Bollettino Losone-Onsernone 2016

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bino soffre, quando un bambino è ammalato, quando un bambino è abbandonato noi gli apriamo le porte, ovviamente se abbiamo posto”.

“Vorrei vederli sul triciclo in Paradiso”

Don Angelo, lei trascorre la sua vita tra il Neuro a Mendrisio e casa Gabri. Sempre a contatto con un mondo di sofferenze, dunque. E, pensiamo, di morte. “Vede – ci risponde - i bambini sono tutti vispi, belli, sono i principini delle famigli; giustamente. Ma nascono anche bambini ammalati e alcuni addirittura muoiono. Qui fortunatamente sono pochi, ma pensiamo a cosa capita nel mondo. E l’accompagnamento di questi bambini alla morte – al di là delle cure che vengono fatte, senza però accanimento - è un accompagnamento affettivo. Li accompagniamo fino alla porta e poi li affidiamo al Paradiso. Sarebbe bello (sorride) poterli accompagnare ancora, vederli andare in triciclo felici nella loro vita nuova. Ma nei mesi precedenti al decesso occorre accompagnare i genitori (quando ci sono) nella loro sofferenza. E’ difficile dire loro che vostro figlio ha prospettive di vita molto limitate. Noi

dobbiamo supportarli e quando ormai il cuore del bambino non ce la fa più, l’apparato respiratorio e cerebrale sono arrivati alla fine, bisogna veramente sostenerli, far sentire loro i nostro affetto, la nostra partecipazione. Fra il personale abbiamo anche uno psicologo che può aiutarli”. Sono momenti che, immaginiamo, segnano anche chi come lei e i suoi collaboratori sono stati vicini e hanno dato ai piccoli tante cure e tanto amore. “Per me prete che li assiste tutti i giorni e vede il loro percorso di sofferenza non è possibile non affezionarsi. E dire affezionarsi è minimale. Ci si può anche innamorare; nel senso evangelico e forse di più. E poi il funerale. Quando è capitato avrei preferito che lo celebrasse il parroco, invece i mie collaboratori hanno voluto che lo facessi io perché, dicevano, il piccolino è tuo, è nostro, fa parte della nostra famiglia. Ecco, dico che celebrare il funerale di uno di loro è la mia penitenza. Quello nel mio sacerdozio è la cosa più difficile. In quei giorni lì mi devo preparare, devo entrare in un ruolo che non è normale. Mi sento un paragenitore. Ma un genitore ha diritto di star lì nel banco in silenzio, seppure annientato dal suo dolore. E invece devo gestire un po’ tutto e le assicuro che non è facile. Già la parola diventa problematica, ti torna in gola, un groppo, non riesci quasi a buttarla fuori”.

Per casa Gabri una nuova sede ampliata e più completa

Pochi giorni dopo la nostra visita ci sarebbe stato il trasloco nella nuova casa Gabri, un villa ristrutturata e preparata in tutti i dettagli per accogliere gli ospiti. Ci sono cinque camerette da due letti

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