da (fingere di) a volte depressi per come vanno perché la sottomissione non sopportare in cambio di sicurezza le cose nel mondo del lavoro, per viene dal deprezzamento, non la economica. C’entra invece con la la prepotenza, la mancanza si sceglie perché si pensa di non lealtà, la dedizione, la dolcezza. diffusa di meritocrazia e valere. E poi professionalità. perché è il Quanto ai Per questo, lo confesso, non Ho avuto il privilegio frutto della ruoli e ai ho mai sentito il bisogno di incommensurabile di ospitare e scelta della rapporti di nessuna rivendicazione di genere. sentir muovere quattro bambini donna è il forza tra i sessi Sono molto riconoscente per le nella pancia, anche se, lo ammetto, fatto che devo a libertà che le donne delle nei momenti di farli uscire l’aspetto l’uomo sarà malincuore generazioni precedenti hanno pronto a ammettere conquistato per noi, ma proprio del privilegio non mi è sembrato il morire per una cosa. perché le ho ricevute, e ne godo più evidente. lei. Essere donna con soddisfazione, non riesco a Quando san Paolo dice alle mi ha procurato solo vantaggi: provare nessuna rabbia in merito. donne di accettare di stare sotto, ignoro se la mia auto possegga Penso invece, certo, con il cuore non pensa affatto che siano una ruota di scorta, ed stretto alle donne di gran parte inferiori. Anzi, è al cristianesimo eventualmente dove si nasconda, del nostro pianeta, provando che dobbiamo la prima vera la subdola. Non ho la minima idea molto sollievo per essere nata grande rivalutazione delle di come, attraverso quali dalla parte fortunata del mondo. donne… La sottomissione di cui misteriose vie la mia casa venga parla Paolo è un regalo, libero rifornita di energia elettrica, come ogni regalo, che sennò calore, gas. Posso sarebbe una tassa. È un regalo di guardare Sex and sé spontaneo, fatto per amore. the city e trascorrere Quella di cui parlo io quindi svariati minuti a non ha molto a che fare con la scegliere uno divisione dei compiti pratici. smalto senza Anche una donna che lavora, e perdere il mio che lo fa ad alto livello, può essere prestigio, perché sottomessa se ascolta il marito, lo la mia frivolezza è rispetta, tiene in gran conto le sue ormai opinioni e le mette prima delle socialmente proprie. Io invito le donne alla ammessa. Ho Costanza Miriano sottomissione, ma nel frattempo avuto il privilegio

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giornalista rai e promotrice del Family Day

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POLITICAMENTE SCORRETTO Perché non si creda che io abbia assunto sostanze psicotrope e sia in preda a una specie di delirio rosa confetto e uccellini cinguettanti, ammetto che delle difficoltà per le donne ci sono: essere mamma e lavorare è una fatica bestiale. Per la legge di non penetrabilità delle ore o si sarà carenti su un fronte, o lo si sarà sull’altro. Ma non è colpa della congiura maschile. E’ la natura: i figli li fanno le femmine della specie. Le quali, poi, se vorranno o dovranno anche lavorare, finiranno inevitabilmente per piegare calzini a mezzanotte; andranno alle conferenze stampa con un Fare bene Sgombriamo il campo dalle rigurgito latteo sul tutto non è twin set; banalizzazioni: sottomissione possibile, e sbaglieranno non c’entra niente con chi lava quando non l’orario i piatti e fa le faccende di casa. arrivo non mi dell’antibiotico; si Con chi fa cosa. Una donna può arrabbio con le sforzeranno con congiure di cui anche fare tutto in casa ma sarei vittima, ma grande perizia di schiacciare suo marito in altri tendo piuttosto non addormentarsi sulla scrivania modi, oppure può manovrarlo a pensare che dopo una notte subdolamente, comandarlo essere donna sia passata a comunque una fingendo di obbedirgli. raccogliere vomiti; meravigliosa si ricchissima dimenticheranno merende avventura. dell’asilo e appuntamenti Sarà per questo che non fondamentali con il nuovo capo. voglio ribellarmi agli uomini, ma, Quelle che decidono di riconoscendo la loro superiorità puntare tutto o quasi sul lavoro in tanti settori (e in altri la nostra), spesso ce la fanno ad emergere, una volta trovato quello giusto ho anche se pagando un prezzo alto capito che ascoltare ed sul piano della vita personale.

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”obbedire” alla sua lucidità, la sua razionalità, non poteva che farmi del bene. E io fare del bene a lui con il mio genio femminile, il mio talento, le mie capacità. Dopo l’uscita del libro ho ricevuto qualche bella dose di critiche. Quelle a me come persona – essendo io una mediocre razzolatrice, appunto – sono probabilmente tutte giuste, e anzi ce ne sarebbero molte altre da fare (ma certo non sarò io la delatrice, perché mi sto simpatica). Sulle critiche alle cose che dico in Sposati e sii sottomessa invece vorrei soffermarmi, in particolare dopo avere ricevuto una densissima e intelligente mail da S. (che scrive da un paese straniero, e il correttore automatico del suo computer produce ogni tanto parole esilaranti) che da sé fornirebbe materiale per una enciclopedia. Al solito, comunque, il cuore del problema è la sottomissione. A S. e a molte altre donne l’idea non convince, neanche se “indorata” con la spiegazione che stare sotto vuol dire sostenere, sorreggere, accogliere, e non obbedire passivamente lasciandosi schiacciare. Sgombriamo il campo dalle banalizzazioni: sottomissione non c’entra niente con chi lava i piatti

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POLITICAMENTE SCORRETTO e fa le faccende di casa. Con chi fa cosa. Una donna può anche fare tutto in casa ma schiacciare suo marito in altri modi, oppure può manovrarlo subdolamente, comandarlo fingendo di obbedirgli. Tutti abbiamo sicuramente conosciuto almeno una donna di quel tipo, nelle sue infinite varianti: gatta morta, finta bambina, matriarca silenziosa, generale con la veletta, passivo aggressiva, quella modello “caro non mi sento bene ma lo faccio perché sono una santa” e varie altre versioni con molti optional.

inclinazioni dell’altro, per esempio non organizzare una cena che a lui non va, oppure organizzarne un’altra che lui vuole. Cercare di indovinarne i desideri, anche perché essendo tutte noi desperate fishwives, sappiamo che un uomo, muto come un pesce per quel che riguarda se stesso, difficilmente esprimerà i suoi desideri in modo aperto e lineare. Perché la donna? Perché abbiamo nel nostro equipaggiamento base un radar più sofisticato sui bisogni degli altri. Non siamo più buone, ma La sottomissione alla quale mi abbiamo il germe della nascita. hanno invitato tante persone Siamo noi che diamo la vita, sagge che ho conosciuto, e che io quella del corpo e quell’altra. a mia volta ho proposto nelle Noi cominciamo, ma il lavoro lettere alle amiche, è il desiderio grosso si fa in due. Bisogna leale e onesto di servire lo sposo. imparare una danza fluente e Un servizio che, lo dico per leggera, anche se sono certissima l’ultima volta che Ginger Rogers e (e se qualcuno Fred Astaire per Perché abbiamo nel nostro me lo chiede arrivare a equipaggiamento base un ancora mi quell’armonia radar più sofisticato sui suicido sgobbavano e si bisogni degli altri. Non siamo ingerendo pestavano i calli e più buone, ma abbiamo il questo sudavano anche germe della nascita. Siamo pacchetto di loro, anche lei sotto noi che diamo la vita, quella nachos gli sbuffi dello del corpo e quell’altra. direttamente chiffon (qualcuno con la busta) una volta ha detto Noi cominciamo, ma il lavoro può non che Ginger Rogers grosso si fa in due. entrarci niente faceva gli stessi con chi carica la lavastoviglie. Può passi di Fred Astaire ma significare accogliere le all’indietro e con i tacchi).

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Un’amica mi ha chiesto: “Ma lo devo lasciare poltrire sul divano? Non lo faccio crescere? Lo mantengo infantile e mammone?” Non lo so. Penso – me lo hanno detto e l’ho anche sperimentato, le rare volte che sono riuscita a frenare la lingua – che qualsiasi cambiamento si ottenga lasciandosi inseguire con l’esempio e la bellezza. A parte che ci saranno almeno un miliardo di cose che lui a sua volta non sopporterà di noi, se ci si vuole bene davvero si esce dalla logica delle rivendicazioni e dalle

misurazioni di chi fa di più e come, ma si cerca di fare a gara per servire. “Ma gli devo dare ragione anche se non ce l’ha?” C’era un periodo in cui la mia amica mi faceva questa domanda una trentina di volte alla settimana. Effettivamente noi siamo abituati a pensare all’amore come qualcosa di naturale e spontaneo. Ma se ci pensiamo le cose più importanti sull’amore ce le dice il Vangelo, che quando ci invita a farci prossimo non parla di un sentimento che sgorga spontaneo, che zampilla allegro e facile. Amare in quel caso è “fare come se si amasse”. Poi i sentimenti seguiranno. Fare come se è un’ottima ricetta anche per il matrimonio, ed è in grado di ammorbidire i nodi più intricati, di scogliere vecchie incrostazioni. D’altra parte anche il matrimonio, come il vangelo, è una cosa che si capisce con le mani, con le braccia, con le ginocchia, a volte, che quella è sempre una buona base da cui cominciare.

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IDENTITÀ E LETTERATURA

l’universo femminile nell’opera di J.R.R. Tolkien

U

na delle accuse rivolte è presente e complementare a dagli illuminati critici quello maschile. all’opera di Tolkien è E ciò accade in tutta la quella di avere inventato un cosmogonia tolkieniana. Dalle universo, completamente o quasi, origini. declinato al maschile, In Eru stesso, il creatore del assegnando all’elemento mondo, l’Uno, coesistono le femminile una serie di ruoli componenti maschile e secondari e poco importanti. femminile con uguale dignità. Evidentemente costoro, o È così che Egli crea gli Ainur, sono in malafede, oppure non dalla propria mente e, dopo aver hanno letto attentamente i testi reso loro visibile la Grande scritti dal professore di Oxord. Musica che diede origine al Considerato l’alto grado di Mondo da essi intonata, alcuni sufficienza con cui titolati fra loro entrarono in Arda, la accademici accolsero agli inizi Terra. E gli Elfi, i primi nati, degli anni ’70 l’arrivo nelle chiamarono questi possenti librerie del spiriti Valar e gli Belpaese de Il Uomini, dèi. La signora feudale Signore degli Sette erano i doveva conoscere le leggi, Anelli, sarei Signori dei Valar e amministrare giustizia e propensa a sette sono anche le saper difendere se considerare la Valier, le Regine dei necessario un castello, prima ipotesi Valar. oltre a provvedere al (Eco in persona Come si vede, sostentamento della diede del in nulla le figure propria comunità. reazionario a femminili risultano Tolkien…) ma, inferiori a quelle volendo concedere la buona fede, maschili. Sempre complementari, mi limiterò a considerare come in ciò confermando la visione possibile la seconda. cristiano - cattolica dell’Autore. In breve, a leggere non solo All’elemento femminile è la Trilogia dell’Anello ma anche le assegnato sovente un ruolo opere pubblicate spirituale, preveggente, di guida successivamente e narranti fatti e consiglio (pensiamo alla figura antecedenti a quelli avvenuti per di Dama Galadriel), ma non la Guerra dell’Anello come Il esclusivamente. Silmarillion, l’elemento femminile Anche il coraggio è contemplato, basti pensare alla figura di Eowyn che sconfigge il Signore dei Nazgùl per difendere Re Théoden al quale in fondo aveva disobbedito entrando in battaglia con l’armatura dei guerrieri Rohirrim. Retaggio celtico questo che Tolkien attinge a piene mani da quella civiltà ove la condizione femminile era per molti aspetti di parità nei confronti dell’uomo. I classici latini ci narrano di sacerdotesse e veggenti dei

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Marinella Di Nunzio

popoli del nord che, all’occorrenza, erano in grado di condurre anche gli uomini in battaglia. Condizione che sopravvisse negli usi e nei costumi per tutto il ‘buio’ Medioevo. La signora feudale doveva conoscere le leggi, amministrare giustizia e saper difendere se necessario un castello, oltre a provvedere al sostentamento della propria comunità. Le figure femminili sono anche risanatrici, profondamente connesse alla terra e ai suoi ritmi naturali come bene è rappresentato dalla figura di Dama Baccador, dispensatrice di gioia nella casa di Tom Bombadil. Riescono ad essere come Galadriel portatrici di luce e donatrici della stessa, traggono dalla natura le cose più pure per perpetuare la fertilità del mondo, basti pensare al dialogo e ai doni che ella elargisce a Frodo e a Sam nei boschi di Lòrien al momento del commiato. La profonda conoscenza della mitologia classica e delle tradizioni del nord Europa, il simbolismo legato al culto di Maria, servono a Tolkien per

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IDENTITÀ E LETTERATURA costruire il personaggio di Galadriel con la sua Fonte di acqua vivificante, il suo mantello luminoso che tanto ricorda quello della Madre di Cristo, la sua funzione di indicatrice, verso la salvezza, verso la Luce. E poi la figura di Arwen con il suo amore per Aragorn, che contribuisce a ricreare l’unità perduta fra Uomini ed Elfi per la battaglia finale contro l’Oscurità. Arwen e le sue doti di pazienza e di saggezza nell’attesa del promesso sposo, oltre il limite della morte. Come si è visto, giocoforza per brevi immagini, l’universo di Tolkien non solo parla delle virtù femminili ma assegna alle protagoniste ruoli uguali, se non superiori a quelli degli uomini. E questo con esempi di fascino sentito e gentile che, senza nulla togliere alla sensualità, tende a fonderla nell’Amore più vero, quello spirituale.

Marinella Di Nunzio autrice e tastierista della Compagnia dell’Anello

Portavi al collo quel talismano d'oro avuto dal saggio un lontano mattino Quando eri ancora tra boschi di querce soltanto un guerriero bambino, soltanto un guerriero bambino Ricordi tuo padre cacciare con l'arco, il primo cervo un premio già ambito Pescare nei fiordi e poi nel torrente, salvare quell'orso ferito, salvare quell'orso ferito! La casa al ritorno era calda e pulita, tua madre una donna di bianco vestita Le sue trecce d'oro amavi baciare, per sempre sentirla cantare, per sempre sentirla cantare Finiti sono poi quegli anni più dolci in cui ogni cosa ti sembrava pura Adesso sei uomo e devi andare, la spada e l'ascia dovrai tu portare! Il grande lago hai poi attraversato, il vecchio saggio ancora incontrato E lui ti ha detto con voce velata: «Fai presto, la guerra è già cominciata!» In una pianura dal sole baciata la gente del nord è tutta schierata Biondi guerrieri con elmi d'argento, il cerchio e la croce garriscono al vento! Adesso che il sangue tu hai conosciuto, adesso che il fuoco tu hai attraversato La pace sul campo di nuovo è tornata, la luna ti bacia la gola squarciata Osservi per poco il tuo corpo stupito poi voci imperiose ti chiamano in coro È tempo di andare, ti cambi il vestito, ti copri di bianco e di foglie d'oro! La nave ti porta di là dal mare, l'isola verde ti sembra aspettare Adesso lo sai che tu per sempre il cervo e la lontra potrai qui cacciare Adesso lo sai che tu per sempre il cervo e la lontra potrai qui cacciare! Terra di Thule

Compagnia dell’Anello

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COMUNITÀ E MILITANZE

militanza al femminile: la consapevolezza dell’identità

L’

ambito della militanza femminile, soprattutto nel mondo della destra politica, è ancora soggetto a poche indagini e molti pregiudizi. Le comunità che lavorano sui territori possono vantare, spesso, un grande incentivo di energie e di qualità da parte delle tante donne che scelgono di intraprendere un percorso di formazione e di impegno nel mondo identitario.

della società; in un mondo come il nostro, omologato e pressapochista, esse sapranno distinguersi: non ameranno gli stereotipi e la vita dissoluta, non rincorreranno bisogni materiali effimeri e fini a se stessi; conosceranno fatica, sacrificio e abnegazione ma non si lamenteranno, poiché avranno imparato ad accettare la vita in ogni sua componente, fosse gioia o dolore.

Prima di un’etichetta La Donna, quella vera, sa che etimologica, la militante, è il mondo può offrirle tanto, molto perfezionamento e più di quanto differenziazione. vorrebbero farle La scelta dell’attivismo Su un punto credere la non è soltanto una occorre essere televisione e le passione, ma un’opera di chiari fin dal copertine. Sa che principio: la scelta c’è un filo di milizia che presuppone dell’attivismo non Arianna che la l’abbandono di ogni è soltanto una collega al passato, artifizio esteriore e di ogni passione, ma alla storia e alla superficialità. un’opera di milizia cultura della sua che presuppone Terra, che merita di l’abbandono di ogni artifizio essere riscoperto, coltivato e esteriore e di ogni superficialità. custodito come il più prezioso dei Chi sceglie questa strada, doni. In politica, come nella vita, inevitabilmente, ne incarna i conosce il suo ruolo e lo rispetta: valori, i concetti e le specificità. Il non si affida a vane pretese e primo nemico, in questo senso, è comprende che la quello che dimora dentro ognuna complementarietà è il sale del di noi. Colei che entra a far parte mondo, della famiglia e dei di una Comunità militante, sa che legami. In questa società dovrà impegnarsi molto più dei “liquida”, il suo compito è quello suoi fratelli per mettere da parte di mantenere integri dei punti di il suo egocentrismo, che per ancoraggio che possano inserirla natura risulta essere un attributo in un quadro sociale e culturale prettamente femminile: ecco che contempla un’origine e che perché, dunque, la scelta vuole avere un futuro. dell’impegno identitario è un Tutto è diventato volubile, processo controcorrente e variabile, momentaneo: dai trasfigurante, che richiede rapporti umani, all’identità capacità critica, umiltà e volontà stessa. Il terzo millennio offre alla di sacrificio. donna la possibilità di essere al Il percorso politico saprà centro del dibattito sociale con insegnare, alle donne che un ampio margine di incisività in vorranno iniziarlo, ad allontanarsi molti dei temi che l’agenda dai cliché, dalla dittatura politica pone al centro del dell’apparenza e dall’ipocrisia dibattito: questo non tanto in

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termini di diritti da rivendicare per se stessa, come accaduto in passato sulla scorta delle lotte femministe e sessantottine, ma in virtù del ruolo che – in quanto madre e moglie – essa può rivendicare. Ecco perché, oggi, la militante identitaria si schiera a difesa delle differenze di genere, della natura delle cose, dei diritti del bambino, della sacralità della vita, della maternità, del senso più profondo dell’unione matrimoniale e della struttura familiare: perché, in tempi di totale dispersione etica, questa è un’opera rivoluzionaria. Il ritorno all’essenzialità, alla semplicità, alla struttura organica e comunitaria del tessuto nazionale rappresentano orizzonti dei quali riappropriarsi per costruire un destino che anteponga il primato del bene comune alla logica del profitto e della sclerotizzazione dei diritti.

Le ragazze di Casaggì Firenze

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ATTUALITÀ

La violenza contro le donne fra mito, realtà e (vera) prevenzione

R

itengo vi siano due prospettive diverse, direi opposte anzi, di considerare il problema della violenza sulle donne e di coppia. Ed oggi, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, pare quanto mai doveroso ricordarli. Il primo atteggiamento – ampiamente veicolato dai mass media – è quello che sottolinea la necessità di sempre più aggiornati e severi provvedimenti contro il “femminicidio” finalizzati ad inasprire le pene per i responsabili e a rieducare il sesso maschile, che non solo sarebbe maggiormente violento e spietato, ma si sentirebbe persino legittimato ad agire violenza alla luce di un substrato culturale di matrice conservatrice e patriarcale. Un secondo modo di considerare la questione della violenza sulle donne è invece quello, anzitutto, di fare i conti con almeno tre, scomode verità che la riguardano. La prima scomoda verità è che le osannate leggi sul “femminicidio” servono a poco. Lo indica anzitutto il caso italiano col Ddl n.1079/2013 che, pur prevedendo tre nuovi tipi di aggravanti – quando il fatto è consumato ai danni del coniuge, anche divorziato o separato, o del partner pure se non convivente e

per chi commette con il più basso tasso di donne maltrattamenti, violenza vittime di omicidio al mondo. sessuale e atti persecutori su Proprio così: lo certifica l’ONU, donna incinta -, non pare abbia secondo il quale la stima è di finora prodotto risultati 0,5% ogni 100 mila cittadine, un convincenti [1], valore che non …c’è da precisare che l’Italia, e lo stesso permette di indicano i casi cantare aspramente criticata come un della Francia – vittoria – Paese preda ancora di una dove nei primi anche solo cultura patriarcale e dunque diciotto mesi una donna intrinsecamente violenta, è in della più recente uccisa è realtà uno dei paesi con il più legge contro le qualcosa di violenze imperdonabile basso tasso di donne vittime di coniugali non si – ma pari a omicidio al mondo. sono ottenuti gli quello esiti sperati [2] – e della Spagna, dell’osannata Norvegia (0,5) e dove le norme contro la violenza inferiore a quelli di Paesi di genere, varate con gran considerati molto più evoluti di entusiasmo nel 2004, negli anni noi quali Svezia e Spagna (0,6), subito successivi hanno perfino Germania (0,8), Francia (0,9), visto gli omicidi con vittime Finlandia (1,3) e Belgio (1,5) [4]. femminili aumentare: 57 nel Prima di associare ancora la 2005, sono saliti a 69 nel 2006, a visione tradizionale della 71 nel 2007 e 76 nel 2008 [3]. famiglia alla violenza omicida sulle donne sarebbe dunque Come seconda scomoda meglio, se i fatti contano verità c’è da precisare che qualcosa, essere cauti. l’Italia, aspramente criticata come un Paese preda ancora – si Anche perché, sente spesso ripetere da più analogamente agli omicidi con parti – di una cultura patriarcale vittime femminili, anche e dunque intrinsecamente considerando il versante degli violenta, è in realtà uno dei paesi abusi domestici sulle donne, la posizione del nostro Paese appare, in proporzione, confortante: in una recente indagine a cura dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali effettuata coinvolgendo, preservandone l’anonimato, quarantaduemila donne – circa

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ATTUALITÀ millecinquecento per ogni Paese – si è infatti vista che, mentre questa violenza appare percentualmente molto diffusa nell’Europa del Nord, celebrata come modello civile, col 52% di donne danesi che racconta di aver subito una violenza fisica o sessuale, il 47% di quelle della Finlandia e il 46% di quelle della Svezia, relativamente meno grave sembra essere il problema nei Paesi Bassi (45%) e in Francia e Gran Bretagna (44%), con l’Italia che, con il suo 27%, si piazza al diciottesimo posto di questa particolare classifica [5]. Una terza e scomodissima verità sulla violenza interpersonale riguarda il fatto che – anche se non è politicamente corretto dirlo – questa è agita in percentuali molto simili anche dalle donne sugli uomini: la “simmetria” tra i sessi nella violenza interpersonale è infatti un fenomeno non solo noto gli studiosi, ma ampiamente riscontrato in parecchie parti del pianeta: in Canada [6], nel Regno Unito [7], in Germania [8], in Svezia [9], in Russia [10], in Nuova Zelanda [11] e, dulcis in fundo, negli Stati Uniti considerando tutti e tre i gruppi etnici: quelli bianco, nero ed ispanico [12]. La mole di queste evidenze statistiche – fra le quali non mancano ricerche sullo stalking femminile realizzate da stimate studiose [13] – è talmente consistente e, soprattutto, in conflitto con certe tesi che una parte degli studiosi tenta spesso di negarne l’attendibilità oppure corre ai ripari sostenendo che la violenza femminile, quando c’è, sia dovuta esclusivamente all’autodifesa. Quest’ultima considerazione, ancorché possa apparire verosimile, è però priva di basi. Infatti, l’idea che la

maggior parte delle violenze fisica viene agita – anche commesse dalle donne derivi prolungatamente nel tempo – dall’autodifesa è frutto di una dalla donna sull’uomo. Solo che cattiva lettura di un documento è politicamente scorretto dell’OMS [14], che ha diffuso un parlarne. Anche per questo, in report dove però, al riguardo, si Francia, ha suscitato notevole citano tre ricerche che dicono interesse l’uscita del libro di rispettivamente: il primo studio Maxime Gaget, un ingegnere che solo in informatico …più che demonizzare l’uomo come un terzo dei che dalla violento predisponendo corsi casi la compagna, rieducativi per un solo pubblico donna prima di maschile, sarebbe opportuna agisce trovare il violenza per coraggio di un’educazione finalizzata a autodifesa denunciarla, rigettare la violenza in quanto tale. [15] il ha secondo studio che appena il 7% raccontato di aver subito di delle donne aveva agito violenza tutto, dalle più diverse per difendersi dal partner [16], aggressioni fisiche – dagli mentre il terzo studio [17] non schiaffi a salti sullo stomaco –, a presenta alcun dato nuovo e si severe punizioni – docce fredde basa sui precedenti. La sola da farsi con le finestre rilevante differenza sulla spalancate, notti sul pavimento violenza riguarda il fatto che le – fino a vere e proprie forme di donne sono più propense agli tortura quali bruciature coi schiaffi, ai morsi, al lancio di mozziconi di sigarette e ustioni oggetti, mentre gli uomini – che col ferro da stiro [20]. sono meno propensi a denunciare le violenze che Ora, alla luce di queste tre subiscono [18] – sono più inclini scomode verità – che a picchiare e a tentativi di contraddicono in modo netto strangolamento [19]. certa retorica che vuole indispensabili le leggi sul “femminicidio”, l’Italia come Paese retrogrado e le donne solo vittime e mai responsabili di violenza – sono possibili altrettante, rapide riflessioni. La prima è che, più che demonizzare l’uomo come violento predisponendo corsi rieducativi per un solo pubblico maschile, sarebbe opportuna un’educazione finalizzata a rigettare la violenza in quanto tale. Nel momento in cui si continuasse infatti a parlare della violenza unidirezionale contro la donna come se gli Se le donne subiscono uomini fossero sempre e solo maggiori lesioni degli uomini carnefici e le donne solo vittime, non è dunque dovuto al fatto si commetterebbe una enorme che gli uomini siano più cattivi scorrettezza diffondendo bensì alle diverse tipologie di un’idea – segnalano gli violenza esercitate e alla specialisti dell’argomento – differenza forza fisica tra i sessi. «inattuale e non corrispondente Anche se non mancano neppure alla realtà dei fatti» [21]. casi nei quali la stessa violenza

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ATTUALITÀ cosa sia l’amore, quesito che Una seconda riflessione richiederebbe ben altri riguarda il significato del approfondimenti. Un rapido ma rispetto. Cosa vuol dire intenso spunto al riguardo ci rispettare una persona? La giunge però da un testo condanna della violenza sulle apparentemente lontano dalle donne com’è noto tende – questioni di cui si sta parlando – sovrapponendo indebitamente l’enciclica Deus Caritas est, di violenza e forza fisica, come se la Papa Benedetto XVI -, dove, prima possa essere solo parlando di come ama Dio, viene conseguenza della seconda – ad esaltato un amore speciale «non identificare il soltanto …laddove vi sono dono rispetto come perché assenza di viene disinteressato e assenza di calcolo contatto donato del emerge infatti una capacità piena e fisico sgradito tutto nuova di guardare all’altro, anziché o molesto. quale mezzo per ottenere Ma la appagamento… violenza psicologica, gratuitamente, senza alcun per esempio, non rientra forse merito precedente, ma anche tra le forme di violenza? E se sì, perché è amore che perdona» come mai l’argomento viene (n.10). Ecco, se come uomini e spesso e volentieri trascurato? come donne fossimo Continuando ci si potrebbe maggiormente educati e chiedere allora se il rispetto sia cercassimo di educarci a nostra davvero l’assenza di violenza volta di più ad un amore fisica, sessuale o psicologica, o «donato del tutto qualcosa di più. Infatti anche chi gratuitamente, senza alcun è del tutto indifferente al merito precedente» e capace di prossimo non agisce contro aprirsi al costui alcuna tipologia di perdono molto, violenza, ma appare umiliante nei rapporti per il concetto stesso di interpersonali, “rispetto” affermare che lo stia diventerebbe rispettando: no, il rispetto è più semplice. qualcosa di più dell’indifferenza. Non solo e Più convincente pare allora non tanto per la ritenere il rispetto una forma di capacità che il amore. A questo punto – terza perdono offre ed ultima considerazione – ci si di guardare potrebbe però chiedere che

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oltre, ma soprattutto perché per un amore «donato del tutto gratuitamente» è molto più difficile che degenerare in pretesa, possesso o violenza: laddove vi sono dono disinteressato e assenza di calcolo emerge infatti una capacità piena e nuova di guardare all’altro, anziché quale mezzo per ottenere appagamento, come strumento grazie al quale conoscere la vita più in profondità scoprendo anche la bellezza – nei momenti decisivi, nei quali verrebbe forse più istintivo pensare al comando – del lasciarsi guidare. Impossibile, a questo riguardo e per concludere, non volgere il pensiero agli immortali versi che il poeta Eugenio Montale (18961981) dedicò a sua moglie: «Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio/non già perché con quattr’occhi forse si vede di più./Con te le ho scese perché sapevo che di noi due/le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,/erano le tue».

Note: [1] Cfr. Alfano: nel 2014 omicidi in calo, ma non i femminicidi. «CorrieredellaSera.it»: 8.3.2014; [2] Cfr. AA.VV. «Assemblée Nationale» – Rapport d’information sur la mise en application de la loi n° 2010-769 du 9 juillet 2010 relative aux violences faites spécifiquement aux femmes, aux violences au sein des couples et aux incidences de ces dernières sur les enfants; [3] AA.VV. «Ministerio de Sanidad», Servicios Sociales e Igualdad “Victimas mortales por violencia de género”: 27.07.2010; [4] Cfr. AA.VV. «UNODC», Homicide Statistics – Sex of homicide victims, 2012; 1-14:5.6; [5] Cfr. AA.VV. «European Union Agency for Fundamental Rights». Violence against women: an EU-wide survey. Main results Publications Office of the European Union, 2014; [6] Cfr. Sexuality and Culture, 2004; [7] Cfr. Aggressive Behavior, 1989; [8] Cfr. AA.VV. DEGS-Studie, 2013; [9] Cfr. Brott i nära relationer. En nationell kartläggning, 2014; [10] Cfr. Journal of Interpersonal Violence, 2008; [11] Cfr. Basic and Applied Social Psychology, 2007; [12] Cfr. Journal of Interpersonal Violence, 2002; [13] Cfr. Sex Roles, 2012; [14] Cfr. «World Health Organization», 2002; [15] Cfr. Violence and Victims, 1986; [16] Cfr. Sociological Spectrum, 1997; [17] Cfr. Journal of Marriage and the Family, 2000; [18] Cfr. «AMEN», Annual Report Two Thousand and Fourteen, 2014; Bureau of Justice Statistics special report, 1997; Annals of Emergency Medicine, 1997; Family interventions in domestic violence: a handbook of genderinclusive theory and treatment, 2007; [19] Cfr. Aggression and Violent Behavior, 2002; [20] Cfr. Gaget M. Ma compagne, mon bourreau, Éditions Michalon, 2015; [21] Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, 2012.

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STORIE DI DONNE E DONNE DELLA STORIA

Donne e “donne” d’Italia

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el tempo delle nazibraccio destro del governo eletto femministe, alcune da nessuno e nota per aver "donne" cercano di coinvolto nello scandalo della sollevare la loro bassa autostima Banca Etruria il padre e tutta la mettendo un muro davanti a famiglia. qualsiasi istituzione o persona Questi esempi gettano che pensa diversamente ed discredito e incidentano il espone un’opposizione nei loro dibattito, rendendo piuttosto confronti, dimostrando un difficile parlare in maniera seria di atteggiamento radicale e di un argomento assai sensibile. chiusura al dialogo Al di là delle che finisce per capacità delle Una donna sposata con l'uomo compromettere il donne, che più potente d'Italia, e che dibattito sulla quando si parità del genere, nonostante ciò ha mantenuto impegnano sulla vera necessità la sobrietà e i suoi valori. sono molto più di riconoscere il precise e tante ruolo fondamentale delle donne volte più competenti degli nella società. uomini, mi sembra che ci stiamo Nella società occidentale basando su esempi sbagliati. contemporanea e nell'Italia del Le donne di una volta, ventunesimo secolo, gli esempi grintose tanto da tenere in piedi proposti come modelli da seguire la casa, molte volte da sole sono: la signora Emma Bonino, quando i mariti andavano in attivista per i "diritti umani", per guerra o a lavorare all'estero, ironia del destino nota per anche se non avevano accesso praticare aborti clandestini con la alla cultura, ai circoli benpensanti pompa della bicicletta; la signora o allo studio, erano donne sagge Presidente della Camera Laura e coraggiose. Il coraggio di Boldrini, comunista senza aver affrontare un mondo difficile, in mai avuto un lavoro regolare, condizioni di avversità molto tranne cariche istituzionali lontano dal nostro tempo, dove il dovute alle sue condizioni sociali, benessere e le comodità sono a predicatrice della parità dei diritti portata di mano. vivendo in una villa che il 95% Le vere donne da seguire, le della gente non si potrà mai vere rivoluzionarie, non sono permettere nemmeno di quelle che abbiamo citato prima. sognare; il Ministro Boschi, Naturalmente ognuno è libero di

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assumere come modello di vita chi vuole, ma tra una donna superficiale, vuota, capace solo di predicare e una donna massiccia, vissuta e guerriera, io non sceglierei la prima. Facciamo un esempio in grande. C'era una volta in Italia un noto presidente del consiglio negli anni venti e trenta, forse l'uomo più conosciuto, amato e odiato della storia italiana: Benito Mussolini, l'uomo che aveva più potere del Re. Anche lui aveva al suo fianco una donna, e forse questa donna costituirebbe un grande esempio da seguire. Una donna sposata con l'uomo più potente d'Italia, e che nonostante ciò ha mantenuto la sobrietà e i suoi valori. Donna Rachele non è mai entrata in politica e ha sempre mantenuto il suo modus vivendi dall'inizio alla fine in uno dei momenti più contorti e tristi della storia italiana. Donna Rachele ha sopportato il dolore della violenta scomparsa del "Duce" ed è andata avanti da sola. La stessa Donna Rachele che allevava i polli nella residenza ufficiale del Presidente del Consiglio, la stessa Donna Rachele, l’unica ad essere stata in grado di riacchiappare la capra di Mahatma Gandhi, nel famoso e curioso episodio della visita di Gandhi a Villa Torlonia. La stessa Donna Rachele, che ha sopportato l'assenza del marito, la guerra e la sua fine con la sobrietà e l’estrema dignità che le sono sempre state congeniali. Donna Rachele, che ha visto sgretolarsi dall’interno il mondo a cui il “Duce” aveva consacrato la vita, è stata la testimone di uno dei periodi più bui della storia italiana, e nonostante tutto non ha perso i propri valori e ideali, rimanendo la medesima persona.

Donna Rachele

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IDEOLOGIE E MODELLI CULTURALI

donne, non femministe

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e donne votano - e si fanno votare -, lavorano - e danno lavoro -, studiano - ed insegnano - anche ai massimi livelli. Le suffragette sono lontane, almeno quanto è profondo il color seppia delle fotografie che le ritraggono, e per il resto il raggiungimento dello status quo non è di certo annoverabile come merito delle cosiddette femministe. Anzi, proprio tutt’altro.

l’idea confusa per cui le donne sono libere quando servono il datore di lavoro ma schiave quando aiutano i mariti”. In altre parole, la donna dovrebbe svincolarsi dal vincolo complementare con l’uomo, possibilmente con il proprio uomo, per rendersi attrice sul palcoscenico delle libertà effimere che dalla rivoluzione sessuale sono indicate come meta da raggiungere. Con contraccezione ed aborto la donna può restringere a suo piacimento la sfera privata, fino quasi ad annullarla, annientando anche i diritti di soggetti terzi come l’uomo, che non può più decidere del suo essere padre, e del figlio che può esser eliminato in totale discrezionalità.

e per cui necessiterebbe un trattamento diverso è la maternità, guarda caso lo specifico ambito in cui le femministe si guardano bene da intervenire. Il che, a dirla proprio tutta, non è nemmeno un male considerato che le loro battaglie in materia consistono nel totale snaturamento della gestazione, facendo diventare la mamma quel “concetto antropologico” di cui ora si parla per legittimare l’abominevole pratica dell’utero in affitto. Le varie commissioni pari opportunità, in combinato con l’associazionismo veterofemminista di cui si cibano, individuano come soluzioni lo spostamento in avanti dell’età media della madre -per permettere che ella possa prima rispondere alle logiche di mercato -, arrivando anche a promuovere la crioconservazione degli ovuli, e l’affido del bambino sin dai primissimi mesi a strutture esterne come asili nido. Ambedue pratiche dagli effetti molto negativi sia per la donna, cullata nell’illusione che vi sarà sempre tempo - e, qualora non vi fosse, può tramutarsi in mammanonna tramite l’inseminazione artificiale -, che soprattutto per il bambino il quale, fino a 9 mesi circa, dovrebbe poter avere una sola figura di riferimento primaria non essendo cerebralmente in grado di capire

Basterebbe solo pensare che è datata 1935 la legge che, per prima nel Vecchio Continente, equiparò la paga delle donne a quella maschile e la ritroviamo in quella Germania in cui, ad un occhio superficiale, non te l’aspetteresti. Il governo tedesco dell’epoca fece approvare una legge nei In qualunque modo la si primi 6 mesi dall’ascesa al potere pensi, è innegabile che queste finalizzata a ridurre la due cosiddette libertà (libertà di disoccupazione, ribadendo che le aborto e libertà di sesso) sono al donne sono servizio del compagne e non consumismo, Libertà di sesso e di aborto concorrenti degli permettendo alla sono le classiche libertà che uomini, donna di incentivandone il prestarsi ad ogni ti rendono schiava. ruolo domestico forma di e preservandole in ogni caso relazione e con chiunque voglia, dall’industria pesante. Qualora senza chiedere in cambio invece una donna volesse - o l’impegno di una responsabilità fosse per necessità obbligata - a duratura e senza lavorare, a lei doveva esser contemporaneamente dover riconosciuto un egual stipendio interrompere il proprio ciclo rispetto al collega maschio. lavorativo al servizio del datore Traguardo, questo, ottenuto di lavoro. Si sta parlando delle senza scendere in piazza a classiche libertà che ti bruciare reggiseni ed abbassarsi rendono schiava. a comportamenti di una volgarità Che senso ha, tale da degradare una donna a quindi, il femminismo creatura labile di pensiero - e di ora? Interessante integrità. quesito, soprattutto La condizione ottimale partendo dalla sarebbe il raggiungimento constatazione che dell’equilibrio tra vita privata e l’unico aspetto in cui pubblica ma i contemporanei la donna è movimenti di rivendicazione rosa tendono a volerne sovvertire le ontologicamente Uno dei famosi scatti della “signora con l’ombrello”, avventatasi contro fila. “Il femminismo” scrisse una delle Femen manifestanti in Piazza San Pietro nel 2013 differente dall’uomo (fonte Repubblica) Chesterton “è mescolato con

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IDEOLOGIE E MODELLI CULTURALI la differenza tra un momentaneo allontanamento ed una definitiva scomparsa. No, il femminismo contemporaneo è funzionale ad altro. Siamo di fronte ad una sorta di bullismo istituzionale di cui è innervata, volente o nolente, tanta parte della classe politica che fintamente dice di voler valorizzare la donna ma, di umana. fatto, risponde in pieno al piano Una subcultura che descrive di de-virilizzazione della società. gli uomini come mostri, violenti e L’humus culturale che fa da misogini, come alfieri della teoria liquido di governo di tale del possesso. Il che porterebbe approccio è quello espresso legittimamente a domandarsi se orgogliosamente dalla le femministe Siamo di fronte a Senatrice Cirinnà la abbiano deciso perciò una sorta di quale, per innalzare a di tenersi a casa degli modello il matrimonio eunuchi… bullismo gay, è arrivata a La sostituzione del istituzionale che sostenere che la patriarcato con un risponde in pieno al fedeltà nella coppia è matriarcato uno strumento contro piano di deserpeggiante non la donna che migliora la società virilizzazione della giustificava il delitto che, all'inverso, ne società. d’onore e la cultura risulta demolita alla dello stupro. Qualcosa davvero base, corrodendo alle radici la non quadra quando dai banchi crescita equilibrata delle giovani del Senato vengono lanciati generazioni. "Tutto ciò che evoca insulti a quello che dovrebbe la virilità o la mascolinità suscita essere considerato uno dei valori sarcasmo, disprezzo od ostilità. più importanti di una comunità La nozione di autorità è

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screditata nel suo principio" osserva Alain De Benoist. "La destituzione dei valori virili conduce gli uomini a dubitare di se stessi, cosa che deteriora gravemente i rapporti fra i sessi. Il crollo della funzione paterna produce una generazione di narcisisti immaturi che non hanno mai risolto il complesso di Edipo. Questa evoluzione è uno degli aspetti centrali della società postmoderna che si dispiega sotto i nostri occhi." Come dirlo meglio? «E voi, che stasera diventate donne, finalmente delle donne vere, liberate dalla libertà di sesso, dalla libertà di droga, dalla libertà di aborto, libertà create per usarvi, dentro a un letto oppure nelle piazze, come immagini di un carosello. Ed ora andate per la vostra strada, la libertà avete questa sera di essere donne.» Tre Storie

Amici del Vento

ZOOM ABORTO, DONNE CONTRO LE DONNE “Abortire? Come uccidere un gatto!” Il corpicino del bimbo? “Io uso un barattolo della marmellata: è un buon motivo per farsi una risata.” “Serve un colino grande per esaminare ciò che si è aspirato nel boccale versando in esso il contenuto e facendovi scorrere sopra dell’acqua: il sangue coagulato cola via e rimangono solo residui di membrana, di placenta e di embrione.” Sembra di essere finiti in un girone infernale; invece sono dichiarazioni pubbliche di donne pubbliche, importanti esponenti di questa sgangherata società. Nell’ordine: Adele Faccio, una delle leader del femminismo italiano, la radicale Emma Bonino e Eugenia Roccella, autrice di quello che viene giustamente chiamato il Mein Kampf dell’aborto militante e clandestino, ora esponente di punta dei cattolici di NCD. La crudeltà e la risolutezza con cui questo genere di persone affrontano il dramma dell’interruzione volontaria di gravidanza è pari solo alla noncuranza che esprimono nei confronti della salute e dell’esistenza stessa della donna. Lacerare il corpicino del figlio con pinze e lame rudimentali, estrarne i pezzi con una pompa da bicicletta per poi buttarli riciclando un barattolo della marmellata, così per “far ridere” la mancata madre. Tanto si potrebbe dire a riguardo ma preferiamo chiudere con le parole della stessa Bonino, donna che non si è mai pentita di quanto fatto ma che, all’alba della sua vecchiaia, ricorda così il passato. “Ho raccontato di aver abortito, non quello che ho provato a farlo. Solitudine, umiliazione, rabbia e un gran bisogno che tutto finisse subito. Quando mi hanno chiesto di scegliere fra le varie tecniche possibili, ho detto: fate voi, non voglio saperne niente. Ero spaventata.” Così spaventata da ridursi poi a provare ad avere un figlio con la fecondazione artificiale, senza mai riuscirci. Così sola, ora, da passare intere giornate –a suo dire- “appallottolata sul divano a piangere”. Donne contro la vita. Donne contro le donne. Per approfondire, consigliamo l’articolo “Eugenia Roccella e il Mein Kampf dell’abortismo militante” (clicca qui). Solo per stomaci forti.

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ANGOLO DEL LIBRO

contro-recensione: “Dalla parte delle bambine” Di teoria gender ne sentiamo Roma dal 1960 al 1980, è una accontentarsi degli avanzi e parlare sempre più spesso se sorta di compendio in nuce rendersi autosufficiente nelle abbiamo la fortuna di avere nella dell'ideologia gender ante incombenze quotidiane. nostra cerchia di amicizie delle litteram, con lunghi capitoli in cui Ma, sempre secondo l'autrice, vi persone che hanno affinato la l'autrice si scaglia contro la sarebbe una ragione in più che sensibilità in differenziazione dei alimenta questo tipo di …presentiamo una contromateria ed giochi tra maschi e comportamento nella madre: hanno deciso di femmine, il diverso "allattare" scrive "dà un certo recensione di un saggio che occuparsene, vestiario e le piacere erotico suscitato dalla consideriamo interessante approfondendo altrettanto difformi stimolazione dei capezzoli da sì ma le cui tesi troviamo ne i retroscena aspettative che si parte del lattante: sembra più e hanno nei confronti accettabile, più normale che per nulla condivisibili. denunciandone dei bambini dei due questa stimolazione provenga da gli abusi sulla pelle dei bambini. sessi. un maschio piuttosto che da una Sovvertendo quando solitamente Come sempre accade per le femmina, per quanto molte facciamo, consigliando una femministe che se la prendono donne neghino che questo piacere lettura propedeutica alla principalmente contro le donne, esista.” Non credo che su questo formazione di una propria idea anche la Belotti fa ricadere sulla sia necessario commentare oltre. sulla realtà che ci circonda, in madre la responsabilità delle -a La ratio del saggio è denunciare questo numero presentiamo una dir suo- frustrazioni a cui questa "educazione di genere" contro-recensione di un saggio l'universo femminile verrà differente tra maschi e femmine a che consideriamo interessante sì sottoposto. cui dovrebbe subentrare una ma le cui tesi troviamo per nulla Nello specifico, l'autrice parla liberalizzazione -o, condivisibili. dell'allattamento come pietra normalizzazione per utilizzare un "Dalla parte delle bambine", miliare da cui parte la termine caro alla scuola elaborato saggistico di Elena repressione. La madre montessorianache possa Gianini Belotti, direttrice del alimenterebbe con maggior portare un bambino ad Centro Nascita Montessori di attenzione, tempo identificarsi …più normale che questa e cura il con la figlio mamma ed stimolazione provenga da un maschio una bambina maschio piuttosto che da una mentre con il papà. femmina… alla C'è solo da femmina vengono ringraziare che questo libro sia dedicati tempi ristretti. stato pubblicato nel 1973, Ciò avverrebbe per quando di utero in affitto e abituare la bambina ad barbarie analoghe nemmeno si affrontare una vita da parlava. Altrimenti saremmo frustrata ed il maschio a davanti ad una moltitudine di godere del meglio che vi modelli diversi, un'identificazione è a disposizione ed a a geometrie variabili. considerare il corpo della donna – R.L. rappresentato, al momento, da quello della madre- a sua completa disposizione. La bambina vivrà questa fase della crescita come una vera e propria palestra di vita da cui duplicherà gli schemi comportamentali per

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DONNE IN GRIGIOVERDE

guerriera e vestale: la donna-soldato

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a figura della donna appartenenza, come fu Santa guerriera risale alle Giovanna d’Arco per il epoche più antiche, in ogni Cristianesimo e donne della cultura e religione del mondo, mitologia greca, norrena… dalla mitologia alla storia Affronterei due tipi di esempi documentata. Ed è curioso storici caratterizzanti, recanti ritrovarle anche in quelle società rispettivamente due tipi di dove è più difficile immaginare “investitura” alla guerra: le (vuoi per senso comune indotto, Onna-bugeisha (o “donnevuoi per mera realtà storica) la samurai”) in Giappone e le donne figura femminile in un contesto del SAF (o Ausiliarie, del Servizio maschile. Poco conosciute ad Ausiliario Femminile) in Italia. esempio le eroine del mondo L’Onna-bugeisha medio-orientale e musulmano, Il termine consiste nel nome dal Maghreb al Burkina Faso, alla femminile onna (donna) e il Nigeria, in cui si incontrano derivato maschile donne non solo bugeisha La donna guerriera nella guerriere, non solo (guerriera). Questa maggior parte dei casi è regine ma anche classe sociale era innanzitutto leader religiose (a costituita da una testimonianza di un’appartenente alla rappresentanza come gli scenari nobiltà: l’appartenenza delle classi cambiano nel ad un casato denota giapponesi più corso della storia). prima di tutto elevate. Molte un’investitura dall’alto. Ritengo sia mogli, vedove, figlie fondamentale e ribelli risposero Avere un titolo significa innanzitutto alla chiamata per avere un compito specificare che la partecipare alle prestabilito nei confronti donna guerriera battaglie, spesso a nella comunità umana a nella maggior fianco dei samurai. cui si appartiene, parte dei casi è Erano tutte membri anteponendo questo innanzitutto della classe dei anche alla propria vita. un’appartenente bushi (samurai) nel alla nobiltà: Giappone feudale e nonostante il concetto generico vennero allenate nell'uso delle e superficiale che ci viene armi per proteggere le loro case, proposto, usando come unico famiglie e il loro onore nei tempi immaginario gli avidi nobili della della guerra; sono state figure Rivoluzione Francese nemici del molto importanti popolo, l’appartenenza ad un nel Giappone casato denota prima di tutto antico. Icone che un’investitura dall’alto. Avere un hanno segnato la titolo significa (o meglio, storia del Giappone, significava, considerata la fine modellandolo in che hanno visto i regni nel nostro quello che la secolo) avere un compito nazione è diventata prestabilito nei confronti nella oggi. comunità umana a cui si Le donne dei appartiene, anteponendo questo samurai avevano come ruolo anche alla propria vita. principale quello di badare alla Molti sono anche esempi di casa. Questo era particolarmente investitura legati al culto di

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cruciale nell’età feudale, quando i mariti erano spesso lontani a combattere in altri Stati oppure impegnati in battaglie di clan. La moglie, o okugatasama (letteralmente: colei che rimane a casa), oltre che badare ai figli e alle faccende, si trovava spesso a dover fisicamente difendere la casa da ladri e invasori. Per questo motivo molte donne della classe dei samurai venivano addestrate all’abile uso di un’arma a forma di palo chiamata naginata, o di uno speciale coltello chiamato kaiken. Proteggere la famiglia, ma anche l’onore erano di primaria importanza. Queste donne venivano cresciute secondo i valori dell’umiltà, dell’obbedienza, dell’autocontrollo e della lealtà. Nonostante fossero considerate come appartenenti alle classi alte, le donne dei samurai erano sempre subordinate agli uomini e dovevano occuparsi anche di questioni finanziare e di eventuali suoceri anziani, oltre che dei mariti, della gestione della servitù e dell’educazione dei figli. Furono tramandate molte storie di samurai devoti e coraggiosi. Tra questi ci fu Tomoe Gozen, moglie di Minanoto Yoshinaka del clan Minamoto. Gozen assistette il marito contro gli assalti del cugino ; fu anche un notevole arciere e abile con la spada Anche se non è provato si tratti di una figura storica, Gozen impattò pesantemente sulla classe guerriera, incluse molte scuole tradizionali di naginata. Le sue azioni in battaglia ricevettero molte attenzioni dalle arti scritte e pittoriche. Con il

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DONNE IN GRIGIOVERDE passare del tempo, l'influenza della onna-bugeisha si spostò dalla pittura alla politica.

allenava ogni mattina eseguendo un migliaio di fendenti con la spada. Durante la battaglia, si trovò nel mezzo del gruppo nemico, mietendo molte vittime con la sua finché non cadde colpita al petto da una pallottola. Allora ordinò alla sorella Yuko di tagliarle la testa per riportarla a casa ed impedire che cadesse come trofeo in mano nemica, sorte che i samurai consideravano come una disgrazia.

L’Ausiliaria Hojo Masako, fu la prima Sicuramente molto meno onna-bugeisha ad occupare ruoli conosciute delle combattenti importanti nella politica: durante russe e quasi (volutamente) i primi anni del regno, si fece dimenticate di fronte alle figure suora buddista, destino tipico delle partigiane italiane, portate delle vedove dei samurai, quasi come unico esempio diventando nota come “il femminile di combattente nella Generale con gli abiti da suora. Seconda Guerra Mondiale, le Con gli sforzi congiunti di Masako donne del Servizio e alcuni politici, le Ausiliario leggi che Durante la battaglia, si Femminile governarono la trovò nel mezzo del gruppo (istituito con corte all'inizio del nemico, mietendo molte decreto legge XIII secolo vittime con la sua finché nella Repubblica garantirono alle Sociale Italiana) non cadde colpita al petto donne gli stessi sono state una diritti del ramo da una pallottola. Allora categoria rimasta maschile. Queste ordinò alla sorella Yuko di unica nel suo leggi permisero tagliarle la testa per genere. anche alle donne riportarla a casa ed Ad eccezione di amministrare la delle crocerossine impedire che cadesse come finanza, le e delle vivandiere, proprietà, seguire trofeo in mano nemica. impiegate già la casa e durante la Grande amministrare la Guerra, qui non esistevano servitù, e di poter allevare i propri precedenti con donne in mezzo ai figli secondo la tradizione e soldati. Fin dall'inizio della guerra, l'onore dei samurai, oltre a l'apporto femminile era limitato a difendere le proprie case in quelle mansioni da sempre tempo di guerra. ritenute più consone: visite ai Infine feriti negli ospedali militari, Takeko confezione d'indumenti e pacchi Nakano, una dono per i soldati e attività di bellezza di sostegno morale per i ventidue combattenti, per lo più anni che rappresentata in forma epistolare aveva dalle cosiddette "Madrine di praticato il guerra". naginataIl corpo del S.A.F. nacque jutsu, altre arti marziali e grazie al Ministro Segretario del calligrafia e che usualmente si P.F.R., Alessandro Pavolini e alla

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sua scelta di una donna di comprovata esperienza, Piera Gatteschi Fondelli (Ispettrice Nazionale dei Fasci Femminili), per realizzarlo. Non c'erano precedenti, il S.A.F. era tutto da inventare, eppure Piera Gatteschi (Comandante Generale, unica donna col grado equiparato a Generale di Brigata), riesce in breve e nelle condizioni eccezionali dovute allo stato di guerra, a dar vita ad un corpo che lo stesso Pavolini definiva “una delle istituzioni più serie ed utili fra tutte quelle che abbiamo”. Le volontarie fasciste prestavano la loro attività "militante" negli ospedali e negli uffici, nei presidi e nelle caserme, nei posti di ristoro e nella difesa antiarea come aerofoniste. Pubblicavano anche un loro periodico. "Donne in grigioverde". Seguirono le truppe al fronte e combatterono contro gli invasori anglo-americani così come contro i partigiani titini nella Venezia Giulia. Tra i loro compiti c'era anche quello casalingo di tener in ordine e rammendare le uniformi dei combattenti. Nei confronti di questo esercito femminile una costante attenzione della moralità. La divisa era realizzata con panno grezzo grigioverde per l'inverno, tela kaki per l'estate, e doveva avere la gonna a quattro centimetri sotto il ginocchio. Il gladio era il simbolo a cui le ausiliarie erano più attaccate. In testa portavano un basco grigioverde con la fiamma ricamata in rosso. Le calze erano lunghe e grigioverdi e il cappotto di tipo militare.

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DONNE IN GRIGIOVERDE Il rispetto della disciplina era fondamentale ed il Generale di Brigata Piera Gatteschi Fondelli aveva personalmente elaborato un rigido regolamento comportamentale: niente pantaloni, niente trucco e niente fumo. La Gatteschi vuole che nessuno pensi alla sue ragazze come a delle esaltate o le ritenga di facili costumi: patriottismo e moralità sono le basi su cui intende costruire la nuova realtà delle donne soldato, che però vuole femminili.

Stringeva forte in mano, teneva lì vicino Le sorti dell'Italia insieme al suo destino Aveva sedici anni, negli occhi da bambina Già c'era tanto amore per l'uomo che seguiva! Partita per il fronte, la casa da lasciare Insieme la speranza di tornare Partita per l'onore, un sogno in fondo al cuore Con l'aquila baciava il tricolore! Pensa a quei vigliacchi che ti hanno torturata Pensa a quella storia che è stata raccontata Pensa a quanto hai dato l'hai fatto anche per loro Donna fino in fondo, madre del futuro! Cantava: "Giovinezza", scacciava la paura E l'uomo che partiva la forza in lei trovava Aveva sedici anni eppure già sapeva La sua sponda del fiume e il fiume suo qual era! E adesso che la terra è rossa di colore Tu torni a sventolare il tricolore E in quel corpo sottile la forza di reagire L'Italia è troppo bella per morire! Pensa a quei vigliacchi che ti hanno torturata Pensa a quella storia che è stata raccontata Pensa a quanto hai dato lo hai fatto anche per loro Donna fino in fondo, madre del futuro!

Adriana Origone venne catturata dai partigiani il 25 aprile del 1945. Violentata più volte e torturata dopo il rilascio, dedicò la sua vita ad aiutare i camerati in carcere ed in seguito fondò un’associazione di reduci e combattenti della R.S.I. Morì nel 2008. Qui di seguito riporto l’elenco delle Ausiliarie torturate e uccise dai partigiani dopo essersi arrese (fonte: http://ausiliarie.blogspot.it/) e un articolo in prima pagina de L’Ultima Crociata, periodico mensile dell’Associazione Nazionale “Famiglie, caduti e dispersi della Repubblica Sociale Italiana.

L'Italia è troppo bella e tu sei ancor più bella, e tu sei ancor più bella! L'Italia è troppo bella e tu sei ancor più bella, e tu sei ancor più bella! L'Italia è troppo bella e tu sei ancor più bella, e tu sei ancor più bella! L'Italia è troppo bella e tu sei ancor più bella, e tu sei ancor più bella! L'Italia è troppo bella e tu sei troppo bella, e tu sei ancor più bella, e tu sei ancor più bella!

S.A.F. Hobbit

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Anno LVIII - N. 9 - Novembre 2008

Tariffa Associazioni Senza Fini di Lucro: «Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 2 - CPO Rimini - valida dal 22/12/97»

ORGANO DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE FAMIGLIE CADUTI E DISPERSI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA Abbon.: Annuo Euro 21,00 - Sostenitore Euro 26,00 Benemerito Euro 52,00 Abbon. Estero: Annuo Euro 26,00 - Benemerito Euro 52,00

Dir. - Redaz. 47900 RIMINI - Piazza Ferrari, 22 - Scala A Tel. 335.8790636 - Fax 0541.50584 C.C. Postale 31726201 - C.P. 609 - 20121 Milano Intestato ASS. NAZ. FAMIGLIE CADUTI DISPERSI RSI

Periodico mensile della solidarietà nazionale fondato nel 1950 da FRANCESCO PARRINI

Torture e massacri «antifascisti» Adriana Origone ... la giovinezza violata Adriana Origone appare in questi ritratti di eroi mancati in quanto con la sua storia drammatica riassume il sacrificio di tutte le ausiliarie della R.S.I., assassinate dal 25 aprile 1945. Nella sola città di Genova le vittime sono state più di venti. Le Ausiliarie operavano disarmate e svolgevano attività di sostegno morale ai reparti, attività di segreteria e non partecipavano mai ad azioni di guerra: svolgevano una funzione prevalentemente umanitaria. Nonostante ciò, dopo il 25 aprile si scatenò una caccia all’Ausiliaria che nella maggior parte dei casi e dopo inaudite violenze si concludeva con l’uccisione delle vittime. Adriana Origone il 9 ottobre 1943 frequentava la federazione del Partito Fascista Repubblicano; e quando venne costituita la Brigata Nera genovese vi aderì immediatamente. Ragazza giovane, aveva poco più di vent’anni, per la sua particolare avvenenza svolgeva funzioni di rappresentanza e per tale attività appariva spesso la sua fotografia sulla stampa cittadina. Nata a Genova il 24 marzo 1923, figlia unica di una famiglia modesta, la madre casalinga e il padre proprietario di un taxi. Ancora una volta viene smentita la diceria che i fascisti appartenevano a famiglie della ricca borghesia. Il 23 aprile 1945 il capitano Falloppa, comandante della Brigata Nera genovese, convoca il reparto e procede al suo scioglimento, consegna una busta con una carta d’identità in bianco e 20.000 lire e si allontana. Rientrerà a Genova nel 1953 dopo un lungo periodo trascorso in Venezuela. La sera del 25 aprile Adriana Origone è arrestata nella sua abitazione di via Chighizola da un gruppo di Gappisti e trasferita nella scuola elementare di via Bottini. Il giorno seguente è consegnata alla formazione di “garibaldini” appartenenti alla brigata Severino (provenienti da Bargagli e organizzati a gli ordini dell’avvocato Lazagna, lo stesso che, dopo il 1968, sarà inquisito e processato per appartenenza alle Brigate Rosse) e trasferita alla scuola elementare di cor-

L’Ausiliaria Adriana Origone con il marito Dott. Ottavio Artale.

so Torino. Da quel momento inizia il calvario di Adriana. È vittima di 3 “garibaldini”: a turno, uno di loro la violenta, mentre gli altri due la immobilizzano. Il tormento iniziò alla sera ed ebbe termine al mattino seguente. I garibaldini, evidentemente non soddisfatti dalla violenza carnale perpetrata, iniziano a percuotere violentemente l’infelice vittima procurandole anche una lesione permanente all’arcata sopracciliare sinistra che ancora oggi le impedisce la chiusura totale della palpebra e le causa notevoli fastidi. Dopo la tragica notte nella scuola di corso Torino, in condizioni fisiche e psichiche facilmente immaginabili, Adriana viene trasferita in un comando di via Corsica dove da parte della partigiana “Titina” (evidentemente nome di battaglia) viene rapata a zero. Per procedere al taglio dei capelli fu utilizzata una forbice a lama larga che serviva per tosare le pecore di conseguenza i capelli più che essere tagliati erano strappati. Malgrado i pianti e le di urla di dolore, la “Titina” rideva, insultando Adriana e definendola “puttana fascista”. Sembrava trarre piacere alle sofferenze della sua vittima. Il giorno seguente viene trasferita all’albergo Britannia di via Balbi, nel quale erano concentrati i fascisti arrestati.

La tessera di affiliazione al PNF dell’Ausiliaria Adriana Origone.

Credeva che le sue sofferenze fossero cessate invece doveva ancora venire la parte più atroce: il reparto dei “garibaldini” che l’aveva ricevuta in consegna non vedendo più in questa ragazza distrutta dalla sofferenza e dalle umiliazioni l’oggetto che poteva soddisfare i loro inappagati desideri sessuali decise di farne oggetto di sfogo del loro sadismo. Adriana completamente denudata viene legata sopra una panca e con una canna di bambù alla quale era stata attorcigliata una striscia di cuoio grezzo, viene percossa sui seni. Per l’atroce dolore, Adriana perde più volte i sensi ed è fatta rinvenire con getti d’acqua. Soddisfatti della loro opera, i “patrioti” smettono soltanto dopo che i capezzoli di Adriana sono letteralmente maciullati. Alcuni giorni dopo viene trasferita al Palazzo Ducale dove per circa trenta giorni viene tenuta chiusa in una gabbia. Finalmente trasferita al carcere di Marassi, viene accolta da un grande applauso da parte di tutti i fascisti detenuti i quali credevano che fosse stata uccisa. La religiosa che la accolse nel reparto disse: “è la prima volta che vedo un detenuto felice di entrare in carcere! “ Adriana rispose: “ per me l’inferno è fuori! “ Da notare che nei vari passaggi fu sempre trasferita da un reparto all’altro dai “garibaldini” sce-

si da Bargagli agli ordini dell’avvocato Lazagna. Malgrado sia stata arrestata il 25 aprile, soltanto il 22 maggio 1945 viene data la notizia alla stampa del suo arresto. Viene rilasciata dal carcere di Marassi senza alcun processo nel settembre 1945. Rientrata a casa inizia a curarsi le ferite morali e materiali subite e contemporaneamente si adopera per realizzare un’opera di assistenza ai camerati rimasti in carcere. Non ha mezzi economici, i camerati che contatta sono anch’essi in condizioni disagiate, ciò malgrado riesce sempre a racimolare qualcosa che serva ad alleviare le sofferenze dei detenuti. Finalmente entra in contatto con l’ex senatore del Regno Bibolini, il quale la invita nella sua villa a San Terenzio, la riceve con grande calore e la invita a raccontare la sua storia: il vecchio camerata si commuove e quando i suoi occhi si colmano di lacrime, la invita ad interrompere il racconto. Adriana si fa coraggio e spiega chiaramente il motivo della sua visita, ha bisogno di buon aiuto finanziario per poter assistere carcerati di Marassi e di altre carceri. Bibolini mette a disposizione una discreta somma di denaro per acquistare generi alimentari, vestiario e anche per pagare qualche avvocato. Invita Adriana a ritornare da lui quando sarà terminato il denaro ricevuto. Per qualche tempo prosegue nella sua opera di assistenza ai carcerati, ci stiamo avviando verso un periodo più tranquillo, lentamente le carceri si stanno svuotando, iniziano i primi contatti, chi per iniziare un’attività politica, altri come lei per riunire gli ex combattenti. Dalla sua attività nasce a Genova la sezione della Fe.Na.Co.Re. (Federazione Nazionale dei Combattenti della RSI). Rapidamente la sezione si sviluppa e nella sua sede si cominciano a tenere delle riunioni, in un primo tempo si opera nel settore dell’assistenza in seguito inizia la ricerca delle tombe dei fascisti fucilati e si giunge a creare un Campo nel cimitero di Staglieno, attività alla quale si dedicò totalmente la signora Noemi Serra Castagnone. Nella sua attività incontra Ottavio, un giovane medico, reduce dal campo di concentramento in quanto ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana, con il quale inizia un tranquillo rapporto di amicizia. Soltanto l’intelligenza e la sensibilità di Ottavio, che attraverso una lenta opera psicologica unita ad affetto, riesce lentamente a vincere la repulsione che Adriana nutriva nei confronti degli esseri umani e de-

UNIONE NAZ. COMBATTENTI R.S.I. ASS. NAZ. FAMIGLIE CADUTI E DISPERSI R.S.I. ASSSOCIAZIONE AUSILIARIE Iddio che accendi ogni fiamma e fermi ogni cuore, rinnova ogni giorno la passione mia per l’Italia Rendimi sempre più degno dei nostri morti, affinché loro stessi, i più forti rispondano ai vivi. PRESENTE! Il 13 agosto 2008 è deceduta a Sanremo

Adriana Origone in Artale Ausiliaria R.S.I. Annunciandolo inviamo al marito Dott. Ottavio Artale così duramente colpito dal grave lutto le condoglianze di tutti noi, ultimi di una generazione che non si arrese e non ha mai rinnegato il suo passato, orgogliosi di aver combattuto per un’Italia pulita e non succube delle ambizioni presenti. E buon per me, se la mia vita intera, mi frutterà di meritare un sasso, che porti scritto: “non mutò bandiera”. (Giuseppe Giusti 1809-1850) gli uomini in particolare. Quel bellissimo rapporto di amicizia si è trasformato gradatamente in un sentimento più profondo, finalmente nasce l’amore. Desiderano che il loro sogno venga coronato con la celebrazione delle nozze da parte di Fra Ginepro, che, scarcerato, era esiliato in un convento in Emilia con l’obbligo di non tornare in Liguria, dovendo inoltre rinunciare al suo nome per cui assunse il nome di Fra Pio. Ottenute le necessarie autorizzazioni della questura e dell’ordine dei Cappuccini, Fra Pio venne a Genova e il 11 gennaio 1951, nella chiesa del Padre Santo, Adriana e Ottavio vennero uniti in matrimonio. Dalla loro unione nascono due

EL ALAMEIN

bimbe che vengono battezzate tra Fra Ginepro, che intanto aveva ripreso il suo nome ed era stato inviato al convento di Loano. L’unico rammarico di Adriana è stato di non poter allattare le sue figlie in quanto dopo il trattamento subito non era più in grado di poterlo fare. Oggi Adriana è un’ottantenne sposa, madre e nonna felice. Parla del suo passato con serenità, senza rancori e si pone soltanto una domanda: “ Quale crimine abbiamo commesso per subire quanto abbiamo subito?”. Pietro G. Oddone Dal libro A destra della città proibita di Sergio Pezzot e Piero Vassallo.

1942 - 2008


DONNE IN GRIGIOVERDE AUSILIARIE TORTURATE E UCCISE DAI PARTIGIANI DOPO LA CATTURA Amodio Rosa: 23 anni, assassinata nel luglio del 1947, mentre in bicicletta andava da Savona a Vado. Antonucci Velia: due volte prelevata, due volte rilasciata a Vercelli, poi fucilata. Audisio Margherita: Fucilata a Nichelino il 26 aprile 1945. Baldi Irma: Assassinata a Schio il 7 luglio 1945. Batacchi Marcella e Spitz Jolanda: 17 anni, di Firenze. Assegnate al Distretto militare di Cuneo altre 7 ausiliarie, il 30 aprile 1945, con tutto il Distretto di Cuneo, pochi ufficiali, 20 soldati e 9 ausiliarie, si mettono in movimento per raggiungere il Nord, secondo gli ordini ricevuti. La colonna è però costretta ad arrendersi nel Biellese ai partigiani del comunista Moranino. Interrogate, sette ausiliarie, ascoltando il suggerimento dei propri ufficiali, dichiarano di essere prostitute che hanno lasciato la casa di tolleranza di Cuneo per seguire i soldati. Ma Marcella e Jolanda non accettano e si dichiarano con fierezza ausiliarie della RSI. I partigiani tentano allora di violentarle, ma le due ragazze resistono con le unghie e con i denti. Costrette con la forza più brutale, vengono violentate numerose volte. In fin di vita chiedono un prete. Il prete viene chiamato ma gli è impedito di avvicinare le ragazze. Prima di cadere sotto il plotone di esecuzione, sfigurate dalle botte di quelle belve indegne di chiamarsi partigiani, mormorano: “Mamma” e “Gesù”. Quando furono esumate, presentavano il volto tumefatto e sfigurato, ma il corpo bianco e intatto. Erano state sepolte nella stessa fossa, l’una sopra l’altra. Era il 3 maggio 1945. Bergonzi Irene: Assassinata a Milano il 29 aprile 1945. Biamonti Angela: Assassinata il 15 maggio 1945 a Zinola (SV) assieme ai genitori e alla domestica. Bianchi Annamaria: Assassinata a Pizzo di Cernobbio (CO) il 4 luglio 1945. Bonatti Silvana: Assassinata a Genova il 29 aprile 1945. Brazzoli Vincenza: Assassinata a Milano il 28 aprile 1945. Bressanini Orsola: Madre di una giovane fascista caduta durante la guerra civile, assassinata a Milano il 10 maggio 1945. Buzzoni Adele, Buzzoni Maria, Mutti Luigia, Nassari Dosolina, Ottarana Rosetta: Facevano parte di un gruppo di otto ausiliarie, (di cui una sconosciuta), catturate all’interno dell’ospedale di Piacenza assieme a sei soldati di sanità. I prigionieri, trasportati a Casalpusterlengo, furono messi contro il muro dell’ospedale per essere fucilati. Adele Buzzoni supplicò che salvassero la sorella Maria, unico sostegno per la madre cieca. Un partigiano afferrò per un braccio la ragazza e la spostò dal gruppo. Ma, partita la scarica,

Maria Buzzoni, vedendo cadere la sorella, lanciò un urlo terribile, in seguito al quale venne falciata dal mitra di un partigiano. Si salvarono, grazie all’intervento di un sacerdote, le ausiliarie Anita Romano (che sanguinante si levò come un fantasma dal mucchio di cadaveri) nonché le sorelle Ida e Bianca Poggioli, che le raffiche non erano riuscite ad uccidere. Carlino Antonietta: Assassinata il 7 maggio 1945 all’ospedale di Cuneo, dove assisteva la sua caposquadra Raffaella Chiodi. Castaldi Natalina: assassinata a Cuneo il 9 maggio 1945. Chandrè Rina, Giraldi Itala, Rocchetti Lucia: Aggregate al secondo RAU (Raggruppamento Allievi Ufficiali) furono catturate il 27 aprile 1945 a Cigliano, sull’autostrada Torino – Milano, dopo un combattimento durato 14 ore. Il reparto si era arreso dopo aver avuto la garanzia del rispetto delle regole sulla prigionia di guerra e dell’onore delle armi. Trasportate con i loro camerati al Santuario di Graglia, furono trucidate il 2 maggio 1945 assieme ad oltre 30 allievi ufficiali con il loro comandante, maggiore Galamini, e le mogli di due di essi. La madre di Itala ne disseppellì i corpi. Chiettini (si ignora il nome): Una delle tre ausiliarie trucidate nel massacro delle carceri di Schio il 6/7 luglio 1945. Collaini Bruna, Forlani Barbara: Assassinate a Rosacco (Pavia) il 5 maggio 1945. Conti – Magnaldi Adelina: Madre di tre bambini, assassinata a Cuneo il 4 maggio 1945. Crivelli Jolanda: Vedova ventenne di un ufficiale del Battaglione “M” costretta a denudarsi e fucilata a Cesena, sulla piazza principale, dopo essere stata legata ad un albero, ove il cadavere rimase esposto per due giorni e due notti. De Simone Antonietta: Romana, studentessa del quarto anni di Medicina, fucilata a Vittorio Veneto in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945. Degani Gina: Assassinata a Milano in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945. Ferrari Flavia: 19 anni, assassinata l’1 maggio 1945 a Milano. Fragiacomo Lidia, Giolo Laura: Fucilate a Nichelino (TO) il 30 aprile 1945 assieme ad altre cinque ausiliarie non identificate, dopo una gara di emulazione nel tentativo di salvare la loro comandante. Gastaldi Natalia: Assassinata a Cuneo il 3 maggio 1945. Genesi Jole, Rovilda Lidia: Torturate all’hotel San Carlo di Arona (Novara) e assassinate il 4 maggio 1945. In servizio presso la GNR di Novara. Catturate alla Stazione Centrale di Milano, ai primi di maggio, le due

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DONNE IN GRIGIOVERDE ausiliarie si erano rifiutate di rivelare dove si fosse nascosta la loro comandante provinciale. Greco Eva: Assassinata a Modena assieme a suo padre nel maggio del 1945. Grill Marilena: 16 anni, assassinata a Torino la notte del 2 maggio 1945. Landini Lina: Assassinata a Genova l’1 maggio 1945. Lavise Blandina: Una delle tre ausiliarie trucidate nel massacro delle carceri di Schio il 6/7 luglio 1945. Locarno Giulia: Assassinata a Porina (Vicenza) il 27 aprile 1945. Luppi – Romano Lea: Catturata a Trieste dai partigiani comunisti, consegnata ai titini, portata a a Lubiana, morta in carcere dopo lunghe sofferenze il 30 ottobre 1947. Minardi Luciana: 16 anni di Imola. Assegnata al battaglione “Colleoni” della Divisione “San Marco” attestati sul Senio, come addetta al telefono da campo e al cifrario, riceve l’ordine di indossare vestiti borghesi e di mettersi in salvo, tornando dai genitori. Fermata dagli inglesi, si disfa, non vista, del gagliardetto gettandolo nel Po. La rilasciano dopo un breve interrogatorio. Raggiunge così i genitori, sfollati a Cologna Veneta (VR). A metà maggio, arriva un gruppo di partigiani comunisti. Informati, non si sa da chi, che quella ragazzina era stata una ausiliaria della RSI, la prelevano, la portano sull’argine del torrente Guà e, dopo una serie di violenze sessuali, la massacrano. “Adesso chiama la mamma, porca fascista!” le grida un partigiano mentre la uccide con una raffica. Monteverde Licia: Assassinata a Torino il 6 maggio 1945. Morara Marta: Assassinata a Bologna il 25 maggio 1945. Morichetti Anna Paola: Assassinata a Milano il 27 aprile 1945. Olivieri Luciana: Assassinata a Cuneo il 9 maggio 1945. Ramella Maria: Assassinata a Cuneo il 5 maggio 1945. Ravioli Ernesta: 19 anni, assassinata a Torino in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945. Recalcati Giuseppina, Recalcati Mariuccia, Recalcati Rina: Madre e figlie assassinate a Milano il 27 aprile 1945. Rigo Felicita: Assassinata a Riva di Vercelli il 4 maggio 1945. Sesso Triestina: Gettata viva nella foiba di Tonezza, presso Vicenza. Silvestri Ida: Assassinata a Torino l’1 maggio 1945, poi gettata nel Po. Speranzon Armida: Massacrata, assieme a centinaia di fascisti nella Cartiera Burgo di Mignagola dai partigiani di “Falco”. I resti delle vittime furono gettati nel fiume Sile. Tam Angela Maria: Terziaria francescana, assassinata il 6 maggio 1945 a Buglio in Monte (Sondrio) dopo aver subito violenza carnale.

Tescari -Ladini Letizia: Gettata viva nella foiba di Tonezza, presso Vicenza. Ugazio Cornelia, Ugazio Mirella: Assassinate a Galliate (Novara) il 28 aprile 1945 assieme al padre. Tra le vittime del massacro compiuto dai partigiani comunisti nelle carceri di Schio (54 assassinati nella notte tra il 6 ed il 7 luglio 1945) c’erano anche 19 donne, tra cui le 3 ausiliarie (Irma Baldi, Chiettini e Blandina Lavise) richiamate nell’elenco precedente. In via Giason del Maino, a Milano, tre franche tiratrici furono catturate e uccise il 26 aprile 1945. Sui tre cadaveri fu messo un cartello con la scritta “AUSIGLIARIE”. I corpi furono poi sepolti in una fossa comune a Musocco. Impossibile sapere se si trattasse veramente di tre ausiliarie. Nell’archivio dell’obitorio di Torino, il giornalista e storico Giorgio Pisanò ha ritrovato i verbali d’autopsia di sei ausiliarie sepolte come “sconosciute”, ma indossanti la divisa del SAF. Cinque ausiliarie non identificate furono assassinate a Nichelino (TO) il 30 aprile 1945 assieme a Lidia Fragiacomo e Laura Giolo. Al cimitero di Musocco (Milano) sono sepolte 13 ausiliarie sconosciute nella fossa comune al Campo X. Un numero imprecisato di ausiliarie della “Decima Mas” in servizio presso i Comandi di Pola, Fiume e Zara, riuscite a fuggire verso Trieste prima della caduta dei rispettivi presidi, furono catturate durante la fuga dai comunisti titini e massacrate.

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RIFLESSIONI

donne e lavoro

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a parità dei della Dichiarazione Universale diritti secondo me dei Diritti Umani, e come la non è altro che il nostra Costituzione riporta coronamento nella nell'art. 36, titolo III nella parte I. sua forma più completa di In Italia ci sono ancora coesione sociale e uguaglianza situazioni di lavoratrici donne tra gli individui. che ricevono a parità di Sono particolarmente ore/lavoro una paga inferiore ai favorevole al fatto che questa colleghi uomini, con stesso idea si protragga e affermi nel inquadramento contrattuale. tempo fino al suo Il secondo punto è il voler completamento, ma bisogna valorizzare le differenze che valutare attentamente cosa maschi e femmine hanno nel loro renda pari l'uomo e la donna, essere tali e, senza scendere in cosa li possa contraddistinguere, inutili e controproducenti come gestire questa parità in stereotipi per il discorso che famiglia per evitare che i due stiamo intraprendendo, è ruoli che si sormontino a vicenda, oltremodo con risultati chiaro e limpido La condivisione dei diritti spesso lesivi che ci sono fondamentali è forse il punto per la stessa caratteristiche coppia o cardine di tutte le più grandi anatomiche e di bambini (se ve nazioni occidentali moderne, pensiero che ne sono), ed rendono cosa che spesso non possiamo infine quali uomini e donne dire di alcune teocrazie siano le non mediorientali possibilità per accomunabili. cui la parità Basti pensare innanzitutto alla venga applicata a tutti gli italiani corporatura, alla disposizione del od ospiti di questo piccolo ma grasso corporeo, al livello meraviglioso Paese che è l'Italia. ormonale e, senza andare nel Riguardo il primo concetto, banale, ad organi differenti con l'uguaglianza è sicuramente differenti funzioni. Riguardo al legata ai diritti degli individui, che pensiero, la questione è più devono essere condivisi: nessuno difficile da vedere ad occhio dovrebbe pensare che un uomo nudo, però il fatto che gli uomini abbia più diritti di una donna o spesso abbiano maggior viceversa, solo perché è del sesso “cameratismo” con altri uomini e opposto. La condivisione dei le donne con altre donne è diritti fondamentali è forse il punto cardine di tutte le più grandi nazioni occidentali moderne, cosa che spesso non possiamo dire di alcune teocrazie mediorientali; quindi, come per il diritto allo studio, i diritto al lavoro ed alla sicurezza, c'è anche il diritto a ricevere una paga dignitosa per il lavoro che si svolge, come recita l'articolo 23

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abbastanza chiaro, come ci siano attività di svago più apprezzate da uomini o da donne è nella stessa maniera lampante. Quindi non sto dicendo che ci sono lavori esclusivamente per uomini o per donne, ma ce ne possono essere, come per la maestra d'asilo è preferibile una figura femminile, o un docente delle scuole superiori che sia maschile. Non che uno non possa fare l'altro, però è così nel nostro immaginario collettivo. Concludo con l'ultima parte che a parer mio è forse il fulcro di tutto il mio scritto: in una società ideale dove uomo e donna hanno pari diritti, pari doveri e come detto vengono valorizzate le differenze, voi fareste in modo che una donna diventata madre possa accudire ed educare il proprio figlio stando a casa e quindi contare sulla paga dell'uomo (suo compagno) che, come sancito dalla costituzione, sia comunque dignitosa senza far nulla a lei e al suo bambino? Personalmente credo sia assolutamente questa la strada che bisognerebbe percorrere, anche se al momento sarebbe impensabile che una madre si assenti dal lavoro tanto tempo, soprattutto ora che con due paghe, magari di lavoratori non specializzati, non è sempre facile arrivare a fine mese. In una società più giusta e più votata al benessere dei propri cittadini, per me questo sarebbe fondamentale.

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VIAGGIO NELLA STORIA

ab Urbe condita: i re etruschi di Roma PROSEGUE DAL N. 6 DI GENNAIO

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i primi quattro re, di origine latina, fecero seguito altri tre di origine etrusca: verso la fine del VII secolo a.C., infatti, gli Etruschi, all'apogeo della loro potenza, estesero la loro influenza anche su Roma, che stava divenendo sempre più grande e la cui importanza a livello economico iniziava a farsi considerevole. Era dunque fondamentale per gli Etruschi assicurarsi il controllo su una zona che assicurava il passaggio delle rotte commerciali; comunque non si ebbe mai un reale controllo militare etrusco su Roma.

Il primo re etrusco, Tarquinio Prisco, (regnò dal 616 a.C.–579 a.C.), si fece notare per le sue qualità e la sua generosità, tanto che Anco Marzio volle conoscerlo e, una volta divenuto amico, prima lo fece entrare tra i suoi consiglieri, poi decise di adottarlo, affidandogli il compito di proteggere i suoi figli. Secondo alcuni studiosi come Giuseppe Valditara, ricoprì anche la carica di magister populi. Alla morte del re, Tarquinio riuscì a farsi eleggere re dal popolo romano come figlio di Anco Marzio salendo al potere in seguito a una congiura contro lo stesso Marzio. Combatté contro i popoli confinanti, ordinò la realizzazione di numerose opere

pubbliche, tra cui il Circo Massimo, la Cloaca Massima e il tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio e apportò, infine, anche alcuni cambiamenti in campo culturale e riformò anche lo stato, aumentando il numero dei membri dell'assemblea centuriata a 1.800 componenti (contro il parere di un certo Attio Nevio) e raddoppiando il numero di senatori, dai 100 membri romulei ai 200.

Il suo successore, Servio Tullio, (regnò dal 578 a.C.–539 a.C.), fu l'autore della più importante modifica dell'esercito dell'epoca pre-repubblicana, dividendo la popolazione in classi. Si rese conto, infatti, che per assicurare a Roma una forza militare sufficiente a mantenere le proprie conquiste era necessario un esercito più numeroso di quello che possedeva (un'unica legione di circa 3.000 uomini, detto esercito romuleo). Ampliò il pomerium ed aggiunse alla città di Roma i colli Quirinale, Viminale d Esquilino, scavando poi tutto intorno al nuovo tratto di mura un ampio fossato. Fece, quindi, costruire insieme agli alleati latini, sull'Aventino, il tempio di Diana, che corrisponde alla dea greca Artemide, il cui tempio si trovava ad Efeso,

trasferendo da Ariccia il culto latino di Diana Nemorensis. Come per i Greci, per i quali il tempio di Artemide rappresentava una federazione di città, con il tempio di Diana, costruito intorno al 540 a.C., i Romani miravano a porsi come centro politico e religioso delle popolazioni del Lazio e forse anche dell'Etruria meridionale. E sempre a Servio si ascrive anche la decisione di costruire il tempio di Mater Matuta ed il tempio della Dea Fortuna, entrambi al Foro Boario.

Ultimo monarca a governare Roma fu Tarquinio il Superbo, (regnò dal 535 a.C. – 509 a.C.). Figlio di Tarquinio Prisco, e fratello di Arunte Tarquinio, sposò prima Tullia Maggiore, la figlia maggiore di Servio Tullio, poi sposò la sorella di questa, Tullia Minore, da cui ebbe i tre figli Tito, Arrunte e Sesto, e con il cui aiuto organizzò la congiura per uccidere il suocero ed ascendere sul trono di Roma. Tito Livio ci racconta che Tarquinio un giorno si presentò in Senato e si sedette sul trono del suocero rivendicandolo per sé; Tullio, avvertito del fatto, si precipitò nella Curia. Ne nacque un'accesa discussione tra i due, che presto degenerò in scontri tra le opposte fazioni; alla fine il più giovane Tarquinio, dopo

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VIAGGIO NELLA STORIA averlo spintonato fuori dalla Curia, scagliò il re giù dalle scale. Servio, ferito ma non ancora morto, fu finito dalla figlia Tullia Minore che ne fece scempio travolgendolo con il cocchio che guidava. A Tarquinio fu attribuito il soprannome di Superbo dopo che negò la sepoltura di Servio Tullio. Tarquinio assunse il comando con la forza, senza che la sua elezione fosse approvata dal Popolo e dal Senato romano, e sempre con la forza (si parla anche di una guardia armata personale) mantenne il controllo della città durante il suo regno. In breve tempo annientò la struttura fortemente democratica della società romana realizzata dal suo predecessore e creò un regime autoritario e violento a tal punto da unire per la prima volta, nell'odio verso la sua figura, patrizi e plebei. Espulso dall'Urbe nel 510 a.C., secondo la leggenda con l'accusa di aver violentato la giovane Lucrezia. Costretto a fuggire con la moglie ed i figli a Cere, dopo ventiquattro anni di regno, il vecchio sovrano non si diede per vinto, e tentò di restaurare il proprio regno con l'aiuto di Porsenna, re di Clusium, a cui si alleò, e delle città latine avversarie di Roma. Nonostante i successi ottenuti dal lucumone etrusco, Tarquinio non riuscì a rientrare nell'Urbe. Tarquinio allora, con i propri familiari, pose la propria base a Tuscolo, governata da suo genero Mamilio Ottavio. Questo cavalcò il malcontento delle città Latine, adoperandosi in funzione anti-romana. Intanto Tarquinio riuscì ad ottenere il sostegno degli Etruschi di Tarquinia e Veio, ponendosi al comando di un esercito, che si scontrò contro quello romano, condotto dai consoli Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio Publicola, nella sanguinosa battaglia della

Selva Arsia, in territorio romano. La battaglia, a lungo incerta, vide la vittoria dei romani. Lo scontro inizialmente temuto si concretizzo nel 499 a.C., quanto gli eserciti romani e latini si scontrarono nella battaglia del Lago Regillo. L'esercito romano fu affidato Aulo Postumio Albo Regillense, nominato dittatore per fronteggiare la crisi, ed a Tito Ebuzio Helva, suo magister equitum, mentre quello latino era guidato da Mamilio e dallo stesso Tarquinio. Tarquinio morì nel 495 a.C., mentre si trovava in esilio a Cuma in Campania. La notizia della morte dell'ultimo re di Roma fu accolta con manifestazioni di entusiasmo che coinvolsero tutta la città. Il patriziato romano, comunque, non era più disposto a sottostare al potere centralizzato del re, ma desiderava acquisire un'influenza, in campo politico, pari a quella che già rivestiva negli altri ambiti della vita civile.

Siamo arrivati al 495 a.C., non perdetevi le prossime uscite de “La Spada di Damocle” per proseguire il nostro viaggio nella storia.

Mirko Pellini

fonti: Erodoto, “Storie” Strabone, “Storia Romana”, Tito Livio, “Istorie”, Cassio Dione, “Storia Romana”

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ATTUALITÀ

17 marzo: unità nazionale o identità nazionale perduta? Il 17 marzo 1861 in seguito alle non l'ha inserito), che la lingua guerre risorgimentali veniva ufficiale d'Italia è l'italiano. proclamato il regno d'Italia. Oggi, Il problema è che a differenza grazie alla legge 222 del 23 dell'inno e della bandiera, la novembre del 2012, ogni anno nostra lingua non è inserita nella nella stessa data si ricorda la nostra Costituzione! Infatti giornata dell'Unità all'articolo 6 Prima di tutto siamo Italiani Nazionale, della essa tutela le con una nostra Costituzione, costituzione dell'inno minoranze e della bandiera. Ma linguistiche (“la un nostro inno, una nostra quanti oggi Repubblica bandiera, una nostra lingua, conoscono il valore o tutela con una nostra storia e una addirittura apposite norme nostra cultura. l'esistenza di questa le minoranze giornata celebrativa? Quanti linguistiche”) ma non l'italiano; a sanno che la Costituzione è la dire il vero però ci sono state legge fondamentale del nostro alcune proposte di legge (mai Stato ed è stata scritta e approvata approvate) per modificare la da un'Assemblea Costituente il 22 Costituzione e inserire la nostra dicembre del 1947 ed entrò in lingua. Forse non sono state prese vigore il 1 gennaio del 1948? in considerazione perché proposte Quanti sanno che l'Inno dello Stato da quella parte politica più legata Italiano è Il canto degli Italiani, all'idea di Patria, alle tradizioni e meglio, conosciuto come Fratelli alla cultura del nostro paese? d'Italia, scritto da Goffredo Oggi purtroppo il governo si Mameli nel 1847 e reso ufficiale “riempie la bocca” di termini come con una modifica all'articolo 12 job act o stepchild adoption della Costituzione nel 2005? giustificandoli con il fatto che Quanti sanno che la Bandiera siamo in Europa e quindi Italiana è il Tricolore a strisce dobbiamo fare bella figura con i 43 verticali verde-bianco-rosso, come paesi dell'unione. È vero, grazie a stabilito nell'articolo 12 della qualcuno che ha scelto per noi, Costituzione e la festa celebrativa siamo europei, ma prima di tutto è il 7 gennaio? siamo Italiani con una nostra Molti non sanno, probabilmente Costituzione, un nostro inno, una neanche il Presidente Napolitano nostra bandiera, una nostra che firmò la legge 222 (visto che lingua, una nostra storia e una

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nostra cultura. Se non ci ricordiamo di questi principi fondamentali, rischiamo di trasformare la giornata dell'Unità Nazionale nella “giornata dell'identità nazionale perduta.” Negli anni sta svanendo pian piano quel senso di appartenenza, questo grazie anche alla mancanza dei confini soprattutto dal punto di vista culturale e intellettuale con un conseguente contagio incontrollato e incontrollabile di culture e tradizioni che non sono parte di noi e che non si sono adattate e amalgamate ma, al contrario, in diversi casi si sono imposte prepotentemente nella nostra nazione, non facendoci più riconoscere nei valori che ci appartengono. “E' solo conoscendo la storia e le tradizione della nostra nazione e delle altre nazioni che possiamo riconoscere e amare la nostra Patria.”

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Il racconto

Lo Sconfitto

ad Aurora

LUIGI TRAMONTI


Lo Sconfitto

“Hamburg, 4 maggio 1945, Caro Hans, mio padre ha alfine scoperto ciò che avete ed abbiamo cercato di tenergli nascosto, la Germania ha perso, il Reich è caduto e Hitler è morto. Ogni giorno centinaia di demoni bolscevichi entrano nel Reich dal Fronte Orientale, mentre gli Angloamericani ci attaccano da ogni direzione. L'unica opportunità rimastavi è il banditismo, la guerra partigiana contro l'occupante straniero. Ma è un'opportunità riservata solo a voi: mio padre ha issato la bandiera rossa per salvare il nostro podere e ora siamo occupati da sette soldati Rossi. Ancora oltre: mi ha vietato di sposarvi al vostro ritorno, in quanto membro delle famigerate SS, e ha deciso che sposerò il signor Gotenbaum, che partecipò alla guerriglia rossa e quindi sarà una garanzia di fronte al governo provvisorio che a suo dire i Rossi non tarderanno a creare. Correte a casa, Hans, liberatemi da questi demoni e portatemi lontano. Io vi amo, andremo lontano, in Argentina, dove i diavoli non potranno seguirci.

Per sempre vostra, Brigitte”

Piegò accuratamente la lettera e la ripose nel taschino della divisa: la guerra non era finita, lui non aveva firmato nessuna resa; l'avrebbe fatta pagare agli assassini dei suoi camerati e sarebbe tornato ad Amburgo. Avrebbe sposato Brigitte come le aveva promesso e avrebbe schiacciato la serpe codarda che aveva tentato di prendere il suo posto sotto i suoi stivali. Ma era solo. Il suo reparto era stato sciolto due giorni prima, “Siamo stati sconfitti, annientati su tutti i fronti, pertanto sciolgo il reparto in quanto il Reich non esiste più, voialtri potete darvi al banditismo o raggiungere le zone sotto il controllo del reparto Charlemagne; quelli che tra voi non sono così folli da difendere una bandiera senza più significato mi seguiranno al più vicino presidio russo, ci

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Lo Sconfitto

consegneremo e non ci sarà tolto un capello.” E così il comandante Baum e le sessanta reclute che lo seguivano vennero falcidiate dal fuoco di una mitragliatrice russa anonima, e rimasero là, anonimi allo stesso modo, sul selciato di Berlino. Erano rimasti in trenta, incerti sul da farsi, se unirsi alla Charlemagne e quindi farsi strada tra i reparti russi per giorni, senza possibilità di arrivare mai dai camerati, oppure raggiungere il Reichstag e partecipare alla difesa dell'ultimo baluardo della loro Fede contro l'Orco rosso, consapevoli del fatto che se anche fossero riusciti a respingere l'invasione gli Angloamericani li avrebbero finiti in pochi giorni. Si erano divisi, e Hans aveva seguito il gruppo di cinque persone diretto al cuore di Berlino; non aveva mai avuto un carattere forte, e ciò lo aveva portato ad obbedire ciecamente al più autorevole del gruppo, un certo Maxime, un veterano del Fronte Orientale, che inghiottiva da cinque anni migliaia di giovani. Poche ore dopo si erano scontrati con una pattuglia di irregolari russi e Hans era rimasto da solo con un ferito da accudire, ma nel giro di poche ore era spirato, lasciandolo completamente solo in una città ostile, e l'unico pensiero era stato rileggere le due missive speditegli dalla sua promessa sposa Brigitte rispettivamente dieci e cinque giorni prima e consegnategli dal comandante Baum solo prima di consegnarsi ai russi.

“Hamburg, 9 maggio 1945, Caro Hans, Giungono da Berlino notizie sempre peggiori: la città è caduta, forse da dove vi trovate non siete riuscito a rendervene conto, ma tutto è ormai perduto! Non si hanno notizie di Himmler e il vostro reparto è allo sbando, se non completamente epurato. I ragazzi della Charlemagne sono tutti caduti... Certo, con onore, ma le loro armi non tuoneranno più in difesa della nostra civiltà. Prego ogni giorno Nostro Signore che questa Apocalisse in un modo o nell'altro abbia fine e che voi torniate a casa ad Amburgo, a riposarvi tra le mie braccia e a dimenticare tutti gli orrori che solo ora cominciano a trapelare e di cui sarete senza dubbio stato testimone. Ma quassù temo che dovrete affrontare un'ultima battaglia per riprendervi ciò che è vostro. Ma vi prometto che ci sposeremo e allora gli orrori di questo Ragnarok ci appariranno solo un lontano ricordo.

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Lo Sconfitto

Per sempre vostra, Brigitte”

Ripercorse più e più volte con gli occhi le parole vergate con una grafia elegante su un foglio ormai lacero e insozzato di sangue e sudore, poi ripiegò con cura la lettera e la ripose accanto all'altra, pensoso e malinconico; sarebbe tornato immediatamente ad Amburgo, avrebbe ammazzato senza pietà Gotenbaum e i soldati russi per portare Brigitte via da quel posto, o per stabilirvisi con lei, per sempre. Ma in cuor suo sapeva che non avrebbe mai lasciato Berlino. “Vae victis”, “guai ai vinti” aveva detto Brenno sotto le mura di Roma millenni prima, era uno sconfitto, e non gli sarebbe stata riservata nessuna pietà. Questa mesta e triste consapevolezza aveva cambiato qualcosa in lui: dal momento che non aveva possibilità di sopravvivere e tornare a casa, avrebbe almeno avuto una morte fiorita, e seppure nessuno avrebbe ricordato mai il suo nome avrebbe lasciato questo Mondo tranquillo, consapevole e fiero delle proprie azioni. Non gli restavano altro che una matita e un fucile scarico, estrasse l'ultima lettera dal taschino, la rigirò e prese a scrivere sul retro.

“Berlino, 14 maggio 1945, Amata Brigitte, Con rammarico vi raccomando la mia anima, temo di essere giunto alla fine dei miei giorni. Sono fiero di voi, siete stata sempre presente e vi ho sempre sentita al mio fianco mentre fischiavano le pallottole e i camerati cadevano. Siete la migliore sposa che un uomo possa desiderare. Siate per Gotenbaum ciò che sareste stata per me, ma non dimenticatemi mai. Per sempre vostro, Hans” ~ III ~


Lo Sconfitto

Era consapevole di aver scritto queste poche righe solo per sé, per ricordare quanto la amasse, prima di compiere l'ultimo atto della sua vita. Poco più avanti era ferma una pattuglia russa, uomini che un giorno avevano avuto negli occhi la stessa luce che vi aveva avuto lui quando aveva visto Brigitte la prima volta e che un giorno avrebbero provato la gioia di rivedere le loro case, riabbracciare le loro famiglie, sposare le loro promesse spose... Rimise la lettera nel taschino da cui l'aveva tratta, imbracciò il fucile come fosse ancora in grado di ferire e uccidere, e cominciò a marciare verso i pochi ragazzi con la stella rossa sul colbacco; tremava, aveva paura, la morte non era come la dipingevano Stalin, Churchill o Goebbels, non ora che era lì di fronte a lui. Comiciò a cantare per farsi coraggio. “SS marschiert in Feidensland und sing ein Teufelslied”, i ragazzi si allertarono e recuperarono da terra le loro armi, gridando qualcosa in russo al suo indirizzo, non volevano ucciderlo, sarebbe stato fortunato. “Ein Schütze steht am Wolgastrand und leise summt er mit”, il grido venne ripetuto prima più forte e poi cambiò, risultando più feroce e aggressivo, ora sette fucili erano puntati su di lui. “Wir pfeifen auf Unten und Oben und uns kann die ganze Welt”, il più alto in grado tra i russi alzò il pugno e distese il braccio, e i soldati spararono. “Verfluchen oder auch loben grad wie es ihnen gefällt”, le pallottole presero a sibilargli attorno, una gli si conficcò in una gamba, un'altra in un polmone, la terza all'altezza del cuore. “Wo wir sind da geht's immer vorwärts!”, le sue labbra si muovevano appena e pian piano la vista gli si annebbiava. “Und der Teufel der lacht nur dazu, ha, ha, ha, ha, ha, ha!”. I soldati russi scomparvero e si ritrovò nei Campi Elisi, tra le braccia di Brigitte.

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Il romanzo

Il leone, la quercia, le aquile

CAPITOLO IV terza parte

PAOLO LORENZONI


Il leone, la quercia, le aquile

CAPITOLO IV Terza parte ’ inconfondibile rimbombo di stivali militari sul selciato antistante il palazzo fece ripiombare Leone nella realtà di una guerra non ancora conclusa. Ricordò, inoltre, che era quasi giunto all'obbiettivo che si era prefissato fra i ruderi e la disperazione di Marco. Salutò Bonora con un sincero abbraccio e gli raccomandò di restare chiuso in casa, almeno fino alla mattina seguente. Uscito dal portone si trovò di fronte ad una squadra d'arditi con le armi spianate e gli sguardi truci. D'istinto alzò le mani ma la sua uniforme risultò inconfondibile al chiarore della luna che filtrava dalle nubi ormai diradate. - Tenente, che ci fa qui?!? L'apostrofò il sergente comandante il drappello. - Ciò che fa lei Sergente, la guerra no! E voi altri, giù quei fucili se non volete festeggiare la vittoria in una prigione militare! Ma piuttosto, quali sono i vostri ordini? La truppa si ricompose subito, abbassando le armi e disponendosi automaticamente in riga quasi sugli attenti. Dopotutto Leone era ufficiale da quasi cinque anni e sapeva come trattare i subordinati con frasi brevi e voce autoritaria, non esistono differenze fra eserciti su questo. Il fatto che gli arditi avessero tutte le ragioni di diffidare di un uomo in uniforme

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Il leone, la quercia, le aquile

italiana appena uscito da un palazzo comunale austro-ungarico passò d'un lampo in secondo piano. Fu il sergente a rispondere. - Occupare i punti chiave della città ed attendere rinforzi, signore. Questa era la risposta che aspettava, quei soldati potevano aiutarlo nel suo intento. - Volete un punto chiave? Alzate gli occhi! Di fronte al palazzo l'intero lato est di Piazza del Podestà non è composta di case bensì dalla base rocciosa della collina sulla quale si innestano senza soluzione di continuità le mura merlate del veneto castello di Rovereto. Quando lo sguardo d'intesa dei soldati si posò di nuovo su di lui capì di averli convinti, era il momento di partire. - Venite con me! Senza attendere una risposta Leone si diresse verso la via detta della Terra, che prendeva il nome dall'antico agglomerato di case che, già in epoca basso medievale fu compreso all'interno delle mura cittadine. Quando pochi istanti dopo sentì dietro di sé il pesante passo cadenzato degli arditi imboccò con ancora più slancio l'irto acciottolato che portava al castello. Vedere i cancelli più esterni del complesso difensivo già divelti fu una lieta sorpresa e, dopo alcune centinaia di metri il motivo fu svelato. La squadra di arditi che poco prima dell'incontro col Bonora aveva imboccato la medesima strada ora era assiepata

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Il leone, la quercia, le aquile

sotto l' entrata principale del maniero. Avvicinandosi notò subito che avevano strappato dall'architrave il pesante blasone di marmo, raffigurante l'aquila asburgica, da centinaia d'anni sentinella del monumentale accesso. L'antica effige giaceva ora a terra, in una pozzanghera alimentata da un canale di scolo, e uno dei soldati premeva il proprio scarpone chiodato sulla corona della casa d'Asburgo. Fu proprio lui a scorgere per primo i nuovi arrivati e solo in quel momento Leone si accorse che brandiva con ambo le mani una robusta vanga/piccone da guastatore -Eilà camerati, giusto in tempo per l'esecuzione! L'eco delle sue parole non ebbe il tempo di perdersi fra le pareti di pietra, fu coperto dal rimbombo secco dell'acciaio che cozzava contro il marmo scolpito. Una testa dell'aquila bicefala si staccò di netto, asportata dal poderoso colpo; volò per un brave tratto per poi ruzzolare fin proprio allo stivale di Leone. Il brutale gesto vandalico provocò un grido di giubilo nella soldataglia eccitata che, fortunatamente, coprì il mugolio di sconcerto di Leone. La guerra fa emergere gli istinti più barbari dell'uomo; uno di questi, la violenza, è anzi esaltato e favorito dall'addestramento militare. Tutto ciò è giustificabile quando è in gioco la sopravvivenza dell'individuo ma non trova ragione quand'è inutile, gratuito e insensato. D'istinto Leone avrebbe volto fermare lo scempio di un manufatto così antico e regale ad opera di persone senza la sensibilità e la cultura necessarie nemmeno per rendersi conto del danno che stavano arrecando. Ma c'era dell'altro.

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Il leone, la quercia, le aquile

Quello che stavano distruggendo era stato per tutta la vita di Leone un simbolo importante, degno di rispetto ed oggetto di giuramenti. Lo aveva sempre ammirato sui palazzi pubblici ed in tutte le cerimonie di piazza. Aveva accompagnato la sua formazione dalla scuola dell'obbligo agli studi superiori e fino all'esperienza militare durante la quale era praticamente ovunque: sui copricapo, sulle bandiere, sulle lame delle sciabole e persino punzonato sulle canne dei fucili. Vedere quella scena lo aveva colto di sorpresa ma si rese subito conto che, in fin dei conti, la Grande Guerra aveva innescato dei cambiamenti epocali e che quel simbolo non sarebbe stato il solo ad essere abbattuto. Nella loro rabbia quei soldati rappresentavano il nuovo secolo, un tempo nel quale il vetusto Impero Austro-Ungarico, formato da decine di popoli uniti solo dalla fedeltà al loro Imperatore che li governava per diritto divino, non aveva più ragione di esistere. I pochi secondi necessari alla mente per partorire questo pensiero furono sufficienti affinché l'altra testa d'aquila facesse compagnia alla prima sul selciato della salita al castello - Va bene uomini! Il tempo di menar picconi è finito! Qualcuno mi può spiegare perché siamo sull'uscio di un castello e non a banchettare nelle sue sale? non avrebbero trovato tavole imbandite ad attenderli ma pensò che sarebbe stato un ulteriore stimolo per giovani nutriti a riso annacquato e gallette. - Sapete che cinquecento anni fa sareste tutti morti? Siete

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Il leone, la quercia, le aquile

assiepati nel posto più esposto! Dicendo ciò indicò con un dito le caditoie sopra l'arcata del cancello principale. Le urla di giubilo si trasformarono all'istante in un sommesso brusio, gli sguardi si levarono in alto e subito gli odierni assedianti si scostarono d'istinto goffamente a destra e a sinistra, come il Mar Rosso al comando di Mosè, aprendo un passaggio fra Leone e il cancello. Una voce si levò. -Tenente, il cancello è chiuso, abbiamo provato anche a sparargli ma niente da fare! E un'altra aggiunse. -Poi questa deve essere stata una caserma... magari i crucchi sono ancora dentro. Leone riteneva che quest'ultima ipotesi fosse poco probabile, Bonora gli aveva svelato poco prima che le truppe austriache si erano ritirate molte ore fa, per il primo problema, invece, aveva un'idea. -Entrare è l'unico modo per scoprirlo. Qualcuno di voi ha una bomba a mano S.I.P.E.? E tu, soldato, dammi la tua fascia mollettiera. Quando ebbe fra le mani i due oggetti legò con la lunga striscia di stoffa grigioverde la bomba a mano alla pesante serratura. Capite

~X~


Il leone, la quercia, le aquile

le intenzioni dell'ufficiale i soldati si ripararono in un'ampia nicchia fuori portata mentre l'ordigno veniva innescato sfregando l'accenditore. Qualche secondo dopo che anche Leone aveva trovato posto fra i compagni un boato riecheggiò fra le antiche mura. Il cancello si spalancò di schianto contorcendosi in maniera innaturale sui cardini saldamente ancorati. Leone estrasse la pistola lanciandosi nella breccia ancora satura di denso fumo grigiastro. -Con me! Gli arditi si riversarono nell'androna come un torrente in piena accelerato da scoscesi argini. Giunti nel cortile interno si trovarono davanti a svariati cartelli vergati nello spigoloso alfabeto gotico ma Leone non li lesse neppure, aveva bene in mente il suo obiettivo. -Prima squadra perlustrate il piano terra, gli altri mi seguano! Salirono gli stretti gradini di marmo consumato fino ad una piccola loggia affacciata sul fiume Leno ai piedi di uno dei possenti torrioni circolari. Una porta aperta faceva intravvedere un centralino telefonico con decine di connettori collegati come radi capelli sul capo canuto di un anziano. -Qualcuno faccia funzionare quell'apparecchio, cercate di comunicare la caduta della città mentre noi continuiamo a salire. Usciti sulla sommità del castello imboccarono il camminamento

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Il leone, la quercia, le aquile

fra i due torrioni difensivi. Fu proprio li che, scrutando dalle intersezioni fra le guelfe merlature squadrate, fecero una scoperta da mozzare il fiato. Quello che ad un primo sguardo poteva sembrare un mastodontico drago addormentato nell'ampio fossato del castello era in realtà un gigantesco obice d'assedio da 30,5 cm austriaco; uno dei più micidiali strumenti di morte che avevano calcato i campi di battaglia della Grande Guerra. Leone lo conosceva bene perché lo aveva visto in azione sul fronte orientale, era il frutto della folle corsa agli armamenti dei decenni precedenti al conflitto. Una gara fra artiglierie e fortificazioni che, alla prova dei fatti, si risolse in un inconcludente stallo. Il mostro d'acciaio di trentatré tonnellate stava lì, immobile, con il tozzo muso leggermente rivolto alla luna e il massiccio affusto saldamente piantato nel soffice terreno della fossa che sembrava presidiare. In un angolo erano accatastati gli enormi proiettili da 440 chilogrammi capaci di smantellare qualsiasi forte nel raggio di diciassette chilometri. I sui serventi avrebbero dovuto distruggerlo prima di ritirarsi ma l'occhio competente dell'ex ufficiale d'artiglieria austro-ungarico non scorgeva gli evidenti segni che la disattivazione avrebbe lasciato sul pezzo. L'ambita preda era lì, alla mercé dell'esercito vincitore. -Sergente, sa cos'è quello? Il sottufficiale era ancora basito ma le sue labbra articolarono ugualmente la risposta che avrebbe potuto dare qualsiasi bambino, fra l'altro con il medesimo candido tono di stupore.

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Il leone, la quercia, le aquile

- E' il cannone più grosso che abbia mai visto. - Si sergente, e quello che lei sta per fare lo ritroverà scritto nella motivazione della sua medaglia. Vada a catturarlo in nome del Regio Esercito Italiano! Gli angoli della bocca dell'uomo si sollevarono in un sorriso che ne illuminò il volto ma, prima di correre a perdifiato verso il fossato a ghermire il drago, forse per sdebitarsi, estrasse dal tascone della divisa una tozza pistola lanciarazzi che consegnò nelle mani di Leone. - Questo è il segnale di avanzata per il grosso delle truppe, significa che la città è nostra, è un onore che spetta a lei... Leone rimase così solo, con i sui fantasmi e la sua città, era il momento di portare a termine il suo piano. A pochi metri, sul torrione scoperchiato del castello, sventolava sull'alto pennone il vessillo imperiale Austro-Ungarico. Si avvicinò e con una calma che non avrebbe mai pensato di poter tenere in un momento così intriso di significati, la ammainò ripiegandola nella maniera militare con la stessa cura che aveva avuto mille volte. Sbottonandosi la giubba estrasse la bandiera donatagli in punto di morte dall'ardito a cui doveva la vita, caduto al posto suo fra i ruderi di Marco. La brezza gelida della notte si diffuse nel suo petto mentre osservava tutta la Vallagarina rischiarata dai corpi celesti e da vacui fuochi lontani dei combattimenti da poco cessati. Legò il tricolore alla corda del pennone e mentre, lentamente, poneva il drappo fra la cornice di migliaia di stelle,

~ XIII ~


Il leone, la quercia, le aquile

scoprì la sua mente finalmente lucida, libera, felice. Ricordando l'ultimo suo dovere impugnò la pistola lanciarazzi; punzonato sulla cassa d'ottone risaltava il nome della nuova casa regnante su quelle terre, SAVOIA. Puntando verso il cielo e premendo il grilletto pensò che era l'unico colpo sparato con l'uniforme italiana, il più importante della sua vita. Il razzo partì con una fiammata rossa, proseguendo in una scia d'un bianco accecante ed esplodendo in un globo verde acceso. Fu l'ultimo tricolore per quel giorno ma era sicuro che molti altri lo avrebbero atteso l'indomani, nei giorni e negli anni avvenire. La spossatezza a quel punto ebbe il sopravvento e colpì con tale forza le sue membra che Leone cadde in ginocchio. Non riusciva a ricordare l'ultimo pasto o l'ultimo sonno, solo la forza dell'anima lo aveva trascinato fin lassù. Appoggiò la schiena al parapetto del torrione, chiuse gli occhi e perse conoscenza.

~ XIV ~