Rivista Ogliastra Sanità - Anno 5 - Numero 14 - Marzo 2011

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Ogliastra Sanità

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Periodico a cura di Mano Tesa Ogliastra

Anno 5 - Numero 14 - Marzo 2011

Editoriale

A cura di Natalino Meloni

Saremo tutti nuoresi?

Esistono le regole e come tali vanno rispettate, esiste però il buon senso al quale non si può non dare il giusto peso. Le regole, d’altra parte, se sono delle buone regole in determinate situazioni, possono non esserlo in circostanze diverse. La regola impone che i centri ostetrici in cui non nascono almeno 500 bambini nel corso di un anno vanno chiusi. Nel reparto di ostetricia dell’ospedale di Lanusei nel 2010 sono nati 412 bambini, però la regola dei 500 se ha ragion d’essere per un ospedale inserito in una città di 100.000 abitanti con allegato un ampio interland, diventa una cattiva regola se riferita ad un ospedale che opera in un territorio di oltre 1800 Km2 come l’Ogliastra, da cui il centro ostetrico più vicino, Nuoro, dista un’ora – un’ora e mezza di tempo. L’evento del parto, già di per sé carico di ansia e nel contempo momento di gioia, rischia di comportare per le partorienti ogliastrine un’accresciuta tensione sia perchè avviene in un luogo troppo distante dal proprio ambiente di vita e dagli specialisti da cui sono state seguite, sia per la pericolosità che in determinate complicanze del parto possono rappresentare quei sessanta minuti di ritardo nell’adozione degli opportuni provvedimenti. Verrebbe anche a mancare quella piacevole partecipazione di amici e parenti che di solito si affolla intorno al letto della puerpera, solo pochi intimi affronterebbero il viaggio fino a Nuoro o Cagliari. Il reparto di ostetricia e ginecologia di Lanusei è stato sempre apprezzato, la mancanza di un affollamento selvaggio ha consentito uno svolgimento sereno delle attività, i tempi di attesa sono minimi, i risultati tra i buoni delle medie nazionali. Alla luce di tali considerazioni la regola dei 500 non è una buona regola perché crea disagi, non è adeguata al territorio in cui la gente vive, risponde a puri criteri economici di risparmio e crea una frattura sempre più profonda tra la persone e le istituzioni.

I tumori dello stomaco Dare il giusto peso ad alcuni sintomi, effettuare opportuni accertamenti se si è nelle categorie a rischio, adottare alcune regole di vita, seguire una corretta alimentazione, sono tutte strategie per riconoscere e prevenire i temibili tumori dello stomaco. Anche il carcinoma dello stomaco, la neoplasia gastrica maligna più frequente, se riconosciuto precocemente, è completamente guaribile. (a pag. 3)

Intolleranza al lattosio Sempre più spesso si sente parlare di intolleranza al lattosio. Ne è affetto chi presenta una deficienza dell’enzima lattasi che, per certi versi, è “normale” nelle persone adulte. L’enzima, infatti, quasi sempre presente nei bambini fino allo svezzamento, per predisposizione genetica tende a scomparire con l’andare del tempo. Oggi si tende a considerare normali gli individui che non digeriscono il latte, mentre quegli adulti che mantengono un’attività enzimatica tale da permettere loro di digerire il latte sono chiamati “lattasi-persistenti”. (a pag. 8)

Intervista al dottor

Sandro Rubiu Direttore del Distretto socio-sanitario di Tortolì

Intervista a Dottor Tumbarello L’Unità Operativa di cardiologia dell’Ospedale di Lanusei partecipa ad una futuristica iniziativa basata su una infrastruttura realizzata dal CRS4, un prestigioso centro di sviluppo, che ha sede a Pula, in cui lavorano tanti giovani ricercatori isolani. Il progetto mette in rete alcuni ospedali sardi e, attraverso la telemedicina, si estende l’attività cardiologia pediatrica del Brotzu. Tutti i neonati verranno sottoposti ad ecocardiogramma che potrà essere letto ed interpretato in tempo reale dagli specialisti di Cagliari. Si vuole evitare l’invio a Cagliari di neonati che non hanno patologie e il mancato invio di un piccolo paziente che ne ha bisogno.

Sommario Intervista alla dott.ssa Licia Pau .............1 Il carcinoma gastrico...............................3

A cura di Giusy Ferreli

I segreti del latte.....................................6

Sandro Rubiu è nato a Villagrande, ha 54 anni ed ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Chieti nel 1985 con una tesi in medicina del lavoro. Inizio dell’attività professionale con il botto nella Guardia Medica di Orune, dove nell’arco di un mese, capitarono in quel paese una serie di eventi delittuosi che resero le ore di lavoro alquanto movimentate. Fu molto importante il successivo lavoro di tirocinante nella Medicina di Famiglia presso lo studio di Dr. Pasquale Bentivegna a Ilbono: imparò il giusto approccio con il paziente e a navigare nel mare burocratico che quel tipo di attività impone. Dopo di che, nel 1986, acquisì la titolarità di medico di Continuità Assistenziale a tempo indeterminato a Talana. Nel 1991 vinse il concorso

Intolleranza al lattosio e allergie al latte....8 Il fitness metabolico ..............................10 “Accompagnamento” del malato ...........11 Nuove regole per assistere i disabili . .....13 Associazione Volontariato Strisaili..........15 Una nuova minaccia per i nostri ovini ....17 Intervista a dott. Tumbarello..................19 Dottor Antonio Toxiri..............................20 La cannabis terapeutica.........................23

(a pag. 19)

Dottor Antonio Toxiri E’ stato per decenni l’Oculista degli ogliastrini ai quali ha sempre offerto la massima disponibilità anche quando, per lavoro, si è trasferito altrove. Fino agli ultimi giorni di vita non ha abbandonato la pratica professionale e a chiunque andasse a chiedere una consulenza non si è mai rifiutato di prestare le proprie cure e, come tutti possiamo testimoniare, assieme alle terapie era sempre compreso il suo bonario e rassicurante sorriso.

(segue a pagina 2)

(a pag. 20)

Associazione di Volontariato

mano.tesa.ogliastra@alice.it www.manotesaogliastra.it

Mano Tesa Ogliastra

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Periodico a cura di Mano Tesa Ogliastra

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Intervista al Dottor Sandro Rubiu per ricoprire l’incarico di medico di igiene e sanità pubblica. In questo ruolo ha esercitato nei diversi ambiti territoriali dell’azienza: Jerzu, Lanusei e dal 1998 Tortolì. In questa sede, dal 1999, si è occupato della creazione delle cure domiciliari appena istituite. Dallo scorso aprile è stato nominato Direttore di distretto.

Cosa si intende per distretto? E’ tutto l’insieme dei servizi sanitari e socio-sanitari aziendali che non afferiscono all’area dell’assistenza ospedaliera e della prevenzione. Nello specifico rivestono particolare rilievo le cure primarie: Medicina di Famiglia e Specialistica ambulatoriale. Non minore importanza è riservata alle cure domiciliari che si occupano di fornire assistenza qualificata presso il domicilio del paziente avvalendosi delle prestazioni di diverse figure professionali: medico di Medicina Generale, infermiere professionale, fisioterapista, specialisti delle diverse branche. All’occorrenza integrano l’intervento le figure professionale dei servizi sociali dei comuni di residenza.

Ci sono altre strutture aziendali che afferiscono al Distretto? Certamente. Sono l’emergenza territoriale, a cui si accede con il 118, la Riabilitazione e il servizio Materno-infantile che comprende il Consultorio e la Neuropsichiatria infantile.

La complessità del distretto da cosa è data ? Il Distretto comprende 5 Unità operative, ciascuna delle quali ha un ambito di

competenze abbastanza vasto. Poiché in ognuna di queste vanno curati non solo gli aspetti strettamente assistenziali, ma anche tutte le problematiche inerenti l’aspetto organizzativo e amministrativo, la complessità dell’impegno richiesto è notevole.

Quale è il rapporto tra il Distretto e i Medici di famiglia? Il Medico di famiglia è il professionista più vicino al paziente e funge da tramite tra questi e i servizi aziendali, ne deriva l’importanza di un rapporto che deve essere, e per fortuna lo è, improntato ad un favorevole e sereno confronto. Ci sono degli obbiettivi da condividere in base alla programmazione nazionale e regionale. Le strategie aziendali finalizzate al raggiungimento di tali obbiettivi, trovano collocazione in un tavolo di trattativa aziendale che vede come attori il Distretto, i vertici aziendali e i rappresentanti dei medici di Medicina Generale.

Per scendere nei particolari, ci può descrivere alcuni di questi obbiettivi? Attualmente la nostra attenzione è rivolta in particolare a tre progetti che sono: • la “Gestione integrata del paziente diabetico”, che prevede la presa in carico da parte del medico di famiglia, in collaborazione con il centro antidiabetico, dei diabetici senza complicanze. • la “Valutazione del rischio cardiovascolare” che prevede per i pazienti da

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39 a 69 anni la valutazione del rischio di avere un evento cardiovascolare nei dieci anni successivi. • la “Valutazione del rischio renale” che prevede, per tutti gli ultracinquantenni, il controllo di alcuni parametri indicativi della presenza di una diminuita funzionalità renale.

Qual è la situazione dell’assistenza domiciliare? DIco con orgoglio che la nostra è una delle aziende con la più alta attività di cure domiciliari . Questo deriva non solo da una esigenza assistenziale, ma da una concreta risposta alle direttive dell’Unione europea, che individuano un obbiettivo del 3,5 per cento di ultrasessantacinquenni assistiti a domicilio. Siamo al 2,9 ma puntiamo al pieno raggiungimento del target entro il 2013.

Quindi si tratta di un servizio efficiente. Ci sono margini di miglioramento? Si. E’ nostro intendimento attivare, a breve, il Servizio di cure palliative e terapia del dolore, che sarà rivolto in particolare ai pazienti oncologici. Questa opzione terapeutica domiciliare, darà ulteriore qualità al servizio stesso.

Come si accede alle cure domiciliari? Attraverso i Punti Unici di Accesso, presso i quali ha inizio il processo di attivazione della rete socio-sanitaria territoriale . Gli operatori professionali che si occupano del PUA sono il medico del distretto, l’assistente sociale e l’infermiere.

Chi ha bisogno dell’assistenza, come deve agire? Deve fra pervenire tramite il medico di famiglia, i servizi sociali del territorio o con approccio diretto, la segnalazione del bisogno al PUA. Sono ammissibili diverse modalità: telefono, fax, o direttamente sul posto. A questo punto il personale del PUA analizza i bisogni e, sulla base di quest’analisi, decide il percorso più appropriato cui indirizzare il paziente. Nel caso che i bisogni si rivelino complessi, viene attivata l’Unità di Valutazione Territoriale che effettua una presa in carico multidisciplinare dell’utente.

La nostra associazione si occupa di seguire pazienti oncologici, per noi quindi si tratta di un argomento particolarmente sentito. C’è in questo campo qualche iniziativa all’orizzonte? Posso anticipare che abbiamo mandato in pubblicazione ulteriori 6 ore settimanali di oncologia destinate a coprire un’area territoriale sinora scoperta, che è quella che gravita sul poliambulatorio di Jerzu. Inoltre i nostri servizi tecnici stanno valutando delle migliorie logistiche nei locali adibiti alla chemioterapia, ospitati presso il presidio ospedaliero di Lanusei.

Lei è impegnato da tempo anche in campo politico, dove è responsabile provinciale di un partito. Come concilia questo impegno con quello professionale medico? Premesso che quella dei medici è la categoria maggiormente rappresentata in tutte le amministrazioni e istituzioni politiche, il doppio impegno fa sì che quelle che sono le doti umane e professionali che caratterizzano il medico nella sua professione, bene si integrano con la capacità di ascolto e di sollecitudine ai bisogni espressi dal cittadino, che dovrebbe essere una prerogativa essenziale di tutti coloro che si propongono per amministrare il bene pubblico.


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UN ALTRO TUMORE MALIGNO CHE CON LA DIAGNOSI PRECOCE PUÒ GUARIRE

IL CARCINOMA GASTRICO Come riconoscerlo e prevenirlo

Lo stomaco Lo stomaco è quell’organo a forma di otre che tramite una valvola chiamata cardias è posizionato dopo l’esofago e che attraverso un’altra valvola chiamata piloro è collegato al duodeno. Quando solo pensiamo di mangiare, ovvero quando ci viene “l’acquolina” e viene stimolata la salivazione, anche nello stomaco si ha la produzione del succo gastrico che contiene un insieme di sostanze utili per digerire gli alimenti. Lo stomaco possiede anche una spessa muscolatura grazie alla quale si hanno quei movimenti di rimescolamento che sono indispensabili per un buon assorbimento delle sostanze e per la preparazione del cibo alle successive fasi digestive che avvengono negli altri tratti dell’ intestino.

prelevato con apposita pinza dal chirurgo o dall’endoscopista, i tumori dello stomaco potranno risultare benigni, con aspetti intermedi di degenerazione maligna o francamente maligni. Tra i tumori benigni dello stomaco i più comuni sono i lipomi e i fibromi, tra i maligni il carcinoma.

- nell’ambito di una stessa nazione ad essere più frequentemente colpiti di altri sono, spesso, particolari gruppi etnici (neri americani, popolazione di origine celtica, ecc.); - nei soggetti con gruppo sanguigno A è maggiore del 10-20% che nella restante popolazione.

Il carcinoma gastrico

Fattori geografici: il cancro gastrico è più frequente in alcune nazioni; gli emigrati che passano da paesi ad elevata incidenza verso altri ad incidenza minore presentano una diminuzione della frequenza della malattia.

Età di insorgenza Il cancro dello stomaco colpisce le persone a partire mediamente dai 45 anni di età. Il rapporto fra maschi e femmine è di 16:10. L’incidenza è maggiore tra le classi sociali più basse ed è in rapida diminuzione. In Italia negli ultimi decenni si è verificato un importante decremento sia dell’incidenza sia della mortalità in entrambi i sessi. Nonostante questo calo, rappresenta ancora la seconda causa più comune di morte per tumore nel mondo ed il 30% delle morti oncologiche. È piuttosto raro che il tumore allo stomaco colpisca soggetti con meno di 40 anni e la frequenza della malattia aumenta nelle età successive, raggiungendo l’incidenza più alta intorno ai 70 anni.

Le cause Non è conosciuta una causa precisa, ma sono stati individuati dei fattori predisponenti:

I tumori dello stomaco In base all’esame istologico che viene effettuato su un pezzetto di tessuto gastrico

Fattori genetici: - l’incidenza della malattia nei familiari dei soggetti che ne sono affetti è più alta di 23 volte rispetto alla popolazione generale;

Fattori alimentari: ci sono chiare correlazioni tra alcuni cibi consumati nei paesi ad alto rischio e l’incidenza del tumore allo stomaco; giocano un ruolo importante nello sviluppo del cancro gastrico alcune sostanze chimiche chiamate nitrosamine che derivano dalla trasformazione, all’interno dello stomaco, dei nitrati in nitriti. Ciò avverrebbe ad opera di batteri che spesso colonizzano lo stomaco già affetto da altre malattie, come la gastrite astrofica. I nitrati si trovano

principalmente nei cibi conservati e in quelli affumicati. Il fumo: anche il fumo di sigaretta è un importante fattore capace di aumentare il rischio di tumore dello stomaco. Gastrite atrofica: è una malattia dello stomaco caratterizzata dalla progressiva scomparsa delle ghiandole dello stomaco e dalla frequente presenza di ghiandole che normalmente si trovano in altri tratti dell’intestino e quindi atipiche per la regione gastrica. È molto frequente ed è stata associata al 90% dei casi di tumore allo stomaco. Polipi gastrici: questi tumori benigni vanno considerati come vere e proprie lesioni precancerose. L’1,5% circa di tutti i pazienti affetti da disturbi gastrici sono affetti da polipi, che costituiscono il 10% di tutti i tumori dello stomaco. La probabilità di degenerazione maligna aumenta con l’aumento delle dimensioni del polipo (in particolare se il diametro supera i 2 cm).

DIETOLOGIA Dr. Marilena Lara Specialista in Dietologia Specialista in Geriatria

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Ulcera gastrica: la frequenza della degenerazione tumorale di questa malattia è assai variabile e va detto che la degenerazione maligna di un’ulcera benigna è un evento estremamente raro. Helicobacter pylori: esiste un’associazione tra infezione dovuta a questo microrganismo e tumore allo stomaco (il rischio è più alto di 36 volte). Tale associazione non sembra essere correlata allo sviluppo dell’ulcera, che spesso si verifica in questi soggetti, ma si pensa che sia da mettere in relazione all’insorgenza di gastrite cronica atrofica indotta dal microrganismo.

Helicobacter pylori

I sintomi Il tumore allo stomaco può decorrere per lungo tempo asintomatico o con sintomatologia lieve, purtroppo ciò ostacola spesso la possibilità di una diagnosi precoce. Sintomi più comuni: Disturbi digestivi: sono i più frequenti: senso di ripienezza, “bruciore di stomaco” che non si risolve con gli antiacidi, rigurgiti di cibo e di materiale acido, eruttazioni, digestione prolungata, nausea e vomito. Sintomi a carattere generale: si presentano spesso in assenza di sintomi a carico dell’apparato digerente: facile affaticamento, febbre, perdita di peso, mancanza di appetito generica o più specifica per un determinato alimento (soprattutto la carne, sintomo chiamato sarcofobia), perdita di desiderio del fumo. Emorragia: è meno frequente, ma a volte succede che l’esordio sia rappresentato da un’ emorragia con sangue emesso con il vomito o presente nelle feci.

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Anemia da carenza di ferro: talvolta precede anche di molti mesi qualsiasi altro sintomo

Diagnosi Un importante campanello d’allarme è rappresentato dal riscontro, anche occasionale, di anemia da carenza di ferro, presente in circa il 50% dei pazienti, evidenziata con esami del sangue e che è dovuta al sanguinamento gastrico. Nei casi in cui viene accertata anemia sideropenica è sempre opportuno far seguire la ricerca del sangue occulto nelle feci, che pure è positiva in circa il 50% dei casi. La ricerca dei markers tumorali, che sono particolari proteine prodotte in elevate quantità dalle cellule tumorali e solo in minima parte da quelle sane, nel caso di tumore dello stomaco, è poco utile per la diagnosi precoce. Il dosaggio di alcuni markers, invece, specialmente del CEA e del CA 19.9, è utile per monitorare un’eventuale ricomparsa del tumore dopo la sua asportazione chirurgica. Tra gli esami strumentali, la radiologia costituisce ancora oggi una tecnica abbastanza efficace nello studio delle lesioni dello stomaco. La gastroscopia è, comunque, la tecnica fondamentale per la diagnosi delle neoplasie gastriche. Consiste nell’inserire nello stomaco, dalle cavità nasali o dalla bocca, un tubo flessibile dotato di telecamera per osservare direttamente il tumore. Consente anche di effettuare un piccolo prelievo del tumore (biopsia), che verrà poi osservato al microscopio (esame istologico). La TAC dell’addome o la TAC total body (di tutto il corpo) sono indispensabili per mettere in evidenza l’estensione del tumore e la eventuale presenza di metastasi a carico di linfonodi e di altri organi.

La terapia Chirurgica: è la terapia di elezione quando il tumore non è in stadio avanzato. Può essere eseguita la gastrectomia totale, con rimozione di tutto lo stomaco, o la

gastrectomia parziale, con rimozione della sola area interessata dal tumore. Esiste anche la gastrectomia allargata che consiste nell’asportare parti di quegli organi, (esofago, pancreas, colon, linfonodi, ecc) che risultano invasi dalla neoplasia. Chemioterapica: la sua efficacia è ancora alquanto incerta perché c’è una scarsa risposta da parte dei tumori dello stomaco a questa metodica. Radioterapica: può essere effettuata prima dell’intervento chirurgico per ridurre la massa tumorale o durante un intervento chirurgico, direttamente sullo stomaco, per eliminare eventuali residui tumorali. A volte si utilizza per prolungare la vita del paziente con tumore avanzato, come palliativo. In genere, però, i tumori dello stomaco sono resistenti a questo tipo di trattamento.

Prevenzione E’ sempre l’argomento che noi riteniamo più importante. Anche il cancro dello stomaco, infatti, se preso in tempo, è curabile e guaribile e, come già descritto, il suo sviluppo è sensibile a molti fattori che sono evitabili e prevenibili. Quindi porgere attenzione a particolari sintomi e correggere certe abitudini di vita, può portare a riconoscere precocemente e a non ammalarsi di questo tumore che purtroppo ha una prognosi difficile. Per quanto riguarda l’alimentazione sono da limitare i cibi contenenti un eccesso di sale, come i cibi in salamoia, gli affettati e i cibi affumicati; vanno evitati i conservanti, che contengono elevate quantità di nitriti e nitrati e i cibi non adeguatamente refrigerati. Occorre prediligere un’alimentazione ricca di frutta fresca e vegetali, che contengono elevate quantità

di vitamina A e C, che antagonizzano la formazione delle nitrosamine. Non bisogna sottovalutare i sintomi. Se si avverte la sensazione di cattiva digestione o disturbi addominali che persistono da qualche settimana, oppure se si osservano feci scure, che possono indicare emorragie gastriche o del tratto intestinale, è necessario che ci si rivolga al medico di famiglia che valuterà se è il caso di inviare il paziente al gastroenterologo per capire se i disturbi sono dovuti a un’ulcera o a un cancro dello stomaco oppure a qualche altra causa. Anche l’abbandono della sigaretta può aiutare; come già accennato, è dimostrata la relazione tra fumo e formazione del cancro allo stomaco. Abbiamo già descritto la relazione presente tra l’infezione da Helicobacter pylori e il tumore dello stomaco, quindi è utile, in caso di sintomi e di accertata presenza del batterio, assumere per una settimana un’adeguata terapia antibiotica che è in grado di eliminarlo. Non esistono programmi di screening sulla popolazione. In Giappone dove la malattia è endemica i programmi di screening effettuati hanno portato ad ottimi risultati. In Italia la frequenza di questa patologia non giustifica il costo di uno screening con esami radiologici ed endoscopici di massa. E’ però doveroso avviare programmi di sorveglianza nei soggetti a rischio specialmente: • nei gastroresecati, • nei pazienti affetti da gastrite atrofica, • nei portatori di polipi gastrici, • nei pazienti con familiarità per carcinoma gastrico.


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Importante dato pubblicato sul Lancet una delle riviste mediche più prestigiose

L’aspirina riduce il rischio di morire di tumore

Giunge da Oxford, in Inghilterra, un’ importante conferma del ruolo protettivo dell’aspirina contro alcuni comuni tipi di cancro. L’indagine, firmata da Peter Rothwell del Department of Clinical Neurology, università di Oxford e da un gruppo di collaboratori, ha analizzato i dati di alcune importanti indagini, disponibili in letteratura, che hanno posto a confronto il rischio di morire di cancro di persone con somministrazione quotidiana di aspirina, con una durata media del trattamento di almeno 4 anni, nei confronti di altre che non assumevano aspirina. I risultati hanno evidenziato una riduzione del 20 per cento del rischio di morte associata al cancro e un consistente beneficio apparente già dopo 5 anni di controlli. L’effetto benefico sulla mortalità per cancro dopo 5 anni è stato osservato per i tumori dell’esofago, pancreas, cervello e polmone: il beneficio è invece minore per i tumori di stomaco, colon-retto e prostata. La cautela è d’obbligo L’azione protettiva, inoltre, non ha mostrato correlazioni con la dose di aspirina, il sesso, o il fumo ma tendeva ad aumentare con l’età. La domanda è d’obbligo: dobbiamo ritenere lo studio di Oxford la svolta tanto attesa nelle strategie di prevenzione anti-cancro? Non ci sono, purtroppo, ancora elementi sufficienti per raccomandare l’aspirina a tutti, certamente i pazienti che devono assumerla possono ottenere un ulteriore beneficio sul versante oncologico. Nel caso della popolazione generale bisogna considerare infatti che l’impiego del farmaco non è privo di rischi, legati per esempio ad una maggiore frequenza di sanguinamenti. Lo studio del Lancet comunque, è un punto di partenza per ulteriori approfondimenti. Meccanismo d’azione L’ ipotesi più gettonata è che il beneficio si debba ascrivere all’azione antinfiammatoria propria dell’aspirina. Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano afferma che si tratta di una conferma importante. “Ma non credo che valga la pena proporre aspirina indiscriminatamente a tutti: sull’altro piatto della bilancia ci sono le controindicazioni. Comunque - conclude il farmacologo - per i pazienti con familiarità o con fattori di rischio per alcuni tipi di cancro l’aspirina può rappresentare un’opzione concreta: i dati a sostegno del suo impiego in ambito oncologico sono solidi». Le cautele espresse dai commentatori italiani sono peraltro condivise dallo stesso Rothwell, primo autore dell’indagine: «Questi risultati — ribadisce — non significano assolutamente che tutti gli adulti dovrebbero iniziare ad assumere aspirina».

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La posta dei Lettori Certificati di malattia on-line Ho constatato che ci sono novità per quanto riguarda il rilascio dei certificati di malattia. Ho però constatato anche molta confusione. Vorrei chiedervi, ad esempio, se esiste l’obbligo per il lavoratore di consegnare la copia del certificato al proprio datore di lavoro. Claudio - Tortolì

E’ vero. Ci sono nuove norme che regolano il rilascio delle certificazioni di malattia che deve avvenire esclusivamente per via telematica. Restano esclusi da tale obbligo solo gli appartenenti ad alcune categorie, come le forze dell’ordine, per i quali continuerà ad essere valido il solo certificato cartaceo. Siamo in una fase di transizione e non tutte le aziende si sono dotate del PIN per accedere al sito dell’INPS per controllarvi i certificati. Fino a quando si andrà a regime, pertanto, il lavoratore è tenuto a consegnare al proprio datore di lavoro la copia del certificato che gli è stata rilasciata dal medico certificatore. Allorché il datore di lavoro sarà dotato del PIN d’accesso all’INPS, potrà esonerare il proprio dipendente dal consegnargli la copia cartacea del certificato.

Contagio da Helicobacter Pylori La mia ragazza ha fatto l’Urea Breath Test per verificare la presenza dell’Helycobacter Pilori. Il test è risultato positivo. Poiché tale batterio si trasmette per via orale ( quindi con il bacio o bevendo dallo stesso bicchiere) sono praticamente certo di aver contratto il batterio. Vorrei sapere se devo fare la terapia antibiotica senza fare prima il test oppure se è opportuno eseguire prima l’esame per verificarne la presenza? Giuliano - Lanusei

Diversamente da quanto da lei ritenuto, le probabilità che lei abbia contratto l’infezione sono modeste. In caso di positività è più probabile che lei avesse già l’infezione (contratta in età infantile). Comunque può essere opportuno effettuare il test.

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La Pagina dell’Alimentazione a cura di Marilena Lara

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I SEGRETI DEL LATTE IL LATTE ALIMENTO COMPLETO (ED ESSENZIALE)

Latte e infanzia. È un collegamento istintivo in tutte le culture e in ogni tradizione, soprattutto se si parla di latte umano. Umano, e non necessariamente materno. Dal Medioevo, ma fino al primo quarto del Novecento, era una balia la vera nutrice di un neonato, specialmente se di origine aristocratica. Così si caratterizzava il rapporto madre-figlio : escludendo quel tono di intimità affettiva che sembra oggi così normale. Certo i medici hanno da sempre ribadito la superiorità del latte materno, ma per motivi biologici e nutrizionali più che morali e affettivi. La profonda connessione culturale,oltre che fisiologica, tra il latte e l’infanzia costituisce anche un limite per il ruolo e per l’immagine di questo prodotto come alimento per l’età adulta. Secondo i medici antichi, il latte animale non è alimento appropriato per l’uomo. Nel Medioevo come nell’Antichità, il latte animale per eccellenza era di pecora mentre fino ai secoli dell’età moderna l’allevamento vaccino ebbe un ruolo piuttosto marginale nel sistema alimentare: i bovini servivano a tirare carri e aratri, non certo a produrre latte. Tuttavia il latte ebbe subito un ruolo preponderante nell’alimentazione sotto forma di formaggio, nutriente quanto il primo ma molto più sicuro e conservabile. Anche nei confronti del formaggio la cultura antica e medioevale sembrava nutrire perplessità ed il suo successo alimentare e gastronomico comincia solo nel Medioevo. In età

ruolo dei prodotti lattiero-caseari nella determinazione dell’apporto dietetico di colesterolo consiste, in Italia, nel contributo del 10% del livello consigliato come valore massimo (300 mg/die).

rinascimentale e posteriore diminuirà la tradizionale supremazia del latte e dei latticini di pecora e di capra e i formaggi vaccini avranno uno spazio rilevante. L’uso di mescolare latte ovino e latte vaccino, attestato come pratica recente, è il segno del movimento di una cultura alimentare che dedica sempre maggiori attenzioni al capitolo dei latticini.

Nella composizione del latte e dei suoi derivati un insieme di elementi al servizio del benessere: Le proteine e gli amminoacidi Il latte è un alimento ricco di proteine, indispensabili sia per una corretta crescita del bambino che per molti processi di importanza fondamentale nell’ organismo adulto: sintesi dei tessuti muscolari, coagulazione del sangue, ecc. Il latte contiene piccole quantità di circa sessanta enzimi diversi, tra cui la lattasi, che permette la digestione del lattosio. Le differenze di composizione proteica nelle diverse specie di mammiferi

sono responsabili di un differente potenziale allergenico del latte: ad esempio, i bambini allergici al latte vaccino a volte tollerano quello di capra. Le proteine del latte contengono tutti gli amminoacidi essenziali, ovvero quelli che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare e di cui la dieta costituisce l’unica fonte. La dieta abituale degli italiani oggi non presenta problemi di carenza proteica, anzi, mediamente, l’apporto di proteine supera abbondantemente i fabbisogni. Le fasce di popolazione che possono essere a rischio sono rappresentate da vegetariani che rifiutano anche le uova, il latte e i derivati. In questi casi particolari è importante prestare la massima attenzione nel miscelare opportunamente gli alimenti al fine di assicurare contemporaneamente all’organismo tutti gli amminoacidi necessari. I grassi La frazione grassa degli alimenti rappresenta una simbolica linea di confine tra i costituenti “positivi”e i costituenti “negativi” della nostra dieta. I lipidi sono infatti una classe di componenti importanti nella razione alimentare: nell’organismo umano esplicano funzioni indispensabili per la vita, forniscono energia in quantità elevata, apportano acidi grassi essenziali, veicolano alcune vitamine. Tuttavia le moderne linee guida per una sana alimentazione raccomandano di ridurre il consumo dei grassi, particolarmente dei grassi saturi e del colesterolo. Il

I carboidrati Con le proteine e i lipidi, i carboidrati sono i componenti più abbondanti nel latte delle diverse specie animali. Molto studiato, come molecola chimicamente reattiva, come nutriente e come componente della dieta, è il lattosio, che rappresenta circa il 90% degli zuccheri. E’ contenuto nel latte in quantità variabile con la specie animale (bufala, pecora, capra, vacca, ecc.) mentre nei latti fermentati e nei formaggi freschi in quantità variabile col tempo di maturazione. Nell’intestino, grazie alla presenza dell’enzima specifico “lattasi”, il lattosio è idrolizzato (diviso) in glucosio e galattosio per poter essere assorbito e utilizzato dall’organismo (una ridotta sintesi della lattasi, può limitare l’idrolisi del lattosio). Gli zuccheri sono inoltre coinvolti in molti processi cellulari e posseggono numerose attività biologiche: immunostimolante, antiinfiammatoria, anti virale, immunologica. I minerali La componente minerale del latte è importante soprattutto per la presenza del calcio, un nutriente essenziale che deve essere assunto giornalmente con gli alimenti. Esso contrasta l’insorgenza di malattie ossee (osteoporosi) favorisce lo sviluppo dei denti, regola e consente la conduzione degli impulsi nervosi, la contrazione dei muscoli, la coagulazione del sangue. Proviene dal latte la maggior parte dell’apporto alimentare del calcio, che è facilmente assorbibile, diversamente da quello presente nei prodotti vegetali, in particolare nei cereali, perché alcune sostanze in essi contenute (come l’acido fitico e l’acido ossalico, la fibra alimentare), lo rendono non utilizzabile dal nostro organismo. Anche il fosforo vi ha rilevante concentrazione ed il suo rapporto col calcio risulta ottimale per una corretta regolazione dei processi di riparazione e formazione ossea. La conservazione di questo rapporto è particolarmente importante nell’età evolutiva, mentre in età adulta


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può variare. In generale, per gli adulti i livelli raccomandati di assunzione di fosforo sono corrispondenti a quelli del calcio, mentre per quanto riguarda i lattanti si raccomanda un’ingestione più elevata di calcio. Questi livelli di assunzione raccomandati sono facilmente raggiungibili con il consumo di una normale dieta equilibrata e di fatto raggiunti dalla dieta media italiana. Componenti funzionali Il latte e i suoi derivati contengono diverse sostanze in grado di migliorare il benessere del consumatore : sono le cosiddette molecole funzionali, ovvero molecole in grado di svolgere “funzioni” favorevoli per l’uomo. A seguito della digestione, si liberano, dalla caseina e dalle sieroproteine, delle sostanze ad azione rilassante ipotensiva, immunostimolante, antitrombotica e di trasporto di minerali

Le vitamine Nel latte, le vitamine presenti in maggiore quantità sono le A, E, K e C, l’acido folico e la riboflavina. La loro fonte principale non è lattierocasearia, ma, considerato il grande consumo di prodotti di tale categoria, il loro apporto diventa significativo. Il contenuto delle vitamine A ed E è influenzato da fattori come alimentazione, periodo di lattazione, condizioni climatiche e di allevamento del bestiame. Latte materno / Latte vaccino Nei primi tre giorni dopo il parto, le ghiandole mammarie secernono il colostro (una sostanza giallastra per la presenza

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di carotene), ricco di proteine (tra cui anticorpi), sali, vitamine A, C, E, ma povero di grassi e carboidrati (il suo apporto calorico è inferiori a quelle del latte). Esso contiene insulina ed una certa quota di ormoni, responsabili della proliferazione e maturazione delle cellule intestinali del neonato che si conclude al 3°-4° mese. L’immaturità, strutturale e funzionale, della mucosa intestinale, prima del 3°4° mese, potrebbe favorire fenomeni di allergia o intolleranza mentre la maturazione della mucosa permette tolleranza, senza danni al sistema immunitario, di cibi diversi dal latte materno. Una comparazione dei due tipi di latte dà i seguenti risultati : Proteine: la quantità totale è di 10 – 11 gr/l nel latte di donna, di 35 gr/l nel latte vaccino. Il loro contenuto di anticorpi, che svolgono azione protettiva contro intolleranze alimentari e infezioni (respiratorie, urinarie, otiti, meningiti, gastrointestinali ed eczema atopico), è doppio nel latte materno rispetto a quello del latte vaccino. Sali minerali: il rapporto dei rispettivi contenuti è pari ad 1/3, ma, oltre che della quota che di essi può essere assorbibile nei processi metabolici, va tenuto conto della biodisponibilità dei diversi minerali, che, nel latte materno è superiore. Ferro: la sua quantità è uguale nei due tipi, ma la sua biodisponibilità è superiore nel latte materno (perciò, un bambino allattato con il latte della madre ha minori probabilità di andare incontro ad anemia). Calcio / Fosforo: sono, nel latte materno, in concentrazioni più basse, ma il fattore importante ai fini dell’assorbimento è il rapporto Calcio/Fosforo (2:1 nel latte di donna, 1:1 nel vaccino); questo rapporto è ottimale per l’assorbimento del calcio che, sul piano clinico, si traduce in un’azione protettiva del latte materno nei confronti dell’ipocalcemia neonatale e di prevenzione del rachitismo nei mesi successivi. Vitamine: il latte materno ne contiene a sufficienza per il fabbisogno del neonato.

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Intolleranza al lattosio e allergia al latte Il latte fa parte della nostra alimentazione fin dalla nascita e fa bene. Eppure molte persone hanno difficoltà a tollerarlo (con gli altri latticini: panna, formaggio, etc.) a causa di intolleranza al lattosio o allergia alle proteine del latte. E’ un problema che riguarda, almeno per una fase dell’esistenza, i due terzi della popolazione mondiale. Per molti è sufficiente un cucchiaino di

latte nel caffè a scatenare reazioni come flatulenza, disturbi intestinali o diarrea. La vera e propria causa rimane spesso sconosciuta e tante persone convivono a lungo con inspiegabili disturbi intestinali che compromettono la qualità della vita. L’intolleranza al latte è una causa di stress costante che si ripercuote sia sull’organismo sia sulla psiche. E’ sicuramente la più

frequente e conosciuta allergia alimentare; la sua elevata prevalenza deriva dal fatto che i neonati che non possono essere allattati al seno vengono alimentati con formule a base di latte vaccino. L’immaturità funzionale dei sistemi gastrointestinale ed immunitario nei primi anni di vita fa si che l’allergia al latte vaccino compaia in percentuali tra il 2 e il 7 % dei bambini.

COSA SI INTENDE PER INTOLLERANZA AL LATTE La mucosa intestinale, dalla nascita in poi e per un determinato periodo di tempo produce la lattasi. La diminuzione della produzione di questo enzima è associata all’intolleranza al lattosio e quindi ad una ridotta capacità di assorbimento e digestione del lattosio da parte dell’intestino. La produzione di lattasi, fattore

importante per la scissione del lattosio, presenta una caratteristica evoluzione nei vari periodi della vita. Nella maggioranza delle popolazioni mondiali è legata all’età e la sua riduzione di produzione colpisce diverse zone, retaggio dei differenti stili di vita delle antiche popolazioni. Recenti studi, hanno evidenziato una riduzione di produzione del 15% nella popolazione con età superiore ai quarant’anni e fino al 50% in quella di età tra i 60 e i 79 anni. Si può, dunque, ritenere che la capacità di assorbimento del lattosio si riduca dopo il quarantesimo anno di età e divenga importante dopo il settantesimo. In Italia la prevalenza di soggetti con deficit di lattasi è elevata, com’è stato dimostrato in numerosi studi, e si modifica in modo sensibile nelle varie regioni. In particolare, nel nord della nostra penisola, il 52% della popolazione studiata è deficitaria nella produzione dell’enzima. Il deficit di lattasi non è solo correlato alla sintomatologia intestinale, ma anche alla riduzione di introduzione di calcio (in particolare nell’età avanzata) conseguente al ridotto consumo di latte. In effetti, i gruppi di popolazione adulta con intolleranza al lattosio introducono significativamente meno calcio del gruppo di popolazione coetanea con assenza di questo problema. INTOLLERANZA PRIMARIA E SECONDARIA L’intolleranza può essere classificata in primaria e secondaria. La primaria, a sua volta, si distingue in congenita (rara) ed acquisita (riguardante il 70% della

popolazione mondiale). L’intolleranza secondaria è conseguente a patologie che determinano lesioni all’intestino con inevitabile danno enzimatico. Sono causa di ipolattasia numerose condizioni patologiche quali gastroenteriti, morbo di Crohn, gastrectomia, celiachia, colite ulcerosa, sindrome del colon irritabile, radiazioni, deficit immunologici. COME SI MANIFESTA L’ALLERGIA AL LATTE L’allergia al latte è cosa completamente diversa dall’intolleranza al lattosio e le sue cause risiedono nelle proteine del latte quali la caseina e la lattoalbumina. L’allergia è causata da almeno tre importanti fattori: 1°) l’estraneità all’organismo di quella miscela di proteine che è contenuta nel latte vaccino, alimento fondamentale per i bambini; 2°) l’ immaturità, in questa fase della vita, dell’intestino; 3°) la predisposizione familiare. I bambini intolleranti al latte vaccino sono colpiti da vomito, diarrea, coliche addominali e sanguinamento occulto nelle feci. L’ultimo, essendo di piccola entità, può restare a lungo latente e manifestarsi con l’evidenziarsi di un’anemia da carenza di ferro. Altre manifestazioni cliniche dell’allergia possono essere dermatologiche o aversi a carico dell’apparato respiratorio,


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La Pagina dell’Alimentazione a cura di Marilena Lara Esso si trova anche in molti farmaci come eccipiente: in circa l’otto per cento di tutti i medicinali da banco (disponibili anche in alcuni supermercati e negozi di prodotti naturali) e in circa il venti per cento di quelli che necessitano di prescrizione medica. Tra questi, gli analgesici e gli antiinfiammatori, la pillola anticoncezionale, gli antimicotici, diversi antibiotici etc.

COME SI DIAGNOSTICA?

come la rinite cronica, la tosse e, raramente, anche l’asma bronchiale.

SONO INTOLLERANTE AL LATTOSIO? TEST DI AUTODIAGNOSI Sebbene il latte e gli alimenti a base di latte siano l’unica fonte naturale di lattosio, quest’ultimo si trova spesso aggiunto ai cibi preparati commercialmente e in alcuni vegetali. Le persone con bassissima tolleranza al lattosio dovrebbero conoscere i numerosi prodotti alimentari commerciali che possono contenere anche piccole quantità di lattosio. Imparare a leggere con attenzione le etichette degli alimenti alla ricerca di latte, lattosio, siero di latte, diventa una necessità. Il lattosio è contenuto in molti alimenti che spesso non destano i nostri sospetti: pane e altri prodotti da forno - condimenti e salse- cereali per la prima colazione -cibi pronti- pasticceria e torte prodotti con carne macinata zuppe pronte - pizza- budini – gelati – dolciumi – wurstel - cereali per la prima colazione purea di patate istantanea – margarina – carni – insalata -caramelle e altri spuntini - miscele per frittelle, biscotti e torte surgelati.

TEST PER L’INTOLLERANZA AL LATTOSIO Anche se molto spesso l’esperienza quotidiana è sufficiente ad individuare un’intolleranza al lattosio, è disponibile un test che permette di verificarlo con ottima accuratezza: il Breath test all’idrogeno. E’ un test non invasivo e piuttosto specifico che si basa sull’evidenza che se uno zucchero non viene assorbito a livello dell’intestino viene fermentato dalla flora intestinale con la formazione di grosse quantità di idrogeno, che in parte viene assorbito nel colon e in parte viene eliminato con la respirazione. Se si somministra lattosio ad un soggetto intollerante e si esegue il breath test sarà possibile rinvenire una quota di idrogeno nel respiro esalato, superiore rispetto a quella riscontrata prima della somministrazione. Il test richiede di norma 2-3 ore di tempo per essere portato a termine. Altre alternative diagnostiche sono rappresentate dalla biopsia intestinale e da uno specifico esame del sangue chiamato Rast test. TERAPIA L’unica cura possibile consiste nell’eliminazione del lattosio dalla dieta. Essa non sempre deve essere completa, perché in ogni individuo esiste un valore soglia al di sopra del quale compare tutto il fastidioso corteo sintomatologico; è quindi importante imparare, provando e

OTTICA

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sbagliando, fino ad individuare la quantità tollerata. Peraltro, l’ eliminazione completa non è semplicissima perché il lattosio non è solo il principale zucchero del latte, ma è anche presente, in quantità diverse, nei suoi derivati ed è, inoltre, un additivo contenuto in diversi insaccati, nei farmaci e negli integratori alimentari. In caso di soggetti particolarmente sensibili è, quindi, necessario accertarsi dell’assoluta assenza di lattosio da ogni cibo da consumare. Se si eliminano latte e latticini dalla dieta si ha un peggioramento nell’assorbimento del calcio ed una cattiva mineralizzazione ossea; per questo motivo, in caso di accertata intolleranza, è buona norma includere nella dieta formaggi a basso contenuto di lattosio (parmigiano reggiano stagionato più di 36 mesi). Una volta accertata la diagnosi, si consiglia, per i primi trenta giorni, una dieta priva di latte, derivati e cibi contenenti lattosio. Dopo i primi trenta giorni si possono introdurre gradatamente il latte e i formaggi assumendo l’enzima lattasi in compresse o in gocce (Lacdigest 1 compressa ogni 100 ml di latte o 100 gr di formaggio, oppure Silact 2 gocce ogni 200 ml di latte o 100 gr di formaggio). Anche il loro uso però, non impedisce spesso la manifestazione dei sintomi. Relativamente all’allergia alle proteine del latte, entra, invece, in gioco il sistema immunitario che le combatte scatenando allergie vere e proprie con un decorso difficile. Il più grande rischio è rappresentato dallo shock anafilattico (abbassamento improvviso della pressione e arresto respiratorio). Pertanto se si è allergici alle proteine del latte è indispensabile che l’alimentazione ne sia completamente privata. Un ridotto apporto di calcio può alterare il processo di acquisizione della massa ossea (OSTEOPOROSI) esponendo l’individuo a un

aumentato rischio di fratture. La triade ereditarietà- attività fisica-alimentazione domina il destino delle nostre ossa. Pur se i fattori genetici hanno importante influenza, soprattutto nel periodo giovanile di formazione del picco osseo, tuttora l’attività fisica e l’apporto alimentare o l’integrazione farmacologica di calcio sono i soli aspetti controllabili da e sui quali possiamo fondare una strategia preventiva dell’osteoporosi. Tutti gli studi condotti su pazienti di oltre 65 anni hanno confermato che il calcio (alimentare o da integratori) frena la perdita di massa ossea età-correlata.

CONCLUSIONI GLI ULTIMI STUDI ALIMENTANO SPERANZA Sempre più persone soffrono di allergia al latte e questo fenomeno provoca il conseguente aumento della ricerca e degli studi nel settore. Nell’ottobre 2005 in Giappone gli esperti del laboratorio per le scienze alimentari e biologiche e i ricercatori del dipartimento di scienza dell’alimentazione e i citologi dell’Università di New York, hanno scoperto che le allergie, e quindi anche quella al latte si manifestano in rapporto all’ecosistema dell’intestino, dunque è importante creare e mantenere un ambiente sano nella flora intestinale. Pertanto per poter guarire completamente dall’allergia al latte, è necessario stabilire un sano equilibrio alimentare che rispetti e faccia riacquistare la salute alla mucosa intestinale.

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Il fitness metabolico Aiuta i soggetti con disturbi del metabolismo ad introdurre nella propria vita l’attività fisica e motoria

L’evoluzione dell’uomo ha portato ad un benessere di tipo economico al quale non è seguito un benessere psicofisico globale. La situazione odierna comporta un fenomeno di sedentarietà e di cattiva educazione alimentare che mette a rischio la salute. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inquadrato in maniera concreta la sindrome da ipocinesia (scarsa attività fisica). Al giorno d’oggi, le attività motorie e sportive non possono essere considerate solo il mezzo per curare il proprio aspetto fisico. La cura estetica del corpo è sicuramente importante ma non può essere fine a se stessa. Al contrario, deve rappresentare uno strumento per trovare l’equilibrio psico-fisico e addirittura curare in modo naturale molti dei disturbi figli della vita moderna. Ipertensione, diabete, sovrappeso, ipercolesterolemia sono sintomatologie diverse che spesso hanno origini comuni. Il Fitness Metabolico è una possibile risposta a queste problematiche. Una visione diversa del fitness può aiutare a convivere con molte malattie, soprattutto quelle di origine metabolica. Ogni individuo è unico ed insostituibile, non solo sotto il profilo umano ma anche dal punto di vista biologico e conseguentemente anche sportivo. Questa particolarità non permette che ci siano dei protocolli standard validi indiscriminatamente. Attraverso l’antropometria è possibile individuare delle tipologie morfologiche e classificare gli individui in maniera abbastanza precisa. La più semplice e allo stesso tempo accurata è sicuramente quella di Sheldon e Martiny. In base agli studi condotti sull’essere umano, questi due studiosi americani sono stati

in grado di classificare i vari soggetti in tre grandi categorie: • Ectomorfo • Endomorfo • Mesomorfo Il soggetto ectomorfo è un longilineo magro. È caratterizzato da arti lunghi, tronco corto, spalle e torace stretti. Ha una struttura muscolo-scheletrica non molto sviluppata ed un metabolismo molto veloce; tende a bruciare tutte le energie prodotte dall’assimilazione degli alimenti in maniera velocissima. I soggetti endomorfi sono dotati di una struttura massiccia e brevilinea che gli conferisce un ottima forza fisica, tutto l’opposto dell’ectomorfo. Gli arti sono brevi e muscolosi e le anche sono ampie rispetto alle spalle con una prevalenza di tessuto adiposo sul giro vita (brevitipo). Hanno una forte predisposizione ad ingrassare a causa del metabolismo lento. Il mesomorfo può essere definito come una miscela positiva delle caratteristiche dei primi due biotipi, in sintesi si tratta di un soggetto atletico con una struttura fisica molto armonica (longitipo). Il metabolismo ottimale gli consente di mangiare di tutto in buone quantità senza l’assillo di ingrassare. Ogni individuo rientra in una di queste categorie anche se spesso è più logico parlare di mescolanza dei diversi tipi con una caratteristica più spiccata rispetto alle altre. Nella maggior parte dei casi, i soggetti sofferenti di una delle patologie metaboliche hanno parecchi tratti vicini

al tipo endomorfo. Le donne hanno un tipo di obesità a pera (ginoide), con il tessuto adiposo più concentrato su fianchi e cosce. Gli uomini invece hanno una quantità di grasso corporeo equamente distribuita su tutto il corpo con una maggiore concentrazione sul giro-vita. Queste caratteristiche risultano più preoccupanti sotto il punto di vista cardio-circolatorio. L’obesità in questo caso è a mela. Un parametro di misurazione importante è la circonferenza della vita. Per le donne non bisognerebbe mai superare gli 80 cm mentre per gli uomini il consiglio è di rimanere al di sotto dei 94 cm. Altri fattori importanti per quanto concerne i disturbi di origine metabolica sono: • Livello dei trigliceridi, se il test supera i 150 mg/dl aumenta il rischio cardiovascolare; • Livello della glicemia, valori di sicurezza al di sotto di 110; • Livello del colesterolo buono HDL, che protegge le arterie; di solito nei soggetti a rischio questo valore è molto basso.

bilanciata al fine di garantire il perfetto espletamento di tutte le reazioni chimiche all’interno del corpo. I disturbi di origine metabolica hanno tutti come causa principale il cattivo funzionamento dei processi endogeni che regolano il metabolismo. Tra i principali organi deputati all’espletamento di questi meccanismi ci sono il fegato destinato alla sintesi e all’accumulo del glucosio, il pancreas adibito alla produzione di insulina e glucagone, la tiroide. Se uno di questi organi funziona male iniziano a scatenarsi una serie di disturbi che in principio sono lievi ma, se non curati correttamente, possono influenzare pesantemente la vita di un individuo. Le cause, oltre che in una predisposizione genetica, sono da ricercarsi in uno stile di vita sbagliato. Fumo, alcol, eccesso di cibo, scarsa o nulla attività fisica sono tutti sintomi di una vita disordinata. In questi casi, una corretta terapia farmacologia può essere affiancata o addirittura sostituita da una buona attività fisica. Fare sport, mangiare sano, riposare a dovere ed affrontare la vita in maniera più calma sono sicuramente tra le migliori cure possibili.

Il metabolismo è l’insieme delle reazioni chimiche che avvengono negli organismi viventi e permettono loro l’accrescimento e il mantenimento in vita.

Alcuni consigli:

E’ costituito da due fasi:

• Fare sport;

- Anabolismo “insieme delle reazioni di sintesi”;

• Evitare tutte le situazioni altamente stressanti;

- Catabolismo “insieme delle reazioni di distruzione”.

• Adottare uno stile di vita più dinamico.

I due processi devono convivere in maniera

• Vita sana; • Seguire un regime alimentare corretto;

L’esercizio fisico è indispensabile per modificare questo quadro di inefficienze metaboliche. Le Scienze Motorie oggi hanno chiarito la correlazione tra i diversi livelli di esercizio fisico e l’incidenza sul quadro dismetabolico. Un valido protocollo di Fitness Metabolico deve quindi essere studiato e personalizzato in maniera scientifica per essere sicuri di centrare l’obbiettivo. In buona sostanza si è ormai superata la fase in cui si poteva consigliare la classica camminata per risolvere il problema. Mariano Rubiu Specialista in Scienze Motorie


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“Accompagnamento” del malato Richiede grande impegno stare vicino ai malati nell’ultima fase della vita Nella vita dell’uomo vivere e morire vanno di pari passo, sebbene la cultura massificata tenti di emarginare la morte. Si muore oggi in ospedale e spesso da soli, privi, talora, del sostegno dei familiari e anche senza un conforto spirituale. Posto che niente nella vita di una persona è più importante del nascere e del morire, per aiutare i malati, particolarmente nell’ultima fase della vita, occorre da parte dei familiari, del sacerdote o degli assistenti laici, degli infermieri e dei medici, offrire un’ assistenza che diventi accompagnamento, espressione di amore, solidarietà e carità. Cecily Sanders è la fondatrice degli hospice, strutture ricettive per malati con poca aspettativa di vita. La parola “hospice“ non va tradotta con la parola ”ospizio“: è un luogo di accoglienza in un ambiente semplice ma ben curato, con personale specializzato. La Sanders riassume così la filosofia fondativa degli hospice: ”Ci importa di voi, perché siete voi. Voi contate fino all’ultimo estremo della vostra vita. E noi faremo tutto quello che ci è possibile non solo per aiutarvi a morire, ma per aiutarvi a vivere una vita piena, fino alla fine“.

comfort possibile per il paziente. Le cure palliative elaborano una risposta pragmatica al dolore. Si basano su una filosofia umanistica e attuano un principio di solidarietà umana. L’etica considera accettabili le cure palliative; qualcuno le ha proposte come la “terza via“ percorribile tra lo Scilla dell’eutanasia e il Cariddi dell’accanimento terapeutico (M. Martè). Il malato più che “paziente“ è considerato

ultima fase di vita, dove lo stare vicino con il cuore, la mente, le parole, la mano diventano una manifestazione di solidarietà umana, che cura: è l’umanizzazione della morte.

“Un modo di morire” “Un modo di morire“ è il titolo di un libro in cui gli autori – i coniugi Rosemary e Victor Zorza – descrivono cosa succede alla loro figlia Jane quando “viene trasferita in

L’assistenza spirituale

Le cure palliative Un modo di accompagnare il malato è tramite le cure palliative. L’origine del termine è anglosassone, quando in Inghilterra si è cercato di lenire i sintomi dolorosi della malattia e restituire al malato una qualità accettabile di vita. Le cure palliative hanno come obiettivo la qualità della vita, piuttosto che la sopravvivenza. Alleviano i sintomi con trattamenti il cui principale e ultimo scopo è il massimo

che aveva preso l’abitudine di farle visita sul finire del giorno, prima di rincasare… ma ora nemmeno lui veniva più. Quando le riusciva di parlare con un medico cercava di farsi dire quale fosse realmente il suo stato, ma raramente otteneva una risposta. Sebbene nessuno le dicesse nulla, cominciava a captare il silenzioso messaggio; i cui segnali indicavano che si approssimava la fine del cammino. Non era certamente questo che i medici intendevano comunicarle, ma lei lo percepiva dai modi in cui parlavano, dalla loro aria di “ rinuncia “.

come “persona“ cercando di potenziare le sue risorse psicologiche e spirituali. Lo slogan provocatorio della Lega Italiana contro i Tumori recita: “Quando non c’è più nulla da fare, c’è molto da fare“ Le cure palliative mirano ad un rapporto onesto con il malato, a prendersi cura più che a curare. Le cure palliative diventano un vero accompagnamento del malato nella sua

fondo alla corsia, nell’angolo dove le infermiere passano di rado… avevano ordini stretti di darle le pillole ogni due o tre ore. Le infermiere che un tempo scherzavano con lei, ora non sostavano neanche più a fianco al letto. Erano troppo indaffarate con gli altri malati per i quali potevano fare ancora qualcosa. C’era stato un giovane specialista

L’accompagnamento deve pure dare attenzione all’assistenza spirituale del malato, che è parte dell’impegno del sacerdote e degli assistenti spirituali laici. L’assistenza spirituale è più ecumenica di quella religiosa (con l’amministrazione dei sacramenti) e abbraccia la dimensione spirituale del senso della vita, dei valori ed il significato della morte. L’accompagnamento spirituale a livello umano può anche essere dato a chi non crede, nel rispetto del modo di pensare della persona. Molte volte il paziente confessa la sua mancata fede o credenza, ma desidera una persona che possa portare a livello umano o personalistico un “ comfort “ di serenità. Morire, secondo l’antropologia, in tutte le culture, significa dare un valore spirituale e un valore sociale alla vita: la morte è realizzazione e testimonianza di ciò in mezzo agli uomini di quella cultura.

Conclusioni Personalmente ho vissuto questa esperienza dell’accompagnamento; sicuramente,


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a ben pensarci, l’hanno vissuta tutti coloro che hanno avuto rapporti di vicinanza con persone, familiari e amici a cui sono stati vicini in momenti di sofferenza e di dolore per una grave malattia. Quante volte ci siamo trovati accanto al letto di una persona morente. Dolore, sofferenza e morte sembrano

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un mistero, che spesso ci sconcertano e disturbano. Perché il male? Perché a me o alla mia famiglia? Perchè a questo bambino? Sono domande che hanno attraversato le nostre menti e a cui spesso non abbiamo saputo o potuto dare risposta. Voglio finire questa riflessione riportando un altro passo del libro citato e descrivendo come affrontò la morte la giovane Jane: Sue portò a Jane una rosa fresca del suo giardino, di un rosso intenso, e la posò accanto a Jane sul cuscino. “Ho sempre desiderato portare una rosa in testa – mormorò Jane – ma non ne ho mai avuto il coraggio“. Sue si accertò che non ci fossero spine nello stelo, poi lo spinse delicatamente tra i capelli, dietro l’orecchio. Da quel momento Jane ebbe sempre una rosa tra i capelli. Quando quel primo bocciolo appassì, fu so-

Ogliastra Sanità stituito. Se le infermiere dovevano voltare Jane, per mantenere la circolazione o per una iniezione, scostavano innanzitutto la rosa e poi la rimettevano a posto; la rosa di Jane e il pezzetto di velluto erano trattati con delicatezza come cose preziosissime. L’ultima rosa della vita di Jane fu raccolta nel giardino dell’hospice di là dalla sua finestra. Era una rosa bianca e si stava appena schiudendo dal bocciolo compatto. Rosemary, sua amica, tagliò lo stelo con un paio di forbici chirurgiche. Nel cavo dei petali c’era una goccia di rugiada. Era una rosa immacolata, perfetta. Troppo perfetta, avrebbe detto Jane, troppo bella per essere vera “. Tonino Loi


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LA PAGINA DEL LEGALE a cura di Severina Mascia

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E’ in vigore il permesso di 3 giorni al mese a disposizione dei lavoratori

Nuove regole per assistere i disabili Il Collegato al lavoro, legge n. 183/2010, entrata in vigore lo scorso 24 novembre, detta disposizioni sui permessi di cui i lavoratori dipendenti possono fruire per l’assistenza a parenti, affini e congiunti che versano in condizioni di disabilità gravi. Tali disposizioni sono state dettate con lo scopo di rendere più razionale la disciplina e di eliminare o, quanto meno ridurre, gli abusi nella utilizzazione di questi benefici. Le novità più rilevanti: a. il diritto a tre giorni mensili di permesso dal lavoro, che spetta al lavoratore dipendente sia pubblico sia privato, parente o affine entro il secondo grado, in precedenza sino al terzo, del disabile che necessita di assistenza; b. è prevista l’individuazione di un referente unico per l’assistenza alla stessa persona in situazione di handicap grave. Intendendo come tale il soggetto che assume «il ruolo e la connessa responsabilità di porsi quale punto di riferimento della gestione generale dell’intervento, assicurandone il coordinamento e curando la costante verifica della rispondenza ai bisogni dell’assistito». I genitori che assistono un figlio in situazione di handicap grave possono usufruire di tre giorni mensili di permesso e i permessi giornalieri possono essere utilizzati sia dal lavoratore padre che dalla lavoratrice madre per l’assistenza allo stesso figlio. c. Il diritto ai tre giorni mensili di permesso dal la­voro spetta al dipendente, parente o affine entro il ter­zo grado qualora si tratti di genitori o del coniuge del disabile che abbiano com­piuto il 65esimo anno di età o siano affetti da pato­logia invalidante o siano deceduti o mancanti; d. Ai fini dei permessi non è più necessaria la condizione di convivenza; e. La scelta della sede del la­voro da parte del lavorato­re che assiste un disabile è vincolata al domicilio della persona da assistere e non più a quello del lavoratore. Infatti per quanto riguarda la “sede di servizio” la circolare specifica che il «trasferimento e la tutela della sede di lavoro

rappresentano uno strumento per la più agevole assistenza del disabile. E’ opportuno segnalare - si legge nella circolare - che la norma, rispondendo all’esigenza di tutela del disabile, accorda al lavoratore un diritto, che può essere mitigato solo in presenza di circostanze oggettive impeditive, come ad esempio la mancanza di posto corrispondente nella dotazione organica di sede, mentre non può essere subordinato a valutazioni discrezionali o di opportunità dell’amministrazione». f. Il dipendente interessato alle agevolazioni deve: • Presentare il verbale della commissione medica dal quale risulta l’accertamento della situazione di handicap grave e, se è il caso, il certificato medico dal quale risulta la patologia invalidante. • certificare, «attraverso idonea documentazione ovvero attraverso apposite dichiarazioni sostitutive» la sussistenza delle condizioni che legittimano le agevolazioni. • presentare una dichiarazione sottoscritta di responsabilità e consapevolezza. g. L’ammnistrazione che riceve l’«istanza di fruizione delle agevolazioni da parte del dipendente interessato», deve verificare l’adeguatezza e correttezza della documentazione presentata, chiedendone semmai l’integrazione. I provvedimenti di accoglimento dovranno essere monitorati periodica-

mente per ottenere l’aggiornamento della documentazione e verificare l’attualità delle dichiarazioni sostitutive. La circolare «richiama in particolare l’attenzione sulla necessità di chiedere il nuovo verbale medico nel caso di accertamento di handicap grave rivedibile». La decadenza in caso di accertamento «dell’insussistenza o del venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei diritti» scatta in caso di assenza dei presupposti legali. L’accertamento dell’insussistenza dei requisiti spetta al datore di lavoro, privato o pubblica amministrazione, e all’Inps per il settore del lavoro privato. Infine, è costituita una «banca dati» presso la presidenza del Consiglio dei ministri

- Dipartimento della funzione pubblica finalizzata al monitoraggio e al controllo sulla «legittima fruizione» dei permessi accordati ai pubblici dipendenti «che ne fruiscono in quanto persone disabili o per assistere altra persona in situazione di handicap grave». In conclusione alcuni chiarimenti in tema di parentela e affinità. Il codice civile, agli artt. 74 e ss., definisce e disciplina i rapporti di parentela e affinità nonché le modalità di calcolo degli stessi. La parentela, che può essere in linea retta o collaterale, è il rapporto che lega persone che discendono da uno stesso stipite. Si ha parentela in linea retta qualora le persone discendano l’una dall’altra (nonno-padre-figlio); parentela in linea collaterale quando, pur discendendo da uno stipite comune, le persone non discendono l’una dall’altra (fratelli, cugini, ecc.). Il grado di parentela si calcola sempre escludendo lo stipite. L’affinità è, invece, il rapporto che lega il coniuge ai parenti dell’altro coniuge. Il grado dell’affinità segue il grado della parentela, nel senso che, nella linea e nel grado in cui taluno è parente d’uno dei coniugi, egli è affine dell’altro coniuge. La legge (salvo che per alcuni effetti determinati) non riconosce il vincolo di parentela oltre il sesto grado.

Una tabella per esemplificare i rapporti di parentela:

Grado

Ascendenti

Discendenti

Collaterali

I

Genitori

Figli

II

Nonni

Nipoti (figli di figli)

--Fratelli Sorelle

III

Bisnonni

Pronipoti

IV

Trisavi

Figli di pronipoti

V VI

Zio Nipoti (figli di fratelli e/o sorelle) Prozii Pronipoti Primi cugini Figli di prozii Secondi nipoti Secondi cugini Altri cugini


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Periodico a cura di Mano Tesa Ogliastra

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Sanità in pillole DALL’INGHILTERRA UN FARMACO POLIVALENTE PER CURARE LE PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI In futuro si potrà preservare e curare il cuore, grazie ad un singolo farmaco, che conterrà tutti i principi attivi necessari per la terapia. La nuova linea di ricerca è partita nel Regno Unito sulla base dell’idea avuta, nel 2003, da due studiosi inglesi. Lo studio fu pubblicato sulla rivista British Medical Journal, sottolineando i benefici di tale farmaco che, se assunto dalle persone, con età superiore ai 55 anni, può prevenire le malattie cardiovascolari e allungare la vita di circa 10 anni. Questa “polipillola”contiene tutti i principi attivi necessari a contrastare ictus, infarti, ipertensione, e quindi ridurre i livelli di colesterolo alto. La ricerca verrà condotta su 100 pazienti volontari, con età superiore ai 55 anni, ai quali verrà somministrata la polipillola per 12 settimane, dopo di che lo studio continuerà somministrando loro, per altre 12 settimane, un placebo; poi per 2 anni successivi verrà somministrato nuovamente il nuovo farmaco per evidenziare gli effetti a lungo termine. La “polipillola” conterrà dei generici: una dose di simvastatina per il controllo del colesterolo,

mezza dose di losartan e amlodipina per l’ipertensione, e idroclorotiazide come diuretico.

LE SCELTE ALIMENTARI E L’IMPATTO SULLA DURATA DELLA VITA

IL RIPOSO POMERIDIANO TIENE SOTTO CONTROLLO LA PRESSIONE

Una dieta a base di grassi fa aumentare del 40% il rischio di morte

Tre quarti d’ora di siesta al giorno fanno bene al cuore aiutando a tenere bassa la pressione sanguigna. Lo hanno scoperto i ricercatori Ryan Brindle e Sarah Conklin dell’Allegheny College in Pennsylvania con uno studio pubblicato dall’International Journal of Behavioural Medicine. I ricercatori hanno diviso 85 studenti in buona salute in due gruppi, ad uno dei quali era consentita una siesta pomeridiana fino a un’ora, mentre l’altro non dormiva al pomeriggio. Dopo il pisolino agli studenti di entrambi i gruppi e’ stato chiesto di effettuare un test mentale che aumenta la pressione sanguigna: l’aumento e’ risultato minore negli elementi che avevano dormito. ‘’I nostri risultati suggeriscono che il pisolino pomeridiano puo’ dare benefici accelerando il recupero cardiovascolare dopo una situazione di stress - scrivono gli autori - saranno necessarie ulteriori ricerche per capire il meccanismo di questo fenomeno, ma comunque quella di dormire al pomeriggio sembra essere una pratica protettiva soprattutto per gli individui con rischio cardiaco o con una cattiva qualita’ del sonno notturno’’

Il concetto che mangiar bene fa vivere più a lungo è già noto, ma uno studio dell’università americana del Maryland è riuscito a calcolare anche “quanto”. La ricerca, pubblicata dal Journal of the American Dietetic Association, ha trovato che una dieta troppo grassa aumenta il rischio di morte del 40% rispetto a una più sana. I ricercatori hanno analizzato le abitudini alimentari di 2.500 persone tra i 70 e i 79 anni per dieci anni, trovando che la prevalenza di alcuni cibi permetteva di vivere più a lungo. I soggetti sono stati divisi in sei categorie a seconda del cibo predominante nella dieta, che andava da“cibi sani”, a“latticini”, a“cereali”. Lo studio ha rilevato che i soggetti della categoria“cibi sani”avevano il 40% in meno di probabilità di morire nel periodo analizzato rispetto ai consumatori di latticini, e il 37% in meno rispetto alla categoria ”dolci e cibi zuccherati”, mentre non c’erano differenze con chi consumava cereali.‘’Una grande percentuale dei soggetti studiati aveva una dieta bilanciata - hanno scritto i ricercatori - questo implica che avere un’alimentazione corretta è un obiettivo realistico’’.

Tumori, in 20 anni raddoppiata la sopravvivenza Sono 2.250.000 gli italiani che vivono con una diagnosi di tumore (il 4% dell’intera popolazione), ma oggi questa malattia fa meno paura perché in molti casi può essere sconfitta definitivamente. Quasi 800.000 persone (l’1,5% della popolazione) sono, infatti, vive dopo oltre 10 anni dalla diagnosi di tumore e, rispetto al 1992, il numero di persone viventi con tumore è quasi raddoppiato. I dati sono contenuti nel rapporto dell’Associazione italiana registri tumori. Il Rapporto fotografa al 1 gennaio 2006 la prevalenza della patologia tumorale in Italia basandosi sui dati raccolti da 24 Registri tumori Italiani attivi da almeno 5 anni. Il Rapporto rivela che la maggior parte dei malati di tumore sono donne (1.250.000) e persone anziane. Ci sono inoltre differenze geografiche rilevanti nella percentuale di persone viventi con tumore, visto che si passa da oltre il 5% in alcune aree del Nord, fino a valori tra il 2 e il 3% al Sud. Ma c’é un dato che fa ben sperare: quasi 1.300.000 italiani (2,2% della popolazione) sono lungosopravviventi, hanno cioè avuto una diagnosi di tumore da più di 5 anni e sono soggetti spesso liberi da malattia e da trattamenti antitumorali.

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La pagina del volontariato

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Associazione Volontariato Strisaili Era l’estate del 1988… … a Villagrande due amici, don Giovanni Delussu ed Emilio Careddu, discorrevano sui problemi legati al ricovero dei pazienti in caso di urgenza e all’inconveniente rappresentato dalla distanza del paese dall’ospedale. Ad un tratto uno disse: “E se comprassimo un’ambulanza?”. Fu la scintilla che diede avvio alla successiva costituzione della nostra associazione di volontariato. Ovviamente sorsero subito parecchie difficoltà e imprevisti, ma i due amici non si diedero per vinti. L’idea cominciò a concretizzarsi nel 1994

Nasce l’associazione Il 5.10.1995 nacque l’Associazione, con atto notarile sottoscritto da 15 soci fondatori e con sede provvisoria nei locali della parrocchia. Attualmente la sede è nei locali messi a disposizione dall’Amministrazione Comunale in via Roma 7. A tre mesi dall’atto costitutivo, durante un’assemblea, si decise di aprire una sottoscrizione popolare per la raccolta dei fondi necessari all’acquisto dell’ambulanza. La popolazione rispose con quell’entusiasmo e quella generosità che l’hanno sempre contraddistinta: furono raccolte ben 88.287.000 lire e a queste si aggiunse

zione lavorò a pieno ritmo, effettuando un consistente numero di interventi, poi, purtoppo, vi furono dei momenti di crisi, sfociati nel settembre del 2001 nella chiusura temporanea dell’Associazione in quanto un numero elevato di soci non garantiva più la copertura dei turni. Di fronte all’eventualità di una chiusura prolungata i soci hanno, comunque, rinnovato il loro impegno e invogliato altre persone ad iscriversi. Oltre al servizio di trasporto degli ammalati l’A.V.S. ha realizzato altre attività di volontariato.

si proponeva, tra le altre finalità, di dare alle nostre comunità un’occasione di crescita umana e culturale impegnandosi in

Il gruppo del “Progetto Molise”

un’azione di grande spessore sociale. Tale progetto prevedeva infatti l’organizzazione di momenti di accoglienza e di gioco tra un gruppo di bambini del Molise, che avevano vissuto la situazione di grave disagio legata al terremoto, ed un gruppo di bambini di Villagrande e Villanova. Grazie alla collaborazione delle famiglie ospitanti e alla partecipazione di numerosi volontari, i bambini sono stati coinvolti in varie attività: giochi al mare, al bosco e al lago, attività di laboratorio per la costruzione di aquiloni, presentazione della giornata tipica del pastore, conoscenza delle tradizioni religiose e folcloristiche in occasione della festa di S. Barbara.

L’alluvione di Villagrande e Capoterra Murale realizzato da Luca Careddu nella sede dell’A.V.S.

quando i due invitarono la popolazione di Villagrande e di Villanova a partecipare ad un’assemblea nel salone parrocchiale ed in quella occasione venne proposta la costituzione di un’associazione di volontariato finalizzata al soccorso con l’ ambulanza e ad attività di carattere sociale. La partecipazione andò oltre le aspettative: furono presenti circa 180 persone, 45 delle quali si resero subito disponibili a lavorare per la realizzazione del progetto. Il gruppo lavorò intensamente per alcuni mesi: fu scelto il simbolo e si decise che la denominazione sarebbe stata “Associazione Volontariato Strisaili” (A.V.S.). Con il termine “Strisaili” si volle rafforzare, attraverso un serio impegno sociale, i vincoli tra le due comunità di Villagrande e Villanova.

il contributo del Comune di 25 milioni di lire. Il 6 Agosto del ‘97 fu comprata la prima ambulanza per un costo di 86.255.000 lire e furono affrontate le spese necessarie all’avvio dell’attività di volontariato. Nel febbraio del 1997 l’Associazione Volontariato Strisaili, con decreto del Presidente della Regione Sardegna, venne iscritta al Registro Regionale del Volontariato. Per promuovere la preparazione dei soci fu istituito un corso formativo tenuto con grande impegno da 12 medici villagrandesi i quali, tra l’altro, prepararono anche una dettagliata dispensa. Finalmente, a coronamento di un impegno assiduo e continuativo nella preparazione tecnica, nel Gennaio del 1999, l’Associazione diventò operativa con 153 soci effettivi. Nei primi due anni di attività l’Associa-

Interscambio con Civitella Roveto Nell’Agosto del 2002 è stato promosso un interscambio con la Croce Verde di Civitella Roveto (AQ). Cinque soci di tale associazione sono stati ospitati dalle famiglie villagrandesi e, per una settimana, hanno coperto i turni nella nostra sede insieme ai nostri volontari. Successivamente cinque nostri soci si sono recati a Civitella e hanno collaborato con i volontari della locale Croce Verde.

Tristemente famoso è invece il 6.12.2004 quando le comunità di Villagrande e Villanova sono state colpite da una terribile alluvione che ha causato la morte della signora Assunta Bidotti e di Francesca Longoni, la nipotina di soli 3 anni. In tale circostanza i volontari della nostra Associazione, in collaborazione con i militari, i Vigili del fuoco, la Protezione civile e tanti volontari arrivati da tutta la Sardegna, si sono prodigati nella distribuzione di viveri

Progetto Molise Particolarmente significativo è stato il Progetto Molise: “PARIS PO JIOGAE” – “ NSIEMBR P’ PAZZIA’ ” realizzato nel Luglio 2003 in collaborazione con le parrocchie di Villagrande e Villanova. Tale iniziativa

Volontari dell’A.V.S. a Capoterra


La pagina del volontariato

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e acqua e si sono attivati nella rimozione di fango e detriti, aiutando la popolazione ad affrontare i disagi e le difficoltà dei primi giorni. Quando, poi, nell’Ottobre 2008 una terribile alluvione ha colpito Capoterra, un gruppo di nostri volontari si è recato sul posto e ha prestato soccorso alla popolazione della frazione di S. Gerolamo.

l’allestimento di uno studio medico in uno dei paesi colpiti dal sisma. Il 31 maggio 2009 tutti i volontari hanno vissuto una giornata di grande emozione e allegria in occasione della festa per il decennale di inizio dell’attività a cui hanno partecipato 21 associazioni provenienti da varie parti della Sardegna.

Terremoto dell’Abruzzo

Servizio civile

Anche in occasione del terremoto che il 6 Aprile 2009 ha colpito l’Abruzzo l’A.V.S. ha voluto esprimere la sua solidarietà partecipando, insieme ad altre associazioni ogliastrine, al progetto “Volontari dell’Ogliastra per l’Abruzzo” che prevedeva

Nello stesso anno la nostra Associazione è stata inserita per la prima volta nel progetto “Servizio Civile Hajò 7”: mediante colloqui attitudinali sono stati selezionati tre ragazzi di Villagrande che per un anno hanno espletato il loro prezioso servizio presso la nostra sede partecipando, tra l’altro, insieme ad altri volontari del paese, a vari corsi di formazione. Purtroppo, in seguito ai tagli effettuati dal Governo, il Servizio Civile non è stato riconfermato e ciò ci ha creato numerose difficoltà a causa della cronica carenza di personale per ricoprire i turni.

Il calendario I tre ragazzi del servizio civile

Ogni anno l’A.V.S. prepara e distribuisce a Villagrande e Villanova un calendario in

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cui viene presentato un tema riguardante la storia, la cultura e le tradizioni delle nostre due comunità. Grazie alla preziosa testimonianza degli anziani, dei ragazzi delle scuole e di tante altre persone, sono stati trattati, nel corso degli anni, vari argomenti: gli antichi medicamenti, i piatti tipici, l’alluvione, la malaria, le filastrocche e le preghiere in sardo, i mestieri del passato. La distribuzione capillare del calendario, risultato negli anni gradito e atteso dalla popolazione, ci permette di reperire i fondi

necessari al servizio e, nello stesso tempo, ci dà la possibilità di sensibilizzare i lettori nella speranza di ottenere nuove adesioni con cui garantire il buon funzionamento dell’Associazione. Come volontari dell’A.V.S. cerchiamo e cercheremo, pur tra tante difficoltà, di fare del nostro meglio perchè siamo convinti – come dice Madre Teresa – che “Non possiamo fare grandi cose su questa terra, ma solo piccole cose con grande amore”.

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La pagina delLA VETERINARIA

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Una nuova minaccia per i nostri ovini Segnalati in Sardegna due focolai di Encefalopatia spongiforme Recenti notizie riportate dalla stampa quotidiana ci informano dell’insorgere, in due comuni della Sardegna, di due focolai di encefalopatia spongiforme, o scrapie, in allevamenti ovini. Questi episodi ci stimolano a conoscere meglio questa patologia non solo per

semplice curiosità, quanto per tutelare adeguatamente il nostro patrimonio ovi-caprino. La prima descrizione di una sintomatologia riconducibile alla encefalopatia spongiforme in una pecora risale al 1730, anche se altre testimonianze fanno risalire la

comparsa di questa affezione in Europa a periodi precedenti. Per la prima volta sembrerebbe comparsa in Inghilterra mentre, attualmente, è diffusa in quasi tutto il mondo con probabile esclusione dell’Australia e Nuova Zelanda. Viene chiamata anche scrapie dalla parola inglese scrape (grattare) in quanto uno dei sintomi più frequenti è il prurito per cui l’animale malato tende a strofinare la testa ed il resto del corpo contro ostacoli fissi fino a provocarsi delle ferite anche profonde. Altri sintomi nell’animale malato possono essere ipereccitabilità, aggressività, paura e disturbi della deambulazione con incoordinazione motoria e difficoltà a tenere la stazione quadrupedale per giungere a morte in condizione di estremo deperimento organico. E’ una malattia neurodegenerativa appartenente al gruppo delle encefalopatie spongiformi, così definite in quanto rendono il sistema nervoso centrale simile ad una spugna, è trasmissibile ed è causata da un agente definito “prione” che colpisce ovini e caprini. L’ipotesi che la cosiddetta sindrome della mucca pazza o BSE, trasmissibile all’uomo ed appartenente al gruppo delle encefalopatia spongiformi, potesse contagiare anche gli ovini ed i caprini, con il conseguente maggior pericolo per le persone, ed altre considerazioni di carattere sanitario, hanno fatto annoverare la scrapie fra le malattie alla cui insorgenza è prevista l’adozione di particolari misure di polizia veterinaria, sia nella limitazione degli spostamenti dei greggi malati, sia nella

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restrizione dell’utilizzo degli alimenti dagli stessi prodotti. Per il momento questa ipotesi, dopo l’esecuzione di milioni di test, non è stata confermata per cui , come sostenuto anche dalla Agenzia Europea per la sicurezza alimentare, “ non esiste ancora alcuna evidenza di rischio per l’uomo”. La scrapie si comporta come una malattia infettiva e contagiosa e la trasmissione avviene da animale malato ad animale sano anche attraverso la contaminazione

Il Prione Viene così definito un “agente infettivo non convenzionale” di natura proteica che è privo di acidi nucleici e quindi di un codice genetico. È considerato omologo ad un virus patogeno grazie alla correlazione che li lega sebbene le sue proprietà biochimiche si discostino dalla classica definizione di virus.

dell’ambiente che si realizza con l’eliminazione, nei pascoli, della placenta degli animali malati. Studi recenti indicherebbero anche i liquidi biologici quali latte, saliva e urina quali possibili veicoli di infettività. Il periodo di incubazione della malattia,

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In questo studio si effettuano consulenze e trattamenti in:

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cioè il tempo che intercorre fra la penetrazione nell’organismo dell’agente eziologico e la comparsa dei primi sintomi, è molto variabile e va da 2 a 6 anni. Questa variabilità, oltre che all’esistenza di diversi ceppi di “prione “, anche se la natura di questi agenti non è esattamente definita, è condizionata anche dal diverso corredo genetico caratteristico del singolo animale che lo rende più o meno suscettibile a contrarre l’infezione. Avvenuta la segnalazione di un caso clinico sospetto, non è possibile, data la poca specificità dei sintomi presenti e non esistendo esami di laboratorio per la diagnosi di encefalopatia spongiforme sull’animale vivo, formulare una diagnosi attendibile; questa viene confermata solo dopo la morte dell’animale con il prelievo da parte del veterinario ufficiale di una parte dell’encefalo che sarà inviato al laboratorio di competenza per gli esami previsti. La conferma della diagnosi implica l’adozione, da parte del Sindaco interessato a seguito di proposta del Veterinario uffi-

La pagina delLA VETERINARIA ciale, di apposita ordinanza nella quale, vengono indicati gli opportuni comportamenti atti ad evitare il diffondersi del contagio. Negli ultimi anni gli studi sulla genetica, cioè sulla trasmissione dei caratteri, hanno evidenziato che la stessa ha un ruolo rilevante nella eziopatogenesi e sviluppo della scrapie. Si sono riscontrate, infatti, delle varianti del gene interessato (segmento, parte, di una particolare struttura piccolissima, DNA, che costituisce l’unità portatrice di un carattere ereditario ed è localizzato sempre in una precisa ed identica posizione) che predispongono gli animali alla malattia, ma anche un particolare assetto delle stesse varianti che determinano una resistenza estremamente elevata dell’animale a contrarre la malattia. Partendo da questo presupposto, prima l’Unione Europea, di seguito il nostro Ministero della Sanità, poi, prima in Italia, la Regione Sardegna, hanno impostato i programmi di lotta alla scrapie avviando un ambizioso programma di selezione

genetica del complessivo patrimonio ovino mirato ad ottenere popolazioni geneticamente resistenti alla malattia. Tenendo presente questo presupposto si può procedere all’esclusivo abbattimento, tra gli animali presenti in un allevamento infetto, di quelli che alla tipizzazione genetica, ricerca dei caratteri ereditari, si riveleranno suscettibili a contrarre la malattia. Questo piano, se correttamente applicato, porterebbe, nel periodo di una diecina di anni, al possesso di un patrimonio ovino libero da encefalopatia spongiforme con i conseguenti vantaggi di ordine economico che è facile immaginare; questo progetto ambizioso è tanto più facile realizzarlo in Ogliastra dove non si sono avuti, fino a questo momento, focolai di questa malattia e dove, inoltre, come precedentemente ricordato in altra occasione, si è completata la genotipizzazione (ricerca dei caratteri ereditari trasmissibili) dei riproduttori maschi con la eliminazione di quelli, pochi, nei cui caratteri ereditari era presente la

Ogliastra Sanità

possibilità di trasmettere ai discendenti la suscettibilità di contrarre la malattia. Questo facilita il percorso per arrivare alla meta prefissata, non dimenticando che i protagonisti di questa complessiva azione di prevenzione, ma non solo di questa, sono gli allevatori che devono agevolarla con la loro necessaria e completa collaborazione, anche quando ciò potrebbe sembrare contro il loro immediato interesse. E’ auspicabile che i successivi studi sulla genetica portino, nei prossimi anni, specie in campo veterinario, dove per ovvii motivi il compito è agevolato, a combattere alcune malattie infettive applicando le leggi della trasmissione dei caratteri ereditari; diventerebbero un ricordo del passato sia le aleatorie e dispendiose campagne vaccinali di massa, sia l’abbattimento del complessivo allevamento, compresi gli animali sani, per arginare il diffondersi della malattia in atto. Salvatore Brau

Invitiamo chiunque volesse far presente un disservizio o volesse ringraziare per aver ricevuto un’assistenza particolarmente valida ed umana, o che volesse proporre dei suggerimenti, a scriverci, chiamarci, o inviarci una e-mail. Saremo ben lieti di pubblicare tali comunicazioni. mano.tesa.ogliastra@alice.it

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Le figure storiche della Sanità in Ogliastra

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La telemedicina a Lanusei è realtà

Intervista a Dottor Tumbarello Dott. Roberto Tumbarello è nato a Firenze il 23/4/1957, è specialista in pediatria, cardiologia, radiologia e cardiologia pediatrica, quest’ultima conseguita presso l’Università di Toronto in Canada. Come cardiologo pediatra è persona di riferimento per l’intera Sardegna. E’ anche responsabile scientifico del progetto di ricerca: Organizzazione virtuale a scala regionale per la cardiologia pediatrica: REMOTE - Risorse E MOdelli Organizzativi in TElecardiologia. Proprio all’interno di questo progetto è iniziata la collaborazione con il reparto di cardiologia di Lanusei.

della Mercede” di Lanusei, il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale “Santissima Trinità” di Cagliari, il reparto di Terapia Intensiva Neonatale, Nido e Puericultura della Clinica “Macciotta” e il Dipartimento di Scienze Cardiovascolari

inutilmente un neonato non cardiopatico.

Il fine è quello di rilevare le cardiopatie congenite. Qual è la loro rilevanza e in particolare in Sardegna? Le cardiopatie congenite sono responsabili

per i pazienti e gli operatori sanitari: teleconsulto, tele monitoraggio, teleassistenza, teledidattica. A livello nazionale e internazionale la telemedicina è riconosciuta ed incoraggiata come strumento di fondamentale importanza.

In cosa consiste esattamente il progetto? L’iniziativa prevede, attraverso un’infrastruttura realizzata dal CRS4 (Centro di Ricerca, Sviluppo e Studi Superiori in Sardegna), la connessione dei presidi ospedalieri sparsi nel territorio della Sardegna con il centro specializzato della struttura complessa di Cardiologia Pediatrica del Brotzu, realizzando in questo modo un avanzato sistema di telemedicina. Lo scopo è porre le basi per la creazione di un sistema che renda possibile effettuare diagnosi cardiologiche a distanza su tutto il territorio sardo, in tempo reale e sfruttando strumenti a basso costo. L’ecografia cardiaca eseguita dal cardiologo a Lanusei sarà osservata e analizzata in contemporanea dallo specialista cardiologo pediatrico a Cagliari.

Quali strutture saranno coinvolte? La prima sperimentazione coinvolgerà inizialmente quattro ospedali: il reparto di Cardiologia dell’Ospedale “Nostra Signora

Presentazione del progetto all’Ospedale di Lanusei

e Neurologiche del Policlinico di Cagliari.

Perché viene coinvolta la Cardiologia Pediatrica? Perché le cardiopatie congenite neonatali rappresentano spesso un’emergenza, perché in Sardegna spesso i neonati cardiopatici nascono in centri senza cardiologo pediatra e perché gli specialisti sono molto pochi. Vorremmo evitare un doppio rischio: che non venga trasferito un neonato cardiopatico e che venga trasferito

di circa la metà delle morti per malformazioni letali in età pediatrica e sono quattro volte più frequenti delle malformazioni del tubo neurale e sei volte più frequenti delle più gravi malformazioni genetiche. In Sardegna l’incidenza è oltre il doppio rispetto alla media internazionale, probabilmente per motivi legati all’insularità che funge da “moltiplicatore genetico”.

Quali sono le esigenze riferite a tali patologie? Ottenere un teleconsulto in tempo reale da parte di uno specialista non fisicamente presente, con la possibilità di effettuare correttamente l’esame e quindi di avere una corretta diagnosi e di ottenere una “second opinion”. In pratica si tratta di trasformare la Sardegna in un unico centro di cardiologia pediatrica virtuale.

Perché la telemedicina? Ecocardiografo

Offre potenzialità e soluzioni al servizio della pratica clinica con enormi benefici

In quali altri campi, oltre la cardiologia pediatrica, può essere utile il teleconsulto? In tutte quelle branche specialistiche avanzate in cui con l’invio di un’immagine o di un referto si possa ottenere un parere qualificato. Ad esempio, potrebbe essere utile nell’elettroencefalografia, dove è relativamente facile acquistare l’apparecchiatura, ma non è facile avere in tutti gli ospedali personale medico capace di effettuare una lettura interpretativa dei tracciati.

Quando avrà realmente inizio la telemedicina tra Lanusei e il Brotzu? Siamo già pienamente operativi e tutti i pazienti che dovevano raggiungere Cagliari per sottoporsi a visita o controlli, nonostante i vantaggi offerti dal nuovo tracciato della 125, possono certamente risparmiarsi i disagi del viaggio. Natalino Meloni


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Dottor Antonio Toxiri L’Oculista d’Ogliastra

Non è facile parlare di nostro padre: troppo breve il tempo trascorso da quel 20 dicembre dello scorso anno quando inaspettatamente ci ha lasciato. Per noi adesso si rincorrono i ricordi degli ultimi giorni e quelli di tutta la vita. Ripercorrere la sua vita… una

Antonio Toxiri con la divisa dei Salesiani

vita lunga, felice e dolorosa insieme. Nato a Tortolì il 25 aprile del 1923 ha frequentato le scuole a Lanusei presso i Salesiani fino al Ginnasio continuando

il Liceo a Civitavecchia presso i parenti Di Bella. A Cagliari frequenta Medicina, ma i bombardamenti del 1943 lo costringono a rientrare a Tortolì fino al termine della guerra. Qui lo legano ancora famiglia e salde amicizie. E, nel ’44, è testimone richiesto della costituzione della Cooperativa Pescatori Tortolì. Riprende gli studi a guerra terminata. L’interesse per l’occhio nasce quasi subito: infatti, frequenta fin dal quarto anno il reparto di Oculistica sotto la guida del Prof. Francesco Orzalesi con il quale si laurea nel 1949 discutendo la tesi “Forme cliniche di tracoma e quadro isto-cellulare del tessuto di granulazione in sede extraoculare”. E’ assistente del prof. Orzalesi per alcuni anni e nel 1952 si specializza. Di quegli anni soleva ricordare la grande coesione del gruppo: si iniziava in ospedale alle sei del mattino e si finiva la sera, la domenica tutti insieme a caccia con gli amici o in corsia.

Antonio Tosciri allievo di Don Perino nell’anno scolastico 1938-39

Il gruppo di specializzandi del prof. Orzalesi

Degli anni trascorsi a Cagliari, oltre al terribile febbraio del 1943, ricordava spessissimo il sodalizio con i cugini Pirastu con i quali praticava costantemente gli sport più vari, dal calcio, alla boxe, alla pallacanestro (era il “quinto” Pirastu) e, con loro, condivideva la passione politica. L’impegno sportivo si concretizza nella fondazione dell’Unione Sportiva Tortolì della quale è nel maggio del 1953 primo presidente. Dopo la specializzazione, allestisce un ambulatorio e mette su casa e famiglia sposando nel 1955 Claretta Maciocco. Diventa primario incaricato presso l’ospedale San Francesco a Nuoro, dove si trasferisce e dove siamo nati e cresciuti noi figli, ma continua a lavorare, la domenica, a Tortolì. Nel 1958, lasciato l’ospedale, continua a collaborare con i diversi Enti mutualistici a Nuoro e, per periodi diversi, anche a Bosa e a Macomer. Soltanto nel 1966 chiude l’ambulatorio di Tortolì. A Tortolì continuiamo però a trascorrere le vacanze, fino al 1970. Da lui, nuotatore

provetto, impariamo a nuotare; ci insegna a pescare e ad andare in barca. Il periodo nuorese, intenso per le cure familiari, gli impegni lavorativi e le amicizie, si chiude definitivamente dopo il sequestro. Il 25 maggio del 1984, a 61 anni, nella casa di campagna di Siniscola, appena prima di recarsi al lavoro presso l’ambulatorio locale, viene rapito da un gruppo di banditi che lo tiene per tre lunghissimi mesi all’addiaccio, incatenato ad un lentisco, bendato, guardato a vista, con poca acqua e poco cibo. Il futuro però, segnato da difficoltà e nuove speranze, dal 1985 è ancora a Tortolì. La continuità è rappresentata dal giardino e dalla casa paterna, dove vivrà circondato dall’affetto della moglie, dei figli e dei nipoti e naturalmente con la totale dedizione al lavoro, sempre, a qualsiasi ora. Riprende a lavorare presso i poliambulatori di Lanusei e di Tortolì finché gli acciacchi, causati dall’immobilità cui fu costretto durante il sequestro, gli consentono di


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Tra le ortensie di Zappalonia nel 1965

viaggiare. Si sottopone ad un avanguardistico intervento di sostituzione della testa del femore a Cagliari e da allora nostro padre abbisognerà di un bastone e continuerà la sua attività lavorativa soltanto a Tortolì. Dopo la drammatica esperienza del sequestro, ritrova serenità e salute nell’impegno per la cura del giardino, oltre che nella consuetudine lavorativa. Con infinita pazienza si prende cura della camelia piantata dalla madre. Da quella pianta, dalle nuove piantine ottenute per seme e per talea, di cui seguirà tutti i giorni la crescita, nasce il tratto più

caratteristico del nostro giardino, arricchito negli anni dalle tante varietà, regalo dei figli e degli amici e dalle mutazioni di colore dei fiori delle camelie. A proposito delle camelie, ricordava un aneddoto legato alla vita sociale della Tortolì degli anni Cinquanta: per finanziare la recinzione del campo sportivo furono organizzate diverse feste danzanti. Durante una di queste feste i cavalieri offrirono alle dame i fiori della camelia secolare esistente nel giardino del notaio Serafino Melis. Oggi intorno alla nostra casa crescono due esemplari di quella camelia ottenuti per talea. Questa camelia cresce con grande lentez-

za, ma ripaga delle lunghe e continue cure con fiori bellissimi dalla simmetria perfetta. Negli anni, un poco alla volta, con alberi da frutto, piante esotiche e ornamentali, siepi fiorite di rose e gelsomini, nostro padre crea attorno a sé e alla sua famiglia un’oasi di pace. Non era raro che accompagnasse un amico o un paziente ad ammirare piante, talee e innesti fatti da lui nel suo giardino e molto spesso regalasse con gioia una sua creazione. Il rispetto, la gratitudine dei pazienti sono la prova della grande umanità, della grande professionalità del medi-

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La camelia della madre

te ore serene trascorse ad ascoltare Verdi e Puccini, dopo una giornata passata in campagna! Amava tutta la musica e ascoltava e cantava con la stessa passione ed emozione le romanze, gli

Al pianoforte con tre nipotine

co che è stato nostro padre. Tutto questo lo è stato anche per noi, che abbiamo avuto anche la generosità, l’affetto, l’orgoglio di figli e di padre e la sua presenza equilibrata, costante e lieve che dei ritmi della natura faceva la regola di vita, una rinascita continua. Oltre alle piante, nel nostro ricordo non può mancare il suo grande amore per la musica. Quan-

inni religiosi e patriottici, e la musica sarda: dei testi poteva scordare le parole, ma mai una nota della musica gli sfuggiva. Ci piace ricordarlo così, nella pienezza della sua vita, famiglia, amicizie, impegno e dedizione alla professione di medico. Quando rientrava a casa, sfinito da una lunga giornata di lavoro, a noi, preoccupati per la sua salute, rispondeva: “Non posso rifiutare nessuno, l’ultimo paziente può essere il più grave”.


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Un ricordo di Dott. Toxiri da chi l’ha avuto medico e paziente di Marilena Lara

Vi sono tornata già diverse volte da quel lunedì di fine dicembre in cui egli la lasciò per sempre ed ogni volta ho vissuto la sensazione che nella casa la sua immagine aleggiasse ancora, intensa e discreta nello stesso tempo, come sempre lo era stata la sua presenza reale dal quel lontano 1985 in cui aveva deciso di prendervi dimora. Da allora avevo avuto l’onore, e sulle prime anche l’onere, pensavo, di essere stata scelta come medico di fiducia. Da lui, che era stato primario ospedaliero di oculistica e che, fino all’ultimo, non aveva mai cessato di esercitare la sua professione ed aveva ottenuto stima e considerazione da tutti! Da lui, che, ancora bambina, verso la fine degli anni ‘50, mi aveva prescritto i primi occhiali che mi avevano alleviato certi scompensi ma che esibivo anche con orgoglio ed un po’ di civetteria! Da allora aveva lasciato in me un’ impressione profonda: per la sua personalità autorevole e rassicurante (“stai tranquilla – mi aveva detto – i tuoi occhi vanno benissimo ed hanno solo bisogno di non essere affaticati”); per la sua dolcezza, la sua bonomia, la sua affabilità. Ora diventavo il suo medico di fiducia e... a parti invertite... temevo, confesso, il confronto. “Discuterò con lui eventuali ipotesi diagnostiche e terapeutiche, mi dissi, e sarò attenta alle sue eventuali riserve”. Ma ogni timore risultò infondato ed ogni precauzione superflua. Egli ascoltava, lo avrebbe sempre fatto anche in seguito, le mie valutazioni e con l’ umiltà che solo alle grandi persone non fa difetto, si disponeva ad accogliere le mie “prescrizioni” ed a seguirle con costanza e fiducia. Non fu, questo, il suo solo insegnamento. Mi

colpiva, di lui, la forza d’animo e la dignità con cui aveva affrontato esperienze laceranti. Fra queste, quella di un sequestro di persona, subìto mentre si accingeva, come ogni mattina, con la solita meticolosa puntualità , a portare cura e sostegno ai suoi pazienti che amava e che lo adoravano. Era stato tre lunghi mesi all’addiaccio e la sua esistenza ne era rimasta drammaticamente e per sempre segnata. Eppure aveva continuato ad amare immensamente la vita. S’intratteneva con me in giardino a sottolineare la bellezza delle sue camelie, le preferite, a mostrarmi i germogli, appena venuti alla luce del sole, dai semi di piante rare, la cui crescita seguiva con la cura e l’impegno che solo le grandi passioni meritano, e ad indicare, con una punta d’orgoglio, i risultati di una potatura faticosa ma ben eseguita o la fantasmagoria di colori portati da un ‘incipiente primavera. Ultimamente aveva deciso di dare corpo ad uno

Un momento di relax nel soggiorno di casa

dei grandi sogni giovanili: suonare il pianoforte e cimentarsi con un mondo del tutto diverso da quello della medicina, il mondo della musica, sempre accarezzato ma che mai aveva potuto coltivare. Ad 80 anni aveva deciso di percorrere anche questo sentiero. Mi aveva mostrato il pianoforte di cui i figli gli avevano fatto dono, con l’entusiasmo di un adolescente ed aveva dichiarato che presto mi avrebbe proposto un pezzo di Chopin ed il “Va pensiero”. Non ha fatto in tempo ad accontentarmi. La morte se l’è portato via prima. Penso con amarezza al suo giardino che con l’avvicinarsi della primavera fiorirà in ogni suo angolo e le sue camelie saranno lì ad aspettare di ricevere le sue cure. Ma sono certa che le cure le riceveranno dalle persone a lui care alle quali dottor Toxiri ha trasmesso il rispetto e l’amore per il bello e l’armonia della natura.


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Medicina nel mondo, ieri e oggi

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La cannabis terapeutica Quello sulla Cannabis ad uso terapeutico è sicuramente uno dei dibattiti più controversi degli ultimi anni, se non decenni. Nonostante la legislazione di alcuni paesi bandisca la canapa, volgarmente detta “marijuana”, dal mercato legale, le ricerche in ambito medico e scientifico stanno sicuramente facendo dei grossi passi avanti, e in molti Stati, ormai, è possibile da parte dei medici prescrivere l’utilizzo della Cannabis in presenza di alcune patologie. Lo scopo di questo articolo non è sicuramente quello di istigare all’utilizzo di una sostanza da noi illegale, ma dare informazione sugli impieghi per cui viene utilizzata e sottoposta a studi sempre più frequenti e importanti. È da sottolineare come un numero sempre maggiore di ricercatori abbia riscontrato notevoli proprietà terapeutiche nella Cannabis (di cui si ha testimonianza sin dal 3.000 a. C.), individuate nei principi attivi di questa pianta: THC, CBN, CBD e altri 64 che ancora non si è riusciti ad identificare. È dai primi anni del ‘900 che, per svariati motivi di natura economica e politica, la Cannabis è stata bandita dalla farmacopea ufficiale mondiale e a partire dagli anni ’30 è stata

praticamente resa illegale in tutti gli Stati del mondo. La contrapposizione tra chi di questa pianta vedeva tutto il bene e chi tutto il male, ha creato una notevole confusione nell’opinione comune, ritardando la ricerca su Cannabis e cannabinoidi e ha fatto sì che si vietasse l’assunzione anche a chi, anche solo a livello empirico, ne aveva notato in prima persona le notevoli proprietà terapeutiche. Ma cos’è la Cannabis? La canapa è una pianta annua e dioica, ovvero con fiori o unicamente maschili o unicamente femminili. Ed è da questi ultimi che si ricava

la resina in cui si concentrano i principi attivi più importanti: il Delta9 Tetraidrocannabinolo (THC), il cannabinoide (CBN) e il cannabidiolo (CBD), quest’ultimo in grado di modulare gli effetti del THC, riducendone gli effetti collaterali e prolungandone la durata dell’azione. Questo è il motivo per cui i farmaci monocomponenti a base di THC (sintetico), producono degli effetti collaterali che invece non vengono riscontrati col fitocomplesso naturale e sono anche meno

efficaci. Vi sono prove dell’utilizzo della cannabis sin dal Neolitico, come si è potuto dimostrare da dei semi fossilizzati rinvenuti in una grotta in Romania. Tra i popoli antichi i più famosi fumatori di cannabis furono senza dubbio gli Hindu in India e in Nepal, e gli Hashashin di Siria, da cui deriva anche il nome dell’hashish. Veniva inoltre utilizzata dagli Assiri, i quali ne appresero le proprietà psicoattive dagli Arii e a loro volta passarono queste conoscenze anche a Traci e Sciiti, che la utilizzarono anche nei loro riti religiosi. In lingua sanscrita il termine utilizzato per indicare la cannabis è “ganja”, che al giorno d’oggi è associato in modo particolare alla cultura creologiamaicana, in cui il vocabolo è utilizzato per indicare la marijuana, ritenuta dai Rastafariani, seguaci della religione Rasta nata in Giamaica e diffusasi nel resto del mondo, importantissima nella preghiera e nella meditazione. L’antropologa Sula Banet ha trovato conferme all’interpretazione rastafariana sull’uso sacrale della pianta nella Bibbia. L’uso della canapa come sostanza psicoattiva in Europa è piuttosto recente, probabilmente ha avuto inizio nell’’800 e si pensa sia dovuto a Napoleone, interessato alla pianta per alleviare il dolore e per i suoi effetti sedativi. Il THC, il CBD (rilassante a livello psichico) e il CBN (efficace sulla muscolatura), coadiuvati dagli altri 64 cannabinoidi, sono in grado di lenire le sofferenze le-

gate ad alcune patologie e in alcuni casi stabilizzarle. Fra mille ostacoli ed infiniti problemi, la Cannabis sta aiutando medici e pazienti. In quasi tutti i Paesi occidentali, come gli Stati Uniti d’America, la Gran Bretagna, la Germania, l’Olanda, il Canada, la Spagna ed Israele, si è arrivati ad inserire nel prontuario farmaceutico alcuni cannabinoidi sintetici realizzati artificialmente in laboratorio (dronabinol e nabilone), che sono liberamente prescrivibili per il trattamento di alcune patologie. Al momento, sul mercato estero, sono registrati due cannabinoidi,

il Dronabinol (THC), commercializzato col nome Marinol© (THC sintetico in capsule) e Bedro-


Medicina nel mondo, ieri e oggi

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can© (infiorescenza femminile naturale essiccata e confezionata, contenente ovviamente oltre al THC anche tutti gli altri cannabinoidi “minori”), e il Nabilone (farmaco sintetico mono-componente), entrambi approvati per il trattamento della nausea e del vomito nelle chemioterapie antitumorali e nell’anoressia in malati di AIDS. A questi si è aggiunta una specialità medicinale de-

rivata dalla pianta di Cannabis Sativa ma con pari concentrazione di THC e CBN, il Sativex© della GW Pharmaceuticals, “il farmaco antisclerosi multipla”. Vi sono vari potenziali campi in cui è possibile l’uso terapeutico dei derivati della Cannabis, alcuni già accettati come i già citati utilizzi per nausea

e vomito durante la chemioterapia o nella stimolazione dell’appetito nei malati affetti da HIV. In corso di studio sono i suoi effetti nel trattamento della sclerosi multipla, nella terapia del dolore, traumi celebrali, ictus, glioblastomi, artrite reumatoide, malattie infiammatorie croniche intestinali (morbo di Crohn, colite ulcerosa), glaucoma ed epilessia. Ma tante sono anche le indicazioni

potenziali quali allergie, asma bronchiale, malattie autoimmuni (come il lupus eritematoso), malattie neurodegenerative (morbo di Alzheimer, corea di Huntington, morbo di Parkinson), patologie cardiovascolari (arteriosclerosi, ipertensione arteriosa), sindromi ansioso-depressive, sindromi

5 per mille L’Associazione Mano tesa Ogliastra per continuare ad offrire il proprio aiuto e sostegno ai malati oncologici e per poter sostenere economicamente la pubblicazione di questo periodico

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di astinenza nelle dipendenze da sostanze, spasticità nelle lesioni midollari (tetraplegia, paraplegia). In Italia venire in possesso dei farmaci indicati in precedenza è molto difficile, in quanto la canapa e i suoi derivati continuano a non essere legali. Esiste comunque in internet un modulo predisposto dal Ministero della Salute per la richiesta di importazione del Bedrocan, che il medico compila, la Asl conferma, timbra e poi invia al Ministero per l’autorizzazione. Normalmente la cannabis e il tetraidrocannabinolo sono ben tollerati dal nostro organismo tanto che non sono conosciuti casi di morte dovuti all’uso di cannabis e alla sua tossicità complessiva, che è una delle più basse fra le sostanze medicinali e non. In teoria, la dose letale negli umani, ammonta a circa 40.000 volte la dose ordinaria. Oggi in Italia sono centinaia, forse migliaia, i pazienti che si curano con la canapa. La maggior parte lo fa sottovoce, per paura di essere arrestati, ma ci sono anche pazienti che hanno deciso di ribellarsi. Esiste un sito on line che raccoglie alcune testimonianze di questi pazienti: l’indirizzo è www. pazienticannabis.org. Esiste inoltre un’associazione, l’A.C.T. (Associazione Cannabis Terapeutica), nata nel marzo del 2001, che ha come finalità la creazione di uno spazio co-

mune per tutti quei pazienti, medici o cittadini che avessero interesse ad approfondire questo argomento. Laura Meloni

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Anno V - Numero 14 - Marzo 2011 Autorizzazione Tribunale di Lanusei N. 3706 del 3 Ottobre 2006 Spedizione in Abbonamento Postale 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Lanusei

Editore Associazione di Volontariato Mano Tesa Ogliastra Direttore Responsabile Giusy Ferreli Capo Redattore Natalino Meloni Comitato di Redazione Salvatore Brau Cirillo Mameli Paola Contu Marilena Lara Tonino Loi Severina Mascia Laura Meloni Gianfranco Pittau Giuseppe Schiavone Redazione Via Temo, sn Tortolì Tel. 339 7111110 Fax 0782 77020 Grafica e Stampa Grafiche Pilia - Tortolì Per Aiutare Mano Tesa Ogliastra Versamento su c/c Banco di Sardegna - Tortolì IBAN:

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