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L’ANTICA CORONA REALE DI GIAN PIERO VIVALDA
Una grande storia sabauda
di Gianluca Montinaro
Era il 1815. Si scriveva la Storia, in quell’anno. Nella fastosa Vienna, il principe di Metternich guidava a conclusione quel congresso delle potenze vincitrici che avrebbe ridisegnato i confini dell’Europa dopo la bufera napoleonica.
Nella minuscola Cervere, a metà strada fra Fossano e Bra, lungo la ‘via del sale’ che collegava Torino al mare, Alessandro Vivalda apriva, in un imprecisato giorno di primavera, i battenti di una locanda di posta.
Il momento era propizio: si poteva sperare in una vita migliore. Si poteva sperare che, lungo quella strada che aveva visto per anni il transito delle truppe, con il loro passo cadenzato, lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli e il cigolio degli affusti di cannone, prendessero nuovamente a passare i carri di coloro che trasportavano vino e nocciole sulla costa, tornando carichi di sale, olio e acciughe. La Storia, e le storie. A volte, però, sono le seconde a perdurare alla prima. Così se dell’Europa di Metternich e della Santa Alleanza non è rimasta traccia alcuna, spazzata via dai moti risorgimentali, dai crolli delle monarchie e da due guerre mondiali, di quella locanda di posta, e di quella famiglia, la saga non solo continua ancora, ma fiorisce sempre più con rinnovata forza e vigore.
Sarà per il solido attaccamento alla propria terra. Sarà per il puntuale rispetto della propria tradizione. Sarà per la profonda consapevolezza di avere un proprio posto nel mondo. Saranno tutte queste cose, e molte altre ancora che sfumano nelle indefinite pulsioni dell’animo umano, se da allora, da 213 anni, la famiglia Vivalda porta avanti la ‘sua’ storia, ancora lì, pronta ad accogliere gli ospiti nella loro locanda, ora divenuta uno dei ristoranti più blasonati e raffinati d’Italia: l’Antica Corona Reale .
Un luogo ‘proprio’, l’Antica Corona Reale: che è fulgido stemma della gastronomia piemontese. Che è massimo emblema di come una tradizione secolare possa, giorno dopo giorno, rinnovarsi rimanendo profondamente fedele a se stessa. Che è esempio da manuale di come una cucina possa attraversare il tempo senza infedeltà.
‘Classica’, ecco, si potrebbe dire. Ma non nell’errato modo con il quale si abusa di questo bell’aggettivo. Piuttosto nel vero significato del termine: ‘classico’ come elemento perenne e vitale in grado di incidere sul presente e segnare la via del futuro.
D’altronde, fra queste mura, tradizione tradite e tramandamenti traditi, la fanno da padrona, di generazione in generazione. E non potrebbe essere altrimenti perché qui le ricette «risalgono ai tempi dei nonni, che a loro volta le avevano imparate dai loro nonni», ricorda Gian Piero (classe 1968), Vivalda della settima generazione, con il suo sguardo mite, appena mimetizzato dai sottili occhiali, dietro il quale si celano tenacia, perseveranza e passione.
Una stirpe di cuochi, la sua: votata al lavoro con quella dedizione di piglio sabaudo che Gian Piero ha appreso dal padre, l’amato Renzo, scomparso da poco più di un anno. Una figura indimenticabile la sua, perché legata a quelle epopee di Langa che hanno reso celebre questa terra: gesta di famiglie di vigna che, con lungimiranza, hanno portato i vini di queste colline all’attenzione del mondo. Facendo sì poi che il mondo arrivasse in Langa. Per vederne il paesaggio, respirarne l’atmosfera, gustarne la cucina.
Qui, negli ormai lontani anni Ottanta, oltre le due ‘colonne d’Ercole’ (a Costigliole d’Asti una, e a San Giacomo di Boves l’altra), appena due nomi, a Monforte e ad Albaretto, a spiccare sulle tante trattorie, perlopiù di buona qualità, che sorgevano su bricchi e declivi.
Ma Renzo la cucina l’aveva nel sangue. Ne aveva appreso rudimenti e segreti da suo padre Eugenio , palato fino. Aggiungendo di suo un amore viscerale per i prodotti della sua terra: il porro di Cervere (ora tutelato da un consorzio, nato nel 1996 anche grazie agli impulsi di Renzo), le rane, le lumache... materie prime straordinarie che Renzo valorizzava nei suoi piatti, mettendone in risalto quelle caratteristiche precipue che le rendono uniche.
Piano piano la fama di questa insegna (che all’epoca era stata nominata semplicemente «da Renzo») prese a travalicare i confini dello stretto circondario, divenendo sinonimo di piatti semplici, ma ben fatti.
Ma la svolta da osteria di paese a ristorante avviene grazie a Gian Piero . «Nonno Eugenio mi aveva trasmesso una grande passione: mi aveva fatto conoscere regole e piaceri della cucina. Dopo aver frequentato la scuola alberghiera di Mondovì presi a fare le stagioni, al mare e in montagna, in

Sottobosco
Ingredienti
porcini scavati • polvere di camomilla • polvere di prezzemolo • polvere di funghi • sale Maldon q.b.
Per la salsa Duxelles g. 300 di gambi di porcini
• g. 30 di guanciale • g. 60 di panna • g. 50 di burro
• g. 50 di scalogno • 1 foglia alloro • g. 10 di pan grattato
Per il fondo di funghi
6 gambi di porcino • 1 costa di sedano • 1 carota •
1 cipolla • g. 150 di pomodori • g. 750 di Marsala • lt. 2,5 di acqua
Per il gambo dei funghi g. 200 di gambi di porcini
• g. 100 di petto di pollo • g. 40 di albume • g. 25 di panna • g. 3 di sale
Per la crema di Bra Duro g. 200 di panna • g. 200 di latte • g. 100 di Bra Duro
• g. 10 di sedano • g. 10 di cipolla • g. 10 di carota • olio evo q.b.
Procedimento
Per il fondo di funghi: rosolare le verdure tagliate in mirepoix, bagnare con il Marsala e aggiungere l’acqua. Far cuocere per circa 4 ore, filtrare e ridurre (legare con kuzu 50 g./kg.).
Per la salsa Duxelles: tagliare in brunoise i gambi dei porcini, stufarli in casseruola con burro, alloro e scalogno tritato, unire il guanciale e far cuocere a fuoco basso, togliere l’alloro e unire la panna, far asciugare e unire il pan grattato.
Per il gambo dei funghi: pulire i gambi dei porcini, tagliarli a fette spesse, cuocerli in forno a vapore a 100 °C per 5 minuti, raffreddarli e asciugarli bene. Unire il pollo tagliato, l’albume, la panna e il sale e frullare per ottenere un composto liscio, stenderlo sulla pellicola, metterci dentro la duxelles di porcini, arrotolarlo e cuocere il forno a vapore a 100 °C per 10 minuti.
Per la crema di Bra Duro: tagliare le verdure in brunoise e farle stufare con poco olio, aggiungere panna e latte e portare a bollore, togliere dal fuoco e unire il Bra Duro grattugiato a microplane.
Scottare le cappelle dei funghi in burro chiarificato con aglio e rosmarino, mettere la crema di Bra Duro alla base del piatto, cospargere con le polveri di camomilla, prezzemolo e porcini, adagiare i funghi, glassare con il fondo e finire con sale Maldon.

Italia ma soprattutto all’estero. Fra l’una e altra rientravo a Cervere, a dare una mano. Poi, nel 1994, mio nonno mi spinse ad affiancare mio padre in cucina: per crescere decisi di intraprendere un percorso formativo che mi ha portato in Francia, a fare esperienze da Georges Blanc, Alain Ducasse, Alain Dutournier... Quando tornavo a Cervere pensavo a quei modelli. All’inizio fu difficile spiegare alla mia famiglia quello che avevo in mente e ottenerne l’approvazione».
La necessità di riempire la sala, il desiderio di non deludere i clienti abituali, la mancanza di uno staff adeguato spingono Gian Piero ad affrontare il percorso di cambiamento a piccoli passi: «io pensavo a piatti complessi, ma ai fornelli lavoravo con due o tre persone, quindi dovevo porre quelle idee nel cassetto, accantonandole per il futuro e sviluppando piano piano il mio progetto: assumere un dipendente in più, poi un altro e un altro ancora, poco a poco. Fino a oggi che l’Antica Corona Reale conta una quarantina di collaboratori. È stato un processo progressivo. Abbiamo anche fatto educazione del gusto: serve tempo, ma la clientela alla fine si seleziona da sola».
Giorno dopo giorno Gian Piero ripensa com - pletamente l’approccio alla cucina, con un obiettivo: «migliorare ogni fase, ogni particolare: come sfilettare il pesce, come scegliere e come cucinare le verdure, come costruire le paste ripiene... sino a giungere al pane, ai grissini, ai lievitati. Occorre conoscere le caratteristiche di tutti gli ingredienti, quindi i prodotti che arrivano dai fornitori. Si sviluppa così un bagaglio di conoscenze e contatti, che ci si porta dietro, si arricchisce e ti arricchisce. Insomma, per azzerare l’errore sono necessari tanto lavoro e una ricerca continua sul prodotto e sulle tecniche: solo così si può raggiungere la perfezione. Ed è una sfida che, ancora adesso, affrontiamo tutti i giorni». Una cucina di terra e di acqua (sia dolce, sia salata) quella di Gian Piero il quale, se da un lato è stato capace, nei suoi piatti, di nobilitare come non mai gli ingredienti del territorio, facendoli conoscere a livello nazionale, dall’altro non ha mai rinnegato quelle ricette ( l’anguilla in carpione; i gobbi ai tre arrosti al tovagliolo; la trippa al cipollotto selvatico; la finanziera in doppia cottura , secondo la tecnica messa a punto da Renzo...) che da sempre sono patrimonio di questo luogo magico. Le ha solo ingentilite, donando loro un tocco di classe superiore che le rende memorabili.








