BUSSERO in VivaVoce Novembre 2020

Page 1

BUSSERO inVIVAVOCE I

d e e

Pol

i t i c a

Cu

lt u r a

P

e r s o n e

a cura di Sinistra per Bussero

Te

r r i t o r i o

OTT./NOV. 2020

Governare (con) il virus Tempi incerti

il Lavoro tra virus, riduzione dei redditi, politica industriale...

Gruppo Teatro Bussero 50 anni e (forse) non sentirli

Una statua per Peppino

intervista allo scultore Diego De Crescenzo

Colombia, sviluppo e partecipazione

un’esperienza diretta dal profondo del paese latino-americano

n. e g po : ndo o e e n m r mo t r e a u n i e t f l a a i i v a i o v d and m inno ti! pr ne i in Go o: Var a o t l n i F i a d s o d r , i r o s m reen usio l ti z 9 o ri co o EmoCOVID 1 ve da... In ri ssana R G ll’incl Pian l Territo Circo a avan di g.11 Pro g.12 Ro g.7 de g.12 de g.4 si v g.11 pa

pa

pa

pa

pa

pa


2

Come sempre i tempi di stesura di questo piccolo giornale si dilatano per insondabili motivi. Col rischio di arrivare tardi su alcuni temi che chiaramente non aspettano. In questo caso la situazione rimodellata giorno per giorno, se non ora per ora, dalla diffusione del virus, è tale per cui le parole diventano vecchie molto, molto rapidamente. Diventando spesso inutili. Dovremo correre il rischio, altro non possiamo fare.

governare (con) il virus Come tutti, credo, sono attraversato da sentimenti e reazioni contrastanti, l’ottimismo, sincero o dichiarato, lascia spazio a pensieri cupi e previsioni incerte. Il piano personale si interseca con quello collettivo e, quasi un paradosso, gli altri diventano più importanti quanto più siamo costretti a tenerli a distanza. Quasi che il valore della dimensione sociale, nonostante il nostro naturale individualismo, faccia sentire la sua inevitabile necessità. E imponga di conseguenza che la funzione nobile della politica, citando Weber, coniughi, con ancor più forza, convinzione e responsabilità. Non sottrarsi alla realtà della vita ma definire le finalità e perseguirle con i mezzi disponibili. Senza perdere la componente ideale e umana della sua natura. In realtà la pandemia ha messo a nudo, in alcuni casi in maniera brutale, limiti e contraddizioni dell’agire politico. A livello globale le risposte alla diffusione del virus sono state, abbiamo visto, le più disparate. Dalla sottovalutazione da parte di Boris Johnson a marzo (salvo poi invertire la rotta a seguito non solo del contagio subìto ma dall’escalation allarmante della diffusione del Covid), al negazionismo di Trump pur di fronte al numero di morti negli Stati Uniti, ai metodi militari di controllo della popolazione in Cina, alle misure, spesso contraddittorie, applicate in Europa, declinate in forme più o meno efficaci a seconda dei paesi. Questo quadro drammatico era comunque comprensibile e giustificabile dalla “novità” del virus. Ora, con la seconda ondata in piena virulenza, ci si aspetterebbe un atteggiamento e una risposta diversa e migliore. La realtà, ad oggi, in Italia, ci consegna un disegno ancora frammentato e incerto. Incerto se delegare in BUSSERO in VIVAVOCE

toto al Comitato Tecnico Scientifico le linee guida da seguire, o mantenere la propria funzione di indirizzo e di scelte conseguenti. Incerto se subire i diktat di Confindustria, o mettere in campo tutte le possibili misure di salvaguardia del lavoro senza farne ricadere sulle persone il prezzo in termini economici e sanitari. Incerto sulla scuola e sui trasporti. Ma nell’ambito della funzione politica di governo questa rinuncia rappresenta un vuoto, e come tale viene percepito. E porta con sé un’inevitabile riduzione della stima da parte dei cittadini, cui si deve poter chiedere di essere responsabili, essendolo, per prima, la politica nel suo agire. Ogni decisione contiene una dose di incertezza, ogni scelta può generare effetti imprevisti. Il rischio zero non esiste, né mai esisterà. Il lento logoramento del governo negli ultimi tempi è più il frutto di una situazione di indefinitezza, piuttosto che di una diffusa contestazione degli atti compiuti. La realtà frustrante che ne deriva è quella di un’amplificazione di alcuni dei problemi endemici di cui soffre il paese. I malfunzionamenti degli snodi cruciali legati alla sanità e all’istruzione evidenziano, ancor più nell’emergenza, come nel tempo si siano sedimentati strati di inefficienza e farraginosità, nonostante le (teoriche?) semplificazioni offerte dalla digitalizzazione, con ricaduta diretta sulla vita delle persone, in particolare delle più fragili. I pesanti tagli effettuati nei decenni precedenti si mostrano in tutte le loro effettive, allarmanti conseguenze. Questo quadro che cerca, onorevolmente, di tenere insieme lavoro, trasporti, scuola, vita sociale e controllo della diffusione del Covid, mostra troppe lacune. Dal fallimento dell’app Immuni, alle scelte di alcune regioni, spesso dettate più da logiche politico/partitiche che dall’interesse per la collettività (la situazione dei vaccini anti-influenzali in Lombardia grida vendetta), alle carenze strutturali della sanità pubblica e del comparto scuola. Nel momento in cui scrivo la Lombardia decreta il “coprifuoco” notturno, concordato d’intesa tra governo, regione e comuni. Non sarà risolutivo, possiamo esserne certi. Facile prevedere una stretta ulteriore a breve. Di buono vi è, a mio avviso, il metodo, che ha portato ad una decisione condivisa, al di là di logiche di parte. Nessuno dimentica che nei mesi tra la fine del lockdown e l’inizio di ottobre in troppi hanno parlato ed agito come se la pandemia fosse ormai un ricordo (è vero, è successo in quasi tutta Europa, ma molti errori non fanno una ragione). Una grande illusione azzerata dalla realtà. Ora non è tempo di voltarsi indietro. Responsabilità, trasparenza, coraggio e certezza nel sostegno al lavoro e alle persone, solo così ne usciremo, anche se non sappiamo a che prezzo. Angelo Gilardelli


3

Siamo in un autunno di grande incertezza, la seconda ondata del Covid sta creando diffusa preoccupazione. I numeri ci dicono che, sopra la soglia dei 7000 casi giornalieri, il tracciamento e il controllo della diffusione del virus diventa inefficace,

Secondo Bankitalia, nel 2018 lo Stato ha concesso agli industriali 40 miliardi, con 14 miliardi di contributi agli investimenti e 26 di aiuti alla produzione registrati nei bilanci delle amministrazioni centrali. Denaro cui vanno poi aggiunti gli effetti benefici sulle aziende delle commesse dello

stessi livelli di produzione pre-crisi, come si potrebbe vendere questo prodotto se nel frattempo non si mettesse in giro una quantità di liquidità

Tempi incerti

il Lavoro tra virus, riduzione dei redditi, politica industriale balbettante e rigurgiti ottocenteschi di Confindustria riportando sotto stress la tenuta del sistema ospedaliero e sanitario. Anche l’economia reale ne subisce le conseguenze, dopo il crollo dovuto al periodo della chiusura delle attività, si è registrata una parziale ripresa nel settore produttivo confermata dall’aumento degli ordini nel mese di settembre. Permane la difficoltà nel comparto commerciale, alberghiero e turistico. In caso di nuove chiusure tutto peggiorerebbe e i consumi crollerebbero ancora. Sarebbe necessario stimolare la domanda interna sostenendo la capacità di spesa delle famiglie italiane. In questo contesto

Confindustria rispolvera inefficaci e obsolete soluzioni: non bisogna rinnovare i contratti nazionali di lavoro e servono stipendi più bassi e tanti soldi pubblici alle imprese.

Ogni anno decine di miliardi di euro finiscono nelle casse delle aziende sotto forma di sussidi alla produzione o alle esportazioni, incentivi fiscali e contributivi, oltre che sostegni agli investimenti. Gli industriali italiani hanno avuto sempre tanto, ma senza una reale politica industriale nazionale che definisca settori strategici, piani pluriennali e obiettivi, l’enorme sforzo pubblico viene in buona parte vanificato.

Stato per investimenti pubblici (37 miliardi) e per l’acquisto di consumi intermedi (98 miliardi). Per non parlare di altri sgravi contributivi e fiscali.

Un fiume di soldi che non è neanche lontanamente paragonabile al budget previsto per il reddito di cittadinanza su tre anni (2019-

2021), pari a circa 23 miliardi. Secondo il database comunitario Ameco, solo nel 2019, il governo italiano ha destinato circa 20 miliardi agli imprenditori. Si tratta di una stima conservativa ma significativa, perché è quasi il triplo di quanto stanziato per il reddito di cittadinanza dalla legge di bilancio dello scorso anno (7 miliardi). Nella manovra del 2020 dei 100 miliardi più di un terzo è andato agli industriali. Una cifra consistente, una parte è prevista anche nella manovra più recente. Il denaro pubblico speso a sostegno delle imprese genera anche un ritorno socio-economico importante. Ma l’effetto benefico, tutto da quantificare, si sta progressivamente assottigliando. È essenziale che per mantenere le condizioni di offerta, le imprese abbiano liquidità sufficiente. Fornire liquidità alle imprese – come ha fatto il governo – è una condizione necessaria, ma non sufficiente.

Qualora le imprese fossero capaci di raggiungere gli

aggiuntiva tale da consentire ai percettori dei redditi più bassi di poter comprare?

L’ultima indagine Istat (2018) registrava in Italia oltre 1,8 milioni di famiglie in condizioni di povertà assoluta, pari al 7% del totale, per un numero complessivo di 5 milioni di individui, cioè l’8,4% della popolazione. A queste si

aggiungevano poi altri 9 milioni di persone in condizione di povertà relativa. Inoltre il futuro non è affatto roseo: per il 2020, l’Istat stima un calo dei consumi del 4,1 per cento, mentre solo a causa del lockdown prevede 500 mila disoccupati in più, 400 mila persone in cerca di lavoro e 900 mila inattivi. Nonostante questo scenario, per gli industriali le vecchie abitudini sono dure a morire. Quello che la Confindustria non riesce a capire è che da una situazione come quella attuale se ne esce non facendo la guerra a chi prende più soldi, ma cercando di avere una posizione lungimirante, cosa che la Confindustria ha avuto raramente sull’economia italiana. Quando arrivano i circa 200 miliardi con il Recovery fund non bisogna sapere come fare a spenderli, ma piuttosto dove spenderli per trasformare il volto dell’economia italiana.

In mano a quali imprenditori affidiamo questi soldi? Esiste un progetto di utilizzazione di questi fondi? Bisogna uscire dalla logica degli aiuti a pioggia per una nuova politica industriale che incentivi a creare lavoro di qualità e non precario innanzitutto per giovani e donne. L’Italia deve ripartire con un disegno programmato, questo è il momento di una presenza pubblica perché è necessario sostenere un cambiamento produttivo, digitale e ambientale. Inoltre è urgente una lotta comune per combattere l’evasione fiscale, non indicata tra le priorità da Confindustria: non lo fa con convinzione. Viviamo in un Paese in cui l’evasione fiscale sottrae alle casse pubbliche circa 110 miliardi, la metà di quanto ci porterà il Recovery Fund. E con lo scandalo che il 93 per cento dell’Irpef arriva dai lavoratori dipendenti e dai pensionati.

Antonio G.albiati

OTT./NOV. 2020


4

È un dato di fatto che i giovani hanno oggi poca voce in capitolo, visto che nelle agende politiche vengono sempre per ultimi. Hanno tutti esaltato e applaudito il recente monito di Draghi (ex Presidente della BCE): «Puntare su di loro», ma, passata la tirata d’orecchie, tutto è tornato al punto di partenza, come nel gioco dell’oca. E dire che il pacchetto di sostegno europeo di ben 209 miliardi di € si chiama «Next Generation Eu» perché orientato a favore delle nuove (più giovani) generazioni. Certo, in parte si tratta di debiti (127 miliardi) – mentre 82 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto – che incideranno su «coloro che ci seguiranno nel tempo e ci chiederanno come sono state amministrate somme così ingenti», come magistralmente sottolineato da Sergio Mattarella.

Non voglio sentirmi in colpa: un anziano che pensa ai giovani Per colmare il divario tra le generazioni, sullo scorso numero di “Bussero in Vivavoce” avevamo segnalato l’interessante proposta del Forum Disuguaglianze Diversità di dare 15 mila € ad ogni diciottenne, finanziandoli con la tassazione sulle eredità oltre i 500 mila €. Leggendo l’interminabile elenco di 600 progetti allo studio (più o meno datati e peraltro incompiuti), scremati per fortuna a 100, del Comitato interministeriale per gli affari europei per spendere i citati 209 miliardi, si trova un po’ di tutto: cappotti termici, alta velocità, autostrade, economia verde, digitalizzazione, banda larga (internet), ecc.. Per i giovani ben poco. La verità è che pensioni, welfare e mercato del lavoro continuano ad essere concepiti per favorire gli anziani. Lo stesso incontro dello scorso settembre fra governo e sindacati sulla riforma previdenziale è stato incentrato sul rifinanziamento di Quota 100, sia pure con qualche accennata perplessità di Giuseppe Conte. Una riforma sulle pensioni su misura dei giovani, insomma, può attendere. Sto certo toccando una questione impopolare, vista l’età anagrafica della popolazione italiana, compresa quella busserese (il 27% supera i 65 anni). Andrebbe allora invertito lo squilibrio demografico dell’Italia caratterizzato da una piramide della popolazione con pochi giovani e tanti anziani, certamente non sostenibile sul piano economico sociale. Allora, delle due, l’una: o si riduce il costo di generare e crescere i figli oppure si programmano flussi migratori dai paesi europei e non europei in grado di riequilibrare la piramide demografica. Mettere però in campo politiche per aiutare a generare ed educare i figli per poi vederli andar via per mancanza di opportunità lavorative non risolve il problema demografico. Così come non lo risolve una politica migratoria che guarda soltanto al numero degli sbarchi in Italia, senza porsi il tema dell’attrazione di persone giovani di talento. È arrivato insomma il momento di scardinare la radicata idea italiana che i figli siano un costo e non un bene collettivo di alto valore sociale. Chi non ha figli non concepisce certo perché investire su chi ne ha. Occorre davvero un cambio di mentalità, nel senso che è giunto il momento di trasmettere ai nostri figli e nipoti la necessità di cavarsela da soli, come avviene nel nord Europa. Da noi ha prevalso, fino ad oggi, quella sorta di mutuo-aiuto fondato sulla solidarietà familiare, che ha dato luogo ad un grande welfare informale. Facendo risparmiare, al sistema Paese Italia, su asili, scuole, politiche di conciliazione lavoro/famiglia e dando per scontato che i figli siano sempre un bene a carico. Certo, ci sono altri temi che riguardano la questione giovanile: la formazione, il mercato del lavoro, gli ammortizzatori sociali. Il nostro auspicio, nell’ottica del gramsciano pensiero di coniugare il “pessimismo dell’intelligenza“ con “l’ottimismo della volontà”, è che – oggi più di ieri, viste le risorse economiche a disposizione – siano finalmente fatte scelte politiche con al centro non l’austerità, ma i nostri giovani. Da segnalare, positivamente, nella legge finanziaria 2021, l’introduzione, nell’ambito del cosiddetto “Family Act”, dell’assegno unico fino a 220 euro al mese - alle fasce di reddito più basse - per i figli fino a 21 anni di età, esteso anche agli autonomi ed agli incapienti (lavoratori con reddito inferiore agli 8.100 euro annui), nonché un pacchetto di misure, anche di tipo fiscale, a favore delle famiglie. È, se pur ancora insufficiente, un segnale di attenzione e, speriamo, un cambio di passo. Michele Sala

BUSSERO in VIVAVOCE

Variante Generale al Piano di Governo del Territorio Ebbene si, siamo partiti; per essere sinceri, l’avvio del procedimento è avvenuto già dal 16 gennaio ed alcuni contributi della collettività sono già pervenuti sotto forma di “suggerimenti e proposte” per il nuovo piano. Il Covid ci ha poi spiazzati e mentre gli uffici proseguivano, con notevoli problemi, la loro attività, il rapporto con i nostri cittadini sull’argomento, ha subito un blocco totale; era impensabile, fino ad ora, un coinvolgimento partecipativo ed in presenza della cittadinanza, elemento indispensabile per la definizione del nuovo piano di governo del territorio. Il primo atto ufficiale, in ripartenza, è stato il 28 settembre, nel nuovo auditorium comunale, dove di fronte ad una numerosa platea di cittadini attivi e partecipi, il nostro Sindaco ha presentato le linee di indirizzo del nuovo P.G.T. e dettato la linea di lavoro sintetizzata in uno slogan: “Bussero sarà mondo solo se attraverseremo e ci faremo attraversare dal mondo”, su queste parole il rafforzamento delle connessioni territoriali rappresenta il principale obiettivo strategico del piano per il prossimo futuro. A tutti i partecipanti alla presentazione sono stati consegnati due documenti: un pieghevole, che verrà distribuito a tutte le famiglie busseresi, “Bussero 2030 Linee di indirizzo” riportante le considerazioni e le proposte che l’amministrazione mette in campo ed un fascicolo “Bussero 2030 Questionario” in cui si chiede la partecipazione ed il contributo attivo dei cittadini. Il questionario è disponibile on-line sul sito del nostro comune o cartaceo presso gli uffici comunali; mi permetto anticipatamente un ringraziamento a tutti i cittadini che vorranno dare il loro contributo. Vista la capillare distribuzione dell’opuscolo esplicativo e la facilità di lettura non mi dilungo sul contenuto dello stesso ma vorrei permettermi una riflessione: perché Bussero 2030 se il P.G.T. ha una durata media di 5 anni ? Credo che la risposta sia nelle proposte e negli obiettivi, pensare ad una concreta apertura al territorio, attivando un percorso di integrazione con il sistema Adda Martesana e Metropolitano, che non possa limitarsi ad un periodo temporale breve, necessita di tempo, spesso molto tempo. Oltre agli obiettivi stategici non vogliamo e possiamo però dimenticare i problemi reali ai quali il P.G.T. deve dare risposte concrete ed immediate: aree elettrodotti, centro storico, rigenerazione del patrimonio edilizio, adattamento ed implementazione dei servizi esistenti, mobilità lenta, plessi scolastici, nuove politiche dell’abitare per nuove popolazioni, commercio, su questi temi abbiamo una serie di proposte “concrete” che a breve illustreremo ai cittadini aprendo la discussione tramite tavoli tematici di approfondimento e riunioni mirate (Covid permettendo). Consentitemi infine di cullare un’illusione: vorrei sperare che con questo piano si riesca ad uscire dallo stereotipo che Bussero è un’isola felice e tutto va bene così com’è, perché cambiare, perché aprire ad altre realtà, perché…? Perché il “mondo” ce lo chiede, un pò di coraggio.

Paolo Crippa


5

degli spazi, alle performance teatrali (ne ricordo una che mi costò una ferita all’alluce del piede) in libertà, qualche volta ricerca pura. Ho visto crescere i miei amici con e nel teatro. Ricordo pezzi di storie da “Solitudo” a “2024 Odissea nell’ospizio”, spettacoli fatti in salette anguste o addirittura nel salotto di casa (il Massimo). Quante persone ho visto passare, l’Adriano, l’Ambrogio, la Rosy, la Nadia tra seminari e messe in scena. Poi, insieme, venne il fuori, il girare tra palchi oratoriali e serate di solidarietà sociale e politica, senza stacco o mediazione. Nacquero le Animazioni per bambini (mitica fu la “Strega Temagno” con la Gina, giocata tutta sulle problematiche ambientali dell’allora Conceria Tamagni a Bussero, le rassegne teatrali: il “Maggio Teatrale”, e Teatrantibus poi. Momenti teatrali in cui sono passati, sconosciuti allora, Anna Finocchiaro, Baliani, Quelli di Grock, Marco Paolini, Franca Rame, il TTB di Bergamo, il Teatro del Buratto e altri ancora. Nel frattempo il Gruppo Teatro Bussero si divideva in storie e pratiche teatrali diverse, nacque Caravane de Vie, il Teatro Dialettale e altro ancora, indefinito e volutamente tale. Il ceppo era quello, ma i racconti si moltiplicavano, le letture, gli sguardi, le prassi, l’approccio ai testi pure, non senza tensione, come si addice ad una storia vera di persone in ricerca, di caratteri forti, di passioni mai sopite. Cinquant’anni e non sentirli, tutti e tutte ancora in pista, quelli di sempre avendo negli anni fatto incontri con persone con altrettanta passione, dal Michele, al Centino, dall’Angelo alla Fiorenza, all’Elisa e tanti altri che nemmeno un notes basterebbe. A decine, il teatro come luogo d’incontro, passione, crescita personale, valore collettivo da far vivere nella comunità, che è il paese in cui si vive, Bussero. Cinquant’anni! Ma a quanti gruppi capita di festeggiare/ arrivare a questo traguardo? Ancora in pista a raccontare storie locali, a praticare cultura, a proporre sogni. Beh, cari miei concittadini, comunque la pensiate, a questi miei amici teatranti questa comunità deve tanto, se non altro un carico di leggerezza/passione/impegno/ proposta culturale che credo in pochi altri luoghi è dato trovare. Per questo, a tutti questi miei amici dico un Grazie profondo di cuore in attesa di ritrovarli tutti sul palcoscenico, nelle diversità profonde che praticano oggi.

50 anni (forse più) e non sentirli Cinquant’anni, tanti, mezzo secolo di storia a cavallo tra novecento e futuro. 50 anni, ma forse più, sì perchè dell’inizio non c’è certezza. Quando nasce il Gruppo Teatro Bussero?? A memoria (corta) alla fine degli anni sessanta all’Oratorio, riprendendo/continuando una tradizione storica busserese, di cui mi parlava mio padre (al Natalin dal Buran), ricordando l’Attilio Brambilla, lui stesso, poi il Carlo Barba e altri, calcare le scene dell’allora palco dell’oratorio maschile. Nasce dalla voglia di raccontare e mettere in scena storie, racconti, vissuti personali, fatti storici. Così ne escono una serata sulla Resistenza, “Aspettando Godot” di Beckett, uno spettacolo antimilitarista (c’ero anch’io, l’unica volta, dopo l’asilo, che calcai le scene con la famosa frase “ho il sole di fronte che mi riscalda” tuonato in parata militare). Nasce dalla passione d’un amico, Fausto Beretta, che non sa più come “dire” quello che ha in testa. E diventa subito politica, allora era così. Testo antimilitarista, Beckett, poi Brecht e via di questo passo. Fuori dall’Oratorio ormai, si forma il Collettivo Teatrale (più tardi Gruppo Teatro Bussero). E’ un’esperienza collettiva, senza confini tra passione, interesse personale e politica. Nell’avventura si cimentano a decine, ricordo per tutti l’Enrico in Aspettando Godot. Poi l’avventura si fa seria, seleziona i soggetti, diventa ricerca, incontro con altri (Inzago), con esperienze di ricerca pura, come era quella dei teatranti della Comuna Baires, attori argentini fuggiti dalla dittatura militare. Fu il tempo teorizzato del “Teatro è vita e la vita è il teatro”, senza mediazioni. Che tempi! Eravamo giovani, pieni di vita, di speranza, volevamo cambiare il mondo, eravamo sempre oltre noi stessi, in perenne ricerca d’avvenire. Che tempi! Nel teatro si cimentavano molti dei miei amici, il Fausto, il Mario, il Massimo, il Giuseppe, i più costanti anche nei decenni a venire. C’era voglia di ricerca, dal metodo Stanislawky, alla rottura

Valerio Marchesi

Gruppo Teatro Bussero Associazione culturale affiliata al GATAL VIA CROCE, 20 - 20060 BUSSERO (MI) http://gruppoteatrobussero.altervista.org

OTT./NOV. 2020


6

Diego De Crescenzo è l’artista che ha ideato la statua dedicata alla memoria di Peppino Impastato, inaugurata lo scorso 11 Ottobre in occasione della Festa del Paese. Diego, com’è nata l’idea della statua? La storia di Peppino è una storia che mi è rimasta dentro, da sempre; quando è stato ucciso io avevo 27 anni e lui era poco più

una statua per Peppino

intervista allo scultore Diego De Crescenzo grande di me, con lui condividevo gli ideali e quella necessità di ribellione. Col passare degli anni mi sono sempre chiesto cosa avrei potuto fare per ricordarlo e onorarlo e, in quanto artista, ho pensato che avrei potuto dedicargli la mia arte. Allora ho cominciato a studiare la sua storia, la sua vita, per onorare la sua memoria dovevo imparare a conoscerlo in profondità e sapere tutto ciò che aveva fatto e vissuto. Non è stato facile rappresentare la sua storia e le sue idee in una statua, ho subito scartato l’ipotesi di fare una rappresentazione del suo volto, che mi sembrava fin troppo banale. Ho dovuto e voluto trovare dei simboli che lo rappresentassero, perché noi tutti viviamo di simboli e attraverso di loro capiamo e interpretiamo il mondo. Il simbolo per eccellenza della sua storia era la radio: le cuffie e il microfono che erano il suo strumento di lotta alla mafia, con cui faceva informazione. L’altro simbolo che ho voluto inserire sono state le rotaie, simbolo della sua morte, una morte crudele con cui hanno tentato di infangare la sua memoria. Per legare insieme questi due simboli ho pensato di inserire un muro, un muro distrutto, non dalla bomba che ha ridotto in brandelli il suo corpo, ma il muro dell’omertà distrutto dalla sua voce, dalla sua forza. Cosa significa per te la storia di Peppino Impastato? Lui è stato un uomo con una forza straordinaria, quello che lui ha fatto è davvero grande. Ha avuto un coraggio e una perseveranza unica nel contrastare la mafia, fregandosene di tutto e tutti, andando contro il suo paese e la sua stessa famiglia. Io ho vissuto anche in Sicilia e so che lì la famiglia è una cosa sacra, con un

BUSSERO in VIVAVOCE

forte significato; so anche cosa vuol dire vivere in una società omertosa. Lui per liberarsi e liberare il suo paese dalla mafia e da una certa mentalità mafiosa ha lottato fino a dare la sua stessa vita, consapevole di questo rischio. La sua voglia di vivere e lottare era però troppo grande. Avrei potuto dedicare una statua a tante altre persone vittime di mafia, altrettanto meritevoli, ma con lui e la sua storia ho sempre sentito un legame particolare, un filo sottile che ci collegava, pur non conoscendolo di persona, un’affinità sia per via dell’età che ci accomunava sia per via dei suoi ideali. Per me lui è un Eroe. Qual è il messaggio che hai voluto lasciare con la tua opera? Il mio vuole essere un messaggio di ribellione, di lotta e di riscatto sociale nel suo ricordo, ma non solo, il mio vuole essere anche un messaggio di

speranza. Le rotaie nella mia opera, infatti, non sono posizionate piatte, ma volutamente inclinate, come a rappresentare una rampa di lancio, una rampa che rompe questo muro, per andare oltre l’omertà e le ingiustizie, rappresentano la speranza che fare questo è possibile e lo si deve fare. Perché è importante avere a Bussero questa statua? Perché vuole essere uno simbolo per tutti, perché la mafia e la ‘ndrangheta sono ovunque, anche e soprattutto qua al Nord e in Lombardia. La mia opera vuole essere uno stimolo e un ammonimento: stiamo sempre attenti, informiamoci, capiamo e studiamo. E’ un invito a pensare con la propria testa, a difendere un’informazione libera come quella che faceva Peppino con la sua radio affinché tutti possano essere più liberi e consapevoli. Intervista a cura di

Thomas Livraghi


7

In ricordo di

ROSSANA ROSSANDA

Giuseppe Impastato detto anche Peppino, nasce a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948 da una famiglia mafiosa: il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre, Cesare Manzella, era il capomafia del paese - nel 1965 fonda il giornalino “L’Idea socialista” e aderisce al PSIUP. Dal 1968 in poi, però, milita nei gruppi della Nuova Sinistra. Porta avanti una serie di lotte a favore dei contadini espropriati a causa della costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, oltre a partecipare a diverse manifestazioni a favore di edili e disoccupati. - nel 1975 costituisce il gruppo “Musica e cultura”, che porta avanti una serie di attività culturali come cineforum, musica dal vivo, teatro e dibattiti. - nel 1977 fonda “Radio Aut”, radio libera autofinanziata, con la quale porta avanti una vera e propria crociata contro gli interessi mafiosi a Cinisi e a Terrasini. Il principale bersaglio della dura azione di denuncia è proprio lo zio e nuovo capomafia di Cinisi Gaetano Badalamenti, in prima fila nel traffico internazionale di droga, grazie al controllo che la famiglia aveva sull’aeroporto - nel 1978 Peppino si candida nelle liste di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali, previste per il 14 maggio. La sua intensa campagna elettorale e i duri attacchi contro Badalamenti ne decretano l’esecuzione: nella notte tra l’8 e il 9 maggio viene rapito e fatto saltare in aria con una carica di tritolo, dopo essere stato immobilizzato sui binari della ferrovia.

A settembre ci ha lasciato Rossana Rossanda. Fu tra le fondatrici del gruppo politico del Manifesto, espulso dal PCI, perchè “eretico” sui temi dell’Unione Sovietica e su come si dovesse affrontare il mutamento sociale in atto alla fine degli anni ‘60 ed i rapporti con i movimenti del 68. Noi, io, incontrammo questa donna/intellettuale/compagna proprio in quegli anni, i primi anni ‘70, dal 72 al 75 in particolare, mentre iniziavamo un cammino politico che avrebbe segnato la nostra vita. Diventare, sentirsi comunisti, allora, contro l’Unione Sovietica, contro i regimi oppressivi dell’Est, non fu certo facile. In questo percorso ci aiutò molto la personalità, l’onestà intellettuale, la capacità critica di quel gruppo di intellettuali, Lucio Magri, Pintor, Natoli, Parlato, Menapace, Castellina e appunto Lei, Rossana Rossanda. Una compagna milanese, schiva, nonostante avesse rivestito importanti ruoli politici nel PCI, severa nell’approccio intellettuale, ma capace di trasmettere analisi, letture, visioni mai semplificate, mai riduttive. Ecco, credo a Lei devo quel tratto di me che non riduce mai il tutto alla sintesi, al particolare, la capacità di mantenere quel tasso di complessità che ogni situazione che affronti ti

mette davanti. Quindi “fare scelte”, certo, perchè “è il ruolo della politica”, ma mantenere sempre quello sguardo oltre il presente, oltre il problema. La Complessità, appunto, credo sia uno dei tratti distintivi della mia/nostra storia/percorso di uomini e donne busseresi di sinistra che, anni fa, decisero di mettersi in gioco. Rossanda c’era sempre quando leggevo una situazione, affrontavo un problema, ancora oggi, quando tutto viaggia al ritmo dell’”ora e subito” del mondo social. Poi Rossanda mi ha insegnato a non mollare mai, a tentare sempre una nuova lettura, mai dimenticando i capisaldi analitici, a pensare e lavorare per una nuova occasione per “modificare lo stato delle cose esistenti”, per più giustizia sociale, più uguaglianza, più solidarietà, più umanità, per una società di liberi e uguali. Parole d’altri tempi, ma quanto mai attuali. Ora Lei ci ha lasciati, come è umano che sia, lasciando a noi il bagaglio necessario per il viaggio che continua. Ci mancherà, come ci sono mancati I tanti che ci hanno aiutato a crescere. Che la terra ti sia lieve Rossana. Valerio Marchesi

OTT./NOV. 2020


8

UN’ECCEZIONE CHE ROMPE IL CICLO DI VULNERABILITÁ E SOTTOSVILUPPO PERCEPITO COME “NORMALITÁ”

Un’esperienza diretta dal profondo della Colombia Il 24 di novembre del 2016 fu siglato a Bogotá l’Accordo di Pace con l’obiettivo di porre finalmente fine a 52 anni di conflitto armato che hanno lasciato in eredità circa 250 mila morti, 7 milioni di sfollati costretti ad abbandonare le proprie case e terre, decine di migliaia di desaparecidos, di assassinii politici, di sequestri di persona e migliaia di donne vittime di violenza (2017, Osservatorio di Politica Internazionale, Centro Studi di Politica Internazionale - CeSPI). Ciononostante, oggi, la Colombia continua a soffrire la presenza di attività illecite, soprattutto in specifiche zone territorialmente strategiche per il narcotraffico, dove i gruppi armati combattono per il controllo territoriale e la comunità locale continua a

BUSSERO in VIVAVOCE

soffrire la violazione dei propri diritti umani a causa anche di un generale assenteismo dell’autorità ufficiale. Il Catatumbo, regione a nordest della Colombia confinante con il Venezuela, è una delle zone più “calde”, dove l’Ejército de Liberación Nacional (ELN) e l’Ejército Popular de Liberación (EPL) hanno dato inizio ad una lotta per il controllo del territorio, che è aumentata d’intensità a partire dal 2018. Contemporaneamente nella zona operano ex membri delle FARC, che nel frattempo hanno creato nuovi gruppi dissidenti dall’originale Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC). Qui, i gruppi armati continuano a commettere abusi contro la popolazione civile, includendo omicidi e reclutamento infantile, piazzando mine antipersona per mantenere il controllo territoriale, e minacciando e ricattando le comunità locali, arrivando anche ad assassinare leaders sociali e difensori dei diritti umani per mantenere il controllo sulla popolazione (2019, Human Rights Watch). Popolazione che è andata via via aumentando negli ultimi anni a causa della forte immigrazione venezuelana, che ad oggi conta circa 25.000 venezuelani nel Catatumbo i quali, per la loro condizione di estrema vulnerabilità, continuano ad essere soggetti a discriminazioni e violazioni dei propri diritti incrementando il numero di vittime e abusi (2019, Oficina de Coordinación de Asuntos Humanitarios de Naciones Unidas - OCHA). Complessivamente, con una superficie di 4.826 km², il Catatumbo conta circa 300.000 abitanti, dei quali quasi la metà vive in zone rurali ed approssimativamente il 15% vive in condizioni di estrema povertà (2018, Necesidades Básicas Insatisfechas- Censo Nacional de Población y Vivienda 2018). È in questa immensa zona rurale che si sta verificando un cambio direzionale rispetto alla generale situazione di degrado, oppressione e corruzione percepita come normalità dalla stessa comunità locale, che in assenza di alternative ed accesso ad altre opportunità raramente si mobilita per un cambiamento. É il caso di La Playa de Belén, uno degli 11 municipi della regione Catatumbo nel dipartimento Norte de Santander, dove all’inizio dell’anno si è attivato il Piano di Sviluppo Municipale 2020-2023 “Juntos Hacemos Más” (insieme facciamo di più). Un piano che ha come obiettivo principale la costruzione di un municipio prospero e socialmente equo, nel rispetto delle linee guida nazionali ed in armonia con gli standard dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ed il conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. L’obiettivo generale del Piano di Sviluppo Municipale 20202023 “Juntos Hacemos Más” è la riduzione dei bisogni primari insoddisfatti, cominciando dal miglioramento del sistema di salute e della rete di depurazione/smaltimento delle acque. Parallelamente si investirà nel settore informativo, educativo, culturale e ricreativo per incentivare la partecipazione cittadina creando spazi condivisi e favorendo l’integrazione sociale con


9

un particolare focus rivolto alle categorie più sensibili per uno sviluppo sociale equo. Inoltre, si punta a diffondere una cultura di legalità, aumentare la sicurezza cittadina e l’accesso alla giustizia, incrementando azioni contro la corruzione e rafforzando la capacità della gestione pubblica. Per ultimo, sempre con il fine di migliorare la qualità di vita dei cittadini e promuovere lo sviluppo locale, il piano prevede di investire e rafforzare il settore agricolo percepito come motore per uno sviluppo socio-economico sostenibile. Per una questione pratica ci concentreremo solo sull’ultimo punto, per il quale è stata sviluppata un’analisi previa attraverso una metodologia partecipativa, formulando un piano d’azione per favorire l’attività imprenditoriale rurale locale composta da piccole imprese, generando impiego e determinando una riduzione del tasso di “povertà multidimensionale” che, nel 2019, secondo le stime del Dipartimento Amministrativo Nazionale di Statistica colombiano (DANE - Departamento Administrativo Nacional de Estadística) raggiungeva l’82,3%. Attualmente il settore agricolo rappresenta la principale fonte d’ingresso economico del comune di La Playa de Belén, seguito dal settore dell’acquacoltura su piccola scala e l’allevamento semi-estensivo. Le attività agricole si svolgono secondo un sistema tradizionale, che da poco ha visto l’introduzione di macchinari specializzati. Ciononostante, tra i vari problemi, i sistemi di irrigazione sono principalmente rudimentali ed inefficienti, la pratica di analisi del suolo è pressoché inesistente e vi è un tradizionale utilizzo aggressivo di prodotti chimici per curare e prevenire agenti infestanti. Evidenti sono quindi le problematiche nella linea di produzione agricola del comune, dove si evidenzia la scarsa attenzione prestata alla zona rurale, i pochi aiuti finanziari ai piccoli agricoltori, l’investimento limitato nell’assistenza tecnica e la persistenza di una tradizione culturale di produzione inadatta che rendono fragile e vulnerabile la fonte primaria di ingresso economico del comune. Con il fine di superare queste problematiche fornendo soluzioni innovative a problemi persistenti, il Piano di Sviluppo Municipale 2020-2023 “Juntos Hacemos Más” propone lo sviluppo di un sistema a 360 gradi, innovativo e sostenibile. In primo luogo, si è individuata la necessità di diversificare la produzione, che ad oggi si concentrava principalmente in cipolla e coltivazioni illecite, il piano ha introdotto incentivi per la produzione di caffè, cacao e avocado, prodotti che hanno un valore aggregato in quanto esportabili. Per quanto riguarda nello specifico il tema del caffè, il progetto prevede di superare gli ostacoli che limitano i piccoli agricoltori colombiani da anni, i quali sono obbligati a coltivare varietà comuni di caffè per venderle

alla Federazione Nazionale dei Caficultori in Colombiana, la quale esporta il chicco di caffè. Al termine del processo, l’agricoltore guadagna l’equivalente di 1 dollaro per libbra, quando il commerciante finale, nel vendere caffè espresso per l’equivalente di una libbra, guadagna tra i 100 e i 150 dollari. Il progetto si propone l’ambizioso obiettivo di rendere locale l’intero processo di produzione del caffè, dalla semina alla vendita del prodotto finale, sviluppando parallelamente un’esportazione e una commercializzazione senza dover passare per la Federazione. Per far ciò, il Piano di Sviluppo Municipale prevede di applicare procedure organiche e di FareTrade certificate, oltre alle varie procedure richieste dai paesi compratori, seminando varietà di caffè speciale, non le comuni categorie imposte e legate alla Federazione. La produzione biologica è una delle colonne portanti del Piano, prevedendo la costruzione di una Bio-Fabbrica che si attiverà attraverso il supporto tecnico di laboratori di microbiologia, chimica, analisi del suolo e dell’acqua, iniziando inoltre la coltivazione di piante medicinali e/o necessarie per alimentare biologicamente gli animali d’allevamento e/o generare pesticidi organici. Questa sezione specifica prevede, inoltre, una parte educativa per formare i piccoli agricoltori legati a metodi tradizionali e/o suggeriti dalle stesse industrie produttrici di pesticidi chimici. L’assistenza tecnica viene data anche dal punto di vista economico, assistendo i piccoli agro-imprenditori nella formulazione di progetti da sottoporre a valutazioni per il rilascio di microcrediti e crediti destinati ad attività rurali.

OTT./NOV. 2020


10

Inoltre, per incentivare i progetti produttivi di piccoli produttori agricoli e favorire così la sicurezza alimentare e sovranità alimentare cittadina, il Piano promuove la creazione di associazioni di produttori agricoli non solo nei processi legati strettamente alla coltivazione, ma anche nelle attività amministrative, contabili ed organizzative. Altra colonna portante del Piano di Sviluppo Municipale 2020-2023 “Juntos Hacemos Más” è il tema del riciclaggio e smaltimento di rifiuti. Nella zona è estremamente diffusa la pratica di bruciare rifiuti, prassi estremamente inquinante e dannosa per l’ecosistema. Si prevede di rompere questa routine attraverso programmi di informazione/educazione da un lato e dall’altro incentivando la consegna dei rifiuti alla piattaforma ecologica, che trasformerà il municipio in uno dei punti di raccolta innovativi in tutto il Catatumbo. In questo contesto si inserisce anche l’attivazione di un bio-digestore, impianto nel quale la sostanza organica (frutta, mais, sorgo, spazzatura, ecc.), in assenza di ossigeno, si trasforma in gas che può diventare combustibile per la produzione di energia elettrica. Infine, con l’esposizione di questo caso non si vuole raccontare un esempio eccellente e irripetibile, al contrario, questo è un esempio inconsueto in un contesto estremamente disagiato, come ce ne sono altri nel mondo. L’dea qui, è quella di fermarsi a riflettere, di aprire la mente ed individuare elementi positivi per la crescita socioeconomica sostenibile in altri contesti locali, apprendendo e raccontando la propria esperienza all’interno di un ciclo di arricchimento bidirezionale e costruttivo il cui fine ultimo è il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs - Sustainable Development Goals) per un futuro

comune migliore e sostenibile. In questa logica, importante è anche prendere coscienza di come spesso l’etichetta che poniamo ad alcune popolazioni e/o territori, da un lato ci condiziona portandoci a generalizzazioni inflessibili negli anni, e dall’altro condiziona la comunità stessa, vittima di una stigmatizzazione della collettività, disincentivando, per esempio in alcuni casi, processi di mobilitazione per un cambiamento sociale. A tal proposito, nel 2018, Emanuela Claudia Del Re, Viceministra del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Italiana, affermava: “Bisogna cambiare la visione obsoleta (velata di latente razzismo) che presenta i paesi cosiddetti terzi come arretrati, immaturi, incapaci di un’autonomia concreta. In realtà le generazioni attuali e quelle future si presentano come cosmopolite, presenti nel mondo con un pensiero fertile, capaci di operare una sintesi tra ciò che apprendono nel mondo, la loro identità e quello che possono mettere a frutto per il loro paese d’origine. Non a caso nel sistema integrato di cooperazione non si può prescindere oggi dalle comunità diasporiche, da un dialogo aperto e tra pari con i beneficiari. Il rapporto donatore-beneficiario non è a senso unico: deve essere un rapporto bi-direzionale perché donatori e beneficiari sono oggi interdipendenti. Questo rientra nel quadro della ridefinizione dei progetti di intervento, che devono essere incentrati il più possibile sull’ottenimento di una vera ownership di chi riceve. Il concetto è sintetizzato nella formula “sviluppo condiviso”, che è diventato il mio mantra ma che spero possa costituire una filosofia politica di intervento applicata.” (2018, La Cooperazione Italiana Informa, Oltremare, p. 1 y 2). Il proposito è quindi quello di prendere coscienza della propria realtà e del mondo che ci circonda, attivandoci per uno sviluppo sociale, culturale e comunitario. Credendo nella capacità delle persone, intese come protagoniste nel generare cambiamenti, prendere decisioni e dare una propria lettura della realtà e delle possibilità future. Alla fine, chi si mobilita può perdere, chi non si mobilita ha già perso, e come dice la Carta Democratica Interamericana, la partecipazione dei cittadini nelle decisioni relative allo sviluppo locale che li riguarda è un diritto e una responsabilità. Per questo, c’è soltanto un caso in cui l’eccezione conta infinitamente più della regola, ed è quello in cui io stesso costituisco e costruisco l’eccezione per generare un’azione di cambiamento positivo nello status quo collettivo. Martina Marchesi Colombia, 13 ottobre 2020

BUSSERO in VIVAVOCE


11

Ecco giunto il momento che tu rivesta la Presidenza della Cooperativa… No vi prego, no, continuerò a rivestire il ruolo di consigliere, o al più di Vicepresidente, ma Presidente no... Inutile, le mie preghiere sono rimaste inascoltate. Ora, con devoto rispetto, mi accingo a rivestire tale carica, incoraggiato dalla consapevolezza di essere affiancato da consiglieri con i quali già da anni amministriamo assieme la Cooperativa, sapendo di poter contare su di loro, sul loro

ringraziamento, consigliera che ha avuto modo di farsi le ossa in altre associazioni busseresi cui è stato assegnato il ruolo di vicepresidente. Ed ora, a conclusione, lasciatemi esprimere il mio sentimento di gratitudine, e ritengo del Consiglio e dei soci, a Valerio, per l’impegno, l’amore, la passione, l’iniziativa e la pazienza che in tutti questi anni ha riversato nella cooperativa e per la fiducia accordata a tutti noi. Emilio Crippa

Circolo familiare “Angelo Barzago” Si va avanti... rinnovando impegno, che sono sicuro non faranno mai mancare, ciascuno per le proprie specifiche competenze. Il Circolo Familiare affronterà nell’immediato futuro dei cambiamenti importanti, ma la nostra Cooperativa ha ben chiaro quale sia lo scopo sociale, gli obiettivi sanciti nello Statuto sono e resteranno immutati, e continuerà a cercare di soddisfare le esigenze economiche, culturali e ricreative dei propri soci, a cui daremo nel futuro maggior risalto, dei loro familiari e dell’intera comunità, continueremo ad ampliare la compagine sociale coinvolgendo le giovani leve che vorranno impegnarsi all’interno della Cooperativa. Stiamo attraversando un momento particolarmente delicato, per diversi aspetti, non ultima la pandemia che da febbraio ha modificato le nostre vite i nostri comportamenti; come Circolo stiamo cercando di capire in quali forme e con quali strumenti possiamo continuare a svolgere la nostra attività, le nostre ricorrenti iniziative, alcune di esse, purtroppo, non siamo stati in grado di realizzare, altre le abbiamo garantite anche se in forma ridotta. Tutto purtroppo è strettamente collegato alla continua evoluzione della situazione. Da sottolineare, oltre alla mia nomina a Presidente, l’ingresso nel consiglio di una nuova, giovane consigliera, in sostituzione della storica Loriana Guidi, a cui va il nostro sincero

CIRCOLO FAMILIARE Angelo Barzago Società Cooperativa Sociale Via S. Marco 2 - Bussero

A proposito di false notizie, lo sapevate che… Uno studio dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) evidenzia che su 6.469 migranti sbarcati in Italia tra marzo e metà luglio 2020, soltanto l’1,5% è risultato positivo al corona virus, sottolineando comunque: «Tutte le persone che sbarcano in Italia sono sottoposte sistematicamente a tampone e messe in quarantena almeno fino al suo esito o, nel caso, fino a negativizzazione del tampone». Inoltre, i dati del Ministero dell’Interno sui migranti presenti nelle strutture d’accoglienza fino a metà agosto 2020 ci dicono che i positivi erano lo 0,5% del totale dei contagi nel nostro Paese. È questa l’invasione dei migranti positivi al Covid 19 di cui blaterano Salvini e Meloni? Vadano a leggersi i dati prima di sparare bufale. (a cura di Michele Sala)

EMOZIONI in tempo di COVID 19 Ho visto i tuoi occhi scrutare oltre i vetri, Ho visto le rughe increspare la tua fronte, Ho visto la tristezza e i dubbi trasparire sul tuo viso, Ho visto emergere dalla tua espressione, domande, a cui non ci sono risposte. I tuoi bianchi capelli raccontano di esperienze vissute ma mai come questa. Ti saluto e subito il sorriso risplende sul tuo viso e riempie il tuo e il mio cuore di speranza Ci trasmettiamo emozioni. Parole non dette invadono l’aria ad indicare che non siamo soli e che ce la faremo. Viva è la speranza, per te che rimani sicuro dentro le mura di casa e per me, che dopo aver adottato tutte le precauzioni sto recandomi in quella stanza dei bottoni dove insieme agli altri amministratori ci auguriamo di attuare le migliori scelte per tutti i cittadini.

Francesca Rossi

OTT./NOV. 2020


A Dicembre di ogni anno, dopo la cena di gruppo, gli attori ricevono il nuovo copione per il prossimo spettacolo da tenere alla Festa di Bussero dell’anno successivo. Così è stato anche per il 2019. Dopo gli auguri, prima di tornare a casa, gli appuntamenti sono: lettura collettiva del testo a gennaio e l’inizio delle prove per la prima settimana di febbraio. Ma quel secondo momento, le prove, quello che tutti aspettiamo, quello del palcoscenico, dello stare insieme, non arriverà.

Prove da Matti!!! Le notizie della pandemia corrono, si susseguono. Le mascherine, le distanze, i luoghi chiusi e inaccessibili: se fem? I rischi sono due: riusciremo a stare di nuovo insieme? E poi, come facciamo a provare se il Covid durerà? Passano febbraio e marzo. Il testo è sempre lì, lì sul tavolo, senza interpreti. È così che la più tecnologica del gruppo manda un whatsapp a tutti: “perché non fare le prove utilizzando una videochat?” La videochat? Ma ci possiamo vedere tutti? Ma certo!!! Oh ragazzi, dai che proviamo Ma, non so…. Siamo sicuri? Si dai!! Proviamo, facciamo il collegamento e poi vedremo. Si, si , si, dai,dai! Ed eccoci lì! Ognuno da casa propria davanti al suo pc o al tablet con il copione nascosto, eee…. Via! Si comincia!! Allora, cominciamo dal primo atto….

Pagina 2, dai Carmen tuca a ti! Carmen, te me sentet? Oh bestia! Che disturbo di sottofondo… Luigia, Luigia smorsa la radio! Oh scusate! Però tuca minga a mi Si va ben… Pagina 2, ci siamo tutti? Ricordatevi: bisogna lasciar finire la battuta altrimenti se ci sovrapponiamo non si capisce Allora rifiamo? Da dove ricominciamo? Da pagina 2? Io ero a pagina 5 Linda, turna indree, casu! Calma, calma è la prima volta…. Drinnn, drin, drinn Chi ha tenuto acceso il cellulare? Alessandro, Dario? È il vostro? No è il mio, sono Emiliano E la Vania? La Franca? Erano collegate… Hanno perso il segnale e adesso toccava a loro! Se fem ricumincium? Da dove? Pagina 2! E così per tutti i mesi, ferie comprese, siamo andati avanti, fino a quando, un po’ nel giardino del Circolo famigliare, un po’ in Biblioteca, abbiamo cominciato a fare quello che dovevamo fare 6 mesi prima. Ce la facciamo, dai, coraggio! Ancora uno sforzo e lo sapremo tutto (il testo). Non solo Pagina 2. Quest’anno sarà bellissimo! p.s. Lo spettacolo, anzi il doppio spettacolo del 7 e 8 ottobre, è andato in scena. Ed è stato, malgrado i limiti imposti dal Covid, un grande successo. Sì, certo, qualche piccola imprecisione, qualche dimenticanza, ma... ve ne siete accorti? Giuseppe Galbiati

GREEN, il profumo dell’inclusione

E’ questa l’idea che abbiamo avuto quasi due anni fa, quando abbiamo deciso di “adottare” l’aiuola davanti alla casa dell’acqua: L’INCLUSIONE. Mostrare alla cittadinanza, della quale facciamo parte come associazione da ormai più di 7 anni, che la disabilità può essere anche risorsa. Una risorsa che si prende cura, abbellisce o decora: una persona, una relazione e persino uno spazio. Così con i ragazzi ci siamo messi a realizzare dei piccoli box di legno, pitturati e riempiti con piante aromatiche, fiori e, nei mesi più freddi, con l’albero di Natale pieno di tanti piccoli biglietti augurali. Nel periodo di inizio dei lavori abbiamo ricevuto una donazione da dedicare ad un laboratorio. “Perfetto”, abbiamo detto, “sarà destinata al progetto dell’aiuola”. Ed ecco il “Giardino di Nives”, dedicato alla memoria della mamma di una cara amica di Chi Può Dirlo? Dopo quasi due anni i box di legno erano da sostituire e lo spazio aveva bisogno di manutenzione. L’emergenza sanitaria ci ha fatto rallentare un po’ i tempi, volevamo realizzare questi lavori ad aprile ma non è stato possibile. Ma appena abbiamo avuto l’occasione siamo corsi all’opera. Forse nel momento giusto, pochi giorni dopo gli atti di vandalismo che hanno devastato la “ Casa dell’Acqua”. Molte persone in quel week end si sono fermate a lamentarsi dell’accaduto o a proporre soluzioni per far cessare gli atti di vandalismo. Noi abbiamo pensato di mostrare a tutti che davanti ai gesti brutti si può reagire con gesti belli, perché continuare a credere nelle cose belle fa passare in secondo piano quelle brutte. Massimiliano Mantovani Associazione Chi può dirlo?

SINISTRA per BUSSERO - Via Croce 20 - 20060 Bussero


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.