Vademecum per il provetto chirurgo della cataratta




Ricette Gourmet per chirurghi stellati Vademecum


Ricette Gourmet per chirurghi stellati Vademecum
© Copyright FGE srl
ISBN 978-88-31256-78-0
Marzo 2025
FGE srl
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L’idea di questo libro nasce per caso, organizzando un corso di cataratta complicata per il secondo congresso nazionale SISO del 2023: ci fu una tale proposta di corsi da parte dei membri della Società che il tempo del corso mi fu ridotto a pochi minuti per relatore. Di qui l’idea di lasciare molto di quello che andava detto in un opuscolo e limitare la relazione ad un video commentato dall’autore ed alle successive domande. Trattandosi di video registrati e commentati, volli dare la possibilità di rivedere, magari anche quando si fosse presentato un caso simile in sala operatoria, i video su un canale youtube dedicato e facilmente raggiungibile inquadrando il qr code sul libricino con il proprio telefonino. Il corso funzionò e, siccome i miei specializzandi da tempo mi chiedevano appunti per la chirurgia, pensai che il format sarebbe stato perfetto per divulgare messaggi di chirurgia pratica. In questo manualetto ho provato a trasmettere, in una prima parte, dei concetti di organizzazione generale che, ho notato, mancano ad alcuni giovani chirurghi; a seguire, il mio modo di affrontare la cataratta “ordinaria” e, per ultimo, complicanze e casi complicati. Ad ogni argomento premetto i motivi teorici del perché un intervento piuttosto che un altro, seguito dalle ricette e da eventuali “consigli e trucchetti” che potrebbero tornare utili.
Dario Furgiuele
Dario Furgiuele
La chirurgia della cataratta ha avuto una rapida evoluzione negli ultimi 40 anni, dettata specialmente dallo sviluppo tecnologico del facoemulsificatore. Col passare del tempo, alcune tecniche si sono rivelate particolarmente efficaci, altre meno. Determinati movimenti sviluppati negli anni passati per consentire una sicura transizione dalla ECCE alla FACO, sono controproducenti per l’evoluzione dei giovani chirurghi che si avvicinano a una moderna chirurgia della cataratta e non andrebbero più insegnati. Apprendere dei movimenti che, successivamente, non faranno più parte della pratica chirurgica, è una perdita di tempo. Da anni, ormai, insegno solo l’estrazione extracapsulare da tasca sclerale e la faco con due modalità: chip&flip e stop&chop. Con queste competenze si risolvono il 100% dei casi di cataratta. L’esperienza del singolo chirurgo, poi, lo porterà a modificare gli insegnamenti acquisiti in maniera personale, come una forma di evoluzione. Nei casi difficili ed al presentarsi di complicanze, l’intervento lineare che si realizza di routine deve essere corretto con accorgimenti particolari. Quando mi chiedono quale intervento di cataratta sia il più difficile, sovente rispondo: “quello più scomodo”. Operare scomodi è l’ultima frontiera nell’evoluzione del chirurgo e comunque, sebbene praticata, rimane un’esperienza sgradevole e stressante. I secondi spesi all’inizio della procedura per posizionare il capo del paziente, i pedali, lo sgabello, il servente, sono i secondi spesi meglio. Anche la posizione dei tagli, quando non guidata da severe esigenze refrattive, andrebbe scelta in funzione della comodità del chirurgo, sia per l’accesso all’occhio che per l’appoggio delle mani. Senza scendere in discorsi di ergonomia sulla posizione del microscopio, la pratica nell’uso del pedale è fondamentale per mantenere sempre
La corretta posizione operatoria non dovrebbe stancare né il collo, né le braccia, né i piedi.
una visualizzazione eccellente: vedere male significa operare male.
Il contatto con le nuove generazioni di oculisti mi ha mostrato un mondo di materiali video formativi ampiamente fruibili in rete: tutte le tecniche di base sono abbondantemente illustrate da validi chirurghi, oltre che insegnate in tutte le scuole di specializzazione, motivo per cui manovre come la capsuloressi anteriore circolare continua, il riempimento degli spazi con viscoelastico, l’iniezione di una IOL o una incisione corneale, verranno considerate come note e non affrontate.
In ogni posizione, le mani dovrebbero tendere a poggiare la maggior superficie possibile sul capo o sul volto del paziente.
Il supporto video mi è sembrato un momento fondamentale nella compilazione di un manuale pratico da utilizzare al giorno d’oggi. La scelta dei contenuti, però, ha seguito due principi diversi: se nella spiegazione delle tecniche fondamentali ho preferito esecuzioni pulite e lineari, in quella delle complicanze e degli interventi complessi ho voluto mostrare qualcosa di più simile alla realtà, con difficoltà inaspettate, campi operatori imperfetti, strumentario “vissuto”. Raccogliere video delle “complicanze delle complicanze” avrebbe richiesto un lavoro troppo lungo affinché potessi svolgerlo da solo, motivo per cui ho deciso di rimandare questo “libro degli orrori” ad un secondo momento, raccogliendo i casi che i colleghi vorranno inviarmi e quelli che verranno esposti nei prossimi corsi di chirurgia complicata della cataratta.
È innegabile che la quasi totalità degli interventi di cataratta verte intorno al facoemulsificatore, uno strumento che si crede di conoscere bene ma, in realtà, anche i tecnici delle aziende che li distribuiscono sanno configurare poco. Oggi è davvero molto difficile trovare uno strumento che abbia performance scadenti, dunque, se non vi soddisfa, probabilmente è perché non è configurato bene. Le caratteristiche del facoemulsificatore sono espresse
nella stabilità dei volumi nell’occhio e nell’inevitabile danno indotto all’endotelio dalla procedura.
Dario Furgiuele
La posizione della sleeve è fondamentale per la creazione dei flussi laminari irriganti: non troppo avvitata né troppo svitata, ma giusto in corrispondenza della rastrematura.
Ogni manipolo ultrasonico può spesso montare diverse punte e diverse sleeves per andare incontro alle esigenze di tutti i chirurghi. L’accoppiata punta/sleeve è quasi obbligata: non osate improbabili mix&match, potreste pentirvene amaramente! Anche la posizione della sleeve sulla punta è molto importante per consentire un corretto funzionamento dei flussi laminari: la porzione di punta che si trova al di fuori della sleeve deve essere esattamente quanto previsto dagli ingegneri che la hanno disegnata. Ogni punta lavora dunque, in maniera ottimale, in un tunnel corneale prestabilito: due decimi di millimetro in meno possono causare strozzamento della sleeve con cottura del tunnel, due decimi di millimetro di troppo saranno accompagnate da perdita di camera, risoluzione della midriasi, prolasso irideo, dolore (per il paziente ed il chirurgo). Se avete un taglio largo, non crediate di risolvere il problema aumentando l’infusione: avrete solo iride impegnata dovunque. Allo stesso modo, la medesima macchina ha la possibilità di utilizzare cassette diverse, con pressione altitudinale, aria compressa, adattiva o miste: ogni singola cassetta deve avere la sua specifica configurazione. Discorsi simili valgono per la modalità infusione/aspirazione: che si tratti di monovia o manipoli separati, i livelli di infusione e di vuoto vanno stabiliti in base ai diametri degli ugelli, tanto di quelli che infondono quanto di quello che aspira. Ovviamente, un taglio corneale che è troppo largo per l’infusore/aspiratore che lo occupa darà perdite di profondità della camera prevedibili, quindi si valuti attentamente il taglio (o il tagliente) degli accessi di servizio. Altro argomento rilevante riguarda gli ultrasuoni: tutti i nuovi manipoli hanno emissioni controllate e basso riscaldamento, ma gli impulsi utilizzati in camera anteriore devono essere sempre più delicati rispetto a quelli esprimibili nel sacco capsulare. La prima fase dell’intervento si giova spesso
della modalità “scolpitura” in cui l’aspirazione è la minima per rimuovere frammenti di cristallino polverizzati e l’intensità degli ultrasuoni è regolabile linearmente per scavare senza stressare la zonula: durante questa fase si deve vedere il cristallino perdere frammenti senza muoversi sotto la spinta dello strumento. Presupposto che la parte più massiccia del nucleo sia stata rimossa con la scolpitura, la fase successiva utilizza meno ultrasuoni ma aspirazione più elevata per inchiodare sulla punta, frammentare bimanualmente ed aspirare grossi frammenti di cristallino. Tali manovre si concludono spesso in camera anteriore, dove sarebbe opportuno ridurre ulteriormente le emissioni utilizzando modalità pulsata o, in caso sia ancora necessario disoccludere la punta da frammenti molto duri, la modalità a raffica (burst).
Anche sul viscoelastico esiste molta confusione: pesante, leggero, catena lunga o corta, concentrazione... Tutti termini che non danno idea delle caratteristiche. Per praticità parlerò solo di viscoelastico “adesivo”, utile per la capsuloressi e per proteggere l’endotelio; viscoelastico “coesivo” per identificare quei modelli che facilmente vengono fuori tutt’insieme, ideali per l’impianto della IOL; viscoelastico “dispersivo” per indicare quei composti molto acquosi che, anche se lasciati all’interno dell’occhio a fine intervento, danno minimi rialzi pressori. Mentre coesività e dispersività sono inversamente proporzionali in maniera piuttosto lineare, l’adesività, sebbene logicamente poco affine a viscoelastici altamente coesivi, è determinata anche dalle cariche elettriche delle molecole con cui è composto il viscoelastico, motivo per cui può variare in maniera indipendente diventando una caratteristica richiesta o meno dal chirurgo (si può desiderare un viscoelastico dispersivo ed adesivo durante la capsuloressi ed uno dispersivo ma non adesivo in caso di rottura capsulare). Da non tralasciare gli effetti benefici di soluzioni arricchite con agenti osmotici.
Altro argomento che aiuta a condurre una serena seduta chirurgica è lo strumentario di base. Nelle estremizzazioni recentemente acquisite, tutto è contenuto in un custom pack monouso, comprese pinze per capsuloressi e blefarostato. In effetti, la mia spasetta base per cataratta contiene sette strumenti, quindi pochi, ma essendo tutte uguali, gli infermieri che le
Dario Furgiuele
mettono a posto non possono sbagliare a sistemarle e ad ogni intervento ritrovo il confort della routine. Similmente, consiglio un custom pack per il monouso con pochi dispositivi dedicati alle abitudini del singolo chirurgo. Di seguito proporrò un breve elenco di strumenti per la chirurgia di base con le opportune descrizioni.
• La spasetta: la cassetta sterilizzabile che contiene i ferri dovrebbe avere dimensioni congrue per accogliere comodamente tutto il necessario senza diventare ingombrante. Si badi alla profondità per non deformare strumenti voluminosi e si tenga presente che, talvolta, alcuni ferri potrebbero esservi aggiunti (ad esempio l’iniettore della IOL o un anello di Mendez).
• Le forbici ad anello: per quanto non strettamente utilizzate per l’intervento, tali forbici servono per incidere il telo oftalmico sterile posto sul campo operatorio. Devono essere piccole da non ingombrare la spasetta, possibilmente a punta smussa, simili a forbici da strabismo.
• La pinza per la capsuloressi: strumento fondamentale, necessariamente di alta qualità. Attualmente, per operare comodamente in tagli difficilmente superiori a 2.5mm, sono da preferire quelle che lavorano con branche incrociate. Il terminale ricurvo può essere appuntito, di I ferri che servono “sempre”.
• Il blefarostato: il divaricatore della chirurgia oftalmica ha ispirato disegni tra i più fantasiosi, tanto che se ne trovano molteplici varianti. Quello ideale dovrebbe essere leggero, di modo da non scivolare temporalmente a causa della gravità. A tal fine, preferisco quelli a valve aperte, formate da sottili fili d’acciaio ricurvi: associato ad un telo adesivo che catturi le ciglia, tale blefarostato assolve egregiamente alla sua funzione.
modo da consentire anche di incidere la capsula prima di afferrarla per procedere con la capsuloressi. La pinza disegnata da Inamura accoglie tutte queste caratteristiche e rappresenta una valida soluzione.
• Il chopper verticale : per effettuare tagli nel nucleo sfruttando le linee di frattura tra le fibre arciformi, lo strumento ideale assomiglia ad un uncino di Sinskey appuntito con margine interno affilato. Il chopper di Rosen è lo strumento più indicato.
• Cannule per infusione ed aspirazione automatica: le cannule dovrebbero essere di lunghezza contenuta per non rischiare di fare toccare il tubo ad esso connesso, avere impugnatura zigrinata per favorire la presa anche a guanti bagnati e steli curvi da 23G. L’infusore dovrebbe avere due ugelli laterali di circa 26G di diametro, l’aspiratore un solo ugello anteriore di circa 27G di diametro e punta sabbiata.
• Pinza per maneggiare la IOL: nella spasetta non può mancare una pinza multiuso smussa per manipolare la IOL da inserire nell’iniettore o per altre manovre delicate. Io preferisco una serrafili tipo McPherson o una pinza corneale retta di Hoskin, ma su questo ferro ci può essere più elasticità.
La spasetta delle emergenze dovrebbe essere sempre pronta e sterile: tutti quei ferri che non si usano in un abituale intervento di cataratta ma che possono essere necessari in caso di esigenze straordinarie. Sebbene qui si entri nel merito di esperienze personali e preferenze soggettive, credo che gli strumenti descritti di seguito non dovrebbero mai mancare.
• Portaghi e serrafili: che si tratti di mettere una sutura 10/0 sul tunnel principale o si debba effettuare una sospensione sclerale coperta, portaghi e serrafili saranno fondamentali. Siccome difficilmente si utilizzeranno fili di calibro maggiore ad 8/0, tali ferri dovranno essere particolarmente delicati.
• Forbici iridee (Vannas): per quanto le iridotomie siano infrequenti nella chirurgia della cataratta, tali delicate forbici sono perfette per tagliare il vitreo e la capsula anteriore (oltre al nylon 10/0).
• Forbici congiuntivali (Westcott): necessarie per esporre la sclera o il limbus programmando una sospensione sclerale o una ECCE, possono tornare utili anche per risolvere la chemosi congiuntivale in un tunnel troppo limbare.
• Ansa: io la uso prevalentemente per salvaguardare l’iride nell’espressione del nucleo durante un intervento di ECCE, ma, in caso di rottura della capsula posteriore con frammenti ancora in camera posteriore, questa slitta sarà una benedizione anche utilizzata dal tunnel principale: per tale motivo consiglio i modelli più stretti, utilizzabili da tunnel corneali “poco allargati”.
• Uncino da IOL: questo manipolatore per IOL ha le sembianze di un uncino ma è molto più corto. Tale caratteristica permette di catturare un’aptica della IOL 3 pezzi sull’iride senza lacerare o agganciare il tessuto sottostante, per poi liberare l’ansa con una facile inclinazione laterale. Fondamentale per impiantare nel solco.
Dario Furgiuele
I ferri che non servono “quasi mai”, ma quando servono devono essere pronti!
• Divaricatore irideo: questo strumento, più noto con il nomignolo di “forchettina”, è molto utile quando si operano cataratte sinechiate o con pupille strette non reagenti alla midriasi farmacologica. Occasionalmente, può essere utilizzata per maneggiare le IOL.
• Push-pull: questo manipolatore di IOL a forma di “alabarda” è molto utile, oltre che per muovere una IOL, anche per catturare fili in camera anteriore, come nelle plastiche iridee o nelle sospensioni sclerali.
• Manipolatore di nucleo smusso: tale strumento con l’estremità a forma di oliva può tornare molto utile quando è necessario muovere qualcosa all’interno dell’occhio, che si tratti di frammenti di nucleo, IOL, iride, ecc..
• Anello di Mendez: questa ghiera graduata risulta indispensabile sia nell’impianto di IOL toriche che nella scelta del punto in cui perforare quando si effettua una sospensione sclerale.
Il custom pack è l’insieme di monouso dedicati ad un intervento completo avvolti in un telo servitore sterile. È estremamente pratico, tipicamente cambia di struttura in struttura e, nella stessa equipe, anche a seconda della procedura. Per la cataratta, non possono mancare i seguenti presidi:
• Telo copri servente: telo in TNT di circa 1m x 80cm in cui sono avvolti gli altri contenuti.
• Telo occhio: telo con apertura decentrata sostituita da adesivo trasparente e sacca per contenere i liquidi che defluiscono dal campo operatorio. Le versioni più lunghe e con sacca da ambo i lati sono preferibili. In alcuni teli, è presente un rinforzo metallico anche in corrispondenza del volto per liberare le vie aeree del paziente e ridurre l’effetto claustrofobico.
• Siringa 5ml luer-lock: siringa di sicurezza per effettuare idrodissezione ed idrosutura senza rischiare che la cannula si disinserisca e causi danni.
• Siringa da 1ml: per completare l’intervento iniettando cefuroxima sodica in camera anteriore.
• Cannula da idrodissezione: tipica cannula angolata con punta smussa ed appiattita. Fondamentale per facilitare l’idrodissezione e utile per irrigare la camera anteriore ed effettuare idrosutura.
• Cistotomo: sebbene molte delle pinze da capsuloressi siano assolutamente idonee ad incidere la capsula, il cistotomo, per precisione e controllo, riveste sempre un ruolo speciale. Tipicamente angolato, eventualmente curvo, deve avere una punta piegata a 90°, non uncinata.
• Taglienti precalibrati: questi taglienti sono funzionali ai calibri degli strumenti utilizzati. Non si tratta, ad ogni modo, di un particolare da sottovalutare: un tagliente poco affilato crea tagli imprecisi ed irregolari che esitano in opacità stromali evidenti anche anni dopo l’intervento. Il tagliente principale è sempre angolato, quello per l’ingresso di servizio quasi mai. Se si effettua una chirurgia standardizzata, consiglio di prendere entrambi i taglienti calibrati e angolati.
• Garze: per effettuare la disinfezione di cute e congiuntiva, oltre che per asciugare prima della medicazione.
La pratica clinica della struttura in cui si lavora può suggerire l’introduzione di altri dispositivi altrimenti aperti separatamente, come guanti, cerotti,
Dario Furgiuele
asciughini o la stessa cassetta del facoemulsificatore. Per mia esperienza, tutto ciò che non viene utilizzato sempre, non vale la pena di essere inserito nel custom pack.
Senza anestetizzare l’occhio non si può operare. Senza anestetizzarlo in maniera adeguata, non si opera serenamente. La responsabilità dell’anestesia, però, non ricade solo sul chirurgo ma, in prevalenza, su chi lo circonda. La maggior parte degli interventi di cataratta si conduce in regime di anestesia topica: colliri a base di ossibuprocaina cloridrato, meno frequentemente lidocaina cloridrato o ropivacaina cloridrato, vengono instillati nell’occhio da operare nell’ora precedente all’intervento alternata ai colliri midriatici (tropicamide, fenilefrina, ciclopentolato). Se tale preparazione è generalmente più che sufficiente in casi normali, occhi con scarsa dilatazione, fortemente miopi, affetti da IFIS o precedentemente vitrectomizzati soffrono gli sbalzi pressori della facoemiulsificazione in maniera più dolorosa. In tali casi, un’aggiunta di anestetico in camera anteriore, come lidocaina cloridrato 10mg/ml (contenuta nel Mydrane), riduce enormemente il fastidio percepito dal paziente. Se, tuttavia, si prevede di effettuare una procedura più impegnativa, di agire sull’iride o sul corpo ciliare, come in caso di sospensione sclerale, allora è necessario effettuare un blocco locale. Tale anestesia ricade sul chirurgo: peribulbari o parabulbari, effettuate con ago corto, contrariamente a quanto si immagina, sono più dolorose e rischiose rispetto ad una iniezione retrobulbare con ago da 30 mm. Per tale motivo, vi illustrerò primariamente come effettuare un blocco iniettando 5 ml di anestetico retrobulbare. L’anestetico locale che preferisco per la chirurgia della cataratta è la mepivacaina cloridrato, molto rapida ad agire ma di breve durata. Per interventi più lunghi utilizzo la ropivacaina cloridrato, anche se l’effetto analgesico e oftalmoplegico
Il necessario per effettuare un’efficace anestesia retrobulbare.
Fasi dell’anestesia retrobulbare con ago da 30mm.
a. Reperimento con l’indice del margine orbitario inferotemporale e contestuale dislocamento superiore del globo.
b. Penetrazione con l’ago in direzione dell’apice della piramide orbitria (si punta al centro della testa) per tutti i 3 cm dell’ago.
c. Lenta e delicata iniezione di circa 5cc di anestetico.
d. Si constata l’abbassamento della palpebra ed un modesto esoftalmo.
e. Compressione con peso di circa 700g per 3 minuti.
può durare oltre 12 ore con tutti i disagi che tale condizione comporta. Per effettuare una iniezione retrobulbare indolore ed efficace, porre il paziente disteso con il piano anteriore dell’orbita parallelo al soffitto. Invitando il paziente a fissare un punto sul soffitto con l’altro occhio di modo da mantenere una posizione primaria di sguardo, sondare con l’indice il margine inferiore dell’orbita partendo dall’angolo inferolaterale e, procedendo medialmente, avanzare fino ad incontrare il globo e dislocarlo lievemente superiormente: mantenendo il dito in questa posizione, penetrare la cute con l’ago lateralmente all’indice mantenendo, per i primi 10 mm, una posizione verticale, poi inclinare la siringa in modo da puntare all’apice della piramide orbitaria. Dal margine orbitario inferiore, il fondo dell’orbita dista circa 45 mm: i 30 mm dell’ago ci posizionano con buona sicurezza nel cono muscolare ma lontano dal nervo ottico e da qualsiasi parete orbitaria. L’iniezione dell’anestetico deve avvenire delicatamente, lentamente ma senza alcuna resistenza. 5cc nel punto giusto dovrebbero essere sufficienti. Dopo l’iniezione dell’anestetico è opportuno applicare una pressione costante per 5 minuti, sia per dare un effetto emostatico, sia per spingere la diffusione dell’anestetico. L’utilizzo di un peso di circa 700 gr per mantenere costante la pressione è l’ideale. Se l’effetto anestetico/oftalmoplegico non
Dario Furgiuele
Cannula per anestesia sottotenoniana.
è soddisfacente, si puo “rinforzare” l’anestesia con una ulteriore iniezione o, sfruttando la sicura analegesia inferotemporale, approfondire con iniezione sottotenoniana sul tavolo operatorio. Tale anestesia si ottiene praticando una piccola incisione della congiuntiva e della capsula di Tenone in prossimità del fornice inferotemporale (in quel punto non si incontrano muscoli); tale incisione si può realizzare anche con un ago da 22 G dopo avere sollevato la plica di congiuntiva/Tenone con una pinza. Sulla siringa di anestetico porre la cannula da sottotenoniana o, in alternativa, basta anche la cannula da idrodissezione. Facendo scorrere la cannula attorno al globo, si dovrebbe entrare fino al cono facilmente (senza trovare resistenze): iniettare delicatamente l’anestetico, anche in questo caso non si dovrebbero incontrare resistenze (viceversa potremmo non essere nel punto giusto con la cannula). Il tramite congiuntivale, per definizione, non richiede di essere suturato o chiuso in alcun modo. In tutta questa vicenda, il ruolo dell’anestesista inizia solo quando il paziente richiede un supporto psicologico. La claustrofobia o l’ansia estrema richiedono un sapiente dosaggio di benzodiazepine: nella mia pratica clinica raramente ho incontrato situazioni che basse dosi di midazolam non hanno perfettamente risolto. I sovradosaggi possono essere problematici, motivo per cui serve qualcuno che abbia la giusta confidenza con la molecola.
La più maneggevole delle benzodiazepine: il midazolam.