
2 minute read
LA CUCINA DI MONTAGNA DI NORBERT NIEDERKOFLER
Un cuoco. Un mentore. Un visionario.
Ci sono tanti bravi cuochi. Ma, fra essi, pochi sono quelli capaci di ‘guardare’ oltre i fuochi della loro cucina e i tavoli della loro sala, presi come sono ad affinare i propri piatti e a governare la propria impresa economica. Eppure al di fuori del ristorante, che non è un microcosmo chiuso in sé, c’è tutto un universo.
Un insieme ipercomplesso che determina tanto i legami fra gli individui quanto i rapporti fra le persone e la natura circostante. Pensare che le scelte e le azioni che si compiono dentro un ristorante non abbiano conseguenze o ripercussioni è quindi sbagliato, perché tout se tien: un cuoco che compia una scelta eticamente ‘giusta’ ne riverbererà la sua positività anche al di fuori. Al contrario, una azione eticamente ‘sbagliata’ ne rifletterà tutti gli esiti negativi.
Norbert Niederkofler , cuoco assai noto e che non ha bisogno di presentazioni, ha iniziato a riflettere sull’importanza del suo lavoro e delle sue scelte quando ha intrapreso il cammino che lo ha portato a elaborare la filosofia di cucina per la quale è divenuto celebre: Cook the Mountain . Venendo da una formazione ‘classica’ (scuola alberghiera e quindi tanti anni passati all’estero, in grandi alberghi e ristoranti blasonati, fra Stati Uniti, Svizzera, Austria e Ger- mania: molto importante l’esperienza con il grande Eckart Witzigmann , lo chef che ha portato al massimo successo il Tantris prima e L’Aubergine poi a Monaco di Baviera) Niederkofler, tornato in Alto Adige all’inizio degli anni Novanta e assunta la responsabilità della ristorazione dell’hotel Rosa
Alpina (San Cassiano, Badia, Bz) e quindi del St. Hubertus , proponeva una cucina – in linea con lo stile di quei tempi – ove abbondavano ingredienti preziosi (come dimenticare la sua straordinaria variazione di foie gras?) e pesce (come stesso, ho iniziato a far domande ai miei clienti per capire cosa poter offrire loro di migliore, e di unico».
La risposta, nel 2010, è arrivata, quasi ovvia, alzando gli occhi e guardandosi intorno: la montagna. L’apparente semplicità della soluzione, però, nascondeva insidie e complessità inaspettate, legate alla qualità e reperibilità dei prodotti alpini, alla loro ristretta stagionalità e, last but not least, ai gusti e alle richieste degli ospiti.
Ci sono voluti anni per portare a compimento il percorso le triglie ripiene con pomodoro al forno, altro piatto che chi scrive ben ricorda), provenienti da tutte le parti del mondo. Eppure un tarlo rodeva la mente di Niederkofler.
L’amore per la sua terra, la sua passione per i viaggi alla scoperta delle usanze e delle tradizioni di luoghi anche lontani, lo portava a interrogarsi sempre più su cosa avrebbe dovuto essere la cucina, almeno la propria.
«Il St. Hubertus – ricorda Norbert – era conosciuto per avere una clientela internazionale abituata a trovare ovunque il meglio dell’haute cuisine.

Eppure mi sembrava assurdo che le persone dovessero venire in Alto Adige per assaggiare qualcosa che avrebbero potuto trovare anche a casa loro. Dopo aver interrogato me verso un’alta cucina di montagna. Un percorso entusiasmante ed emozionante, ma non scevro di dubbi ed errori, che – anche grazie al sostegno della famiglia Pizzinini , proprietaria del Rosa Alpina – Niederkofler ha alla fine coronato con Cook the Mountain . Il suo nuovo approccio alla cucina era finalmente chiaro: territorialità delle materie prime, stagionalità, consapevolezza delle antiche tradizioni. Con un fine, neppure troppo recondito: nobilitare l’identità gastronomica dell’Alto Adige.
Ma, come parlare di cucina in un territorio così difficile come sono le valli alpine? Come dare una nuova interpretazione di una secolare tradizione di sussistenza senza snaturarne lo spirito?







