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DAL CUORE DELLA PADANIA, SORPRESE GIÀ PRONTE O IN FIERI
di Roger Sesto
Conosciuta per pochi vitigni, l’Emilia Romagna enoica offre in realtà un’interessante biodiversità, dal potenziale ancora in gran parte inespresso. Dalla Bolognese Alionza, di remote origini, al profumatissimo e romagnolo Centesimino; dalle fortunose (ri)scoperte di Uva Longanesi e Famoso, al brio del “sabbioso” Fortana del Po. Senza tralasciare il tanto misterioso quanto imperioso modenese Malbo Gentile; lo “zergo” Negretto; il piacentino, versatile Ortrugo; la “scandianesissima” Spergola.
Anche dall’Emilia Romagna giungono buone nuove in merito al recupero di antichi vitigni alle soglie dell’estinzione. Una regione stereotipaticamente divisa tra Lambrusco (Emilia) e Sangiovese e Albana (Romagna), che invece mostra buone potenzialità in termini di biodiversità ampelografica. Va solo detto che se altri comprensori enoici del nord della Penisola hanno compiuto passi da gigante in materia, e che ormai molte cultivar sono state definitivamente recuperate dall’oblio e ora commercializzate, per quanto concerne quest’area della Padania vi è la fondata impressione che vi siano ancora molte uve da studiare, rivalutare e rilanciare. Insomma, pare che qui si sia solo a metà dell’opera e che tante varietà non aspettino altro che di essere analizzate, testate e divulgate.
Anche qui, nella draconiana selezione che per ragioni di spazio siamo costretti a fare, abbiamo dato precedenza ai vitigni già ufficialmente riconosciuti, vinificati in purezza e regolarmente commercializzati.
ALIONZA IN PASSATO OSANNATA, POI ABBANDONATA PER L’ACINELLATURA, ORA RISTORTA
Le descrizioni ampelografiche della bianca Alionza sono remote: la prima è quella del De Crescenzi (1303). Diffuso in provincia di Modena e Bologna, il Cavazza nel 1914 lo descrive come uno dei migliori vitigni a bacca bianca del Bo lognese; mentre poco prima, a fine ‘800, la si definiva “uva antichissima, poco produttiva, ottima da consumarsi fresca e per il suo vino molto alcolico, squisito e profumato”.
Giorgio Erioli , produttore emiliano di culto, è tra i protagonisti del rilancio di quest’uva. Dopo vari studi ampelografici “alla fine presi la decisione di recuperare due cultivar secondo me importanti per storia e diffusione: Alionza e Negretto.

La prima era quasi scomparsa a causa della sua bassa produttività, per il fenomeno dell’acinellatura e per via della sua buccia spessa a discapito del mosto”. Vitigno vigoroso, predilige impianti non troppo fitti a potatura lunga, suoli collinari, climi caldi, asciutti. “Nella nostra tenuta di 4 ha, a Valsamoggia (Bo), produciamo un’Alionza ferma e una metodo classico”. La ferma Emilia Igt Malvezza , frutto di basse rese (50 q/ha di uva), affina 30 mesi in acciaio sur lies; ha veste oro zecchino, sa di ginestra, mele al forno, tè; è morbida, elegante, fresca, equilibrata, con chiusura mandorlata e agrumata. Di buona longevità, raggiunge il suo apice dopo oltre un lustro.
CENTESIMINO , DAL CALICE EFFLUVI D’INCENSO ORIENTALE
La storia di questo vitigno romagnolo, in dialetto Savignôn Rosso, comincia nel periodo postfillosserico; la sua diffusione si deve a Pietro Pianori di Faenza, detto Centesimino , che negli anni ‘50 avvia la propagazione di marze di vecchie vigne presenti nei suoi terreni.
Assodato trattarsi di una varietà autonoma, estranea all’Alicante spagnolo, solo nel 2003 viene ufficialmente riconosciuta. Oggi è coltivata da un piccolo gruppo di aziende consorziate sulle colline di Oriolo dei Fichi, vicino a Faenza (Ra). Tra queste, Poderi Morini
“Il Centesimino è incredibile, dagli aromi intensi e complesso. Quando sono venuto in possesso del podere Cà Donati, ai piedi della torre di guardia di Oriolo, ho avuto la curiosità di vinificarlo in purezza per verificarne il potenziale”, spiega Alessandro Morini
“I vini mi hanno dato ragione visto il loro successo: nel 2001 ho prodotto il Ravenna Igt Traicolli , affinato per 14 mesi in tonneau, e il Rubacuori da uve stramature, elevato 12 mesi in barrique. Luigi Veronelli ha apprezzato molto questi nettari, consigliandomi di produrne una versione in acciaio per esaltare i tratti varietali del vitigno; ed è così che è nato il Savignone. Infine, nel 2008, ho prodotto il Morosè, un metodo Charmat”.




FAMOSO , DA DUE FILARI A UNA FAMA PROSSIMA VENTURA
Iscritto nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite nel 2009, il Famoso risorge dal recupero di due vecchi filari dell’azienda Montalti di Mercato Saraceno (Forlì-Cesena).
Nel 2000, a partire proprio da quei filari, si è iniziato a testarlo, con esiti subito interessanti. Le principali citazioni storiche di questa cultivar sono del 1876-1879, dove si parla di un’uva Famoso tra quelle del Cesenate. Una storia, quella di questa cultivar, che si intreccia con quella della ravennate Rambella, suo probabile sinonimo.
Sia come sia, è chiaro trattarsi di una bacca di antiche tradizioni romagnole.
Si esalta sui più poveri terreni collinari, dove produce poco e il suo grappolo è più piccolo, spargolo e aromatico.
Ne scaturisce un vino giallo paglierino, con bouquet intenso, ricco di terpeni simili a quelli del Moscato, dai ricordi floreali dolci, note di frutta esotica, drupe mature ed essiccate, ma anche sensazioni fresche e balsamiche di agrumi, salvia ed erbe aromatiche; al sorso ha media acidità, buona morbidezza e polpa, equilibrio e finezza.
Mauro Altini - titolare dell’azienda La Sabbiona di Faenza – è tra i principali interpreti di questa cultivar, producendo fra gli altri il paradigmatico Ravenna Igt Famoso Vip , e una versione spumante metodo Charmat Extra Dry, chiamata Divo.









