La Spada di Damocle - Febbraio 2016

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SOMMARIO Appuntamenti……………………………………………………………………………………………………………

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Editoriale……………………………………………………………………………………………………………………

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Racconti da est: Gorizia è Italia………………………………………………………………………………….. di Francesca Tubetti e Federico Urizio

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Foibe, il ricordo negato……………………………………………………………………………………………. di Giuliano Guzzo

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Giorno del Ricordo, la memoria al cinema e sul palcoscenico……………………………………. di Elisabetta Sarzi

8-9-10-11

Lettera di licenziamento ai falsari storici di professione…………………………………………….. 12-13 di Marika Poletti La virtù e il corso del mondo……………………………………………………………………………………… di Marco Taufer

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Daniele Estulin: Il Club Bilderberg. La storia segreta dei padroni del mondo……………… di Simone Marletta

15-16

PD-Renzi, la sinistra degli spot…………………………………………………………………………………… di Alberto Sicari

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E nun ce vònno sta’……………………………………………………………………………………………………. 18-19 di Guerrino Soini

IL RACCONTO I Giorni di Mogontiagum……………………………………………………………………………………………. di Luigi Tramonti IL ROMANZO Il leone, la quercia, le aquile – cap. IV (II parte)…………………………………………………………. di Paolo Lorenzoni

I-II

III-XIII



EVENTI

GLI APPUNTAMENTI DI FEBBRAIO

9 febbraio – ore 20.30 COMMEMORAZIONE DEI MARTIRI DELLE FOIBE Largo Pigarelli – TRENTO Dalle ore 17.30/19.30 FdI-AN Trentino sarà presente In Piazza Lodron per informare la cittadinanza

4 febbraio – ore 18.00

ITALIA-RUSSIA. Superare le sanzioni, difendere i nostri valori Palazzo della Regione – TRENTO

21 febbraio TONI CAPUOZZO: PRESENTAZIONE DEL LIBRO “IL SEGRETO DEI MARO’” ROVERETO

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EDITORIALE

serve avere più memoria

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d eccoci ritrovati a febbraio, con un nuovo numero de La Spada. Questo mese vogliamo proporvi uno speciale sulla tragedia del secondo dopoguerra che per troppo tempo è stata taciuta, mistificata, manipolata e ignorata fino ai giorni nostri, dove i libri di storia riducono ingiustamente ad una piccola finestrella a margine ciò che gli italiani “dell’Est” furono costretti a subire: strappati alle proprie case, strappati alla propria terra, umiliati, seviziati, torturati e gettati vivi o moribondi in quelle fosse di cui ancora oggi qualcuno cerca di smentirne l’esistenza. Tutto questo per una sola colpa: essere italiani. Tanta è l’ignoranza generale su questo tema che non mancano strafalcioni e falsi storici (anche sui giornali: ricordo di un articolo locale in cui si descrivevano le foibe unicamente come delle fosse in cui venivano gettati i gerarchi fascisti…roba da non credere, ma deve far riflettere) pur di far entrare la parola “fascismo” a questo triste capitolo della storia del nostro Paese. Ringraziamo inoltre Francesca Tubetti (portavoce provinciale di FdI-AN e assessore alla cultura del Comune di Fogliano Redipuglia) e Federico Urizio (responsabile regionale di Gioventù Nazionale e Presidente provinciale del Comitato 10 Febbraio) per aver contribuito con noi inviandoci il loro scritto su questo tema. Ma in questo numero parleremo anche di Family Day e altre questioni di attualità, oltre a presentarvi una nuova giovanissima firma tra i Racconti de La Spada di Damocle.

Nave che mi porti sulla rotta istriana, nave quanti porti hai visto, nave italiana, nave che attraversi il golfo di Venezia, fragile vai avanti anche solo per inerzia. Portami veloce sulla costa polesana, corri più in fretta corri, una volpe verso la tana, e tu signora bella non sarai più sola: danzeremo insieme nell’arena di Pola. Ascolta in silenzio la voce delle ondeti porterà sicura verità profonde perché in Istria non ti sembri strano: anche le pietre parlano italiano, anche le pietre parlano italiano. Siamo nel Quarnaro e sempre più vicini solo ci circonda la danza dei delfini. E poi Arbe e Veglia ci guardano passare, anche dopo cinquant’anni non si può dimenticare. Ascolta in silenzio la voce delle ondeti porterà sicura verità profonde perché in Dalmazia non ti sembri strano: anche le pietre parlano italiano, anche le pietre parlano italiano. Nave che mi porti sulla rotta di Junger, nave quanta gente è scappata da Fiume pensa agli stolti che in televisione chiamano Dubrovnik Ragusa la bella. Ascolta in silenzio la voce delle onde ti porterà sicura verità profonde perché in Italia non dimentichiamo quanto ha sofferto il popolo istriano, perché in Italia non dimentichiamo quanto sta soffrendo il popolo istriano.

Di là dall’acqua

Compagnia dell’anello

Buona lettura! La Redazione de La Spada di Damocle

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STORIA E MEMORIA

racconti da est: Gorizia è Italia

“C

on l'espressione giorni in cui persone, famiglie, Muro di Gorizia preti, dipendenti comunali, è stata indicata militari chiunque avesse la grave dalla stampa una recinzione colpa di essere italiano, finì nei costituita da una base in progetti di riordino culturale del calcestruzzo larga 50 centimetri comandante partigiano Franco sormontato da una ringhiera di Pregelj, che grazie a questi 40 un metro e mezzo costruita nel giorni si guadagnò l’appellativo di 1947 e collocata lungo il confine Boia di Gorizia. italo-jugoslavo passante Franco Pregelj e il suo IX all'interno della città di Gorizia.” Corpus, quando se ne andarono a Con questa frase la più seguito dell’accordo Alexanderfamosa tra le enciclopedie libere Tito, lasciarono nei cuori dei consultabile su internet definisce goriziani la paura, uno strano la storia di una città senso di inferiorità, Italia o italiani erroneamente paragonata alla sembravano parole proibite che, più famosa Berlino. pur palpitanti in tutti i cuori Gorizia la Nizza sembravano austriaca, Gorizia il timorose di “Italiani di sentimento e di simbolo delle erompere e di nazionalità vogliamo battaglie per l’unità diventare furia nazionale durante la continuare ad esserlo pure d’azione per la di cittadinanza. L’unico Prima Guerra difesa della città, Mondiale, Gorizia una questo almeno nostro punto fermo non città che ha dovuto politico ma morale; e su ciò fino a quel 5 cedere il suo agosto. non scenderemo mai a entroterra, Gorizia Un invito di compromessi” una città che ancora dubbia oggi soffre e cerca il provenienza e luogo in cui portare il fiore del nazionalità aveva convocato per ricordo al proprio padre ucciso la mattina di domenica 5 agosto con la madre delle colpe, quella di 1945 nella sala del cinema essere ITALIANO. centrale numerosi giovani goriziani: non vi era un “La storia che però oggi programma preciso, vogliamo raccontare” ci scrivono tanto che tale Francesca Tubetti, portavoce incontro era stato provinciale di FdI-AN e assessore convocato da gruppi alla cultura del Comune di propendenti verso gli Fogliano Redipuglia, e Federico accordi italo-slavi, se Urizio, responsabile regionale di non proprio Gioventù Nazionale e Presidente decisamente filotitini, provinciale del Comitato 10 ma quella mattina in Febbraio “non è quella della quella sala avvenne tragica morte nelle Foibe, ma ciò che era più quella della rivolta di una Città, di inaspettato. La come un gruppo di uomini può maggioranza erano cambiare il corso della storia, il giovani ITALIANI. popolo di Gorizia, tenace nella Prende la parola sofferenza e generoso nella Sergio Fornasir, guardiamarina riscossa”. della Regia Marina, egli rievoca “40 terribili giorni, quelli di ciò che la lega nazionale fu per i maggio e giugno 1945, quelli vecchi, baluardo di italianità e dell’occupazione slava della città,

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propone di formare un’associazione di giovani, un’associazione che raccogliesse quel retaggio culturale che fu della Lega Nazionale e che costituisca il centro vivo di italianità di Gorizia. È l’atto di nascita dell’A.G.I., Associazione Giovanile Italiana. Fu nominato un comitato promotore, che si riunì per una settimana a casa Stecchina; fu redatto il manifesto programmatico e lo statuto dell’associazione: “Italiani di sentimento e di nazionalità vogliamo continuare ad esserlo pure di cittadinanza. L’unico nostro punto fermo non politico ma morale; e su ciò non scenderemo mai a compromessi”. Nasceva così oltre le più rosee aspettative l’A.G.I., perché era necessario che nascesse e perché rappresentava la ribellione dei giovani ad una situazione insostenibile; era il primo colpo d’ariete al muro della paura che opprimeva Gorizia. Così fu, il 12 agosto la domenica successiva furono, convocati i giovani goriziani sotto il chiaro nome dell’Associazione Giovanile

Manifestazioni pro- Italia a Gorizia in occasione della visita della commissione alleata (1946)

Italiana. Si registrò una partecipazione altissima e gli interventi di Sergio Fornasir, Cino Chientaroli e Carlo Pedroni

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STORIA E MEMORIA vennero tenuti in una sala per la prima volta, dopo quei 40 giorni di sangue, sotto un tricolore senza stella.

troppo a lungo occupata dagli insulti e dalle grida titine. L’A.G.I. ebbe sede in Corso Italia 36, nello stesso palazzo che fu per anni la sede di AN, e fu in Da quella domenica l’A.G.I. quella sistemazione che riuscì a cominciò la sua attività: la prima farsi protagonista nelle trattative manifestazione di coraggio il 17 di pace. agosto per la fine Nel clima di della guerra …vecchi, bambini, donne e tensione dovuto agli contro il uomini riempirono le vie attacchi di violenza Giappone, slavo-comunista ed cittadine e in direzione della sfociata poi in al coraggio italiano violenza a causa finestra del Presidente di Zona dimostrato dai avv. Hugues e del capo di dell’ira di una ragazzi dell’A.G.I., Gabinetto dott. Capon gridarono manifestazione prese stanza nel “ITALIA, ITALIA, ITALIA!” filotitina per un palazzo della tricolore alla Prefettura (già finestra della casa della signora all’epoca affacciata su Piazza Rizzi; il 13 settembre nel teatro Vittoria) la commissione Verdi, al canto di “Suona la interalleata. Fu in quelle giornate, tromba..” e alle ovazioni di “Va’ del 26 e del 27 marzo, che i pensiero…, gridate fino in galleria, ragazzi dell’A.G.I. fecero quello che portarono il corrispondente che nessun altro né prima né del giornale slavo Primoski dopo riuscì a fare in questa città: Dnevnik, livido e furibondo, ad la più grande, gloriosa e uscire dal teatro; la voce commovente manifestazione clandestina “questa è la voce conclusasi nella fiaccolata del 27 dell’Italia - qui Radio Giulia”, marzo 1946, in cui tutta Gorizia seguita dall’inno del Piave, che scese in piazza: vecchi, bambini, ogni sera fino al 24 novembre donne e uomini riempirono le vie parlava di Patria e di coraggio, cittadine e in direzione della riuscì a riportare il 4 Novembre finestra del Presidente di Zona una Gorizia vestita di tricolore avv. Hugues e del capo di con vanto a festeggiare la vittoria Gabinetto dott. Capon gridarono ed a riprendere quella piazza “ITALIA, ITALIA, ITALIA!”.

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Con quella manifestazione l’A.G.I. rianimò ancora di più i suoi cuori. Il suo segretario fu ricevuto il 24 maggio a Roma dal Re e il suo presidente in ottobre, dal Capo di Stato on. De Nicola; fu proprio in quei giorni che a Parigi si decisero le sorti della Venezia Giulia, infauste per Pola, Fiume, Zara e la stessa Trieste, ma quel pomeriggio del 10 ottobre 1946 sfociò nella gioia del popolo goriziano: Gorizia era ITALIA. Fu così, in un susseguirsi di eventi contraddistinti dal coraggio di questi giovani, che il 16 settembre 1947 alle 12.55 sul Castello di Gorizia, per tre volte redenta, sale lentamente il Tricolore d’Italia.” Un tanto per cronaca, a tutti quelli che ci insegnarono e insegnano il valore dei cuori.

Francesca Tubetti portavoce provinciale di FdI-AN e assessore alla cultura del Comune di Fogliano Redipuglia

Federico Urizio responsabile regionale di Gioventù Nazionale e Presidente provinciale del Comitato 10 Febbraio

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STORIA E MEMORIA

foibe, il ricordo negato

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a domanda che torna, nel Giorno del ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, è in fondo sempre la stessa: com’è stato possibile? Perché ci è voluto oltre mezzo secolo perché l’Italia si decidesse a ricordare i propri morti, così crudelmente massacrati? D’accordo le divisioni e le divergenze ma le vittime, almeno quelle, non meriterebbero lo stesso rispetto, specialmente se innocenti? Tanto più che buona parte dei crimini commessi da Tito e dai suoi erano arcinoti da decenni: il Grido dell’Istria del 28 marzo 1946, per esempio, ne riferiva in prima pagina. Per non parlare degli italiani portati via con la famigerata corriera della morte e poi ritrovati nelle foibe: su Il Piccolo di Trieste era raccontato tutto per filo e per segno già il 15 ottobre 1943. Eppure delle foibe per tanto, troppo tempo è proibito parlare e lo rimane tutt’ora come dimostrano l’isolamento culturale ai danni dello scrittore Carlo Sgorlon (1930-2009), reo di parlarne nei suoi romanzi, e le contestazioni a Simone Cristicchi, colpevole, nello spettacolo “Magazzino 18”, di rievocare l’esodo istriano del ‘47.

sprecano: da Giangiacomo Feltrinelli (1926-1972) – morto mentre stava piazzando esplosivo e per sette anni dalla morte santificato come vittima delle “stragi di Stato” – a Giorgio Bocca (1920-2011), che nel 1975

sosteneva che l’esistenza delle Brigate Rosse fosse una favola e che in realtà fossero nere; dall’orribile rogo di Primavalle – che Lotta Continua descrisse come messinscena («La provocazione fascista oltre ogni limite arriva al punto di uccidere i suoi stessi figli») – al rapimento del giudice Mario Sossi ad opera dei brigatisti, che dei giornali spacciarono per un’operazione dei servizi segreti per propagandare in senso antidivorzista al campagna referendaria allora in corso.

Il livello, per capirci, era questo. Non c’è quindi da stupirsi dell’imbarazzo che tutt’ora Una simile, sistematica censura, serpeggia in a mio avviso, Quando finalmente riusciremo, come non pochi ha almeno tre ambienti di spiegazioni. La Paese, ad andare oltre; quando sinistra prima riguarda capiremo che i morti innocenti non allorquando la capacità sono né di destra né sinistra, ma si parla di storicamente appartengono alla comune civiltà foibe. La fenomenale calpestata dalla barbarie, seconda della sinistra spiegazione probabilmente la ricorrenza del Giorno italiana di del del Ricordo sarà meno decisiva di alternare il prolungato quanto non sia oggi. ritornello dei silenzio sulle “compagni che vittime che oggi ricordiamo si sbagliano” alla negazione di ogni riassume in una data: 28 giugno responsabilità. Gli esempi 1948. In quel giorno, infatti, il clamorosi, a questo proposito, si

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maresciallo Tito ruppe con Stalin guadagnandosi non poche simpatie anche nel mondo atlantico e la Dc, uscita vittoriosa dalle elezioni del 18 aprile, non si prese troppo a cuore la memoria degli infoibati. C’è poi da dire – come ricorda Vespa – che «il governo iugoslavo, giocando d’anticipo, aveva chiesto l’estradizione per crimini di guerra di parecchi ufficiali dell’esercito italiano», richieste che «non furono mai prese in considerazione, ma in cambio si rinunciò alla resa dei conti sulle foibe. Fu un prezzo altissimo» (Storia d’Italia, Mondadori 2007, pp. 159-160). Inoltre si aggiunga – come terza ragione dell’odiosa censura sulle foibe – l’incapacità culturale della destra italiana di incidere, di anteporre il bisogno di comunicazione alla permanenza nei propri circoli. Va però detto che detta incapacità è stata ed è anche l’esito di una ghettizzazione per molti versi imposta, come dimostra il fatto che il solo voler commemorare le vittime dei crimini di Tito, ancora oggi, attiri il sospetto di essere nostalgici del Ventennio. Quando finalmente riusciremo, come Paese, ad andare oltre; quando capiremo che i morti innocenti non sono né di destra né sinistra, ma appartengono alla comune civiltà calpestata dalla barbarie, probabilmente la ricorrenza del Giorno del Ricordo sarà meno decisiva di quanto non sia oggi. Ma fino a quel giorno servirà avere il coraggio di unirsi e pregare perché mai più si ripetano simili orrori. E che mai più, soprattutto, si ripeta la vergogna – per certi versi ancora peggiore – di un silenzio omertoso e colpevole. Il silenzio di chi ha paura di parlare, e di chi ha paura della verità

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CULTURA E SPETTACOLO

Giorno del Ricordo, la memoria al cinema e sul palcoscenico

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a tragedia dell’esodo giuliano-dalmata è una pagina della storia d’Italia di cui poco si parla, soprattutto nelle scuole. Nei libri di storia il tutto si riduce a una finestrella laterale che non viene non solo letta ma quasi mai citata. Ci sono innumerevoli documentazioni in merito, dai racconti dei figli dei sopravvissuti a reperti fotografici, libri, film e spettacoli. Per questo ho deciso di proporre qui qualche suggerimento per approfondire questa strage, la cui ferita è ancora aperta.

IL SEGRETO ITALIA (2004)

DI

Il Segreto di Italia è un film del 2014 diretto da Antonello Belluco e con protagonisti Romina Power e Gloria Rizzato. Il film racconta la storia d'amore tra la giovane Italia e il giovane Farinacci sconvolta dal tragico eccidio avvenuto a Codevigo fra l'aprile e il maggio del 1945. Il film segna dopo molti anni il ritorno sulle scene di Romina Power. È stato premiato Miglior Film Straniero durante la 30° edizione del Fort Lauderdale International Film Festival, svoltosi a Miami dal 6 al 22 novembre 2015.

TRAMA Nel 2000, Italia Martin, ormai settantenne, torna al paese di Codevigo dopo esserne stata lontana per 55 anni, per partecipare al matrimonio della nipote. Tormentata da un segreto, i suoi ricordi vanno all'aprile del 1945, quando, ragazzina, è innamorata del giovane Farinacci Fontana, fascista e figlio del vicecomandante della locale Brigata Nera, Sante. L'arrivo in paese come sfollata della bella vedova fiumana Ada, alloggiata proprio nella cascina della famiglia di Italia, sconvolge la nascente storia d'amore fra Italia e Farinacci. Nel frattempo la guerra si avvicina alla fine: i tedeschi si ritirano abbandonando i fascisti, e da sud arrivano i partigiani comunisti, preceduti da un informatore, il marchigiano Mauro, che ha la missione di documentare le adesioni alla RSI da parte della popolazione locale in vista dell'epurazione. L'arrivo dei partigiani ben presto si trasforma in un incubo per la popolazione. Una delle prime vittime è la maestra elementare Corinna Doardo che viene trascinata per le strade del paese e poi uccisa. Arresti

DIETRO LE QUINTE Il film racconta, pur mantenendolo sullo sfondo, l'eccidio di Codevigo, basandosi su alcuni libri come I giorni di Caino di Antonio Serena (Panda, 1990) e Ravennati contro di Gianfranco Stella (Off. Ravennati, 1991), nonché Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa (Sperling & Kupfer, 2003). Alla stesura della sceneggiatura ha contribuito largamente lo sceneggiatore Gerardo Fontana, già sindaco di Codevigo, e cugino di uno dei protagonisti, Farinacci Fontana. Il film è costato oltre tre anni di lavorazione e non ha ricevuto aiuti da parte dello Stato. L'unico contributo pubblico è giunto dalla Regione Veneto. Secondo quanto dichiarato dal regista vi sono state pressioni perché il progetto non si realizzasse. Alla sua uscita il film è stato aspramente criticato e boicottato in alcune città dall'ANPI mentre è stato difeso dal cantautore Simone Cristicchi, che ha paragonato le polemiche relative al film con quelle intorno al suo spettacolo teatrale Magazzino 18. Da un successivo incontro tra Belluco e Cristicchi è nata una collaborazione per il prossimo film del regista, di cui Cristicchi curerà la colonna sonora.

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CULTURA E SPETTACOLO arbitrari e torture ordinate dal comandante partigiano "Ramon" si susseguono. Nel frattempo Farinacci trova momentaneamente rifugio in un fienile mentre Italia e Ada, rassicurate da Mauro, decidono di prendere parte ad una festa di paese. Inaspettatamente Farinacci si presenta alla festa ma Ada lo convince a rimanere nascosto nel proprio rifugio dove lo riaccompagna. Italia rimasta sola alla festa segue il cagnolino di Farinacci fino al fienile dove coglie i due giovani in intimità e sconsideratamente denuncia il

IL CUORE POZZO (2005)

giovane ai partigiani provocandone l'arresto. Farinacci la sera seguente finisce fucilato nel corso delle esecuzioni in massa. Nello stesso gruppo di condannati finisce anche il padre di Italia, Franco, che preoccupato per il mancato rientro di Ada dopo la festa era andato a cercarla. Franco però viene salvato all'ultimo momento dal partigiano Mauro, che disgustato dalla mattanza e dai metodi dei "garibaldini" finge di ucciderlo e lo scaraventa nel fiume salvandolo. Ada invece viene violentata dai garibaldini e muore poco dopo abbracciata da Italia che si rende conto di aver provocato la morte dei due

giovani. Trovata dalla madre Italia ritorna a casa e insieme a tutta la famiglia, nel frattempo raggiunta anche da Franco, scappano a bordo della propria vettura non senza aver caricato a bordo il cagnolino di Farinacci.

donna italiana, Giulia, che aveva violentato anni prima. Poi appare una nuova famiglia, quella di Francesco, che aiuterà il piccolo Carlo. Giulia nasconde il figlio nell'orfanotrofio di Don Bruno e preferisce morire per mano dello stesso Novak piuttosto che rivelare il nascondiglio del figlio. Segue poi una rincorsa dei partigiani alla caccia dei bambini dell'orfanotrofio che, guidati da Don Bruno, arrivano verso zone di confine più sicure e meno battute dai partigiani slavi.

un reduce alpino, di Anja, una collaboratrice slava di Don Bruno e di Walter che però verrà ucciso (come poi anche Novak), rappresentante del Comitato di Liberazione Nazionale, di tre soldati italiani sbandati e con la morte di Don Bruno, riusciranno comunque a salvarsi.

La giovane Italia rimasta sconvolta dal rimorso, sfollata a Milano, decide poi di partire per gli Stati Uniti per non ritornare più a Codevigo fino al 2000. Dopo il ritorno in paese incontra di nuovo il partigiano Mauro, ormai vecchio, che cerca di consolarla e di farle capire che anche lei è stata una vittima di una violenza più grande di loro. fonte: Wikipedia

NEL

La miniserie è prodotta da Rai Fiction e Rizzoli Audiovisivi. La storia è incentrata sulla fuga di un gruppo di bambini dai partigiani di Tito, ambientata negli ultimi anni della seconda guerra mondiale. Il consulente storico del film è Giovanni Sabbatucci, docente di Storia contemporanea presso la Sapienza - Università di Roma. Il film è stato girato nell'autunno del 2004 in Montenegro, poiché le autorità croate hanno vietato le riprese in Istria, dato che, a loro avviso, i contenuti non avevano un riscontro storico. TRAMA Siamo in Istria nel 1943, quando ormai in Italia era caduto il fascismo, le truppe e i corpi di polizia erano disorientati dalla situazione. In questa atmosfera, i partigiani di Tito marciano verso Trieste per conquistare terreno e prendere i territori italiani della Venezia Giulia, della Dalmazia e dell'Istria. Giunge qui Novak, uno di questi partigiani, per ritrovare il figlio Carlo, avuto da una

Con l'aiuto di Ettore (interpretato da Beppe Fiorello),

fonte: Wikipedia

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CULTURA E SPETTACOLO

DIETRO LE QUINTE

La fiction venne trasmessa in Italia su Rai 1 il 6 ed il 7 febbraio 2005 in due puntate e venne visto da una media di 8.830.000 telespettatori. Era la prima volta che la TV di Stato italiana trasmetteva in prima serata un film che trattasse il dramma delle foibe, tant'è vero che Il cuore nel pozzo è noto per aver acceso diverse polemiche sull'interpretazione delle vicende di quel periodo. Il film ritorna il 10 febbraio 2010 in memoria delle foibe. La scelta dell'ambientazione in una zona di contrasti etnici molto forti e non ancora del tutto sopiti, in un periodo storico molto controverso ne hanno fatto un caso politico e diplomatico. Le posizioni slovene sono state molto accese; il film ha addirittura reso più tesi i rapporti del governo italiano con la comunità slovena dell'Istria, anche perché messo in onda e pubblicizzato in un clima politico italiano molto particolare, ed anzi ha ottenuto l'esplicita approvazione di Alleanza Nazionale e del governo Berlusconi. Il regista Negrin, invece, ha sempre affermato di non aver voluto fare un film politico, ma di voler semplicemente narrare degli eventi storici che per oltre mezzo secolo sono stati trascurati e ignorati da gran parte dell'opinione pubblica italiana. Ad accendere ancora di più le polemiche è stata la data della messa in onda: il 6 ed il 7 febbraio 2005, qualche giorno prima della Giornata del ricordo in memoria dei martiri delle foibe del 10 febbraio, istituita dal Parlamento italiano nel 2004 con il forte appoggio di Alleanza Nazionale. Questa coincidenza di date lo hanno reso, secondo alcuni, una sorta di fiction "ufficiale" in memoria della giornata. Il 10 febbraio 2010 è stato replicato in prima serata su Rai 1 (in versione ridotta), per celebrare l'annuale giornata del ricordo. Il giornale croato Rijeka Novi List ha commentato il film dicendo "si tratta del peggior film di propaganda mai realizzato [...] è un assalto alla storia da parte della destra italiana".

MAGAZZINO 18 (2005)

conservata oggettistica di una parte di esuli.

Magazzino 18 è un musical scritto in collaborazione con Jan Bernas, giornalista e autore del libro Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani. Lo spettacolo è un'opera che racconta il dramma dell'esodo istriano, giuliano e dalmata nel secondo dopoguerra: la storia di molti italiani costretti ad abbandonare la propria terra a seguito della sconfitta dell'Italia, la quale nel 1941 aveva invaso la Jugoslavia, nella seconda guerra mondiale. Queste terre, con il trattato di Parigi, vennero assegnate dagli Alleati alla Jugoslavia. Il magazzino 18 è l'edificio del Porto Vecchio di Trieste in cui è

Lo spettacolo ha raccolto un notevole successo ed ha ricevuto una lunga serie di recensioni e reazioni positive, ma è stato

anche duramente ostacolato da numerosi giornalisti di sinistra e nondimeno dai centri sociali nelle località in cui era in programma a teatro, con l’ “accusa di fascismo” all’artista per il solo fatto di aver portato l’attenzione su questa tragedia italiana. Qui di seguito riporto la descrizione dello spettacolo dal sito ufficiale di Simone Cristicchi, dove è possibile anche visionare il calendario del tour nei teatri d’Italia (in fondo all’articolo potete trovare il link del sito internet: cliccandolo, vi porterà alla pagina dedicata allo spettacolo).

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CULTURA E SPETTACOLO Magazzino 18 è andato in scena anche sui palcoscenici trentini: al Trentino Book Festival di Caldonazzo nell’estate 2014 e ad inizio dicembre 2015 al Teatro Sociale di Trento per ben 4 giorni. Con la speranza di vederlo in scena nuovamente nella nostra provincia, vi auguro una buona lettura. «Al Porto Vecchio di Trieste c’è un “luogo della memoria” particolarmente toccante. Racconta di una pagina dolorosissima della storia d’Italia, di una vicenda complessa e mai abbastanza conosciuta del nostro Novecento. Ed è ancor più straziante perché affida questa “memoria” non a un imponente monumento o a una documentazione impressionante, ma a tante piccole, umili testimonianze che appartengono alla quotidianità. Una sedia, accatastata assieme a molte altre, porta un nome, una sigla, un numero e la scritta “Servizio Esodo”. Simile la catalogazione per un armadio, e poi materassi, letti, stoviglie, fotografie, poveri giocattoli, altri oggetti, altri numeri, altri nomi… Oggetti comuni che accompagnano lo scorrere di tante vite: uno scorrere improvvisamente interrotto dalla Storia, dall’esodo.

Con il trattato di pace del 1947 l’Italia perdette vasti territori dell’Istria e della fascia costiera, e quasi 350 mila persone scelsero – davanti a una situazione intricata e irta di lacerazioni – di lasciare le loro terre natali destinate ad essere jugoslave e proseguire la loro esistenza in Italia. Non è facile riuscire davvero a immaginare quale fosse il loro stato d’animo, con quale sofferenza intere famiglie impacchettarono tutte le loro poche cose e si lasciarono alle spalle le loro città, le case, le

radici. Davanti a loro difficoltà, povertà, insicurezza, e spesso sospetto. Simone Cristicchi è rimasto colpito da questa scarsamente frequentata pagina della nostra storia ed ha deciso di ripercorrerla in un testo che prende il titolo proprio da quel luogo nel Porto Vecchio di Trieste, dove gli esuli – senza casa e spesso prossimi ad affrontare lunghi periodi in

“Quando domani in viaggio arriverai sul mio paese, carezzami ti prego il campanile, la chiesa, la mia casetta. Fermati un momentino, soltanto un momento, sopra le tombe del vecchio cimitero, e digli ai morti, digli, ti prego, che no dimentighemo.”

campo profughi o estenuanti viaggi verso lontane mete nel mondo – lasciavano le loro proprietà, in attesa di poterne in futuro rientrare in possesso: il Magazzino 18. Coadiuvato nella scrittura da Jan Bernas e diretto dalla mano esperta di Antonio Calenda, Cristicchi partirà proprio da quegli oggetti privati, ancora conservati al Porto di Trieste, per riportare alla luce ogni vita che vi si nasconde: la narrerà schiettamente e passerà dall’una all’altra cambiando registri vocali, costumi, atmosfere musicali, in una koinée di linguaggi che trasfigura il reportage storico in una forma nuova, che forse si può definire “Musical-Civile”. E sarà evocata anche la difficile situazione degli italiani “rimasti” in quelle terre, o quella gravosa dell’operaio monfalconese che decide di andare in Jugoslavia, o del prigioniero del lager comunista di Goli Otok… Lo spettacolo sarà punteggiato da canzoni e musiche inedite di Simone Cristicchi, eseguite dal vivo.»

fonte: www.simonecristicchi.it

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RITRATTI D’ATTUALITÀ

lettera di licenziamento ai falsari storici di professione

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er Tacito la storiografia era da intendersi come la più alta forma di letteratura possibile e, come tale, non aveva la pretesa di vantare un fondamento epistemologico ma si concentrava sulla portata valoriale ed educativa delle gesta dei padri della Comunità. “Historia magistra vitae est” e “Vae victis” sono tutt'ora concetti che ci aiutano a comprendere la storia non nella sua estrinsecazione esperienziale ma nel complesso delle dinamiche umane e sociali.

verità anche contro tutte le minimi criteri di un processo evidenze. Non serve andare scientifico – divenendo una vera troppo lontano per e propria invenzione- che dallo comprenderlo. Anzi, ne avremo spessore letterario – considerato una pronta che di certi cani riprova tra una che vergano saggi Un uomo libero ha l’obbligo manciata di giorni storici ti domani quando, come dove abbiano di rivendicare il diritto di ogni anno, in potuto ottenere la avere un giudizio della qualche articolo licenza storia diverso rispetto a anche di testate elementare-, per quello a cui ci vorrebbero giornalistiche assomigliare locali scapperà, sempre più costringere dopo decenni di tra una riga e all’appellativo che menzogne. l’altra, la più il ragionier elementarmente Fantozzi utilizzava grossolana e falsa definizione di per definire la Corazzata foiba intesa come “cavità carsica Potiomkin. Sempre di sapore latino è la dove vennero gettati i corpi di “damnatio memoriae”, Dopo aver riscritto la storia, alcuni fascisti durante la Seconda meccanismo di negazione di ai falsari viene chiesta anche Guerra mondiale”. Troppe bugie accadimenti e persone finalizzato un’altra importante operazione: anche per una sola frase ma che a cancellarne la portata storica. distribuire i patentini di licenza passeranno quasi inosservate Classicamente uno dei maggiori per poter ricordare o meno un alle generazioni crescite con una esempi di questa pratica fu il determinato accadimento della cultura fatta a puntate per trattamento che venne riservato storia patria, nel bene o nel corrispondenza. all'Imperatore Nerone, un misto male, e redigere un calendario tra cancellazione e Ormai la storia è utilizzata delle ricorrenze, come una sorta mistificazione: non solo molte come il vestito buono per ogni di macabro e strumentalizzato sue statue vennero deturpate in occasione, aggiustato su misura calendario dell’avvento –dove il volto ma si diede seguito ai in sartoria per legittimare culmine non è di certo la nascita cosiddetti rumores, quelli che ora qualunque azione rientri di Gesù ma la cessione della chiameremmo “voci di nell’ambito di interesse del sovranità nazionale. corridoio”, che giravano tra i mandante del falsario. La I censori della rettitudine Senatori e che individuavano in distorsione siffatta diviene merce sono soliti nel definire, per tal Tigellino, presunto – forse – dozzinale dallo sgradevole amante di Nerone, sapore di un l’autore pezzo di ferro Ormai la storia è utilizzata dell’incendio di arrugginito come il vestito buono per Roma. quando arriva a ogni occasione, aggiustato Piegare la toccare degli su misura in sartoria per storia serve per assurdi come legittimare un paragonare i legittimare qualunque presente artefatto profughi trentini azione rientri nell’ambito e mistificato; della Grande di interesse del mandante quando non riesci Guerra ai del falsario. a farlo perché la clandestini di verità ti sta oggi, parallelo letteralmente scappando tra le fortemente promosso dalla dita come un mucchio di sabbia sinistra al potere e dalle troppo fina, i falsari di organizzazioni al loro soldo. professione cercano di negare o Così facendo la storiografia si giustificare tutto, traviare la allontana sempre più sia dai

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RITRATTI D’ATTUALITÀ esempio, “nostalgici” coloro che non si adeguano al giudizio edulcorato di una parte della storia d’Italia creando così un simpatico cortocircuito nell’appellare in questo modo chi ritengono essere gli eredi del Ventennio fascista, momento storico sorto dalle ceneri dell’Italia dopo la Grande Guerra con il lievito futurista ed avanguardista. Tutto fuorché nostalgico. Nella vita di tutti i giorni si pensa ad altro e chi si candida a

rappresentare l’intera Comunità politicamente ed istituzionalmente viene pesato dai suoi concittadini con criteri diversi. Nondimeno però deve essere preservata l’integrità morale ed intellettuale di distinguere ciò che è vero dalla menzogna e garantire alle future generazioni la libertà di conoscere la nostra vera storia senza ripetere come dei ciechi amanuensi il prodotto confezionato dai falsari di professione. Un uomo libero, soprattutto se riveste ruoli di

particolare esposizione, ha l’obbligo di rivendicare il diritto di avere un giudizio della storia diverso rispetto a quello a cui ci vorrebbero costringere dopo decenni di menzogne. Abbiamo, in altre parole, la libertà di manifestare un nostro giudizio sui fatti oggettivi della nostra storia ed il dovere di ricordare quanto il pensiero unico vorrebbe nascondere sotto il tappeto.

Apologia Non Nobis Domine Rovistando tra le pagine strappate della storia Ne trovammo qualcheduna che conserva la memoria Di anni oscurati da una fitta coltre di menzogna Uomini traditi e in piedi tra rovine di vergogna Un secondo giuramento fatto in nome dell'onore Donne e bambini bombardati dal liberatore Imboscate ed agguati danno gloria ai vincitori Mucchi di ossa dissepolte: vanto degli infoibatori! Apologia, è colpa mia se io non ho dimenticato! Apologia, è colpa mia se io non ho disertato! Apologia, è colpa mia se ogni giorno ho ricordato! Apologia, è colpa mia se io non ho mai mollato! C'è una lunga scia di sangue che ci lega a quella storia Sangue di uomini e ragazzi che hanno pagato la memoria Fiori sparsi sui selciati della nostra terra ingrata Ed il cielo lacerato dalle sbarre di una grata Pieni di sogni e speranze, ma incapaci di aspettare Ci trovammo soli sopra una tigre da cavalcare Noi stregati dalla melodia di canti senza tempo Urla e menzogne dei vigliacchi le disperde il tempo!

La famosa foto di Sandro Pertini al funerale di Tito mentre dà l’estremo saluto con un bacio sul feretro.

Se la fratellanza di armi fu una breve primavera Il sogno che la sorresse non è certo una chimera E se nelle piazze più non bruciano le barricate Sogno ancora di vedere i nemici a mani alzate Troppo sangue e troppi morti che non so dimenticare, Ma per anni oscuri una luce continuò a brillare E se l'oggi con quegli anni non ha molta analogia Sento risuonare in mille cuori quella melodia!

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RITRATTI D’ATTUALITÀ

la virtù e il corso del mondo

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e qualcuno ha già avuto la curiosità di visitare il museo del Castello del Buonconsiglio a Trento, avrà forse notato un dipinto interessantissimo ma a prima vista di difficile lettura. Si tratta di un dipinto di Dosso Dossi, dove un uomo vestito con una tunica color arancio è seduto di fronte ad una tela da disegno mentre dipinge delle farfalle. Andiamo al dunque: forse pochi di noi hanno in mente la definizione della parola “virtù”. La virtù, che per Machiavelli non era altro che una qualità tecnica (ossia qualcosa che si poteva acquisire o perfezionare attraverso delle tecniche di apprendimento o attraverso lo studio); o la virtù kantiana, la quale era la ratio cognoscendi della libertà umana; o forse una virtù in senso platonico, legata all’equilibrio dell’anima (la quale si rispecchia nella giustizia in ambito sociale). Fatto sta che al tempo d’oggi non ritroviamo un equilibrio dell’anima, e tantomeno della società. I valori e il concetto di famiglia, al di là di qualsiasi credenza religiosa, vanno intesi secondo natura; ossia la famiglia naturale e non quella che viene pubblicizzata e spacciata come

una famiglia “moderna”. Il crollo di magnifiche ali di farfalle: cose di questi fondamenti basilari che, agli occhi di Virtù, offesa ed della nostra società non possono umiliata, non appaiono certo di essere intesi secondo un primaria importanza per le sorti carattere del mondo. rivoluzionario o di Mercurio, I valori e il concetto di famiglia, qualcosa di con cui al di là di qualsiasi credenza positivo. L’essere Virtù umano sembra dialoga e si religiosa, vanno intesi secondo andare sfoga, natura; ossia la famiglia contromano invocandon naturale e non quella che viene rispetto alla e pubblicizzata e spacciata come storia: pare che la l’intercessio specie umana sia ne presso una famiglia “moderna”. l’unica che, al Giove, posto di rivela difendere la sua perpetuazione, quanto la realtà abbia tinte stia accelerando la sua ancora più fosche di quanto non estinzione. appaia: Giove non riceve Virtù per leggerezza o trascuratezza, Vi racconto di un pezzo tratto bensì perché dovrebbe dalle Intercenali di Leon Battista ammettere la sua impotenza di Alberti, in cui si descrive come la fronte alla dea Fortuna, alla virtù sia derisa dalla fortuna: quale lui stesso deve la sua “La dea Virtù, oltraggiata da posizione. Fortuna, dunque, in Fortuna e malmenata dai suoi spregio ad ogni ottimistico sgherri, aspetta invano fuori principio umanistico della dall’uscio di Giove per far valere primazia di Virtù su Fortuna, le sue ragioni di fronte a quello governa del tutto che dovrebbe essere il signore arbitrariamente tanto sugli delle vicende umane e terrene; uomini quanto sugli déi”. tuttavia, le molte divinità che vede entrare ed uscire dalla Morale della favola, chi stanza del potere riferiscono che comanda non riesce a Giove e le altre divinità sono mantenere la neutralità perché sempre indaffaratissime in ha avuto bisogno di qualcuno per attività quali il controllo del ciclo arrivare dove è arrivato. In biologico della zucca, e la pittura questo saggio, nemmeno il padre degli déi, Giove, ha potuto aiutare la povera e “sfortunata” Virtù, la quale, malmenata da Fortuna, ha ricevuto il consiglio di mettersi da parte e di nascondersi fino a che l’ira della sua rivale non si fosse attenuata. Virtù rappresenta il comune cittadino di fronte ai suoi governanti che, incapaci di assicurargli giustizia, piuttosto consigliano di lasciar passare e nascondersi nel proprio piccolo.

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CONSIGLI DI LETTURA

DANIELE ESTULIN, Il Club Bilderberg.

La storia

segreta dei padroni del mondo (Arianna, 2012)

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l libro che vorrei consigliare in questo importante numero de La Spada di Damocle è il testo di Estulin, Il Club Bilderberg, pubblicato in prima edizione italiana nel 2009 e poi più volte ristampato. Scritto originariamente in inglese nel 2005, è stato tradotto e venduto in 70 Paesi, avendo un grande successo quanto a numero di copie vendute. In Italia, come riportato nel titolo di questa recensione, è stato tradotto e distribuito dalla casa editrice Arianna, con sede a Bologna, una casa editrice molto coraggiosa di cui abbiamo già avuto modo di parlare quando ci siamo occupati del saggio sulla sovranità di Alain de Benoist. Il Club Bilderberg si inserisce a pieno titolo nel cosiddetto filone “complottista”, cioè in quella sorta di genere letterario, se così possiamo definirlo impropriamente, che non si accontenta della storia ufficiale, ma che cerca di indagare le ragioni nascoste e inconfessabili

che stanno dietro ai più la mente delle persone importanti avvenimenti storici. (pensiamo ai format televisivi Nello specifico Estulin, che è un standardizzati, alla importante giornalista disinformazione di massa, al investigativo, si è occupato del controllo effettuato sulle Club Bilderberg, una sorta di telefonate, sulle mail e circolo esclusivo che, a partire sull’attività sui social dei dal 1954, si riunisce cittadini). annualmente per definire piani Altro obiettivo è quello della strategici di azione che deindustrializzazione (pensiamo investono tanto la politica a quanto sta avvenendo in Italia quanto l’economia. Partecipano con la svendita dell’Ilva, il a queste riunioni i più importanti trasferimento all’estero della capi di Stato, i più importanti produzione da parte della Fiat e esponenti del mondo economico di altre fondamentali industrie e finanziario, nonché influenti italiane); la creazione di crisi rappresentanti del mondo create a tavolino al fine di militare e del mondo destabilizzare gli Stati e i dell’informazione. Sulle decisioni cittadini che li prese in queste costituiscono riunioni vige il Obiettivo del Bilderberg, (pensiamo massimo alla crisi sarebbe per Estulin, quello di riserbo, per cui finanziaria del distruggere le identità praticamente 2008, agli si tratta di nazionali, creando un mondo attacchi riunioni speculativi di unico ed omogeneo segrete. cui è stata (mondializzazione). Attraverso fatta oggetto indagini l’Italia accurate, riuscendo ad accedere quando ancora c’era la lira, per a quel poco di informazioni che, non parlare poi del terrorismo nonostante tutto, sono trapelate islamico finanziato e foraggiato nel corso degli anni, Estulin è da importanti paesi occidentali). riuscito ad individuare quelli Infine il rafforzamento dell’ONU, che sono gli obiettivi principali come organismo sovranazionale del Bilderberg. Questa è a mio e l’espansione della NATO, come giudizio la parte più braccio armato al servizio delle interessante del testo perché, lobby. anche se i dettagli o singoli Ripeto se anche qualche particolari della sua singolo particolare della ricostruzione fossero ricostruzione di Estulin non fosse imprecisi, tuttavia essa corretto, tuttavia il quadro fotografa in modo d’insieme resta a mio giudizio impressionante la situazione valido e trova conferma ogni in cui oggi ci troviamo. giorno che passa. Se poi si passa Obiettivo del Bilderberg, in rassegna l’elenco dei nomi dei sarebbe per Estulin, quello di partecipanti alle riunioni del distruggere le identità Bilderberg, ecco che allora la nazionali, creando un mondo fondatezza della tesi acquista unico ed omogeneo ancora più forza: troviamo (mondializzazione); importanti esponenti politici controllare tutto, soprattutto americani, non importa se

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CONSIGLI DI LETTURA repubblicani o democratici (sui temi fondamentali sono tutti d’accordo), quali Bill Clinton, Bush padre e figlio ed Henry Kissinger, politici europei di primo piano come Tony Blair o gli italiani Mario Monti e Tommaso Padoa Schioppa. A fianco di tali politici troviamo gli esponenti del mondo economico, quali l’italiano Franco Bernabé o l’imprenditore John Elkann e, su ben altro piano, esponenti della

potentissima Rockefeller.

famiglia

In conclusione questo libro aiuta a squarciare quel velo di disinformazione costruito quotidianamente dai media mainstream e mette in guardia i cittadini sulla reale onestà di quei politici che teoricamente dovrebbero fare l’interesse dei popoli mentre in realtà, troppo spesso, rispondono ad altri centri di potere.

Sarebbe interessante infine estendere l’inchiesta di Estulin ai giorni nostri per vedere se anche oggi in Italia non ci sia qualcuno che, dietro uno stile comunicativo accattivante, non nasconda obiettivi che non potrà mai dischiarare in pubblico (vedi QUI ad esempio l’interessante inchiesta di “Libero” – edizione di domenica 17 gennaio 2016 – sui rapporti fra il padre del ministro Boschi ed esponenti della massoneria).

Vecchio continente Hobbit Vecchio continente, sei rimasto solo Anche l'ultimo guerriero ha spiccato il volo Nelle nostre menti restano i ricordi Di una stirpe che lottava dall'Apennino ai fiordi! Vecchio continente, ora stai piangendo Nelle notti di Belgrado puoi sentirne il lamento, Ma la speranza è negli occhi di un bambino Che ora sta crescendo ad Oldham, Derry o a Berlino! Grande Europa, la tua stella torni a brillare! Quanto sangue sopra i tuoi monti ed in fondo al tuo mare! Grande Europa, tu sei terra di eroi e condottieri! Ma cosa vogliono questi mercanti e questi banchieri? Vecchio continente, che triste destino Nel vedere la tua gente camminare a capo chino Accecati dall'oro, soffocati dall'usura Hanno venduto l'anima agli yankees ed alla mezzaluna! Vecchio continente, ora stai sperando Nel vedere in quella piazza i tuoi vessilli ancora al vento C'è ancora chi lotta e c'è ancora chi spera E quest'invasore lo vogliamo nell'arena! Grande Europa, la tua stella torni a brillare! Quanto sangue sopra i tuoi monti ed in fondo al tuo mare! Grande Europa, tu sei terra di eroi e condottieri! Ma cosa vogliono questi mercanti e questi banchieri? Grande Europa, grande Europa! Grande Europa, grande Europa! Grande Europa, grande Europa! Grande Europa, grande Europa, grande Europa!

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POLITICA

pd-renzi, la sinistra degli spot

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primi voti “acquistati” da auto blu su Ebay in diverse aste con conseguente spreco di soldi, Renzi si hanno con il decreto diversificate nel tempo. Il tempo decreto salva banche e chi ne ha più legge 66 del 24 aprile 2014. infatti di arrivare alle elezioni ne metta! È riuscito addirittura a Con il meglio conosciuto ‘bonus comunali di maggio dove riesce a distruggere il centro-destra e in Renzi’ di 80 euro il 24 maggio 2014 risicare il 46% dei comuni italiani. parte la figura di Berlusconi, che (ad un mese dal decreto) il PD Altro fumo negli occhi che annebbia oggi si vede cancellate le buone compra letteralmente 2 milioni e gli italiani, tanto che è dimostrato riforme fatte durante il suo governo mezzo di voti, quasi il 40,8% delle che non c'è stato nessun risparmio (come l'abolizione dell'ICI, il preferenze, che il 24 maggio 2014 gli nella vendita delle auto blu, anzi il sostegno al reddito, la lotta fa guadagnare 31 seggi nel tutto serviva per rinnovare il parco all'immigrazione clandestina), e pian parlamento europeo. auto: vendute 100 e acquistate circa piano sgretolata la sua fedele Con questa grandissima mossa 1300. maggioranza, tutto grazie anche al comunicativa il PD di Renzi riesce a Fino ad oggi con queste “sparate” ad fido Angelino. vincere le elezioni europee e lo hoc, Renzi e i suoi collaboratori sono Siamo ora molto curiosi di vedere le stesso si auto-nomina Presidente riusciti in un colpo solo a vincere le prossime televendite della del Consiglio e unico leader della elezioni e sotto sotto a distruggere “pubbliRenzi” in vista degli sinistra italiana. quanto di buono c'era. Gli esempi importanti eventi in arrivo a breve, Ma gli 80 euro sono veramente un pratici sono: abolizione del reato di come la nomina dei sindaci di regalo per gli italiani? Ad una lettura clandestinità , emanazione di uno Milano e Roma e le future elezioni a “bocce ferme” del decreto legge, ‘svuota carceri’ (no-comment), provinciali. In parte ci sta già questo risulta invece essere una lavorando con il nuovo spot del grandissima fregatura per la licenziamento in 48 ore dei Altro fumo negli occhi che annebbia gli maggior parte degli italiani che dipendenti pubblici nullafacenti, italiani, tanto che è dimostrato che non c'è anche se qui sta già perdendo fra tasse occulte e non aventi diritto si vedono costretti, in punti visto il palese stato nessun risparmio nella vendita delle modo subdolo ma legale, a scopiazzamento dal decreto auto blu, anzi il tutto serviva per rinnovare restituire gli 80 euro con gli legge Brunetta del centroil parco auto: vendute 100 e acquistate interessi; ma i giochi ormai sono destra. circa 1300. fatti e i voti incamerati. Forse oggi non è più tempo di Visti gli ottimi risultati del “buona spot ma di pensare un po' di più proposta di una nuova legge la prima”, Renzi ci riprova e ci riesce a fare veramente il bene dell'Italia e elettorale persino peggio del (in parte) la seconda, infatti il 26 degli italiani... A quando tutto porcellum, abolizione delle province febbario 2015 annuncia la messa questo signor Renzi? ma nascita delle città metropolitane all'asta di un numero imprecisato di

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FAMILY DAY

e nun ce vònno sta’

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abato 30 gennaio ho partecipato, nel segno di quanto indicato dalla nostra Presedente Giorgia Meloni e dell’incarico che in FdIAN Trentino svolgo, al Family Day, manifestazione a difesa della famiglia e del diritto del bambini ad avere una mamma ed un papà. Una bella piazza il Circo Massimo, variegata, colorata, piena gente, di slogan e frasi significative a riguardo del DDL Cirinnà in discussione in questi giorni al Senato; un parterre di relatori di tutto riguardo che, ad una sola voce, chiede lo stralcio della legge ed una ridiscussione dei diritti civili, senza equiparazioni di sorta al matrimonio eterosessuale.

aula, in sfregio totale dell’art. 72 che prevede la discussione prima in Commissione e poi in aula, cosa che sembra non essersi mai verificata nella storia della Repubblica; svaniti tutti i dubbi anche ad Alfano che ha contribuito, in cambio dei trenta denari rappresentati da un ministero e quattro sottosegretari, al superamento delle prime insidie dell’iter parlamentare.

Dopo la manifestazione, la solita querelle sul numero dei partecipanti: pare impossibile che lo stesso spazio abbia la demoniaca capacità di contenere 2,7 milioni di persone quando a manifestare è la sinistra e non In questi giorni un profluvio più di trecentomila quando si di prese di posizione di Tizio tratta di qualcun altro: mah, piuttosto che di Caio ricordano a misteri della fisica molecolare tutti che questa legge è fatta per che nella comprimibilità dei corpi la salvaguardia dei bambini, di trova il suo giusto risalto. quei bambini che in situazioni Il 2 febbraio, giorno di sfortunatissime (ma anche scrittura di questo articolo, Diciamocelo chiaramente: con la “stepchild il Senato, infischiandosene adoption” si concede il diritto a un padre naturale degli umori della di estendere la genitorialità a chi desidera lui. Non gente, ha fatto vedo proprio la tutela di un diritto del bambino. Ci piazza pulita potrà poi essere qualche caso limite. Ma non si delle legifera mai per i casi limite, quanto per i casi pregiudiziali di ordinari. E qui, di ordinario, vedo piuttosto legittimità, l’aspirazione di qualcuno a utilizzare la maternità respingendo in surrogata nascondendosi dietro il presunto blocco (ed interesse del bambino. anche con una certa superficiale particolarissime) si trovassero a premura) tutti i ragionamenti in perdere entrambi i genitori e che ordine alla costituzionalità di avrebbero, così, la possibilità di questa porcheria di legge ed alla mantenere un rapporto affettivo liceità dei procedimenti che si con il partner delle stesso sesso sono adottati per portarla in

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di uno dei genitori biologici; e non importa se un illuminato ex Presidente della Corte Costituzionale (Ugo de Siervo, giurista di area renziana ) afferma in un’intervista a La Stampa: “Diciamocelo chiaramente: con la “stepchild adoption” si concede il diritto a un padre naturale di estendere la genitorialità a chi desidera lui. Non vedo proprio la tutela di un diritto del bambino. Ci potrà poi essere qualche caso limite. Ma non si legifera mai per i casi limite, quanto per i casi ordinari. E qui, di ordinario, vedo piuttosto l’aspirazione di qualcuno a utilizzare la maternità surrogata nascondendosi dietro il presunto interesse del bambino”. Ci spiegano anche che il DDL non fa cenno all’equiparazione tra matrimonio tradizionale ed unioni civili, salvo poi scoprire che nella stesura del testo i riferimenti di legge sono gli stessi ed allora non resta che una considerazione da fare: mentono sapendo di mentire. Questa legge non basterà, è solo il cavallo di Troia per ottenere tutto quello che una sparuta minoranza, capeggiata dal senatore lo Giudice (sposato con un uomo e padre di un bimbo attraverso una maternità surrogata da utero in affitto), vuole prepotentemente,

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FAMILY DAY infischiandosene allegramente di quello che il nostro disposto legislativo prevede. La parola, allora resterà a noi, popolo del Family Day, ed alla nostra capacità di rovesciare il tavolo al referendum c, coinvolgendo tutti quelli che riusciremo a coinvolgere. Ne saremo capaci? Non lo so. Verremo bombardati da milioni di spot inneggianti alla famiglia arcobaleno, ci faranno una “càpa tànta” spiegandoci che gli

omosessuali hanno i loro diritti, ci diranno che è giusto strappare un figlio appena nato alla madre senza nemmeno farlo allattare (intervista del sen. Lo Giudice a Le Iene); perché è questo che vogliono, anche se un trattamento del genere è impedito dalla legge anche per i cani, in barba a tutte le dichiarazioni della Cirinnà, che anche ieri si è espressa in merito negando l’evidenza.

Vogliono la libertà di matrimonio e di adozione nel modo che loro scelgono senza possibilità di impedimento. E se ci mettiamo anche i propositi dell’on. Scalfarotto, chi oserà manifestare contro questa aberrazione verrà tacciato di omofobia e perseguito dalla legge. Ma è davvero questo che volete? Io no.

Guerrino Soini Responsabile del Dipartimento Famiglia e Difesa della Vita per la Provincia di Trento FdI-AN Trentino

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Il racconto

I Giorni di Mogontiagum

INTRODUZIONE 19 marzo 235 d.C. L’imperatore dei Romani Alessandro Severo, asserragliato a Magonza (Germania) con la madre Mamea e il suo stato maggiore, riceve la notizia della rivolta portatagli da Massimino il Trace, un titanico guerriero greco integrato nelle armate imperiali, e dei perversi giochi di potere del decadente Senato Capitale.

Luigi Tramonti Diciassette anni, studente al liceo classico, Luca Tramonti legge di tutto e scrive di tutto, dai racconti alle poesie. Appassionato di musica d’altri tempi sulle note di Aznavour e Sinatra, in questo numero ci offre un realistico spaccato di racconto storico che siamo sicuri vi lascerà il desiderio di chiedervi: ma come andrà a finire?


I giorni di Mogontiagum

’ Imperatore fissava impaurito l'accampamento in fermento, i legionari correvano da ogni parte come api impazzite mentre i pochi ufficiali sopravvissuti alla rivolta delle ore precedenti si erano uniti alla turba di sciacalli e saccheggiavano le tende dei Legati. Nella cittadella di Mogontiacum Alessandro Severo si sentiva al sicuro, circondato dai Germani Corporis Custodes e tranquillizzato dalle parole della madre Giulia Mamea. Mamea era seduta sul trono riservato all'Imperatore, mentre questi stava seduto alla base della piattaforma che elevava l'Augusta al di sopra dei comuni mortali e ascoltava il proprio precettore dissertare di Filosofia. Il Ghiottone, cortigiano adibito al divertimento dell'Imperatore, stava rosicchiando ingordamente un bastone: era deforme e grottescamente grasso, nessuno ricordava il suo vero nome, era stato catturato durante la lunga campagna contro Ardashir e Alessandro non aveva voluto più separarsene. Il precettore Diocle, greco di nascita, dietro alla folta barba bianca aveva un'espressione di paura stampata in volto e il capo dei Germani Wanyr attendeva ordini alla destra del Trono Imperiale. «Wanyr, raduna i Germani all'ingresso della Cittadella e fai in modo che non entri nessuno, i quattro uomini più fidati difendano l'imperatore» ordinò Mamea fissando il robusto Germano «Diocle, lascia a me l'Imperatore e prepara una lettera per il Senato, informali che le Germanie e la Pannonia sono perdute e ordina a quei vecchi che dichiarino quel Trace Hostis Publicus. Scrivi un'altra missiva per il Prefetto, chiunque sia, ordinando di fortificare l'Urbe e costituire una legione ausiliaria di Pretoriani». Terminato di parlare Giulia Mamea osservò i due uomini uscire dalla Sala del Trono e infine chiamò a se Alessandro. «Figlio mio, sii forte, sei l'uomo che regge i destini del mondo, hai il sangue di Severo che ti scorre nelle vene, quel Trace sarà sconfitto e tu tornerai a sedere nell'Urbe, di fronte al Senato e deciderai dell'intera umanità.» Alessandro guardò disilluso la madre e le disse con tutta sincerità ciò che pensava. «Non torneremo mai a Roma, il vecchio Pupieno è bramoso della Porpora come e più del Trace, aspetteranno che io e l'usurpatore ci scanniamo come lupi per elevare quel serpente al mio rango, oh come sarebbero migliori l'Urbe e il mondo senza il suo passo strascicato...» Mamea era veramente meravigliata, se suo figlio si era dimostrato un pessimo generale ora sembrava un promettente politico, ma forse non era tanto lui a parlare quanto Diocle e decise di lasciar correre. «Wanyr e i suoi Germani proteggeranno la tua vita e io ti procurerò un salvacondotto per fuggire al di là del mare, dai Re Numidi. Lasciamo che siano il Senato e Massimino a combattere, non mettiamo in pericolo le nostre vite.»

~I~


I giorni di Mogontiagum

«Madre...» ma non arrivò a finire la frase che cominciarono a risuonare grida di vittoria al di fuori delle mura della cittadella. «Massimino! Il Trace è qui! Oggi si spegne la Casa di Severo!» l'Imperatore ebbe un tremito e crollò in ginocchio, piangendo. Mamea lo colpì con uno schiaffo «Sei l'uomo più potente dell'Urbe, nessuno ti eguaglia in cultura e potenza. Comincio a credere che il Trace non abbia sbagliato a giudicarti.» In quel momento cominciarono a sentire dei colpi sempre più forti sul portone della Cittadella: un ariete lo stava sfondando. Il Ghiottone stava sudando copiosamente in un angolo mentre continuava a mordere il suo bastone. I germani di Wanyr, lui compreso, aspettavano con il gladio sguainato davanti al portone, pronti a morire per l'Imperatore e per l'Augusta. Diocle aveva smesso di scrivere le sue missive e aspettava con estremo terrore lo sfondamento del portone. Un colpo dopo l'altro gli enormi cardini del portone cominciarono a piegarsi, e il pensiero di Wanyr corse alla donna che aveva lasciato con un bacio lassù oltre il Reno e al figlio che non vedeva da anni, non sarebbe arrivata loro nessuna gratifica per la morte in guerra ma la sua testa e due righe scritte su un papiro scadente. Strinse i denti e attese, davanti a tutti i suoi uomini, lo sfondamento della porta. Stava fissando dritto davanti a se quando i cardini esplosero e una tempesta di morte e dolore si riversò su di loro. Una sola ombra mastodontica si stagliava davanti a lui, aveva visto di sfuggita il Trace a Sirmium ma non era la stessa cosa che trovarselo davanti bardato da guerra, Massimino era più alto di due uomini ed era il soldato più possente di tutto l'Impero, “Ottima scelta, camerati” pensò mentre il gladio dell'usurpatore lo squarciava dalla spalla all'inguine. In men che non si dica dei valorosi Germani Corporis Custodes non rimaneva più nulla. Il titanico imperatoresoldato avanzò verso Severo, lo prese per la gola e con una rapida torsione della mano gli spezzò la spina dorsale mentre le lacrime gli rigavano le guance. Mamea si alzò in piedi, si guardò attorno e vide solo quelli che un tempo erano stati i suoi soldati calare il gladio su Diocle e sul Ghiottone. Mentre Massimino puliva il gladio e si preparava a completare la distruzione del Casato più potente del mondo, Giulia Mamea lo fissò intensamente negli occhi: «Un'Imperatrice muore in piedi».

~ II ~


Il romanzo

Il leone, la quercia, le aquile

CAPITOLO IV seconda parte

PAOLO LORENZONI


Il leone, la quercia, le aquile

CAPITOLO IV II parte

’ imbrunire portò la pioggia; scesa inizialmente come un velo leggero ora cadeva fredda e copiosa. La guerra non prevedeva ombrelli perciò gli occhi di Leone fissavano la via principale di Marco da dietro la visiera gocciolante dell'elmetto d'acciaio. L'acqua arrivò come per purificare la scena del massacro. La prima cosa che dissolse fu la nebbia della battaglia: il fumo degli incendi e il pulviscolo delle esplosioni; poi toccò agli uomini, dai morti quanto dai vivi lavò via terra e sangue. L'ultimo tributo umano che Rovereto pretese fu alto. Cinquanta cadaveri di arditi erano stati disposti con cura, in fila, nella navata centrale della chiesa; braccia conserte, palpebre chiuse e copricapo sul petto, sembravano godere un meritato riposo. L'edificio era solo un rudere sovrastato da un campanile, la pioggia cadeva sui corpi per poi defluire in mille rivoli color del corallo sul pavimento sconnesso di marmo, raccogliendosi infine in una grande pozzanghera nei pressi di quella che era stata l'entrata della chiesa. I soldati che entravano a porgere un ultimo saluto ai compagni caduti cercavano di aggirare l'ostacolo restando rasenti ai muri... il sangue degli eroi non deve essere insozzato da scarponi infangati... ai vinti non furono riservati altrettanti riguardi. I loro corpi giacevano all'esterno dell'edificio in un cratere creato dall'esplosione di un grosso calibro; si stava riempiendo velocemente d'acqua tanto che le salme più in basso risultavano già quasi sommerse. Le uniformi color del limo aperte o strappate, molti occhi sbarrati, molti arti torti in posizioni innaturali. Nonostante le notevoli dimensioni della buca il cratere non poteva contenere le decine di caduti nemici che nessuno, finora, aveva perso tempo a contare. Leone era seduto al di là della strada, sui resti della facciata della casa

~ III ~


Il leone, la quercia, le aquile

sventrata che si ergeva alle sue spalle. Sentiva le membra pulsare, provate dalla fatica, poiché dopo la battaglia aveva aiutato a raccogliere i cadaveri. Lui non aveva fatto distinzioni di nazionalità, erano tutti sui camerati... o lo erano stati... e la morte non conosce i colori delle divise. Lo sforzo fisico lo aveva aiutato a non ripensare a ciò a cui aveva assistito ma ora i visi dei tre ragazzi morti sotto i sui occhi lo stavano tormentando di nuovo. “E' la guerra” ripeteva a se stesso “chissà a quanti soldati è capitato!” Il pensiero che l'atroce esperienza di cui era stato protagonista fosse in realtà una routine inevitabile condivisa dai guerrieri d'ogni epoca non riuscì a sollevare dal suo cuore il macigno del senso di colpa che provava. Pensava e ripensava che, in fin dei conti, la responsabilità della fine di quelle tre giovani vite ricadesse su di lui! Cosa avrebbe potuto fare per evitare la strage? Poteva agire in modo diverso? Slacciò il soggolo in cuoio e si sfilò l'elmo dal capo. Sentì la pioggia mescolarsi con il sudore della fronte permeando i folti capelli castani, un attimo dopo la brezza del precoce crepuscolo autunnale gli regalò un fresco sollievo. L'inaspettata carezza ghiacciata raffreddò il suo capo insieme ai sui pensieri. La morte non lo aveva reclamato. Che fosse stato il fato o il disegno di Dio a salvarlo poco importava, evidentemente non era quello il momento né il luogo. Sbottonò la giubba dell'uniforme infangata e fradicia e osservò ancora una volta la bandiera. Era di seta consunta e scolorita, qualità indiscusse per un vissuto vessillo bellico; un'ampia macchia di sangue viscoso sul lembo verde si specchiava come una macabra macchia d'inchiostro sul lato rosso rendendolo più cupo. Come aveva già notato di sfuggita al momento della drammatica consegna, sulla parte bianca del tricolore erano segnati nomi di località accanto a date. I toponimi si susseguivano come in una via crucis di guerra; gli eventi della “passione” consistevano in località del Carso, dell'Isonzo, del Piave e del fronte trentino mentre le date comprendevano gli ultimi tre anni di guerra. L'ardito a cui era appartenuta aveva annotato i luoghi nei quali aveva combattuto? Senza dubbio era l'intuizione più immediata non fosse che sul drappo erano presenti altre

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Il leone, la quercia, le aquile

macchie, forse di sangue rappreso... che il caduto l'avesse ereditata come Leone? In fin dei conti poco importava, l'unica certezza era che, come aveva detto l'anonimo soldato con l'ultimo alito di vita, ora toccava a lui. Si alzò risoluto. Quando la mente ha un obiettivo il dolore, la fatica, la disperazione spariscono spodestati da nuovo vigore; il corpo risponde trovando in se delle forze fino ad allora celate. Si diresse verso l'unico edificio ancora provvisto di una porzione dell'originale copertura, in quel luogo erano stati ricoverati i feriti. Un tragitto di poche decine di metri a dire il vero, in guerra come in pace gli ospedali sono vicini agli obitori. Un grande stanzone conteneva più di un centinaio di feriti, anche qui come in chiesa il pavimento era intriso di sangue ma il personale di sanità non aveva gli stessi riguardi nel calpestarlo. Il sangue dei vivi, evidentemente, è meno sacro di quello dei caduti! D'altro canto non avrebbero potuto fare altrimenti occupati com'erano con suture, stecche, bendaggi e... amputazioni! Appena varcata la soglia Leone fu colpito dal tanfo dei feriti, anche peggiore di quello dei morti di fresco, e dal modo in cui gli uomini affrontassero la sofferenza: dalle grida disperate, ai sommessi lamenti, al mutismo rassegnato. Gli occhi perlustrarono la stanza fino a che trovarono ciò che cercavano; un soldato stava annotando i nomi dei feriti. Leone gli si avvicinò alle spalle e venne apostrofato in malo modo: 

I feriti meno gravi devono aspettare il proprio turno! Quante volte

devo ripeterlo? Una volta che l'ebbe visto in faccia l'espressione di Leone contribuì a far cambiare tono al furiere forse più delle due stelle ai polsi della giubba. 

Oh, Tenente... posso esserle utile? E' qui per il rapporto? Le perdite

ammontano a cinquanta caduti e circa cento feriti... 

Non sono qui per questo.

Mentre pronunciava la frase Leone afferrò la penna che il soldato stringeva nella mano destra, una stilografica tedesca Montblanc, quasi sicuramente “requisita” a qualche ufficiale prigioniero. Sotto lo sguardo incredulo e basito del militare Leone dispiegò la bandiera su di una botte poco distante e prese a scrivere:

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Il leone, la quercia, le aquile

“Rovereto redenta 02 novembre 1918”. L'inchiostro fresco e la diversa calligrafia facevano risaltare l'appunto conclusivo dell'inconsueto diario. Resistendo alla tentazione di “confiscare” a sui volta il pregevole oggetto Leone riconsegnò la penna al soldato la cui bocca socchiusa per lo stupore donava un'espressione tragicomica e aggiunse:

Grazie! Ora è tempo di tornare a casa! ***

Aveva percorso quella strada centinaia di volte, con ogni mezzo di trasporto: treno, cavallo, carro, bicicletta, persino in automobile... ma la maggior parte era andato a piedi, come ora. Poco più di sei chilometri separavano l'abitato di Marco dal centro di Rovereto, circa un'ora di cammino lungo una strada carrabile lungo la quale la abitazioni dei contadini si alternavano ai vigneti rigogliosi fino ai sobborghi della città. Questo prima della guerra. Leone stentava a riconoscere ciò che si trovava di fronte. La distruzione di cui aveva avuto un assaggio in prossimità della prima linea si estendeva senza soluzione di continuità fino a dove l'occhio seguiva l'orizzonte inerpicarsi sulle creste delle montagne. Gli splendidi colori dell'autunno avrebbero dovuto ammantare la valle rapendo lo sguardo di residenti e pellegrini ma ora il grigio dominava la tavolozza. Nessuna pianta più alta di un arbusto aveva resistito all'incuria e alla guerra dell'uomo. Le viti da anni non udivano i canti della vendemmia e giacevano al suolo avvizzite fra foglie secche e grappoli marciti. Degli alberi d'alto fusto, di contro, s'intuiva solo l'antica posizione, ora occupata da rotondi ceppi dopo il taglio sistematico ad opera dei genieri militari. Quelle che anni prima erano case coloniche ora sembravano ruderi di una civiltà estinta; formicai calpestati da monelli annoiati e poi abbandonati. Non un'anima accompagnava Leone nel suo cammino: armenti, animali domestici e uomini esistevano solo nei ricordi di colui che per anni aveva patito un esilio forzato. Solo la strada era stata mantenuta efficiente in modo da poter servire gli eserciti. Sulla sua destra ad un tratto vide il colle di Castel

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Il leone, la quercia, le aquile

Dante che dominava l'ingresso sud della città. Era come un vecchio tronco scorticato assalito da centinaia di termiti. Le trincee scavate nel 1915, quando la prima linea passava proprio a ridosso della città, solcavano la brulla collina come profonde cicatrici. La guerra aveva già mostrato spettacoli simili agli occhi di Leone ma le distruzioni viste sul fronte orientale, alle quali egli aveva contribuito non poco dirigendo il fuoco delle potenti artiglierie austriache, riguardavano villaggi e borghi senza identità. Non aveva conosciuto i territori nemici prima di calpestarli con lo stivale dell'invasore... ma qui era diverso, davanti a lui non si trovava un povero villaggio galiziano bensì un'antica città prostrata dalla guerra... la sua città! Il desiderio di raggiungere al più presto la propria dimora punse di colpo la sua mente. Doveva vedere, anche se sapeva che sarebbe stata l'ennesima pugnalata ad un cuore ferito. Partendo da Marco poco dopo l'avanguardia del XXIX° Arditi era quasi certo che non avrebbe incontrato nemici. In ogni caso quando la sopravvivenza è legata ad un “quasi” le precauzioni sono d'obbligo perciò tenne l'arma pronta, camminò ai lati della carreggiata sfruttando eventuali ripari e cercò d'essere più silenzioso possibile. La notte sopraggiunta, il cauto cammino e i pensieri che si accavallavano evitarono a Leone di soffermarsi sulle nuove rovine in cui si imbatteva ad ogni metro. Finalmente imboccò l'ampia via di casa sua. Lo spettacolo era così surreale che ci volle qualche istante a Leone per capire di essere nel luogo che lui ancora chiamava “casa”. Fra gli edifici ai due lati della strada, all'altezza grossomodo del primo piano, erano stati tirati centinaia di cavi bruni. Da ognuno di essi, e per tutta la sua lunghezza, oscillavano alla brezza autunnale una miriade di piccoli fasci di rami che scendevano per poco più di un metro verso terra. Sapeva di cosa si trattava, erano mascheramenti per impedire agli aerei o agli osservatori nemici di vedere i movimenti di materiali e di truppe. Ricordò che quella strada, proseguendo, s'inoltrava per la Vallarsa

fino al fronte del massiccio del

Pasubio, in quest'ottica il maschermento si giustificava... certo era che vedere un tal spettacolo sulla via di casa era molto diverso che studiare “tecniche di mimetismo” su di un manuale militare. L'effetto era di trovarsi a solcare, di

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Il leone, la quercia, le aquile

notte, un ampio fiume fra le liane della giungla africana. A Leone venne alla mente un brave romanzo letto qualche anno prima della guerra, Harts of darkness dell'inglese Joseph Conrad, e con lo stesso timore e tumulto interiore del protagonista Marlow prese a navigare verso il portone di casa. Ciò che trovò non fece che confermare le sue pessimistiche previsioni. Le case del centro città non erano il cumulo di macerie dei sobborghi ma si presentavano comunque gravemente danneggiate dalla guerra. L'artiglieria italiana poteva colpire qualsiasi punto dell'abitato e molte facciate, accanto alle finestre, mostravano i fori sgranati dei proiettili degli obici. Non era il caso, fortunatamente, della palazzina in cui la famiglia di Leone possedeva un emporio al piano terra mentre il primo piano fungeva da abitazione. Ogni finestra, comunque, era in frantumi, il tetto sfondato e le assi che ne avevano composto la struttura erano protese verso il terreno come dita slogate. La massiccia porta del negozio giaceva di lato, scardinata, mentre all'interno il buio più totale non riusciva a nascondere i segni di un evidente saccheggio. Nessuna merce trovava posto sugli scaffali vuoti, per terra solo vetri rotti e polvere. Senza rendersene conto entrò spinto da una mano invisibile, girò dietro il bancone ma vi trovò solo il registratore di cassa a terra, divelto. Le scale all'angolo portavano a casa. Bastarono il chiarore della luna e i ricordi per dirigere Leone fra gli spazi domestici profanati e poi abbandonati da rozze mani estranee. Gran parte del mobilio era scomparso, come le stoviglie, le pentole, la cucina e persino i materassi! Chi e perché? Le truppe italiane erano in città da poco più di due ore e lo spesso strato di polvere onnipresente suggeriva che quel disastro fosse stato causato molto prima. Forse le autorità austriache avevano messo in salvo i beni della popolazione dopo l'evacuazione? Era la risposta più sensata ma mentre questo pensiero prendeva forma nella sua mente ebbe la sensazione che le cose non si fossero svolte proprio in quel modo. Entrò nella sala da pranzo e il suo sguardo fu attirato da un bagliore. La luce della luna, penetrata dal tetto squarciato, si rifletteva sul vetro scheggiato di un quadretto ancora miracolosamente appeso al muro. Leone riconobbe all'istante la foto

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Il leone, la quercia, le aquile

incorniciata e fu subito assalito da un turbine di ricordi. Con un gesto delicato, che nulla aveva a che vedere con la distruzione imperante, staccò con cura la reliquia famigliare dal muro, raddrizzò una sedia capovolta e vi si adagiò osservando l'immagine già vista mille volte. I nonni paterni erano in piedi in secondo piano alle spalle dei sui genitori seduti su sedie imbottite. Sua madre Daniela teneva in braccio la piccola Irene, sua sorella, mentre lui era ritto in piedi alla destra di suo padre Marco. Tutti nella fotografia avevano uno sguardo austero, tranne Leone che, da bambino di circa dieci anni, sorrideva sfoggiando i suoi calzoni corti ed un calzino più arrotolato dell'altro. Sua sorella, di contro, tratteneva a stento le lacrime. La foto era stata scattata nel 1900 in un palazzo vicino, probabilmente la famiglia voleva un ricordo del vecchio secolo, e Leone aveva appena tirato i capelli ad Irene per dispetto, rovinandogli l'acconciatura delle grandi occasioni. Prima della guerra il pensiero che i personaggi ritratti fossero quasi tutti morti lo faceva inorridire ma in quel momento l'idea che, per quel che ne sapeva, poteva essere l'unico sopravvissuto gli fece gelare il sangue nelle vene. Gli anziani nonni si spensero l'uno dopo l'altro nel giro di due anni mentre la madre morì di parto quattro anni dopo, il bambino, suo fratello Luigi, non sopravvisse che qualche mese. La tragedia segnò profondamente la famiglia, suo padre non fu più lo stesso e passò mesi a languire malinconico sulla poltrona di casa. La vera eroina di quel periodo fu la dolce Irene, salvò tutta la famiglia occupandosi della casa, del negozio e dei bisogni del vedovo genitore. Leone sapeva benissimo che non si era ancora sposata per non abbandonarlo e sperava che lo accudisse con amorevole cura ancora oggi. Entrambi erano stati evacuati in Austria nel 1915 seguendo la sorte di tutti i roveretani e di decine di migliaia di trentini residenti in prossimità del fronte. L'ultima volta che aveva avuto loro notizie erano in una campo profughi a Braunau, cittadina al confine fra Austria e Germania, ma da più di un anno non riceveva loro lettere. Da un lato sperava di riabbracciarli presto ma da un altro pensava che la vista della loro casa distrutta e depredata potesse dare il colpo di grazia al cuore ferito del padre. Una salva di colpi di fucile in strada ricordò bruscamente a leone che la

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Il leone, la quercia, le aquile

guerra non era finita e che aveva una missione da compiere; ci sarebbe stato tempo per piangere e disperarsi, ma anche per ricominciare. Ripose la foto con cura, corse in strada e si diresse verso il centro della città, oltre l'antico ponte forbato sul fiume Leno miracolosamente intatto. Di fronte al Palazzo del Podestà, sede comunale, vide una squadra di arditi imboccare la via che saliva al castello e capì che stava succedendo. I soldati avevano sparato alle insegne austriache affisse sul palazzo. Decise di seguirli a distanza, era solo e nella penombra della notte poteva essere scambiato per un nemico e prendersi una pallottola. Mentre passava davanti al portone aperto del municipio fu attratto da una luce all'interno. Si fermò e, mano alla pistola si sporse oltre l'uscio fino a quando distinse la sagoma di un uomo. La barba, il lungo pastrano, il bastone e la lanterna gli ricordarono la raffigurazioni del filosofo Diogene, ma la figura non stava “cercando l'uomo” ma singhiozzava e forse cercava proprio lui... un soldato italiano! Quando i loro sguardi si incrociarono Leone lo riconobbe, lo aveva visto centinaia di volte, bombetta in testa e passo svelto, entrare proprio in quell'edificio per recarsi al lavoro: era Rodolfo Bonora, ufficiale comunale. - Siete giunti alla fine! Gli austriaci si sono ritirati nel pomeriggio, la città è vostra... perlomeno quello che ne rimane. - Signor Bonora! Sono io, mi riconosce? Sono Leone Trentini, dell'emporio dopo il ponte... sono entrato in città con l'avanguardia italiana! Siete liberi! La guerra è finita! Bonora era un funzionario comunale, aveva lavorato per l'amministrazione cittadina tutta la vita, come avrebbe preso il suo “tradimento” enunciato con tanta naturalezza? Ogni dubbio si dissolse quando il funzionario scoppiò in lacrime stringendo Leone in un commosso abbraccio. - E' finita... è finita finalmente!

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Il leone, la quercia, le aquile

Erano le uniche parole che i due uomini riuscivano a dire. Bonora in quel momento non era più l'impiegato visto distrattamente passare per strada ogni mattina, ma un fratello ritrovato dopo anni di guerra, di sofferenze e di orrori. L'abbraccio fu per entrambi liberatorio e anche Leone sentì inaspettatamente le lacrime rigargli il viso. Qualche minuto più tardi i due ricominciarono a parlare, aveva un mare di domande che esigevano una risposta: - Dove sono tutti gli abitanti? Ha notizie della mia famiglia? Stanno bene? Subito il viso di Bonora si fece serio - Tutti i cittadini sono stati evacuati nei primissimi giorni di guerra. Sono stati giorni terribili, ho ancora negli occhi quei visi spaventati sfilare nelle colonne di donne vecchi e bambini diretti alla stazione. Ad ognuno fu permesso di portare un fagotto di non più di cinque chili. Scesero da tutti i paesi in prossimità del fronte, migliaia di disperati: donne sole con infanti infagottati fra le braccia doloranti o che sorreggevano anziani infermi, giovanissimi mandriani che governavano irrequieti armenti con cartelli vergati da calligrafie incerte legati alle corna... mentre le parole di Bonora si trasformavano in immagini da bolgia dantesca nella mente di Leone il racconto dell'anziano si fece se possibile più cupo. - Io ero la... due visioni tormentano da quel giorno i miei sogni e resteranno indelebili nella mia mente: le lacrime di una madre, stretta nell'abbraccio dei suoi tre figli tremanti, dai vestiti consunti e dai visi emaciati. Con le dita intrecciate pregavano sul selciato della stazione; implorando Dio di proteggerli e di fargli riabbracciare il padre inghiottito, come migliaia d'altri, dalle steppe di Galizia.

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Il leone, la quercia, le aquile

Leone conosceva quei luoghi e i volti di quegli uomini. Speranzosi erano partiti dalle valli trentine ma sul loro cammino di conquista avevano trovato la tenacia del contadino russo, un territorio sterminato e una guerra moderna, a cui nessuno era preparato. Come risultato centinaia di migliaia di soldati della duplice monarchia austriaca ora languivano in campi di prigionia disseminati nella vastità dell'impero dello Zar. Le parole di Bonora riaprivano vecchie ferite, le stesse dalla quali era germogliata l'idea di disertare. - Non eravamo preparati ad una simile evacuazione. L'organizzazione fu frettolosa e caotica. I treni arrivarono a singhiozzo con carrozze da bestiame, le persone rimasero senza cibo né acqua accampate intorno alla stazione per giorni. La paura, l'incertezza e la rassegnazione mantennero mansueta quella massa di disperati fin quasi alla fine delle operazioni... poi arrivarono le bombe dei cannoni italiani. Le granate caddero lontane ma il fragore bastò perché il panico si diffondesse fra la folla. Grida, lamenti, spintoni. Un gendarme, eseguendo alla lettera uno dei folli ordini del Comando Militare, prese a sparare agli animali randagi che avevano seguito i profughi. Cani, gatti e piccoli ovini abbandonati dalle loro madri venivano abbattuti a rivoltellate schizzando i marciapiedi di nervose pennellate sangue. I colpi d'arma da fuoco non fecero altro che alimentare la follia di quelle ore... - Ma i miei famigliari? Sono mesi che non ne ricevo notizie. Sono passato da casa mia e ho trovato tutto a soqquadro! - Le autorità militari austriache hanno requisito tutto: hanno cominciato con i metalli quali rame, ottone e ferro; li hanno presi ovunque si trovassero... nemmeno le campane delle chiese si sono salvate. Poi sono entrati nelle case degli sfollati portando via tutto ciò che poteva servire o avere un valore: mobili, pentole, cuscini e materassi per arredare i loro ricoveri. Da alcuni edifici hanno addirittura smontato i pavimenti o le travi dei soffitti! Quando i nostri concittadini torneranno non troveranno nulla... le case rimaste in piedi sono vuoti involucri di pietra.

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Il leone, la quercia, le aquile

L'ultima frase di Bonora riecheggiò nell'entrata dell'antico palazzo del Podestà. La guizzante fiamma della lanterna danzava nei sui stanchi occhi resi vitrei dalla vecchiaia, dalle lacrime e dall'emozione. Ci vollero alcuni secondi perché la mente di Leone metabolizzasse le parole dell'anziano ufficiale comunale. Queste ultime da un lato acuivano il risentimento verso quell'impero che aveva preteso il suo sangue, la sua casa e i sui averi; dall'altro lo costringeva a pensare al futuro... ad un futuro diverso. - Ricostruiremo la nostra città! Le radici della “città della quercia” sono profonde. Questa non sarà la fine di Rovereto ma la sua rinascita nel grembo della nostra nuova madre Italia... Ella ci aiuterà! Gli occhi di Bonora si levarono dalla fiammella e incrociarono quelli di Leone ma, contrariamente a quanto pensava il giovane, l'espressione del suo interlocutore non cambiò e, con l'inespressiva voce della saggezza rispose - Lo spero, figliolo, lo spero per tutti noi.

~ XIII ~