Una genealogia del progetto della casa, tra memoria e costruzione
Questioni di metodo
Rappresentare, Ri-conoscere, Comporre, Sperimentare: la casa come laboratorio del progetto
Esercizi progettuali
Archetypes of Dwelling
Bruno Messina
The Box, the Wall, the Screen
A Compositional Genealogy of the House Between Typology and Construction
Questions of Method Representing, Re-cognizing, Composing, Experimenting: the House as a Laboratory of Design
Design
Archètipi dell’abitare
Bruno Messina
Il tema della casa unifamiliare ha rappresentato per alcuni dei Maestri del Movimento Moderno un fertile ambito di sperimentazione che ha rinnovato l’idea dell’abitare del XX secolo, a partire da una nuova concezione stereotomica e tettonica della costruzione dello spazio domestico. Adolf Loos, Le Corbusier e Ludwig Mies van der Rohe, assumendo come riferimento gli archètipi della domus e della casa tradizionale giapponese, hanno esplorato il rapporto di continuità tra interno ed esterno, mettendo a punto sistemi compositivi che ancor oggi costituiscono un riferimento imprescindibile per gli architetti del nostro tempo. Le suggestioni giovanili delle domus delle Nozze d’Argento e del Poeta Tragico, visitate a Pompei dal giovane Le Corbusier nel 1911, rimarranno impresse nella memoria del Maestro svizzero e costituiranno, a partire dagli anni ’20, una costante — tipologica e spaziale — presente in tutta la sua opera. In Villa Savoye il riferimento alla domus, come chiarisce Josep Quetglas, «non è solo una citazione dell’atrio tetràstilo: qui si adotta il programma e l’intera figura della casa pompeiana. [...] Le modifiche del modello pompeiano a Poissy sono state forse solo due: il cambiamento di posizione delle fauces, che invece di essere nell’atrio si dispongono alle sue spalle, come rampa di accesso al piano superiore, e il movimento in senso contrario del peristilio, che invece di essere all’interno della casa, esce all’esterno, come recinto di pilotis, lasciando all’interno il giardino con le sue coltivazioni»1.
La dimensione verticale dell’atrium costituisce un altro tema fondativo della recherche patiente corbuseriana che si polarizza — per dirla con Colin Rowe2 — tra l’idea di spazio sandwich di Poissy, compresso dai piani orizzontali dei solai, e l’idea di spazio verticale dell’originario megaron della Maison Citrohan, definito da pareti continue. Il retaggio dell’archètipo della domus informa anche il principio del Raumplan loosiano, che dispone le dimensioni degli ambienti in funzione del loro carattere e della loro relazione con le altre stanze della
Archetypes of Dwelling
Bruno Messina
The single-family house became, for several Masters of the Modern Movement, a fertile field of experimentation that renewed the twentiethcentury idea of dwelling, beginning with a new stereotomic and tectonic conception of how domestic space is constructed.
Adolf Loos, Le Corbusier, and Ludwig Mies van der Rohe, taking as their points of reference the archetypes of the domus and the traditional Japanese house, explored the continuum between interior and exterior, developing compositional systems that remain indispensable touchstones for architects today.
Impressions formed in youth — specifically the domus of the House of the Silver Wedding and the House of the Tragic Poet, which the young Le Corbusier visited in Pompeii in 1911 — would stay with the Swiss Master and, from the 1920s onward, become a constant — both typological and spatial — throughout his work. In the Villa Savoye, the reference to the domus, as Josep Quetglas clarifies, «is not merely a citation of the tetrastyle atrium: here the programme and the entire figure of the Pompeian house are adopted. […] The alterations to the Pompeian model at Poissy were perhaps only two: the change in position of the fauces, which instead of being in the atrium are placed behind it, as a ramp giving access to the upper floor, and the movement, in the opposite sense, of the peristyle, which instead of being inside the house moves outside, as an enclosure of pilotis, leaving the garden with its plantings on the inside».1
The vertical dimension of the atrium constitutes another foundational theme in Le Corbusier’s recherche patiente, polarised — to use Colin Rowe’s terms2 — between the “sandwich space” of Poissy, compressed by the horizontal planes of the slabs, and the vertical space of the original megaron in the Maison Citrohan, defined by continuous walls.
The legacy of the domus archetype also informs Loos’s principle of the Raumplan, which calibrates the dimensions of rooms according to
La scatola, il muro e il setto
Una genealogia del progetto della casa, tra memoria e costruzione
«[…] a essere sinceri, tuttavia, debbo chiudere riconoscendo che la gratitudine mia maggiore va alle infinite opere di architettura, grandi e piccole, con un possibile autore o decisamente anonime, che riempiono ancora di vita lo squallido paesaggio umano: da esse direttamente, sono convinto, che ho imparato di più: è con esse che ho potuto mettere insieme il mio “museo immaginario” dell’architettura».
[Quaroni, 1977, p. 15]
Nel primo anno dell’insegnamento del progetto di architettura, la casa unifamiliare rappresenta un campo sperimentale privilegiato per indagare il rapporto tra forma e costruzione, tra spazio privato e collettivo, tra interno ed esterno, tra permanenza e trasformazione, attraverso l’esplorazione, al contempo, di categorie spaziali, ragionamenti geometrici e proporzionali, aspetti strutturali e formali. Essa costituisce un microcosmo disciplinare dove confluiscono le questioni dell’abitare, del costruire, della percezione dello spazio e della forma urbana: luogo dell’intimità, della quotidianità, ma anche della rappresentazione di un’idea di abitare. Il tema della casa costituisce, dunque, da sempre, il paradigma dell’intera ricerca progettuale a cui sono connesse molte questioni teoriche1: un campo aperto all’indagine critica, capace di rivelare i principi generativi della composizione e di attivare un confronto fecondo tra le permanenze delle architetture antiche e le sperimentazioni del progetto contemporaneo. La riscoperta del valore dell’articolazione spaziale — e dunque dei setti, dei diaframmi e, più in generale, del muro — nella ricerca proposta, torna a occupare una posizione centrale, attraverso un’attenzione rinnovata a temi come la sezione, il recinto e l’involucro, intesi come filtri tra interno ed esterno, il cui spessore diventa un luogo da abitare, capace di accogliere e integrare arredi e ambiti serventi. Questi elementi attivano
A Compositional Genealogy of the House Between Typology and Construction The Box, the Wall, the Screen
«[…] to be honest, however, I must conclude by acknowledging that my greatest gratitude goes to the countless works of architecture, great and small, with a possible author or decidedly anonymous, that still fill the bleak human landscape with life: from them directly, I am convinced, I have learned the most; with them I have been able to assemble my ‘imaginary museum’ of architecture.»
[Quaroni, 1977, p. 15]
In the first year of architectural design teaching, the single-family house is a privileged experimental field for investigating the relationship between form and construction, between private and collective space, between inside and outside, between permanence and transformation — through the concurrent exploration of spatial categories, geometric and proportional reasoning, and structural and formal aspects. It constitutes a disciplinary microcosm where issues of dwelling, building, the perception of space, and the urban form converge: a locus of intimacy and everyday life, but also the representation of an idea of habitation. The theme of the house has therefore always been the paradigm of the entire design inquiry to which many theoretical questions are connected:¹ an open field of critical investigation, capable of revealing the generative principles of composition and activating a fruitful dialogue between the permanences of ancient architectures and the experiments of contemporary design.
In the research presented here, the rediscovery of the value of spatial articulation — and therefore of screen walls (a load-bearing “screen” element), diaphragms and, more generally, the wall — returns to a central position, with renewed attention to themes such as section, enclosure, and envelope, understood as filters between interior and exterior, whose thickness becomes a place to inhabit, able to accommodate and
Ludwig Mies van der Rohe, Casa di campagna in mattoni, Germania, 1924. Abitare tra setti liberi: schema interpretativo.
Ludwig Mies van der Rohe, Brick Country House, Germany, 1924. Inhabiting amid freestanding wall planes: interpretive diagram.
Le Corbusier, Maison Jaoul, Neuilly-sur-Seine, Francia, 1951-1955. Abitare tra muri paralleli: schema interpretativo.
Le Corbusier, Maison Jaoul, Neuilly-sur-Seine, France, 1951-1955. Inhabiting the structural bay: interpretive diagram.
«Amo gli inizi». Così dichiarava Louis Kahn, con quella capacità disarmante di riportare il progetto alla sua origine più pura: l’attimo fragile e insieme decisivo in cui la scintilla di una idea prende corpo e chiede di diventare forma. L’inizio non ha ancora materiali, dimensioni, configurazioni: è forma che risiede nella mente, intuizione che precede il gesto. Quella frase, apparentemente semplice, custodisce un significato che travalica la biografia di un Maestro e diventa messaggio universale: ogni inizio è un atto di fiducia, un’apertura verso il possibile, un varco che invita a osare.
Accogliere la difficoltà del cominciare significa intravedere in essa la promessa di un futuro. Il progetto, infatti, si rivela da subito come tensione appassionata: ricerca della perfezione che non si lascia mai pienamente possedere, esercizio inesausto di verifica e di ripensamento. Per chi si accosta per la prima volta al progetto, nel primo anno del Corso di Laurea in Architettura, che segna l’avvio di un vero apprendistato dello sguardo, l’inizio coincide con il cominciare a pensare lo spazio non più come percezione istintiva ma come oggetto di studio, di misura e di trasformazione. Dunque, l’inizio non rappresenta mai solo un esercizio tecnico: è il momento in cui il pensiero prende corpo, si misura con la materia, si lascia condurre dal disegno verso la costruzione di un senso. In architettura, gli inizi hanno la forza di orientare il metodo: un metodo che non si limita alla riproduzione di regole, ma che trasforma ogni gesto in occasione di conoscenza, di interpretazione e di invenzione. Insegnare il progetto significa insegnare a riconoscere la responsabilità di questo atto: non si tratta solo di comporre geometrie o distribuire funzioni, ma di immaginare spazi in cui l’essere umano possa sentirsi accolto, riconosciuto, felice; luoghi in cui l’abitare possa ritrovare dignità e senso. Trasmettere questo senso di responsabilità, sin dal primo anno di corso, quando ogni gesto progettuale è ancora scoperta, significa far comprendere che il progetto non è soltanto tecnica, ma anche promessa di senso e di vita.
Questions of Method
Representing, Re-cognizing, Composing, Experimenting: the House as a Laboratory of Design
«I love beginnings.» Thus declared Louis Kahn, with that disarming ability to bring design back to its purest origin: the fragile and yet decisive instant when the spark of an idea takes shape and asks to become form. The beginning has no materials, dimensions, configurations: it is a form that resides in the mind, an intuition that precedes the gesture. That seemingly simple statement contains a meaning that goes beyond the biography of a Master and becomes a universal message: every beginning is an act of trust, an opening toward the possible, a threshold that invites us to dare.
To embrace the difficulty of beginning means to glimpse in it the promise of a future. Design, in fact, reveals itself from the outset as a passionate tension: a search for perfection that never allows itself to be fully possessed, an unceasing exercise in verification and rethinking. For those approaching design for the first time — in the first year of the degree program in Architecture, which marks the start of a true apprenticeship of the gaze — beginning coincides with learning to think about space no longer as instinctive perception but as an object of study, measurement, and transformation. Thus the beginning is never merely a technical exercise: it is the moment when thought takes body, measures itself against matter, and allows itself to be led by drawing toward the construction of meaning. In architecture, beginnings have the power to orient method: a method that does not stop at reproducing rules, but transforms every gesture into an occasion for knowledge, interpretation, and invention. Teaching design means teaching how to recognize the responsibility of this act: it is not only a matter of composing geometries or distributing functions, but of imagining spaces in which human beings can feel welcomed, acknowledged, happy — places where dwelling can reclaim dignity and meaning. To convey this sense of responsibility from the very first year, when every design gesture is still discovery, is to make clear that design is not only technique but also a promise of meaning and of life.