

AREE INTERNE GEOGRAFIE DEL POSSIBILE
Strategie abilitanti, riusi e attivazioni nei territori fragili
233
Collana Alleli / Research
Comitato scientifico
Edoardo Dotto (CEAR-10/A)
Antonella Greco (CEAR-11/A)
Emilio Faroldi (CEAR-08/C)
Nicola Flora (CEAR-09/C)
Bruno Messina (CEAR-09/A)
Stefano Munarin (CEAR-12/B)
Giorgio Peghin (CEAR-09/A)
ISBN 979-12-5644-090-0
Prima edizione giugno 2025
© LetteraVentidue Edizioni
© Nicolò Fenu
© Sardarch
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Progetto grafico: Alessandro Congiu (mooggeene.com) con la collaborazione di Eleonora Pompei Fotografie: © Cédric Dasesson
LetteraVentidue Edizioni S.r.l.
Via Luigi Spagna, 50P
96100 Siracusa
www.letteraventidue.com
INDICE
> Prefazione
Paolo Giaccaria
> Introduzione
01 Dalle Aree interne ai territori "Left Behind"
02 Abitare i territori: cittadinanza, innovazione e apprendimento collettivo
03 Comunità abilitanti: capitale sociale e infrastrutture umane
04 Cooperative di Comunità: mutualismo, innovazione e rigenerazione territoriale
05 Spazi generativi: dalla rigenerazione del patrimonio ai community hub
06 Cultura generativa: strategie di rigenerazione e costruzione di relazioni nei territori
07 Protagonismo giovanile: pratiche generative, leadership emergenti e cittadinanza attiva
08 Geografie visive: fotografia, narrazione e progetto
09 Atlante fotografico
Cédric Dasesson
>
INTRODUZIONE
Questo libro si muove nel solco dell'innovazione e rigenerazione territoriale come processi dinamici e relazionali, radicati in forme ibride di costruzione sociale e istituzionale del cambiamento. L'innovazione, in questa prospettiva, non è concepita come semplice trasferimento di tecnologie o modelli organizzativi, ma come una pratica collettiva, capace di attivare energie diffuse e alleanze inedite, a partire dai margini. Lungo tale percorso, si intrecciano pratiche ed esperienze che esplorano nuovi linguaggi dell'abitare, della cooperazione e della partecipazione, componendo una geografia in divenire di azioni trasformative nei territori interni.
Al centro dell'indagine si colloca la dialettica tra forme istituzionali consolidate e attivazioni spontanee, tra policy pubbliche e processi auto-organizzati, tra governance multilivello e pratiche comunitarie emergenti. In questo scambio continuo si generano scintille – alcune provenienti dall'esterno, altre nate endogenamente – capaci di innescare percorsi di trasformazione sociale. Si tratta di energie civiche, talvolta silenziose ma persistenti, che danno forma a nuove modalità di cura dei beni comuni, di mutualismo e progettazione condivisa.
Il volume si concentra su esperienze e dispositivi che rientrano nel campo delle soft policy, intese come pratiche progettuali e politiche non codificate, spesso fluide, orientate all'adattamento e alla sperimentazione. Alcune di queste pratiche sono ancora in fase embrionale, altre si configurano come modelli maturi, replicabili e radicati. In entrambe le forme, esse operano come policy abilitanti, lasciando traiettorie aperte, anziché soluzioni definitive.
Tra i temi affrontati emergono con forza le esperienze di community empowerment e community organizing, in cui gruppi informali e soggetti collettivi costruiscono strumenti di agency per incidere sui processi decisionali e sulle traiettorie di sviluppo locale. Le Cooperative di Comunità sono esplorate come forme ibride di impresa sociale e infrastruttura relazionale, capaci di connettere produzione economica, beni comuni e coesione territoriale. La cultura è intesa come dispositivo trasformativo, linguaggio condiviso e spazio di mediazione tra tradizione e innovazione. L'apprendimento collettivo, nelle sue
declinazioni formali e informali, è analizzato quale condizione generativa per la costruzione di capacità territoriali e cittadinanza attiva.
Un'attenzione particolare è dedicata al fenomeno della cittadinanza temporanea e all'arrivo di nuovi abitanti, che estendono il concetto di appartenenza e suggeriscono modelli inediti di coabitazione e cura del territorio. Allo stesso tempo, l'attivismo giovanile è osservato non solo come risposta a condizioni di marginalità, ma come forza progettuale autonoma, capace di disegnare visioni future, immaginare nuove economie e costruire infrastrutture sociali inclusive. Tra le traiettorie più significative emerge il riuso del patrimonio dismesso, che diventa leva di rigenerazione territoriale e infrastruttura sociale.
La pianificazione non può più essere intesa come atto tecnico e neutrale, ma come una pratica profondamente politica e situata, capace di accogliere divergenze, negoziazioni, prospettive plurali. La pianificazione torna a essere uno spazio di confronto democratico, in cui visioni diverse del futuro si misurano e si contaminano. In questa prospettiva, ripensare la pianificazione e la programmazione significa innanzitutto ripoliticizzarle, come ricorda Pasqui, attribuendo al conflitto, ma anche allo "scambio e all'interazione partigiana", un ruolo cruciale non solo nella definizione delle priorità, ma nella costruzione stessa delle condizioni di attuazione ed efficacia.
La struttura del libro è pensata come una mappa di strategie possibili – sovrapponibili, scalabili, contestuali – che agiscono in maniera situata ma potenzialmente ispiratrice anche in altri contesti. Queste strategie non vogliono essere risolutive né universali, ma si muovono nello spazio del possibile trasformativo, offrendo direzioni esplorabili, policy minori, aperture capaci di contaminare le politiche strutturali.
Nel complesso, il libro propone una riflessione articolata su come i territori interni possano diventare laboratori di sperimentazione democratica, sociale ed economica, in cui innovazione e tradizione si intrecciano e si contaminano, generando nuove forme di abitare, produrre e cooperare.


DALLE AREE INTERNE AI TERRITORI "LEFT BEHIND"
I luoghi ai margini, le Aree interne e periferiche, sono spazi di critica e di sperimentazione sociale, dove avanzano altri modelli di sviluppo: rappresentano dei laboratori capaci di produrre soluzioni e di contaminare – innovandoli – gli altri contesti territoriali.
Carrosio, 2019
Il dibattito sulle fragilità e disuguaglianze territoriali in Italia ha radici profonde e un ampio ventaglio terminologico che riflette la complessità del tema. I "margini territoriali" hanno trovato in Italia, una consolidata tradizione di studi territorialisti che hanno posto l'attenzione sulle "altre Italie" (Ambrosino, 2020). I concetti di rurale, montagna, meridione, territori marginali condividono spesso caratteristiche legate a disuguaglianze sociali ed economiche e al malessere demografico. Questi luoghi, infatti, si trovano frequentemente a dover affrontare sfide come la scarsità di servizi essenziali, la mancanza di opportunità lavorative, una maggiore vulnerabilità economica. Le disuguaglianze tra zone rurali e urbane, tra l'entroterra e la costa, e tra montagne e pianure, sono aumentate, manifestando una divaricazione sempre più marcata.
Questa lettura dei margini territoriali ha trovato nel tempo diverse espressioni metaforiche e concettuali; tra le più significative "territori dell'osso" delineano la struttura portante dell'Italia (Pazzagli, 2015).
Manlio Rossi-Doria coniò l'espressione "polpa e osso" per evidenziare la crescente disparità socioeconomica tra le pianure e le Aree interne marginali del Mezzogiorno (Rossi Doria, 2005). Negli ultimi dieci anni, si è assistito a una progressiva affermazione del termine Aree interne.
Questa evoluzione concettuale ha trovato corrispondenza anche nel campo della ricerca, dove – a partire dal contributo di Meloni (2015) – il tema delle Aree interne ha progressivamente acquisito centralità nel dibattito accademico, alimentando una ricca produzione scientifica a carattere interdisciplinare, come dimostrano i lavori di Borghi (2017), De Rossi (2018), Carrosio (2019), Fenu (2020), Lucatelli et al. (2022), Tantillo (2023).
Parallelamente, mentre in Italia il dibattito si è progressivamente strutturato attorno alla nozione di Aree interne, va riconosciuto che questo termine non ha un equivalente diretto nelle policy e nella letteratura anglofona, rappresentando una costruzione concettuale profondamente radicata
SPOP Lab
SPOP Lab rappresenta una delle prime esperienze italiane di attivazione comunitaria nelle Aree interne attraverso l'introduzione della figura professionale del community manager, sperimentata nel piccolo Comune di Nughedu Santa Vittoria, in provincia di Oristano.
Il progetto è nato nel 2019 come un'evoluzione naturale del percorso avviato nel 2017 con SPOP Campus Omodeo, un laboratorio annuale di confronto, formazione e progettazione partecipata sui temi dello spopolamento e dello sviluppo dei territori marginali in Sardegna. Nel corso degli anni, SPOP Campus ha rappresentato un'importante piattaforma di riflessione collettiva, grazie all'utilizzo di strumenti come l'apprendimento collaborativo e la cittadinanza temporanea, capaci di generare reti di senso e azione tra abitanti, amministratori, ricercatori, artisti e professionisti provenienti da tutta Italia.
SPOP Lab si inserisce in questo solco, proponendosi come un progetto di ricerca-azione che non solo analizza il fenomeno dello spopolamento, ma agisce in modo diretto sul territorio, promuovendo pratiche di coinvolgimento comunitario, responsabilizzazione e auto-organizzazione.
Il fulcro dell'esperienza è la presenza strutturata di una figura professionale nuova per il contesto italiano delle Aree interne: il community manager, incaricato di facilitare le relazioni, valorizzare le competenze diffuse, generare visioni comuni e accompagnare le comunità in percorsi concreti di riattivazione. In questo caso, il ruolo è stato ricoperto da Silvia Di Passio, professionista con esperienza in processi partecipativi e sviluppo locale, che ha scelto di trasferirsi temporaneamente a Nughedu per lavorare fianco a fianco con gli abitanti, ascoltandone i bisogni e co-progettando con loro risposte collettive.
In un contesto caratterizzato da isolamento geografico, calo demografico e riduzione delle opportunità per i più giovani, SPOP Lab ha voluto sperimentare un modello alternativo di sviluppo locale basato sull'empowerment delle comunità e sulla valorizzazione delle risorse endogene. Il progetto ha inteso
rispondere alla domanda: è possibile immaginare una figura professionale stabile, radicata nei territori, che supporti i processi di coesione sociale, generazione di impresa e cittadinanza attiva, contribuendo a frenare lo spopolamento? La risposta proposta da SPOP Lab è stata un'azione concreta, dinamica, sperimentale, ma replicabile, fondata sulla convinzione che le comunità – se adeguatamente accompagnate – possano essere le vere protagoniste del proprio futuro.
Struttura del progetto
La struttura operativa di SPOP Lab si è articolata in una serie di azioni sinergiche, pensate per rispondere in maniera integrata e sperimentale al fenomeno dello spopolamento, attraverso un coinvolgimento diffuso e trasversale della popolazione locale. Il progetto si è svolto nell'arco di sei mesi, durante i quali è stato creato un ambiente favorevole alla partecipazione, alla formazione e alla progettazione condivisa, intercettando e valorizzando le energie già presenti nel territorio.
L'intervento è stato disegnato come un percorso dinamico e adattivo, strutturato su più livelli di coinvolgimento:
1. Livello formativo, con l'obiettivo di trasferire competenze pratiche, creative e relazionali agli abitanti, in particolare ai giovani;
2. Livello relazionale, orientato alla costruzione di legami di fiducia e all'attivazione di reti locali e sovralocali;
3. Livello progettuale, finalizzato alla sperimentazione concreta di azioni capaci di generare impatto nel breve periodo, ma anche di aprire visioni a lungo termine.
Durante il progetto sono stati coinvolti attivamente circa 200 abitanti di tutte le età, con una particolare attenzione ai giovani tra i 16 e i 30 anni, ritenuti portatori di potenziale rigenerativo per la comunità. Le attività realizzate si sono sviluppate su diversi fronti:
→ 8 corsi formativi, pensati per trasmettere competenze specifiche in ambiti chiave per il territorio (imprenditorialità, comunicazione, cooperazione);


CULTURA GENERATIVA: STRATEGIE DI
Occorrerebbe ripartire da qui, dall'idea della cultura come asset di rigenerazione e di rinascita delle zone rurali e interne, dove le disparità territoriali hanno inesorabilmente alimentato disuguaglianze sociali nell'accesso ai diritti e alle opportunità. Sarebbe necessario entrare nell'ottica di un mutamento del modello di sviluppo e di cambiamento della società: la cultura e il diritto alla cultura hanno ancora più senso se assumono un valore trasformativo.
Pazzagli, 2024
Nel contesto delle Aree interne, la cultura sta progressivamente assumendo un ruolo centrale nelle politiche pubbliche, spesso declinata attraverso interventi di valorizzazione e promozione del patrimonio materiale (Vitale, 2024; Battino & Lampreu, 2017). Inoltre, si stanno sviluppando strategie di rigenerazione rurale basate sul patrimonio culturale (heritage-led rural revitalization) che possono essere promosse da pratiche imprenditoriali innovative (vedi il capitolo sulle Cooperative di Comunità), in grado di promuovere un turismo culturale sostenibile come leva per lo sviluppo delle comunità locali (Candeloro & Tartari, 2025). Tuttavia, il dibattito contemporaneo si sta spostando oltre una concezione meramente conservativa, riconoscendo nella cultura una leva strategica per attivare processi di coesione sociale, rigenerazione territoriale e innovazione civica.
A conferma di questo cambiamento di paradigma, nelle Aree interne la cultura rappresenta una risorsa cruciale e multidimensionale, una leva strategica per il rilancio territoriale,
capace di coniugare la valorizzazione dei patrimoni tangibili (beni storici, artistici, architettonici e paesaggistici) con il riconoscimento delle eredità immateriali (saperi, pratiche, tradizioni, linguaggi). La presenza di un sistema stratificato di risorse endogene costituisce la cifra e l'identità dei territori, rappresentando nel contempo una leva dinamica per il loro futuro.
A livello istituzionale, un segnale concreto del rinnovato interesse per la cultura come leva di coesione e sviluppo arriva con l'adozione del Piano Olivetti per la cultura. Il Piano riconosce la cultura come bene comune da rendere accessibile e integrato nella vita quotidiana delle comunità, valorizzando il principio di sussidiarietà orizzontale. Tra gli obiettivi chiave emerge la volontà di rigenerare culturalmente periferie, Aree interne e territori svantaggiati, in particolare quelli segnati da marginalità, spopolamento e fragilità socio-economiche. In coerenza con la SNAI, il Piano riafferma il ruolo della cultura come infrastruttura viva per il futuro dei territori.














ISBN 979-12-5644-090-0
€ 25

In un'epoca di crescenti disuguaglianze, crisi ambientali e trasformazioni sociali, questo libro indaga la rigenerazione territoriale nei territori fragili come pratica collettiva e trasformativa. Propone strategie ibride, flessibili e co-prodotte, capaci di attivare alleanze tra comunità, istituzioni e ricerca. Concentrandosi su soft policy, pratiche non codificate e sperimentali, il volume presenta modelli embrionali e consolidati che lasciano aperte traiettorie di sviluppo. Un atlante di politiche minori e processi civici che intrecciano pianificazione e partecipazione per costruire futuri radicati e innovativi, replicabili in altri contesti.