Daniela Colafranceschi (Università di Napoli Federico II)
Mauro Cristina Marzo (Università Iuav di Venezia)
Bruno Messina (Università di Catania)
Annalisa Metta (Università Roma Tre)
Gabriele Paolinelli (Università di Firenze)
Riccardo Palma (Politecnico di Torino)
Rémi Antoine Papillault (ENSA – Toulouse)
Sara Protasoni (Politecnico di Milano)
João Gomes da Silva (Università della Svizzera italiana)
Andrea Sciascia (Università di Palermo)
La pubblicazione è stata realizzata con fondi: “CAMPI COMUNI – studi per il delineamento di quadri di sfondo e scenari progettuali dell’Unione dei Comuni “Metalla e il Mare” per la valorizzazione, riqualificazione e rigenerazione dei patrimoni storici, ambientali e paesaggistici del suo territorio”
Resp. Scientifico: A. Dessì.
Essa si inserisce nel quadro delle iniziative della Scuola di Architettura dell’Università di Cagliari.
È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
No part of this book may be reproduced or transmitted in any form or by any means (electronic or mechanical, including photocopying, recording or any information retrieval system) without permission in writing form.
Copertina: collage dell'autore su foto di @dariocoletti 2022 (sfondo) e @Piero Berengo Gardin 1981 (figure e nastro).
Traduzione in lingua inglese: Adriano Dessì, Gabriele Sanna
I PROGETTI: STRATI. NON MUTAZIONI THE PROJECTS: STRATA. NOT MUTATIONS
70 – Adriano Dessì INTRODUZIONE AI PROGETTI INTRODUCTION
72 – Gabriele Sanna I LUOGHI DEL PROGETTO. Le tracce, gli scarti, gli oggetti THE PROJECT SITES. Traces, waste, objects
78 – A cura di Adriano Dessì, Nicola Pittau e Giovanni Oliveri MAPPE NOMADI E PROCESSI “RIFORMATI”. FARe WEST NOMAD MAPS AND “REFORMED” PROCESSES. FARe WEST
92 – a cura di Adriano Dessì e Gabriele Sanna PUNTO, LINEA E TERRA. TERRITORIO ELEMENTARE POINT, LINE, GROUND. ELEMENTAL TERRITORY.
106 – a cura di Adriano Dessì, tesi di Federico Aresu e Alberto Melis TOPOGRAFIE DELL’INFILTRAZIONE. MINE SARDINIA TOPOGRAPHY OF INFILTRATION. MINE SARDINIA
120 – a cura di Adriano Dessì, tesi di Giacomo Congiu ECOLOGIE PER VIE TRAVERSE ECOLOGY THROUGH CROSSING WAYS
134 – a cura di Adriano Dessì, tesi di Gianmarco Marongiu NUOVE FILOGENESI DELLA COSTA. INNESTO NEW PHYLOGENESIS OF THE COAST. GRAFTING
OVERVIEW OVERVIEW
154 – A cura di Adriano Dessì e Gabriele Sanna LE TESI FUORI DALLE AULE THESIS OUTSIDE THE CLASSROMS
Mostra Sya SYA Exibition
Mostra “Passaggi a Sud-ovest” / visioni per un nuovo Mediterraneo Exibition “Passaggi a sud-ovest” / visions for a new Mediterranean
Dal deserto ai deserti / Arido. Progetti e azioni per paesaggi lungimiranti – Iasla From desert to deserts / Arid. Project and actions for forward-looking landscapes – Iasla
Seminario al Laboratorio di Tesi “Paesaggi Produttivi” Seminar at “Paesaggi Produttivi” thesis laboratory
Premio tesi di laurea Cammino Minerario di Santa Barbara Cammino minerario di Santa Barbara thesis award
Progetto audio-visivo “Memoria” Audio-video project “Memoria”
BIBLIOGRAFIA E CREDITI
BIBLIOGRAPHY AND CREDITS
180 – Giorgio Mario Peghin POSTFAZIONE
AFTERWORD
PRESENTAZIONE PRESENTATION
Salvatore Cherchi
Ingegnere, Presidente della Fondazione Enrico Berlinguer, già Senatore della Repubblica e Sindaco di Carbonia.
Engineer, President of the Enrico Berlinguer Foundation, former Senator of the Republic and former Mayor of Carbonia.
Riflettendo sul lascito culturale e materiale delle tramontate rivoluzioni industriali, Adriano Dessì, focalizza l’osservazione, l’indagine e il progetto sui paesaggi: preminente è, e sarà, non il manufatto o l’impianto dismessi, seppure di grande pregio, ma il paesaggio alla grande scala che li contiene. La riflessione è sviluppata con l’apporto di artisti e di studiosi in più discipline; alcune tesi di laurea, riportate in sintesi, si cimentano nella traduzione in progetto. L’esito è un libro con meriti molteplici, tali da renderlo fecondo anche per chi lo legga con la lente della politica. Intendiamoci: la sguardo rivolto al paesaggio post-industriale non è un approccio inconsueto. Non lo è sul piano della cultura giuridica: la Convenzione europea del paesaggio è del 2000; né dell’Unesco il cui occhio si posa non di rado appunto sul paesaggio (Cornovaglia-Devon nel 2006; Nord Pas de Calais nel 2012 etc.) oltre che sulla singola miniera (Vielicka) o complesso (Zollverein): punti di vista differenti, non alternativi. Nel caso sardo, la mente corre al Parco Geominerario che tutela l’insieme del paesaggio. E corre anche a Carbonia che meritò il premio europeo per le azioni di rigenerazione del paesaggio urbano.
Reflecting on the cultural and material legacy of the departed industrial revolutions, Adriano Dessì focuses his observation, investigation and project on landscapes: pre-eminent is, and will be, not the disused artefact or plant, albeit of great value, but the landscape on a grand scale that contains them. The reflection is developed with the contribution of artists and scholars in several disciplines; a number of dissertations, summarised, attempt to translate this into a project. The outcome is a book with multiple merits, such as to make it fruitful even for those who read it through the lens of politics. Let us be clear: looking at the post-industrial landscape is not an unusual approach. It is not so at the level of legal culture: the European Landscape Convention dates back to 2000; nor of Unesco, whose eye not infrequently rests precisely on the landscape (Cornwall-Devon in 2006; Nord Pas de Calais in 2012, etc.) as well as on the individual mine (Vielicka) or complex (Zollverein): different points of view, not alternatives. In the Sardinian case, the mind runs to the Geomining Park that protects the landscape as a whole. And it also runs to Carbonia, which deserved the European
Tutto questo, va da sé, è ben presente nella riflessione dell’Autore: l’inciso ha lo scopo di precisarne più chiaramente i meriti: almeno di taluni e secondo la mia percezione.
Il primo merito è di riportare la discussione sul paesaggio. Non sembri una contraddizione con quanto detto prima. Infatti, se è vero che il tema non è sconosciuto, è diventato desueto. Adriano Dessì e i coautori ci riportano al tema, con ampiezza d’orizzonte e, insieme, con profondità di pensiero.
Un ulteriore merito è che ci offre originali punti di vista: problematici, non assertivi. Già il titolo del libro, Paesaggio che avanza, propone la nuova angolazione del dinamismo sempre in atto: si tratti degli strati definiti in ere geologiche, o delle repentine nuove morfologie della rivoluzione industriale o del loro lento ma inesorabile seppellimento sotto lo strato del post-industriale: sono le nuove nature emergenti per spontaneo “rinselvatichimento” o per progetto.
Il che cosa saranno le nuove nature non è scontato. Al riguardo, Adriano Dessì richiama le immagini dei fotografi contemporanei che “interrogano le nostre certezze su cosa sia bello e brutto”. E ci avverte che “la questione è capire come guardare certi paesaggi compromessi... in merito al rapporto tra generazione e degenerazione, .... valutando se queste sono azioni separabili o piuttosto inevitabilmente coincidenti”.
Viene comunque il tempo del che fare. Alle fratture fisiche, nei territori minerari si è aggiunta la frattura sociale perché le popolazioni sono stremate dalla crisi. Bisognerà decidere, ad esempio, cosa fare delle gigantesche discariche che segnano il paesaggio, tenendo a mente l’avvertimento di João Nunes, citato nel libro, secondo cui “spesso le soluzioni disegnate da una generazione ... sono i problemi della generazione successiva”. Il libro di Adriano Dessì aiuta la buona politica a decidere approssimando soluzioni.
award for urban landscape regeneration actions. All of this, it goes without saying, is well present in the author’s reflection: the purpose of the aside is to specify more clearly its merits: at least some of them and according to my perception. The first merit is to bring the discussion back to the landscape. This does not seem a contradiction with what was said earlier. In fact, while it is true that the subject is not unknown, it has become obsolete. Adriano Dessì and the co-authors bring us back to the subject, with breadth of horizon and, at the same time, depth of thought.
A further merit is that it offers us original points of view: problematic, not assertive. Already the title of the book, Landscape Advancing, proposes the new angle of the dynamism that is always in progress: whether it is the layers defined in geological eras, or the sudden new morphologies of the industrial revolution, or their slow but inexorable burial under the post-industrial layer: these are the new natures emerging by spontaneous ’reforestation’ or by design.
What these new natures will be is not obvious. In this regard, Adriano Dessì recalls the images of contemporary photographers who “question our certainties about what is beautiful and ugly”. And he warns us that “the question is to understand how to look at certain compromised landscapes... regarding the relationship between generation and degeneration, .... assessing whether these are separable actions or rather inevitably coinciding”.
However, there comes a time of what to do. To the physical fractures, social fractures have been added in the mining territories because the populations are exhausted by the crisis. It will be necessary to decide, for example, what to do about the gigantic dumps that mark the landscape, bearing in mind the warning of Joao Nunes, quoted in the book, that “often the solutions designed by one generation ... are the problems of the next generation”. Adriano Dessi’s book helps good politics to decide by approximating solutions.
Professore associato in Architettura del Paesaggio dell’Accademia di Architettura di Mendrisio e fondatore dello studio Global Arquitectura Pajsagista
Associate Professor in Landscape Architecture at the Accademy of Architecture of Mendrisio and founder of the office Global Arquitectura Pajsagista
PREFAZIONE PREFACE
João Gomes da Silva
Quando una scuola di architettura è capace di trovare un rapporto, un legame con la società civile e le sue attività consentono un trasferimento di conoscenza tra gli studi accademici e la comunità a cui si riferisce, è sempre un fatto molto significativo. In questo senso, credo che l’interesse per una dimensione più territoriale – più collegata al paesaggio come forma di architettura – che la scuola di Cagliari ha sempre dimostrato e portato avanti grazie ai contributi dei docenti, ricercatori e studenti sul tema dei paesaggi minerari, sia ancora più importante in quanto capace di creare una massa critica.
La posizione già centrale della scuola di Cagliari in tale massa critica, costituita specificamente per assumere la problematica dei paesaggi minerari in Sardegna, si è poi arricchita, mantenendo salda la propria postura culturale ma anche perseguendo una visione molto pragmatica, con il coinvolgimento di persone dall’esterno come me, le quali – soprattutto nei seminari a Monteponi, attraverso il lavoro speculativo e critico sviluppato insieme agli studenti e ai gruppi di altri studiosi invitati – sono state capaci di produrre idee inedite e disinteressate. Questi momenti sono stati importanti
When an architecture school can find a relationship, a link with civil society, and its activities allow a transfer of knowledge between academic studies and the community to which it refers, it is always a very significant fact.
In this sense, I believe that the interest in a more territorial dimension – more connected to the landscape as a form of architecture – which the Cagliari school has always demonstrated and carried forward thanks to the contributions of teachers, researchers, and students on the topic of mining landscapes, is even more important as it is capable of creating a critical mass.
The already central position of the Cagliari school in this critical mass, established specifically to take on the problem of mining landscapes in Sardinia, was then enriched, maintaining its cultural posture firm but also pursuing a very pragmatic vision, with the involvement of people from ’external like me, who – especially in the seminars in Monteponi, through the speculative and critical work developed together with the students and groups of other invited scholars – were capable of producing new and disinterested ideas. These moments were important above all
soprattutto per trasmettere tali idee e i primi risultati di questa speculazione alla società contemporanea che deve continuare a vivere e gestire, nel suo tempo, il paesaggio minerario di questa regione. Nel caso di Monteponi e delle altre miniere, la società che ha l’incarico di gestire questo “passivo ambientale” costituito, però, da materie ancora attive nel paesaggio, ha affrontato certi aspetti di conversione e bonifica ambientale da un punto di vista tecnico e ingegneristico che è fondamentale. Tuttavia, le ricerche della scuola – e che questo testo propone – provano ad ampliare questa dimensione con la possibilità di creare modelli spaziali che sono quelli che, attraverso i progetti, gli architetti e gli architetti del paesaggio sperimentano quando si confrontano con un problema come quello della rigenerazione di un luogo post-industriale. Le miniere non sono solo scavi a cielo aperto di materiali inquinati e questi non restano confinati all’interno dei recinti minerari ma sono dispersi da diversi vettori – vento, acqua piovana e sotterranea – dunque è
to transmit these ideas and the first results of this speculation to contemporary society which must continue to live and manage, in its time, the mining landscape of this region.
In the case of Monteponi and the other mines, the company in charge of managing this ”environmental liability” made up, however, of materials still active in the landscape, has addressed certain aspects of environmental conversion and reclamation from a technical and engineering point of view which is fundamental. However, the school’s research – and which this text proposes – tries to broaden this dimension with the possibility of creating spatial models which are what, through projects, architects and landscape architects do when faced with a problem like that of the regeneration of a post-industrial place. Mines are not just open-air excavations of polluted materials and these do not remain confined within the mining enclosures but are dispersed by various vectors – wind, rainwater, and underground water – therefore it is necessary to take a vision that does not attempt
Corrugazioni e residui nei fanghi rossi di Monteponi. (foto: J. Gomes da Silva)
Corrugations and residues in the "Fanghi Rossi" of Monteponi.
(photo: J. Gomes da Silva)
Professore associato in Architettura del Paesaggio e docente in progettazione architettonica, Università degli Studi di Cagliari.
Associate Professor in Landscape Architecture and Architectual Design, Università degli Studi di Cagliari.
INTRODUZIONE PER IL PAESAGGIO CHE AVANZA. UNA VOLONTÀ D'ARTE DELL'HABITAT INTRODUCTION
FOR AN ADVANCING LANDSCAPE.
AN HABITAT ART’S DESIRE
Adriano Dessì
La scelta del tema su cui lavorare, in architettura, è sempre legata, direttamente o indirettamente, ai luoghi del progetto – e questo credo sia tanto più vero quanto più sia possibile, nel nostro lavoro, definirli, circoscriverli, farne emergere caratteri propri al punto da considerarli irripetibili. Tuttavia, questa ragione del progetto che scaturisce dal luogo non va confusa con una specifica necessità localistica ma deve ricercare, nel luogo stesso, un carattere di universalità, di più assoluta generalità, un valore di paradigma. Questa è una condizione molto difficile del progetto di architettura e di paesaggio e non è dovuta al fatto che ogni luogo può essere connesso ad un altro, o che esistano fattori di “genericità” anche nei luoghi più marginali e apparentemente “vergini”. O, ancora di meno, che il progetto abbia sempre l’obbiettivo di assumere ogni sollecitazione possibile del contesto, tutt’altro. Si tratta piuttosto di interpretare questa irripetibilità che il paesaggio, allo stesso tempo, custodisce e convoca, ovvero di introiettare, nel progetto, l’irripetibilità della sua formazione tettonica – noi vediamo, oggi, un paesaggio che si è formato milioni di anni fa in condizioni atmosferiche e geologiche mai
The interest in working on the place – and I believe this is true the more it is defined, circumscribed and has its own characteristics – never arises from a localistic necessity but, always, from the most universal one possible. This is not due to the fact that each place is connected to another, or that “generic” factors exist even in the most marginal and apparently “virgin” places or, again, that the project always has the objective of taking on every possible stress of the context, quite the opposite. Rather, it arises from the unrepeatability of the place and its ability to express an absolute generality, from always taking it as paradigmatic.
This unrepeatability that the landscape at the same time preserves and summons refers, in part, to the unrepeatability of its tectonic formation – we see, today, a landscape that was formed millions of years ago in atmospheric and geological conditions that have never occurred again and which, today, they would not allow life1- but also to subsequent writings, to a palimpsest of co-present signs of which only a small part is possible to codify.
The progressive advancement of the concept of landscape lies precisely in this generality and, at the same time, in its
più riverificatesi e che, oggi, non consentirebbero la vita1 – ma anche le scritture successive, il palinsesto di segni compresenti anche quando è possibile codificarne solo una piccola parte.
L’avanzamento progressivo del concetto di paesaggio risiede proprio in questa sua generalità e, contemporaneamente, nella sua connaturata complessità. Una “parola pipistrello”, direbbe Farinelli2, che tuttavia appare nella contemporaneità necessaria, forse la più necessaria, per esprimere questa compresenza di azioni e segni e una loro nuova problematizzazione. In tale senso, esso ha sopravanzato il concetto di territorio, non più rispondente a tale complessità e appiattito nel funzionalismo della carta e schiacciato dall’ansia della “gestione” dello spazio umano. Ma il paesaggio non “avanza” solo da un punto di vista epistemologico; oggi, con l’eredità della società postindustriale che misuriamo su molti piani – oltre che su quello spaziale, su quello socio culturale – il paesaggio mostra un suo avanzare fenomenologico fino a sfiorare la sfera del tattile, esprimendo un carattere proprio. Ne costituiscono un esempio i luoghi dell’abbandono, ovvero la manifestazione di tutti quei processi che svuotano determinati territori “senza riempirne altri” – come succede nelle società occidentali; senza ricadere nella solita apologia del “terzo paesaggio”, concetto più legato agli spazi urbani, delle alte densità dell’abitare, ci riferiamo ai fenomeni di
inherent complexity. A “bat word”, Farinelli2 would say, which nevertheless appears necessary in the contemporary world, perhaps the most necessary, to express this co-presence of actions and signs and their new problematisation. In this sense, it has surpassed the concept of territory, no longer responsive to this complexity and flattened into the functionalism of paper and crushed by the anxiety of the “management” of human space. But the landscape does not “advance” only from an epistemological point of view; today, with the legacy of the post-industrial society that we measure on many levels – as well as on the socio-cultural, on the physical-spatial one – the landscape shows its physical and “tactile” advancement, somehow endowed with expressiveness, character own. It is the one linked to abandonment, or rather the manifestation of all those processes that empty certain territories “without filling others” – as happens in Western societies; we cannot fall back into the usual apologia of the “third landscape”, a concept more linked to urban spaces, of high densities of living; we are referring rather to the phenomena of demographic depression of our internal areas and the consequent “wilding”, “waste”, “obliteration” of human signs. Hence the horizon, outlined by many, of a possible new Arcadia, of the “advance” of new sylvan landscapes which erode the spaces of the “other urbanities”, the weaker ones, of the new “urban
Legarsi alla Montagna, Maria Lai, 1981. (riproduzione da “Ulassai, da Legarsi alla Montagna alla Stazione dell’arte”,ArteDuchamp, Cagliari).
Legarsi alla Montagna, Maria Lai, 1981. (reproduced from “Ulassai, da Legarsi alla Montagna alla Stazione dell’arte”,ArteDuchamp, Cagliari).
2011 –
“ripristino” in un’accezione più vasta che risponda, certamente, all’esigenza di sicurezza, ma che al contempo permetta il mantenimento di una relazione sensoriale tra l’uomo e lo spazio rinato evitando ulteriori separazioni e fratture, evitando limitazioni alla pratica dell’esplorazione e della percorrenza ludica e conoscitiva del paesaggio, facendo riemergere l’innata attitudine situazionista.
TOPOMORFISMI
L’azione più o meno cosciente dell’uomo di adattare e riformulare continuamente lo spazio naturale nasce da un eccesso di bisogni indotti e non si preoccupa di devastare ecosistemi: li impoverisce deviando correnti e corsi d’acqua, scoperchia il velo del suolo che è elemento indispensabile per la vita degli esseri viventi. Un agire criminale e inconsapevole operato da un dio piccolo e senza immaginazione. In questo volontario o meno atto creativo, l’uomo genera nuovi paesaggi dove la dialettica tra l’oggetto artificiale e la riappropriazione della natura degli spazi trovano ulteriori sintesi, compongono nuove forme. Gli elementi utilizzati per l’estrazione o la lavorazione del minerale con la loro presenza cambiano l’immaginario di un luogo; il loro progressivo
cognitive exploration of the landscape, bringing to the surface the innate situationist attitude.
TOPOMORPHISM
Man’s more or less conscious action of continually adapting and reformulating natural space stems from an excess of induced needs and does not care about devastating ecosystems: he impoverishes them by diverting currents and streams, he uncovers the soil veil that is an indispensable element for the life of living beings. A criminal and unconscious act carried out by a small and unimaginative god.
In this voluntary or involuntary act of creation, man generates new landscapes where the dialectic between the artificial object and the re-appropriation of the nature of spaces find further synthesis, composing new forms. The elements used for the extraction or processing of the mineral by their presence change the imaginary of a place; their progressive disintegration and the dynamic relationship with a nature that works around and within them makes them pass from the status of an object with a defined function to that of a surreal sculpture that arouses curiosity,
2011 – Buggerru –Miniera di Scalittas – Gli effetti dell’esplosione della mina disegnato sulla parete della galleria
Buggerru –Scalittas mine – The effects of the mine explosion drawn on the tunnel wall.
disfacimento e la relazione dinamica con una natura che gli lavora attorno e dentro li fa passare dallo stato di oggetto con una funzione definita a quello di scultura surreale che desta curiosità, che genera una bellezza inconsapevole creata dell’ingegno di un artista collettivo costituito da diversi operatori: chi ha posto la pietra e innalzato tralicci, chi ha progettato e definito spazi, proporzioni e misure, l’albero, l’arbusto, il vento e la pioggia, la roccia con le sue ossidazioni. L’oggetto finale che si presenta è un’opera dalla natura ibrida, ambigua dove la memoria della lavorazione industriale dialoga con la morfologia dello spazio di antica formazione dando vita a luoghi originali. Una prerogativa contemporanea.
OGGETTI – SCARTI E RITROVAMENTI
Nella mia ricerca ha rivestito fondamentale importanza la documentazione dei manufatti, della loro collocazione, della funzione e della trasformazione subita a partire dall’utilizzo progettato, fino al suo abbandono e alla loro inclusione all’interno della natura trionfante. A partire dalle mie riflessioni ho considerato oggetto/soggetto ogni elemento realizzato dall’uomo funzionale ad un determinato piano di colonizzazione e
that generates an unconscious beauty created by the ingenuity of a collective artist made up of different operators: those who placed the stone and erected pylons, those who designed and defined spaces, proportions and measurements, the tree, the shrub, the wind and rain, the rock with its oxidations. The final object that is presented is a work with a hybrid, ambiguous nature where the memory of industrial workmanship dialogues with the morphology of the space of ancient formation, giving life to the original places. A contemporary prerogative.
OBJECTS – SCRAPS AND FINDINGS
In my research, the documentation of artefacts, their location, function and the transformation they underwent from their intended use to their abandonment and their inclusion within the triumphant nature has been of fundamental importance.
1 – 2022 – Domusnovas
– micce a lenta combustione
2 – 2022 – Iglesias –Laveria Idina – miniera di San Giovanni – sfere di frantumazione
3 – 1997 – Iglesias –miniera di San Giovanni – catene di drenaggio del frantoi
1 – 2022 – Domusnovas – slow burning fuses
2 – 2022 – Iglesias –Laveria Idina – San Giovanni mine –crushing spheres
3 – 1997 – Iglesias – San Giovanni mine – crusher drainage chains
de Nantes, l’atelier ADH progetta dei terrari nel suolo cementizio della fabbrica utilizzando le specie trasportate nel corso dell’Ottocento e del Novecento attraverso l’Atlantico e selezionandole in base alla loro capacità di fitorimedio. L’obiettivo dimostrativo del progetto, una sorta di esposizione del pionierismo vegetale avvenuto tra le sponde oceaniche dei due continenti, diventa anche strumento rigenerativo capace di conferire un nuovo codice di lettura dello spazio produttivo, altrimenti legato alla memoria industriale solo attraverso l’involucro architettonico. Nel caso del Jardin du Tiers-Paysage dell’atelier Coloco con Gilles Clément nella stazione per sottomarini di Saint Nazaire, in Bretagna, un bosco di pioppi tremuli funziona da stepping zone per rafforzare specie sedum e graminacee dispo-
ste tra i poderosi setti in cemento della vecchia stazione. Queste pioniere, grazie agli insetti impollinatori attirati dagli alberi e attraverso l’azione del vento, si mescolano con altre specie appartenenti al paesaggio costiero circostante, determinando un’amplificazione delle superfici vegetali e una diversificazione associativa delle comunità scelte nello stadio iniziale.
I luoghi dell’archeologia industriale e dei suoli degradati diventano quindi supporti e terrari di nuove ecologie, “masse” che accolgono, nelle loro fratture, nei loro giunti e nell’incoerenza materica interna, nuovi processi biotici, dimore inedite di abitanti inattesi.
figuration, particularly in places abandoned by previous production systems. These possibilities have been successfully explored by many projects, using different methods and techniques. We mention two of them because they are expressions of two apparently opposite ways of interpreting the theme:
In the Jardins de Fonderies in the Île de Nantes, the ADH atelier designs terrariums in the concrete soil of the factory using species transported during the 19th and 20th centuries across the Atlantic and selecting them according to their phytoremediation capacity. The demonstration objective of the project, a sort of exhibition of the plant pioneering that took place between the oceanic shores of the two continents, also becomes a regenerative tool capable
of conferring a new reading code on the productive space, otherwise linked to the industrial memory only through the architectural envelope.
In the case of the Jardin du Tiers-Paysage by the Coloco atelier with Gilles Clément in the Saint Nazaire submarine station in Brittany, a forest of quaking poplars acts as a stepping stone to reinforce sedum and graminaceous species placed between the old station’s mighty concrete partitions. These pioneers, thanks to the pollinating insects attracted by the trees and through the action of the wind, mingle with other species belonging to the surrounding coastal landscape, leading to
L’antropologa Anna Lowenhaupt Tsing, nel suo Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo, ci offre un’idea di “terza natura” differente dalle precedenti, definendola come “tutto ciò che riesce a vivere nonostante il capitalismo” (what manages to live despite capitalism9); ciò che è intermedio tra la natura primordiale e lo spazio totalmente controllato dall’uomo. In effetti, il giardino come spazio disegnato attraverso gli elementi naturali che diventano materie e simboli di un’idea precisa di luogo, è stato da sempre interpretato come una “terza natura”.
Tuttavia, proprio questo carattere eco-simbolico, alimentare e rituale, materiale e ultraterreno allo stesso tempo, vede l’uomo, nel giardino, principale agente trasformativo di una natura costantemente addomesticata anche laddove possa apparire selvatica. Secondo Christine e Michel Pena, nel loro Pour une troisième nature, è proprio in questo equilibrio tra “addomesticazione” e “inselvatichimento” che la “terza natura” può essere definita; anzi, è nella terza natura che si può riconoscere un valore di “reinvenzione” attraverso l’artificio: «più artificio, più natura»10 E tuttavia, tale artificio deve essere interpretato come “innesco” e non come
an amplification of plant surfaces and an associative diversification of the communities chosen in the initial stage. The places of industrial archaeology and degraded soils thus become supports and terrariums of new ecologies, “masses” that welcome, in their fractures, joints and internal material incoherence, new biotic processes, new dwellings of unexpected inhabitants.
THIRD NATURES
Anthropologist Anna Lowenhaupt Tsing, in her The Mushroom at the End of the World.The possibility of living in capitalism ruins, offers us an idea of “third nature” different from the previous ones, defining it as “what manages to live despite capitalism” (“what manages to live despite capitalism”9); what is intermediate between primordial nature and the space totally controlled by man. Indeed, the garden as a space designed through natural elements that become materials and symbols of a precise idea of place, has always been interpreted as a “third nature”. However, it is precisely this eco-symbolic, nurturing and ritual, material and otherworldly character that sees man, in the garden, as the main transformative agent of a nature that is constantly domesticated even where it may appear wild. According to Christine and Michel Pena, in their