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UOVO IN COCOTTE AL TARTUFO BIANCO

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VAL D’ORCIA

VAL D’ORCIA

Ingredienti

crostini di pane g. 30 di Raschera g. 110 di panna

1 uovo g. 1 di sale g. 2 di parmigiano g. 10 di tartufo bianco

Procedimento

Tagliare il pane a cubetti di cm. 0,5 e farli asciugare in forno a 60 °C per 2 ore; tagliare il Raschera a cubetti di circa mezzo centimetro.

Nella cocotte mettere il pane, il Raschera, l’uovo intero facendo cura a non romperlo, il sale, coprire con la panna e finire con il parmigiano.

Cuocere la cocotte in forno a 200 °C e 43% di umidità, per 6/7 minuti. Finire con il tartufo bianco.

Classe superiore e alta scuola che trovano piena espressione in tre aspetti su tutto: l’attenta esaltazione dei profili aromatici e gustativi, senza confusioni, ridondanze, sovrapposizioni o inutili tecnicismi; il sapiente impiego e i millimetrici abbinamenti degli elementi vegetali, che spesso diventano co-protagonisti dei piatti (valido esempio possono essere tanto uno dei ‘vessilli’ dell’Antica Corona Reale, le lumache di Cherasco ai porri di Cervere, mele renette e radici , quanto il meraviglioso cuore fondente di cardo gobbo di Nizza Monferrato sulla sua tapenade all’acciuga, guanciale affumicato, Parmigiano croccante, zabaione salato al Rum e tartufo bianco); la perfezione delle cotture (da manuale, per esempio, quelle dello scamone di Fassona con salsa al tuorlo d’uovo sodo, fagiolini al sambuco e ciliege sott’aceto e del capretto di Roccaverano allo spiedo con purea di broccoli e rape violette).

In carta si rintracciano anche alcune raffinate inflessioni francesi. La scaloppa di fegato d’anatra, proposta su coulis di fichi neri al sambuco in agrodolce , è un piccolo capolavoro: insolitamente alta rapisce per i suoi contrasti di texture (croccantemorbido) e gusti (dolce-amaro).

Mentre le cappesante della Normandia in due consistenze ai funghi porcini e tartufo bianco colpiscono per sontuosità e finezza.

Negli anni, oltre alla cucina, anche il luogo è cambiato. Sin da principio Gian Piero ha voluto riportato in auge il vecchio nome dell’insegna, «Antica Corona Reale», non solo per mero omaggio ai due secoli di storia di questo luogo, ma per onestà: qui si sarebbero gustati piatti con un cuore e un’anima: piatti capaci di emozionare.

E se si ammira ora l’Antica Corona Reale, con la sua bella articolazione delle sale (peraltro appena ristrutturate), il servizio dal perfetto incedere (sotto l’attenta regia di Davide Ostorero), l’estesa cantina, gli ampi spazi esterni, il crepuscolare pergolato, il curato giardino delle rose (progettato dal principe degli architetti paesaggisti: Paolo Pejrone), il magnifico orto, le perfette aiuole dei semplici, il laboratorio all’avanguardia (Atelier Reale) che si occupa della panificazione e della produzione di squisiti panettoni e colombe, si ha sì la netta impressione di trovarsi in una grande maison, ma con un cuore e un anima enormi.

Cuore e anima di una famiglia votata alla accoglienza da oltre due secoli. Cuore e anima di un cuoco coraggioso che ha fatto di una osteria di paese una tappa imperdibile nel firmamento della grande cucina italiana.

Antica Corona Reale

Via Fossano, 13

12040 Cervere (CN)

Tel. 0172 474132 www.anticacoronareale.com

La cucina in divenire di Simone Selva

Uno dei temi più dibattuti nel “pensiero gastronomico”, ammesso che questo esista (noi, personalmente, non ne dubitiamo), è se un piatto d’autore possa assurgere a rango di opera d’arte. In un empito di modestia o forse di paura, supportato da raffazzonati concetti di pseudo-scienza, molti sono giunti a convergere sul punto che un grande piatto possa essere - al più - espressione di artigianato, ovvero di “alto artigianato”, con una impalpabile e indefinita tensione verso l’elevatezza dell’aggettivo.

Fatta salva una sparuta minoranza che non ci sta e, incurante delle critiche, ascrive al mondo dell’arte tout-court i piatti di Marchesi, Bottura, Mugaritz, i più si limitano a esultare quando un grande chef viene ospitato tra le mura di una grande struttura museale, come se quella dicitura, “museo”, legittimasse l’ascesa del prodotto artigianale nell’empireo dell’espressione artistica.

È una polemica già superata: che il cibo possa essere considerato “arte” in senso stretto conta poco, quel che è certo, è che il cibo può avere la medesima potenza espressiva di un’installazione o di una scultura contemporanea, la medesima “potenza del divenire”.

Sono sempre i giovani a guardare oltre, a vedere con occhi diversi la realtà e a sfidare la sua (supposta) immutabilità.

Poi, quando ciò accade nella città affascinante, borghese, ma storicamente chiusa e un po’ provinciale del film “Signore e Signori” di Pietro Germi, e non a Berlino o a Londra, la faccenda si rende più intrigante.

Quella di TAD (Treviso Design District) e di Vite è una storia di incontri ambientata - giustappunto - a Treviso, città placida, benestante, autarchica.

TAD ha aperto nel 2018 grazie all’idea dell’imprenditore locale Diego Vanin , col patrocinio della famiglia Benetton. Si è progressivamente espansa fino all’apertura di 21 Gallery , un grande spazio espositivo con la collaborazione del gallerista Massimiliano Mucciaccia e il patrocinio – nientemeno - dell’architetto inglese David Chipperfield , lo stesso che ha disegnato il MUDEC di Milano che ospita il tristellato Enrico Bartolini.

E da qualche mese è arrivato anche Vite-Ristorante : 300 metri quadrati per 25 coperti distribuiti su tre piani, ognuno dedicato a un diverso brand o artista, con gran parte degli arredi disponibili per la vendita.

Diego Vanin aveva bisogno dell’ultimo anello della catena per completare il progetto: uno chef giovane, talentuoso, che con le sue idee sposasse il senso del “divenire continuo” dell’arte contemporanea. Uno in grado di stupire, di adattarsi al ritmo delle stagioni, di non lasciare il cliente indifferente o, peggio, cullato nella “comfort zone” di un territorio a volte un po’ autoreferenziale.

Raviolo Di Brovada

CON LATTE DI ANGELICA E CICORIA

PASTA FRESCA g. 90 di acqua bollente • g. 200 di farina 00 • 1 pizzico di sale • 1 pizzico di acido citrico

Procedere come per una normale pasta senza uovo utilizzando l’acqua a 95 °C.

RIPIENO g. 200 di succo di brovada • g. 10 di kudzu • 1 pizzico di sale

Ridurre del 50% il succo della brovada e legare con il kudzu come se fosse una polenta. Raffreddare e sbattere in planetaria per ottenere un composto da sac à poche.

LATTE DI ANGELICA g. 50 di latte di cocco • g. 20 di radice di angelica • miso chiaro a gusto • g. 50 di panna vegetale

Scaldare il latte di cocco con la panna vegetale e infondere la radice di angelica. Filtrare, ridurre e portare a gusto con il miso.

BITTER DI CICORIA g. 50 di succo di cicoria • g. 50 di Inca bitter neutro • Ultratex

Miscelare uguale quantità di succo di cicoria e bitter, lasciare macerare due giorni a temperatura ambiente. Portare a consistenza con Ultratex.

POLVERE DI MISO g. 50 di miso

Stendere il miso sul Silpat ed essiccare a 75 °C, quindi polverizzare.

Stendere la pasta, coppare a 3 cm, farcire e chiudere a tortellino. Cuocere i tortellini in acqua non salata per 20 secondi e glassarli in un’ulteriore dose di acqua di brovada.

Impiattamento

Disporre i ravioli sul piatto e nappare con il latte di angelica. Aggiungere alcune gocce di bitter di cicoria, la polvere di miso e gocce di olio di miso di soia e peperoncino.

Peregrinando, ha incontrato Simone Selva , classe ’97, studi classici alle spalle, spiccata attitudine all’ordine mentale, allievo di Lorenzo Cogo e di Francesco Brutto, in forza a Wisteria , Venezia città.

Segni particolari: la più giovane stella Michelin nell’edizione 2021 della “rossa”. E uno che a 23 anni si piglia il primo macaron, nel bailamme della pandemia, tra gli addetti lavori intenti ad accapigliarsi perché Tizio a 40 non l’ha ancora presa e quella maledetta seconda a Caio non l’hanno ancora appuntata sulla giacca, non può che essere un piccolo fenomeno. Selva non si aspettava una proposta così repentina, ha dovuto pensarci su. “Stavo bene a Venezia, ho dovuto prendermi un paio di giorni per riflettere, ma ho accettato la sfida”. Non vorremmo infrangere oscuri segni scaramantici da parte di Vanin&Co., ma è abbastanza chiaro – e legittimo - che la proprietà accarezzi il desiderio di riportare a Treviso la stella che è mancata con il trasferimento di Francesco Brutto a Venissa, nella dorata solitudine della laguna veneziana.

Secondo il parere del pubblico, che sta decretando il successo di Vite, non dovrebbe mancare molto anche se noi non diciamo nulla in segno di scaramanzia.

“Francesco Brutto è stata la mia influenza principale, con i suoi ingredienti spiazzanti, ma mai sovrabbondanti di numero. Lui era più deciso nei contrasti, io preferisco essere un po’ più rotondo. Mi piace lavorare con la maturazione degli ingredienti, le fermentazioni, le erbe spontanee, i profumi del bosco e gli imprescindibili ingredienti locali che non mancheranno mai dalla mia carta”.

Da Wisteria ha portato i due piatti più rappresentativi, quelli che gli hanno valso il riconoscimento Michelin, tra cui le geniali “pennette alla lambic” cucinate in infusione nella birra belga alla ciliegia e finite con ragù di anguilla e foglia di geranio, per un’espressione inedita del contrasto amaro/ dolce, e il piccione (di Laura Peri) con cannella, tabasco e olivello spinoso. Questi due piatti sono considerati “classici” e possono essere aggiunti al menù contemporaneo sempre in evoluzione, concepiti appositamente per Vite e non frutto di esperienze pregresse.

Gli altri piatti sono stati concepiti appositamente per Vite, all’insegna della sua filosofia, come i gamberi rossi in saor con animelle e foglie tenere di cipresso, in cui la fermentazione prende diretto spunto dalla tradizione litoranea veneta, o la stupefacente pecora trevigiana con sauternes e carciofi .

A questi si aggiungono, ad esempio, il tortello alla gallina, curry giallo, sedano rapa e aceto di caffè, e l’anguilla chiocciole e levistico rispettivamente dai menù stagionali di carne e pesce, entrambi a 70 euro.

Un pensiero ai vegetariani, su prenotazione a 60 euro e ai temerari: “L’avventura nel multiverso di Rick&Morty”, da 9 a 12 portate a 100 e 120 euro, con promessa di abbinamento vini scintillante.

Animella Con Scampi In Saor E Cipresso

SCAMPI IN SAOR g. 150 di cipolla rossa di Tropea • g. 8 di olio di semi • g. 40 di aceto balsamico bianco • g. 40 di Vermouth bianco • g. 8 di zucchero • g. 4 di sale • 1 foglia di alloro • g. 40 di vino bianco • g. 1 di pepe bianco • g. 50 di brodo dashi • g. 30 di code di scampi • farina di semola q.b. • 5 pinoli tostati • 3 acini di uvetta ammollata

Procedere come un tradizionale saor appassendo la cipolla tagliata finissima con l’olio di semi, condire e asciugare sul fuoco. Sfumare con l’aceto bianco, il vermouth e il vino bianco; quindi aggiungere gli aromi, ridurre sul fuoco e portare a cottura con il brodo dashi. Terminare con uvetta e pinoli. Friggere in olio a 200 °C gli scampi infarinati per 20 secondi. Unire le due preparazioni e macerare in cella 5 giorni.

SUCCO DI CIPRESSO foglie giovani di cipresso • acqua • Xantana

Bagnare le foglie in acqua e passarle all’estrattore. Portare a consistenza con Xantana e mettere da parte.

Animelle

g. 90 di animelle di cuore • ml. 500 di latte • ml. 500 di court bouillon

Lasciare riposare una notte le animelle nel latte. Sciacquarle, asciugarle e sobbollirle 35-45 minuti nel court bouillon. Raffreddare le animelle in acqua e ghiaccio e pulirle scrupolosamente eliminando pleura e vene. Maturare due giorni in cella.

GLASSA

1 noce moscata frantumata • g. 10 di glucosio • g. 50 di acqua di pomodoro • g. 50 di Garum di pomodoro • g. 50 di succo di datterini arrosto • g. 50 di brodo scuro di vitello • g. 5 di burro di cocco

Unire gli ingredienti sul fuoco fino a glassatura, emulsionare con burro di cocco.

IMPIATTAMENTO

Rosolare a fiamma viva le animelle con burro chiarificato, glassarle e comporre il piatto con gli scampi in saor, il succo di cipresso e guarnire con foglie di begonia e fiori di gelsomino.

Vite

Viale della Repubblica 3

31020 Lancenigo di Villorba (TV) Tel. 375 5644295 www.tadtreviso.com/vite

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