La Spada di Damocle - aprile 2016

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SOMMARIO Editoriale

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Il solito 25 aprile di Piergiorgio Plotegher

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Alto tradimento di Marika Poletti

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Carlo I d’Asburgo di Emilio Giuliana

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Il tradimento di Gianfranco Fini di Guerrino Soini

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Fedeltà, questa sconosciuta di Marco Interdonato

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Zoom: tradimento e lealtà nel mondo nordico di Redazione

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Il processo – Tratto da La Pelle di Curzio Malaparte A cura di Elisabetta Sarzi

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Il tradimento si trasferisce sul web di R. L.

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Cara Boldrini, all’Italia non mancano i migranti ma i politici di Giuliano Guzzo

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KYRIE ELEISON – Approfondimento sul terrorismo di matrice islamica di Luigi Tramonti

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Appuntamento: Gender a scuola, l’ultima follia di una società malata di Dipartimento Difesa della Vita e della Famiglia, FdI/AN Trentino

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Recensione de Il denaro, “sterco del demonio” di Massimo Fini di Simone Marletta

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Contro-editoriale di Penna Nera

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IL RACCONTO Adelphoi di Luigi Tramonti IL ROMANZO Il leone, la quercia, le aquile – cap. IV (II parte) di Paolo Lorenzoni In ricordo di Enzo la Torre Redazione

I-V VI-XIII

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EDITORIALE

la liberazione, quella vera

A

di Redazione

prile, per il politicamente corretto, è

“Comitato

il mese in cui è fissato il “natale

liberarci dell’oppressore del popolo italiano ed

della repubblica” così come oggi la

iniziare nuovamente a disegnare il nostro futuro.

conosciamo: antifascista ed a sovranità limitata.

Liberarci di una classe politica che non

Quanti convegni, manifestazioni, deposizioni di

rappresenta nessuno e che nessuno ha voluto.

corone

per

Gente che mette a rischio l’esistenza stessa degli

accompagnare ciascuno di noi all’arrivo del 25

italiani, distruggendo il ceto medio e facendo

aprile? Forse addirittura in numero superiore a

precipitare il proprio popolo nelle baratro delle

coloro che concretamente prendono parte a

frizioni sociali, procedendo poi con quella grande

questo genere di incontri.

sostituzione tanto cara alla president* Boldrini

ed

editoriali

si

sprecano

di

Liberazione

Nazionale”,

per

Parlano di liberazione e, ammantanti da un

che senza vergogna arriva a dichiarare che

pezzo di tessuto rosso, arrivano a giustificare

“L’Italia è un Paese a crescita zero. Per avere 66

qualunque azione sia stata posta in essere sul

milioni di abitanti nel 2055 dovremo accogliere

finire della Seconda Guerra Mondiale – e, come

un congruo numero di migranti ogni anno”.

sappiamo, in forme diverse anche nei decenni

Chi

rappresenta

il

popolo

italiano

e

successivi – pur di sovvertire lo status quo e

scientificamente lo vuole dilaniare non può

gettare le basi della rivoluzione sovietica per

essere che definito un traditore.

rendere l’Italia schiava di quella Russia lontana

Il tradimento, in qualunque modo possa

anni luce dall’attuale potenza governata da

concretizzarsi, è il tema di questo numero della

Vladimir Putin.

Spada di Damocle.

Chiedere il riconoscimento dell’onore di

Buona lettura!

coloro che, invece, combatterono per tenere fede alla parola data sarebbe scontato e, da un

La Redazione de La Spada di Damocle

certo punto di vista, nemmeno corretto: la dignità non è un’etichetta che ti fai conferire da chiunque, soprattutto se il dispensatore dei patentini di legittimità è l’erede di coloro che

L’IMPERO CONTRATTACCA

davanti al proprio dovere fecero un passo

È un ricordo di tanti anni fa, ma neanche il tempo lo può cancellare, la storia non si può cambiare

indietro. Settantun anni dopo quel 25 aprile forse è giunto il momento di riprende in mano le sorti della nostra sfortunata terra e proporre noi un

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CONTROSTORIA

I

il solito 25 aprile

ndipendentemente personali la decisione di dalla collocazione rimanere fedeli ad un'alleanza geografica e sostenuta con un consenso dall'assetto popolare di grandi dimensioni, costituzionale i oppure di cedere alla facile popoli commemorano guerre suggestione dei benefici offerti o avvenimenti risoltisi con dai nuovi potenti alleati non più conclusione positiva. Non è così nemici. in Italia dove si esalta ancora quel Non vogliamo certamente 25 aprile del 1945 che suggellò vilipendere quanti fecero scelte dolorosamente con una resa diverse soprattutto se avvalorate senza condizioni, un tradimento da precise motivazioni ed una sconfitta militare, che con ideologiche, ma pretendiamo pretestuose argomentazioni è che la più alta considerazione stata accreditata e viene a venga riservata a tutti coloro che tutt'oggi presentata come una restando fedeli ad un patto vittoria, per supportare la fragile siglato all'inizio consistenza di del conflitto quanto affermato affrontarono un Pretendiamo che la più si è sostenuta la tragico destino alta considerazione venga tesi della liceità di nella Repubblica riservata a tutti coloro decisioni assunte Sociale Italiana dai protagonisti che restando fedeli ad un pur dell'armistizio del patto siglato all'inizio del conoscendo la 1943, giudicati conflitto, pagando realtà di una senza riserve anche con la vita la loro conclusione come i legittimi scelta. ormai rappresentanti scontata, pagand dello Stato Italiano o anche con la e delle sue Istituzioni. vita la loro scelta. In realtà la Monarchia Vanno citati qui il coraggio e sabauda ed il suo degno la sensibilità di qualche interprete, il Maresciallo esponente politico di parte Badoglio, dimostrarono subito la avversa che, come il senatore loro vera natura fuggendo comunista Violante comprese il vergognosamente da Roma e senso dell'onore che ispirò i affidando a sole difficili scelte

di Piergiorgio Plotegher

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giovani della RSI rimasti fedeli ad un'ideale anche nel momento della sconfitta o di storici che come Fenoglio illustrò la Resistenza senza dimenticare le ragioni degli sconfitti. Si trattò però di posizioni isolate e subito smentite dalla massa acritica di pseudo- intellettuali ingabbiati nel facile rifugio del pensiero unico della Sinistra, che in nome di un trito manicheismo distribuisce ancora patenti di democraticità da una parte e di male assoluto dall'altra. Anche se con poche illusioni abbiamo la convinzione che si possa arrivare ad un giudizio sereno su quel periodo senza le feroci demonizzazioni ancora in atto su una parte dei protagonisti. Siamo convinti che così come in Spagna dove i combattenti di una durissima guerra civile riposano insieme nella simbolica " Valle de los Caidos", anche in Italia la fedeltà ideologica ed il rispetto dei patti concordati vengano allo stesso modo premiati.

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RIFLESSIONI

alto tradimento

di Marika Poletti

U

n politico che antepone gli interessi nazionali alle pretese esterne è uno statista; un sindaco che prende come interlocutore primario il proprio concittadino è un buon amministratore. Leggiamo questa frase e memorizziamola perché si autodistruggerà in pochi secondi. O, meglio: si è già annientata da diversi decenni.

l'onestà intellettuale di affrontare l'argomento, attirando su di sé le scontate ire dei benpensanti. Ricordiamo, come omaggio al suo pensiero ora che non è più tra noi, Ida Magli che in un lucido articolo pubblicato da Il Giornale chiedeva retoricamente cosa un politico dovrebbe mai fare per essere accusato di tradimento, constatando che addirittura colui che viene presentato come il garante degli Coloro che ci hanno italiani, il Ora lo statista portato a questo punto Presidente della viene presentato Repubblica, nella sono meritevoli di una come un figura di Giorgio condanna per alto criminale Napolitano, “ha tradimento guerrafondaio ed sicuramente il buon tradito la amministratore come un Costituzione costringendoci a razzista. Sovranità è un termine vivere nell'illegittimità del colpo sconosciuto quando non di stato compiuto chiamando addirittura presentato come una Mario Monti a governare, parolaccia: dobbiamo cedere continuando fino ad oggi a non costantemente quote della indire mai le elezioni, nostra legittimità ad esistere. mantenendo in vita un Arriverà un giorno -forse- ma Parlamento dichiarato illegittimo sarà comunque troppo tardi in dalla Consulta in quanto cui ci si renderà conto che coloro dichiarata illegittima la legge che ci hanno portati a questo elettorale con la quale è stato punto sono meritevoli di una eletto”. Chiara, precisa. condanna per alto tradimento Inconfutabile. nei confronti del popolo italiano Del resto siamo tutti figli del e responsabili in solido della sua neoliberismo che diviene distruzione. neoliberalismo e neo C'è chi ha avuto il coraggio e libertinismo: siamo stati educati

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nell'insofferenza nei confronti dei lacci e lacciuoli che regolano il rapporto nel contesto sociale, in quello economico ed addirittura sul piano degli affetti familiari. L'uomo che mette se stesso a disposizione di un valore più grande, come la propria Patria ed il proprio amore, ci commuove solo in formato dvd: sullo schermo piatto del tuo televisore passano le scene de Il Gladiatore o di Trecento ma durante la pubblicità fai zapping ed inciampi in un talk show e ti ricordi che al Governo abbiamo persone come Maria Elena Boschi o come la sua ormai ex collega Guidi, dimessasi dal proprio Dicastero perché, intercettazioni alla mano, privilegiava gli interessi economici del fidanzato rispetto ai doveri assunti con il giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica. Gli italiani non sono sempre stati così. Intere generazioni hanno deciso di anteporre il bene comune alla propria esistenza, addirittura mitigando il sacrificio con spirito goliardico ed irriverente: “La Signora Morte fa la civetta in mezzo alla battaglia, si fa baciare solo dai soldati. Sotto ragazzi, Facciamole la corte! Diamole un bacio sotto la mitraglia!” cantavano i giovani soldati italiani sul finire del secondo conflitto mondiale. “Lasciamo l’altre donne” - quelle che preferiscono gli uomini privi del senso dell’onore e senza una bandiera – “agl’imboscati!”. Seppur con l’enfasi dovuta al contesto bellico, l’assetto

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RIFLESSIONI valoriale di riferimento abbastanza chiaro.

è

minaccia di un proiettile piantato in fronte.

Ora, invece, siamo pronti a tradire chiunque e per qualunque ragione, anche la più futile; dare la propria parola non è più sinonimo di garanzia ed anche le convinzioni più viscerali conoscono il significato della parola tradimento.

Tradire, sulle prime, potrà garantirti di certo la sopravvivenza nell’immediato ma, per dirla con le parole del Comandante Borghese, “la resa ed il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo”.

Nel 1974, mentre in Italia eravamo ancora in preda ai fumi del ’68, tornava in Giappone Hiroo Onoda, uno degli ultimi soldati fantasma, quel manipolo di militari che vissero per decenni nella giungla non avendo ricevuto l’ordine di arrendersi, ignari che la Seconda Guerra Mondiale si concluse nel 1945. Solo 29 anni dopo Onoda rientrò in Patria, dove fu accolto con tutti gli onori dal Governo. Se ciò fosse accaduto ad un combattente della RSI nella migliore delle ipotesi sarebbe stato oggetto di irriverenti barzellette ma, molto più probabilmente, trattato con il sospetto dell’apologia di un ideale che si vorrebbe cancellare dalla storia nazionale. Siamo invece maestri nella grossolana arte dell’abiura: rinnegare qualunque cosa su semplice richiesta del regime democratico diviene una regola. Basti pensare al processo di rieducazione a cui il Patron della Barilla fu sottoposto dopo aver dichiarato che negli spazi pubblicitari della sua ditta sarebbero comparse unicamente famiglie tradizionali. Nel giro di poche ore si è scatenato il finimondo, tanto da imporre all’imprenditore una resa incondizionata nei confronti delle istanze del mondo omosessuale registrando un video in cui diramava in mondovisione le sue scuse. Una scena davvero pietosa in cui Guido Barilla pare vesta gli abiti di un prigioniero che rilascia le sue ultime dichiarazioni sotto la

HIROO ONODA E LA SUA GUERRA “Hironoda non s’arrese, aspettava di obbedire, di piegare il capo se la pace era già fatta a lui non importava niente, avrebbe chiesto alla sua lama di spaccargli il ventre e così lui seguitava a combattere il nemico come tradizione insegna fino all’ultimo minuto. Clicca la nota musicale e ascolta su youtube il brano della playlist de La Spada di Damocle!

FOCUS Il piano della grande sostituzione etnica dei popoli europei. Senza più una Patria e costretti a lavorare in condizioni degradanti: tutti sottomessi alla dittatura finanziaria.

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STORIA E IDENTITÀ

Carlo I D’Asburgo. Patrimonio europeo. Patrimonio italiano. di Emilio Giuliana

S

pesso e giustamente si ricordano gli anniversari di condottieri del 19° secolo, uomini che si rifacevano e riprendevano le tradizioni elleniche e della Roma imperiale. Però, stranamente non si riportano al cuore gli anniversari, di colui che di quelle tradizioni ne fu il naturale continuatore, l’ultimo imperatore del Oggi più che mai tra Sacro Romano Impero, sua confusione e disinteresse, maestà Carlo I d’Asburgo, episodi storici ed i suoi morto il 1 aprile grandi Strenuo e avverso nemico interpreti del 1922 all’età di della massoneria e vengono lasciati 35 anni. Strenuo dell’Alta Finanza cadere e avverso nemico Internazionale. nell’oblio. Nel della massoneria e dell’Alta recente passato, con la fine Finanza Internazionale. della prima guerra

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Nell’ambito delle iniziative culturali organizzate dal sodalizio Progetto Nazionale, associazione di respiro nazionale del quale ne è referente locale Emilio Giuliana, è stato realizzato il pellegrinaggio presso la tomba del già imperatore beato Carlo I d’Asburgo del quale le spoglie mortali riposano presso il santuario della Chiesa della Madonna del Monte nella città di Funchal nell’isola portoghese di Madeira.

mondiale si è consumata l’epopea di un nobile casato, per 8 secoli grande protagonista per la storia dell’Europa e il mondo. Questi sono gli Asburgo. Per secoli i discendenti di questa famiglia furono imperatori del Sacro Romano Impero. Per volontà dell’italiano Teldado Visconti -eletto papa con il nome Gregorio Xnel 1273 Rodolfo d'Asburgo venne eletto Imperatore, da quella data in poi per gli Asburgo, tra

alterne fortune, alterni imperatori di valore e non, ebbe inizio il gloriosa cammino sul trono più prestigioso del mondo. Per buona pace dei nostalgici moderni revanscisti dell’impero austro-ungarico, che scherniscono e disprezzano l’italianità, va ricordata la vitale dipendenza degli Asburgo dall’Italia. Nel 1863, durante l’assedio ottomano di Vienna, quando tutto sembrava perduto, fu grazie all’apporto di contingenti militari italiani, veneziani, mantovani e toscani, e di validi comandanti italici, su tutti Eugenio di Savoia ed il grande predicatore frate Marco d’Aviano che la APRILE 2016

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STORIA E IDENTITÀ capitolazione asburgica fu evitata.

L’Arciduca Francesco Ferdinando era figlio di Maria Annunziata Isabella Brevemente e Filomena Sebasia nata a significativamente, ricordo Caserta. L’ultimo che nella genealogia Imperatore asburgica scorrette Carlo I L’Impero dei popoli era sangue italiano. Ad d’intralcio all’idea d'Austria er esempio, negli “illuminata” di Europa a sposato delle banche, Europa ultimi tre secoli con Zita laicizzata. trascorsi, Maria di l’Imperatore Borbone-Parma nata a Leopoldo II d'AsburgoCapezzano Pianore. Lorena sposò Maria Luisa di Alcuni obbiettano, che Borbone, detta Carlo I non si possa anche Maria Ludovica nata considerare imperatore del a Portici. Il Figlio, Sacro Romano Impero in l’Imperatore Francesco II quanto in periodo nato a Firenze, sposò Maria napoleonico, il 6 agosto Teresa di Napoli e 1806 l’imperatore Sicilia nata a Napoli. Loro Francesco II rinunciò al Figlio Ferdinando I eletto titolo, tenendo per se imperatore sposò Maria quello d’imperatore di Anna Carolina Pia di Austria ed Ungheria. Di Savoia nata a Roma.

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fatto, tale rinuncia non invalida di certo ciò che per discendenza realmente rappresentavano, gli Asburgo –l’inchiostro non è più prezioso del sangue-, dunque nella sostanza Carlo I era a tutti gli effetti imperatore del Sacro Romano Impero, l’ultimo per l’appunto. Francesco Giuseppe era identificato e chiamato Kaiser, tradotto dal tedesco all’italiano Cesare. Un uomo di pace, che si trovò a dover fronteggiare una guerra che egli mai avrebbe voluto innescare, e che con tutti i mezzi cercò di far cessare. Risultato che mai ottenne, non per sua volontà o mancanza, ma perché chi aveva deciso di

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STORIA E IDENTITÀ

abbattere gli Asburgo, per perseguire i propri obiettivi non poteva fare altrimenti. L’Impero dei popoli era d’intralcio all’idea “illuminata” di Europa delle banche, Europa laicizzata. Se gli Asburgo non fossero stati detronizzati, oggi non si sarebbe potuto dar vita all’Europa dei trattati di Maastricht, Schengen e Lisbona. Il “cammino” verso il beato Carlo I non è coinciso

con qualche ricorrenza particolare, ma dalla semplice voglia di render omaggio ed onorare un uomo di pace, che non volle compromettersi, che morì coerentemente senza “tradire” il suo popolo, le sue idee, principi etici e religiosi.

moltitudine di nastrini italiani (neanche uno austriaco) posti sul cancelletto che separa la Chiesa con la cripta dell’Imperatore. Pare che i nostalgici Schutzen oltre a chiacchiere e vanitosi atteggiamenti non facciano seguire fatti concreti.

Immaginavamo di non trovare sull’isola qualcosa che ricordasse l’Imperatore, ma neanche pensavamo di trovare una

PER APPROFONDIRE

Giuseppe II e Requiem per un impero defunto di Francois Fejto;

 Ferdinando e Sofia, la morte dell’Europa di Elena Bianchini Braglia; 

Romani e Longobardia di Paolo Possenti;

La vandea italiana di Massimo Viglione;

La Marcia di Radetzky di Joseph Roth.

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POLITICA

il tradimento di Gianfranco Fini

E

bbene si, fu tradimento. Almeno così sembra sentendo le numerose testimonianze di chi assicura fatti, telefonate, intrallazzi cui non sarebbe stato estraneo l’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano.

In seguito ha rivolto uno sguardo certamente conciliane verso gli immigrati (quelli che otto volte su dieci non hanno diritto ad alcun tipo di aiuto) a favore dei quali ha proposto la cittadinanza a condizioni diverse da quelle finora portate avanti da lui stesso e da tutto il popolo della destra.

Vorrei, però, far coincidere La grana della casa di l’inizio del tradimento di Fini, Montecarlo è altro elemento che della causa della identifica il destra, personaggio, all’accettazione pronto a sacrificare Non si può dell’ormai famoso all’altare turlupinare il “patto del predellino”; dell’interesse proprio popolo in effetti quello fu personale, suo o di senza pagarne il l’inizio della fine; o qualche suo conto meglio il termine di congiunto, quel quella spinta briciolo di dignità ascensionale che Alleanza che ancora poteva essergli Nazionale aveva saputo rimasto. innescare, anche per merito di Berlusconi, nel panorama La cacciata di Fini dal PDL ha politico italiano di allora. posto, di fatto, fine alla sua storia L’ingresso nel PDL, dicevo fu politica, quello che era rimasto di l’inizio della fine e il buon AN si è spezzettato in mille rivoli, Gianfranco dovette accorgersi alcuni stagnanti nel PDL altri presto che il fatto di essere stato diretti verso altre posizioni: lo assorbito da Forza Italia e stesso Fini ha provato, con relegato alla Conduzione della risultati miserrimi, a fondare Camera dei Deputati mal si Futuro e Libertà che, in attagliava con i suoi sogni di una convention in Sicilia gloria che, giorno dopo giorno, ha rimediato il erano frustrati dall’azione ragguardevole numero berlusconiana. di cinquanta Nel frattempo, non so se per la partecipanti. variazione della sua situazione Arrivando a tempi affettiva o per qualche altro più recenti vediamo motivo, la sua azione politica come il ribaldo, subiva una decisa sterzata a nell’intento di silurare sinistra, nei suoi discorsi definitivamente incominciava a farsi strada il Berlusconi per rinnegare il suo passato, il prenderne il posto, dichiararsi antifascista, la abbia vigliaccamente vergognosa abiura attuata in intrallazzato con l’ex Israele dove ha di fatto tradito Presidente della tutta la sua storia politica, Repubblica allo scopo di buttato alle ortiche tutte le abbattere l’ultimo esperienze ed il vissuto di chi, governo fino ad allora, lo aveva legittimamente eletto sostenuto. dal popolo. A riprova di

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di Guerrino Soini quanto sopra esistono testimonianze che non ammettono repliche, ma tutto sta passando sotto silenzio poiché il comunista Napolitano risulta appartenere di diritto alla categoria degli intoccabili. La Storia, poi, ha una sua giustizia ed i piani del Giuda Gianfranco sono andati, per così dire, a Patrasso. Complice una crisi, a mio avviso creata artificialmente, l’incarico di Governo è stato affidato a Monti, ben visto in ambito europeo (con i bei risultati che abbiamo tutti avuto modo di ammirare) e lui è rimasto, giustamente, con le pive nel sacco; ciò a conferma del fatto che chi attua delle porcherie alla fine se le deve anche aspettare come merce di ritorno … e così è stato. Sarà ricordato da tutti come “il traditore”, oscurando così quel che di buono avrà anche realizzato. Non si può turlupinare il proprio popolo senza pagarne il conto ed è appunto quello che ora lui sta pagando, anche se vive nell’illusione di una riscossa che non ci sarà.

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ATTUALITÀ

fedeltà, quella sconosciuta…

“L ’

‘essere L’articolo 143, che per la sua fedeli e fondamentale importanza viene sinceri letto durante ogni celebrazione sono le di matrimonio, sia esso civile, eccellenze e le istituzioni più concordatario o acattolico, recita sacre della mente umana”, disse al secondo comma “Dal Cicerone già nel I secolo avanti matrimonio deriva l'obbligo Cristo: “modello superato” reciproco alla fedeltà, tuonano a gran voce un manipolo all'assistenza morale e materiale, di senatori di IdV e PD, sempre alla collaborazione nell'interesse più diviso al suo interno, le cui della famiglia e alla correnti più interventiste tentano, coabitazione”: come sopra vanamente, di fare sentire la loro accennato, il legislatore ha posto voce fra i 51 voti di fiducia del come primo obbligo coniugale, Premier finora presentati alle potremmo azzardare supremo, la Camere e le sue fedeltà; a continue minacce alle questa egli L’articolo 143, che per la minoranze interne. subordina sua fondamentale anche la importanza viene letto All’indomani del coabitazion voto in Senato del ddl durante ogni celebrazione e ed Cirinnà, abilmente addirittura di matrimonio, sia esso emendato dal l’assistenza civile, concordatario o governo, che in tal morale. acattolico, recita al modo ha sempre più secondo comma “Dal inchiodato alla sedia Va matrimonio deriva Alfano ed i suoi sodali notato che l'obbligo reciproco alla ed al contempo il precetto fedeltà… allargato la della maggioranza a Verdini fedeltà sia e alla sua Alleanza di chiara derivazione religiosa e Liberalpopolare, 12 senatori che lo stesso catechismo della hanno presentato un nuovo Chiesa Cattolica affermi ciò: disegno di legge, recante d’altro canto, nella società “modifiche all'articolo 143 del occidentale, a lungo vissuta sotto Codice Civile, in materia di soppressione dell'obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi”; sostanzialmente i senatori Lo Giudice (che si è fatto confezionare un figlio negli Stati Uniti qualche anno fa), Cirinnà (che secondo quanto da lei affermato, si sarebbe dovuta dimettere se il ddl a sua prima firma non fosse passato con la stepchild adoption) ed altri vorrebbero togliere quell’obbligo che il legislatore del ‘42 ha ritenuto di porre al primo posto fra tutti gli altri e su cui si basa, volente o nolente, ogni relazione sentimentale, anche avulsa dal matrimonio stesso.

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di Marco Interdonato l’egida di un unico culto, questo valore è ormai indissolubilmente permeato e viene sentito come nemmeno appartenente ad un ambito sacrale; ciò viene confermato dalla molteplicità di autori che hanno narrato storie di fedeltà e di tradimenti, da Shakespeare con il suo celeberrimo Otello a Wilde ed il suo Dorian Gray. Venendo alla questione di fondo, abolire l’obbligo di fedeltà fra i coniugi avrebbe effetti a dir poco devastanti per l’istituto del matrimonio: a differenza di coloro che hanno proposto questo disegno di legge, secondo cui le conseguenze sarebbero solo di natura economica, molti illustri giuristi ritengono che i risvolti a breve e medio periodo potrebbero essere ben più gravi. La violazione degli obblighi coniugali porta ad un eventuale addebito della separazione, istituto con ripercussioni sostanzialmente economiche, ma con un alto valore simbolico, in quanto indica che uno dei due coniugi ha causato la crisi coniugale: abolire l’obbligo, quindi, sarebbe come affermare che la mancanza di fedeltà non

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ATTUALITÀ possa originare una crisi coniugale; o meglio, l’infedeltà sarebbe dal punto di vista giuridico in alcun modo sanzionata. In secondo luogo, abolire questo obbligo che prima di tutto è un valore fondamentale, comporterebbe creare un grimaldello per una serie di unioni paradossali, similmente come l’eventuale equiparazione di unione civile a matrimonio avrebbe potuto creare il perfetto escamotage per l’adozione da parte delle coppie omosessuali; un esempio di ciò che potrebbe scaturire da questa folle manovra legislativa è la legalizzazione del cosiddetto poliamore, o con una locuzione giuridica “unione civile fra due o più partner”. Con poliamore si intende quella posizione sociologica e filosofica che ammette la possibilità in capo ad un soggetto di avere più relazioni contemporaneamente, con il consenso degli altri partner; dal punto di vista penale, in Italia se un soggetto contrae due matrimoni, sorge l’accusa ex articolo 556 di bigamia: vero è che obbligo di fedeltà e bigamia sono due concetti differenti, ma d’altra parte è pure innegabile la loro stretta correlazione. Infatti, come detto prima, l’abolizione dell’obbligo di fedeltà potrebbe essere non tanto la diretta responsabile, quanto piuttosto la chiave d’accesso per un percorso, più o meno lungo, volto alla legittimazione delle coppie poliamorose, già presenti in Italia e, ad esempio, legittimate con legislazione nazionale nei Paesi Bassi, dove nel 2005 si è svolta la celebrazione della prima unione civile fra tre soggetti, ed in California. Il poliamore potrebbe minare sensibilmente i valori civili su cui

Zoom – tradimento e lealtà nel mondo nordico Quando si pensa al tradimento della peggior risma per il mondo tradizionale si guarda all'uccisione del proprio padre, per millenni considerata la peggior forma di condotta, di molto più grave, all'inverso della contemporanea percezione sociale, dell'omicidio del proprio figlio. Per coloro che di questo atavicamente grave tradimento si macchiavano, veniva riservata secondo quanto riportato da alcune saghe norrene una punizione molto cruenta, denominata "bloodorn", termine che letteralmente significa "aquila di sangue". Al di là della pena capitale in sé, quando si parla del mondo nordico e delle tradizioni ad esso legate, si investe tutto un piano valoriale che si basa su appartenenza, fedeltà ed onore. A differenza del mondo classico, sia greco che romano, dove le divinità, antropomorfe nell'aspetto quanto nei desideri e nei vizi, si lasciano cadere in contenziosi con gli esseri umani, il mito nordico sottende un diverso e totalizzante concetto di giustizia. Pensando al mondo greco, l'esempio è lampante. Ulisse, per difendere i suoi uomini, acceca Polifemo ma questo non gli vale la gioia nel cuore delle divinità: il mostro è figlio di Netturno ed il giusto comportamento di Ulisse divenne una colpa. Nel mondo nordico uomini, mostri e divinità si trovano a lottare alla pari, sottostando alla giustizia ed al destino. Unica via per una vita dopo la morte sono le gesta eroiche in battaglia che avrebbero portato le valchirie a scegliere i più valorosi da condurre nel Walhalla, il Paradiso degli eroi. Addirittura le schiere degli uomini si allearono con gli dei per sconfiggere i mostri. Però il lungo inverno dovuto alla scomparsa del sole e delle luna conducono poi al crepuscolo degli dei, rappresentato dalla vittoria delle forze del disordine. La lezione deve essere una: fedeltà, lealtà, senso della comunità, rispetto per la tradizione. Nella storia patria ciò avvenne nitidamente nel '43 quando "una massa non indifferente di italiani scelse coscientemente la via del battersi su posizioni perdute, del sacrificio e dell'impopolarità per obbedire al principio della fedeltà ad un capo e dell'onore militare" (J. Evola)

si basa l’ordinamento e soprattutto la cultura italiana ed occidentale; a chi ci accusa di fare i catastrofisti, noi rispondiamo che un buon legislatore deve guardare agli effetti a medio termine, soprattutto circa tematiche così importanti, e mai alle conseguenze immediate. Come

per divorzio ed aborto, queste proposte di legge dovrebbero passare il vaglio di una legittimazione popolare, che prevedo, con un pizzico di arroganza, non vi sarà; parafrasando le parole di Cicerone: “Quousque tandem abutere, Cirinnà, patientia nostra?”

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LETTURE

il processo

I

ragazzi seduti sui gradini di Santa Maria Novella, la piccola folla di curiosi raccolti intorno all'obelisco, l'ufficiale partigiano a cavalcioni dello sgabello ai piedi della scalinata della chiesa, coi gomiti appoggiati sul tavolino di ferro preso a qualche caffè della piazza, la squadra di giovani partigiani della Divisione comunista «Potente», armati di mitra e allineati sul sagrato davanti ai cadaveri distesi alla rinfusa l'uno sull'altro, parevano dipinti da Masaccio nell'intonaco dell'aria grigia. Illuminati a picco dalla luce di gesso sporco che cadeva dal cielo nuvoloso, tutti tacevano, immoti, il viso rivolto tutti dalla stessa parte. Un filo di sangue colava giù per gli scalini di marmo. I fascisti seduti sulla gradinata della chiesa erano ragazzi di quindici o sedici anni, dai capelli liberi sulla fronte alta, gli occhi neri e vivi nel lungo volto pallido. Il più giovane, vestito di una maglia nera e di un paio di calzoni corti, che gli lasciavano nude le gambe dagli stinchi magri, era quasi un bambino. C'era anche una ragazza, fra loro: giovanissima, nera d'occhi, e dai capelli, sciolti sulle spalle, di quel biondo scuro che s'incontra spesso in Toscana fra le donne del popolo, sedeva col viso riverso, mirando le nuvole d'estate sui tetti di Firenze lustri di pioggia, quel cielo pesante e gessoso, e qua e là screpolato, simile ai cieli di Masaccio negli affreschi del Carmine. Quando avevamo udito gli spari, eravamo a metà di Via della Scala, preso gli Orti Oricellari. Sboccati sulla piazza, eravamo andati a fermarci ai piedi della gradinata di Santa Maria Novella, alle spalle dell'ufficiale partigiano seduto davanti al tavolino di ferro.

di Elisabetta Sarzi Al cigolio dei freni delle due jeep, l'ufficiale non si mosse, non si voltò. Ma dopo un istante tese il dito verso uno di quei ragazzi, e disse: «Tocca a te. Come ti chiami?». «Oggi tocca a me» disse il ragazzo alzandosi «ma un giorno o l'altro toccherà a lei.» «Come ti chiami?»

franchi tiratori

«Mi chiamo come mi pare» rispose il ragazzo. «O che gli rispondi a fare, a quel muso di bischero?» gli disse un suo compagno seduto accanto a lui. «Gli rispondo per insegnargli l'educazione, a quel coso» rispose il ragazzo, asciugandosi col dorso della mano la fronte madida di sudore. Era pallido, e gli tremavan le labbra. Ma rideva con aria spavalda, guardando fisso l'ufficiale partigiano. L'ufficiale abbassò la testa e si mise a giocherellare con una matita. A un tratto i ragazzi presero a parlar fra di loro ridendo. Parlavano con l'accento popolano di San Frediano, di Santa Croce, di Palazzolo. «E quei bighelloni che stanno a guardare? O non hanno mai visto ammazzare un cristiano?» «E come si divertono, quei mammalucchi!» «Li vorrei vedere al nostro posto, icché farebbero, quei finocchiacci!»

«Scommetto che si butterebbero in ginocchio!» «Li sentiresti strillar come maiali, poverini!» I ragazzi ridevano, pallidissimi, fissando le mani dell'ufficiale partigiano. «Guardalo bellino, con quel fazzoletto rosso al collo!» «O chi gli è?» «O chi gli ha da essere? Gli è Garibaldi!» «Quel che mi dispiace» disse il ragazzo, in piedi sullo scalino «gli è d'essere ammazzato da quei bucaioli!» «'Un la far tanto lunga, moccicone!» gridò uno dalla folla. «Se l'ha furia, la venga lei al mi' posto» ribatté il ragazzo ficcandosi le mani in tasca. L'ufficiale partigiano alzò la testa, e disse: «Fa' presto. Non mi far perder tempo. Tocca a te». «Se gli è per non farle perdere tempo» disse il ragazzo con voce di scherno «mi sbrigo subito.» E scavalcati i compagni andò a mettersi davanti ai partigiani armati di mitra, accanto al mucchio di cadaveri, proprio in mezzo alla pozza di sangue che si allargava sul pavimento di marmo del sagrato. «Bada di non sporcarti le scarpe!» gli gridò uno dei suoi compagni, e tutti si misero a ridere. In quell'istante il ragazzo gridò: «Viva Mussolini» e cadde crivellato di colpi. Estratto da La Pelle Curzio Malaparte

FRANCO TIRATORE Il cielo è tutto rosso, di fuoco è il suo colore e brucia anche la vita di chi crede nell'onore Clicca la nota musicale e ascolta su youtube il brano della playlist de La Spada di Damocle!

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ATTUALITÀ

le corna si trasferiscono sul web

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Scordiamoci intriganti segretarie che celano le autoreggenti sotto la gonna a tubino in completo gessato e le teutoniche biondone conosciute nelle spiagge di luglio: il tradimento oggi corre sui fili della rete.

tenere un comportamento consono alla situazione e comprenderne le riflessioni e potenziali segnali. Sul web è ben altra cosa: ti inserisci in gruppi di persone che non conosci, guardi le foto dei profili che ti interessano, chiedi l'amicizia, inizi a mettere fiumane di like Il web è il luogo/non luogo dove alle foto delle donne che vuoi l'infedeltà trova un porto accalappiare, fai commenti di apparentemente sicuro ma spessore -direttamente molto più pervasivo di quanto si proporzionale al livello spesso possa sospettare. basso delle prede-, le chiami in Secondo i dati raccolti da Divorce chat... dalla chat si passa a Online, in Inghilterra sono ormai whatsapp con la stessa velocità il 33% le rotture tra coniugi in cui con cui si passa dalla telefonata, il tradimento è partito sul web o videotelefonata, all'incontro mentre a casa nostra dal vivo. E questo le percentuali moltiplicato per Il traditore on line aumentano di anno decine di prede: la crea una vera e in anno, superando strategia è buttare abbondantemente il una rete in mare e propria vita parallela 20%. vedere quanti sui social network pesciolini che rischia di avere Facebook è il rimangono in essa effetti molto più principale terreno di impigliati. stabili e deleteri della conquista in cui vengono intrecciate Va da sé che molte scappatella con la le prime relazioni. I di queste relazioni giovane segretaria. social network sono funzionali creano una unicamente ad distorsione dell'arco temporale, ammazzare la noia e solo in permettendo così di bruciare le rarissimi casi sono destinate a tappe. Per conquistare una durare: un rapporto vero donna nel mondo reale, la devi difficilmente può alimentarsi di conoscere -ed avere l'occasione messaggi standard (i vari di conoscerla-, parlarci, sondare "Buongiorno principessa!" inviati il potenziale interesse, cercare di a mezza rubrica telefonica) e da incontrarla, chiederle di uscire, una scarsissima conoscenza

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di R. L. personale, considerato che ciascuno -soprattutto il moscone da web- modella il proprio profilo social come crede, presentandosi come una persona di un certo calibro sociale e lavorativo, con titoli di studio inesistenti e capacità economiche infondate. Purtroppo, però, queste scappatelle che nascono nell'etere rischiano di distruggere la vita quotidiana di una famiglia e, come sostenuto da Gian Ettore Gassani, già presidente dell'Associazione degli Avvocati Matrimonialisti Italiani, riguarda anche le coppie non più giovanissime. Ulteriore allarme, questa volta lanciato dall'Avvocato Laura Vasselli, esperta in diritto di famiglia, si sostanzia nella sottovalutata pericolosità del tradimento via web: se l'infedeltà così come l'abbiamo sempre conosciuta è in molte occasioni frutto di momenti di rabbia e, quindi, passeggera, il traditore on line crea una vera e propria vita parallela sui social network che rischia di avere effetti molto più stabili e deleteri della scappatella con la giovane segretaria. Quindi, moglie e mariti di tutto il mondo unitevi: se la vostra dolce (?) metà passa un mare di tempo a giocherellare tra cellulare e tablet siete avvisati!

MENTRE TUTTO SCORRE E dimmi ancora quanto pesa la tua maschera di cera Clicca la nota musicale e ascolta su youtube il brano della playlist de La Spada di Damocle!

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TRADIMENTI NAZIONALI

Cara Boldrini, all’Italia non mancano migranti ma politici di Giuliano Guzzo

L’

utilizzo di Twitter impone agli utenti la sintesi ma sintesi, in realtà, non è sinonimo di imprecisione e nella frase di ieri dalla Presidente della Camera Laura Boldrini, purtroppo, l’imprecisione abbonda. Scrive la Boldrini: «Italia è Paese a crescita zero. Per avere 66 milioni di abitanti nel 2055 dovremo accogliere un congruo numero di migranti». Perché si tratta di un pensiero impreciso? Semplice: perché parte da una problematica vera – l’«Italia è Paese a crescita zero» – proponendovi un “rimedio” assai discutibile: «Per avere 66 milioni di abitanti nel 2055 dovremo accogliere un congruo numero di migranti».

affatto composta da coppiette o da giovani famigliole: secondo i dati non della Lega Nord bensì dell’Economist addirittura il 90% degli 82mila immigrati che nel corso del 2015 sono approdati sulle coste italiane ed hanno richiesto asilo sono uomini soli. Ora, anche se è comprensibile, da parte di Laura Boldrini ed altri, l’entusiasmo per l’approvazione, in Senato, delle unioni civili, c’è un problema: perché l’Italia non sia più un Paese «a crescita zero» occorre che nascano bambini e per questo occorrono famiglie, possibilmente stabili, e non soli uomini.

In secondo luogo, a smentire la tesi Istituzioni che, anche negli ultimi boldriana, non Per tempi, si sono spese con impegno nuova e già comprendere confutata, vi degno di miglior causa non solo l’infondatezza sono i dati per non valorizzare la famiglia, di un simile dell’Italia degli ma per frantumarla o metterla in ultimi anni: nel ragionamento, secondo piano. basta decennio 2001considerare 2011 – ricorda che se l’«Italia è Paese a crescita il rapporto Lavoro per gli zero» è perché gli Italiani, da immigrati (OECD 2014) – la decenni, hanno preso sempre quota di immigrati presente qui più a non fare figli. Che fare? è triplicata arrivando a costituire Stando alla Presidente della il 9% della popolazione. Eppure, Camera, accogliendo «un come detto, non congruo numero di migranti» la solo le cose non nostra penisola vivrebbe una sono migliorate, nuova primavera demografica. ma peggiorano Peccato che le cose, però, non e oggi l’«Italia è siano così semplici. Per due Paese a crescita ragioni. La prima consiste zero». Forse nell’identità dei «migranti». perché l’inverno Secondo alcuni approderebbero demografico sulle nostre coste tanti giovani non è un affamati di futuro. Il che è problema etnico parzialmente vero: gli immigrati ma culturale? in arrivo in Italia sono Forse perché è tendenzialmente giovani, avendo ridicolo – oltre un’età compresa tra i 18 e i 24 che umiliante anni. per i «migranti», immaginati C’è però un problema: la come macchine categoria dei «migranti» non è

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per la riproduzione – confidare nei poteri miracolosi dell’immigrazione? Si tratta solo di semplici quesiti che però meriterebbero di essere affrontati con attenzione. Se infatti siamo in questa situazione, con l’«Italia Paese a crescita zero», una buona parte della responsabilità è anche – direi soprattutto – delle istituzioni politiche alle

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Scrive la Boldrini: «Italia è Paese a crescita zero. Per avere 66 milioni di abitanti nel 2055 dovremo accogliere un congruo numero di migranti».

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quali la Presidente Boldrini non è certo estranea. Istituzioni che, anche negli ultimi tempi, si sono spese con impegno degno di miglior causa – si pensi al divorzio breve o alle già citate unioni civili – non solo per non valorizzare la famiglia, ma per frantumarla o metterla in secondo piano. Una realtà che evidenzia una mancanza non meno grave di quella di nuovi nati: quella di veri politici.

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KYRIE ELEISON approfondimento sul terrorismo di matrice islamica LUIGI TRAMONTI

a Magdi Cristiano Allam

Il 24 Marzo abbiamo avuto il piacere di ospitare una conferenza di Magdi Cristiano Allam, celebre islamologo e giornalista, numerosi sono stati i temi toccati, ne sono stati selezionati alcuni per essere approfonditi. Buona lettura.


[KYRIE ELEISON]

Luigi Tramonti

Parte Prima: Le basi dottrinali del terrorismo islamico All'indomani degli attentati terroristici che hanno insanguinato Bruxelles, cuore e capitale dell'Unione Europea, è quantomai necessario procedere ad alcune riflessioni fondamentali riguardo all'identità degli assassini e alle motivazioni che li hanno mossi.

La causa prima di tutto ciò va ricercata nella stessa dottrina religiosa islamica, nel Corano; un testo che differisce dai vari Torah, Tanakh, Talmud, Midrash o ancora dal Nuovo Testamento cristiano per la propria essenza spirituale, il Corano si discosta dagli altri testi sacri sul piano prettamente ontologico: a differenza dei testi sopracitati il Testo per eccellenza (La parola “Corano” nelle intenzioni di Maometto sta infatti a significare “il Libro” per antonomasia) viene considerato non un testo scritto da uomini su ispirazione di Dio ma un libro increato e della sostanza di Allah, che viene posto sul suo stesso piano. Il Corano quindi non si presta alle interpretazioni allegoriche a cui può essere soggetto un testo come la Bibbia ma, data la sua natura celeste ed eterea, deve essere letto così com'è scritto, senza travisarne il significato; questo, per uomini spregiudicati e con il solo scopo di asservire il mondo intero alle proprie idee utilizzando come Spada la religione, è non solo uno strumento per il reclutamento di nuovi aspiranti martiri ma anche e soprattutto un'arma contro i valori di un Occidente sempre più debole di fronte a tale determinazione.

Da questa base è partita l'intera riflessione di Magdi Cristiano Allam, relatore della conferenza tenuta il 24 Marzo scorso nella Sala Rosa del Palazzo della Regione a Trento, e su tutto il complesso discorso vertente sulla natura violenta intrinsecamente presente nell'Islam due punti, mi sono subito saltati all'occhio, per riportarli uso le parole dei testi sacri islamici: - << Narrato da Abd Allah: l'Inviato di Dio disse:”Il sangue di un musulmano che confessa che nessuno ha il diritto di essere adorato se non Allah e che io sono il Suo Inviato, non puo' essere sparso se non in tre casi: in caso di omicidio, nel caso in cui una persona sposata partecipi a un atto sessuale illegittimo e nel caso in cui una persona abbandoni l'Islam (apostasia) e lasci (la comunità dei) musulmani” >> (Sahih di Al Bukhari – 4:54:445) In questo hadis (detti attribuiti al Profeta) Maometto dichiara obbligatoria l'uccisione in tre casi specifici: in caso di omicidio, di adulterio e di apostasia, e su quest'ultimo termine vorrei soffermarmi; chiunque abbandoni l'Islam dopo averlo conosciuto deve essere assassinato in quanto si è macchiato di una delle più gravi colpe previste dal codice sharaitico, l'apostasia. - << Rivolgi il tuo volto alla religione come puro monoteista, natura originaria che Allah ha connaturato agli uomini; non c'è cambiamento nella creazione di Allah. Ecco la vera religione, ma la maggior parte degli uomini non sa. >> (Corano – 30, 30) 17


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Come Magdi Allam fa notare nel suo ultimo libro “Islam. Siamo in guerra”, a corredo di questo versetto nella versione ufficiale del Corano dell'UCOII (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia) viene posta un'efficace spiegazione: << Il Corano afferma la naturalità (fitra) dell'Islam. Il Profeta (pace e benedizioni su di lui) disse: “Ogni bambino nasce musulmano, sono i suoi genitori che ne fanno un israelita, un cristiano o uno zoroastriano (adoratori del fuoco)” >>. Sulla scorta di questi dati è semplice fare il calcolo che da secoli fanno anche i terroristi islamici: l'omicidio è obbligatorio “nel caso in cui una persona abbandoni l'Islam” e nel Corano, secondo il principio della fitra, la naturalità dell'Islam, gli “infedeli”, coloro che professano una religione differente dall'Islam, vengono tacciati come apostati, in quanto hanno, convertendosi a una qualsivoglia religione, abbandonato l'Islam che era loro innato e connaturato. L'odio dei tagliagole islasmici che colpiscono l'Europa quindi ha solide basi teologiche che affondano le loro radici nei testi che sono alla base dell'Islam e non sono passibili di interpretazioni di alcun tipo, perché significherebbe contraddire la natura stessa di Allah; secondo questa folle ideologia siamo dunque tutti apostati e tutti dobbiamo subire il verdetto del Profeta, la morte.

Un altro versetto viene spesso usato per edulcorare la gravità di ciò che viene affermato in quelli già citati in precedenza, il celebre “Chiunque uccida un uomo sarà come se avesse ucciso l'umanità intera.” ma lo stesso ci Allam ci invita a procedere ad una lettura ed analisi integrale del versetto in questione: << Per questo abbiamo prescritto ai Figli di Israele che chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l'umanità. I Nostri messaggeri sono venuti a loro con le prove! Eppure molti di loro commisero eccessi sulla terra. La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l'ignominia che li toccherà in questa vita; nell'altra vita avranno castigo immenso. >> ( Corano – 5, 32-33) Dove “coloro che abbiano sparso la corruzione sulla terra” sono da intendersi come i nemici dell'islam, gli apostati di cui si è già parlato.

L'Islam non è dunque nelle sue radici una “religione di pace”, come taluni personaggi pubblici, uno su tutti Barack Obama, vorrebbero farci credere, e sta al singolo musulmano anteporre il proprio personale senso della giustizia, il proprio buonsenso e la propria ragione alla devozione cieca alla propria Fede, che viene spesso strumentalizzata da uomini come il Califfo nero di Ar-Raqqa e i suoi seguaci, automi assassini che vivono per morire.

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Parte Seconda: L'agonia del Califfato e la frammentazione del Medioriente

Ma le radici di quello che sta avvenendo ora in Europa vanno cercate non solo nella dottrina islamica ma anche nella Storia del Medio Oriente, a partire dall'inizio della frammentazione dei popoli dovuti all'agonia e alla morte del Califfato Ottomano, con l'ultimo Sultano Mehmet VI nel 1922.

Il Sultano dell'Impero Ottomano rappresentava infatti per l'Islam ciò che il Papa rappresentava e rappresenta tuttora per i cristiani: una Guida, in quanto Califfo, oltre che un Imperatore. L'Impero Ottomano comprendeva alla vigilia della Prima Guerra Mondiale la penisola anatolica, parte della Grecia, il Medio Oriente e l'Egitto; la religione rappresentava in questo Stato di conformazione monarchica e teocratica il collante che manteneva unite tutte le classi e le genti dell'Impero. Il Califfato scese in campo a fianco degli Imperi Centrali allo scoppiare della Grande Guerra con il Sultano Mehmet V, e la guerra fu un disastro. Il Califfato venne sconfitto e perse gran parte dei propri possedimenti, il Medioriente e l'Iraq, dove l'Occidente impose una serie di sovrani collaborazionisti, come gli Hashemiti in Giordania o i Saud in Arabia Saudita, di fatto fantocci nelle mani delle potenze coloniali, che avevano visto nel Medio Oriente post-ottomano una possibilità di guadagno e avevano fatto leva sul nazionalismo degli Arabi per liberarsi dall'ingombrante presenza dei Sultani Turchi. Il 1918 vide l'agonia del Califfato nella perdita di tutti i suoi possedimenti arabi oltre che la morte del Sultano Mehmet V; gli successe il fratello minore Mehmet VI, ultimo Sultano dell'Impero Ottomano e Centesimo Califfo dell'Islam, che si fece incoronare nell'ultimo grande sfavillare dello sfarzo ottomano.

Incoronazione del Sultano Mehmet VI

Ma sotto la pressione dei nazionalisti turchi guidati da Mustafa Kemal Ataturk il Sultano dovette cedere e la monarchia venne abolita, venendo sostituita da uno Stato che per tutta la storia del Medioriente rappresenterà un esempio di laicità, dove le derive islamiste verranno sempre efficacemente contrastate dall'esercito, perlomeno fino all'avvento di Erdogan alla presidenza della Repubblica. Mehmet VI perse il titolo di Sultano ma conservò quello di Califfo che avrebbe perso il suo successore alla guida della Casa Imperiale Ottomana Abdülmecid II.

L'Islam Sunnita si trovava quindi senza una vera guida all'infuori del Grande Imam della moschea di Al Azhar, la più grande autoità giuridica del mondo islamico, o dei vari sovrani fantoccio che le potenze coloniali avevano insediato sui troni di nazioni create a tavolino con confini tracciati arbitrariamente con il righello secondo l'accordo Sykes-Picot e non tenendo conto delle differenze etnico-religiose che avrebbero in futuro

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portato a terribili tensioni all'intero dei vari Stati. Il nazionalismo arabo, tranne in alcuni casi diventati simbolo e paradigma della sfarzosa monarchia araba del Golfo, si trovò quindi a riunirsi attorno a figure carismatiche appartenenti al popolo e spesso all'Esercito per contrastare l'influenza straniera su questi personaggi che portavano una corona senza avere una minima conoscenza amministrativa che trascendesse quella di una tribù del deserto o dell'acqua di un'oasi. Chiaramente da questa valutazione sono esclusi i monarchi sopracitati, tra tutti si distingue il primo Saud dell'Arabia Saudita, un realpolitiker che tramite una saggia politica religiosa ma soprattutto matrimoniale riuscì a legarsi a tutte le tribù creando così un regno stabile che dura ancora oggi, venendo posto sul trono non dalla longa manus delle potenze europee ma sulla punta delle baionette degli Ikhwan, i Guerrieri Sacri. Il sovrano dell'Arabia Saudita rimane, sulla base del controllo delle due moschee della Mecca e di Medina, l'unico nel mondo arabo a poter avanzare pretese sul titolo di Califfo. Dunque, con l'appoggio dell'Esercito e della gente comune, nonché grazie ad un'abile utilizzo della dottrina islamica per far presa sulle masse, questi uomini riuscirono a rovesciare i sovrani filo-colonialisti e stabilirono delle Repubbliche in tutto il Medioriente e in tutto il Nordafrica, ovviamente dirette da loro e loro soltanto, in qualità di romano Dictator che mantiene il potere assoluto in situazioni di emergenza; e di fatto il Mondo Arabo era ed è in una situazione d'emergenza. Paradigmatica la parabola compiuta dalla Libia nel periodo post-fascista, quando gli Alleati imposero ai libici un re proveniente dalla confraternita dei Senussi, di cui era capo con il titolo di Emiro della Cirenaica, titolo riconosciutogli anche dagli italiani anni addietro e ampliato dagli alleati all'imperio sulla Tripolitania prima e sull'intera Libia poi. Idris I, questo il nome del sovrano, non ebbe il polso per gestire una situazione frammentata come quella libica e nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, permise alle frange più estremiste della popolazione di scatenare veri e propri pogrom contro la popolazione ebraica; ciò, sommato alla mancanza di un figlio maschio che potesse succedergli e ai suoi crescenti problemi di salute, portò al colpo di Stato del 1969 guidato dal Capitano Gheddafi. Situazione similare visse l'Egitto, che vide l'abbattimento nel 1952 del re Faruq I d'Egitto, ultimo esponente della dinastia dei Mehmet Ali posta sul trono dai britannici nel 1914 nel contesto della guerra ai Sultani di Costantinopoli, da parte del movimento dei Liberi Ufficiali; il re fu obbligato ad abdicare in favore del figlioletto, che l'anno seguente venne fatto esautorare e sostituire da Naguib, fatto in seguito arrestare per permettere l'ascesa della vera Eminenza Grigia del Golpe, Gamal Abdel Nasser.

Proprio da Nasser e da Gheddafi partì il tentativo di formare tra il 1971 e il 1977 la Federazione delle Repubbliche Arabe con membri la Libia di Gheddafi, l'Egitto di Nasser e la Siria di Hafez Al-Assad, leader del locale partito Baath, principale partito socialista arabo. Questo ideale panarabista tramontò nel 1977 con lo scioglimento della Federazione e suggellato

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dall'assassinio nel 1981 del presidente egiziano Anwar Al-Sadat, successore di Nasser, morto nel 1970; Sadat verrà sostituito da Hosni Mubarak, che resterà stabilmente al potere fino al 2011. L'ideale panarabista verrà portato avanti dal leader del Baath iracheno Saddam Hussein, il cui obiettivo era la creazione del Grande Iraq, che comprendesse Kuwait, Siria, il Levante e parte dell'Iran, ma al contrario dei leader del Nord-Africa esportò le proprie idee con la guerra e con la guerra venne fermato, creando nel 2003, dopo la sua deposizione che porterà ad un'impiccagione nel 2006, il primo avamposto della democrazia di stampo americano in Medi Oriente, che porterà alla prima esplosione di violenza settaria su scala nazionale di una lunga serie che saremo destinati a vedere.

Inno della Siria Baathista Inno della Libia di Gheddafi Inno dell'Egitto di Sadat Inno dell'Iraq Baathista

Ma non tutti i leader nazionalisti furono laici, se di laicità si può parlare per un uomo come Gheddafi o per altri leader successivi: spicca su tutte le personalità post-monarchiche Hajj Amin Al-Husseini, dove Hajj sta ad indicare lo stato di persona che ha compiuto il pellegrinaggio alla Mecca, il grado più basso dell'onorificenza religiosa islamica; eppure, nonostante la sua statura spirituale quasi nulla venne eletto Gran Mufti di Gerusalemme e diede vita al primo movimento nazionalista palestinese negli anni '30, prima della creazione di Israele, e si distinse per le velleità antisemite e filonaziste: «Molti interessi comuni esistono tra il mondo islamico e la Grande Germania e questo rende la nostra collaborazione un fatto naturale. Il Corano dice:Voi vi accorgerete che gli ebrei sono i peggiori nemici dei musulmani. Vi sono considerevoli punti in comune tra i principi islamici e quelli del nazionalsocialismo, vale a dire nei concetti di lotta, di cameratismo, nell'idea di comando e in quella di ordine. Tutto ciò porta le nostre ideologie a incontrarsi e facilita la cooperazione. Io sono lieto di vedere in questa Divisione una chiara e concreta espressione di entrambe le ideologie.» Avversò sempre gli ebrei e lo Stato di Israele, opponendovisi anche durante la Guerra arabo-israeliana del 1948, cercò di eleggere un suo uomo alla presidenza della Lega Araba ma venne ostacolato e fermato. Importante ricordare una sua frase pronunciata durante la guerra contro Israele. “Io dichiaro il jihād, miei fratelli musulmani! Uccidete gli ebrei! Uccideteli tutti!”

Nasheed (inno di guerra) palestinese

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Parte Terza: Dalle Primavere Arabe al Califfo Nero

Ci ritroviamo quindi in un momento storico cruciale, la cosiddetta Primavera Araba, che al suo sbocciare vede l'intero Mondo Arabo, con le dovute eccezioni (Afghanistan dei Taliban, monarchie del Golfo già citate completamente emancipate dall'Occidente tramite i loro petrodollari, Palestina radicale che si oppone ad Israele e l'Iraq “democratico” teatro di una terribile serie di violenze settarie), quasi completamente laicizzato, pur con la crescente presenza dei Fratelli Musulami e altre organizzazioni religiose che con un tono fortemente critico magdi Allam definisce “terroristi taglialingue”, e stabilizzato.

Le rivoluzioni che caratterizzeranno il 2011 cominciarono il 17 Dicembre 2010 in Tunisia, dove il Presidente Zine el-Abidine Ben Ali veniva pesantemente contestato per le sue politiche sociali, economiche e per la corruzione dilagante nelle istituzioni; dopo un mese di violenti movimenti di piazza che verranno poi chiamati romanticamente “Rivoluzione dei Gelsomini” e causeranno un centinaio di morti il presidente cederà e se andrà in esilio volontario a Jedda in Arabia Saudita, protetto dal re Abd-Allah Al-Saud; questa rivoluzione fu forse l'unica a meritarsi l'appellativo di Primavera Araba, in quanto dopo l'allontanamento di Ben Ali si riuscì ad instaurare una vera democrazia turbata solo dalle infiltrazioni terroristiche dalla Libia. Il vento del cambiamento raggiunse velocemente l'Egitto, dove il leader Hosni Mubarak, successore di Sadat, ormai anziano, governava ormai da trent'anni; la rivolta si accese per gli stessi motivi di quella tunisina: un forte malcontento nella popolazione giovanile sommato alla grande corruzione dell'amministrazione di Mubarak. Nel febbraio 2011 il regime venne abbattuto, dopo svariati spargimenti di sangue che causarono complessivamente 846 vittime, e si giunse a libere elezioni. Qui si differenzia la “rivoluzione” egiziana da quella tunisina e si assimila a tutte quelle che la seguiranno: dalle ceneri del regime di Mubarak, incarcerato, liberticida ma pur sempre laico, derivò l'ascesa della Fratellanza Musulmana trasposta in politica con il partito Libertà e Giustizia guidato da Mohamed Morsi che, ormai infiltrato a ogni livello del tessuto sociale e presente tra la gente con distribuzioni di cibo e medicine ai bisognosi, chiedendo in cambio solo l'iscrizione alla Fratellanza; per far capire al lettore la vera natura di questo movimento mi basta mostrarne il simbolo e spiegarne il motto: la Fratellanza è infatti rappresentata da un corano e due spade incrociate con in mezzo l'ordine “E preparate”, incipit del versetto “E preparate contro di loro forze e cavalli quanto potete, per terrorizzare il nemico di Allah e vostro, e altri ancora, che voi non conoscete ma Allah conosce, e qualsiasi cosa avrete speso sulla via di Allah vi sarà ripagata e non vi sarà fatto torto.” (Corano – 8, 60); dopo una lunga opposizione popolare a Morsi l'esercito nazionale impugnò la situazione e mise fuorilegge la Fratellanza Musulmana, sostituendo nel 2013 il Presidente con Abdel Fatah Al-Sisi, ma la Fratellanza aveva avuto modo di creare importanti metastasi in tutto il mondo arabo.

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Sull'onda dell'entusiasmo per le rivoluzioni avvenute negli Stati vicini, in Libia cominciò una serie di manifestazioni contro Muammar Al-Gaddafi, leader del regime totalitario che da quarant'anni governava il Paese: Il 17 Febbraio 2011 si inaugurarono le cosiddette “giornate della collera”, proteste anche violente contro la censura di Internet operata dal regime del Colonnello Gheddafi. Le forze di sicurezza libiche però, al contrario di quelle tunisine o egiziane, reagirono duramente lasciando diversi morti sul selciato. Contemporaneamente in tutto il Paese si svolgevano manifestazioni in favore del dittatore. In poche settimane i moti di protesta raggiunsero le dimensioni di una vera e propria rivoluzione e gli insorti, appoggiati economicamente da un Occidente che riponeva grandi aspettative in una Primavera Araba generalizzata, cominciarono a prendere il controllo di diverse città; lo stesso Gheddafi denunciò la presenza di frage islamiche estremiste all'interno del composito fronte ribelle ed accusò Osama Bin-Laden e Al-Qaeda di foraggiare i terroristi islamici autoctoni e di inviarne in Libia di stranieri. Il ricorso a mercenari subsahariani da parte del regime pose i ribelli in una posizione di inferiorità, e a quel punto l'Occidente decise di intervenire per abbatere il Colonnello. Con l'appoggio degli europei (Tra cui figurava anche l'Italia) riuscirono facilmente a sopraffare il regime e ad assediarlo dentro le grandi città del Paese. Saif al-Islam Gheddafi, figlio di Muammar, disse: “L'opzione A è vivere e morire in Libia, l'opzione B è vivere e morire in Libia, l'opzione C è vivere e morire in Libia.” Ma, annientato il regime su tutti i fronti, Gheddafi fuggì verso il deserto per organizzare un efficace contrattacco ma venne catturato e giustiziato sommariamente assieme al figlio Mutassim. Lanciò un ultimo avvertimento prima di capitolare: “Se Al-Qaeda dovesse conquistare la Libia il caos si allargherebbe anche al Medioriente, Israele compreso.” Parole quantomai profetiche. Dopo la caduta e la morte di Gheddafi venne istituito in Libia un governo provvisorio che sostituisse lo Stato totalitario, e come presidente venne scelto un rappresentante delle forze islamiche che avevano provocato lo scoppio della guerra. Nel 2014 il generale Khalifa Haftar si oppose alle bande terroristiche islamiche che monopolizzavano il paese e scatenò la seconda guerra civile libica, in cui il paese si trova coinvolto tuttora.

Il 15 Marzo scoppiò allo stesso modo la Guerra Civile che da cinque anni insaguina il medioriente ed ha dato origine alla più aberrante versione del terrorismo islamico dai questo secolo: Lo Stato Islamico. A Daraa, nel sud della Siria, l'esercito sparò sulla gente che manifestava contro lo stato totalitario baathista del Presidente Bashar Al-Assad, erede e successore di Hafez Al-Assad, al potere dal 2000, dopo la morte del padre e del fratello inizialmente destinato a succedergli. Rapidamente le proteste si trasformano in lotta armata con la comparsa sul campo di entità quali Jabhat

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Luigi Tramonti

Al-Nusra dell'Emiro Al-Julani, braccio armato locale della Fratellanza Musulmana che abbiamo già incontrato parlando dell'Egitto, lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL) del non ancora Califfo Al-Baghdadi e altri aspetti minori della stessa minaccia islamica. Il Regime degli Assad, in quattro anni di guerra perde il controllo di metà del territorio nazionale e rimane trincerato nell'Ovest del paese mentre l'Est diviene preda della ferocia delle bande islamista.

Il vero evento spartiacque nella Storia del terrorismo islamico si verificò il 29 Giugno 2014: la proclamazione del Califfato in Iraq e Siria da parte del leader dell'ISIS (Stato Islamico dell'Iraq e della Siria) Abu Bakr Al-Baghdadi, che assunse il nome di Califfo Ibrahim per l'occasione e avviò un'avanzata inarrestabile in Iraq e in Siria che destò subito la preoccupazione dell'Occidente e degli stessi Stati Arabi interessati dalla sua opera di conquista. La volontà e l'obiettivo ultimo del Califfo Nero è quella di ricreare l'Impero Islamico, quello iniziato dal primo Mehmet (il Profeta Maometto), che conquistò il potere dall'Arabia fino a tutto il Medioriente, il Nordafrica, la penisola iberica fino a qualche cittadina francese, la Sicilia, la penisola anatolica, la Grecia e i Balcani fino a Vienna. Con una conoscenza del Corano e dell'Islam immensa e una retorica che lo è altrettanto Al-Baghdadi ha conquistato le masse dei ribelli siriani sperdute nell'inferno anarchico della Siria della Guerra Civile e le masse sunnite irachene escluse dal potere dopo la caduta di Saddam e l'avvento del governo sciita. Ha poi avviato una vera e propria guerra totale contro gli apostati combattuta su due piani: il primo sul terreno in Siria, Iraq, nella Seconda Guerra Civile Libica, in Yemen e con i propri affiliati in innumerevoli altri territori di Africa e Asia; il secondo in Europa, con un terrorismo autoctono ed endogeno che mira a scardinare i principi alla base della nostra civiltà. La deriva islamista ha colpito anche paesi che si erano, in questo vortice di rivoluzioni e colpi di Stato, mantenuti laici, come la Turchia, ora retta dal neo-ottomano Erdogan, o l'Algeria e il Marocco, dove i partiti radicalisti hanno conquistato democraticamente nelle ultime elezioni sempre più seggi.

Nasheed dello Stato Islamico Inno dello Stato Islamico

Parte Quarta: il terrorismo autoctono e il Tradimento dei valori dell'Occidente

In questi ultimi tempi, particolarmente dopo l'affermazione dello Stato Islamico a cavallo di Siria e Iraq, si è sviluppato un particolare tipo di terrorismo islamico all'interno dell'Europa: il terrorismo autoctono, ovvero un terrorismo praticato all'interno di una comunità da un membro stesso della comunità, in questo caso da

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[KYRIE ELEISON]

Luigi Tramonti

cittadini di seconda o terza generazione, figli o nipoti di immigrati provenienti da paesi arabi. Questo tipo di terrorismo è particolarmente subdolo e sfuggente in quanto si sostanzia in piccole cellule composte da poche persone che si riuniscono attorno ad un imam locale foraggito dall'oro di Raqqa o dei Saud, interessati a diffondere in Europa la loro ideologia liberticida e assassina. Un giovane cittadino di terza generazione, venendosi a trovare escluso nelle città di un'Europa sempre più in crisi sia economicamente sia sul piano valoriale, si trova costretto ad appoggiarsi all'unico ente che gli dà sicurezza, la Moschea, Madrasa o Comunità islamica del suo quartiere, e se in quest'ultima, com'è molto probabile venendo queste realtà finanziate da oltremare, vengono propagandate le leggi dell'Islam più integralista è lampante che il giovane in questione rimanga preda di tutto ciò, convertendosi e al limite diventando un aspirante martire pronto a farsi uccidere per eliminare gli apostati europei.

Questo dovrebbe venir percepito da tutti noi come un tradimento degli ideali di libertà che propagandiamo e di cui da decenni siamo, come Europa, i principali promotori nel Mondo. Questi uomini all'interno dei nostri confini nazionali creano delle enclave dove vigono le leggi sharaitiche e non quelle dello Stato in cui sono ospitati, perché nella gran parte dei casi è questo che sono i teroristi islamici che poi vanno a farsi esplodere negli aeroporti e nelle metropolitane: ospiti, gente che noi, secondo i principi di libertà e democrazia nonché di solidarietà che ci guidano, accogliamo e a cui forniamo tutto il necessario per sopravvivere lontana dall'Inferno in cui si è trasformato dal 2011 il Medioriente.

Come il Califfo Nero sferra il suo attacco su due livelli, quello europeo e quello mediorientale, su due livelli noi dobbiamo difenderci e all'occorrenza contrattaccare: a livello europeo favorendo una maggiore integrazione dei cittadini di seconda o terza generazione già presenti nelle nostre città, chiudendo le frontiere per impedire che i migranti che partono dal territorio dell'emirato di Sirte controllato dall'ISIS, debitamente selezionati da Ar-Raqqa e accompagnati da jihadisti, piccola criminalità della costa libica e mafia nostrana, infiltrino entro i nostri confini armi umane pronte a colpire in qualsiasi momento, perquisendo e all'occorrenza chiudendo i luoghi di ritrovo di queste cellule, queli moschee, madrase e centri islamici; a livello mediorientale invece dovremmo appoggiare economicamente e militarmente i movimenti armati sciiti e curdi nonché gli ultimi regimi sciiti che ancora si oppongono all'avanzata islamista e costituiscono l'ultimo baluardo della secolarità contro le velleità di islamizzazione della Fratellanza Musulmana e del Califfo Nero e se dovesse diventare necessario, e per molti versi già lo è, invadere “boots on the ground”, con soldati sul terreno, la Libia, per sbrigliare l'intricata matassa della Seconda Guerra Civile, dove non esiste un nemico da guardare negli occhi, ma solo bande fanatiche da sradicare.

In ultima istanza vorrei quindi spiegare il titolo che ho scelto di dare a questo approfondimento alla luce

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[KYRIE ELEISON]

Luigi Tramonti

dell'esposizione di tutti gli argomenti necessari: “Kyrie Eleison”, “Signore, pietà”, è un'antica preghiera cristiana scritta in greco, una preghiera che probabilmente si levava da tutte le chiese e case di Costantinopoli mentre nel 1453 era assediata dall'esterno da Mehmet II il Conquistatore, Sultano Turco che disponeva di formidabili armi, come il gigantesco cannone Mahometta o il formidabile corpo dei Giannizzeri, guerrieri allevati fin da piccoli con l'unico obiettivo di sterminare i nemici del Sultano o rinnegati cristiani che si dimostravano più sanguinari dei commilitoni per dar prova della sincerità della loro conversione, guerrieri senza paura della morte o della prigionia; ed era martoriata all'interno dalle conversioni e dalle violenze dei “convertiti” all'Islam. Vedo in questa situazione che Costantino XI Paleologo si trovò ad affrontare in qualità di Imperatore Cristiano molte similitudini con ciò che ci circonda attualmente. Con la speranza che a noi dia più Forza e Volontà di quanta ne diede ai soldati dell'Impero Bizantino: “Kyrie, Eleison!”, “Signore, pietà!”.

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REFERENDUM DOMENICA 17 APRILE


IL CONVEGNO

gender a scuola, l’ultima follia di una società malata.

È

il titolo dell’evento, in programma all’URBAN Center di Rovereto martedì 19 aprile 2016 – ore 20,30, del quale siamo promotori e che prevede una serata informativa su quel che avviene nelle scuole italiane anche all’insaputa, o peggio contro la volontà, delle famiglie. La teoria del GENDER che incombe sui nostri ragazzi, introdotta a forza in ogni ordine e grado delle nostre scuole è l’elemento protagonista di quest’incontro che si prefigge di raccontare, alle persone che vorranno essere presenti ed alla stampa, i fatti così come sono, né più né meno.

nostre giovani generazioni; il nostro auspicio e dare alle famiglie degli strumenti per “comprendere” l’indottrinamento al quale, in alcune realtà, sono sottoposti e delle indicazioni su come, eventualmente, reagire; siamo certi che quel che oggi accade nel resto del Paese domani farà capolino anche nella nostra Regione nonostante le assicurazioni e gli spegiuri di

tutte Istituzioni interessate; dobbiamo essere pronti a farvi fronte senza indugi, senza remore, senza tentennamenti perché in gioco c’è non solo il nostro futuro ma, certamente, l'avvenire dei nostri ragazzi.

Dipartimento Famiglia e Difesa della Vita Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale Trentino

Sono stati scelti quindici casi distribuiti tra scuole d’infanzia, scuola primaria e secondaria, abbiamo aggiunto, per completezza anche tre casi internazionali per avere una panoramica che guarda anche a quanto avviene in Europa. I casi sono stati selezionati cercando di fornire una panoramica variegata di eventi, traendo informazioni dalla vasta documentazione di PROVITA, di COMITATO ARTICOLO 26 e da quanto i media hanno portato a nostra conoscenza. Per tutti questi episodi abbiamo cercato di fornire una documentazione di supporto che ci consente di presentarci come portatori di verità e non di menzogne, cosa di cui, purtroppo, siamo stati, e siamo, spesso tacciati. A tutti noi l’augurio di riuscire a “portar via” qualcosa da questa serata e di accrescere nelle persone a noi vicine la consapevolezza di quello che la scuola italiana sta offrendo alle

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LA RECENSIONE

MASSIMO FINI, Il denaro “Sterco del demonio”

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(Venezia, 2003)

uesto mese vorrei le condizioni propizie per suggerire la espandere a pieno tutte le sue lettura di potenzialità, realizzando un’opera a mio compiutamente la propria natura avviso molto tautologica ed autoreferenziale. importante, pur Diversi fenomeni per Fini nel suo carattere hanno reso possibile questo divulgativo. L’opera in questione risultato finale. Fenomeni diversi è Il denaro Sterco del demonio di eppure convergenti. Da un lato la Massimo Fini. In questo testo rivoluzione scientifica, che ha Fini ripercorre la storia del despiritua denaro, che è qualcosa che lizzato il Peccato che il prezzo bisogna tenere distinto mondo, da pagare sia stato dalla moneta, che ne è solo riducendo quello della distruzione il supporto fisico. Per Fini il lo a pura dell’umanità denaro, nel corso della materia e storia dell’umanità, da meccanis semplice mezzo, da strumento mo. Dall’altro la riforma nelle intermediazioni, è divenuto protestante che, soprattutto fine. È questo del resto, secondo nella sua variante calvinista, ha lui, il destino comune a tutto ciò dato la sua benedizione ad ogni che ha una natura “tecnica”: attività di speculazione e di l’uomo pensa di poterlo utilizzare arricchimento senza misura, a proprio piacimento, pensa di vedendo in esse addirittura un esserne il signore e poi, a poco a segno dell’elezione divina. Infine, poco, ne diventa invece lo strettamente legato ai schiavo. precedenti, la nascita del Il testo di Fini è a metà strada capitalismo monetario moderno fra opera filosofica e storica, in cui il fine della produzione non perché accanto alla riflessione è più quello dello scambio di beni generale sulla natura del denaro, necessari alla sussistenza sulla sua essenza metafisica, in dell’uomo, ma il fine diventa il quanto il suo valore è qualcosa guadagno in sé, ossia l’accumulo che trascende il piano fisico, di denaro, in una spirale che, per l’autore ripercorre l’avvicendarsi definizione e dato il carattere storico delle diverse forme di “metafisico” del denaro, non può economia. Da quella antica Fini mai giungere ad una conclusione passa a descrivere quella (di qui rileva Fini i fenomeni di medievale, in cui l’importanza del denaro praticamente scompare, per cause tanto “materiali”, quali la contrazione dei commerci, quanto “spirituali”, per via della condanna da parte del cattolicesimo medievale contro le attività di commercio e, ancor di più, verso le attività di prestito ad interesse, in cui il denaro genera “diabolicamente” altro denaro. Infine si giunge alla modernità in cui progressivamente il denaro trova

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di Simone Marletta induzione artificiale di nuovi bisogni, l’“obsolescenza programmata” dei prodotti, ecc..). C’è poi per Fini un altro elemento fondamentale che viene introdotto nella modernità e che qui vorrei richiamare: la rivoluzione del tempo. Prima, nell’antichità e nel medioevo, il tempo prevalente in cui le persone vivevano era quello del presente, era il tempo circolare dei ritmi naturali, ora invece, attraverso un processo di secolarizzazione del tempo cristiano, il tempo per eccellenza diventa il futuro. Ed è su questa ansia del futuro, su questa perenne inquietudine che farà le sue fortune il capitalismo moderno. Ecco quindi che nell’economia finanziarizzata moderna, nella età delle borse, il denaro può finalmente assumere a pieno la sua natura propria. Peccato che il prezzo da pagare sia stato quello della distruzione dell’umanità, intesa nel senso più alto che ha questo termine, e dell’instaurarsi di un mondo in cui tutto ha un prezzo (vedi utero in affitto…). In quest’opera, in conclusione, io vedo raccolti una serie di temi critici fondamentali, qui rapidissimamente accennati, per tutti coloro che intendono lottare contro la dittatura dei tecnocrati, siano essi i funzionari che lavorano a Bruxelles, siano essi i passacarte che siedono nei parlamenti delle nazioni europee (Roma inclusa naturalmente). Massimo Fini prosegue in quest’opera quella attività di demolizione di alcuni pregiudizi moderni e progressisti che aveva intrapreso in un suo precedente lavoro altrettanto illuminante: La ragione aveva torto? Buona lettura!

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L’ANGOLO DE LA PENNA NERA

controeditoriale

S

perando che lo abbiate notato, Penna Nera si è assentato per qualche tempo, no tranquilli, non sono stati quelli de “La Spada di Damocle” che mi censuravano, era proprio Penna Nera che poltriva su un divano, riflettendo sulla “Domanda Fondamentale sulla Vita, sull'Universo e Tutto quanto”. Adesso che il sopracitato divano ha preso la forma di Penna Nera, è giunto il momento di rivelare le inutili conclusioni di un altrettanto inutile periodo di sofferta riflessione e la risposta sorprendentemente non è 42. Il punto di partenza dei viaggi mentali di Penna Nera è stato: “Perché tanto odio verso la politica?”, la risposta più semplice potrebbe essere “Perché rubano” oppure “Perché vorrei avere i loro benefici e i loro soldi”, ma sarebbe una risposta terra terra e, per quanto fosse affascinante una risposta semplice, era altrettanto poco soddisfacente. No, la risposta alla quale Penna Nera è giunto è: “Perché abbiamo escluso un fattore centrale nell'equazione che fa funzionare la politica e che la rende un mestiere onorevole e onesto: l'ideologia”. Da troppi anni infatti, chi fa politica ha iniziato a escludere l'ideologia dal bagaglio culturale e dal modo di fare concretamente il mestiere di politico, prima con partiti nati probabilmente per un certo grado di interesse personale, ma privi di un'ideologia, tranne quella dell'adorazione del Capo, poi con partiti che fondano tutta la loro ideologia su slogan semplici e immediati, da cambiare all'occorrenza, da “Roma Ladrona” a “Andiamo di Ruspe”, saltellando qui e là,

di Penna Nera intercettando lo slogan che più fa guadagnare voti e sfruttandolo, fino al prossimo slogan, senza un'idea precisa, ma solo l'opportunismo del momento.

regge in piedi, scivola, informe, senza poter decidere dove va.

Forse è proprio questa mancanza di un'ideologia precisa, qualunque essa sia, di sinistra o di destra, che rende la politica Lo stesso partito che dovrebbe dei nostri giorni un guazzabuglio essere l'espressione della sinistra di affaristi, personaggi che italiana, ha lentamente, dicono tutto e il contrario di silenziosamente e tutto, approfittatori e qualche inesorabilmente cancellato persona onesta che, guarda caso, l'ideologia comunista dal proprio rimane ancorata a un partito che DNA, diventando semplicemente ha ancora un'ideologia a “la versione fotocopia di Quelli supporto, che ha delle linee che adorano il Capo, ma stando guida ben precise, nelle quali chi presumibilmente a elegge si riconosce e sinistra”. Che poi di governa Da troppi anni infatti, chi chi comunismo non sia fa politica ha iniziato a dovrebbe rispettare, rimasta traccia, quelli non escludere l'ideologia dal ma tranne forse un contano nulla. bagaglio culturale e dal Presidente del Perché se non c'è modo di fare Consiglio che si è questa premessa, se concretamente il auto eletto, nella non esistono linee mestiere di politico migliore tradizione guida, ogni giorno chi governa del comunismo totalitario, poco può decidere cos'è meglio per se importa: tutti dicono che sono a stesso, non per i propri elettori, sinistra, gli crediamo sulla parola, tanto non ha mai abbracciato anche quando cancellano i diritti un'ideologia che gli dia dei lavoratori. un'impronta, una traccia da L'apice del nulla assoluto è seguire, una filosofia politica che arrivato con la versione in gli imponga dei doveri nei qualche modo più simpatica di confronti dei suoi elettori. Quelli che adorano il Capo, in Noi italiani poi non vediamo l'ora versione più comica essendo di essere “protagonisti a tutti i Quelli che adorano il Comico: la costi” e di sicuro votare per loro ideologia è che non esiste questi mostri senza spina dorsale l'ideologia, la negazione totale è pratico: prendiamo quello che che lascia gli elettori senza ci interessa e non dobbiamo far qualcosa di preciso in cui altro che odiare chi non la pensa identificarsi, ma permette loro di come noi. Dimenticando che è identificarsi in quello che capita, dal confronto, (e qualche volta dalle lotte per le fantomatiche scontro), delle idee che si scie chimiche a quanto ci si è raggiunge la soluzione migliore divertiti al VaffanculoDay, per tutti e non solo per alcuni, scrutando Facebook per trovare che statene certi, non sarete mai qualcosa di nuovo in cui credere voi, ma quei pochi eletti che dal lunedì al mercoledì, poi un'ideologia ce l'hanno, ma che giovedì pensiamo a cosa credere purtroppo è : fare i propri per il week end. interessi, con i vostri soldi, Togliere alla politica l'ideologia è mentre vi scannate su Facebook come togliere ad un corpo lo e il resto del mondo ci deride. scheletro: magari sopravvive, ma rimane privo di forma, non si

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Penna Nera

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Il racconto

Adelphoi

LUIGI TRAMONTI


Adelphoi

I crivi ad Antonio, e fai in fretta, non possiamo permetterci che le notizie che giungono a Roma siano ormai superate, soprattutto ora che siamo così vicini al Trionfo, così vicini al potere assoluto.” Il senatore fissò il Dictator, seduto sulla seggiola destinata al comandante supremo, strabuzzò gli occhi e con un filo di voce chiese:” Cosa devo scrivere ad Antonio, proconsole?” Si era riferito a lui utilizzando il titolo dovutogli per la carica che ricopriva prima di oltrepassare il Pomerium, il limite impostogli dalle leggi repubblicane, e mettersi così contro l'intero Mondo conosciuto. Alla testa di cinquemila uomini e trecento cavalli , Cesare aveva mosso contro l’ Universo. E ora si trovava lì, a Munda, in Hispania, ad affrontare gli ultimi rimasugli dell'armata di Pompeo, morto in Egitto tempo addietro, capitanata dai suoi figli Gneo e Sesto e dal suo fido luogotenente di un tempo Tito Labieno. Davanti a quel vecchio politicante che arrancava al suo cospetto Giulio Cesare non poté fare a meno di pensare a Labieno, a come si sarebbe comportato lui in quella situazione; avrebbe già scritto ad Antonio di sua iniziativa giorni prima, rigorosamente in codice cifrato, e questo gli avrebbe permesso di disporre di tre legioni di soldati freschi al confine delle Gallie, e non di soli uomini spossati reduci dalla campagna d'Africa. La mente gli corse al giorno in cui aveva deciso di attraversare il Rubicone, confine invalicabile per una legione. «Ecco l'uomo che dobbiamo combattere. Ha tutto, gli manca solo la buona causa.» aveva detto Cicerone in Senato, ma aveva torto, lui una buona causa la aveva, avrebbe salvato la Res Publica dallo sfacelo in cui quei vecchi ingordi l'avevano gettata. Non appena Munda e

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i repubblicani fossero caduti avrebbe restituito il Governo al popolo e avrebbe vigilato su di esso in qualità di Dictator Perpetuus, come Rex. Labieno non era stato d'accordo, aveva raccolto la sua guardia personale ed era passato ai Pompeiani assieme alla sua guardia del corpo. «Abbiamo perso duecento uomini e un parassita!» mormorava la truppa; ma Cesare sapeva di aver perso un amico e il più fedele e geniale alleato su cui potesse contare. Da quel momento si era sentito veramente solo, qualsiasi tradimento avrebbe potuto subire, ma nessuno lo avrebbe ferito come quello di Labieno, il bambino che si era addestrato con lui mentre Roma veniva messa a ferro e fuoco da Mario e Silla, il generale che marciava al suo fianco contro orde di barbari oscuri negli angoli più remoti del mondo, l'amico con cui, solo tra tanti nella sua vita, aveva potuto confidarsi. Non aveva mai pianto nella sua vita, né per la figlia Giulia né per il resto della sua famiglia, e quelle versate sulla testa di Pompeo non erano state vere lacrime, ma per Labieno aveva pianto, e aveva giurato che lo avrebbe riavuto con sé, avrebbe avuto il suo regno e una tomba su cui piangere. Per lui in quel momento Labieno era morto, aveva voltato le spalle a tutto quello che era stata la loro vita da camerati, aveva offerto la propria spada ad un altro comandante e aveva finito per guidare il fronte a lui avverso; Labieno per lui era morto, e, in un modo o nell'altro, a Munda si sarebbe trattato solo di ufficializzare la sua dipartita. II Gli eserciti erano finalmente schierati davanti a lui, le armature risplendevano e sfavillavano dando l'impressione di essere in movimento anche da ferme. I cimieri degli elmi romani erano mossi dal vento e le espressioni dei soldati erano

~ II ~


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pietrificate, entrambi gli schieramenti erano certi di come sarebbe finita. “Attenti, Labieno ha spesso combattuto per la vittoria, ma oggi combatte per la propria vita.” la voce di Cesare era di ghiaccio e mentre parlava i suoi occhi di un nero profondo cercavano l'antico nemico tra le fila dei pompeiani. D'un tratto le truppe repubblicane cominciarono a marciarono a marciare verso quelle cesariane; “Incredibile Cesare! Attaccano loro!” “Senatore, si trovano in favore di pendio e in superiorità numerica, pur senza un condottiero di rilievo alla loro testa hanno trovato il coraggio di attaccare. Ma non disperare, oggi si decide della mia Opera, non vinceranno. Date ordine al principe Bogud di attaccare!” Quando le due armate vennero a contatto non si udì altro che un terribile cozzare di scudi e le spade cominciarono a tingersi di rosso; non passò molto tempo che l'ala destra cominciò a cedere, sottoposta alla pressione di un nemico superiore per numero, mezzi e motivazione. “Non posso permettere che le truppe cedano ora che Bogud non è ancora intervenuto, ti affido il comando, la truppa ha bisogno di me.” Strillò al nipote Ottaviano che lo seguiva come attendente e apprendista, dopodichè montò a cavallo e raggiunse la prima linea, tra scintillii di lame e grida di furore. “Avanti miei leoni! Volete diventare degli eroi? Avanti nel nome di Roma! Nel nome di Cesare!” I muscoli dei legionari parvero tendersi e diventare d'acciaio temprato, alla sola vista del comandante supremo le truppe, galvanizzate, stavano contenendo l'inarrestabile slancio dei pompeiani. Le lance trafissero decine e decine di repubblicani, riguadagnando a Cesare alcuni metri preziosi sul pendio. In quel momento la riserva di Bogud sorprese il nemico da tergo incalzandolo mentre gli offriva la schiena, e lasciandolo così ad annaspare tra una tenaglia che l'avrebbe velocemente

~ III ~


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annientato, se lo stesso Labieno con i duecento del Tradimento non fosse uscito dalle mura di Munda. “Fermatevi! Lo voglio vivo!” gridava Cesare da un settore ormai sgombro dai nemici. “Avanti! Per il Dictator!” spronava i suoi soldati il principe mauritano Bogud. Labieno combatteva in silenzio, vorticava il gladio troncando teste, avvolto nel suo mantello, rosso come la fiamma del tramonto. Perfino il più infimo dei soldati si accorse del valore di quell'uomo e capì perché Cesare avesse voluto al suo fianco un simile titano. Ma nemmeno il più resistente tra i mortali avrebbe potuto resistere da solo, e ben presto Labieno si ritrovò solo, e scomparve sotto una gragnuola di colpi. III Stava progettando gli ultimi rastrellamenti della città quando vennero a chiamarlo: “Signore, è Labieno, è cosciente e vuole parlarvi.” Il Dictator si lasciò alle spalle l'etichetta richiesta a un uomo che si era appena conquistato sul campo il potere assoluto, il diritto di tenere in pugno le sorti del Mondo; corse fuori con addosso la toga da ricevimento, inzauppandola di fango e della pioggia che si era scatenata dopo la fine della battaglia, come se gli dei volessero lavare via dall'Hispania il ricordo di una simile guerra fratricida. “Gaio...” “Tito.” “Sto per andarmene nell'Ade, non parlarmi come se avessi del tempo per portare rancore...” “Hai preso le armi contro di me.”

~ IV ~


Adelphoi

“No, non contro di te, in favore della Repubblica...” “Non hai nessun valore, Labieno? Amicizia, Fratellanza, sono parole vuote per te?” “Libertà...” “Tradimento.” Un rivolo di sangue gli uscì dall'angolo della bocca. “Addio, Gaio... fratello...” “Fratello.” Tito Labieno chiuse gli occhi per sempre e Gaio Giulio Cesare, Dictator Perpetuus della Res Publica Romana, l'uomo più potente del Mondo, Zeus in Terra, pianse. Per l'ultima volta una lacrima uscì dai suoi occhi neri come l'Inferno.

~V~


Il romanzo

Il leone, la quercia, le aquile

CAPITOLO V

PAOLO LORENZONI


Il leone, la quercia, le aquile

CAPITOLO V cavalli lo avevano sempre affascinato; erano animali grandi e potenti in grado di coniugare forza ed irruenza. Allo stesso tempo però potevano essere docili e mansueti, la loro intelligenza gli permetteva di instaurare un legame speciale con il cavaliere assorbendone quasi una parte di umanità. Leone non aveva mai posseduto un cavallo, era un acquisto fuori dalle possibilità della famiglia, ma a volte da ragazzino si recava in campagna, da amici o conoscenti, per ammirare da vicino questi animali maestosi ed aggraziati. Dovette aspettare di arruolarsi per imparare a cavalcare e, anche se non poteva definirsi un buon cavallerizzo, l’affinità innata con i cavalli lo aveva favorito nell’apprendere i rudimenti dell’equitazione. In artiglieria, comunque, il ruolo degli equini raramente si discostava dal traino dei pezzi e delle vettovaglie. Doveva ammettere che più di una volta aveva osservato a bocca aperta sfilare gli imponenti squadroni della cavalleria austro-ungarica durante le cerimonie pubbliche o le manovre militari. In quelle occasioni il suo cuore provava sempre un moto d’invidia verso quei giovani ufficiali dei dragoni, degli ussari o degli ulani ma sapeva che quei ruoli erano ancora in gran parte appannaggio della nobiltà. Quella mattina del tre novembre 1918 Leone fu svegliato dallo stesso rumore che tante volte lo aveva attratto ma anche, in un certo senso, fatto sentire inadeguato: il sordo rimbombo cadenzato di centinaia di zoccoli al trotto. Lo ascoltò per alcuni secondi rivedendo dietro gli occhi chiusi sfilare i ricordi di cavalieri ungheresi, polacchi, balcanici dalle divise sgargianti e dagli elaborati cimieri. Poi aprì le palpebre lasciando filtrare piano

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Il leone, la quercia, le aquile

la luce, doveva essere mattina presto, aveva dormito al massimo qualche ora. Alzando lo sguardo vide la bandiera italiana sventolare nel cielo dove le stelle avevano lasciato il posto alle nubi color del ghiaccio. Mano a mano che riprendeva coscienza del suo corpo lo scopriva intirizzito dal freddo e martoriato dagli acciacchi maturati nella giornata precedente. Ai piedi del castello stava accadendo qualcosa ma, nonostante il suo cervello comandasse alle membra di muoversi queste ultime ignoravano l’ordine come marinai ammutinati. Non gli restò altra scelta che restare ancora qualche minuto raggomitolato sulla nuda pietra squadrata del torrione del castello, sulla quale aveva passato la notte, ad ascoltare. Ad un tratto giunse al suo orecchio un suono familiare, uno squillo di tromba, molto diverso da quello sentito a Serravalle qualche giorno prima, sicuramente prodotto da una tromba a pera d’automobile. A quel punto la curiosità riuscì a vincere la stanchezza e il dolore e Leone si alzò sporgendosi dal parapetto fra due merlature per cercare di individuare la fonte di quel suono. Nella Piazza del Podestà stava transitando uno squadrone di cavalleria del Regio Esercito in tenuta da combattimento. Elmi, fucili, sciabole, affardellamenti; tutto sobbalzava al ritmico incedere degli animali governati da solidi centauri in grigioverde dallo sguardo fiero e deciso. Per troppo tempo quegli uomini avevano dovuto combattere come la fanteria, spesso negli spazi angusti di una trincea; ora era il momento di tornare nel posto che gli competeva, ad un metro e mezzo da terra in groppa ad un destriero. Il rimbombo degli zoccoli riempiva la piazza che, come un enorme cassa acustica, lo amplificava nell’aria proprio in direzione delle mura del castello e, di conseguenza, dei timpani di

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Il leone, la quercia, le aquile

chi osservava dalla torre. Nonostante il fragore Leone riusciva a percepire lo scoppiettio sommesso di un’automobile con il motore al minimo e quel suono gli accese un lume nella mente. A nulla valse sporgersi ulteriormente dal parapetto o scrutare da altri punti del torrione, se nella piazza c’era un auto era in un punto precluso alla sua vista, doveva scendere da lassù. Appena uscito dal perimetro merlato della torre vide un soldato corrergli incontro agitando le braccia. Avrebbe potuto essere uno degli arditi incontrati la sera prima ma invano la sua memoria intorpidita cercava i lineamenti dell’uomo che gli si parò di fronte trafelato.

lei!

- Tenente dov’era finito? Giù in strada stanno tutti cercando

*** Nel momento in cui vide l'automobile parcheggiata rasente al muro affrescato del municipio, con il motore acceso, capì che la sua intuizione era corretta. La trombetta d'ottone, il cui suono aveva destato Leone, rifletteva un timido sole che da pochi minuti aveva fatto capolino nel cielo di Rovereto. Si trattava di una Fiat Tipo 2B, con la capote completamente aperta come a sfidare la brezza di quella mattina autunnale. Era lunga quasi quattro metri ed il suo motore di oltre duemilaottocento centimetri cubici arrivava ad erogare più di ventotto cavalli vapore. Queste caratteristiche l'avevano portata a diventare l'auto più diffusa nel Regno d'Italia. Il Regio Esercito ne aveva acquistato un buon quantitativo utilizzandola per la prima volta

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Il leone, la quercia, le aquile

durante la campagna di Libia nel 1911, garantendogli lo storico primato di prima auto utilizzata in un conflitto bellico. Quella che aveva di fronte, comunque, non era un auto dell'esercito. Il suo colore verde acceso sembrava una caricatura quasi goliardica dello spento grigioverde d'ordinanza. Leone l'aveva vista centinaia di volte sfrecciare strombettando allegramente nel piazzale antistante il Comando della I° Armata a Verona. Solo due particolari erano nuovi: le grandi lettere R.E. dipinte di bianco sulle alte fiancate e la mitragliatrice americana Colt 1915 montata su di un affusto improvvisato fra i sedili posteriori. Leone era giunto a pochi metri dalla strana macchina da guerra quando dal portone del Palazzo del Podestà uscì il suo proprietario e pilota: il Capitano Livio Fiorio Barone di San Cassiano, suo collega all'Ufficio Informazioni. Livio era trentino come lui ma la sua famiglia emigrò a Verona alla fine dell'ottocento acquisendo la cittadinanza italiana. Fervente irredentista fin da giovanissimo, Livio era stato uno dei primi a prendere le armi da volontario in quella fatidica primavera del 1915 foriera di accese passioni anche di terribili lutti. Il suo ufficio al Comando della I° Armata partoriva arditi piani offensivi, frutto di un assiduo studio delle postazioni nemiche. Le informazioni sugli apprestamenti nemici derivavano da foto aeree, interrogatori di prigionieri, interpretazioni della morfologia del territorio e notizie di spie e ricognitori, molte volte pagate col sangue di valorosi senza nome. L'ora dell'azione era giunta finalmente, quest'oggi Livio era li; l'impeccabile uniforme di sartoria gli fasciava il corpo in maniera perfetta e sul suo collo le stellette dorate risaltavano come veri astri sul nero velluto delle fiamme da geniere. Il cuoio degli alti stivali, del

~ IX ~


Il leone, la quercia, le aquile

cinturone e della fondina era così lucido che ci si sarebbe potuti specchiare. Nessuno lo avrebbe definito un bell'uomo ma le labbra sottili, il naso aquilino e le orecchie leggermente pronunciate nulla potevano contro lo sguardo fiero, intelligente e penetrante che irrompeva da sotto la visiera arcuata dell'alto copricapo da Capitano. Fra le mani guantate stringeva un'asta di circa due metri con legato un grande tricolore sabaudo e, appena riconobbe Leone, il visi gli si illuminò di genuina gioia. - Ciao vecchio austriaco, dov'eri finito? Avevamo paura che avessi disertato... ancora! La battuta di Livio poteva sembrare fuori luogo, ma lui era così: energico, diretto e a volte irriverente. In ogni modo fu accompagnata da un leggero ammiccamento dell'occhio destro. - Stavo facendo un favore ad un amico. rispose Leone alzando lo sguardo verso la bandiera che giocava allegra con il vento sulla sommità del castello veneto. - ma tu piuttosto, che ci fai così agghindato? Vuoi farmi sembrare tuo cugino povero? Questa volta aprì le braccia mostrando la sua uniforme inzaccherata, logora e insanguinata che solo quarantott'ore prima assomigliava, vagamente, a quella dell'amico.

~X~


Il leone, la quercia, le aquile

- Oggi è un giorno speciale e le persone a modo si vestono in maniera consona... - e quel tricolore è la tua arma? - in un certo senso spero diventi la mai armatura. La scritta Regio Esercito sulle fiancate potrebbe non bastare a qualche contadino analfabeta, mi serviva questa per dimostrare che stiamo dalla stessa parte ed evitare qualche scoppiettata “amica”. Nel dire questo fissò la lunga asta fra i sedili posteriori dell'auto, in fianco all'arma automatica rivolta al cielo, per poi ammirare il lavoro annuendo col capo in segno di compiacimento. Dall'auto poi estrasse un fagotto; quando lo aprì un aroma intenso si insinuò subito nelle narici di Leone. - Mandorlato “della Vittoria”, sfornato stanotte dalla mia pasticceria di fiducia in Verona. Immaginavo non avessi fatto colazione. In quel momento si ricordò che non toccava cibo da più di ventiquattrore e, dopo aver ringraziato l'amico consumò il gradito omaggio ascoltando le parole di Livio e rispondendo a monosillabi.

~ XI ~


Il leone, la quercia, le aquile

- Stavo cercando proprio te, mi ha mandato Marchetti dopo aver ricevuto la tua comunicazione. - Quale? - La presa della città , il Comando ha captato un rapporto dalla stazione telefonica del castello, abbiamo capito subito che c'era il tuo zampino anche se hai complicato tutto non presentandoti a nessuno. - Avrebbe potuto essere chiunque. - Quegli zotici di arditi non saprebbero distinguere la canna di un mortaio dall'attrezzo che usano per pisciare! Figuriamoci se avrebbero riconosciuto un obice da 30,5 cm austro-ungarico. Ripensandoci, in pochissimi che vestivano la divisa italiana ne avevano visto uno, forse solo lui. A quel punto il dolce era sparito, ma non la curiosità di Leone. - Qual è la situazione militare al momento? - Gli austriaci sono in rotta su tutto il fronte, la battaglia decisiva si è svolta nei pressi di Vittorio Veneto, ora la cavalleria insegue un esercito di sbandati che gettano le armi, hanno avuto finalmente la loro Caporetto!

~ XII ~


Il leone, la quercia, le aquile

- Ed ora che facciamo? Mi riporti a Verona? - Neanche per sogno, non sono mica la tua balia! Il cessate il fuoco è stato fissato per domani alle tre del pomeriggio, l'ordine è di avanzare il più possibile ora che la strada per l'Austria è aperta. Torna a Verona se vuoi, Rovereto era l'antipasto, ora c'è la torta grande da azzannare, io vado a Trento! Un attimo di silenzio, uno sguardo complice, un sorriso abbozzato, non ci fu bisogno di aggiungere nulla. Quando entrambe le portiere si chiusero all'unisono l'auto stava già sfrecciando veloce, verso Nord.

~ XIII ~


IN RICORDO DI ENZO LA TORRE Il primo numero de La Spada di Damocle è uscito nell'agosto del 2015 dopo un paio di mesi di elaborazione. Non aveva ancora un nome né tantomeno una forma quando si parlò per la prima volta di curare una sorta di giornalino, un appuntamento mensile di approfondimento ed analisi. A proporcelo Enzo La Torre, uno degli storici volti della destra trentina, uomo la cui passione politica iniziò tra le fila della Giovane Italia, movimento giovanile del MSI, e continuò sino ai suoi ultimi istanti di vita. Enzo ci ha lasciati ed a distanza di un anno vorremmo salutarlo da qui, dalle pagine di quella creatura che in parte è anche sua. Ciao, Enzo.

APRILE 2016

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