Crisi sui Social Media: prevenire è meglio che curare Tutta colpa del microblogging? Sì, e anche no. Tutti - utenti agguerriti, opinion leader che “twittano” il loro pensiero, le aziende stesse che commettono errori di valutazione - sono responsabili delle crisi sui nuovi canali social. Per non trovarsi a gestire situazioni incontrollabili, meglio muoversi in anticipo. Roberto Grossi
Da sempre uno dei temi più discussi da chi si occupa di marketing - e uno dei banchi di prova per la gestione delle comunicazioni aziendali - è la gestione di una crisi. Con la crescita dei social network, le crisi sui canali “social” (le cosiddette Social Media Crises) hanno guadagnato un posto di rilievo tra gli argomenti maggiormente trattati in rete e sulla letteratura specializzata: una ricerca per “social media crisis management” su Amazon ci restituisce oltre 230 titoli di libri. Analoga ricerca su Google fornisce oggi oltre un milione di risultati, con un’ampia casistica di esempi concreti, quali Groupalia, McDonald’s, Volkswagen e molti altri, e di pareri di autorevoli esperti. Uno sguardo più approfondito su questa abbondanza di informazioni rivela però che si parla in prevalenza di tattiche e strategie da adoperare per la gestione delle crisi, dedicando invece poco spazio ad analizzarne le cause e origini. Costituisce invece una piacevole novità lo studio “The Epicenters of Social Media Crises”, tesi di laurea di Christian Faller, in cui vengono esaminate in dettaglio alcune crisi originate dai Social Media durante il 2011, nell’ottica di ricavare indicazioni utili per le aziende che vogliano dedicare tempo e risorse per la prevenzione di queste crisi. La ricerca analizza crisi di 30 aziende appartenenti a diversi settori merceologici e di varia nazionalità (Chrysler, BlackBerry, PayPal, Vodafone, Adidas, ecc.), cercando di rispondere a tre fondamentali quesiti: dove nascono le crisi social? Chi ne è l’artefice principale? Quali sono le cause delle crisi? I casi di studio sono stati esaminati con l’ausilio di servizi online gratuiti, quali Google Trends, Trendistic, Alexa, e confrontati con i risultati di una precedente ricerca di Altimeter Group (J. Owyang 2011) relativa alle crisi social avvenute tra il 2001 e il 2011.
Roberto Grossi Titolare di Social Media Easy, ha una pluriennale esperienza nel marketing di prodotti e servizi ad alto contenuto tecnologico. Si occupa di consulenza e formazione alle aziende su web e social media marketing Come mostrato nella Figura 1, il servizio di microblogging1 è responsabile di oltre il 50% delle crisi, distanziando ampiamente altri canali quali Facebook, Youtube e blog. Anche se la dimensione del campione esaminato nello studio è abbastanza limitata, la ricerca di Christian Faller conferma il parere di numerosi esperti di settore, che attribuiscono a Twitter un ruolo fondamentale per la gestione di un brand aziendale sui social media. I risultati sull’origine delle crisi social diventano ancora più interessanti se confrontati con i dati della precedente analisi di Altimeter Group (Figura 2). Siamo infatti in presenza di una sensibile variazione nella distribuzione dei canali a vantaggio di Twitter: il servizio di microblogging passa dal 18% al 53%, quasi triplicando la sua incidenza sulle crisi social, mentre Facebook cresce di pochi punti percentuali.
Dove nascono le crisi? Sebbene per loro natura le crisi social tendano a diffondersi contemporaneamente su diversi canali, quasi sempre è possibile individuare la piattaforma sulla quale è scoccata la prima scintilla, che ha contribuito a scatenarne la diffusione in maniera virale. In relazione a questo quesito, lo studio ci dice che la maggior parte delle crisi social del 2011 sono nate su Twitter.
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SETTEMBRE 2012
Figura 1: Dove nascono le crisi social (Fonte: Christian Faller, The Epicenters of Social Media Crises”, 2012)
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