"La Discussione" N.26 del 21 dicembre 2013

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rettore responsabile: Antonio Falconio

ANNO LX

N. 26

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SABATO 21 DICEMBRE 2013

€.1,00 SETTIMANALE POLITICO-CULTURALE FONDATO DA ALCIDE DE GASPERI

direttore responsabile: Antonio Falconio EDITORIALE

Saper perdonare DI EMILIO FEDE

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www.ladiscussione.com

l Papa, per tutti ormai “Francesco” come se fosse uno di noi, vincendo, ma non del tutto, la sua inflessione latino-americana, continua a ripetere che dobbiamo aiutare, concretamente chi ha fame. Dobbiamo porgere una mano e non basta la sciarpa bianca che, indubbiamente, testimonia la solidarietà di chi, anche poco, dona per alleviare la sofferenza di milioni di persone. Giorno dopo giorno, mentre si avvicina l’atmosfera natalizia, il mondo politico la ignora e non perde occasione, per trasformare il possibile dialogo in scontro aperto coinvolgendo le istituzioni, non escluso l’inquilino del Quirinale, spesso appellato “Re Giorgio”. Avanti così non soltanto non si affronta seriamente la crisi economica, ma si getta benzina sul fuoco. A bruciare fra le “fiamme” della polemica rischia Re Giorgio, appresso a lui quelli che prima invocano elezioni anticipate, poi, rapidamente, si pentono giudicandole un danno per la economia che – più alibi del governo che realtà – sta per ritrovare l’equilibrio. Pomo della discordia, comunque resta sempre Berlusconi conteso fra chi farebbe di tutto per “abbatterlo” e chi anche attraverso i sondaggi lo sostiene affermando che milioni di persone sarebbero pronte a ri-votarlo. Così come il “traditore” Alfano non guadagnerebbe in popolarità riducendo il bacino elettorale ad una realtà più segnale di sconfitta che il sogno di diventare centro di raccolta dei moderati. Le vicende giudiziarie sono la spada di Damocle su Arcore, per difendersi dalla quale il Cavaliere ritrova in questi giorni, non soltanto forza fisica anche psicologica. Deve decidere i vertici della rinnovata Forza Italia, ma prende tempo per evitare anche se involontariamente, di punire i “vecchi” del movimento premiando, con troppa rapidità, i “giovani” emergenti. Che giovani sono, ma emergenti ancora da vedere. Conoscendolo posso azzardare un consiglio, che è anche un proverbio: “Chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quel che lascia, ma non sa quel che trova”. Dunque: liberarsi di consiglieri che hanno la presunzione di sapere tutto e di tutti, che manifestano giudizi maturati, spesso, nei momenti in cui l’istinto è in letargo, e trova più facile accoglienza la proposta urlata. Le ipotesi su come si concluderanno le vicende di giustizia sono diverse e contrastanti. Di certo non fuggirà dalla sua Italia. Di certo sta lottando – e lo farà fino all’ultimo – perché la giustizia gli restituisca la verità.

direttore editoriale: Emilio Fede

INTANTO PENTITEVI

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l 48 % dei resideni nel Mezzogiorno d’Italia è a rischio di esclusione e di povertà: più del doppio della percentuale rilevata nelle regioni del centro nord. Sono dai, quesi, del rapporto 2012 dell’ISTAT, reso noto adesso, su reddii e condizioni di vita nel nostro paese: un indicatore, quindi, di caratere generale, ma riferito a un anno fa quando la crisi economica non aveva dispiegato tui i suoi effei devastani. Per rischio di esclusione secondo i parametri europei si intende una combinazione fra una possibile povertà, severa deprivazione materiale e bassa intensità di oc-

Dalla parte dei giovani DI

La vignetta di Alex

segue a pag.3

giustizia

politica ■ RENZI, SPIRITO RIBELLE

di DANIELE CAPEZZONE

■ È ORA DI FARE SUL SERIO!

di TIZIANA SCELLI

■ DISCONTINUITÀ

di ANTONIO FALCONIO

■ QUI BRUXELLES

GIAMPIERO CATONE

cupazione. A costruire l‘indice l’impossibilità di riscaldare adeguatamente le abitazioni, la difficoltà a sostenere spese impreviste di circa 800 euro, un’alimentazione non adeguata e l’esclusione dalla possibilità di trascorrere una seimana di ferie in località diverse da quella di residenza. A quesi indicatori, che non colgono compiutamente la voragine sociale aperta dalla crisi, andrebbero aggiuni l’impennata degli sfrai e l’esosità del sistema fiscale e di quello bancario che stanno getando sul lastrico migliaia di piccole e medie aziende in vari setori produivi (...).

■ IL COSTO DELLA AUTONOMIA LOCALE

di FEDERICO TEDESCHINI

■ IL TRAGICO CASO DI STEFANO CUCCHI

di MARCO DE GIORGIO

economia

cultura

■ SALE IL RISCHIO POVERTÀ

di TIZIANA SCELLI

■ STORIA CONTROVERSA DELLA PIZZA

■ NON SI CHIEDE PIÙ CREDITO

■ MORTADELLA: UNA ROSEA PROMESSA DI BONTÀ

■ IL «NEIN» TEDESCO

■ COME IL CACIO SUI MACCHERONI

di ALBERTO MACCARI

di ETTORE DI BARTOLOMEO

di FRANCESCA FALCONIO

● alle pagg.

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di CHIARA CATONE

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POLITICA

Renzi spirito ribelle di Daniele Capezzone Presidente Commissione Finanze Camera

Come possono tesimoniare i membri "renziani" (non pochi) della Commissione Finanze della Camera, da me atualmente presieduta, non solo non ho alcun pregiudizio negaivo verso Renzi, ma, se possibile, ho un vero pregiudizio posiivo, nel senso che guardo con atenzione a ogni fato poliico che possa determinare la modernizzazione anche del campo poliico avverso. Ciò deto, a maggior ragione, ritengo che in quesi primi giorni sia maturato un errore grave e strategico della segreteria Renzi, confermato dal suo intervento di esordio, domenica scorsa, a Milano. Visto che Renzi, come ha spiegato, vuole "restare ribelle", bisognerebbe chiedergli perché mai abbia accetato di subìre a scatola chiusa e di non ribellarsi a questa legge di stabilità cucinata dal Governo Leta. Nelle scorse seimane, in conferenza stampa, noi di Forza Italia avevamo proposto un'azione emendaiva di riscritura complessiva, o almeno di eliminazione degli errori più gravi: errori come la tassa sulla casa, la tassa sul risparmio, l'aumento della spesa pubblica, eccetera. Invece, rinunciando a un'azione di forte modifica, il primo passo del Pd renziano è e sarà quello di iniziare con una norma "tassa e spendi", appiccicandosi addosso l'eicheta di "parito delle tasse". Più in generale, la sensazione è che, eludendo i quatro nodi delle tasse alte, della spesa alta, dell'Euro e dei vincoli europei, e della giusizia poliicizzata, Renzi rischi di sotrarsi al terreno vero del cambiamento, su cui il suo parito non sarebbe in grado di procedere o di seguirlo, e scelga quindi di limitarsi ad altri aspei (alcuni condivisibili, altri no) lontani dai veri puni di sofferenza del sistema Paese. Su queste basi, c'è un solo punto di fondo sul quale spero si possa presto trovare un'intesa con Renzi, nell'interesse comune, e sopratuto nell'interesse del Paese. Approvare al più presto una legge eletorale che permeta a chi vincerà di governare davvero, porre fine a una legislatura che è già poliicamente fallita ed esaurita, ed abbinare alle europee di maggio anche le elezioni poliiche. Noi siamo proni, e, come atestano i sondaggi, siamo in pole posiion.

Qui, Bruxelles

Parola d’ordine: DISCONTINUITÀ Valorizziamo il deposito di valori tipico della nostra cultura Se non fosse quasi blasfemo affermarlo, il sotofondo sonoro dell’atuale fase della poliica potrebbe essere “giovinezza” , l’inno che afflisse gli italiani per oltre 20 anni. E sempre per restare su quesi toni, oggi riemerge una forte spinta al leaderismo; l’ulimo parito che lo aveva contrastato, sulla base del principio di collegialità, e, anzi, l’aveva ritenuto come una patologia propria del berlusconismo, cioè il parito democraico oggi, e non si sa per quanto, a un leader unico, incontestato e determinato, qual è il Sindaco di Firenze. Per la generazione che in qualche misura si ricollega all’esperienza democraica crisiana, credo siano lecii dubbi sia sul giovanilismo, sia sul leaderismo. Il giovanilismo, che si coniuga con rotamazione, ormai soffia dappertuto. Non è solo Renzi ad aver costruito una segreteria la cui età media è senz’altro nei parametri di una giovinezza adulta, ma anche Berlusconi è fortemente impegnato nella ricerca di giovani che possono sosituire i vecchi e gli usurai.

Il paradosso è che si invoca questo ampio ritardo generazionale in un’Italia dove aumenta a vista d’occhio il peso degli anziani nel panorama degli eletori, mentre la naività crolla anche per l’imperversare della crisi che non invoglia certo i giovani a metere su famiglia. Rotamazione tanto per rotamare è un conceto semplicisico, a meno che non assuma significai poliici, di svolta. Se fosse così, e vi sono moli elemeni per pensarlo, il nuovo PD che Renzi ha in testa deve segnare una neta, decisa disconinuità sia con il retaggio comunista sia con quello democrisiano; di qui la necessità di liberare la scena di quani sono stai protagonisi di quelle storie. Un parito, quindi, post ideologico e con padri nobili in archivio, mentre, in Forza Italia, c’è un padre nobile arcistufo di corigiani e proconsoli che aveva creato o subito e quindi alla ricerca di un elisir di giovinezza che spazzi rughe e nei dal volto del parito. E’ peraltro vero che pensionare, più che rotamare, ha un senso quando si trai dei

La Commissione Europea ha adotato, nei giorni scorsi il “Shit2Rail”, un nuovo programma pubblico-privato che permeterà d'invesire circa un miliardo di Euro nella ricerca e nell'innovazione allo scopo di airare maggiormente il numero di viaggiatori e merci sui treni europei. La rotaia figura tra i mezzi di trasporto più efficaci e più rispetosi dell'ambiente. Atualmente trasportai sui treni circa il 10% delle merci e il 6% dei viaggiatori europei. Siim Kallas, vice-presidente della Commissione Europea con delega ai Traspori ha dichiarato: “Se vogliamo un ulteriore incremento dei viaggiatori e delle merci nei treni in Europa, bisogna che la rotaia proponga dei servizi migliori e cosituisca una scelta interessante per i clieni. E, per fare questo, la rotaia deve innovare. Questo partenariato pubblico-privato cosituisce un importante passo in avani, simolerà l'innovazione allo scopo di rifurre i cosi dei servizi ferroviari, aumenterà la capacità di offrire servizi ferroviari più affidabili e più frequeni

personaggi di quella gerontocrazia che da decenni trascorre una vita, spesso inuile, nelle aule parlamentari ed è anche inoppugnabile che le giovani generazioni hanno conoscenze e strumeni intelletuali propri al tempo della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica e quindi possono e debbono diventare protagonisi. Tutavia, sarebbe banale sostenere in assoluto questa tesi, perché se la poliica vuole cambiare pelle rispeto alle polverose rughe di oggi, è nell’ordine delle cose non disperdere, ma anzi far tesoro dell’e esperienze, del bagaglio culturale, dello spirito di servizio di chi non è più giovane. Bisogna saper coniugare esperienza e novità, non disperdendo, ma valorizzando il deposito di valori che è proprio della nostra cultura e della nostra storia poliica. Una linea strategica così equilibrata potrebbe pure correggere i rischi del leaderismo, dell’uomo solo al comando, che può raggiungere successi, ma provocare anche disastri. Antonio Falconio

alla clientela”. Máire Geoghegan-Quinn, commissario incaricato della ricerca, ha dichiarato: “Quesi invesimeni permeteranno di realizzare dei considerevoli sforzi industriali, grazie alla combinazione di fondi pubblici e privai provenieni dall'intero setore ferroviario, allo scopo di concepire delle tecnologie e delle soluzioni strategiche che contribuiranno a rafforzare la compeiività delle imprese europee e a mantenere il ruolo guida giocato dall'Europa sul mercato ferroviario mondiale. Si trata di una perfeta dimostrazione dell'effeto-leva che esercita il budget della UE sulla crescita e l'impiego.” Shit2Rail («shit to rail»: leteralmente, «passare alla rotaia») è un ambizioso partenariato pubblico-privato che gesirà un programma di lavori della durata di sete anni, consacrato alla ricerca ed all'innovazione mirata, allo scopo di favorire il miglioramento del servizio ferroviario in Europa. Svilupperà maggiormente l'innovazione tecnologica e accelererà la loro entrata sul mercato. Grazie al programma Shit2Rail, la Commissione ha triplicato i finanziameni dedicai alla ricerca e all'innovazione nel setore ferroviario, che raggiungono i 450 milioni di euro (2014-2020) contro i 155 milioni di euro del periodo precedente. Questa cifra sarà completata da un finanziamento di 470 milioni di euro provenieni dal setore ferroviario. I proveni di questo approccio collaboraivo a lungo termine daranno un colpo d'acce-


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È ORA DI FARE SUL SERIO!

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Dalla parte dei giovani Segue dalla 1° pagina

Gli italiani vedono dissolversi il proprio piccolo benessere C’è un fondo torbido in uno scenario poliico, che resta nervoso e atraversato da pulsioni e stai d’animo non propriamente costruivi. E, nello scenario, irrompono le disillusioni e la rabbia di quani hanno perso o non trovano lavoro, dei itolari delle piccole imprese soffocate da una fiscalità perversa e da un credito avaro, dei pensionai e delle famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese . Sono ormai tani gli italiani che avevano costruito un loro piccolo benessere e che oggi lo vedono dissolvere fra sfrai, rischio di povertà e ipotesi di progressiva atenuazione dei presidi sociali. E’ una condizione, quindi, di sofferenza, di delusione, di sconfita che ormai atraversa tuta la realtà del nostro paese e che pone una domanda che non può essere soddisfata dai movimeni più o meno spontanei che in quesi giorni manifestano in forme talvolta inaccetabili, anche per l infiltrazione di elemeni eversivi. La domanda che c’è e che non può essere più elusa non è quella di soluzioni autoritarie o di abdicazione delle isituzioni, ma è quella di

una poliica nuova, di una poliica buona per stare a un conceto caro all’insegnamento della Chiesa. Purtroppo, rispeto a questa domanda, che è essenziale, la poliica ufficiale fa finta di non capire o non capisce e realizza comportameni e formula linguaggi che non fanno che esasperare la situazione, che ormai sfugge alla stessa capacità di interpretazione e di guida dei sindacai. A chi ha fame o dispera per il futuro non importa nulla se e quando le elezioni debbano essere anicipate, se rifioriscano le invocazioni alla Padania indipendente, se e come sarà cambiato il sistema eletorale e se ha qualche fondamento la telenovela degli sgambei fra Renzi e Leta. A tuta questa gente, e chi manifesta è solo la punta di iceberg, interessa che una buona poliica assicuri priorità assoluta ai problemi del lavoro, dell’occupazione, della vitalità delle imprese, di una più civile e umana concezione delle poliiche fiscali e della gesione del credito. Questa e solo questa è la prima, fondamentale risposta che la gente, tranne i privilegiai, atende e alle quali,

leratore all'innovazione nel setore ferroviario rispeto al precedente meccanismo di cofinanziamento dei progei individuali. Shit2Rail ha come obieivi: una riduzione atesa del 50 % dei cosi del ciclo di vita dei traspori ferroviari (cioè i cosi di costruzione di uilizzo, di mantenimento e di rinnovo delle infrastruture e dei materiali); un aumento complessivo della capacità di non meno del 100% e un miglioramento generale dell'affidabilità fino al 50% nei differeni segmeni del mercato ferroviario. La ricerca e l'innovazione si aricoleranno atorno a cinque elemeni chiave: 1) allo scopo di migliorare la qualità dei servizi, il progeto avrà l'obieivo di sviluppare una nuova generazione di treni ad alta capacità reddituale e di affidabilità; 2) allo scopo di accrescere la capacità di sfrutare più treni sulla stessa linea, saranno messi a punto dei sistemi di gesione del traffico ad alto livello di performance; 3) allo scopo di fornire delle infrastruture affidabili e di alta qualità, i si concentrerà paricolarmente sulla riduzione dei canali di ruomre, l'abbassamento dei cosi e un sistema di manutenzione intelligente; 4) allo scopo di fornire una biglietazione ed una pianificazione intelligente, verranno messi a punto delle soluzioni informaiche

lo comprenda si può giungere sopratuto atraverso una forte bataglia in sede comunitaria per modificare le poliiche che hanno impoverito e sconvolto i paesi europei, ad eccezione della Germania. L’altra risposta riguarda i comportameni della poliica che si è immiserita e stravolta nel momento in cui ha deciso di riporre in un angolo ispirazioni ideali e valori che l’avevano moivata per più di un secolo. Non basta tagliare il numero dei parlamentari e abolire il Senato, per farne la Camere delle Autonomie, senza affondare il bisturi in quello spazio oscuro, centrale e periferico, di un milione di fortunai che vivono e spesso prosperano nel sotobosco di eni, agenzie, società di derivazione pubblica, e quindi su scelte detate dalla poliica. L’UIL ha calcolato che ogni contribuente paga 757 euro annui per mantenere questo esercito famelico che ingoia più di 7 miliardi. La civiltà anica e la storia crisiana ci hanno insegnato che nulla è più credibile e forte dell’esempio, della tesimonianza. E’ ora di fare sul serio. Tiziana Scelli

(...) Un quadro molto grave, se non desolante, se vi si aggiunge quello di circa due generazioni di giovani, che, per il 40%, hanno anche getato la spugna, perché non studiano, non lavorano, ne frequentano corsi professionali. Un grande spreco di intelligenze, di saperi, di capacità produive reso ancora più grave dall’immigrazione verso altri paesi che un’Italia che vuole riprendersi e crescere non può coninuare a sopportare. Per far fronte a questa situazione, che è abbastanza comune agli altri paesi dell’area mediterranea dell’UE non servono le ricete del mercato come regolatore del dinamismo sociale e meno che mai le pozioni di austerità che la commissione europea coninua ad infliggere anche a paesi che ormai sono allo stremo, come nel caso della Grecia, che non possono essere perciò l’orizzonte dell’Italia. Se l’Europa c’è ancora, è il momento di tornare a Keines, o per stare in casa nostra all’IRI, cioè a un intervento massiccio dello stato volto con un complesso di azioni, a rilanciare l’aività e la nascita di imprese o a concorrere alla rimozione degli ostacoli che impediscono il completamento delle rei, l’accesso al credito, l’alleggerimento reale del carico fiscale-. In quest’oica il rimedio non può nemmeno essere quello dell’alienazione di complessi strategici ancora in mano pubblica né quello della pura e semplice privaizzazione del sistema dei servizi pubblici, che si risolverebbe in un ulteriore penalizzazione per i citadini. Ci vuole coraggio e capacità di tessere un ampia rete europea che si opponga alla deriva mercaisica, che sembra essere l’unica fata proprio dalle autorità di Bruxelles. Dobbiamo essere chiari: non possiamo consegnare un’intera area quella del Sud, cioè mezza Italia, alla disperazione, né possiamo privaizzare dovunque e comunque: non è affato deto che il pubblico debba essere necessariamente sinonimo di spreco, purchè si sappia gesire fuori da tentazioni clientelari e dispersive. Il nuovo segretario del Pd ha sollecitato un piano straordinario per lavoro e occupazione; per renderlo concreto dobbiamo abbatere a Roma come a Bruxelles i tabù dell’ossessione liberista che finora ci hanno impedito di andare avani. Giampiero Catone

e dei servizi innovaivi; 5) allo scopo di permetere alla rotaia di essere un concorrente efficace su ulteriori mercai, svilupperemo delle soluzioni logisiche ed intermodali migliori per i traspori, in modo che la rotaia sia meglio connessa con le altre modalità di trasporto. La creazione di un azienda comune – un partenariato pubblicoprivato batezzato «Shit2Rail» – permeterà di metere in comune delle risorse pubbliche e private in modo da realizzare delle aività di ricerca essenziali per la realizzazione di uno spazio ferroviario unico europeo e la compeiività del setore ferroviario nel suo insieme, creando posi di lavoro e simolando le esportazioni. Il progeto associerà tui i fornitori del setore ferroviario europeo, comprese le piccole e medie imprese innovaive, allo scopo di accelerare l'elaborazione di nuove tecnologie e la loro commercializzazione sul mercato. Gli operatori ferroviari e i gestori d'infrastruture pariperanno in egual misura allo scopo di graanire che le aività di ricerca siano conformi ai bisogni del mercato. A tut'oggi le aziende Alstom, Ansaldo STS, Bombardier, Siemens, Thales et CAF, così come i gestori d'infrastruture Trafikverket et Network Rail, hanno già confermato che contribuiranno ciascuna con un contributo di almeno 30 milioni di euro all'iniziaiva Shit2Rail (da cui un totale di 270 milioni di euro).

L'Europa deve affrontare grandi sfide; da qui la necessità di un aumento della cogesione, in presenza di un traffico crescente da cui discende la necessità di costruire deii collegameni di trasporto durevoli per favorire la crescita economica. Tutavia, nonostante i proggressi in alcuni mercai, la rotaia è un setore in stagnazione, anche in declino, in moli degli Stai membri della UE. La parte modale di rotaia sul trasporto dei passeggeri all'interno della UE è in media rimasta costante – circa il 6 % - ed è diminuita, per il trasporto merci, calando dal 11,5 al 10,2 %. Di fronte a questa situazione, la Commissione europea ha reagito su tre aspei: 1. Ha adotao un insieme di misure fondamentali per ristruturare il mercato ferroviario in Europa (4e paquet ferroviaire). 2. Ha triplicato gli invesimeni nelle infrastruture europee, che passano dagli 8 miliardi di euro atuali a 26 miliardi di euro per il periodo 2014-2020. Più dell’80 % di questo budget sarà speso nel setore ferroviario. 3. Ha triplicato i suoi invesimeni nella ricerca e nell'innovazione nel setore ferroviario , in paricolare nel quadro del nuovo programma «Shit2Rail». Francesca Falconio


GIUSTIZIA

di Federico Tedeschini Docente di Istituzioni di Diritto Pubblico

Il dibaito sull’IMU – sommato a quello sull'abolizione delle Province – ha contribuito a non far emergere in tuta la sua drammaicità la quesione del progressivo ritorno delle imposte locali, senza che questo fatore si traduca in un parallelo alleggerimento di quelle nazionali. Si trata invece di una quesione importante almeno quanto quella della riduzione del cuneo fiscale, perché – dopo la reintroduzione della potestà imposiiva dei Comuni, atuata con la legge cosituzionale n. 3 del 2001, abbiamo dovuto assistere ad un progressivo aumento delle tasse e delle imposte locali, senza poter aivare i consuei rimedi cui, in casi simili, si ricorre: primo fra tui quello di portare all'atenzione dei Giudici Cosituzionali il problema della irragionevolezza dell'atuale sistema tributario, i cui livelli di progressività hanno ormai raggiunto – almeno per coloro che sono costrei a fare per intero il loro dovere di contribueni – vete mai viste prima. Eppure, prima o poi, una riflessione sul costo degli apparai locali dovrà necessariamente essere avviata e dovrà parire dall'aspeto poliicamente più difficile da affrontare: quello della riduzione del numero dei Comuni al fine di razionalizzare una spesa che sconta le conseguenze di un numero abnorme di Eni locali. I Comuni sono infai circa 8.000, la gran parte dei quali tutela gli interessi di poche migliaia di citadini. Il Legislatore pensò di trovare una soluzione al problema inventando lo strumento dell'“unione di Comuni”, ma il rimedio si è alla fine dimostrato peggiore del male, perché servito solamente ad aggiungere ulteriori apparai – e dunque nuovi centri di spesa – a quelli già esisteni. Ma poiché qualcuno deve pur pagare i coni di simili scelte dissennate e lo Stato non ha più neanche i mezzi per mantenere se stesso, ecco che dal cilindro del Parlamento – complici le lobbies pubbliche, sempre pronte a salire sul carro della spesa pagata da altri – si è tornai a riesumare l'atribuzione di poteri autonomi in materia imposiiva agli Eni territo-

riali: strumento, in realtà, tut'altro che nuovo visto che era stato introdoto addiritura nel 1865 con la riforma Minghei; ma, mentre a quel tempo l'imposizione locale era necessaria per attuire l'impato dell'unificazione d'Italia nei confroni di citadini abituai a sistemi fiscali fra loro diversissimi, oggi l'atribuzione agli Eni locali di entrate tributarie disinte da quelle erariali ha – almeno soto il profilo dell'equità fiscale – poche giusificazioni, visto che si è consolidato fin dal 1972 un sistema centrale di Finanza erariale largamente sosituivo dei vari sistemi decentrai di Finanza locale, che

Rivedere il COS dell’AUTONOMIA può giusificare il ricorso a tale ulimo sistema solo per legarlo alla soddisfazione di bisogni fondamentali come la sanità e la conservazione del territorio. Purtroppo però la storia dei rappori fra l’imposizione tributaria statale e quella locale non può certo indurre all'oimismo, visto che fin dai tempi dell'Italia postu-

Avv. Marco de Giorgio Patrocinante in Cassazione

La seimana scorsa in una trasmissione televisiva di grande ascolto, la gara finale è stata assegnata ad un giovane atore che riproduceva il cantautore Luigi Tenco, suicidatosi ventenne a San Remo nel 1969 perché eliminato alle selezioni del fesival canoro. L’opinione pubblica all’epoca ne rimase molto impressionata pur senza comprendere il recondito significato di dissenso nel suo gesto. La vitoria della sua imitazione è stata forse un riconoscimento purtroppo tardivo. Nei primi anni 90 a Milano infuriò la smania sanguinaria di cambiare pelle all’Italia tramite il più cupo rigore legalitario. Era iniziata la stagione dei giusizieri con la toga e del popolo bue inneggiante perché ignaro che reprimere le garanzie e le più elementari tutele alla libertà individuale, alla lunga degenera nella compressione della democrazia. In quel tempo ero un giovane avvocato penalista ed ammutolito assistevo all’impetuosa affermazione di principi giuridici in totale contrasto con quanto appreso all’università. Condividevo il pensiero di un collega a cui mi omologavo per la comune idenità nel concepire la professione forense. Non occorre che ne ripori il nome perché, seppure scomparso, in moli sapranno idenificarlo negli ambieni giudiziari milanesi. Non aveva ancora 40 anni e non accetava lo sile cruento con cui i pubblici ministeri sodali di Antonio Di Pietro, avendone adotato i metodi polizieschi, conducevano gli interrogatori brandendo la custodia cautelare in carcere come un machete. Quando in una gara sporiva una compagine sbaraglia il contendente, dimostra non solo la sua forza ma rivela pure l’imbarazzante debolezza dello sconfito. Si potrebbe per ciò soste-

nitaria l'imposizione locale non è mai stata coordinata in un quadro unitario, ma si è sempre presentata aricolata in tribui diversi e, tute le volte che il Legislatore ha provato a meter mano al problema per correggere contraddizioni ed inadeguatezze, i rimedi si sono sempre dimostrai peggiori del male: esemplare da questo punto

di vista fu la vicenda del Testo Unico per la Finanza Locale, approvato con R.D. 14 setembre 1931, n. 1175; anche in quel caso infai si tentò di isituire un'unica imposta comunale, denominata ICAP, che doveva colpire l'Industria, il Commercio, le Ari e le Professioni. A quell'imposta ne seguirono però altre subito dopo e quando

Il caso di Stefano Cu nere che la Magistratura ambrosiana avesse schiacciato la classe forense per duemila a zero. Duemila infai furono gli indagai arrestai con clamore, la cui maggior parte è stata assolta in seguito ma dopo avere perso dignità sociale ed onore, qualche volta persino la vita. Se niente di simile si verificò a Roma, capitale poliica, a Torino cità primaria dell’industria pesante, a Napoli dove allignava molta corruzione poliica ed in nessuna altra parte d’Italia, si deve ritenere che le classi forensi, con i relaivi organismi rappresentaivi, a Milano abbiano rinunciato alla funzione fondamentale del loro ruolo, la salvaguardia ed il soccorso per le garanzie giuridiche del citadino. Il mio amico collega non voleva allinearsi anzi incitava i suoi assisii a non cedere alle lusinghe della delazione in cambio di benefici immediai. Per questo suo criterio correto ed eico di concepire la funzione dell’avvocato, presto divenne un bersaglio in molte indagini fino al suo arresto, a moli apparso pretestuoso, che solo troppi anni dopo si sgretolò in una completa assoluzione. Spesso mi scriveva dal carcere per descrivere le sue esperienze di detenuto. Spero non me ne vorranno i suoi familiari se ne riporto alcuni stralci, compendiando i brani più espressivi ed emblemaici : “Qui in galera c’è tuta una realtà urlata, si grida senza ragione, forse per mantenere i reclusi in uno stato di soggezione. Niente è scontato. Anche la richiesta più semplice e naturale deve seguire un tragito amministraivo assai tortuoso. Per qualunque esigenza, anche primaria, ci si deve rivolgere con una domandina scrita al Signor Diretore il quale non risponde quasi mai. Se si è fortunai, il riscontro arriva con molto ritardo quando

“ In galera c’è una realtà urlata, forse per mantenere i reclusi in uno stato di soggezione

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laDiscussione sabato 21 dicembre 2013


laDiscussione sabato 21 dicembre 2013

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locale – durante i lavori dell'Assemblea Cosituente – si riaprì il dibaito sui rappori fra sistema tributario statale e fiscalità locale, fallì completamente il tentaivo di rielaborare il principio di separazione dei due ipi di imposizione finanziaria, correggendone le disfunzioni. La quesione non fu risolta neanche quando, all'inizio degli

anni 70, furono centrate le competenze in materia tributaria esclusivamente in capo allo Stato. Anche allora, infai, le lobbies pubbliche riuscirono a tenere in piedi un barlume di autonomia imposiiva in capo agli Eni locali, limitandola al potere di intervenire solamente su tribui i cui elemeni essenziali fossero previsi dalla legge statale, che doveva anche predeterminare la misura massima dell'aliquota. Gli studiosi di Scienza delle Finanze spiegarono, però, che il limite di quella riforma della Finanza locale era cosituito dall'incapacità di ottenere una responsabilizzazione degli Amministratori locali in ordine alla copertura della spesa pubblica e così – dopo la breve parentesi dominata dalla disciplina dettata con legge 8 giugno 1990

n. 142, che segnò la fine della Finanza derivata – il Legislatore tornò a riconoscere l'autonomia finanziaria agli Eni locali, creando così i presupposi per un'autonoma potestà imposiiva, riconosciuta con la legge cosituzionale 18 otobre 2001 n. 3. Di quella infelice riforma paghiamo ogni giorno di più le conseguenze, visto che l'aricolo 119 Cost., all'uopo riformato, prevede espressamente “che Regioni, Province, Comuni e Cità metropolitane stabiliscono ed applicano tribui ed entrate propri”. Tale disposizione peraltro – ove applicata ai Comuni – viene a contrastare la precedente disposizione contenuta nell'aricolo 23 della stessa Cosituzione secondo cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se

non in base alla legge”. Al disordine e alle contraddizioni dell'atuale disciplina posiiva, fa riscontro la sempre maggiore difficoltà dei citadini di far fronte alle fameliche richieste dei Comuni di appartenenza. Un'oima occasione per risolvere il problema sarebbe stata il poter affrontare in sede di esame di quella Commissione per la Riforma della seconda parte della Cosituzione insediata pochi mesi fa con grande squillar di trombe e ormai relegata fra i ferri vecchi della atuale legislatura. Ma l'occasione perduta non può far venir meno l'esigenza di cambiare completamente l'approccio per affrontare la quesione: si cominci a ridurre fortemente il numero degli Eni locali, stabilendo una consistenza

minima della popolazione al di soto della quale i Comuni debbano essere forzosamente ridoi di numero, fino al raggiungimento di quella minima soglia: così operando non si farebbe nulla di originale perché idenico processo ha già interessato l'asseto dei poteri locali in Francia e in Inghilterra. Mi rendo ben conto di quanto una simile cura possa essere dolorosa per chi vede restringersi il numero dei seggi alla quanità di posi da assegnare per il funzionamento degli apparai, ma il Parlamento deve rendersi conto, a sua volta, del fato che i rumori che provengono dalla platea dei contribueni non prometono – per la classe poliica che viene insediata – nulla di buono.

ucchi : in Italia il carcere annienta

Gli agenti di custodia spesso sono aggressivi, per imporre rispetto o per loro frustrazioni

Troppi suicidi cozzano con la carriera. Il cinismo invade ogni azione

non è più uile. C’è molta violenza soffusa. In noi prigionieri costrei a stare ammassai per 21 ore al giorno, spartendoci in 6 su due file di cuccete a castello i 6 metri quadrai della cella, comprensivi di gabineto alla turca e di angolo per il fornello da campo con cui cucinare. Già perché se in cella non c’è un cuciniere, non si mangia. Il cibo del carrello, stracoto da molte ore, è incommesibile per la pessima qualità. Ci tocca meno di un metro a testa, non si può stare tui in piedi in contemporanea o sedui al tavolo per mangiare insieme. Poi si parla di socialità e di reinserimento. Anche gli ageni di custodia spesso sono aggressivi, per imporre rispeto o per loro frustrazioni. In fondo la condizione non cambia molto fra i due lai delle sbarre, dentro e fuori la cella. In loro non vi è alcun trasporto o emozione umana. La calca dell’abitudine divora l’anima. Noi per loro rappreseniamo il fasidioso mezzo per conseguire a fine mese lo sipendio. Ci sono alcuni all’apparenza più disponibili a cercare un dialogo. In realtà sono quelli che non vogliono incappare in possibili insidie e creano con noi un pato di reciproca indifferenza. Non darmi fasidio ed anch’io i ignoro e chiudo gli occhi sui tuoi imbrogli e commerci. Ho chiesto ad un caro amico di spedirmi delle maglie del Milan da regalare ai compagni di cella per giocare durante l’ora d’aria. Non me le hanno consegnate perché sono sparite prima di recapitarmele. In cambio le guardie mi tratano con maggiore benevolenza. Il Carcere è un inuile serbatoio di disperazione, la senina della società, dove cosipare tuto quello che contrasta ed importuna. Ci sono molte persone ammalate e non ci si spiega perché non siano

in ospedale o agli arresi domiciliari. I carcerieri giocano a carte nel corridoio o dormono sulla panca ignorando il disturbo per le grida di sofferenza dell’umanità dolente. E’ la forza dell’abitudine. L’altro giorno c’è stato ancora un suicidio. Un giovane tossicodipendente stremato dalle crisi di asinenza. Capita molto spesso che il recluso suicida venga portato agonizzante in ospedale perché, se non spira in carcere, è un beneficio per le staisiche. Ogni ato di autolesionismo è una nota negaiva per il Diparimento. Troppi suicidi cozzano con la carriera. Il cinismo invade ogni azione. Vedevo un secondino stranamente preoccupato ad informarsi se quel povero ragazzo fosse ancora vivo. Era venerdì pomeriggio. Chiesi cosa gli importasse delle sorti di quel detenuto, mi risposero che doveva decidere quale numero incastrare per giocare il terno secco sulla ruota di Milano. Per me si tratta di carcerazione preventiva in attesa del giudizio, spero di essere assolto ed allora perché adesso devo sopportare tutto questo strazio condito dall’angoscia dei miei cari ? Stanno molto meglio i condannati in via definitiva quindi dichiarati colpevoli. Questo è del tutto illogico”. La recente sentenza sul caso di Stefano Cucchi ri-

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propone il dramma delle spaventose condizioni in cui versano le nostre carceri e la vergognosa inettitudine di chi le amministra. La mancanza di validi organismi autonomi di controllo e l’anomalo sovraffollamento consentono la preminenza di zone d’ombra in cui precipita chi viene arrestato e condotto in una casa circondariale. Accade di rado che il difensore sia immediatamente avvisato, forse per evitare il suo pronto intervento di controllo. Aleggia il sospetto di comportamenti arbitrari ed abusivi. Gli organi d’informazione, spesso con sguaiata oclocrazia inculcano la brama demagogica dell’ottusa severità. Umiliare il rispetto per il detenuto appartiene ormai ai doveri sociali del buon cittadino almeno fino a quando non ci incappa personalmente. Con il feticcio della delinquenza da reprimere ad ogni costo, le coscienze esorcizzano la questione della malagiustizia ordinaria. In Italia sussiste la peggiore condizione carceraria al mondo. Nei paesi in via di sviluppo gli istituti di detenzioni, seppure vetusti ed obsoleti, consentono ai reclusi molta libertà ed autonomia, compreso gli incontri intimi coniugali. Nelle nazioni più progredite le strutture sono molto accoglienti e concepite nel pieno rispetto della dignità e decoro di chi è internato per coltivarne il recupero sociale. Il mio amico avvocato, dopo essere stato assolto, logorato dalla terribile esperienza, si è tolto la vita. Ci sono voluti circa 50 anni perché la gente celebrasse il significato di ribellione del suicidio di Luigi Tenco. Quanto tempo dovrà trascorrere perché anche il collega sia commemorato insieme e tutte le vittime del carcere ingiusto.


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VALORI

n DOPO IL XXII CONGRESSO NAZIONALE A PERUGIA

Con la DC tornano i Si è svolto a Perugia, sabato 14 e domenica 15 dicembre il primo Congresso nazionale della Democrazia Crisiana dopo la storica sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite (del dicembre 2010) che ha sancito definiivamente che il parito scudocrociato non ha mai interroto la sua legiima presenza sia sul piano poliico che giuridico. Al congresso sono intervenui L'On. Gianpiero Catone ed un nutrito gruppo di dirigeni dei «Circoli La Discussione», preseni in quasi tute le regioni d'Italia, moli dei quali sono stai elei nel nuovo Consiglio nazionale D.C. L'adesione dell'On. Gianpiero Catone e dei Circoli della Discussione al progeto di rilancio poliico ed organizzaivo della Democrazia Crisiana, così come si evince con tuta chiarezza dallo svolgimento dei lavori congressuali, a Perugia, è di grande significato poliico proprio nell'oica della auspicata riunificazione di tui i democraici crisiani all'interno del loro parito di sempre,

VALORI

avente per simbolo uno «scudocrociato di colore rosso su fondo bianco, con la parte superiore dello scudo di forma arcuata e la scrita LIBERTAS sulla banda orizzontale della croce». L’Italia, per uscire dalla crisi economica ed eica, che sta colpendo sopratuto le famiglie, cuore e presidio della società, ha bisogno – ha sotolineato Catone – di una nuova stagione poliica che recuperi i valori propri dell’esperienza democraica crisiana, quali la solidarietà, il rispeto della persona, la valorizzazione dei corpi sociali, la sussidiarietà. Sono di tuta evidenza le gravissime difficoltà in cui si dibate il nostro Paese e la Democrazia Crisiana potrà avere un ruolo importante per aiutare l'Italia ad uscirne. Serve però una Democrazia Crisiana più forte e più unita ed in questo senso non ci si deve stancare di ricercare le strade dell'unitarietà, anche se esse appaiono le più difficili e difficoltose, rispeto ad altre scorciatoie ben più comode e facili da percorrere.

Papa Francesco: sto con la periferia dell’umanità Papa Francesco, ancora una volta, stupisce. Per il suo compleanno ha voluto ospite, per colazione, tre barboni, tesimoni di quella periferia dell’umanità cui si volge il pensiero e l’impegno pastorale del Papa. Una periferia che non è solo fata dagli ulimi, poveri, diseredai, oppressi, bambini ed anziani senza cure ed affeto, ma è fata anche da coloro che vivono le tragedie della solitudine, della separatezza e dell’esinguersi della speranza. Il linguaggio di questo Pontefice è nel segno di un invito proprio alla speranza e alla tenerezza, ma è altretanto fermo nel denunciare la tragedia della fame che coinvolge intere popolazioni e le ingiusizie che nascono da una concezione del profito e del mercato come unici regolatori della vita sociale. In una recente intervista a “La Stampa”, che ha fato il giro del mondo, Francesco, riferendosi alle criiche che a questa sua denuncia sono state rivolte da gruppi conservatori che non hanno esitato a definirlo marxista, ha rintuzzato queste accuse, ed ha contestato, proprio sulla base della dotrina sociale della Chiesa, la teoria per la quale ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesca di per sé a produrre una maggiore equità e inclusione sociale. C’era la promessa – ha rammentato il Papa – che quando il bicchiere fosse stato pieno sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece – ha sotolineato – che quando è colmo il bicchiere magicamente si ingrandisce e così non ne viene nulla per i poveri. La fame nel mondo, derivante proprio dallo sfrutamento, dalle guerre, dai totalitarismi, dalle manipolazioni del mercato, è, per Francesco, un’enorme vergogna: sapere che ogni giorno nel mondo muoiono dieci mila bambini è un dato terribile che dovrebbe muovere tui, Stai e persone, a fare la loro parte, anche riuilizzando o riciclando quel cibo che nelle società opulente viene oggi getato nelle discariche. Per il Papa, l’ ecumenismo, cioè il dialogo e l’apertura verso le altre Chiese crisiane, è una priorità. Una priorità che si moiva anche nell’ecumenismo del sangue, perché oggi i crisiani, laddove imperversa il fondamentalismo o ditature atee, sono perseguitai ed uccisi, a prescindere dal fato che essi siano catolici, ortodossi o riformai. Sulla poliica, Papa Francesco sosiene che Chiesa e poliica debbono avere ognuno la propria strada e i propri compii. Possono convergere nell’obieivo del bene comune, ma non mischiarsi perché il connubio con il potere imputridisce la Chiesa; la poliica è e può essere una delle forme più alte di carità purché – ammonisce – non decada nella spregiudicatezza e nell’affarismo. Il Papa intanto guida con mano ferma l’azione delle struture ecclesiasiche, della Curia in paricolare. Gli oto cardinali che stanno lavorando a predisporre proposte da sotoporre al Papa sono essi stessi segno della volontà del Pontefice di realizzare, senza offuscare il primato paterno,più collegialità nella Chiesa e maggiore valorizzazione delle varie conferenze Episcopali. Antonio Falconio

laDiscussione Giornale politico­culturale fondato da Alcide De Gasperi

DIRETTORE EDITORIALE Emilio Fede DIRETTORE POLITICO Giampiero Catone DIREZIONE Antonio Falconio (RESPONSABILE) Alberto Maccari (Condirettore) EDITORE Editrice Europa Oggi S.r.l. Amministratore Unico Renato Catone Responsabile Marketing Bruno Poggi Piazza Sant’Andrea della Valle, 3 00186 - Roma Tel. 06.45496800 - Fax 06.45496836 segreteria@ladiscussione.com STAMPA Poligrafico Europa S.r.l. Via E. Mattei, 2 20852 - Villasanta (MB) Tel. 039/302992 CONCESSIONARIE PER LA PUBBLICITÀ Publimedia S.r.l. Via Turati, 129 - Roma publimedia@aruba.it Publistar S.a.s. Via Monte delle Piche, 34 - Roma publistar@fastwebnet.it DISTRIBUZIONE Press-di Distribuzione Stampa e Multimedia S.r.l Via Bianca di Savoia n. 12 - Milano Impresa beneficiaria per questa testata dei contributi di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche ed integrazioni


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TRA ORIENTE E OCCIDENTE

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Il mistero profondo della storia

Giorgio La Pira il valore del lavoro

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a vita, le opere, la testimonianza di fede di Giorgio La Pira, sempre animatrici di impegno civile, torneranno in primo piano per la vocazione di Matteo Renzi, quale sindaco di Firenze e neo segretario del PD, ad avvertirne la dimensione profetica e a farne fonte di ispirazione per la sua attività al servizio della città e, ora, come ci auguriamo, dell’Italia. Una cattiva letteratura, spesso prevenuta, ha dato una falsa immagine di Giorgio La Pira, ritenuto un utopista ed idealista senza sistema e senza costrutto, o un pericoloso filo comunista. Nulla di più falso, perché Giorgio La Pira fece del messaggio cristiano o, se si vuole, dell’utopia della città nuova, quella che innalzerà la sua luce sulla collina, l’elemento animatore di un’azione concreta a favore dei perseguitati, degli offesi, dei disoccupati, delle famiglie in difficoltà. Del resto, fin da ragazzo – era nato in Sicilia, a Pozzallo, il 9 Gennaio del 1904 - si era prodigato fra le baracche dei terremotati di Messina, e a Firenze, da giovane professore universitario, quale militante nella San Vincenzo e nell’Azione Cattolica.

E, sempre su questa sua scelta, promosse la comunità di San Procolo, a Firenze, che darà conforto ai più poveri ed emarginati. Docente, qual era, di diritto romano, avvertì, con la profondità dei suoi studi e dalla lettura delle opere dei Padri della Chiesa, la dimensione mondiale della crisi di istituzioni e strutture politiche ed economiche disancorate dalle fondamenta cristiane e sulle quali incombeva ed incombe, anche per effetto delle armi nucleari, un drammatico destino di distruzione. E’ una cri-

si - sostenne- che si è risolta, sia nel segno del comunismo, sia nel capitalismo, nella radicale esclusione di Dio da idee madri che, nel loro insieme, offrono una concezione omogenea, ma atea, del mondo e della vita. L’orizzonte, così inteso, potrebbe essere quello di un crinale apocalittico: qui, su questo crinale, con una sua precisa missione sta Firenze, la città che unica al mondo, aveva nel 1527 posto Cristo Re a presidio delle sue libertà. Prima di diventare, per la prima volta, nel 1951, sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, deputato alla Costituente per la DC, ne era stato uno dei protagonisti, con Moro, Dossetti, Togliatti, Basso e Calamandri, della formulazione dei principi

fondamentali della Costituzione. Da sindaco, in piena guerra fredda, indisse a Firenze i convegni internazionali per la pace e la civiltà cristiana e realizzò scelte trancianti come la requisizione e la trasformazione in cooperativa della Fonderia delle Cure, posta in liquidazione dalla proprietà e si battè affinchè l’ENI rilevasse le officine della Pignone, salvando le maestranze e facendone un’azienda altamente competitiva; realizzò anche un grande intervento di edilizia popolare, quella del complesso dell’Isolotto. Fra gli anni sessanta e settanta moltiplicò gli incontri e le iniziative in favore della pace e dell’emancipazione dei popoli; contestualmente realizzò un importante mole di opere pubbliche, giovandosi delle capacita di un suo assessore, Nicola Pistelli. Giorgio La Pira morì il 5 Gennaio del 1977: sulla sua tomba che lo ricorda come sindaco di Firenze, due brani del discorso della Montagna: “Beati i puri di cuore perchè vedranno Dio; beati i costruttori di pace perché saranno chiamati figli di Dio. ANTONIO FALCONIO


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TRA ORIENTE E OCCIDENTE

Dall’inserto speciale de “La Discussione” n° 40 del 2 novembre 1981, ancora documenti esclusivi su Giorgio La Pira, politico italiano, sindaco di Firenze, servo di Dio per la Chiesa cattolica. Un inserto che segue un filo conduttore. Non una biografia, ma una raccolta di scritti ed appunti che aiutano a capire meglio l’uomo, il politico, il sindaco ed il credente.

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La città sul monte non può essere non veduta di Giorgio La Pira da una relazione per iniziativa di Pax Romana, 1956

Finalmente mi fecero, ahimè, Sindaco di Firenze. Non avevo mai pensato che potessi diventare Sindaco di una città, Sindaco di Firenze. Ciò nonostante ho sempre voluto bene alla mia città, intendiamoci bene! Mi ricordo che ci trovavamo, Calamandrei e io, a Roma nel 1944, quando vennero le notizie del bombardamento di Firenze. Si piangeva, non solo perché era una città ma perché era Firenze bombardata: come gli ebrei di Babilonia, quando ripensavamo a Gerusalemme piangevano. Tuttavia che io sarei diventato Sindaco, mai pensato! E Sindaco mi fecero. Mi ricordo che un recente 25 Luglio ( festa di San Giacomo; noi fiorentini la ricordiamo, questa data, perché è la data della cacciata del Duca d’Atene !), i fiorentini fecero celebrare una Messa di ringraziamento in Orsanmichele. Era anche la festa dei vigili urbani, ed io ero in mezzo a loro. Durante la Messa, a un certo punto ebbi l’intuizione – questo è il famoso atto contemplativo che definisce l’architettura dell’uomo – ebbi quasi una scossa interna, feci in qualche modo la scoperta di Firenze, del perché ero Sindaco di Firenze. Nel pomeriggio dovevo fare un discorsetto ai vigili, li dovevo passare in rivista, come un comandante, e allora pensai quel che dovevo dire. Mi ricordai della parabola del Vangelo “ la città sul monte”, la quale essendo sul monte non può non esser veduta. Ebbene, questa città sul monte, fatta per essere vista e per comunicare una luce e una bellezza, mi fece passare provvisoriamente le pene che avevo ( anche voi ne avete di pene nella vita,no?) e parlai esprimendo i miei concetti ai vigili, i quali erano un po stupiti perché era un li8nguaggio nuovo. Parlai della città sul monte, la quale perché sul monte, perché al vertice dei valori e perché di una bellezza incomparabile era destinata a splendere in tutte le direzioni della terra. I vigili, insomma furon contenti. Però quel giorno io cominciai a meditare a partir

da questa scoperta: come un artista,infine. La scoperta della persona umana era già penetrata nella mia anima: ora cominciavo a capirne un’altra, che non avevo capito quando ero alla Costituente. Nonostante che parlassi di città e di popoli, ne parlavo in astratto, ma non sapevo che cosa era la città, e cosa erano i popoli. Fu come la sementa: seminata nella mia anima, a poco a poco si sviluppò. Proprio come nel Vangelo: tu dormi e la sementa si sviluppa. Ecco cosa

hanno qualche cosa che li muove irresistibilmente. C’è una forza che li sospinge, in terra, misteriosa, ma reale, creativa, perché fanno quel che sentono di dover fare: costruiscono dei nidi con una saggezza indescrivibile. Esiste allora una teologia dei popoli. I loro movimenti sono finalizzati e nello spirito umano i suoi fondamenti imbattibili. Una civiltà di segno positivo aperta a tutti i grandi problemi del tempo nostro: lavoro, abitazione, assistenza, strutturazione dello Stato, cultura e così via!

Per gli uomini non vale che una sola legge ed un solo fine: la legge dell'amore ed il premio dell'amore Tutto il resto è menzogna e vanità

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pensai. Eravamo a Roma vicino a Monte Mario in una terrazza, un pomeriggio. A Roma gli uccelli in primavera vanno in stormi innumeri, fanno dei disegni geometrici nell’aria, di una perfezione matematica, neanche Leibniz sarebbe capace di afferrare questa perfezione! Io osservai: questi uccelli scendono sui loro alberi e si mettono a cantare oppure riposano. Popolazioni di uccelli, i loro movimenti geometrici, imbattibili. Io dissi al comandante che era con me: ma li ha visti questi uccelli? Ma non vi pare che gli uomini, i popoli, nel loro movimento universale, tutti i popoli nel movimento sia di crescita interna ( quindi sociale, culturale, politica, religiosa) sia nei loro rapporti organici che sono tutti quanti connessi, non abbiano un istinto?Nonostante che siano liberi e responsabili, tuttavia


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Firenze mediatrice di Pace

Permettete ora che aggiunga una seconda parte, diciamo così sperimentale, che serve in qualche modo a convalidare la parte teorica indicata nella prima parte di questo mio intervento. Questa seconda parte che ho scritto nei secondi vesperi di Pasqua, è sorta in maniera autonoma rispetto alla prima: è stata una genesi improvvisa: ho, cioè, visto d’un tratto che le idee svolte nel redigere il mio intervento erano le idee che avevamo, a Firenze, sottoposte al crogiuolo di un’esperienza quotidiana: le idee, cioè,

di Giorgio La Pira discorso, 1955

Il Vangelo non è l'annuncio di un codice di leggi, è l'annuncio di una vita Ed è in nome di questa vita, concreta e dolorante, che dobbiamo aiutare i poveri che avevano ispirato per cinque anni la nostra azione fiorentina: e precisamente le idee che avevano ispirato i quattro convegni per la pace e la civiltà cristiana e quelli che avevano determinato la nostra concezione sociale: cioè il nostro modo di vedere la città come un organismo integrale e gerarchico di valori che va senza soluzione di continuità dell’attività economica a quella artistica, liturgica, orante e contemplativa, che vede, perciò organicamente collegati – secondo una scala di valori ben definita – l’officina alla scuola, la casa all’ospedale, il tutto al monastero e alla cattedrale. Una concezione teologale, senza dubbio; se volete, anche medioevale; perché esiste un medioevo eterno, come una categoria dello spirito, che il tempo aggiorna ma non distrugge! Un metro che si adatta ai cambiamenti della storia; ma che, nella sua struttura essenziale e nella scala dei suoi valori, resta immutabile. Ebbene, quale intima ispirazione ha provocato questo tipi di attività politica (nel senso stretto, greco, “polis”, della città)? Come mai questi caratteristici

convegni divenuti come faro di luce cristiana e spirituale che si irradia ogni anno in ogni direzione del mondo? Come mai questa difesa strenua dell’intera scala dei valori: cioè dei valori sociali( il lavoro, l’abitazione, l’assistenza, ecc.) e dei valori artistici e dei valori contemplativi e religiosi? La risposta va cercata in quanto è stato detto avanti intorno alla crisi della storia presente; nel convincimento, cioè, che questa crisi non si supera – e la civiltà materialistica ed atea non si vince – se non mediante l’edificazione di una cultura a struttura teologica che inquadri in sé tutti i valori umani e che diventi lievito trasformatore della società umana. Ad una civiltà di segno negativo – radicale negazione di Dio – non si può contrapporre altro che una civiltà di segno positivo: una civiltà teologica e metafisica, cioè, che abbia in Dio. E permettetemi, infine, di manifestarvi un segreto che ho sempre avuto nel cuore da che la Provvidenza ha disposto che assumessi la prima Magistratura della città del fiore. Da quel giorno l’ideale di Firenze mediatrice di pace fra

Oriente ed Occidente ha sempre brillato vivamente nella mia anima. Da allora ho sempre pensato che l’incontro fiorentino del 1400 postulasse, nei disegni della Provvidenza – anche se con finalità e strutture diverse – un altro incontro, destinato ad inserirsi nella storia presente come ponte di pace fra tutti i popoli della terra. I convegni della pace e della civiltà cristiana sono stati essi pure concepiti ed attuati alla luce di questo segreto ideale. Ebbene, Signori: lo domando a voi: era un sogno? Una utopia? Potete rispondere voi stessi contemplando, con occhio meditativo, lo spettacolo singolare che presenta stasera il Salone dei Cinquecento. L’Oriente è presente, nelle sue massime città, l’Occidente è presente, nelle sue massime città; ed anche stavolta, come già nel 1400 è stata la Signoria di Firenze (cioè il Consiglio Comunale di Firenze) a stendere un ponte di pace e di speranza fra le due contrastate rive della unica e solidale famiglia umana. Signori, interpretate le cose come volete: esse, tuttavia, sono come sono: e dal fondo


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La situazione è brutta, il fango risorge, è come il male

cole che tornano ad assumere un ruolo determinate nella storia – è bene porre in piena luce le cause che ne hanno provocata la genesi e che ne governano lo svolgimento ed il fine. Come è nata, da cosa è stata provocata, l’idea di questo Convegno? E’ nata da un fatto singolare: la mia partecipazione cioè – proprio come Sindaco di Firenze – ad una sessione straordinaria del Comitato internazionale della Croce Rossa Ginevra, nella Settimana Santa del 1954. Il tema in discussione era certamente di eccezionale portata: si trattava di pro-

porre il problema della difesa della popolazione civile delle città dagli attacchi aerei: ma il tema, ben noto e sapientemente elaborato dalla Croce Rossa Internazionale relativamente agli attacchi aerei diciamo così “normali”, diveniva improvvisamente un tema sconosciuto e quasi insolubile davanti alle prospettive totalmente nuove poste dall’uso delle bombe atomiche. Difendere: che cosa?, se l’uso di tali bombe significa, a priori, la distruzione radicale delle città e di intere regioni? Ascoltammo, atterriti, le relazioni meditate e misu-

rate di uomini di altissima levatura tecnica e morale( erano tutti relatori occidentali v’erano anche relatori indiani e relatori giapponesi, questi ultimi come sperimentatori, purtroppo, dell’effetto che produce sulle città l’uso delle atomiche). Fu in quella occasione che si posero nel mio spirito alcuni problemi fondamentali concernenti appunto, per un verso, il valore ed il destino delle città e per l’altro verso la responsabilità – storica, politica, sociale – che grava sulla generazione presente rispetto alle generazioni future. E fu allora, in connessione con questi problemi, che si affacciò nel mio animo l’idea di convocare a Firenze – in analogia a quanto si era già fatto per i Convegni della pace e la civiltà cristiana le massime città della terra. Il titolo per questa convocazione mi veniva, diciamo così, da una negotiorum gestio di cui mi ero fatto autore; perché nel discorso pronunciato nella sessione ginevrina della Croce Rossa Internazionale dissi che mi sentivo di parlare non solo come Sindaco di Firenze, ma in rappresentanza di tutte le città – grandi e piccole – del mondo. Ed in nome di esse, mentre ne affermavo il valore storico ed il destino provvidenziale, dichiaravo che la generazione presente non aveva diritto di distruggere per sempre un patrimonio di civiltà ad essa affidato, in via soltanto fiduciaria, dalle generazioni passate perché venisse trasmesso, accresciuto e non dilapidato, alle generazioni venture.

TRA ORIENTE E OCCIDENTE

del mio cuore esse sollecitano un atto di gratitudine, verso il Padre Celeste che mi dà la grazia di vedere stasera tradotto in un fatto ben determinato ciò che fino a ieri era sembrato soltanto un sogno! Non posso, Signori, davanti a queste cose non esclamare meravigliato: digitus Dei est hic. E noi tutti – io e voi – siamo persuasi che questo fatto non è transeunte: radica qualcosa di nuovo nella storia umana: mette un seme che è destinato ad avere nell’avvenire una fioritura vasta e felice. Signori, a questo punto potrei terminare questo mio discorso di saluto: e tuttavia la singolarità di questo Convegno, e le responsabilità ideali e storiche che vi si connettono, esigono che io esponga, con una certa ampiezza, le cause e le finalità più specifiche di esso. Quando siamo all’atto iniziale di un movimento mondiale delle città grandi e pic-



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ECONOMIA

Drammatica la fotografia Istat

Famiglie italiane: sale il rischio povertà

Che la crisi economica sia sempre più metà ha percepito nel 2011 un reddito pesante non meraviglia nessuno. Ma neto non superiore a 24.654 euro l’anno che quasi il 30 per cento degli italiani (circa 2.053 euro al mese). Il dato pegsia a rischio povertà è un dato che im- giora, e non di poco, al Sud e nelle isole pressiona anche i più pessimisi. dove il 50 per cento delle famiglie può L’Istat, confermando il dato di Eurostat, contare su meno di 20.129 euro all’anno cerifica che il 29,9 per cento dei resideni (circa 1.677 euro al mese). Questo fa sì in Italia rischia una situazione di grave che il reddito medio delle famiglie che indigenza e l’esclusione sociale. Come vivono nel Mezzogiorno non supera il è possibile misurare 73 per cento di quello delle famiglie quello che viene defidel Nord Italia. Mentre al nito “rischio povertà”? Come Centro questo valore sale al E’ il risultato sopratuto per cento. è possibile 96 di due indicatori: la forte Diventa drammaica la situadeprivazione materiale misurare zione dei pensionai; quasi e la bassa intensità di lasu due (esatamente il quello che uno voro. La “deprivazione 46,2 per cento) o deve riviene mandare alcuni pagameni o materiale” altro non è che l’indigenza, l’imposcomunemente deve aingere al risparmio sibilità di affrontare spefaicosamente accumulato. definito Solo 3 pensionai su dieci riese come il riscaldamento della casa, le vacanze, “rischio scono a vivere con l’assegno l’acquisto di alimeni con percepiscono. Il dato è povertà”? che proteine per la dieta quofornito dalla Cgil. idiana. E, sempre in tema di pensioni, I dai si riferiscono al 2012: rispeto al- da segnalare un fenomeno che deve l’anno prima aumenta la quota di per- preoccupare: è ormai noto che la prosone in famiglie che non possono per- speiva per i giovani di oggi è quella di metersi durante l’anno una seimana una pensione molto ridota rispeto a di ferie lontano da casa (dal 46,7 al quelle odierne. Il rapporto tra pensione 50,8%), che non hanno potuto riscaldare e ulima retribuzione, che scenderà daladeguatamente la propria casa (dal 18 l’atuale 67 per cento a circa il 50 per al 21,2%), o che non sono in grado di cento intorno al 2030, non ha finora affrontare spese impreviste di 800 euro convinto i giovani lavoratori a formarsi (dal 38,6 al 42,5%) o, infine, che non una pensione integraiva. Calano, infai, possono permetersi un pasto proteico gli iscrii ai fondi pensione negoziali. adeguato ogni due giorni (dal 12,4 al Sono ancora molissimi gli italiani che 16,8%). preferiscono andare in pensione incasSe guardiamo alle varie aree del paese, sando il Tfr (il tratamento di fine rapvediamo che il rischio povertà è più porto) piutosto che devolvere ogni marcato nel Mezzogiorno (+5,5 puni) anno quella risorsa ad un fondo che contro i 2 puni in più del Nord e i 2,6 poi la resituirà come assegno integraivo puni in più del Centro vitalizio. Il dato che preoccupa di più è quello Tiziana Scelli relaivo al reddito delle famiglie. La

Non si più CRE

C’è un sintomo inequivocabile delle gravi difficoltà in cui si dibatono famiglie e imprese nel nostro Paese. Salgono le sofferenze bancarie. Secondo il rapporto mensile del’Associazione bancaria italiana, hanno toccato in otobre i 147,3 miliardi di euro, 27,5 in più rispetto allo scorso anno e 100 in più rispeto alla fine del 2007, quando è cominciata la grande crisi. Il rapporto di queste sofferenze con gli impieghi ha toccato il 7,7 per cento, il punto massimo dall’otobre 1999. Tra gennaio e setembre di quest’anno il cervellone del Cerved (ovvero delle Camere di commercio) ha registrato poco meno di 10 mila fallimeni, con un aumento del 12 per cento su base annua. Dove si registrano quesi fallimeni? L’Abi li ha individuai in tute le aree del Pae-

se. A tesimoniare la gravità della crisi che ancora blocca la nostra economia, l’Abi conferma che la caduta dei presii a famiglie ed imprese da parte delle banche italiane ha toccato a novembre il nuovo minimo storico, con u n a flessione del 4 per

cento in una anno, un crollo che non è stato mai registrato dagli anni novanta ad oggi. E che tuto questo è dovuto solo alla crisi che siamo atraversando è provato dal fato che il rapporto tra sofferenze e totale degli impieghi ha raggiunto il 4,8 per cento, mentre prima della crisi (nel 2007)era appena allo 0,86 per cento.


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EDITO

Non va dimenicato che il costo del denaro – e dunque dei presii – è ad un minimo storico dopo che la Banca Centrale Europea ha portato i tassi di interesse ai minimi storici (il tasso di sconto è oggi allo 0,25 per cento). Questo dimostra che si sono praticamente bloccati sia gli investimenti delle imprese sia i consumi delle famiglie e: ed i due dati sono strettamente correlati come è evidente. Questo aumenta lo svantaggio delle nostre aziende, soprattutto le medie e piccole, rispetto alle concorrenti dell’Eurozona. Basti pensare che il tasso medio per i nuovi prestiti fino ad un milione di euro è aumentato dal 4,33 al 4,49 per cento; e il divario con l’Eurozona sale così allo 0,66 per cento. In questo quadro non poteva mancare un commento caustico del presidente degli industriali: “Sulla legge di stabilità sono scettico e pessimista, Tuttavia non c’è alternativa; e non credo si voglia andare

ad un esercizio provvisorio”. Dalle parole di Squinzi si deve dedurre che i nostri imprenditori non vedono alle porte la ripresa e, soprattutto, non ritengono la nuova Finanziaria in grado di modificare il quadro ancora negativo della nostra econo-

mia. In una situazione simile ci si aspetterebbe un alleggerimento della pressione fiscale. Invece, mentre per esempio in Spagna le tasse calavano, nel nostro Paese sono aumentate dell1,2 per cento dal 2007 ad oggi. Da considerare che nel’area Euro la media della pressione fiscale è oggi al 34,6 per cento. In Italia tocca il 44,4% per cento. Tasse imposte e contributi sono più pesanti solo in Danimarca (48%), Belgio (45,3%) e Francia (45,3%). Alberto Maccari

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L’unione bancaria e il “nein” tedesco

Mario Draghi non smenisce il suo sano realismo: il presidente della Bce ha deto che i rischi per l’eurozona stanno diminuendo, ma la ripresa economica resta lenta in tui i Paesi. Intervenendo davani al Parlamento europeo ha ribadito che – proprio in considerazione di questa fragilità – la Banca centrale non abbasserà la guardia e resterà vigile e pronta ad intervenire in qualunque momento se si traterà di garanire la stabilità del sistema finanziario. E’ anche questa la ragione per la quale i tassi resteranno bassi ancora per molto, comunque per tuto il tempo necessario all’economia a riprendere un ritmo di crescita sostenuto. Dunque, nelle parole di Draghi non c’è tuto quell’oimismo che spesso troviamo nelle dichiarazioni di alcuni ministri del nostro governo. La fase acuta della crisi – riconosce il presidente della Bce – è passata; ma non si può dire che la crisi sia superata e che non ci possano essere ancora rischi. A questo proposito Draghi ha risposto seccamente ad un parlamentare che chiedeva se l’Italia avesse avuto un’attenzione paricolare nelle decisioni della Bce durante le fori tensioni sul nostro debito pubblico: “Non è stata presa nessuna misura speciale per l’Italia o per altri Paesi. Le scelte della Bce sono state nell’interesse dell’intera eurozona”, ha precisato Draghi, il quale tutavia ha insisito sull’esigenza di accelerare sull’unione bancaria. Che cosa significa? Significa che il sistema europeo delle banche dovrà essere unico, dovrà ubbidire ad un’unica autorità e ci dovrà essere un fondo unico per eventuali salvataggi. Un impegno di cui si è parlato due giorni fa nel Consiglio europeo. Ma la strada verso un’effeiva unione bancaria nel vecchio

coninente è piena di ostacoli: ed i primi a porre quesi ostacoli sono proprio i paesi membri dell’Europa. Per ora si è stabilito che la vigilanza sulle 130 più grandi banche europee venga affidata alla Bce, che la eserciterà a parire dal novembre 2014 dopo aver verificato la solidità dei bilanci dei vari isitui di credito. Sul resto siamo assolutamente nel buio: sopratuto sulle regole di risoluzione delle crisi e sul fondo finanziario per sostenere gli isitui in crisi. Di qui l’insistenza di Draghi sull’urgenza dell’unione bancaria: perché preoccupa la Bce il fato che l’isituto centrale debba intervenire su situazioni bancarie criiche senza che ci siano meccanismi europei di risoluzione con i relaivi e necessari fondi. Ma il problema sta tuto nell’opposizione della Germania ad una sorta di “solidarietà bancaria”: i tedeschi, infai, pretendono che l’Europa adoi regole di risoluzione delle crisi che sostanzialmente facciano ricadere le perdite delle banche insolveni sugli azionisi e sui creditori (leggi: correnisi e risparmiatori) degli stessi isitui. Non solo: ma anche la eventuale necessaria ricapitalizzazione dovrebbe essere coperta da fondi nazionali. In sostanza, la poliica della Germania sarebbe quella di coninuare a sostenere con denaro pubblico le proprie banche senza penalizzare i propri capitalisi finanziari. Ed è per questo che l’ulima proposta della Commissione Europea, che mira ad accentrare a Bruxelles il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie, metendo così a fondo comune i fondi per il salvataggio,ha otenuto da Bonn un sonoro “nein”. Etore Di Bartolomeo


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CULTURA

■ Pinocchio non la digerisce

Chiara Catone

La pizza, quella verace, dall'impasto morbido e ricco di bolle, cota al forno a legna, con pomodoro, mozzarella di bufala e due foglie di basilico ad insaporire il tuto, è senza dubbio il simbolo dell'italianità nel mondo. Eppure, questa equazione infallibile pizza= Italia non sempre è valsa. Gli stessi italiani appresero con stupore quanto questo piato semplice ma gustoso avesse spopolato all'estero. Perché, pur essendo oggi un prodoto Stg, fino agli anni Sessanta nessuno lo conosceva. O meglio nessuno lo apprezzava. Dobbiamo ringraziare gli americani che, impazzii per questo cibo di strada che gli emigrani del Sud vendevano, spacciandolo

per “italiano”, lo hanno sdoganato ovunque, perfino da noi. Ironia della sorte! Cerchiamo allora di rintracciare una “genealogia” della pizza, per capire il moivo per cui la sua bontà fino a metà Novecento sia passata soto silenzio. Scopriamo innanzituto una certa nebulosità riguardo lo stesso termine, se il primo ricetario nazionale, “La scienza in cucina” di Pellegrino Artusi del 1890, alla voce “pizza napoletana” riporta la riceta di una torta dolce con le mandorle, secondo una tradizione che risale addiritura al Cinquecento. Più vicina alle caraterisiche odierne la descrizione che ne fa Alexandre Dumas padre, recatosi a Napoli nel XIX secolo: La pizza è una specie di siacciata […] è di forma rotonda e si lavora

con la stessa pasta del pane. La pizza è all'olio, alla lardo, alla sugna, al formaggio, al pomodoro e ai pesciolini. Dumas aggiunge che è un alimento molto economico e che viene consumato dai “lazzari”, giovani riotosi della plebe napoletana. Ma andiamo avani. Anche Gianneino, personaggio nato dalla fantasia di Collodi, un ragazzino toscano in giro per l'Italia, arrivato nel capoluogo partenopeo, la conosce e storce subito il naso di fronte al carreino di un venditore ambulante: quel nero del pane abbrustolito, quel bianchiccio dell'aglio e dell'alice, quel giallo-verdacchio dell'olio e delle erbucce soffrite e quei pezzeti rossi qua e là di pomidoro danno alla pizza un'aria di sudiciume complicato. Nemmeno la giornalista Mailde Serao nel reportage “Il ventre di Napoli” del 1884 si asiene dal rabbrividire di disgusto alla vista dei tranci agli angoli delle strade: si gelano al freddo, s'ingialliscono al sole, mangiai dalle mosche. Una simile avversione non si giusifica col semplice ribrezzo per le scarse condizioni igieniche: la pizza rappresentava molto più di un cibo di strada da quatro soldi per il popolino, era la summa degli orrori che Napoli covava al suo interno, era l'apice del degrado in cui la cità era sprofondata, era l'emblema della miseria e del colera che affliggevano gli abitani. Nell'autunno del 1884, appena prima che la Serao iniziasse la sua inchiesta, era scoppiata una nuova epidemia, dagli effei devastani, 7.000 mori in meno di un mese. Al grido indignato della stampa nazionale ed estera- la cità venne additata come vergogna dell'umanità- il re Umberto I decise di intervenire personalmente, anche per consolidare il ruolo della monarchia nel Mezzogiorno. La soluzione che balzò agli occhi del sovrano in visita ai bassifondi era scontata: sventrare Napoli, purgare quei vicoli putresceni e malsani, humus per la propagazione del colera, ed abbatere i faisceni

Storia controversa della caseggiai popolari. Il re stesso tornò nel capoluogo partenopeo nel giugno 1889 per inaugurare i lavori di ricostruzione, accompagnato dalla consorte, la regina Margherita. Fu in quell'occasione che la pizza accantonò per un momento la sua nomea di sudicio alimento di sopravvivenza e fu insignita del privilegio di presenziare alla tavola reale, di far capolino tra raffinaissime pietanze francesi. Il famoso pizzaiolo Raffaele Esposito venne chiamato ad impastare nelle cucine della reggia di Capodimonte e sfornò per Sua Maestà tre capolavori farinacei: una bianca all'olio, una con i bianchei e una con pomodoro, mozzarella e un paio di foglie di basilico. La leggenda vuole che quest'ulima suscitasse grande apprezzamento nella regina, tale da venir ribatezzata in suo onore “pizza Margherita”. L'evento pare sia accaduto veramente e la letera di ringra-

ziamento firmata dal Capo dei Servizi di Tavola della Real Casa è esposta ancora con orgoglio in una pizzeria di Napoli. Ma i confini tra storia e invenzione spesso sono labili e si confondono. La regina Margherita, celebre per la predilezione per la Francia, per la dieta equilibrata e sofisicata e sopratuto per la propensione all'igiene, non avrebbe mai avuto cuore di assaggiare un piato che sapeva di fame nera, pesilenza e sozzura. Il gesto di gradire le offerte del pizzaiolo si rivelò invece un'abile mossa poliica, che dissolse l'iniziale osilità e dimostrò la vicinanza delle isituzioni ai problemi degli strai più indigeni. Da quel momento Margherita fu anche regina dei napoletani. Ma la pizza aveva ancora tanta strada davani a sé, dovete impersonare il sogno americano e coprirsi della luccicante paina straniera prima di poter essere accetata dagli italiani.

■ Una rosea promessa di bontà

LA MORTADELLA Oggi la mortadella si lega indissolubilmente al nome della cità che la produce, tanto da essere chiamata all'estero semplicemente Bologna. Ma questo storico patronimico Mortadella Bologna si è assestato nel Seicento, quando Giulio Cesare Croce scrisse ne “l'Eccelenza et trionfo del porco”: le Mortadelle e i Salami, i quali son cibi da Principi e da Signori, e di questo la cità di Bologna porta il vanto[...]. Prima, nel Medioevo e nel Rinascimento, ogni farcitura insaccata in un budello veniva denominata “mortadella”, in quanto l'originario significato del termine era “pestato”, dal francese morterel, risalendo al laino mortarium. Quindi, qualunque batuto di carne variamente composto e speziato veniva così eichetato. Solo a metà del XVII secolo la cità felsinea si aggiudicò il branding della mortadella, codificando nel 1644 addiritura la ri-

ceta perfeta, che poco differisce da quella atuale. Su pressione poi dell'Arte dei Salaroli, nel 1661 venne promulgato il primo provvedimento legislaivo della storia a tutela di una specialità locale italiana, che scoraggiasse eventuali contraffazioni da parte di quani “poco amorevoli del Ben Publico si possano far lecito di fabbricarle in questa Cità e suo Contado, con poner in esse qualche parte di Carne di Manzo”. Il bando stabiliva anche pesani ammende per chi producesse mortadelle senza previa autorizzazione. Si finì col tramandare in maniera setaria, nelle sole mani della corporazione deputata, le fasi di preparazione, con il vincolo di non rivelarle a nessuno. Fioccarono allora delle ipotesi infondate sui misteriosi ingredieni delle mortadelle e ce ne offre un saggio le memorie di un frate domenicano, Jean-Bapiste Labat, in


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CULTURA

PIZZA LA TOP TEN 1) Grana Padano DOP e Parmigiano Reggiano DOP 2) Prosciutto di Parma DOP 3) San Daniele DOP 4) Mozzarella di bufala della Campania DOP 5) Gogonzola DOP 6) Mortadella di Bologna IGP 7) Bresaola della Valtellina IGP e Mela Alto Adige IGP 8) Mela Val di Non DOP 9) Speck Alto Adige IGP 10) Asiago DOP

visita a Bologna. Rimasto deliziato da tale prelibatezza in passato, volle scoprirne la composizione. Ma a chiunque domandasse, riceveva risposte fuorviani e diverse di volta in volta: carne di asinelli appena nai, cinghiali, manzo o vitello. Alla fine Labat si costrinse a rinunciare e ad accetare il prodoto gastronomico così come gli veniva servito. Bologna fece della mortadella il suo simbolo e il suo orgoglio campanilisico e un curioso esempio di tale vanto si evince dai giochi da tavola che proliferarono proprio in quel periodo. Nel 1691 Giovanni Maria Mitelli realizzò il “Gioco della Cuccagna”, una sorta di gioco

dell'oca in cui le caselle illustrate rappresentavano ognuna una ghiotoneria italiana: pane di Padova, gatafura (torta rusica al formaggio) di Genova, cantucci di Pisa, turone di Cremona ed altre. I concorreni si aggiudicavano le vivande in base al iro dei dadi, ovviamente i premi più succuleni erano quelli dal lancio più arduo: con un triplo due la trippa, con un triplo quatro le provature romane. Ma la ricompensa più ambita, che troneggiava al centro del tabellone con un uomo in piedi fra due salsiccioni enormi, grandi quanto la sua testa , e che si conquistava con un triplo sei era la mortadella che “ira tui” (vince tuto): la “raffa” maggiore.

COME IL CACIO... SUI MACCHERONI Formaggio è 'l primo nutrimento umano[...] minestre senza lui tortelli e torte non posson [...] vivande esser perfete, anzi insipide, sciocche, ingrate e morte- così recita con senimento Ercole Benivoglio, che nel Cinquecento scrisse un componimento in terza rima encomiasico nei confroni del bianco prodoto. Il formaggio non è mai mancato sulle tavole degli italiani, ricchi e poveri che fossero, e Pantaleone da Confienza, autore del più anico tratato conosciuto sui laicini, asserisce di aver visto nella sua vita re, duchi, coni, marchesi, baroni, nobili, soldai e mercani nutrirsene spesso e volenieri. Nonostante il monito della Scuola Salernitana “mangiato a piccole dosi non nuoce alla salute”, il sogno di tui è sempre stato quello di farsene una scorpacciata, magari gratato abbondantemente su un piato fumante di spaghei, il non plus ultra del gusto. Boccaccio lo sapeva bene e infai così trateggia il profilo dell'immaginario paese di “Bengodi” : eravi una montagna tuta di formaggio parmigiano gratugiato sopra la quale stavan geni che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli […]. La nostra leteratura atesta quanto radicato nei secoli sia il sodalizio tra pasta e cacio, se già nel Trecento simboleggia il massimo della goduria. Il parmigiano o lodigiano o anche piacenino, la varietà più fine delle lavorazione casearie, fin dal Medioevo ricevete un riconoscimento paricolare, occupando sempre i verici delle classifiche silate dai buongustai. Un marchio di bontà e pregio indelebile nel corso del tempo, la cui fama si sparse in tuta Europa. Nel 1666 il diarista Samuel Pepys seppelliva il suo “parmazan” in giardino per salvarlo dal grande incendio di Londra. Ne “L'isola del tesoro” di Stevenson, il dotor Livesey afferma: “Hai visto la mia tabacchiera? Eppure non mi hai mai visto fumare tabacco, la ragione è che vi tengo dentro un pezzo di formaggio parmigiano, un formaggio fato in Italia, e molto nutriente”. Dalla pianura padana alla diffusione capillare nel mondo, il parmigiano tutora si fregia di un nome e di una tradizione intramontabili e ineguagliabili e contribuisce insieme ad altri prodoi all'unicità della ricchezza culinaria d'Italia, il vero Paese della cuccagna.

L’«Indicazione Geografica Proteta» indica un marchio di origine che viene atribuito dall'Unione europea a quei prodoi agricoli e alimentari per i quali una determinata qualità, la reputazione o un'altra caraterisica dipende dall'origine geografica, e la cui produzione, trasformazione e/o elaborazione avviene in un'area geografica determinata.

La «denominazione d'origine Proteta» è un marchio di tutela giuridica della denominazione che viene atribuito dall'Unione europea agli alimeni le cui peculiari caraterisiche qualitaive dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stai prodoi.

La «Specialità Tradizionale Garanita» è un marchio di origine introdoto dalla Unione europea volto a tutelare produzioni che siano caraterizzate da composizioni o metodi di produzione tradizionali.


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CONTROCOPERTINA

Un mondo di auguri dalla redazione de


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