Bussero in VivaVoce Marzo 2019

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a cura di Sinistra

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per Bussero

FInanziaria 2019

Una manovra gattopardesca, nulla di nuovo sotto il sole

Riforma delle Pensioni

Il cambiamento c’è, e non c’è

CGIL a congresso Il sindacato di fronte alla difficoltà del lavoro oggi

Noi, in qualche modo ci siamo Giovani Bussero, insieme tra impegno e leggerezza

Un bagno di realismo

Il reddito di cittadinanza dalla propaganda ai fatti

Operaia da sempre

Le lotte per la conquista dei diritti fondamentali sul lavoro

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Scritta a Roma, trattata a Bruxelles e fatto gravissimo - approvata senza alcuna discussione parlamentare, si passa ora a tradurre in realtà i 19 articoli e i 1134 commi della Legge Finanziaria 2019. Il primo adempimento riguarda l’emanazione dei 161 decreti attuativi previsti dalla norma, senza i quali, per capirci, niente assunzioni nella Pubblica

F I N A N Z I A R I A 2019

Una manovra gattopardesca Amministrazione, nella Polizia, nell’Università, niente finanziamenti per i danni del maltempo 2018. Quasi la metà di questi decreti dovrà essere approvata entro una certa data, pena il decadimento di quanto in essi previsto. Ad esempio, entro gennaio 2019, vanno fissati i tempi e le modalità per indennizzare i risparmiatori truffati dalle banche; entro marzo vanno individuati gli immobili pubblici, per fare cassa, da vendere obbligatoriamente entro il mese successivo. Non è invece prevista nessuna scadenza per il reddito di cittadinanza e quota 100 (revisione Legge Fornero sulle pensioni) per i possibili intralci di natura burocratica che si possono verificare. In ogni caso, però, incombono le elezioni europee e, quindi, i nostri governanti non si possono presentare a mani vuote. Da non sottovalutare poi l’aumento delle clausole di salvaguardia imposte dalla Commissione Europea per il prossimo anno - ed accettate dal governo nonostante i vari «me ne frego» - a 23 miliardi, 9 in più rispetto al 2018. Ciò vuol dire che nel 2020 o si aumenta l’Iva per 23 miliardi o si taglia qua e là per la stessa cifra. Ma la partita non finisce qui, giacché, se a maggio, dalla periodica valutazione sulla manovra italiana da parte della Commissione Europea, il taglio del deficit risultasse ancora lontano dallo 0,6% concordato con Bruxelles, si dovrebbero trovare altri 10 miliardi, oltre ai 23 appena BUSSERO in VIVAVOCE

ricordati. Vero è che se ne parlerà dopo le elezioni europee dalle quali Salvini e Di Maio si aspettano il ribaltone e la nomina di commissari sovranisti più disponibili, ma in ogni caso si tratta di un fardello pesantissimo lasciato in eredità alla manovra del prossimo anno. Ma quale sarebbe la grande rottura rispetto al passato, quale il cambiamento? Lo sforamento del deficit, così smaccato rispetto agli impegni internazionali dell’Italia, serve almeno ad aumentare gli investimenti, a ridurre il gap nell’innovazione e nell’istruzione che ci separa dagli altri Paesi avanzati o a migliorare il funzionamento della giustizia e della pubblica amministrazione? No. È spesa corrente, quasi tutta assistenziale o, meglio, elettorale. Spicca la pressoché totale assenza di ogni politica industriale. Non si vedono nuovi incentivi all’ammodernamento tecnologico, se non la conferma di quelli del centro sinistra. E gli investimenti pubblici nelle infrastrutture sono in realtà quasi tutti soldi già stanziati dai precedenti governi che purtroppo attendono ancora di essere spesi. Ma almeno l’aumento del debito serve a ridurre le ingiustizie, ad aumentare l’equità, a sbloccare un po’ l’ascensore sociale? Nemmeno. La quota 100 è un costoso regalo a chi il lavoro ce l’ha già, non certo ai giovani disoccupati. Il reddito di cittadinanza non offre alcuna seria prospettiva di riscatto a questi ultimi, né ai migliori laureati che continuano ad emigrare (vedi articolo a parte). In molte zone finirà per rendere doppiamente conveniente il lavoro nero, un’altra patologia anomala per un Paese avanzato e c’è il rischio che diventi un nuovo serbatoio di favori e clientele. Le misure, magari anche giuste in linea di principio, vanno sempre calate nella realtà e, date le tare storiche dell’Italia, e del Mezzogiorno in particolare, il cavallo di battaglia dei cinque stelle non lascia immaginare nulla di buono. L’aumento della spesa corrente, clientelare ed elettorale, non è quello di cui ha bisogno l’Italia per invertite il declino. E viene pagato, oltre che con più debito (e a interessi più alti), con ulteriori tagli alla sanità, all’istruzione, all’amministrazione pubblica, comparti fondamentali della nostra vita sociale. Non c’è davvero nulla di nuovo sotto il sole. Michele Sala


PENSIONI Il cambiamento C’È, e NON C’È

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divieto di cumulo fra pensione e redditi da lavoro, esclusi quelli di natura occasionale sino a 5 mila euro l’anno. Riguarda essenzialmente le persone nate tra il 1952 e il 1959, che che raggiungano i 62 anni e i 38 anni di contributi nel prossimo triennio. La convenienza economica e il tempo di vita.

Con l’approvazione del decreto in Consiglio dei ministri possiamo dire che la Legge Fornero non è cancellata contrariamente a quanto continuano ad affermare i vari ministri. Rimangono le norme delle varie leggi precedenti. La pensione di vecchiaia non cambia, i lavoratori continueranno ad andare con 67 anni di età e con un minimo di 20 anni di contributi a partire dal 1 gennaio 2019. In pensione anticipata potranno andare i lavoratori con l’anzianità contributiva pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, con la novità di attendere 3 mesi per l’apertura della finestra di uscita. L’Opzione donna rimane, potrà essere scelta dalle lavoratrici dipendenti nate entro il 31 dicembre 1960 e delle autonome nate entro il 31 dicembre 1959 che abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni al 2018. La pensione in questo caso sarà calcolata interamente con il metodo contributivo, meno favorevole.

di contributi versati entro il compimento dei 19 anni, e appartenere a una delle quattro categorie di aventi diritto previste dalla norma (disoccupati che hanno terminato di percepire il sussidio da almeno tre mesi, badanti, inabilità al lavoro pari almeno al 74%, mansioni gravose). Anche in questo caso, si dovranno aspettare 3 mesi per la decorrenza della pensione.

La scelta di andare in pensione anticipata è strettamente personale, legata alle condizioni economiche, di vita familiare e di salute.

Cosa cambia. Fatta la premessa che la Legge Fornero non è stata cambiata, si introduce nell’ordinamento legislativo una nuova possibilità di pensionamento anticipato.

Infine una nota di un consulente di Palazzo Chigi vicino alla Lega:

Quota 100 introduce una possibilità di uscita pensionistica anticipata nel triennio 2019-20121 con i due vincoli connessi di avere almeno 62 anni di età e 38 di contributi e con una finestra di uscita di tre mesi dal raggiungimento dei requisiti per i lavoratori privati e di sei per i dipendenti pubblici. Per i lavoratori che la utilizzeranno scatterà il

Per i minori contributi versati e per la maggiore speranza di vita, l’importo della pensione netta sarà più basso, a secondo dei casi, dal 10% al 30% rispetto a quello che si otterrebbe con la pensione di vecchiaia.

“Nel 2008 lo Stato centrale trasferiva 6o miliardi per assistenza sociale attraverso l’Inps. Oggi siamo a 115 miliardi. A questa cifra dobbiamo aggiungere, sulla base delle indicazioni della Ragioneria di Stato, la spesa assistenziale degli enti locali e lo 0,8% del Pil per il sostegno alla casa. Alla fine il monte spesa totale per l’assistenza sociale sfiora i 13o miliardi, quando la spesa per le pensioni autentiche, cioè quelle sostenute dai contributi, è di 160. Così il sistema non regge.” A.G.

L’Anticipo Pensionistico Social è stato prorogato a tutto il 2019. Sono interessati i disoccupati, gli invali e i badanti con i ripetitivi requisiti che abbaiano almeno 63 anni e 30 di contributi versati; i lavoratori occupati in lavori gravosi con almeno 63 anni e 36 di contributi versati. Lavoratori precoci Questi lavoratori andranno in pensione con 41 anni di contributi. Devono avere almeno un anno

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Tra Novembre e meta gennaio m’è capitato di vivere direttamente da delegato una serie di congressi della Cgil, da quello della mia categoria “lo Spi dei pensionati” a quello confederale della Camera del lavoro di Milano e Regionale Lombardia, per finire a Torino con il Nazionale dello Spi. Una fatica congressuale non indifferente, ve l’assicuro, ma di quelle “utili” a ricordarti chi sei, dove sei e perché sei lì. In Cgil appunto, il sindacato storico confederale dei lavoratori italiani. Poca cosa nell’immaginario di oggi, tutto social, infatti il Congresso ha avuto poca

CGIL Esperienze e vissuti congressuali risonanza e per lo più finalizzata a “personalizzare” il confronto congressuale. Stiamo parlando della più grande organizzazione sindacale occidentale, 5.500.000 iscritti, il 48% pensionati, ma il 52% attivi, cioè lavoratori in campo attualmente. Bazzecole, in fondo chi non ha 5.500.000 iscritti che pagano regolarmente la tessera. Un Congresso che per la prima volta per la stesura del documento iniziale ha coinvolto 20.000 delegati, dirigenti, a tutti i livelli; un Congresso che solo per lo Spi Pensionati ha voluto dire 5.000 assemblee fatte e 400.000 persone coinvolte (chissà, roba d’altri tempi, è la democrazia bellezza, la fatica di “sentire e rappresentare” il proprio corpo sociale, con i limiti che tutto questo ha, ma con la certezza che non esiste altro modo per “costruire un’idea collettiva”). Altre migliaia di assemblee e centinaia di migliaia di lavoratori coinvolti da tutte le altre categorie del mondo del lavoro, dal commercio, ai bancari, dai metalmeccanici alla scuola etc Ho attraversato tutti questi momenti leggendo nei vari interventi la difficoltà dell’oggi, il lavoro distrutto dalla crisi economica e sociale, la frammentazione del mondo del lavoro, la precarietà imperante, la solitudine, il part time imposto alle donne, i licenziamenti facili, la crisi della difesa dell’art. 18, baluardo non per difendere i lazzaroni (come spesso si racconta), ma per garantire e difendere il diritto ad un lavoro dignitoso (altro che decreto dignità). L’ho sentito nei racconti delle donne e uomini della Puglia, sotto il giogo del caporalato, l’ho ascoltato nel racconto del segretario generale Landini Maurizio, quando raccontava di Fiumicino e dei suoi 50 contratti di lavoro, uno diverso dall’altro, pur con lavori uguali. L’ho sentito quando parlava la delegata delle imprese di pulizia parlando degli appalti e di come da un passaggio all’altro i lavoratori perdano garanzie e diritti, l’ho fissato nella mia mente ascoltando il delegato che parlava della raccolta BUSSERO in VIVAVOCE

pomodori, di come venivano usati i migranti e vessati nella loro dignità di “persone”, per non parlare dei contratti collettivi “inventati” tra imprese e sindacati che non rappresentano nessuno, pur di abbattere il costo del lavoro, già basso in Italia. E la Cgil c’è sempre lì nei luoghi del dolore, della crisi, della frammentazione, con fatica certo, con spesso la difficoltà di costruire risposte, con la certezza che le risposte che dai e ottieni qualche volta sono piccole e limitate, ma lì c’è, dentro la ferita sociale, in mezzo alle persone, non a pontificare di “futuri auspicabili”, ma praticando giorno per giorno soluzioni possibili e proponendo obbiettivi da raggiungere per tutta la comunità del lavoro. Questo è il senso della “Carta dei lavori” su cui la Cgil ha raccolto un milione e mezzo di firme, per dare risposta ad una ricomposizione del mondo del lavoro, dalle grandi fabbriche. alle partite Iva. Questo è il senso del “Piano del Lavoro”, elaborato in questi anni e che questo governo ed anche i precedenti non riesce a “vedere”, eppure lì dentro ci sono tante risposte possibili al futuro dei nostri giovani. Questo è il senso della proposta di legge sulla rappresentanza che finalmente direbbe “chi rappresenta chi” e chiuderebbe con la partita dei “falsi contratti nazionali”, la Cgil non teme di essere contata, già lo fa certificando i suoi iscritti ed i suoi bilanci. Questo è il senso della richiesta di negoziazione sociale sui territori, di una legge per la tutela della “non autosufficienza” per gli anziani. Tutto questo che la Cgil cerca di fare e costruire, di rappresentare, non è rivolto agli spiriti defunti del novecento, ma è IL FUTURO del nostro Paese, dei giovani del nostro Paese. Per tutto questo la Cgil, dopo il suo Congresso, unitariamente a Cisl e Uil è stata in piazza a Roma il 9 febbraio contro la manovra governativa, per dire semplicemente che SENZA UN PROGETTO DI LAVORO PER QUESTO PAESE NON C’È FUTURO. E NON SI PUO’ PIU’ GIOCARE SUL FUTURO DEI NOSTRI FIGLI. Perché, come ci ricorda il Segretario Generale della Cgil Maurizio Landini “Mentre ci raccontiamo dell’invasione dei migranti, che non c’è, 100.000 nostri giovani vanno a fare i migranti all’estero, cercando lavoro, e lavoro qualificato.” Questa è la Cgil, il mio Sindacato, ed io, conoscendone anche i limiti e non stancandomi di denunciarli, sono fiero di esserne parte, da quando sedicenne entrai in Fiom come delegato, successivamente come rappresentante sindacale dei bancari, e oggi come iscritto allo SPI Sindacato Pensionati Italiani, presente in quasi tutti i comuni d’Italia con i suoi volontari.

Valerio Marchesi


Noi, in qualche modo, ci siamo “È sera tardi e inizi a digitare la parola Netflix nel motore di ricerca del computer, intenzionato a cercare qualcosa da guardare. Scrolli diversi titoli, leggi anche varie recensioni, ma semplicemente non riesci a deciderti. Improvvisamente sono trascorsi 30 minuti e tu sei ancora imbambolato davanti allo schermo. Così, semplicemente, ti arrendi. Sei troppo stanco per guardare qualsiasi cosa ora, allora smetti di perdere tempo e ti addormenti”. Sono queste le parole attraverso le quali Pete Davis, appena laureatosi ad Harvard, ha voluto caratterizzare le giovani generazioni odierne,

e noi, come lui, condividiamo questo pensiero. Si tratta chiaramente di una generalizzazione, non applicabile a tutti, non estendibile ad ogni situazione, ma comunque non possiamo che ammettere che, ascoltando la sua ironia, ci sentiamo un po’ vicini a casa. Le opzioni, oggigiorno, sono pressoché infinite, così come infinite solo le scelte alle quali siamo sottoposti. A questo si aggiunge l’estrema facilità con la quale recepiamo tutto questo, basta un click ed è fatta. “Come si chiamava quella canzone del video dell’altro giorno, di cui non ricordo il titolo?” “Massì usa Shazam e la trovi

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subito” “E invece il logo del Comune dov’è che lo prendo? Devo andare in ufficio?” “Ma no, vai su google e lo trovi”... Facile no? Eppure a volte siamo in stallo, totalmente. Sappiamo un po’ tutti cosa vorremmo a Bussero, cosa ipoteticamente si potrebbe fare, cosa sarebbe bello avere, ma come si inizia? Come si fa? E soprattutto, chi lo fa? In questo vortice di idee, in cui a volte manca la voglia, altre manca il tempo, altre ancora mancano le competenze, Giovani Bussero vuole essere uno strumento nelle mani dei ragazzi che hanno un input all’azione ma che non sanno da dove e con chi partire per svilupparlo. A queste persone vogliamo dire “NOI CI SIAMO”, per quanto talvolta possiamo sembrare disorganizzati, caotici o scostanti, noi ci siamo e, spero, ci saremo. Questo perché Giovani Bussero, oltre che ad essere un tavolo di protago-

G I O V A N I

nismo giovanile e un luogo in cui fare amicizia e passare il proprio tempo, rappresenta un nuovo modo di stare insieme e un modo alternativo di vedere la vita. Giovani Bussero ci proietta in un futuro in cui l’ansia del presente si smorza e in cui ci sono tante persone diverse con cui confrontarsi, che collaborano e hanno voglia di fare. Qui troviamo tanti volti, interni ed esterni al gruppo, che ci arricchiscono interiormente, che ci danno buone speranze, che a volte ci fanno arrabbiare ma poi tanto ci passa sempre, che ci aiutano e che ci fanno rivalutare la realizzabilità delle cose perché avvicinandosi, le opzioni, sembrano sempre più fattibili e concrete che a guardarle da lontano. Come suol dirsi, chi ben comincia è già a metà dell’opera, e noi, di opere, ne abbiamo in mente proprio tante.

Aurora, Anna, Alessandro per Giovani Bussero

V I D E O M A K E R

Spazio Giovani Martesana, il tavolo di politiche giovanili sovracomunale, ha dato la possibilità ai ragazzi dei comuni aderenti al tavolo, di partecipare ad un corso gratuito di videomaking. Il corso ha avuto un grande richiamo, motivo per cui come referenti politici della rete abbiamo deciso di raddoppiare l’appuntamento, facendo partire due gruppi, in due corsi paralleli per accogliere più ragazzi. Sono 4 i ragazzi di Bussero che partecipano al corso. Questa è la prima iniziativa concreta che SGM offre, dopo un anno di stallo e di cambiamenti all’interno del tavolo. Iniziativa che permette ai ragazzi di sviluppare la propria passione, aumentare le proprie competenze tecniche nel campo e permettergli anche di muovere i primi passi verso un possibile futuro lavoro. Il corso mira anche a dare nuovi strumenti ai ragazzi per esprimere loro stessi, la loro realtà e la loro visione del mondo. Per questo motivo all’interno del corso vi sarà anche una lezione di sensibilizzazione “Posto che rimane in rete” sul tema della consapevolezza nell’uso della nostra immagine, diffusione di video personali e pubblicazioni su web e social. Tema questo molto delicato per i giovani, perché è importante saper interpretare e saper usare gli strumenti della rete, che li mantiene sempre connessi con gli altri, strumenti utili per condividere esperienze e passioni e farli sentire più vicini agli altri, ma strumenti che molte volte hanno, invece, un effetto contrario, disaggregante, che li fa sentire più soli e ai margini. Thomas Livraghi

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In una condizione di crisi economica come quella attuale, con livelli altissimi di precarizzazione selvaggia e di disoccupazione di massa, soprattutto dei più giovani, il reddito può essere una risposta, una possibilità di scelta, di rivendicazione di autonomia e futuro. Fin dal 2013, erano state raccolte e presentate alla Presidente della Camera Laura Boldrini, oltre 50.000 firme per una legge di iniziativa popolare sul Reddito minimo garantito.

Ora il Consiglio dei Ministri ha varato il disegno di legge sul Reddito di cittadinanza. È un mix di politica attiva per aiutare l’inserimento nel mondo del lavoro e integrazione dei redditi familiari. Ha l’obiettivo di migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, aumentare l’occupazione, contrastare la povertà e le disuguaglianze. Ci si augura che riesca. Purtroppo manca il presupposto cardine: il posto di lavoro.

UN BAGNO DI REALISMO

di euro nel 2020, di 7.818 milioni di euro nel 2021 e di 7.663 a decorrere dal 2022. Possono usufruirne i nuclei familiari sotto la soglia di povertà assoluta con ISEE inferiore a 9.360 euro annui; con patrimonio immobiliare, diverso dalla prima casa di abitazione, fino ai 30.000 euro annui; con patrimonio finanziario non superiore a 6.000 euro che può arrivare fino a 20.000 per le famiglie con persone disabili. Il componente richiedente il beneficio deve avere la cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea o lungo soggiornante e risiedere in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi 2 in via continuativa. Nessun componente del nucleo deve essere intestatario di auto di cilindrata superiore a 1600 cc o di moto superiore a 250 cc immatricolati nei due anni precedenti

Reddito di cittadinanza dalla propaganda ai fatti Nel 2015 Sinistra Ecologia Libertà chiese alla Presidenza della Camera una procedura d’urgenza affinché il Parlamento calendarizzi, discuta e approvi rapidamente una legge sul reddito minimo di 600 euro al mese a tutte le persone inoccupate, disoccupate e precarie con un reddito annuale inferiore a 7.200 euro. Ma ne Partito Democratico ne M5S, pure loro presentatori di una proposta di legge, accettarono di aprire la discussione in Parlamento. Vi era allora una risoluzione del Parlamento europeo che chiedeva agli Stati membri di inserire un reddito minimo garantito pari al 60% del reddito mediano nazionale come uno dei modi più efficaci per contrastare la povertà, promuovere l’integrazione sociale e garantire una qualità di vita adeguata alla dignità persone. Queste misure erano già presenti in Europa: Belgio: 650,00€ al mese individuali; Norvegia: 500,00€ al mese, individuali più coperture per affitto e elettricità; Francia: 425,00€ individuali, 638,10€ in coppia anche di fatto, 765,72€ coppia con un figlio, 893,34€ coppia con 2 figli, 17,00€ in più per ogni altro figlio.

BUSSERO in VIVAVOCE

Questo governo non ha contestualmente varato sostegni per gli investimenti e per lo sviluppo, aggravando con i suoi atteggiamenti (Europa e aumento costo del debito) e le sue scelte (debito pubblico, flat tax e condoni) la situazione produttiva ed economica dell’Italia portandola sull’orlo della recessione, in un contesto internazionale già di calo dell’economia. Potremmo trovarci con più debito pubblico e meno ricchezza prodotta. Sarebbe un bagno di sangue per tutti a partire paradossalmente dai più poveri.

Il Reddito di cittadinanza Dalla propaganda ai fatti: lo stanziamento rispetto ai 17 miliardi del progetto di legge iniziale dei 5 Stelle è stato determinato nei limiti di spesa di 5.974 milioni di euro nel 2019, di 7.571 milioni

È concesso un reddito per nucleo familiare. Vi è una base di integrazione al reddito che varia con il numero del nucleo familiare e un fisso per il contributo all’affitto o al mutuo. Per esempio una persona che vive da sola avrà fino a 780 al mese di RdC: fino a 500 euro come integrazione al reddito più 280 euro di contributo per l’affitto (oppure 150 euro di contributo per il mutuo); una famiglia composta da 2 adulti, 1 figlio maggiorenne e 1 figlio minorenne avrà fino a 1.280 euro al mese di RdC: fino a 1.000 euro mensili come integrazione al reddito più 280 euro al mese di contributo per l’affitto (oppure 150 euro di contributo per il mutuo). Il reddito di cittadinanza ha una durata di 18 mesi: • entro i primi 12 mesi, la prima offerta di lavoro potrà arrivare nel raggio di 100 km – 100 minuti di viaggio. Se viene rifiutata la seconda offerta potrà arrivare nel raggio di 250 km e se anche questa viene rifiutata, la 3° offerta potrà arrivare da tutta Italia; • dopo il 1° anno, anche la prima offerta


NESSUNO NE PARLA potrà arrivare fino a 250km, mentre la 3° potrà arrivare da tutto il territorio nazionale; • dopo i 18 mesi tutte le offerte possono arrivare da tutto il territorio nazionale. Viene escluso dal RDC il nucleo familiare i cui componenti maggiorenni: • Non abbiano dichiarato immediata disponibilità al lavoro; • Non sottoscrivono il Patto per il Lavoro o per l’Inclusione sociale; • Non partecipano alle iniziative formative e non presentano una giustificazione; • Non aderiscono ai progetti utili per la comunità predisposti dai Comuni; • Rifiutano la terza offerta congrua; • Non aggiornano le autorità competenti sulle variazioni del proprio nucleo; • Forniscono dati falsi. In questo caso, si rischiano da 2 a 6 anni di carcere. Incentivi al lavoro Sono previsti incentivi per le imprese che assumono i beneficiari del RdC e per agevolare l’imprenditorialità. Le imprese che assumono chi riceve il RdC potranno ottenere un incentivo pari alla differenza tra 18 mensilità e il numero di mensilità già ricevute dal beneficiario. La pensione di cittadinanza Per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 65 anni, che vivono sotto la soglia di povertà assoluta con un ISEE familiare inferiore a 9.360 euro all’anno; con un patrimonio immobiliare, diverso dalla prima casa, non superiore ai 30 mila euro; con un patrimonio finanziario inferiore a 6.000 euro, 8.000 se si è in coppia, avranno una pensione fino a 630 euro (1 componente) e altri 150 euro in caso di affitto. G.A.

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L’Italia brucia 4,5 miliardi di EURO l’anno nel formare giovani che poi emigrano.

È proprio così. Sulla bocca di tanti c’è un becero, vergognoso e quotidiano sproloquio sugli immigrati («nemici da combattere»), a partire dal ministro Salvini, ma nessuno parla del fatto che sono sempre più numerosi i giovani, i diplomati e i laureati italiani che vanno all’estero. I motivi? Sia l’andamento negativo del mercato del lavoro italiano (leggi crisi economica), sia perché Paesi stranieri offrono maggiori opportunità di carriera e retribuzioni in linea con le legittime aspettative e professionalità. Tra il 2013 ed il 2017 - dati Istat - sono oltre 244.000 mila i giovani con più di 25 anni che hanno lasciato il nostro Paese, di cui il 64% con titolo di studio medio-alto. In forte aumento, il numero di emigrati diplomati (+32,9%) e laureati (+41,8%). Sempre secondo dati Istat 2017, più della metà dei cittadini italiani che si trasferiscono all’estero (52,6%) è in possesso di un titolo di studio medio-alto: circa 33 mila diplomati e 28 mila laureati. Con riferimento all’età, gli espatriati di 25 anni e più sono 82 mila e 31 mila quelli rimpatriati nella stessa fascia: il saldo migratorio risulta così negativo per 51 mila unità, di cui 13 mila laureati (26,2%) e 19 mila diplomati (36,75). Come si vede, la questione non riguarda solo i giovani in generale. L’Italia sta perdendo, in misura considerevole e irragionevole, le proprie eccellenze accademiche e professionali, in un contesto dove gli italiani laureati sono solo il 4% nella fascia 25/64 anni contro una media OCSE del 17% ed il 27% nella fascia 25/34 anni contro una media OCSE del 44%. L’investimento perso dallo Stato Ogni italiano che emigra rappresenta un investimento per il Paese: € 90.000 un diplomato, € 150.000 o € 170.000 un laureato (rispettivamente laurea triennale o magistrale) ed € 228.000 un dottore di ricerca, come risulta dal rapporto Idos (Immigrazione Dossier Statistico) sulla base di dati OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). L’Italia brucia così ogni anno circa 4,5 miliardi di euro solo in laureati andati oltre confine, mentre in diplomati oltre 3 miliardi. La perdita si riduce grazie ai flussi di ingresso degli immigrati. Tra il 2012 ed il 2014, si legge nel rapporto, a fronte di circa 60 mila laureati italiani espatriati, vi sono circa 15mila laureati italiani rimpatriati e circa 35 mila laureati in più tra i cittadini stranieri residenti». In ogni caso, il saldo economico, seppur attenuato, risulta sempre negativo. Le mete preferite sono la Germania e la Gran Bretagna e, a seguire, l’Austria, il Belgio, la Francia ed il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Svizzera (in Europa, dove si indirizzano i ¾ delle uscite), mentre oltreoceano, l’Argentina, il Brasile, il Canada e gli Stati Uniti. Di questo passo, nei prossimi dieci anni, dei cinquecentomila studenti impegnati quest’anno nella maturità, circa un quarto saranno impiegati in Paesi più dinamici del nostro. La politica deve dare una prospettiva a questi ragazzi - fra l’altro ce ne sono diversi anche a Bussero e, con il loro studio, lavoro e ricerca, rappresentano il nostro Paese sicuramente meglio di tanti nostri governanti - altrimenti continueremo a formare giovani per gli altri e privarci di risorse umane qualificate. E il futuro, così, rimarrà altrove. Il trend è davvero preoccupante ed è ormai ineludibile alimentare un circuito virtuoso studio/lavoro/salario/casa che renda possibile ad un giovane rendersi indipendente e coltivare prospettive senza spostarsi di mille o diecimila chilometri. Fra cinque anni, forse anche prima, la vera emergenza rischia di rivelarsi non l’”invasione” degli stranieri, ma l’esodo oltre confine dei nostri giovani connazionali di tutte le classi sociali. Non c’è progetto di vita dei giovani italiani scolarizzati eccezion fatta per coloro il cui stato sociale dipende da quello dei padri - che non comprenda la frase «penso di trasferirmi all’estero». È triste ammetterlo: stiamo lavorando in conto terzi per Paesi dove il capitale umano ha un valore e fa gola a molti.

Michele Sala

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Un breve colloquio con Angela Bollini sulla sua vita in fabbrica (Italtel/ Siemens) dal 1957 al 1992.

l’introduzione di controlli della salute per i lavoratori sul luogo di lavoro. Infatti la tipologia del nostro lavoro (saldatura di micro componenti) prevedeva l’utilizzo del piombo che, a lungo andare,

OPERAIA DA SEMPRE.

UNA TESTIMONIANZA

I diritti conquistati con grande fatica vanno difesi ogni giorno, o svaniscono Le prime battaglie per i diritti e la sicurezza sul lavoro, gli anni di piombo e una riflessione sul presente. A mezzo secolo dalla stagione delle grandi lotte operaie. Angela, raccontaci di quel periodo “All’inizio furono anni duri, di sofferenza e astio tra noi. La fabbrica era organizzata in reparti, anche di 400 persone; in prevalenza donne. Gli uomini erano pochi, per lo più “capi o preparatori”. Si lavorava a cottimo, anche il sabato. All’epoca, parlare di sfruttamento era difficile e ancora di più lo era introdurre l’idea del diritto alla salute sul luogo di lavoro. Fu un percorso molto complicato, dove avviare il concetto che “l’unione fa la forza” portò anche a tensioni e lotte interne tra le lavoratrici, poiché una parte di loro, pur condividendo i principi di certe idee, era molto preoccupata di perdere il lavoro.” E la tua esperienza personale? “Mi iscrissi subito alla CGIL e divenni delegata di reparto: partecipavo ai consigli di fabbrica con i rappresentanti sindacali. Tra le lotte più significative, quella per l’eliminazione del lavoro a cottimo, la riduzione dell’orario di lavoro,

provocava alterazioni dei livelli di piombemia nel sangue. Era necessario ridurre i tempi di esposizione e introdurre delle misure di prevenzione agli effetti causati dall’eccessivo utilizzo di questo metallo. Grazie alle lotte si ottenne che fossero installati degli impianti di depurazione e fu previsto il trasferimento ad altri reparti per le donne in gravidanza. Questo fu fatto con grande tenacia e, dopo le iniziali diffidenze, le altre donne capirono che lottare aveva lo scopo di ottenere maggior tutela e sicurezza per la propria persona.” Oltre alle conquiste, quali sono stati i momenti più bui o di delusione? “In quel periodo le

manifestazioni e gli scioperi avvenivano di frequente e spesso ci furono anche scontri con la polizia. Ma fu con l’arrivo dei cosiddetti gruppi “extraparlamentari” che nacquero tensioni anche tra gli stessi lavoratori, poiché gli operai iscritti al sindacato spesso erano in disaccordo con questi gruppi extraparlamentari sulle modalità di organizzare le proteste. Più tardi si seppe che all’interno della nostra fabbrica c’era un “covo delle BR”. La cosa più sconvolgente per noi operai della fabbrica era che gli appartenenti alle BR provenivano dal settore impiegatizio, dal cosiddetto “Palazzo Uffici”. Persone che all’inizio non avevano mostrato interesse alle nostre lotte e che dal non voler far niente si scatenarono. Vi fu anche il sequestro un nostro dirigente.“ Quale riscontro trova oggi il senso di quelle lotte? “Riuscire a sradicare quelli che, allora, venivano considerati dei “valori tradizionali” e che prevedevano uno stato di asservimento al lavoro, per introdurre il pensiero che, prima e sempre, contano le persone”. intervista a cura di Elisabetta Gilardelli


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