"La Discussione" N.21 sabato 16 novembre 2013

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ANNO LX

N. 21

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SABATO 16 NOVEMBRE 2013

€.1,00 SETTIMANALE POLITICO-CULTURALE FONDATO DA ALCIDE DE GASPERI

direttore responsabile: Antonio Falconio EDITORIALE

La verità offesa DI EMILIO FEDE

S

tanno volando gli stracci. Non soltanto nel mondo politico. Anche in quegli angoli della società dove si annida la corruzione, lo strapotere, l’ipocrisia. Da sempre popolato di ruffiani, di personaggio senza scrupoli che, a secondo dell’aria che tira, salgono e scendono dal carro del vincitore. E spesso sbagliano restando a terra per sempre. Qualcosa il senso di gratitudine dovrebbe insegnare. Ma come un giorno – io direttore del TG1, Spadolini appena chiamato a guidare il governo – mi disse: “la gratitudine – ricordati – è soltanto l’attesa di nuovi favori”. Vantare la morale è facile, ma occorre che nell’armadio – chi la predica – non abbia scheletri. Giornalisti, scrittori, mediatori di dibattiti televisivi sono – a volte – come direttori di una orchestra che non si accorgono che qualche strumento non partecipa al coro. Sembra che tutti sappiano di tutto e di tutti. E si vede, ormai, che la scelta ideologica, non l’obiettività, è quella che guida la linea da seguire. C’è una confusione di non verità, qualche volta di ricatti. La politica è spesso spietata. Offende la morale. Succedeva anche in passato. Ne parlavo con i protagonisti di allora Forlani, Craxi, Piccoli, più spesso con Aldo Moro. Moro. Ricordo un viaggio con lui, allora ministro degli esteri, quando ero inviato della Rai nel continente africano. Tornavamo dal Congo diretti a Tripoli per incontrare Gheddafi appena eletto leader della Jamairia libica. Il forte Ghibli, vento caldo del deserto – ci aveva costretto ad atterrare a Djerba. Moro voleva che nei suoi viaggi in Africa e non soltanto, fossi io a seguirlo come giornalista. Sulla pista dell’isola una curiosa coincidenza: era pronto per il decollo un aereo dell’Eni a bordo del quale doveva rientrare a Roma Emilio Colombo, allora Presidente del Consiglio. Un incontro sulla pista non prevedibile ma imbarazzante. Colombo arrivò con un gruppo di amici fedeli scendendo da un’auto–giardinetta con un cesto di fiori e frutta dell’isola. Con Aldo Moro, oltre me, c’erano Vittorio Cottafavi direttore generale del ministero degli esteri, Sereno Freato assistente-consigliere quanto mai vivace di Moro. Ci fu fra Moro e Colombo un breve colloquio. Poi noi a Ulisse Palace per una colazione in attesa di ripartire per Tripoli e Colombo per Roma. A tavola Moro pensieroso, parlava della Rai e di certe scelte dell’informazione, che non condivideva. Poi anche del suo progetto politico. Della sua intenzione di andare in parlamento per proporre il primo governo di centro-sinistra. Aggiunge, quasi in riflessione ad alta voce: “… vedrà caro Fede – mi dice – che faranno di tutto per impedirmelo”. Così sarà. La strage di via Fani, il rapimento di Moro, il calvario del confronto con le Br, il lungo patteggiamento fallito, l’esecuzione spietata, il corpo di Moro rannicchiato senza vita nel bagagliaio di una utilitaria abbandonata in via Caetani, nel centro di Roma. Il ritrovamento annunciato dal telefonista delle Br: “abbiamo ucciso Moro, andate in via Caetani e troverete il suo corpo”. Non si saprà mai chi materialmente ha compiuto l’esecuzione. Il perché certo mondo politico ha rifiutato la trattativa con le Br scegliendo così che Moro fosse assassinato. Conservo di Aldo Moro una lettera cortese e al tempo stesso affettuosa nella quale mi ringrazia di quanto professionalmente ho fatto accanto a lui durante i viaggi in Africa e, soprattutto, in Israele. Quella tragedia come tante altre sono ormai archiviate. Resteranno senza una verità vera. Chi poteva sapere ha scelto di portarsela nella tomba.

direttore editoriale: Emilio Fede

QUANDO VOLANO GLI “STRACCI” Mezzogiorno di fuoco Si stringono i tempi per una riforma delle legge eletorale da parte del Parlamento, prima che sia a farlo la Corte Cosituzionale che, a breve, dovrà valutare il profilo del “porcellum” in rapporto alle prescrizioni della carta fondamentale della Repubblica. Di tute le riforme annunciate questa della legge eletorale sembrava la più urgente, visto il coro unanime di esacrazione per l’atuale normaiva, ma, di fato, non se ne è fato niente, o quasi, sia per le difficoltà di un vasto consenso su un modello di riforma, sia per le riserve taciute delle oligarchie dei parii di perdere, con il porcellum, uno strumento ideale per affollare le camere di parlamentari di fato nominai, anche se formalmente elei. Sarebbe uno smacco cocente per la poliica se la Corte Cosituzionale dovesse ritenere ammissibili i dubbi di cosituzionalità su porcellum e decidere di conseguenza, rendendo evidente l’impotenza o la malafede dei parii, che da vari anni parlano di modifica della legge nei termini di una resituzione agli eletori della facoltà di scegliere chi li dovrà rappresentare in Parlamento. Una nuova legge eletorale pone comunque in quesione non solo problemi di garanzia per gli eletori, ma anche di salvaguardia di un pluralismo di presenze, che oggi sopravvivono a faica nelle gabbie di un bipolarismo non riuscito.

Un bipolarismo che l’atuale legge doveva assicurare, fallendo però clamorosamente nell’obieivo, come dimostra la situazione atuale di impotenza dei due blocchi maggiori, che ha costreto, voleni o noleni, ad imboccare la strada delle larghe intese. Una scelta, questa, che ha illustri precedeni e un probabile futuro in Germania, ma che in Italia, se non realmente condivisa dai contraeni sulle finalità ulime, rischia di produrre una condizione permanente di convulsioni e di impotenza. Una condizione che va superata, anche con un’intelligente riflessione sui guai del bipolarismo che, forzando idee, storie e uomini nelle gabbie di schierameni portai più alla compeizione che alla collaborazione,

La vignetta di Alex

politica

sta definiivamente distruggendo quel prezioso lascito delle esperienze poliiche dei primi cinquant’anni della Repubblica, dove era percepibile e vissuto un clima civile di confronto e il rispeto per le idee altrui. E le idee sono proprio quelle che la deriva dei parii atuali in comitai eletorali sembra aver scacciato dagli orizzoni del confronto e da una poliica sempre più prigioniera di taicismi o delle liturgie di un altro molock estraneo ed immobile, qual’è l’atuale fisionomia dell’ Unione Europea. Se ci sarà pluralismo nella rappresentazione e un profondo rinnovamento o una catarsi nella condizione dei parii, ci si accorgerà che nei dibaii di quesi giorni c’è un grande assente, che è il Mezzogiorno. Il Sud, quello per il quale il trenino De Gasperi pensò linee straordinarie di interveni pubblici, sul modello Keynesiano, e oggi sempre più alla deriva, fra crollo del suo sistema industriale, espropriazione degli strumeni del credito da parte di grandi gruppi, imposizione fiscale, dilagare dell’illegalità e delle strategie della delinquenza organizzata, caduta di credibilità dei poteri locali. Senza urgeni terapie d’urto e recupero di poliiche che non siano prigioniere dei dogmi rigorisi di Bruxelles, si rischia l’abisso di una vasta area di povertà e di ribellione nel sud dell’Europa. È questa, un’emergenza primaria, che non sembra nemmeno affiorare in quesi giorni, dove fioriscono inganni, trucchi meschini e volano sberle, non solo verbali, all’interno dei parii maggiori della coalizione di governo. GIAMPIERO CATONE

speciale

esclusivo

IL TERZO POLO?

L’INPS NON È UN BANCOMAT

di ADRIANA POLI BORTONE

di ETTORE DI BARTOLOMEO ● a pagina

di ALBERTO MACCARI

IO C’ERO A NASSIRYA di E F

LA RIFORMA ELETTORALE SECONDO RENZI

“LA TERRA DEI FUOCHI”

MILIO EDE

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economia

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LA DOCCIA FREDDA DELLA RIPRESA di TIZIANA SCELLI

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POLITICA

Il terzo polo? di Adriana Poli Bortone Politico

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ai come in quesi ulimi mesi il dibaito poliico è stato così acceso, sopratuto a causa della “vicenda PDL” che sta generando effei di grande momento nella poliica italiana. In primo luogo la fine dell’utopia del bipariismo (PD/PDL) e l’avvio di un bipolarismo ancora non metabolizzato da quani preferirebbero la nascita di un terzo polo libero nelle alleanze post – elettorali. In secondo luogo il riaffiorare di culture poliiche italiane che hanno alle spalle una lunga tradizione (destra, socialisi, catolici). Il che porta come conseguenza alla saggia cosituzione di un polo di centro e destra che può avere la legiima quanto fondata ambizione di governare l’Italia. A pato, però, che le posizioni siano chiare e non si bari nei confroni dell’eletorato. Fuor da ogni ambiguità bisognerà dire agli eletori che nel polo moderato (lo vogliamo chiamare conservatore rivoluzionario?) c’è spazio credibile per un importante parito di centro e per una destra sociale, popolare, nazionale ed europea che col centro sappia trovare le ragioni di un percorso poliico comune almeno negli obieivi fondamentali (presidenzialismo, partecipazione dei lavoratori alla gesione e agli uili dell’impresa, riforma della giusizia, rappori con l’Europa, difesa della famiglia e della vita). In tal senso il PDL (o quel che ne sarà) potrà riassumere in se le sensibilità di quelle formazioni poliiche che si dichiarano di centro – destra, con ciò stesso volendo sfumare la loro connotazione in un parito popolare che possa trovare casa nel PPE. La Destra deve essere un’altra cosa. Deve potersi riappropriare liberamente dei suoi temi e dei suoi valori. Il che non la mete in conflito col PDL/FI ma anzi rappresenta un importante valore aggiunto a quel polo di “centro e destra” che, intanto può vincere in quanto riesce a dare una offerta poliica diversificata ma complementare. E’ per questo che noi di Destra abbiamo unito le nostre piccole forze per dare spazio ad un grande progeto. E’ riduivo e perdente pensare che una formazione poliica possa nascere con l’obieivo minimale di accogliere quani, per un moivo o per l’altro, non vogliono riconoscersi più nel PDL/FI. Il Movimento per Alleanza Nazionale è nato per dar casa a quani erano stai sfratai da AN senza moivo, ma anche a quani, di Destra, avevano abbandonato il gusto del voto e della partecipazione, o, peggio ancora, avevano espresso la loro ribellione votando Grillo. Non è solo un’ambizione, ma una necessità. Per il popolo di Destra ma anche per un Centro e Destra che vogliano ritornare vinceni.

Gli “avverimeni” di Renzi

Riforma eletorale secondo Mateo

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oninua la marcia trionfale (ma sarà davvero trionfale, come dice qualcuno?) di Mateo Renzi verso la segreteria del Pd. E, siccome l’obieivo del sindaco di Firenze non è tanto la prima poltrona di Largo del Nazzareno quanto quella di Palazzo Chigi, una sua idea fissa è quella di un’immediata riforma eletorale. Perché non è un mistero che le elezioni anicipate rappresentano,l’unica strada che può portarlo al governo. E quali sono le proposte di Renzi per una nuova legge eletorale? Qualche seimana fa aveva deto a Bari che l’avrebbe presentata entro il 20 novembre. Ora, in una video-intervista su twiter, precisa: “Assolutamente prima delle primarie dell’8 dicembre, Non so se entro il 20 novembre o la seimana successiva”. Ed anicipa qualche punto: “la nostra proposta di legge va soto il nome ‘sindaco d’Italia’, cioè una legge eletorale dove si sa chi ha vinto”. E aggiunge: “Chi deve riformare il sistema di voto non si deve preoccupare di andare dal Porcellum al Superporcellum, al Porcellinum. La riforma eletorale deve essere una cosa seria, non una misera occasione per sfangare il giudizio della Corte Cosituzionale”. Il twit del sindaco arriva proprio nel giorno in cui la Commissione Affari Cosituzionali del Senato deve votare due ordini del giorno: il primo presentato da Pd, Sel e Scelta Civica sul doppio turno di coalizione; il secondo presentato dalla Lega sul ritorno al Materellum. Ma la proposta che proponeva il doppio turno ha ricevuto solo 11 voi a favore, 10 contrari e 4 astenui (che al Senato valgono come un no) dei grillini e del gruppo Autonomie. Se ne riparlerà la prossima seimana, dopo che la Commissione ha accolto la proposta del senatore Pd Luigi Zanda di sospendere i lavori. Questo servirà anche ai democraici

per esaminare l’ipotesi di Calderoli di riprisinare il Materellum come clausola di salvaguardia, una proposta che avrebbe il consenso di Sel e Scelta Civica. Renzi, comunque, ha un obieivo preciso, anche se non lo dichiara apertamente: il governo delle larghe intese deve finire. E se la Consulta deciderà in sostanza (il giudizio è ateso per il 3 dicembre) per un sistema proporzionale, “il Pd – dice Renzi – proporrà la sua legge eletorale e sono certo che ci siano i numeri in Parlamento per evitare il proporzionale; perché il proporzionale oggi significa la legiimazione permanente delle larghe intese”. Gira e rigira, in ogni discorso di Renzi emerge sempre la stessa tesi: sosteniamo il governo Leta, ma questo esecuivo deve fare delle cose (“lavoro, riforme isituzionali, abolizione del Senato). Se le fa, bene. Altrimeni… Renzi non dice qual è l’alternaiva ma questa è chiara a tui. Il ragionamento del candidato numero uno alla segreteria Pd è indiretamente rivolto anche ai cosiddei “innovatori” del Pdl, quelli cioè della linea Alfano: Ed il messaggio è chiarissimo: scordatevi il proporzionale, se farete la scissione, a salvarvi non ci sarà nessun meccanismo eletorale. Perché – è questa la tesi di Renzi – la nuova legge eletorale deve avere tre caraterisiche: 1) che si sappia chi ha vinto; 2) chi ha vinto deve governare, senza inciuci o larghe intese; 3) chi governa deve avere cinque anni di tempo. Cosa accadrà ora? I tempi della riforma si allungano, mentre si avvicina la data del 3 dicembre quando la Consulta dovrebbe pronunciarsi sulla legiimità del Porcellum. Il Capo dello Stato più volte ha chiesto di non arrivare a questa scadenza senza un progeto di riforma concordato. Qualcuno non esclude un’iniziaiva autonoma del governo: ne ha parlato lo stesso Enrico Leta, che nei giorni scorsi è salito al Quirinale per parlarne con Giorgio Napolitano, che martedì scorso aveva per l’ennesima volta esortato le forze poliiche a raggiungere un’intesa: “La discussione non è finita. Non si è getata la spugna… Ci vorrebbe un briciolo di senso di responsabilità”. ETTORE DI BARTOLOMEO


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SPECIALE NASSIRYA

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n Dieci anni fa la strage dei Carabinieri

Io c’ero a Nassirya D

ieci anni fa la strage dei Carabinieri a Nassirya e di due civili che erano lì nel deserto per realizzare un documentario sulla nostra missione di pace. Un camion carico di esplosivo esplode contro la base italiana. Un boato, fiamme e fumo nero. Le sirene dell’ambulanza, la gente in fuga. L’Italia in luto. Il dolore delle famiglie, l’angoscia dell’Arma dei carabinieri per i suoi figli cadui. Ma anche ribadire fedeltà agli ideali di Patria e di difesa della popolazione civile nei Paesi assediai dal terrorismo. Sono tornato a Nassirya tre anni dopo l’atentato. Con me una giornalista del TG4 Anna Migoto. Ho portato un fiore ed una piccola bandiera tricolore sul ceppo alla memoria dei nostri soldai. Ho raccontato per tre giorni in direta al TG4 la vita dei nostri militari che operavano in quella zona. E anche quelle donne soldato che rischiavano la vita tui i giorni. Ricordo che una di loro, caporal maggiore, alla quale avevo proposto di diventare giornalista e lavorare in televisione che rispose: “grazie preferisco coninuare il mio impegno nell’esercito della mia Patria”. Poi avverito dal ministro degli esteri Fraini e della difesa Marino sono

laDiscussione Settimanale politico­culturale fondato da Alcide De Gasperi

DIRETTORE EDITORIALE Emilio Fede DIRETTORE POLITICO Giampiero Catone DIREZIONE Antonio Falconio (RESPONSABILE) Alberto Maccari (Condirettore) EDITORE Editrice Europa Oggi S.r.l. Amministratore Unico Renato Catone Responsabile Marketing Bruno Poggi Piazza Sant’Andrea della Valle, 3 00186 - Roma Tel. 06.45496800 - Fax 06.45496836 segreteria@ladiscussione.com STAMPA Poligrafico Europa S.r.l. Via E. Mattei, 2 20852 - Villasanta (MB) Tel. 039/302992 CONCESSIONARIE PER LA PUBBLICITÀ Publimedia S.r.l. Via Turati, 129 - Roma publimedia@aruba.it Publistar S.a.s. Via Monte delle Piche, 34 - Roma publistar@fastwebnet.it DISTRIBUZIONE Press-di Distribuzione Stampa e Multimedia S.r.l Via Bianca di Savoia n. 12 - Milano Impresa beneficiaria per questa testata dei contributi di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche ed integrazioni

stato costreto a rientrare in freta perché i servizi segrei avevano avverito che si preparava un agguato per rapirmi. Quando quella missione è rientrata in Italia, il suo comandante generale Dalzini, ha organizzato in un teatro un raduno di soldai, ufficiali, medici ed infermieri della croce rossa, tui insieme per ricordare tuto per onorare coloro che avevano pagato con la vita. Sono stato chiamato sul palco dove un ufficiale in grande uniforme aveva su un cuscino di velluto la bandiera della missione. “La affidiamo a lei – ha deto il generale Dalzini – perché ne abbia cura”. Non ho potuto tratenere una grande commozione. Di norma le bandiere delle missioni militari vengono desinate alla teca del Quirinale. La bandiera è ora in una teca nel mio ufficio di Mediaset con una targheta dorata. C’è scrito: “ad Emilio Fede, la bandiera della missione”. La guardo con rispeto e amore. Ricordando che mio padre, vicebrigadiere dei Carabinieri, fu insignito di Medaglia di Bronzo al Valor Militare: “per avere salvato – recita la moivazione – la vita dei suoi uomini”. Bataglia di Dabera, Eiopia.

Quel 12 novembre 2003 In Italia erano le 8.45 del maino. A Nassiriya le 10.45. Un camion era riuscito a forzare il posto di blocco all'entrata, proseguendo la sua corsa sino alla palazzina di tre piani che ospitava il diparimento logisico e provocando una sparatoria. Dietro al camion un'auto imboita di esplosivo guidata da un kamikaze. Il bilancio fu di 12 carabinieri, quatro soldai dell'esercito e due civili italiani uccisi, nove civili iracheni mori, una venina tra militari e civili, rimasi ferii.

La tesimonianza del diretore editoriale de “la Discussione” Emilio Fede, protagonista di quei giorni nei quali l’Italia piombò nel luto


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GIUSTIZIA

di Federico Tedeschini Docente di Istituzioni di Diritto Pubblico

sanzionando chi riduce gli spazi destinati allo scorrimento ad area di parcheggio abusivo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e, in particolare, di coloro che hanno la sventura di circolare nei Capoluoghi di Regione, per non dire di quel che accade a Roma, dove alla progressiva paralisi del traffico privato si accompagna quella del trasporto pubblico locale, segnato da fatti su cui indaga la Magistratura penale e quella contabile. In questo quadro desolante, che richiederebbe controlli sostitutivi ed interventi repressivi dei Prefetti di cui non si ha più memoria in nome di una malintesa configurazione dell’autonomia comunale, si inserisce la proposta dell’ANCI di modificare in radice il Codice della Strada per dare ai Sindaci poteri ancora maggiori in materia di circolazione dei veicoli e – per supportare una simile proposta senza subire il rischio del lancio di uova da parte di automobilisti sempre più inferociti dall’inerzia di chi dovrebbe controllare il traffico e dalla pesantezza delle sanzioni recapitate in base alle rilevazioni elettroniche – si tenta di convincerli che, in tal modo, si ridurrebbe l’inquinamento e si valorizzerebbero mezzi di locomozione alternativi, quali la bici e i veicoli elettrici. Dietro questi commendevoli intenti si nasconde però una nuova trappola per tutti i contribuenti che hanno la sfortuna di possedere un mezzo di locomozione tradizionale: l’abbattimento del limite di velocità in alcune aree dei centri abitati da 50 a 30 chilometri l’ora. La proposta è stata presentata al Ministro delle Infrastruture con lo strepito mediaico di cui ogni lobby pubblica è capace e l’ANCI non fa eccezione neanche soto questo punto di vista e sicuramente, nel corso del dibaito parlamentare, numerosi deputai e senatori esibiranno tabelle e documeni dai quali risulterà come questo nuovo limite di velocità

L’introduzione, nel nostro ordinamento, dell’autonomia finanziaria dei Comuni – quella, per intenderci, che consente loro di introdurre addizionali alle imposte statali in misura variabile ed in apparenza dettata per garantire un determinato livello qualitativo dei servizi dispensati alla collettività locale – non si è rivelato strumento sufficiente a tenere sopra il livello di guardia i bilanci di quegli enti; ecco allora arrivare in loro soccorso l’elettronica: autovelox, telecamere di sorveglianza delle corsie preferenziali, parchimetri e quant’altro generosamente forniti da società private in cambio di una percentuale (il famigerato “aggio”) sull’incasso delle sanzioni irrogate agli automobilisti che non rispettano le prescrizioni, talvolta cervellotiche, deliberate dalla Giunta o addirittura determinate, con istruttorie ai limiti del risibile, da solerti dirigenti che – avvalendosi del mezzo tecnologico appaltato ai privati – alleggeriscono il lavoro della Polizia Municipale con il plauso delle associazioni sindacali di appartenenza, che così giustificano l’assenza dei controlli tradizionali e quindi la maggior comodità di lavoro dei fortunati agenti municipali. Vanno così a farsi benedire non solamente consolidati strumenti di garanzia per il malcapitato automobilista – ad esempio l’obbligatorietà del contraddittorio con il verbalizzante, istituita, per le infrazioni al Codice della Strada, oltre trenta anni prima della sua generalizzazione in tutti i rapporti con le Amministrazioni, come ha infine voluto la L. 241 del 1990 – ma anche la possibilità di segnalare tempestivamente abusi come la sosta in doppia fila o l’abuso di strumenti acustici come clacson e sirene: rende infatti molto di più il superamento del limite di velocità di qualche chilometro rispetto a quello determinato dall’ente proprietario, o la scadenza del tempo acquistato sul parchimetro, rispetto a quanto si potrebbe incassare,

Dietro questi intenti si nasconde una nuova trappola: l’abbattimento del limite di velocità in alcune aree dei centri abitati da 50 a 30 chilometri l’ora

Un nuovo strumento finanziario per l'autonomia comunale

Le sanzioni agli automobilisi sia da tempo in vigore in molte cità d’Europa; quello che però non diranno – forse perché non sarà stato deto neanche a loro – è che l’approvazione di un simile abbaimento varrà, per i Comuni ben più di una manovra finanziaria a quelli espressamente dedicata e vengo a spiegare perché, mostrando così pure le ragioni per le quali chi si occupa professionalmente di problemi della giusizia debba inevitabilmente affrontare anche problemi come quello dell'eccesso di potere legislaivo che sicuramente andrebbe ad affiggere una riforma del codice della strada nel senso appena descrito. Eccesso di potere legislaivo, dicevo, soto il profilo dello sviamento: quella paricolare figura per cui l'uso di un determinato potere finalizzato alla cura di interessi determinai viene uilizzato solo apparentemente per curare quesi ulimi, ma in realtà vuole raggiungere finalità e obieivi diversi rispeto a quelli per i quali l'uso di quel potere è stato conferito. Nel nostro caso il ricorso a questa figura è ancora più semplice, visto che il Codice della Strada non verrà riformato atraverso una legge,

bensì atraverso un decreto legislaivo emanato nell'esercizio di una delega che il Parlamento non darà al Governo (come sempre avvenuto finora quando si è tratato di riformare il testo unico correntemente denominato “Codice della Strada”). Una volta abbassato il limite di velocità a 30 all'ora, avverrà infai che i Comuni – soprattuto quelli con problemi di bilancio, che sono la maggioranza – daranno in appalto alle società private la rilevazione eletronica del superamento di quei limii, così moliplicando le loro entrate attraverso l'incameramento delle innumerevoli sanzioni che verranno inesorabilmente elevate atraverso la moliplicazione esponenziale degli autovelox. Sembrerebbe l'uovo di colombo per rimpinguare le esangui casse comunali; in realtà è solo un ulteriore strumento di vessazione dei contribueni nascosto dietro la necessità di aumentare la sicurezza sulle strade. Qualcosa però si potrà fare per insorgere contro questo modo maldestro di fare cassa, aumentando il prelievo e questo qualcosa consiste – oltrechè nel ricorrere al Prefeto prima e al Giudice di

Pace poi avverso le sanzioni così irrogate, giusificando il ricorso con le inevitabili carenze formali che questo modo di procedere quasi sempre presenta (non si spiegherebbe altrimeni il gran numero di ricorsi accoli dai Giudici di Pace in materia) – nel segnalare alla Corte dei Coni le eventuali anomalie riscontrabili nelle procedure di affidamento del servizio di rilevamento eletronico delle infrazioni: a giudicare dal cospicuo numero di giudizi di responsabilità avviai contro le amministrazioni comunali per il mancato ricorso a correte procedure negoziali finalizzate all'affidamento di questo servizio, è prevedibile che questo diveni uno degli ulimi episodi di quel malcostume tuto italiano consistente nell'approvare leggi con un fine apparente, indicato solo per nascondere – come in questo caso – finalità di segno completamente diverso. Dal canto loro, gli amministratori locali impareranno a proprie spese a non gravare i citadini di tribui, tasse sanzioni e quant'altro oltre i limii della media europea, che poi coincide con quanto umanamente tollerabile da parte di quesi ulimi.


LA TERRA DEI FUOCHI di Gabriella Sarno

La più grande catastrofe ambientale d’Italia e forse d’Europa. Un vero e proprio ecocidio. Nella lingua di terra a cavallo delle province di Napoli e Caserta, la gente coninua a morire a causa dello sversamento illecito di rifiui industriali tossici. Terra dei fuochi, così ribatezzata da Roberto Saviano in “Gomorra” richiamando le colonne di fumo nero provocate dai roghi appiccai sistemaicamente per far posto a nuovi carichi di rifiui. Un business divenuto la prima aività produiva della camorra e in paricolare dei Casalesi. Sono loro i veri responsabili di questo ecocidio che per troppo tempo tra connivenze poliiche, la colpevole assenza di una legislazione adeguata e le gravissime omissioni da parte di amministratori locali e di funzionari dello Stato, si sono mossi indisturbai trasformando quella che un tempo era Campania Felix nella patumiera d’Italia, incurani dei danni incalcolabili che stavano arrecando al territorio e alla popolazione. Un problema che l’Italia sembra non voler vedere. Per anni si è atribuita alla mala gesione del ciclo dei rifiui urbani la responsabilità di questo orrore che si consuma nelle terre campane. Un depistaggio artatamente costruito dai signori del business della “monezza” per sviare l’atenzione dalla vera matrice del fenomeno: lo smalimento illegale dei rifiui industriali fruto dell’evasione fiscale. Un fenomeno a due facce: l’una a caratere locale con discariche abusive a cielo aperto alimentate dai rifiui speciali di piccole fabbriche campane per produzioni proprie o parcellizzate su commissione di realtà imprenditoriali nazionali. L’altra, più subdola, quella delle discariche tombate di rifiui tossici industriali provenieni da grandi aziende per lo più del Nord. Secondo l’ulimo rapporto di Legambiente, dal 2001 sono state avviate 33 inchieste delle procure di Napoli e Caserta, il 15% di quelle nazionali. Negli ulimi 5 anni si sono registrate 2.068 infrazioni, 311 ordinanze di custodia cautelare, 448 persone denunciate e 116 aziende coin-

Terra dei fuochi

Terra dei veleni volte, 205 arresi per traffico e smalimento illegale dei rifiui pari al 30% sul totale dei reai ambientali commessi in Italia. Ma quesi numeri riescono solo parzialmente a perimetrare le dimensioni e la gravità del problema. Milioni di tonnellate di rifiui che in 30 anni hanno avvelenato e coninuano ad avvelenare le terre e le popolazioni coinvolte, atraverso la dispersione di sostanze inquinani nel suolo, nell’aria e nelle falde idriche. Massicce dosi di sostanze cancerogene volaili, diossina, Pcb, metalli pesani, fanghi industriali, materiali ineri, amianto, rifiui ospedalieri e residui di lavorazioni chimiche silenziosamente attentano alla salute di migliaia di persone. Uno studio del ISS, Senieri, evidenzia come nel gruppo degli 8 Comuni con i più ali livelli di esposizione per numero di discariche, Acerra, Aversa, Bacoli, Caivano, Castelvolturno Giugliano, Marcianise e Villaricca, si osserva un eccesso di mortalità generale del 9% per gli uomini e del 12% per le donne e nel caso del tumore epaico si è registrato l’aumento del 19% per gli uomini e del 29% delle donne, con picchi del’83% per le malformazioni congenite. Dai di fronte ai quali è difficile confutare la tesi della stretta correlazione tra esposizione ai rifiui e aumento di patologie mortali. E come se non bastasse, all’emergenza sanitaria si unisce anche l’emergenza dell’intero comparto agricolo campano considerato fino a qualche anno fa tra i più floridi d’Italia. L’allar-

mismo sulla sicurezza e salubrità dei prodoi ortofruicoli, unito alla mancanza di una mappatura precisa delle aree interessate, sta causando una vera e propria psicosi colleiva tra i consumatori, penalizzando anche le produzioni di pregio eseni da contaminazione. L’emergenza è soto gli occhi di tui. E lo Stato questa volta all’ennesimo grido di disperazione delle comunità locali non può non rispondere. Nel tempo le isituzioni hanno coninuato a fare sopralluoghi e collazionare dai in uno stanco rituale periodico che ha regalato solo speranze, illusioni e promesse. Le poliiche emergenziali adotate finora hanno paradossalmente aggravato il fenomeno, deresponsabilizzando la poliica locale e sottraendo a ogni forma di controllo tute le procedure con la formula degli affidi direi, divenendo in tal modo occasione di business per comitai di affari, collei bianchi e malavita organizzata. La recente sipula del Pato della Terra dei fuochi promosso dal viceprefeto, Donato Cafagna, sotoscrito dal Ministero dell’Interno, Anci, Regione Campania e dai 57 comuni delle due province, è un primo segnale di coordinamento tra isituzioni per le azioni di contrasto e prevenzione del fenomeno, ma siamo ancora all’inizio. Occorre molto di più. Il recente annuncio del Ministro dell’ambiente, Andrea Orlando, di voler inserire nel disegno di legge di Stabilità 2014, 120 ml per il contenzioso europeo per il ciclo dei ri-

fiui in Campania, 80 ml per le bonifica della Terra dei fuochi e 60 ml per il piano straordinario delle bonifiche delle discariche abusive, potrebbe cosituire un passo concreto per il rilancio del territorio. Anche se c’è il forte rischio che questa montagna di soldi si possa trasformare in un ulteriore colossale affare su cui lucrare. Siamo finalmente a un punto di svolta? Difficile da credersi, ma non c’è più tempo. Basta con annunci di soluzioni inadeguate, con proclami che sembrano avere la sola ragione dell’eco dei media. E’ ora di agire. Queste le richieste della popolazione e di quani hanno denunciato da anni l’avvelenamento del territorio. In questa parte d’Italia si muore! La manifestazione del 16 novembre a Napoli organizzata dal coordinamento dei comitai dei fuochi e alla quale ci si aspeta una partecipazione di massa non solo delle popolazioni coinvolte, ma di comitai provenieni da tuta Italia, ha il senso di un esperimento di nuove isituzioni dal basso. E’ un avverimento a quani in quesi anni hanno lucrato da questa situazione. Nasce un movimento capace di mobilitare la coscienza sociale del Paese, che chiede di partecipare al risanamento della propria terra. Stanchi di rivendicare, delusi dalle isituzioni e preoccupai del futuro che li aspeta, scendono in piazza. Sono comitai, rei, associazioni, centri sociali, colleivi studenteschi unii per un unico scopo: il dirito alla vita. Un fiume in piena ormai difficile da fermare.

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Don Patriciello “ci hanno rubato anche l’aria”

Don Maurizio, Lei è il parroco di una comunità che da decenni subisce sfrutameni e prevaricazioni di ogni genere. Quanto è difficile vivere quesi territori e che percezione si ha della presenza dello Stato? La percezione più forte è quella che si avverte quando ogni sera i fumi dei roghi tossici si levano nell'aria ed aggrediscono la gente fin dentro le loro case. I roghi si vedono, si toccano con mano, sprigionano diossina e devastano il territorio della mia gente, che resta indifesa ed atonita rispeto a questo fenomeno che coninua a mietere viime nell'indifferenza generale delle isituzioni. La persone hanno solo capito che gli hanno rubato l'aria; è una ingiusizia plateale, e quando vengono nella mia parrocchia non chiedono il pane ma la possibilità di respirare. Don Maurizio, Lei ha dichiarato di essere stanco di celebrare nella sua parrocchia i funerali di persone che muoiono a causa di malaie terribili. Come giudica l'incontro tra sindaci e parlamentari della commissione ambiente del Senato? Ogni incontro con le isituzioni è posiivo. E' un momento di riflessione comune su come aiutare le persone a non morire più per l'avvelenamento da rifiui industriali. Giudico importante che la commissione ambiente del Senato sia venuta a Caivano. In passato sono giunte fin qui anche altre commissioni e, a dire il vero, la situazione non è cambiata. L'importante è che si comprenda che quello della Terra dei Fuochi è un problema che purtroppo va al di là dei confini della regione Campania. E' un problema nazionale di cui poche volte i media hanno parlato. Il potere dei media è molto forte. Piangiamo e ci commuoviamo solo se la televisione ce lo impone altrimeni nemmeno facciamo più caso al prossimo in difficoltà. Ad esempio sono anni che combaiamo per difendere le vite di donne e bambini che muoiono di leucemia a causa della diossina nella più totale indifferenza. FRANCESCO LICASTRO


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LA TERRA DEI FUOCHI

Un fiume in piena

di Gabriella Sarno

«Stop biocidio» è lo slogan che sarà scandito dalle migliaia di persone che oggi arrivano a Napoli da tuta Italia. «È un momento fondamentale per la protesta perché è un punto di incontro di tute le iniziaive messe in campo finora sulla problemaica della terra dei fuochi» - afferma Gianmaria Tammaro del coordinamento comitai fuochi. «Tuta l'Italia deve capire che è giunto il momento di lotare per difendere il dirito alla vita, alla salute, alla terra; vogliamo dare espressione a questa rabbia e a questo dissenso maturai nei confroni di una poliica irresponsabile che non ha saputo dare risposte. Ma non ci fermeremo qui». Gli fa eco Susanna Franina di Rete Commons. «La paura del futuro ci fa scendere in piazza. È dai tempi della discarica di Pianura che loiamo perché noiamo che su ogni vicenda dei rifiui c'è sempre una matrice comune: l'emergenza costruita ad arte per essere risolta da dite conniveni. Siamo in mano sempre alle stesse persone. Quelle che hanno fato finta per anni di non vedere e oggi propongono soluzioni per le bonifiche». Il fiume in piena che si appresta a far senire tuta la propria energia nel capoluogo partenopeo non sembra avere i connotai di una semplice protesta a caratere territoriale. Parlando con i promotori della manifestazione si ha la sensazione che sia nascendo un nuovo movimento che va ben oltre i confini campani e rivendica la voglia di essere protagonista delle scelte determinani per il futuro della propria terra. «Noi vogliamo il risanamento ambientale, sociale e civile dell'area - afferma Antonio Musella giornalista che da anni segue le vicende di Terra dei fuochi». «Il risanamento si fa con la partecipazione dei citadini e il controllo delle opere di bonifica da parte di organismi terzi. Diciamo no a leggi speciali e allo stato di emergenza perché significa sotrarre al controllo pubblico l'iter degli appali. Un'esperienza già vista con i commissariai speciali i cui risultai sono soto gli occhi di tui». Il rapporto di fiducia tra citadini e isituzioni da queste pari si è roto già da tempo. «Per anni le isituzioni, a parire dalla Regione Campania, ci hanno raccontato che non c'era relazione tra i rifiui, i roghi e l'aumento delle malaie e che le stesse erano dovute agli sili di vita dei campani. Di fronte all'evidenza dei fai, la poliica ha fato marcia indietro e oggi paradossalmente gli strateghi del negazionismo della terra dei fuochi fanno a gara nel proporre soluzioni improbabili». Il ricorrere di alcuni nomi nel corso di questa complessa vicenda alimenta fori

sospei sulla gesione dell'emergenza in Campania. «Ad esempio - denuncia Musella - Umberto Arena, consulente della giunta Bassolino per il piano rifiui, è consulente ora del Presidente della Regione Caldoro. Ha la catedra alla seconda università di Napoli, la stessa università, dove insegnano il prof Carotenuto, commissario straordinario per la realizzazione del termovalorizzatore di Giugliano e la prof Colao, moglie di Caldoro, che ha la catedra alla Federico II ma è componente del cda della Sun. La stessa Colao che qualche giorno fa ha rilasciato un'intervista nella quale ha dichiarato il proprio sceicismo sull'aumento delle patologie tumorali nella Terra dei fuochi. Il professor Arena lo ritroviamo anche nell'Amra (Analisi Monitoraggio Rischi Ambientali) una delle società che deiene il paccheto di maggioranza del polo tecnologico di Bagnoli, si occupa di bonifiche e poche seimane fa ha tenuto un seminario alla Federico II sulle bonifiche in agricoltura. Un classico esempio di come i collei bianchi, che fino a poco fa si sono interessai di smalire rifiui, oggi guarda caso si occupano di bonifiche. Alla luce di quesi episodi siamo ancora più preoccupai per le affermazioni del Ministro Orlando che ha convocato un consiglio dei ministri per il 15 novembre, giorno prima della manifestazione di Napoli, per portare un disegno di legge relaivo al problema dei roghi. E' il segnale che si preferisce procedere senza ascoltare la voce dei comitai e della gente che il 16 dirà cosa vuole». E il popolo della terra dei fuochi di proposte concrete ne ha e come:«chiediamo innanzituto la perimetrazione delle aree inquinate e la realizzazione di bonifiche in situ atraverso fitodepurazione. Un sistema suggerito dall'Isde, Medici per l'ambiente, e dagli agronomi della Facoltà di agraria di Porici che consente il recupero dei terreni in un arco temporale che va dai cinque ai dieci anni con spese contenute. Accanto a quesi interveni è necessario lavorare alla messa in sicurezza delle falde acquifere e alla realizzazione di aree «no food» e colivazioni fuori terra. Chiediamo infine il potenziamento del servizio sanitario pubblico a parire da quello dei repari oncologici. In Campania si coninua indiscriminatamente a chiudere repari negli ospedali. Non si può vincolare la spesa sanitaria ai pai di stabilità o ai piani di rientro. Bisogna procedere agli esami tossicologici gratuii per i citadini. Non vogliamo sapere come o perché moriremo, perché già ne conosciamo le cause, ma almeno quando moriremo in modo da poter scegliere almeno le cure più opportune» conclude Antonio Musella.

Quel maledetto codice

Dopo la farsa del registro dei tumori in Campania, prima isituito con legge regionale n.19 del 2012, poi annullato dalla Corte Cosituzionale perché incompaibile con il deficit sanitario della Campania, poi isituito nuovamente dal Commissario straordinario per il rientro del deficit (lo stesso Presidente di Regione, Stefano Caldoro) che ha disposto solo 100 mila euro invece del 1,5 ml previsto dalla Regione, i medici dell’ISDE Campania, Associazione Medici per l’ambiente, diffondono su Facebook i dai raccoli dalle Asl Na2 Nord relaivi alle richieste del codice di esenzione icket per neoplasie (048). I dai sono agghiacciani. Un aumento di richieste che in 4 anni in alcuni comuni supera l’80%. Eppure i teorici del negazionismo coninuano a non voler ammetere l’esistenza di una streta correlazione tra i veleni che si sprigionano dai roghi tossici, rifiui interrai e l’aumento di patologie maligne che si riscontra nella popolazione di queste terre. Si accusano i medici ambientalisi di allarmismo, ma intanto 4.000 malai di cancro in più sono un dato di fato. Gli stessi medici dell’ISDE invitano alla cautela, sotolineando che non si trata di un’indagine a valore scienifico ma dinanzi a un aumento così marcato di neoplasie chiedono integrazioni con dai ufficiali ed evidenze staisiche.


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L’uomo della rinascita italiana

Alcide De Gasperi

Alcide De Gasperi può essere ormai iscritto, a quasi sessant’anni dalla sua morte, come un autentico Padre della Patria. Si deve a lui, alla sua azione politica, la ricostruzione del Paese dalle rovine della seconda guerra mondiale, l’avvio di una grande stagione di riforme mai tentate prima, la riconciliazione fra cattolici e laici per un obiettivo di bene comune, la fondazione della Democrazia Cristiana, come erede diretta del patrimonio di idee e delle piattaforme programmatiche del Partito Popolare, soppresso dal fascismo. Un titano delle idee e dell’azione, il testimone di una convinta fede cristiana che visse come stimolo alla promozione delle classi più disagiate, un esemplare esempio di vita, contrassegnata dall’austerità dei comportamenti e dalla salda condivisione dei valori familiari. Fu anche protagonista di un tempo di transizione fra l’Europa ancora assegnata dalla storia degli antichi stati e di quelli appena nati nel secolo XIX e i grandi sconvolgimenti provocati dalla grande guerra. Deputato nel Parlamento dell’Austria -Ungheria nel 1911, quando il Trentino era ancora parte dell’Impero, e in prima fila poi nel sostenere l’annessione all’Italia e uno statuto autonomo per la sua regione. Rappresentava, a Vienna, il Partito Popolare trentino; di conseguenza, nel dopoguerra, fu fra i primi ad aderire al Partito Popolare Italiano, fondato da Don Sturzo. Ostile al fascismo, di cui ravvisava la natura totalitaria, sostituì Don Sturzo, an-

La mia speranza di una Europa unita è ancorata non soltanto ad una visione della fantasia, ma ad una tendenza cui partecipa tutto il mio spirito. Credo che sia l’unico sbocco costruttivo in Europa

IL SOGNO EUROPEO

la visione internazionale

dato in esilio, quale segretario del PPI; partecipò alla protesta dell’Aventino contro l’umiliazione del Parlamento, fu arrestato e condannato a quattro anni di reclusione per antifascismo. Liberato dal carcere, preparò l’avvento di tempi nuovi esercitando il lavoro di semplice impiegato presso la Biblioteca Vaticana, dove conobbe un giovanissimo studente: Giulio Andreotti. Nella stagione della Resistenza, ricostituì la Democrazia Cristiana e fu Ministro nei governi di unità nazionale, guidati da Bonomi e da Parri.

Diventato Presidente del Consiglio in un esecutivo che comprendeva democristiani, socialisti, comunisti ed azionisti, si trovò ad affrontare il duro passaggio verso la stipula del Trattato di pace; memorabile fu la sua intransigente e dignitosa difesa dei diritti dell’ Italia nella Conferenza di Parigi, dove i vincitori ripiegarono su condizioni meno penalizzanti per il nostro Paese. Con il precipitare verso la guerra fredda fra l’Occidente e una vasta area dominata dal totalitarismo comunista, De Gasperi non

ebbe altra scelta, peraltro estremamente convinta, che fu quella di rompere l’alleanza con le sinistre e di formare un governo di centro, suffragato dalla grande vittoria della DC nelle elezioni dell’aprile 1948. Fu ininterrottamente alla guida del governo con socialisti, democristiani, liberali, repubblicani, fino al luglio 1953, quando dovette registrate il fallimento, per pochi voti, della sua riforma elettorale che prevedeva l’istituzione di un modesto premio di maggioranza. Dal settembre 1953, torna alla guida del partito, fino al congresso democristiano di Napoli del luglio 1954, dove si affermò una nuova generazione democristiana, che aveva fra i suoi protagonisti Fanfani e Moro. Morì poco tempo dopo e i suoi funerali videro una straordinaria partecipazione di popolo. Alla sua capacità di guida e alle sue idee, si deve non solo la ricostruzione del paese, dopo le immani distruzioni della guerra, ma si deve anche la promozione della riforma agraria, che liberò definitivamente l’Italia dalla vergogna dei grandi feudi, l’avvio dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno e delle grandi trasformazioni nella nostra economia, la costruzione di un’Europa come casa comune e non più terreno di guerre. Alcune delle sue intuizioni, come quella della Comunità Europea di difesa, furono vanificate, ma altre restano valide per ricostruire la nostra democrazia e realizza una reale integrazione europea. A NTONIO FALCONIO


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GLI ARCHIVI DE

Dall’inserto speciale de “La Discussione” n° 13, del 6 aprile 1981, realizzato in occasione del centenario dalla nascita di Alcide De Gasperi, riper­ corriamo l’analisi della sua visione della democrazia e del ruolo, dentro di essa, dei democratici cristiani, della sua opera nella costruzione dello Stato democratico e del posto da lui scelto ed ottenuto per l’Italia nel contesto internazionale.

IL SOGNO EUROPEO

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La C.E.D. come primo solido nucleo per l’unità dell’Europa Che il Presidente De Gasperi abbia avuto decisive intuizioni sulle giuste linee di politica estera attraverso le quali l’Italia potesse uscire dall’isolamento postbellico, è oggi riconosciuto anche da molti che allora lo contrastarono duramente. Ma mentre per l’Alleanza Atlantica, per la riconquistata pace ai confini, per alcuni sviluppi dell’Europa comunitaria e per altri traguardi si trattò di “realizzazioni” compiute nel periodo degasperiano, un punto rimase invece inattuato e fu l’autentico cruccio che lo tormentò fin nelle ultime settimane di vita. Mi riferisco al Trattato della Comunità Europea di Difesa, sottoscritto con tante speranze a Parigi il 27 maggio 1952 e finito due anni dopo nel nulla per la mancata approvazione proprio dell’Assemblea Nazionale francese. E’ impossibile dire se avrebbe avuto diversa sorte qualora l’Italia avesse nel frattempo ratificato – come De Gasperi tentò in tutti i modi di convincere a fare . Ma, anche se tenue, resta sempre un’ombra nella storia contemporanea del nostro continente. Uomo non certo particolarmente dedicato ai problemi strategici, De Gasperi fu della C.E.D. assertore convintissimo. Più di altri conosceva i pericoli di un risorgere di militarismo tedesco e, d’altro canto, sapeva bene come la mortificazione della Germania aveva l’altra volta pro-

vocato l’esplodere del micidiale riarmo tedesco. Attraverso l’integrazione, anzi la fusione degli eserciti di sei Paesi, il popolo di oltre Brennero avrebbe partecipato con pari dignità alla comune difesa dell’occidente senza rischi di ricadute autarchiche e militariste. Ma, accanto a questo obiettivo di prevenzione, la C.E.D. costituiva, secondo la chiara impostazione di De Gasperi., il primo solido nucleo soprannazionale dell’unità dell’Europa. Lo schema elaborato prevedeva che il reclutamento, attuato dagli organi di cia-

scuno Stato, venisse compiuto in maniera uniforme sia per la leva obbligatoria, sia per il personale specializzato professionale. Unici lo stato giuridico del personale, l’amministrazione della forza, i regolamenti tattici e tecnici, l’istruzione e la formazione dei quadri, i modelli di uniforme (con qualche segno tradizionale per ricordare le rispettive glorie del passato). In ogni Nazione si sarebbe avuta una unità di base omogenea studiata funzionalmente per ciascuna forza armata. Per l’esercito di terra il gruppo che sostituiva le prece-


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“ Lo statista trentino vedeva nella Comunità Europea di Difesa la base su cui fondare la prima autorità sovranazionale europea

di Giulio Andreotti da “La Discussione” n.13 del 6 aprile 1981

denti divisioni., era diviso in tre tipi: fanteria, corazzati, motorizzati. Era nel quadro superiore – il Corpo d’Armata – che si formava l’”assiepamento” di tre o quattro gruppi, di diversa provenienza nazionale, per un complesso di ottantamila uomini. Anche per aeronautica e marina (salvo la flotta di alto mare che almeno nel primo momento non entrava a far parte della Comunità) erano previsti precisi schemi di inquadramento e di inserzione. I servizi relativi alle necessità delle forze della Comunità dipendevano dagli

organi della Comunità stessa, le cui istituzioni erano: il Commissariato (equivalente ad un Ministero della Difesa composto di nove membri, nominati per sei anni), il Consiglio dei Ministri, l’Assemblea di Controllo. Il Trattato prevedeva che entro sei mesi l’assemblea entrava in un organismo federale basato sul sistema bicamerale e sulla divisione dei poteri. Eravamo quindi dinanzi ad un preliminare di Costituente che una successiva Conferenza – a termini ravvicinati – avrebbe formalizzato dando vita alla Federazione Europea.

De Gasperi così ricostruì l’itinerario percorso rivendicando la paternità della politicizzazione: “Dalla primitiva ricerca di mezzi per rafforzare la difesa dell’Occidente si è a poco a poco venuto delineando un obiettivo ben più ampio: la realizzazione dell’Unità europea e l’abolizione degli storici conflitti che da secoli dilaniavano l’Europa occidentale. Conflitti che in un mondo così strettamente legato e interdipendente quale è quello moderno, erano ormai divenuti vere e proprie guerre civili. Il governo italiano è fiero di aver potuto portare alla costruzione il suo contributo, effettivo e da tutti apprezzato, ottenendo che fosse inserito nel progetto di trattato l’incentivo per la creazione della Federazione Europea, i cui organi saranno ispirati alle tradizioni democratiche e parlamentari comuni ai sei Paesi partecipanti. E ci auguriamo che anche gli altri Paesi europei le cui istituzioni si ispirano agli stessi principi democratici vogliano presto aggiungere i loro sforzi ai nostri su questa via”. Come già in occasione dei dibattiti parlamentari sul Patto Atlantico, De Gasperi reagì nettamente contro la tesi che la C.E.D. fosse una congiura contro la Russia. “Noi vogliamo realizzare l’Europa – disse – e la vogliamo realizzare non per escludere sempre la Russia, ma per trattare, per chiarire, per far la pace con la Russia. Questo

è il nostro ideale, la nostra forza; ma prima dobbiamo sapere cosa vogliamo e trovare entro noi stessi la forza di ricostruire un’Europa e di darle una vitalità ed un campo d’azione”. Subito dopo la firma del Trattato cercò di acquisire nuove adesioni, di chiarire dubbi e di rimuovere ostacoli più o meno dichiarati. Fu molto contrar aiuto dalla ostilità di Churchill, che pure aveva per primo parlato di esercito europeo. Churchill gli disse con brusco realismo che l’Inghilterra aveva un Impero da difendere e che, del resto, la Francia era ostile alla ratifica. In verità i francesi dettero immediata prova di ripensamento, sia in campo strettamente politico (con una aperta opposizione guidata dal socialista moderato Jules Moch) sia tra i militari, alcuni dei quali senza sottintesi dichiararono impossibile riconoscere parità di diritti alla Germania, per due volte responsabile di una guerra. Aperte polemiche suscitavano inoltre le condizioni comparative: un voto ponderato del 33,6 per cento alla Germania contro il 27,6 della Francia. De Gasperi prese posizione in proposito, sostenendo (24 febbraio 1953) che la C.E.D. costituiva una garanzia per l’Europa quindi anche per la Francia, non soltanto nella sua posizione di nazione europea, ma anche di potenza con esigenze di doveri extraeuropei. Non esiste alterna-

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tiva all’unità europea perché alla prospettiva di progresso in una libertà tutelata dall’unità si contrappone soltanto quella di finire nell’”asservimento”. Per aiutare le forze francesi favorevoli alla C.E.D. De Gasperi aderì anche a protocolli aggiuntivi, pur sentendo che ne limitavano l’apertura ideale. Le sue ultime parole da Presidente del Consiglio a Montecitorio si riferirono proprio al timore che la Francia (“che prima ci ha fatto la proposta, che per un anno ha trascurato questa questione e ci ha chiesto protocolli interpretativi che noi a fatica abbiamo concesso”) facesse cadere il progetto della C.E.D. Con grande vigore disse: “Nessuno dubiti della profondità della mia convinzione, la quale non è nata ieri. La mia speranza di una Europa unita è ancorata non soltanto ad una visione della fantasia, ma ad una tendenza cui partecipa tutto il mio spirito. Io credo che questo sia l’unico sbocco costruttivo in Europa, l’unica speranza, senza ripiombare nei passati conflitti e nelle passate negazioni”. E l’11maggio dell’anno successivo – avendo accettato benché minato nella salute la presidenza dell’Assemblea della Comunità del Carbone e dell’Acciaio, dall’alto seggio di Strasburgo spezzò un’ultima lancia per la C.E.D. che – disse – “costituisce la messa sotto controllo comune dell’uso delle forze militari e non bisogna arrestarsi di fronte alle difficoltà, nell’interesse


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della pace e del comune benessere”. Tre mesi dopo De Gasperi moriva, proprio nei giorni nei quali la C.E.D. veniva travolta dalla reazione francese, forse anche in collegamento con la difficile via d’uscita della questione indocinese. Il seme nascosto doveva però ben presto fruttificare. E quando i Trattati di Roma diedero vita alla CEE e all’EURATOM e più tardi confluirono nuove adesioni tutti avvertirono che la politica di De Gasperi finalmente si era potuta affermare. La sua fermezza in questo storico periodo deve anche guidare nell’odierno superamento di ostacoli sul cammino comune, mai tali da poter compromettere l’ulteriore progresso.

L’EDIFICIO EUROPEO «L’edificio europeo non può essere costruito con materiale prefabbricato, perché si deve tenere conto delle tradizioni stoiche, degli interessi, delle aspiorazioni poliiche e militari. E, come in tute le costruzioni, se, durante gli scavi per le fondazioni, s’incappa in un sotosuolo archeologico e geologicamente debole, allora bisogna meter mano alle perforatrici» (Conferenza stampa, Roma 26 luglio 1952)

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li autorevoli scrii che ricrdano qui Alcide De gasperi convergono tui su un punto: la eccezionale figura di poliico e di staista, che ha avuto mrilievo domiunante negòli anni 1945-1954 dela storia d’Italia, emerge co,e una autenica scultura di primo piano del movimento poliico dei catolici italiani. È uno sguardo complessivo sul suo pensierio., sulla sua esperienza umana e poliica, indissolubilemnte intrecciate e percorse da una intensa spiritualità crisiana: è una analisi della sua visione della democrazia e del ruolo - dentro di essa - dei democraici crisiani, della sua opera nella costruzione dello Stato democraico, ed infine del posto da lui scelto ed otenuto per l’Italia nel contesto internazionale. Ne risultano evideni il valore ed il trato irripeibili della sua personalità, ma al tempo stesso la piena appartenenza di De Gasperi alla storia del movimento poliico dei catolici italiani. È sempre stato percepito da tui l’alto valore storico della collaborazione, da lui sempre voluta, tra catolici e laici democraici per garanire la coninuità del processo unitario del Paese. Egli fu protagionista alla guida dell’Italia per soli oto anni. Eppure, dalla ricostruzione alle scelte internazionali, questo breve periodo è diventato un vero e proprio “tempo storico”. La dura eredità del fascismo gli gravò sulle spalle con pesi quasi insopportabili, dalle rovine materiali della guerra all’atacco alla integrità territoriale del Paese. Ma furono spalle resisteni, che condussero un’Italia unita e democraica alla scelta occidentale e alla costruzione europea.

IL SOGNO EUROPEO

«Quando nelle nostre manifestazioni diciamo e acceiamo la formula “senza differenza di religione e di fede” intendiamo affermare una norma di tolleranza civile, cioè di rispeto della libertà delle coscienze; ma non è con ciò che acceiamo come principio della vita pubblica l’indifferenza. Non lo acceiamo per le nostre personali convinzioni; ma, se esse fossero anche diverse, non potremmo accetarle come uomini di Stato, di governo, come poliici italiani, perché il senimento religioso cosituisce ancora in Italia l’elemento più forte e più fecondo della solidarietà, tanto è vero che, anche nella polemica, ogni parte tenta di richiamarsi alla comune legge del Crisianesimo, al conceto della fraternità degli uomini., alla paternità di Dio»

Un invito alla riflessione


LA TERRA DEI FUOCHI

Registro tumori vergogna Campana Intervista ad Antonio Marfella zione, cosa sino ad ora mai fata, Oncologo non già sul correto smalimento

Dotor Marfella, Lei di recente è stato ascoltato dalla commissione Ambiente del Senato, quali sono state le sue riflessioni? Ho partecipato a due audizioni in Senato. La prima in Commissione Salute il 10 setembre scorso e la seconda in Commissione Ambiente il 10 otobre per dare chiarimeni ai parlamentari sulle dichiarazioni di padre Maurizio Patriciello e dei comitai civici di Terra dei fuochi. Noi ritenevamo e riteniamo ancora che Terra dei fuochi è una quesione di caratere nazionale e non locale. La quesione nodale su cui dobbiamo concentrarci è porre la nostra aten-

dei rifiui solidi urbani ma sul ciclo e sullo smalimento dei rifiui industriali in Italia. Ho chiarito che il danno sanitario non parte e non è causato dai rifiui urbani ma dai rifiui tossici industriali scorretamente smalii. È possibile prevedere un sistema di tracciabilità efficiente dei rifiui industriali? In Italia la tracciabilità esiste, ma soltanto su carta. Questo è il vero problema. Siamo l'unico paese in Europa in cui il sistema di tracciabilità non è ancora informaizzato. Siamo pagando il ritardo dell'entrata in vigore del Sistri (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiui) che prevede l'informaizzazione dell'intera filiera dei rifiui speciali a livello nazionale. Il paradosso è che mentre una persona fisica può essere tracciata atraverso il cellulare, noi non tracciamo i Tir che trasportano rifiui speciali. Abbiamo degli enormi ritardi in tema di legislazione del reato ambientale e del sistema di monitoraggio dei rifiui tossici. Sono quesi i moivi per cui noi oggi affroniamo il problema terra dei fuochi. L'emergenza

Terra dei fuochi è stretamente legata alle aività produive locali e nazionali in regime di evasione fiscale. In Campania, ad esempio, si produce il 44% del totale nazionale del falso griffato. Dato ufficializzato di recente dal Ministro Zanonato. Non è quindi un caso che il 43% dei reai ambientali si commetano nella nostra regione. Se si realizzano scarpe e borse che ufficialmente non esistono, non si possono smalire per vie legali i rifiui speciali al termine del ciclo produivo. E questo è una parte del problema. Ma si deve prendere in considerazione anche l'aspetto nazionale. Per anni ho studiato e analizzato flussi, cause e indagini della magistratura cercando di capire, di guardare oltre il fenomeno finale, appunto «il rogo tossico» o il «tombamento» di rifiui tossici, per risalire alle vere cause e alla composizione del materiale che veniva bruciato e/o «tombato» nelle nostre terre e che coninua ad avvelenarci ogni giorno.Considerato che ad una aività produiva in regime di evasione fiscale si accompagna, obbligatoriamente, uno smalimento scorreto di rifiui industriali e tossici propor-

zionato, e che l'industria del sommerso fatura 272 miliardi di euro, è estremamente facile intuire come quella enorme forza produiva«in nero»del Nord, si sia affidata al brokeraggio della Camorra campana, reale controllore del territorio specie nelle province di Caserta e Napoli, per lo smalimento occulto illegale e sopratuto pesantemente tossico. Non si può spegnere Terra dei fuochi se non si mete fine all'evasione fiscale. E' evidente allora che ci sono dei buchi nel sistema di trasporto. Bisogna puntare su un rifiuto industriale a km 0 in modo da impedire che la filiera sia deviata facendo smalire ciascuno nella propria regione. Il registro tumori della Campania è ancora inesistente. Come mai secondo lei? La quesione del registro tumori è un altro degli esempi di gesione finalizzata alla non trasparenza. Se si consulta il registro tumori Veneto o Lombardia, si scoprono due cose. Il registro è isituito presso il centro locale di ricerca sul cancro e per ogni sede vi sono dai aggiornai. In Campania tuto questo non esiste, non abbiamo ancora dai ufficiali. Come ho menzionato nella relazione presentata al ministro Balduzzi, siamo la regione più giovane d'Italia con la più alta percentuale di tumori e due anni di vita media persa negli ulimi veni anni. La legge regionale che isituiva il registro tumori è stata azzerata. L'Isituto tumori Pascale

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può ad esempio raccogliere i dai, ma non li può leggere. Noi saremmo proni a operare per la realizzazione del registro tumori, ma non abbiamo l' autorizzazione. Non è accetabile che in una Regione che ha visto alcuni consiglieri incriminai per aver speso in regali e balocchi circa 2,5 ml di euro e che spende 4 ml per il sito isituzionale, non si trovino i fondi per isituire il registro tumori. La regione ha la responsabilità della letura e della pubblicazione dei dai sui tumori. Se la assuma. Qual è l'impato sul sistema sanitario nazionale di questo avvelenamento colleivo? Nella sola regione Campania, negli ulimi vent'anni si è ridota di due anni la vita media di circa 6 milioni di campani. Lo studio Senieri, contemporaneamente computa circa 10.000 mori in più rispeto alla media nazionale per patologie tumorali. Se consideriamo che in Oncologia il costo della cura per ciascuno di essi è di circa 50mila euro/vita/anno, si deduce che a seguito dello scorreto smalimento di tali rifiui industriali, il danno sanitario è computabile in non meno di 500 milioni di euro/anno nazionali, e non meno di 300 milioni di euro anno di spesa sanitaria indota nella sola regione Campania. E solo per il cancro. Queste sono cifre ampiamente sotosimate ma che devono rendere ragione di come la quesione sia vitale per la sopravvivenza stessa del Sistema Sanitario Nazionale.


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LA TERRA DEI FUOCHI

Il verdetto che ha smantellato l’impero dei rifiuti

Venicinque anni di indagini giudiziarie, processi e rivelazioni di penii di camorra. Questa è Terra dei fuochi. Tuto ha inizio quando il penito di camorra, Nunzio Perrella, pronuncia la famosa frase «'a munnezza è oro». Si comincia a dipanare la matassa dell'intricato traffico della Rifiui spa: non è più la droga il centro degli affari malavitosi bensì la monnezza. Un sistema che garanisce ai clan maggiori introii e pene irrisorie. Da queste rivelazioni nasce Adelphi (1993), la madre di tute le inchieste che si risolve in una condanna per abuso di ufficio e corruzione dell'ex assessore all'ambiente di Napoli Perrone Capano e per altri 6 imprenditori. L'inchiesta, tutavia, ha il merito di fare luce sulle dimensioni del fenomeno e su come la camorra abbia tessuto, insieme a imprenditori, poliici e personaggi legai ad ambieni massonici del calibro di Licio Gelli, un'intricata rete di società di comodo, mediatori senza scrupoli e collei bianchi«che si proponeva di acquisire, in modo direto, la gesione, il controllo totale di tute le aività di raccolta, trasporto e smalimento di ogni rifiuto prodoto da aività industriali o produive, anche del genere tossico-nocivo, in zone diverse del territorio nazionale, e in paricolare la gesione monopolisica delle discariche ubicate nel casertano e nel napoletano»affermano i magistrai Aldo Policastro e Giuseppe Narducci. Le dichiarazioni recentemente de-secretate di Carmine Schiavone, risaleni all'audizione del '97 presso la Commissione speciale rifiui del Senato, confermano ciò che era già noto all'atenzione delle indagini nel corso degli anni. Un avvelenamento senza precedeni delle terre comprese tra Laina e Caserta; milioni di tonnellate di rifiui

sversai illegalmente. Un «clan di stato» per dirla con le parole di Schiavone, che poteva contare sull'appoggio di 106 sindaci della provincia di Caserta. Emerge, altresì, che i Casalesi entrano nell'affare monezza solo negli anni '89-'90 con la complicità di un tessuto imprenditoriale già da tempo in affari nel traffico dei rifiui tossici tra nord e sud. Si avvia così un sodalizio micidiale, una vera e propria macchina da guerra «tra mio cugino Sandokan e Francesco Bidognei, insieme a Cerci Gaetano, che aveva già intratenuto rappori con dei signori di Arezzo, Firenze, Milano e Genova; il coordinamento generale era comunque curato da Chianese»- dichiarava Schiavone. L'avvocato Cipriano Chianese, imprenditore di Parete (Ce), riconosciuto come il vero ideatore del traffico illecito dei rifiui, ricorre spesso negli ai giudiziari delle diverse inchieste sul tema rifiui. Insieme a Gaetano Cerci (nipote di Bidognei, iscrito alla P2 e itolare dell'azienda «Ecologia '89»), muoveva le fila del«sistema rifiui». A lui è da ricondurre il caso Resit, la discarica di sua proprietà in località Scafarea nel comune Giugliano, accusato di aver provocato l'avvelenamento di 220 etari di terra per lo sversamento di oltre 800.000 tonnellate di fanghi tossici (a cominciare da quelli dell'Acna di Cengio) che hanno irrimediabilmente compromesso anche la falda acquifera adiacente. Nel tempo si sono succedute altre inchieste giudiziarie (l'operazione Cassiopea, Houdinì, Re Mida, Carosello, Ulimo ato, Marco Polo, Madre terra, Chernobyl, Ecoservice) che, pur delineando le dimensioni della micidiale consorteria mafiosa che banchetava sulla pelle delle popolazioni del triangolo della morte, si sono in praica tute risolte in

Una sentenza storica dopo vent’anni

un nulla di fato tra scadenza dei termini di prescrizione e pateggiamento delle pene per il colpevole ritardo legislaivo in materia ambientale. Infai, l'unico delito previsto dal codice dell'ambiente è il traffico illecito di rifiui, ex aricolo 53 bis del decreto Ronchi del 2001 (atuale art. 260 del Dlgs 152/2006). Norma che estende la portata invesigaiva con la possibilità di fare intercetazioni telefoniche e ambientali, ma che prevede una prescrizione di soli 6 anni per i tre gradi di giudizio. In precedenza l'illegalità ambientale è stata, invece, materia solo contravvenzionale. Il reato di disastro ambientale ex 434 cp., invece, è più difficile da dimostrare perché, secondo la Consulta, oltre alla colpa, occorre dimostrare anche il dolo intenzionale del fato delituoso. Nel 2010 si è rimediato solo in parte al vacuum legislaivo con il piano animafia, legge 136, che ha introdoto il reato previsto dall'aricolo 260 in quelli di competenza delle Direzioni distrettuali animafia, raddoppiando così la prescrizione da 6 a 12 anni, applicabile solo ai reai commessi dopo il 2010. Così i signori della monnezza sono sempre riuscii a farla franca o a limitare i danni. Fino allo scorso 31 otobre 2013. La sentenza che ha smantellato l'impero dei rifiui gesito dal clan Belforte di Marcianise è di portata storica. Per la prima volta si riesce a provare l'inserimento della criminalità organizzata nella filiera della gesione illecita dei rifiui. Fenomeno da sem-

pre denunciato ma che stavolta è riconosciuto e punito dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il Presidente Maria Francica, su richiesta del P.M. Maria Crisina Ribera, ha condannato in primo grado per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiui, a 18 anni di reclusione, Giuseppe Butone e a 13 anni Pasquale Di Giovanni, promotori ed organizzatori dei traffici dei veleni per conto del clan Belforte. Un processo che ha consenito di far luce sulla evoluzione imprenditoriale della Camorra in Campania. Una camorra imprenditrice fiancheggiata da collei bianchi, dipendeni pubblici e tecnici compiaceni che hanno contribuito alla creazione di un sistema quasi perfeto per far sparire i rifiui industriali pericolosi nelle terre del casertano e della provincia di Napoli. I clan figurano in tute le relazioni commerciali dei rifiui con una rete di broker e mediatori che si sosituiscono agli esatori del pizzo alla vecchia maniera. In questo caso era la società Sem, intermediaria dei rifiui di Butone e Di Giovanni, a esigere le tangeni in modo «legale» atraverso la sua opera di intermediazione per conto del clan. I produtori dei rifiui e gli smalitori dovevano necessariamente rivolgersi a loro per non avere problemi con la criminalità locale. Questo elemento ha consenito di contestare l'associazione per delinquere di stampo camorrisico insieme al traffico organizzato di rifiui. Una volta avvenuta la «mediazione» il traffico dei

rifiui veniva deviato atraverso una fita rete di società che, senza alcuna abilitazione specifica, gesivano e tratavano in maniera fiizia i rifiui facendoli uscire da impiani non a norma con codici idenificaivi (Cer) fasulli. In questo caso, era la Biocom a gesire un impianto per il compostaggio dove i rifiui entravano come tali ed uscivano tal quali anche se cerificai come compost ad uso agricolo. Peccato che nel compost risultavano residui di lavorazioni edili. Un impero societario gesito atraverso prestanome che provvedevano alla copertura del business con un enorme giro di faturazioni false. Una produzione documentale anomala cui non corrispondeva alcun servizio reale. Società di comodo come la Sama, la Nico, la West e West service che davano una giusificazione alle provviste illecite provento del traffico di rifiui. Questa sentenza ha il merito di legare il traffico illecito di rifiui, ex art. 260, all'associazione a delinquere di stampo camorrisico, ex art. 416 c.p., estendendo le facoltà invesigaive dei magistrai e consentendo la comminazione di pene ben più severe. «Una sentenza storica» commenta Maria Crisina Ribera, della Dda di Napoli, itolare di molte importani inchieste su rifiui e camorra, che traccia una strada precisa per le altre invesigazioni in corso. Una vitoria otenuta in gran solitudine che regala alle comunità locali un rarissimo ma prezioso momento di sollievo perché, per la prima volta, giusizia è fata!


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ECONOMIA

A proposito di tagli sulle pensioni più alte

L’INPS non è un bancomat Scorrendo le cronache dei lavori parlamentari di quesi giorni per il varo della legge di stabilità, si ha purtroppo la conferma che l’Inps coninua ad essere considerato una sorta di Bancomat ogni volta che servono soldi per far quadrare il bilancio dello Stato. Peggio: ogni volta che servono risorse per rientrare nella “gabbia” europea del 3 per cento di deficit rispeto al Pil. Fra le migliaia di emendameni, che spuntano come funghi per modificare la legge di stabilità, tornano a far capolino alcuni che ripropongono un prelievo straordinario sulle pensioni più ricche; secondo i proponeni quelle che superano i 90 mila euro lordi all’anno. Si parla, infai, di reintrodurre un contributo (definito “di solidarietà”) del 5 per cento per chi supera i 90 mila euro e del 10 per cento per chi supera la soglia dei 150 mila euro l’anno, lordi naturalmente. Se questo contributo straordinario verrà introdoto, non è esagerato dire che si traterà di un vero e proprio sequestro di quanto dovuto ai pensionai. Basterà un esempio per dimostrare la legiimità o meno di questa ulteriore tassazione delle pensioni più ricche. Pensiamo a due gemelli: uno versa regolarmente i contribui all’Inps; l’altro deposita in banca la stessa cifra, e con la stessa cadenza, in un conto vincolato. Dopo quarant’anni i due fratelli fanno i loro coni e scoprono che chi ha versato all’Inps riceve una pensione molto minore della rendita del gemello, il quale oltretuto si trova un cospicuo capitale liquido a disposizione, più o meno maggiore del doppio di quanto versato per effeto degli interessi composi. L’esempio è paradossale, ma rende bene l’idea. Viene da chiedersi perché accade questo; eppure le banche non sono certo un esempio di generosità. Evidentemente c’è qualcosa che non funziona nell’amministrazione dei fondi dell’Isituto Nazionale di

La doccia fredda della ripresa Le previsioni sull’andamento economico del nostro Paese stanno diventando come una doccia fredda coninua: se un giorno qualcuno ipoizza la ripresa, il giorno dopo un altro la esclude. E’ esatamente quello che sta accadendo in quesi giorni. Il presidente di Confcommercio Sangalli ha deto chiaro e tondo che “il 2014 non sarà cero l’anno di una ripresa sostanziale. E questo anche per effeto di una legge di stabilità, che se non verrà correta in Parlamento, lascerà di fato irrisoli i problemi struturali della nostra economia, e sopratuto non avvierà quella stagione di riforme che auspichiamo da tempo”. E dire che solo alcuni giorni fa sia Bankitalia, sia il ministro dell’Economia avevano confermato segnali di ripresa già alla fine dell’anno. E il ministro Saccomanni coninua a ipoizzare una ripresa il prossimo anno: “Dopo una grave a prolungata crisi – ha deto all’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza – l’aività economica dell’Italia si sta stabilizzando e il Paese si sta avviando ad una graduale ripresa”. Chi ha ragione? Cerchiamo una risposta dalle cifre disponibili. Secondo la Confcommercio la contraffazione dilagante rischia di devastare leteralmente il setore: potrebbero sparire 43 mila negozi. Venire meno 79 mila posi di lavoro. Secondo la Confederazione il faturato sotrato al commercio al detaglio legale nel 2013 dovrebbe sfiorare i 9 miliardi di euro, pari al 4,9 per cento del faturato regolare. L’illegalità nel commercio è molto superiore al Sud e nelle Isole rispeto al resto del Paese. Solo nel comparto turisico di bar e ristorani, il faturato abusivo nel 2013 dovrebbe su-

perare i 5 miliardi di euro, praicamente il 10 per cento del volume d’affari del setore. Stando, dunque,alle proiezioni di Confcommercio, non c’è da stare molto tranquilli, anche perché non c’è ripresa senza una crescita dei consumi privai. I numeri che porta, invece, il governo con il ministro Saccomanni parlano di una crescita del Pil nel 2014 dell’1,1 per cento e di livelli vicini al 2 per cento l’anno successivo. Ma secondo l’Istat, la produzione industriale (che pure a setembre ha segnato un rialzo dello 0,2 per cento sul mese precedente) su base annua resta in diminuzione per la venicinquesima volta consecuiva, con un calo del 3 per cento, anche se il ritmo di caduta rallenta. Nella media del trimestre luglio-setembre l’indice ha registrato una flessione dell’1 per cento rispeto al trimestre precedente. Se guardiamo ai primi nove mesi dell’anno, la produzione è scesa del 3,9 per cento rispeto allo steso periodo dell’anno precedente. Sempre sul fronte della produzione industriale, il Centro Studi di Confindustria sima un incremento della produzione industriale dello 0,3 per cento in otobre su setembre. Ma in otobre siamo – sempre secondo Confindustria - a meno 25% di distanza dal livello di aività all’inizio della crisi (aprile 2008). E per ulima arriva la previsione di Moody’s. L’agenzia di raing si aspeta un ritorno della crescita in Italia dopo due anni di recessione con un Pil nel 2014 che oscillerà fra lo 0 e l’1 per cento. Ma anche qui non manca la consueta doccia fredda”: anche il prossimo anno coninuerà – dice Moody’s – la crescita della disoccupazione che sarà fra il 12 e il 13 per cento. TIZIANA SCELLI

Previdenza. Ma non certo per colpa degli amministratori (che per la verità negli ulimi anni hanno fato un lavoro egregio); piutosto per colpa di certe leggi che, in buona sostanza, scaricano il costo dell’assistenza sempre sull’Inps e, dunque, sui capitali desinai alle pensioni. Dunque, il primo problema è quello che atribuisce all’Inps l’onere sia del pagamento delle pensioni sia della quota di assistenza. Ma non è il solo. L’altro problema è quello delle migliaia di persone che percepiscono una pensione pur non avendo versato regolarmente tui i contribui. Sono i beneficiari della Legge Mosca. Giovanni Mosca, esponente della Cgil e parlamentare socialista, fu il relatore di quella legge che conseniva, dietro la semplice dichiarazione del rappresentante del parito o del sindacato, di otenere la pensione oltre agli arretrai (addiritura a parire dal 1948). E’ così che molissime persone – pur non avendone i itoli – hanno otenuto il dirito ad una pensione anche in assenza di reali contribui versai. La legge Mosca fu varata nel 1974, doveva durare solo due anni ma fu prorogata per altri vent’anni. Per la verità l’intento della legge era giusto: si tratava di sanare la situazione di un ceninaio di persone che nei decenni successivi al dopoguerra avevano prestato la loro opera nei sindacai o nei parii senza che nessun contributo fosse versato all’Inps. Come poi succede spesso nel nostro Paese, della norma “eccezionale” approfitarono in moli (si calcola oltre 37 mila persone per un costo a carico dell’Inps che supera i 12 miliardi di euro). C’è infine da ricordare che un analogo “contributo di solidarietà” sulle pensioni oltre i 90 mila euro è stato dichiarato ani-cosituzionale dalla Consulta. Riuscirà questo precedente, insieme alla sostanziale opposizione del Pdl, a bloccare questa nuova tassa sulle pensioni più alte? ALBERTO MACCARI


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CULTURA

Money honey i pericoli estinguono le api di

Chiara Catone

“L

e api hanno bisogno di te”- così gridano ai pendolari i manifesi che tappezzano la metropolitana di Londra. E poi aggiunge amaramente: “quasi quanto ne hai bisogno tu”. La campagna di sensibilizzazione invita i citadini a versare un piccolo contributo, tre sterline, con un sms ricevendo in cambio del loro gesto un saccheto di semi di fiori selvaici “beefriendly” da interrare, per airare le api una volta sbocciai in primavera. Pochi spiccioli per salvare l'umanità. Si dice, ma è una delle tante profezie che gli vengono atribuite, che Einstein avesse predeto il tracollo della razza umana, solo quatro giorni di sopravvivenza, con l'esinzione totale di quesi piccoli insei laboriosi. Leggenda o meno, la verità è innegabile: l'impollinazione garanisce il nostro stesso sostentamento, se consideriamo che ben setanta delle cento specie di colture, che corrispondono al 90% del nutrimento mondiale, derivano dal loro lavoro. Una sola colonia di api può fecondare 300 milioni di fiori ogni giorno. Una funzione vitale che viene brutalmente tarpata dall'effeto dei pesicidi, della siccità, del riscaldamento globale e dalla massiccia distruzione del loro habitat naturale. Come di norma avviene in quesi casi, si resta assoggetai alla cinica legge del guadagno e l'urgenza di monocolture e prodoi dall'aspeto arificiale ha la precedenza sull'ecosistema. Al di là dell'alone di mistero, che le mulinazionali intendono ad ogni costo mantenere, la scienza ha fato senire la propria voce con due studi, uno inglese e uno francese, che confermano le ipotesi finora sostenute. Si è dimostrato purtroppo che i pesicidi neonicoinoidi impiegai nella colivazione di mais intaccano con esii catastrofici il ciclo vitale di api e bombi. Pare infai che quesi insei esposi a livelli non letali di imidacloprid

o iametoxan producano l' 85 per cento in meno di api regine e si disorienino sulla strada di ritorno all'alveare. In moli casi, essi morirebbero atraversando la nube tossica soffiata in aria dalla seminatrice, tratasi del cosiddeto fenomeno dell'impolveramento in volo. In Italia l'uilizzo dei neonicoinodi è vietato dal 2008, ma il bando scade tra un anno e gli apicoltori si sono già aivai per un suo prolungamento. Nel fratempo, la Commissione europea è intervenuta nel tentaivo di arginare lo sterminio degli insei gialloneri e a parire da dicembre prossimo saranno accantonai i micidiali aniparassitari per almeno due anni. Un primo passo in favore delle piccole creaturine, che garaniscono la stabilità dell'agricoltura europea con 22 miliardi di euro. A tui coloro che vogliono abbracciare l'iniziaiva beefriendly Greenpeace ha messo in moto un'organizzazione volta a tutelarle e a preservarle, a cominciare da semplici gesi quoidiani. Per i più combaivi, si può firmare la peizione su www.SalviamoLeApi.org, rivolta al ministro dell'agricoltura Nunzia De Girolamo, richiedendo l'abolizione di tui i pesicidi e impollinatori nocivi per api e impollinatori e l'adozione di praiche agricole sostenibili, favorendo la biodiversità, oppure si può scaricare il modulo di raccolta firme e scendere in campo personalmente nell'avvicinare quante più persone al problema. Per quelli che amano stare in trincea ma non intendono stare a guardare vigliaccamente, basta seguire qualche semplice drita: bandire dal proprio armadieto ogni ipo di prodoto chimico, prediligere cibo biologico, che non dipenda da un'agricoltura industriale, e scegliere fiori alletani per le amiche alate, quali la calendula, la lupinella o la facelia. I più diligeni possono targare il proprio angolo green col cartello “Qui api al sicuro” (sempre reperibile sul sito), immortalarlo e postarlo o su Facebook o su Twiter #SOSapi.

Schizzinose ed immortali

La api nel mondo classico

G

li anichi, che in genere rispetavano i limii e non prevaricavano sulla natura, avevano intuito il loro compito straordinario di trasferire il polline dall'apparato maschile a quello femminile dell'organo riprodutore floreale e avevano di conseguenza sviluppato un imore reverenziale nei loro confroni, atribuendo a siffai insei qualità divine. Un esempio illuminante ci viene fornito da Virgilio, che dedica il quarto libro delle Georgiche all'apicoltura. Egli narra che Giove neonato, nascosto in un antro del monte Dite, venne nutrito dalle api. Per ricompensarle della premura, il dio le insignì dell'onore di vivere in una società perfeta, regolata da regole ideali, privilegio mai accordato ai mortali: “soltanto han figli in comune, consori le case, trascorrono le vite soto leggi magnanime, e sole conoscono la patria e sicuri penai”. La loro vocazione al lavoro, la subordinazione dei singoli alla colleività e l'incrollabile fedeltà al re, difeso col sacrificio della propria vita, dipende secondo il poeta laino anche anche da un superiore, prodigioso ed aseico modo di riprodursi, che non le costringe ad indulgere nei piaceri viziosi dell'eros, né a generare con le doglie. Pare, anzi, che disdegnino le trasgressioni sessuali, aggrediscano coloro che provengono da un appuntamento amoroso, che odorano di mirra o di vino e in generale provino avversione per ogni ipo di lusso o mollezza. Vedendole all'opera, dunque, è evidente che “le api appartengono ad una mente divina e hanno dell'etere eterno respiro”. Simili insei dal genus immortale non possono che essere i protagonisi di un prodigio, la bugonia, ovvero la rinascita di uno sciame dal corpo corroto di un vitello ucciso. Virgilio s'affreta a sciorinare nel detaglio le fasi del procedimento, qualora i favi siano ormai disabitai per improvvisa moria e s'intenda compiere il miracolo. Molte sono le versioni sostenute dagli autori laini; in linea di massima è necessario reperire una piccola costruzione cubica, di dieci cubii per lato, fornita di una sola porta e di quatro finestrelle, che, alla fine delle operazioni, vengono sigillate ermeicamente con la creta; al suo interno si introduce un bue corpulento di due anni e mezzo, dopo averlo percosso con delle mazze, dapprima lentamente, poi sempre più violentemente, fino a frantumarne ossa e carni, con l'accortezza, però, di non provocargli ferite. Infai, le api non si posano dove vi sia del sangue o del grasso. Trascorse tre seimane, possono penetrare aria e luce, purché il vento non soffi con forza, ma, non appena le viscere ribollono di larve, occorre serrare di nuovo e aspetare dieci giorni quando, all'apertura del tumulo, “come un acquaz-

zone riversato dalle nubi esive o come frecce allo scoccare dell'arco”, volerà via un folto sciame ronzante, lasciando dietro di sé corna, ossa e peli della viima. Virgilio non si limita ad istruire sulla tecnica di rigenerazione, ma atribuisce il merito della sua scoperta al pastore d'Arcadia Aristeo. Egli, perdui i suoi alveari, scopre di essere incorso nell'ira divina per aver involontariamente causato la morte della ninfa Euridice, morsa da un serpente mentre tentava di sfuggirgli. Un ato scabroso che inevitabilmente scaccia le api che, ormai è noto, pretendono un comportamento irreprensibile, detestando l'adulterio. La favola ha un lieto fine, con Aristeo che officia il rituale per placare lo sdegno delle ninfe e rigenera gli insei dalle carni dei tori immolai. Ma c'è dell'altro, che spiega la profonda venerazione che i Romani nutrivano nei confroni delle api e rivela lo smisurato potere che atribuivano loro. Terminate le fasi del rito allesito da Aristeo, avviene l'agognata bugonia: “dalle viscere putrefate dei buoi in tuto il ventre ronzano le api e ribollono dai fianchi aperi ed escono fuori immense nubi e già si raccolgono sulla cima di un albero e pendono il loro grappolo dai flessibili rami”. Questo passo presenta delle similitudini con un episodio del sesto libro dell'Eneide, quando l'eroe giunge nei Campi Elisi per incontrare il padre Anchise. Ad un trato, l'atenzione di Enea viene atrata da un folto gruppo di anime ai margini di un bosco atorno al fiume Lete, “come nei prai quando le api nella serena estate si posano sui fiori colorai e si riversano atorno ai candidi gigli”. Si trata di anime in procinto di reincarnarsi, che si abbeverano al fiume dell'oblio per dimenicare la vita precedente. Il tentaivo del pastore di riotenere i suoi favi rappresenterebbe allora l'allegoria della trasmigrazione delle anime. Come dunque gli sciami in nube nera si alzano dalle carcasse degli animali sacrificai, così le anime aleggiano simili ad api sulle sponde del fiume, pronte a rigenerarsi. A tal proposito Porfirio, filosofo greco, riporta che “api” anicamente erano chiamate “tute le anime avviate alla nascita”, con l'avvertenza che fossero “giuste”, a guisa delle innumerae gentes dei Campi Elisi. Immortali, prodigiose, pudiche e diciamolo un po' schizzinose: per gli anichi le api erano quanto di più perfeto potesse esserci sulla Terra, creature rispeto alle quali l'uomo sfigurava. Ora, invece, se non si corre ai ripari, si profila il tetro miraggio, in un ipoteico domani, di robot alai, che si posano con stridio metallico su affaicai fiori dalla corolla sdentata. CHIARA CATONE


CULTURA

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Il mondo di Pompei di Diana De Feo Senatrice

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on c’è tregua per Pompei. Un'altro crollo, un'altra perdita di idenità, un'altro dissesto per l'anica cità sepolta. Martedì 5 novembre "il Maino", con un itolo a tuta pagina, annunciava: "Pompei perde altri pezzi, giù il muro di una Domus a via dell'Abbondanza, la parete era corrosa dall'erbacce", una noizia che rimbalza sulla stampa nazionale e internazionale. Michal Day scrive su Indipendent: "l'inesimabile patrimonio culturale Italiano si sta lentamente, ma inelutabilmente disintegrando, ed il declino del famoso sito archeologico è una metafora della nazione". Stesso conceto espresso dal N.Y. Times e da Le Monde: "Pompei crolla, simbolo di un Italia in stato di catastrofe culturale" Carolyn Lyons, del Financial Times racconta: "sono rimasta esterrefata, i soffii pendevano, le parei erano irrimediabilmente danneggiate". Sabato 9 novembre l'ex Ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca, in un intervista al Il Maino dice: "Pompei è lo spread dell'Italia". Ma negli scavi, contrariamente alla crisi nazionale, i soldi non mancano; ci sono a disposizione 105 milioni di euro di fondi europei, il commissario Hahn ha gli occhi puntai su di noi, e preme per una soluzione rapida dei problemi. La prima verifica è fissata per il prossimo 7 gennaio. Vi sono inoltre gli introii della biglieteria della "sovrintendenza speciale", oltre 21 milioni che ogni anno entrano in cassa, e che dovrebbero almeno, servire per la manutenzione ordinaria del sito. Dopo 36 mesi dal crollo della Schola Armaturarum e la disponibilità da circa due anni dei 105 milioni di euro messi a disposizione dell'Unione Europea per il sito archeologico, si è fato ben poco. Nel 2011 due interveni, per il restauro degli apparai decoraivi e parietali della Villa dei Misteri, importo di un milione duecento otantamila euro, aggiudicato con oltre il 38% di ribasso, interveni approvai dalla sovrintendenza precedente e finanziai dalla gesione commissariale. Nel 2012, un solo intervento degno di nota, con fondi ordinari: i restauri della Casa dell'Efebo e delle case limitrofe, per un importo di meno di seicentomila euro. Sempre nel 2012, vengono aggiudicai i lavori di consolidamento e restauro della Casa dei Dioscuri, per un importo di un milione e cinquecentomila euro, su fondi del "Grande Progeto Pompei". Nel 2013, risultano aggiudicai i lavori di consolidamento e restauro della Casa del Criptoporico, per un importo di cinquecento sessantatré mila euro, con un ribasso del 56%, e restauro della Casa degli Amorini Dorai, di cui non conosciamo l'importo. Siamo in atesa, dal dicembre 2012, di sapere chi eseguirà i lavori, forse i più importani, per la conservazione di Pompe, relaivi all'asseto idrogeologico, (il progeto, indicato delle universita di Genova e Milano, costato sete milioni di euro, è stato approvato), indicai dall'Unesco come prioritari , lavori da avviare prima del termine ulimo del gennaio 2014, indicato dall'Europa. Atualmente si va avani con un appalto ogni quatro mesi. Al momento solo cinque canieri avviai, su trentanove da aprire entro il 2015, pena la revoca, per la parte non spesa, dei fondi europei. Se si coninuasse di questo passo servirebbero trent'anni. Il ministro Bray è perfetamente al corrente della situazione, essendo diventata Pompei una priorità culturale, poliica ed internazionale, è a questo scopo che ha deciso di isituire una Direzione Generale che possa metere mano, con immediatezza, al proseguimento dei lavori. Purtroppo, ad oggi, non si conosce ancora il nome di chi ne assumerà la carica.

Macchiavelli, maestro del sospetto

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el 1993 una operazione editoriale portata avani da Silvio Berlusconi volle trovare nel “Principe” di Machiavelli la legiimazione della vita poliica atuale. Furono pubblicai alcuni volumei in copie numerate, da offrire ai suoi amici come strenna natalizia. Accanto a “L'elogio della pazzia” di Erasmo da Roterdam, a “L'Utopia” di Tommaso Moro, apparve “Il Principe” di Niccolò Machiavelli corredato da due prefazioni dello stesso Berlusconi. Prima di lui solo Beino Craxi si era prodoto in tale impresa. Egli sotolinea che in quel panphlet l’autore trova “la fonte della ragion di Stato “nella ragion di mercatura", accoglie inoltre l'invito per un uomo di potere, ad essere come la “golpe” e come il “lione” ed a curare con la massima atenzione la propria immagine, foriera di consenso popolare. L’ex premier indica agli imprenditori italiani la modernità del pensiero machiavellico che va posto a fondamento della ragione del mercato, al quale vanno conformai rappori sociali ed isituzionali. Anche l'idea di un redentore d’Italia fa breccia nel cuore del presidente che vuole con il segretario fiorenino un leader capace di sollevare le sori del Paese e nel quale probabilmente egli stesso si idenifica. Niccolò Machiavelli è il più grande tra gli umanisi italiani, resituisce dignità e centralità all’uomo, che diviene protagonista del suo desino a prescindere da Dio. Egli ha in sé la ragione del proprio essere e lo realizza operando. Laico e materialista, dà spazio al pessi-

mismo antropologico, che scaturisce dalla reiterazione degli errori storici, in quanto gli eveni ritornano, ma gli uomini restano sempre gli stessi. Conosciute le leggi che regolano l’essenza umana, il principe deve servirsene per il progresso dello Stato. Fu iniziatore della saggisica, come genere leterario, ma sopratuto padre di una nuova scienza:la poliica, vista come forma autonoma della vita spirituale, disinta dalla moralità, con fini e metodi propri. Isola la categoria dell'uile dall’eica, ritenendo che appartenessero a sfere diverse, quindi non interageni. Individua nell’uile il fine concreto che appariene agli uomini e allo Stato, ma che va sublimato nella Patria. Analizza la realtà effetuale: come si vive, non come si dovrebbe vivere, per sviluppare la sua teoria. Ferinitas ed humanitas, componeni della natura umana, fanno del principe il vero centauro, egli le esercita relaivamente alle esigenze ed ai casi paricolari. Il mondo è cosituito da un volgo ignorante e chi governa, considerando ciò, deve essere forte come il leone ed astuto come la volpe. Padrone di sè si eleva sulla corrutela umana, perchè dotato di virtù poliica, cioè intelligenza e creaività, indispensabili per fronteggiare, domare ed indirizzare la fortuna a proprio vantaggio. Egli va più temuto che amato, perché la coscienza della pena garanisce fedeltà.- La virtù poliica quindi non necessita di alcuna eica, essa è l'esaltazione di una forza tuta terrena che non ha niente a che vedere con fides,

spes e caritas. Con lui si rompe l'equilibrio tra Reale e Ideale, terra e cielo, uomo e Dio. La religione anica beaifica solo gli uomini pieni di mondana gloria, la virtù crisiana esalta mariri e sani che rendendo effeminato l’animo umano. Per il principe il vero valore consiste nella simulazione della virtù che sosiene l’azione. Egli non deve essere buono, ma apparire buono, non escludere il bene, ma sapersi servire del male. Qualunque mezzo è lecito se sostenuto dalla Ragion di Stato. Il fine giusifica i mezzi, locuzione peraltro mai pronunciata dall’autore stesso, ma che discende dalla correta interpretazione dal suo pensiero. Il successo dell’azione poliica è riscontrabile nell'efficacia delle conseguenze. Machiavelli mete in crisi l’autorità sancita tanto dalla religione, quanto dalla morale laica, giusifica e legiima la sua ideologia, basandosi sulle leggi della natura e dalla storia. Più che scienziato della poliica, egli è il pensatore della modernità, che invita a cercare soto le moivazioni e le ideologie dichiarate i veri moveni della storia e dell’azione poliica. Con lui nasce il pensiero del sospeto, il “guardare soto”, sconvolgendo convenzioni sociali e culturali, consapevole che compito della poliica è operare un “dispetoso guasto”, non per cinismo, ma per conoscere la verità sotesa alla realtà effetuale, dalla quale non si può prescindere. La conoscenza di tale verità riduce il margine di ferinità insito nella natura umana e che produce guasi alla storia e alla vita. BENEDETTA SPERANZA



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