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La Parola allo psicologo
I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s I n t e r n o s sità di considerare questo movimento non semplicemente come un insieme di aggregati sociali
da negare oppure derubricare ma invece come una realtà da comprendere e non sottovalutare. La sua tesi di fondo è che c’è stato uno spostamento dall’ aspetto teorico del fascismo del Ventennio a quello post-bellico che ha rappresentato una continuazione teorica che si rifà appunto agli stessi miti e alle stesse icone in un modo che dimostra un livello di conoscenze di quel periodo storico spesso molto notevole. Non solo e semplicemente la diretta prosecuzione, ma anche la sublimazione di quella ideologia della violenza che viene ripresa e reinterpretata all’ interno di una cornice culturale più moderna, dove a vecchi linguaggi e modelli vengono affiancati nuovi riferimenti a personaggi storici e politici più recenti come nel caso di uno dei siti internet di questi gruppi in cui oltre ai riferimenti a personaggi storici della Repubblica di Salò diventa possibile trovare anche la figura di Che Guevara preso a icona. Un totale rimescolamento di contenuti, dunque, altrimenti definito una “marmellata ideologica”, che però trova modo di diffondersi e raccogliere ancora nuove adesioni e simpatie anche tra giovani di età inferiore ai 20 anni e proprio a questo proposito, poi, il prof. Felis ha voluto ricordare come tra i “mezzi” usati appunto a questo scopo vi sono non solo, come già detto, diversi siti Internet, ma anche marchi d’abbigliamento e ancora radio, gruppi musicali e librerie. In altre parole una realtà che sarebbe sbagliato liquidare semplicemente solo come estremista e che và invece osservata a partire dalle sue forme comunicative che seppur confusionarie, attraverso un processo di strumentalizzazione, trovano proprio in questa confusione un modo per giustificarsi.
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Federico Rigotti volontario el Servizio Civile
Parlare di violenza e tentare una definizione della parola è al contempo facile e difficile. Il termine “violenza” nell’accezione comune è descrittivo di comportamenti di abuso, prevaricazione o controllo, ma acquisisce valore specifico solamente se coniugato con il concetto di “forza”. È uso della forza per generare sottomissione e danno. In particolare nei confronti di soggetti deboli come le donne, i bambini e i portatori di una qualsiasi diversità
psico-fisica. In genere è facile da cogliere il comportamento violento quando è aggressione e sopraffazione fisica o maltrattamento e abuso sessuale. Sempre che la vittima non rimanga imprigionata nella trappola del silenzio.
Più difficile è riconoscere immediatamente le varianti infinite della violenza soprattutto nelle forme nascoste o invisibli. Perché c’è l’abuso psicologico e la denigrazione, la svalutazione sottile e la persecuzione nascosta, la trascuratezza e l’ipercura, la violenza delle parole e dei gesti diretti alla vittima ma anche quella sempre più frequente della violenza assistita.
Complesso è spiegare le motivazioni che spingono un individuo ad esercitarla. In fondo le “ragioni” che stanno dentro e al di sotto di ogni comportamento violento sono profondamente intrecciate con la storia individuale dell’abusante ma anche con la cultura di appartenenza e la storia della società. Sbagliato è attribuire al violento la lapidaria definizione di malato. Le tante drammatiche storie di abuso hanno dimostrato senza ombra di dubbio che nella gran parte dei casi l’abusante è una persona normale, non un soggetto patologico. Psicologia e psichiatria hanno da sempre cercato di studiare l’aggressività e la degenerazione di essa in violenza. Abuso e pedofilia, violenza fisica, stalking e femminicidio, nella gran parte dei casi, sono così espressioni non di una psiche malata ma di un codice di comportamento aggressivo che si basa sul potere.
È infatti il potere che sta alla base di ogni azione di violenza sui minori e i più deboli. Molto limitatamente la violenza appartiene al raptus della mente o alla pulsione sessuale incontenibile. Ad alimentare l’abuso vi è esclusivamente la forza del potere la quale, a livello individuale, annulla la capacità di contenere e gestire l’aggressività che appartiene a ogni persona e impedisce di riconoscere l’altro come soggetto, e più ancora ne acceca la coscienza e l’ascolto empatico.
Prof. Giuseppe Maiolo psicologo, psicoterapeuta