JUST KIDS #11 - 2014

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JUST KIDS

#11 4,50 euro Anno II - n. 06

Poste italiane s.p.a. - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n. 46, art. 1, comma 1 S1/RM

[ILARIA GRAZIANO & FRANCESCO FORNI] [MANUPUMA] [JOYCUT] [2PIGEONS] [PLOF] [ANDREA RIVERA] [CESARE BASILE] [ALI’] [COSIMO MESSERI] [THONY]

Ilaria Graziano&Francesco Forni . Manupuma . JUST KIDS COMPILATION BY W // M Black Stuff . Pegasus International . Ai 10 Giri Di Lavatrice È Il Tempo Per Cambiare Chi Se Ne Frega Della Musica? . Breve Guida Al

Joycut . 2Pigeons . Plof . Andrea Rivera . Cesare Basile . Ali’ . Cosimo Messeri . Thony . 1972, Londra (Non New York) . Davide Toffolo [Eltofo] . Stordisco: The Bambini Disobbedienti . Senza Titolo . 14 Storie In 140K . Domani Smetto Idea . Fine Primo Tempo Italia - Ucraina 1-1. Intervista A Dio . L’occasione . Capitolo 2 Suicidio . La Pausa Pranzo . In Ritardo Su Chi? . Cambio Idea . Le ultime notizie dalle stelle


JUST KIDS “

Ci pensavamo come Figli della Libertà col compito di preservare, proteggere e rinnovare lo spirito rivoluzionario del rock ‘n ‘roll. Temevamo che la musica che ci aveva sfamato corresse il pericolo di una carestia spirituale. La sentivamo perdere il senso dei suoi proponimenti avevamo paura che stesse finendo preda di mani ingrassate, avevamo paura che arrancasse nel pantano della spettacolarizzazione, dell’economia e di un’insulsa complessità tecnologica. Ripescammo dalla memoria l’immagine di Paul Revere che cavalcava la notte americana, incitando le persone a svegliarsi, a imbracciare le armi. Anche noi avremmo imbracciato le armi, le armi della nostra generazione: la chitarra elettrica e il microfono.” da “Just Kids”, Patti Smith

JUST KIDS KIDS è una rivista di musica, illustrazioni, poesia, cinema, libri, storie e suggestioni. Direttore Editoriale Anurb Botwin | justkids.redazione@gmail.com Responsabile Musica Valentina Oliverio | justkids.musica@gmail.com Responsabile Rubriche Giorgio Calabresi | justkids.rubriche@gmail.com Responsabile distribuzione cartaceo Catherine | justkids.distribuzione@gmail.com Responsabile Promozione Michele Montagano | justkids.promozione@gmail.com Responsabile Web Claudio Delicato - www.webzinejustkids.wordpress.com Social Network facebook.com/justkidswebzine twitter.com/justkidswebzine Scrivono Alessandro Barbaglia, Andrea Barbaglia, Angela Giorgi, Anurb Botwin, Carlo Martinelli, Catherine, Claudio Avella, Claudio Delicato, Daniele Aureli, Edoardo Vitale, Francesca Gatti Rodorigo, Francesco Capocci, Franco Culumbu/LoScuro, Giorgio Calabresi, Giovanni Romano, Gaia Caffio, Giulia Blasi, Grace of Tree, Graziano Giacò, Luca Palladino, Lucia Diomede, Maura Esposito, Paolo Battista, Sabrina Tolve, Sara Fusani, Valentina Oliverio Fotografi Luca Carlino, Michele Battilomo, Davide Visca, Enrico Ocirne Piccirillo, Igor Spirito, Betty Brice Cover: Simone Cecchetti Back: Zak Milofsky

JUST KIDS

Registr. Tribunale di Potenza n.120/2013 ISSN 2282-1538 Editore: Kaleidoscopio edizioni via San Rocco, 40 85050 Satriano di Lucania (PZ) 0975/841077 Stampa: DM Services S.r.l. Via di Valle Caia Km 9.900 00040 Pomezia (RM) Distribuzione: Eagle Press via Galla Placidia, 184 00159 Roma (RM)


SOMMARIO 04 | EDITORIALE di Anurb Botwin [Musica] 06 | ILARIA GRAZIANO & FRANCESCO FORNI di Gaia Caffio e Grace of Tree 14 | MANUPUMA di Maura Esposito 22 | JOYCUT di Gaia Caffio 28 | 2PIGEONS di Gaia Caffio 32 | PLOF di Claudio Delicato 36 | andrea rivera di Valentina Oliverio 42 | CESARE BASILE di Valentina Oliverio 46 | ALI’ di Valentina Oliverio e Catherine 50 | cOSIMO MESSERI di Andrea Barbaglia 54 | THONY di Claudio Avella 61 | JUST KIDS COMPILATION by w // M 62 | novecento di Gaia Caffio|1972, Londra (non New York) 64 | L’ANTIPASTO NUDO di Giovanni Romano e Graziano Giacò|Davide Toffolo [Eltofo] 68 | webziners | stordisco di Angela Giorgi|The Black Stuff [ILLUSTRAZIONI] 70 | fumetti di Marcello D’Angelo, Michele D’Aloisio, Rossella Dargenio | Pegasus International 76 | LA DIMENSIONE EROICA DEL MICROBO di Maura Esposito| Ai bambini disobbedienti 78 | punto focale di Giulia Blasi|Senza Titolo

[immaginario] 80 | sommacco di Luca Palladino|14 storie in 140K 81 | sommacco di Giorgio Calabresi | Domani smetto 81 | sommacco di Francesca Gatti Rodorigo | 10 Giri di lavatrice è il tempo per cambiare idea 82 | troppo tardi per gli onesti di Daniele Aureli e Francesco Capocci | Fine primo tempo. Italia - Ucraina 1-1 84 | interviste impossibili di Alessandro Barbaglia | Intervista a Dio [storie] 87| sbevacchiando pessimo vino di Paolo Battista | L’occasione 90 | suonatore d'autobus di Carlo Martinelli | Capitolo 2 [teatro - libri] 92| L' occhio di Sabrina Tolve | Chi se ne frega della musica? | Breve guida al suicidio [STERILITA’ DEL BENPENSARE] 94 | PARODIA DELLA VOLOTA’ di Edoardo Vitale | La pausa pranzo 96 | la nuova era e’ adesso di Sara Fusani | In ritardo su chi? 89 | sexon di Catherine | Cambio idea [CRONACA NERA] 102 | oracoloscopo di Franco LoScuro | Le ultime notizie dalle stelle

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editoriale di Anurb Botwin

Siamo il nuovo che avanza, mi hanno detto.

“Il più delle volte i concetti hanno bisogno di sedimentare prima di essere recepiti. Per questo una rivista slow potrebbe avere il ruolo di dare respiro alle sinapsi, eliminando le informazioni inutili. Appassionarsi ai percorsi come lo si fa per le novità, [...] scoprire le suggestioni, le idee geniali, i movimenti e le loro influenze. Il ritmo diverso della lettura di una rivista offre questa possibilità e qui, in un esperimento su carta stampata che si ostina a resistere sfornando nuove forme di pubblicazione, mi auguro di leggere articoli in grado di far riflettere [...]1”

Ho letto questa frase e ho pensato che avrei dovuto scriverla per un qualche editoriale di JUST KIDS. Forse sarebbe il caso di scrivere un editoriale intelligente e magari fare anche viaggi al di là dello spazio e del tempo per far entrare i lettori nel fantastico mondo di questa rivista che si distingue non solo per acutezza di visioni ma anche per abilità logistica, disciplina antropologica, sistematicità nell’approccio e brillantezza d’interazioni. Scherzo, ovviamente: la realtà sa essere molto meno incoraggiante. Però qualche lungimirante curioso ha detto che, guardandoci dall’esterno e con distacco, ricordiamo vagamente il concetto del nuovo che avanza e che avanzare per noi sarebbe la strada giusta. Ci abbiamo creduto, apparentemente senza troppo impegno, con la consapevolezza di procedere a passi corti e lenti. E per suggellare il nostro senza troppo impegno, abbiamo pensato di varcare la soglia del web verso un mondo meno veloce, un po’ più fisico e che ci avvicinasse a chi ha voglia del nuovo che avanza o a qualcosa che vagamente lo ricorda. Qualcuno la chiama dedizione, altri entusiasmo e altri ancora passione. Io ogni tanto la chiamo botta di culo, altre volte necessità. Necessità che leggo nelle parole di chi prova felicità nell’essere parte di questo progetto. E tra un po’ di senza troppo impegno e un po’ di necessità, è finalmente iniziato un viaggio che ci porterà nelle edicole e nelle librerie delle vostre città ma anche nei posti in cui vorreste trovarci anche se non ci conoscete ancora. Come sempre, faremo del nostro meglio affrontando gli eventi bizzarri che si palesano in esclusiva per noi. Potrete di sicuro acquistare la nostra rivista ancora on-line ma potrete anche andare dal vostro edicolante di fiducia il sabato mattina con gli occhi semi chiusi dal sonno e chiedere: una copia di JUST KIDS, grazie. [ ]

http://webzinejustkids.wordpress.com/in-edicola/ 1

Il MucchioExtra N. 40, pg. 124

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|pic Il punto di svolta, Fritjof Capra


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forni & graziano

|ph Simone Cecchetti

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di Gaia Caffio e Grace of Tree

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Solitamente due elementi entrano in conflitto, in qualunque ambito, quando non accettano il punto di vista differente dal proprio, impedendo la comprensione di una delle verità possibili. Un percorso diverso, che invece fa vedere le cose da una prospettiva differente dalla propria, permette proprio quella comprensione di una diversità che ti completa”.

Ilaria Graziano e Francesco Forni

sono un duo completo, frutto di un’alchimia rara che lì rende vivi e intensi sia nei live sia nelle registrazioni. Li abbiamo incontrati in occasione del brunch domenicale di Rocksteria, premiata formula di Federico Fiume e Raffaella Mastroiacono nel cuore di San Lorenzo.

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oi vi seguiamo dagli esordi e siamo piacevolmente stupiti dalla vostra alchimia che è perfettamente rappresentata dalla doppia lettura del titolo del vostro album: ”Come 2 me”. Duplicità e complementarità. Apertura e condivisione. Mi rammentate molto i due archetipi per eccellenza, maschile e femminile... vi ritrovate in queste impressioni? Francesco (F): Assolutamente sì, tra l’altro, questo disco, secondo me più dell’altro, ha queste due figure così nitidamente definite che però risultano più che mai complementari, con l’una che ha bisogno dell’altro, con l’uno che sostiene l’altra. E come dicevi tu, quest’alchimia ci è arrivata così lampante nella lavorazione del disco. Ilaria (I): Questi due elementi sono emersi in modo sorprendente anche per noi forse perchè lavorare al disco in così breve tempo ha richiesto un ascolto interiore molto intenso, coltivato individualmente, e poi riportato all’altro in totale apertura e condivisione.

Cosa trovate artisticamente nell’altro che vi completa? I: Lui è alto, ha la barba (ride). Onestamente non riesco proprio a identificare con precisione i fattori che ci completano, posso dire solo che, su tutti i piani di confronto, ritrovo la componente opposta alla mia che è arricchita dalla comprensione dell’altro. Di solito due elementi entrano in conflitto, in qualunque ambito, quando non accettano il punto di vista differente dal proprio, impedendo la comprensione di una delle verità possibili. Un percorso diverso, che invece fa vedere le cose da una prospettiva differente dalla propria, permette proprio quella comprensione di una diversità che ti completa. Nell’accettazione dell’altro troviamo l’unione e concediamo la fiducia necessaria all’altro, anche in fasi delicate come quella della scrittura. Esponendoci all’altro, anche a una critica, non recepiamo mai un giudizio negativo ma un ampliarsi della comprensione personale. Solitamente come nascono i vostri pezzi, c’è prima un’ispirazione musicale, o l’idea di un testo? F: Non c’è una regola, ogni canzone ha un suo percorso imprevedibile, anche se, come per tutto il mondo cantautorale, si parte spesso da un testo. E’ molto più naturale musicare un testo che racchiude già la sua suggestione musicale e una ritmica intrinseca alle parole. I tempi per rintracciarne la sua innata musicalità sono variabili ma in questo disco siamo stati molto veloci, grazie alla full immersion che abbiamo fatto in fase di lavorazione, sia in modo individuale che congiunto. Non appena ci siamo rilassati nell’attendere quel che mancava, questo è arrivato naturalmente. Riconoscere questi segnali è stato lampante e abbiamo deciso subito di seguirli. I vostri percorsi sono estremamente sfaccettati e aperti a ogni contaminazione sonora: Ilaria è passata dalla musica popolare, folk a quella elettronica e sperimentale, fino a musicare le Anime giapponesi, viaggiando da Londra, NY e Tokyo. Francesco si è cimentato come chitarrista, compositore, produttore, cantautore, cinematografico e teatrale. Qual è l’esperienza che ricordate di più personalmente e quale quella che vi ha permesso di incontrarvi stabilendo un percorso comune? I: Quello che mi ha formato di più personalmente è

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arrangiatore-produttore a quello di autore di parti letterarie e composizioni per il teatro. Credo che il teatro permetta di realizzare delle cose che nessuna scuola di musica istituzionale è in grado di insegnare. Il teatro e la musica sono due mondi meravigliosi che hanno bisogno l’uno dell’altra e possono dare tantissimo, sebbene in Italia questa concezione di collaborazione manchi. Qualunque operatore del teatro dovrebbe fare esperienza di tipo musicale e viceversa. Questa esperienza mi ha liberato molto la voce, e mi ha permesso di passare dal ruolo di chitarrista e cantante timido, ad artista completo più in contatto con quello che volevo dire. Infatti mentre l’esperienza da chitarrista comporta il fatto che tu dia il tuo suono al servizio di un altro, scrivere insieme da altri linguaggi presuppone, non solo che tu sia complementare al tutto, ma che maneggi un elemento che possa essere forte quanto il testo, le scenografie e la regia. Per farlo devi avere una tale sincerità e purezza di segnale che è quella da cui siamo partiti entrambi e ha permesso a me ed Ilaria di ritrovarci nella nostra collaborazione.

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stato non avere all’inizio una direzione precisa, anche nell’approfondimento tecnico/vocale, poi ho avuto la fortuna di collaborare con gli artisti più diversi che spaziavano dal folk all’elettronica al jazz… arrivando ad approfondire ogni tipo di sperimentazione. Quello invece che ha stabilito l’inizio della collaborazione con Francesco, completando quella fase di ricerca iniziata da sola, è stato proprio la possibilità di asciugare tutto quel che veniva dagli stimoli procurati in precedenza che avrebbero potuto diventare forse dispersivi e avrebbero potuto farmi perdere. Con lui è stato l’inizio di una nuova tappa per la quale sicuramente ero anche pronta affinché questo incontro avvenisse. Francesco è stata la prima persona in assoluto a cui io abbia fatto ascoltare una mia canzone, l’unico a cui riuscissi ad affidarmi nei miei primi passi di scrittura. F: Noi ci siamo ritrovati pronti nello stesso momento ad affrontare questa collaborazione, pur provenendo da percorsi molto diversi. Io, ad esempio, avevo tante cose da approfondire e da risolvere. Personalmente invece ho avuto una svolta artistica che mi ha permesso di passare dal ruolo di musicista-

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C’è un limite alla sperimentazione come fusione di molteplici forme artistiche? O un pericolo di dispersione dell’ispirazione? I: Bisognerebbe chiarirsi sul quel che si intende con la parola sperimentazione. Sembra quasi che con questo termine si intenda per forza qualcosa di strano o diverso a tutti i costi, mentre per me “sperimentare” significa soprattutto ricercare una dimensione più semplice dei suoni e delle parole. Quando senti che una cosa è esaurita, ti sposti, ne cerchi un’altra ed approfondisci. A questo proposito, avremmo potuto pensare di poterci fermare al nostro disco e considerarlo come qualcosa di chiuso e definito, invece abbiamo avvertito la necessità di approfondire, anche individulmente. Ogni esperienza potrebbe trasformarsi in qualcos’altro o esaurirsi, non c’è un tempo e un modo che è giusto o sbagliato per sperimentare.

F: Nell’ambito dell’arte c’è un grosso frainteso in merito al significato di questo termine. Non è un “famolo strano” ma “un cercare per trovare” dei luoghi che ancora non si conoscono per conquistare nuove consapevolezze e portarle alla luce. Tutti quelli che noi consideriamo dei grandi sperimentatori o innovatori sono quelli che hanno cercato nuovi territori e li hanno trovati. Tutti gli altri che hanno cercato solo di stupire senza porsi il problema che quella roba dovesse arrivare al pubblico hanno rovinato l’arte contemporanea. Un’espressione artistica, in qualunque forma essa sia, deve arrivare all’interlocutore, altrimenti non sei riuscito nel tuo intento di artista. Quando la sperimentazione porta a dei risultati, i risultati si ritrovano nella scrittura. Certo, può anche succedere che il pubblico non sia attento e non vada in risonanza, ma in linea di

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massima il risultato della sperimentazione diventa la chitarra, banjo e ukulele. Una scelta voluta concreto. Può esser astratto il segnale ma il risultato o casuale? deve risultare concreto. I: In questo disco le voci sono state usate in modo diverso, in modo più corale, come sostitutive di Al di là dei discorsi banali sui prodotti strumenti che avrebbero potuto anche mancarci musicali di nicchia o richiesti dal mercato, vi apparentemente, come gli archi, e che volevamo aspettate un condizionamento in conseguenza fossero sostituiti dalle voci. della visibilità che state avendo? Avete fatto Come dicevamo prima, noi abbiamo ancora voglia di uno splendido disco, pensate che questo approfondire, con i pochi mezzi che abbiamo, fin dove possa portare a una restrizione della vostra possiamo arrivare. libertà espressiva artistica futura o avete In aggiunta è anche vero che in parte ci siamo arricchiti un’aspettativa diversa? nel tempo intercorso tra i due album, perchè durante il F: Questa è stato proprio la domanda che ci siamo live tour del primo disco abbiamo cominciato a intuire posti proprio dopo il primo disco, prima di cominciare delle dinamiche e quindi a procurarci degli strumenti la lavorazione del secondo, e abbiamo deciso di non in più che permettessero di crearle, utilizzandoli in preoccuparci o affrontare l’aspettativa di chi ha amato modo minimale. “Form Bedlam to Lenane”. Questa era l’unica cosa F: In questo disco mancano sicuramente i fronzoli, per realizzare qualcosa in grado di farsi amare con gli abbellimenti e volevamo un lavoro che potevamo sfumature diverse da quelle portare dal vivo in totale onestà e corrispondenza precedenti. artistica. Sebbene le sonorità siano diverse nei Avendo lavorato con tanti due dischi, in entrambi i casi riusciamo a restituire addetti ai lavori eravamo pienamente nel live l’atmosfera presente nel disco e preparati al fatto che un in totale fedeltà. produttore richiedesse la scrittura di brani simili ai Cantate in inglese, francese, sudamericano… precedenti in fase di ascolto qual è la lingua che trovate più musicale? dei provini del secondo I: La lingua in questo caso è proprio come uno disco. Ma è assurdo perchè strumento che ti porta a far suonare la voce in nel secondo disco devi fare maniera in diversa. Se si vuole evocare un’atmosfera, innamorare il tuo pubblico, un immaginario ad esso devi legare la lingua che e non necessariamente abbia il suono ed il ritmo giusto. stupirlo, per motivi diversi L’italiano è una lingua che si fa scoprire sempre di dai precedenti, regalandogli più, ma richiede un lavoro più preciso e approfondito, emozioni nuove, anche sulla mentre l’inglese è un lingua che dà molte soddisfazioni base della consapevolezza a livello dei suoni. Poi ci sono lingue che rendono di quel che sei tu in meglio la malinconia come le lingue sudamericane. quel momento storico e Nel primo album c’è Cancion Mixteca cantata in personale ben preciso. messicano, se fosse stata cantata in un’altra lingua Fare i conti col passato non avrebbe reso la stessa elegante malinconia che si per me significa evolvere avvicina poi molto alla tradizione musicale napoletana il suono, il segnale e ma che forse, se fosse stata cantata in napoletano, il linguaggio usato in sarebbe stata un’altra cosa. precedenza. Tra i temi più ricorrenti nei vostri testi è Nei vostri dischi la presente l’amore, il ricordo, il viaggio, versatilità dei generi l’esplorazione di paesaggi, geografici-sonorimusicali e l’intensità dell’anima, temete mai di perdere la strada dei testi spesso si di casa? E qual è per voi la casa, umana e contrappone all’utilizzo artistica? di pochi strumenti come I: Le radici le trovi proprio viaggiando. Nella

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contraddizione dell’essere umano l’appartenenza è uno dei sentimenti che fa soffrire di più. E’ il senso di chiusura e di paura che ti porta a costruirti intorno qualcosa che ti dia l’illusione di avere la certezza delle radici. Invece è proprio l’andare via ciò che fa ritrovare se stesso e fa sentire più sicuri rispetto alla vita. E’ nella precarietà che risiede la forza, perché quando si è pronti a qualunque cambiamento si è più forti. In uno spettacolo teatrale a cui lavorò Francesco vi era questa citazione: “Tutte le strutture prima o poi sono destinate a crollare”. Ecco se tu hai basato tutta la tua vita su queste strutture crolli con loro. In Rosso che manca di sera o Cavalli Selvaggi o Rosa Spina l’amore assume caratteristiche quasi ancestrali, con l’uomo che parte per lunghi viaggi e costringe la sua donna a lunghe assenze, ritorni, rancori e riappacificazioni… mi sbaglio? Amore è un vincolo da cui rifuggire per una realizzazione artistica? F: Nelle canzoni che hai citato c’è molto l’idea di vivere la vita a 360 gradi e l’amore non può che far parte di quella vita. In Rosaspina e Cavalli Selvaggi l’amore va via ma poi ritorna. L’amore è sempre a portata di mano nella vita ma ci arrivi in maniera matura quando hai attraversato altre cose della vita. I: Vedi io ho le idee più chiare di te, perché sono una donna (ride, ndr). Un uomo le vive diversamente queste cose, con impeto e ha la leggerezza di non farsi troppe domande. E’ una virtù che compensa la pesantezza analitica di noi donne… che però ci consente di avere la risposta pronta quando ti fanno un’intervista (ride, ndr). Ritornando all’amore, tutto quello che noi facciamo nella vita, tutto quello che noi siamo lo vediamo grazie all’amore. E a volte è necessario cavalcare la sofferenza di un conflitto o di una separazione perché è così che il nostro immaginario diventa più ampio. Spesso siamo noi stessi che non cerchiamo rapporti semplici.

delle ricchezze di Roma è che è abitata da molti nonromani. Non vorrei essere frainteso. Voglio dire che Roma ha una grande capacità di accogliere e dare spazio anche a chi non è di Roma. E’ un’attitudine che non hanno le altre grandi città. Questo è a vantaggio di tutti perché crea scambio ed è un fenomeno che a Roma è accaduto negli ultimi anni. L’artista singolo è sempre combattuto e tentato dall’ego mentre nella mischia invece deve per forza avere uno sguardo più ampio e direzionato all’incontro. Domanda per Ilaria: la tua voce “dolentetremante-ardente” è una lama che trafigge l’ascoltatore? Trafigge mai te e come gestisci la tua emotività così intensa, soprattutto durante le tue esibizioni live? I: Non ho mai controllato l’emotività, semmai l’ho filtrata. A volte mi sono commossa con discrezione. Se controllassi l’emotività farei un altro lavoro. Francesco: sei incredibilmente bravo e un abile tessitore di approdi solidi per l’estensione/ potenzialità vocale di Ilaria che è libera di lasciarsi andare come la roccia e il fuoco. Hai mai avuto la necessità di capovolgere questa dinamica? F: Io sono libero di essere roccia e fuoco perché lei incarna la componente femminile… un fuoco di artificio. E’ come una squadra. C’è il portiere, la difesa e l’attacco - non volevo tirare fuori esempi calcistici ma rendono - in noi due sono molto evidenti le due componenti maschile e femminile perché noi siamo fino in fondo liberi di essere noi stessi e ciò è una cosa rarissima nella vita. E’ un’alchimia che consente di vincere come squadra. [ ]

La scena romana in questo momento è molto ricca con collettivi musicale in continuo fermento? Cosa ne pensate e quanto vi siete inseriti in questo contesto? F: Inizialmente appena arrivato ho frequentato molto realtà diverse perché ero molto trasversale. Ho trovato una realtà musicale a compartimenti stagni, un po’ chiusa. Però attualmente non è più così. Una

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|ph Luca Carlino JK | 13


MANUPUMA [Musica] INTERviste

di Maura Esposito

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ipario. Interno. Giorno. Fuori il cielo è grigiomilano. Dentro è caldo, bianco e c’è profumo di tè alla vaniglia, e c’è una donna speciale che mi aspetta per fare quattro chiacchiere. Io la chiamo Emanuela ma si

Manupuma

fa chiamare , e ha tutta la bellezza sinuosa e la forza d’animo di questo felino. Il 21 Gennaio è uscito il suo primo disco omonimo MANUPUMA ed è un disco che lei, io e tanti attendevano, anche se non tutti lo sapevano. Perché è un disco dove si sviscerano emozioni come in corsa attraverso la vita. Dove si parla di cadute e di risalite, di amore e di dolcezza, di serate folli, di fughe e del ritrovarsi, come di sorpresa, nelle cose inaspettate e speciali. Un disco popolato di personaggi meravigliosi, di ghepardi, bastardi, zar. Di rivoluzione e di strada. Ci sono i soldati della gioia, Robespierre, banditi e madonne. Insomma c’è tutto il mondo con le sue contraddizioni e le sue sfumature. E c’è la visione di un’artista speciale, una donna che ride, che non si conforma, che si commuove, va fino in fondo e lotta. Perché “a cadere si impara” e “in fondo c’è una luce che ci fa brillare”.

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anupuma, tu hai avuto molte esperienze in tanti campi artistici. Hai frequentato l’accademia di Brera, hai studiato e recitato a teatro. Generalmente questi campi vengono percepiti come compartimenti stagni, senza pensare che ogni espressione fa parte del bagaglio e della personalità di un’artista. Quanto le esperienze che hai fatto ritornano nel tuo lavoro di cantautrice? Tantissimo. Frequentare l’accademia di Brera mi è servito tantissimo per formare il mio immaginario. Ho seguito il corso di scenografia all’interno del quale c’era storia del cinema, amo moltissimo il neorealismo italiano, i film di Fellini. Io vado sempre per emozioni. Un film che mi ha emozionato particolarmente per la genialità, per la bellezza, per la poetica lo interiorizzo e alla fine viene fuori come scenario dove inserire le mie storie personali. Adoro la fotografia. Mi piaceva frequentare l’accademia, ma c’era sempre qualcosa dentro di me che gridava per uscire, ed era il mio bisogno di affidare le emozioni alla voce. Ognuno ha il suo particolare bisogno di esprimersi in

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un modo piuttosto che in un altro. Alcuni hanno un’energia più intima e introversa e hanno bisogno di stare soli a disegnare, alcuni hanno bisogno di stare su un palco e recitare. Io avevo questa esplosione di energia che riusciva a realizzarsi, come ho capito dopo, solo cantando. Ho studiato teatro, lavorato con delle compagnie e sperimentato col teatro di strada ma la cosa strana quando salivo su un palco è che c’era sempre una sorta di vergogna dentro di me, un muro che invece col canto riesco ad abbattere. Il corpo dell’attore deve essere molto fisico e la vocalità sul palco del teatro è molto particolare, non è microfonata e tu devi arrivare anche all’ultimo spettatore in platea. Frequentando questi corsi mi interessava approfondire questo aspetto e sentivo che mi mancava la tecnica. Così ho iniziato a studiare da un’insegnante jazz per tre anni e ho capito come utilizzare i diversi tipi di vocalità, il diaframma, la voce di testa, la voce più soffiata. Nel mio disco ci sono vari modi in cui utilizzo la voce: più graffiata in “Apocalisse”, più soffice in “Venezia”, a seconda di quelle che sono le

emozioni e le visioni racchiuse all’interno del brano. E non sapevo di poter scrivere canzoni. A quel tempo ascoltavo molta musica americana e inglese, avevo la passione per Nina Simone, Tom Waits. Ma era complicato sviluppare quel tipo di musicalità con la lingua italiana. Poi mi sono avvicinata a cantautori italiani come Vinicio Capossela che io adoro, Paolo Conte, Diego Mancino allora ho capito come si potesse scrivere e utilizzare la lingua italiana. Nel disco a un ascolto più attento si notano spesso delle sottoincisioni, parlato, effetti sonori. Come se queste canzoni fossero degli spaccati visivi, con un forte sapore cinematografico. Esatto. Ho voluto includere questi effetti perché, tornando alla domanda iniziale volevo dare un vestito cinematografico, come se le canzoni fossero dei piccoli cortometraggi. Volevo portare le mie esperienze personali fuori da me, universalizzandole attraverso le immagini. E poi mi sono ispirata anche a musicisti come Erika Badu che utilizza tanto questo tipo di effetti sonori. Oltre agli immaginari legati al cinema e alla musica nel tuo disco ci sono spesso dei luoghi fisici e reali che si delineano ai nostri occhi come dei quadri. Si vedono città, scorci di paesaggi, particolari e angoli di strade. Si ci sono alcune canzoni che sono proprio autobiografiche. In “Charleston” parlo della fine di un amore che ho vissuto e che mi ha dato molto dolore. Dolore che io inseguo, dentro i bar, per reagire o percorrendo le vie di una città, Milano che mi appare struggente vista dal finestrino del taxi che mi porta via da lui. Io sono schietta in questo. Non si fanno mai vedere le donne come sono realmente, anche nella musica italiana, dove le cantanti sembrano delle specie di madonne perfette che cantano sempre di cose delicate, o che si struggono d’amore ma raramente si fa vedere una donna che reagisce in un certo modo, anche combattivo al dolore e che magari esce con un’amica e si fa tre shot di

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vodka per scacciare i suoi fantasmi. Milano è molto presente nelle mie canzoni. Ad esempio in Apocalisse parlo di giunchi che ridono a crepapelle sotto le finestre della gente, e ricordo le sere trascorse nel mio appartamento di via Orti a sentire i ragazzi sotto alla mia finestra che tirano l’alba nei bar, e i loro discorsi alcolici, dai più superficiali ai più profondi, tristi ed esistenziali e io sono come una sorta di reporter che raccoglie informazioni e poi le rielabora nei testi. C’è Venezia, c’è Milano, c’è Los Angeles, città in cui ho vissuto e fatto esperienze. Poi ci sono i luoghi dell’anima, come ne Il Mio zar. La “mia prateria”, l’Eldorado sono luoghi immaginari con i quali io identifico il mio amore. Sono luoghi interiori che hanno a che fare con le emozioni e le distanze e il rapporto intimo che ho con quello che vivo. Le tue canzoni nascono dalla tua visione molto intensa della vita per quanto riguarda i testi, ma sono anche frutto di una collaborazione molto speciale con Michele Ranauro (“De Maestro”) che ha prodotto il disco e con gli altri musicisti coi quali hai collaborato ( Ferdinando Masi dei Casino Royale, Roberto Dellera, Davide Rossi) Michele è stato fondamentale. Se non ci fosse stato lui le canzoni non si sarebbero sviluppate in questo modo. Ci si trovava a volte a comporre seduti sul letto, o ci si svegliava all’improvviso per un’idea o un’intuizione e ci si metteva a suonare nel silenzio della notte. Un’intimità molto speciale e anche

molto complicata perché porta inevitabilmente a degli scontri. Lui ha vestito in modo molto speciale i miei testi per tutti questi motivi, per questo rapporto speciale che c’è tra noi. Ed è stato fondamentale anche nell’essere capace di comunicare con gli altri musicisti che hanno collaborato a questo progetto, per far si che questo disco non fosse più solo la nostra creatura ma che potesse crescere e svilupparsi oltre noi. Questo deriva dalla sua grandissima esperienza di artista Si è diplomato al conservatorio, ha vinto una borsa di studio per andare a studiare jazz in America,

E’ in atto una rivoluzione nel mio cuore. Se questo è amore sono pronta a morire per me, per te, per noi”

suonando con artisti giganti, come Dizzy Gillespie, ha vinto un premio in un concorso di drum’n’bass. La sua formazione va dalla classica, al jazz alla musica contemporanea. Ha una tale varietà di suoni e melodie nel suo cervello che all’inizio era spiazzante. È stato difficile capire in quale delle milioni di direzioni possibili far andare questo disco. È stato davvero un maestro per me. Questo disco ha avuto una gestazione parchidermica. Due anni. L’anno scorso sono usciti due singoli Ladruncoli” e Charleston, poi la campagna

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pubblicitaria per Moschino. Il mese scorso è uscito il tuo terzo singolo, Perdersi perdersi, scritto con Pacifico e finalmente il 21 Gennaio è uscito il tuo primo disco, omonimo. Come mai ci è voluto così tanto tempo? È stato un bel po’ stressante, anche perché i singoli che sono usciti l’anno scorso avevano un sapore prevalentemente jazz e si somigliavano molto. È stata una scelta discografica che però rischiava di attrarre solo una nicchia interessata a quel genere, tenendo fuori una buona fetta di pubblico che poteva riconoscersi nella varietà dei pezzi presenti dentro l’album. C’è sempre questo bisogno strano di dare un’etichetta, e se tu non rientri in nessuna categoria ben precisa è un problema. Infatti all’inizio si è cercato proprio di dare questa omogeneità nella produzione dei pezzi che procedeva un pezzo alla volta. In questo senso è stato importantissimo l’apporto di Davide Rossi: la sua esperienza nelle produzioni inglesi gli da un approccio molto più a 360 gradi rispetto a quella che è la lavorazione di un disco nel suo complesso. Così quando finalmente han dato fiducia a questo progetto ci hanno mandato in studio a registrare acusticamente tutto il materiale, che poi è stato lavorato in postproduzione e ha preso la sua forma definitiva, con la sua varietà ma anche con un flusso coerente di linguaggio. Infatti “Perdersi Perdersi” ha un sapore molto diverso dai primi due, pur rimanendo coerente.


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Cosa hai fatto durante questa lunga attesa? È stato un periodo difficile nel quale però ho avuto modo di imparare molte cose e acquisire molte esperienze grazie alle persone che ho incontrato, che mi hanno consigliato e con le quali ho lavorato. E ho studiato molto ascoltando i vecchi cantanti, il loro fraseggio, insomma ho cercato di sostenere il peso dell’attesa e farne qualcosa di costruttivo. Quello che mi è mancato più di tutte le cose in questo lungo periodo è stata la dimensione live. Ogni volta che ho avuto la fortuna di potermi esibire, in un concerto mio o aprendo l’esibizione per un altro artista (ha aperto i concerti di Joan As The Police Woman e Musica Nuda, ndr) l’adrenalina che si sprigiona quando canto, mi è durata per settimane rendendomi la persona più felice del mondo. Quando usi la voce c’è un’energia meravigliosa che diventa come un flusso tra te e il pubblico. È una forza molto speciale. Leggendo le interviste e le cose che scrivono di te mi sono imbattuta più volte in una definizione. Tendono a considerare la tua scrittura “ironica”, invece trovo che sia più un atteggiamento rispetto alla vita che ti vede ora incantata ora disincantata, come se osservassi la vita dondolando su un’altalena dove queste due visioni si alternano. Piuttosto ti definirei una surrealista. Tu come vedi quest’interpretazione di te? Forse intendono il mio modo di rendere leggere certe situazioni, come faccio in Ladruncoli dove

io prendo l’immagine della scena finale di Miracolo a Milano, in cui gli spazzini volano via sulle scope e la immagino nel mondo della nostra Milano, dove questa popolazione di tette rifatte, di cose posticce, fondate solo sull’apparenza volano via portandosi dietro tutto il silicone, le parrucche, le pose. O in Charleston dove ci sono un sacco di espressioni esagerate, in realtà sono tutte cose che fanno davvero parte della mia vita, situazioni che ho vissuto e delle quali io parlo in modo leggero e ironico per esorcizzare un po’ il dolore o le sensazioni forti. In realtà è un’ironia mascherata, come vedere le cose in maniera disincantata. Cerco di distaccarmi un po’, di agire come un fotoreporter. Sicuramente preferisco essere definita ironica che vittima, non mi piace comportarmi in maniera vittimistica nei confronti del mondo e della mia vita. Anche perché trovo che quando scrivi delle cose in modo troppo personale, se non usi delle assonanze che rimandano ad altri mondi, se non universalizzi in qualche modo queste sensazioni, rischi, soprattutto come donna, come cantautrice, di essere troppo lagnosa, troppo autoreferenziale. Invece è bello che nelle canzoni ognuno ci veda dentro quello che vuole. Ognuno di noi vive in maniera personale e intima i propri travagli ma quando scrivo non mi piace mettere le cose in quel tipo di forma. Mi piace portare al di fuori di me le emozioni e trovare riferimenti esterni, appunto nelle scene di un film, o di un quadro o una fotografia che mi appartengono come immaginario. Un po’ come un reporter che prima di poter scattare una fotografia deve aver vissuto

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nel contesto o con le persone che vuole fotografare per poter portare alla luce quell’emozione particolare. È un’attitudine che ho sempre avuto sin da bambina. Mi è sempre piaciuto frequentare persone e situazioni diversissime, a volte proprio guardandole dal di fuori. Mi piace osservare. Quando frequentavo l’accademia ricordo un progetto fotografico che avevo scelto di fare in un dormitorio che c’era dietro la Stazione Centrale. Avevo visto recentemente Il cielo sopra Berlino di Wenders ed ero rimasta folgorata, così chiedevo a questi personaggi di indossare un paio d’ali che avevo con me e di farsi fotografare con quelle. Era un contesto molto delicato dove c’era un certo tipo di fragilità e di storie di vita complicate, a volte anche violente, e prima di iniziare a lavorare a questo progetto ho trascorso molto tempo con queste persone cercando di entrare in intimità, in empatia con loro. Ho servito ai tavoli di questa comunità e ho conosciuto i personaggi che la frequentavano e le storie che si portavano dietro. Questa è un’attitudine che non ho mai perso e che sta alla base del mio modo di tradurre in parole le cose che vivo. Manupuma. Un nome d’arte molto particolare. Un animale bellissimo e affascinante. Forse un animale totem? Da dove arriva? Prima di abbandonare la mia esperienza a teatro e di decidere di dedicarmi alla musica ho frequentato l’Actor Studio di Roma. C’era un esercizio che ci fecero fare che deriva più dalla tecnica cinematografica, da un’evoluzione del metodo Stanislavskij messo a punto da Lee Strasberg. Ogni attore deve scegliere un animale


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e studiarne le caratteristiche, le movenze eccetera e queste caratteristiche gli servono per entrare più nel personaggio lasciando da parte la sua personalità. Ad esempio Antony Hopkins per ll silenzio degli innocenti ha studiato la lucertola, le sue caratteristiche, il suo modo di muoversi, la fissità degli occhi, il sangue freddo. O Robert De Niro per Taxi Driver ha studiato le caratteristiche di un canarino in gabbia, i movimenti scattosi, nervosi, il modo di muovere gli occhi del suo personaggio derivano da questo piccolo uccello. Così ci mandarono allo zoo di Roma per scegliere un animale. Io mi imbattei in una capretta, in un corvo e in un leone sedato finché non vidi un bellissimo puma che camminava su un grosso ramo e il suo sguardo e le sue movenze sinuose mi hanno ipnotizzato. E ho scoperto che ha anche una simbologia molto affascinante. È un animale portafortuna, protegge la tua anima. Studiammo il nostro animale per giorni finché succedeva che lo sognavi la notte, diventava proprio come una sorta di animale guida. Quando lavoravo alle mie canzoni tempo dopo non sapevo bene come fare, io mi chiamo Emanuela Bosone che non è un nome molto musicale così mi sono ricordata del corso di teatro e del mio animale guida, e lì è nata Manupuma.

classe di una scuola frequentata anche da ragazzi che venivano da realtà difficili. Lei lavorava in un modo molto particolare facendo usare il corpo e la voce e studiando dei testi forti come JukeBox all’idrogeno di Ginsberg ed era pazzesco vedere come questi ragazzi di 14/15 anni diventassero degli angeli mentre recitavano con un elmetto in testa poesie come l’Urlo. Aveva un modo di avvicinarli al teatro molto speciale senza fargli dimenticare chi erano e liberandoli dai giudizi e dalle catene che a quell’età vivi. E allora succedeva che un ragazzo recitasse l’Amleto salendo sul palco con un radione che suonava Fabri Fibra, recitando il testo a memoria ma declinandolo al suo mondo particolare, alle sue passioni. Immaginava Amleto come un suo amico o magari come se stesso, e immaginava che ascoltasse un certo tipo di musica, lo rendeva reale. Li spingeva a contestualizzare il personaggio e farne un’esperienza personale.

Una cosa molto bella delle canzoni di questo disco è che pare inneggino a una sorta di rivoluzione gentile. Tu parli dei soldati della gioia, della rivoluzione senza pistole, come una festa. Utilizzi queste espressioni contrastanti che però fanno pensare che forse c’è un modo per cambiare le cose che non richiede rabbia o violenza, un modo poetico e costruttivo. Si diciamo che se non avessi scelto di fare la cantante, un altra grande passione che avevo era legata al mondo degli adolescenti, al modo in cui crescono, alla loro psicologia. C’era una compagnia teatrale con la quale ho lavorato che era diretta da un’allieva di Eugenio Barba, fondatore dell’Odin Teatret, una compagnia di tetaro storica negli anni ‘70 e del teatro antropologico e con lei lavorammo in una

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È lì che ho iniziato a scrivere perché lei ci spingeva a immaginare situazioni all’interno del testo, a scegliere un personaggio e immaginare che si muovesse al di fuori della scena in uno spazio nostro, personale. Ci spingeva a sviluppare l’immaginazione che è l’arma più potente che abbiamo per scegliere la vita che vogliamo, in maniera consapevole. Ecco io trovo che la rivoluzione sia un po’ questo. Rendere speciale ogni individuo, esaltare le sue mille qualità e spingerlo a ricercare se stesso. A quell’età, durante l’infanzia e l’adolescenza è importantissimo che un ragazzo non studi solo le materie canoniche nelle scuole ma che venga avvicinato all’arte. A prescindere da quello che questa persona diventerà in futuro rimarrà un’esperienza di arricchimento e può tirarla fuori dalla frustrazione di non essere nulla, in questa società che ci vende obiettivi irrealizzabili, ossessionata dallo status e dall’incubo del fallimento, solo perché magari non si è portati per la matematica o la grammatica.

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A quell’età si vivono molte pressioni e si ha un’energia che se non viene incanalata in modo creativo e libero può essere una gabbia per tutta la vita. Ecco per me i soldati della gioia siamo noi da quando siam bambini a quando abbiamo 100 anni che ci liberiamo attraverso la nostra naturale e speciale emancipazione dalle cose imposte, tristi, sterili. Ed è un’esperienza che elimina la violenza, unisce le persone, abbatte le barriere, crea amicizia. Ultima domanda. Vorrei parlare dell’ultima canzone del tuo disco “Los Angeles” e della sua scrittura sospesa tra la slam poetry, Jack Kerouak e la poesia jazz, Jim Morrison e i Doors. Amore e sesso, vita e morte, visioni e colori. La sperimentazione pura del linguaggio e del modo di percepire esperienze ed emozioni. Si la scrittura di questa canzone rispecchia a pieno, per la sua forma e per i contenuti quello che io provavo quando l’ho scritta perché in quel periodo io mi ero persa davvero. Avevo perso il mio papà che per me era un grande punto di riferimento e decisi di affrontarne il dolore perdendomi nel mondo. Ho preso un aereo per Los Angeles, per raggiungere un’amica, ma di fatto ritrovandomi sola a passeggiare per Venice Beach, o per i boschi per giorni e giorni. Ho frequentato luoghi assurdi, feste dove era normale che tutti avessero uno strumento, si suonava e cantava tutta la notte, incontrando le persone più incredibili e condividendo racconti e giornate con loro, come in uno stato di grazia, come se il dolore mi aprisse verso l’incontro e lo scambio con la gente. E ricordo bene il rumore degli elicotteri e dell’oceano, i colori, la pelle delle persone di questo incredibile mondo multietnico. Io cercavo mio padre al di fuori e quando ho capito che era dentro me e che mi dava un’energia pazzesca mi sono riappacificata. Ho sedimentato tutte queste emozioni e tempo dopo sono venute fuori ed è nata Los Angeles, un flusso ininterrotto, come un caleidoscopio di visioni e di suoni, di amore, di voci e di colori. [ ]


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di Gaia Caffio | ph Luca Sgamellotti

Joycut

Giunti al quinto album, i , band italiana di impegno, cuore e qualità, danno vita a PiecesOfUsWereLeftOnTheGround, album con una dimensione piena e a sé stante, libero da automatismi e citazioni facili. Cuore di un percorso artistico (e personale) che li ha resi una band proiettata di gran lungo fuori dai confini nostrani. Li abbiamo incontrati lo scorso novembre a Roma in occasione della presentazione dell’album a Le Mura.

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vrei dovuto cominciare col chiedervi tutt’altro ma avete appena finito di suonare e mi rimane in testa una domanda: perché avete ridotto al minimo le parti vocali, anche considerato che tu hai una voce molto bella? Ti ringrazio. Prima dell’uscita del disco ci sono stati due anni di ricerca davvero profonda, intima e interiore. Pensavamo fosse opportuno fotografare il dinamismo evolutivo dell’individuo. Perché noi, al di là dell’essere musicisti o meno, siamo delle persone. Per cui il nostro viaggio interiore ci ha portato a considerare il silenzio come il mestiere da attuare e da mettere in pratica. Siamo in un periodo in cui c’è troppo rumore e ci sono troppe voci. Ma non troppe voci che rappresentano la poligamia culturale che noi invece promoviamo, troppe voci spesso dissonanti che riproducono un contenitore senza contenuto. Pensavamo potesse essere un segnale forte da parte nostra se un membro della band (di solito la voce è di chi ha la leadership) facesse un passo indietro, quasi a voler dare respiro ai suoni della natura, ai suoni viscerali. JK | 23

Non a caso l’album è molto tribale, come si è visto anche dal vivo. Forse dal vivo le immagini che proiettiamo aiutano meglio la comprensione del testo dell’album e della sua poetica. C’è stata proprio la volontà di far venire fuori la visceralità tribale del nostro urlo silenzioso. Ci teniamo a dire che è tempo di professare il mestiere del silenzio. Certamente il silenzio non è necessariamente legato alla vocalità, di fatti vi sono alcuni brani in cui la voce è presente. Non bisogna mai essere estremi. Anche la voce è un suono come tutti gli altri strumenti della natura, con una sua dimensione e partitura. Nell’album ci sono delle voci con il vocoder… altre molto effettate che quasi rappresentano un urlo lontano della civiltà che si vuole ribellare e altri prettamente acustici. Nella traccia 1 D ci sono una tromba e un piano acustico e una voce naturalissima, come anche il suono della teleferica di Lisbona in sottofondo ed è l’unico campione industriale all’interno della traccia. Dopodiché non pensiamo sia una sottrazione, ma anzi un’apertura verso qualcosa di più ampio.


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A cosa ti riferisci quando parli di poligamia culturale? Viviamo in un sistema in cui la fisica classica viene ancora utilizzata. Il rapporto di causa/effetto è indissolubile per taluni. In realtà non è così. Non esiste una legge di gravità, viviamo nel caos, viviamo nel principio di indeterminazione. Bisogna comprendere che non c’è una sola visione del mondo, ma ce ne sono molteplici. Bisogna aprirsi. Il senso della poligamia è questo. Lasciarsi attraversare e consumare anche dalle altre culture per viaggiare all’interno di sé. E’ quello che abbiamo fatto noi. Alla fine questo è un disco frutto di viaggi personali anche estremi in posti anche molto cruenti. Per cui “PiecesOfUs” sono i pezzi di noi che abbiamo lasciato. Non per dimenticarli o superarli, ma per lasciare un segno come la scia di una lumaca. E’ importante raccogliere quei segni per avere l’identità di quello che sei, di quello che sei diventato o di quello che per gli altri tu rappresenti. E’ importante guardarsi dall’esterno come un processo di sintesi. I video che avete proiettato durante il live richiamavano molto questo concetto… Quello è un lato che stiamo apprezzando molto e sperimentando con tanto vigore. La parte visuale accompagnata allo strumentale ha un grande efficacia. Lascia al fruitore la possibilità di diventare soggetto senziente dell’azione. Sul palco la band non è da sola… il soggetto è lì e può anche non guardare la band. Oggi questo esperimento è stato anche molto ragguardevole. I visual erano laterali e si poteva distribuire bene lo sguardo mantenendo allo stesso tempo un buon legame tra il suono e l’immagine. Spesso abbiamo i visual alle spalle. Stasera abbiamo avuto una dimensione privilegiata. Siamo riusciti anche ad autosuggestionarci pur conoscendo a memoria le scene. Mi ha colpito quel che avete detto in una precedente intervista: “Non vorrei essere in un’altra band se non in quella in cui sono adesso”. E’ una manifestazione di soddisfazione e orgoglio molto bella… E’ un senso di appartenenza che nulla ha a che fare con il pangermanesimo totalitarista… ma è molto forte. Come a dire io non sono il “musicista che cerca di essere assoldato per i tour e suono con chiunque”. No. Ovunque ci sarà il nome del mio gruppo io ci sarò come ci saranno gli altri membri. E’ un attestato di amore.

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La commozione è un elemento che vi accompagna, sia che si legga di voi sia che vi si ascolti. Commozione intesa come forza che smuove sentimenti e razionalità. E’ una caratteristica propria di pochi artisti. Voi sentite il bisogno di dover “smuovere” qualcosa o qualcuno nella mente e nel cuore? Il nostro messaggio è stato anche travisato. L’idea di “professare il mestiere del silenzio” è una sorta di sciopero della fantasia. Non per spegnere le luci ma fare apprezzare di più il sapore del buio… tanto poi la luce viene. Credo che la nostra capacità di commuovere non sia altro che un’attitudine esistenziale… caratteriale. Non c’è nessun vestito. Visibilia ex invisibilibus. Noi siamo questo. Tanto è vero che ci abbiamo messo più di due anni per fare un album. Nessuno ci aspetta fuori. Nessuno vuole che l’album esca in un modo perché non debba disattendere le attese. Questo per noi è un vantaggio, ci permette di muoverci e, di conseguenza, di smuovere con la massima autenticità. Poi non crediamo che il nostro messaggio sia tanto raziocinante da dover veicolare le coscienza. Anzi quello che diciamo spesso è che questo è un album che vuole essere attraversato… compenetrato. Perché è lì per tutti. Non è nostro. Ci si può cantare e danzare sopra. Ci si può mettere un sax. In questo modo la musica strumentale diventa “strumentale” a tutti gli affetti. Uno strumento per dei fini che speriamo siano leciti e utili. Noi ne facciamo l’uso che avete visto durante il live. Portate avanti dei progetti meritevoli con degli obiettivi concreti soprattutto sulle tematiche ecologiche. A Bologna avete organizzato un bellissimo festival, il NU-Clear Sound 2012. Siete stati mai fraintesi nei vostri propositi? Il festival è stato solo lo sviluppo di una procedura continuativa sull’etica ecologica che portiamo avanti da tempo. Siamo usciti nel giugno del 2009 su XL con 120.000 copie, una tiratura da mainstream. Non abbiamo ricevuto denari e abbiamo lottato perché quel numero costasse come un numero normale e che fosse incellofanato in mater-bi. Abbiamo “regalato la musica”. Noi siamo una di quelle band che ha regalato 120.000 copie. Certamente dietro c’è un ritorno, altrimenti non ci sarebbe il prodotto. Il nostro ritorno è il poter continuare a dare. Abbiamo regalato un messaggio. Abbiamo fatto

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conoscere ai grandi direttori di giornali, che hanno ricevuto la rivista, le potenzialità del mater-bi, degli inchiostri ad acqua, del cartoncino riciclato, delle colle vegetali. Il monito è: fate anche voi così! Perché lo dobbiamo fare solo noi che siamo una band piccola? Vi ha deluso quell’esperienza con XL? No, perché non avevamo aspettative. Certo, se avessimo voluto utilizzarla strumentalmente l’avremmo coordinata con un tour o con un disco. Avrebbe avuto più senso. Invece no, è rimasta una “visione” che ci è costata molto dal punto di vista delle risorse, in amore intenso e anche economicamente, ma che a lungo termine ritorna e mantiene una traccia di continuità.

Non vorrei insistere nel discorso campanilismo, ma suonando all’estero avete avuto la percezione che lo spettatore italiano fosse meno pronto a un tipo di musica strumentale come la vostra? Se pensi alla PFM che ha suonato alla Royal Albert Hall… se pensi al Rovescio della Medaglia… ai gruppi psichedelici (ed è riduttivo considerarli tali)…. lo strumentale è per certi versi uno dei linguaggi primari. Anche le band che hanno una vocalità forte lavorano molto sullo strumentale. In prova suoni in versione

“PiecesOfUs” se fosse uscito in Inghilterra sarebbe stato osannato. Ecco ripensando a quello che avete appena detto, non è assurdo che voi abbiate impiegato così tante risorse in un’esperienza come quella che avete descritto e nessuno abbia investito su di voi? Nessun medico ci prescrive di fare quello che facciamo. Non siamo obbligati a farlo. Se entriamo nelle logiche di mercato e nella dinamica domanda/offerta, è chiaro che se c’è una domanda il discorso cambia. Se noi riempiamo un locale allora con il gestore si può fare un discorso ma se noi con lo stesso live non lo riempiamo, lui ci può dire “siete bravi, ma io non posso scommettere su di voi”. Per cui dietro c’è una precisa logica, discutibile ma concreta. Ma la domanda si può anche accrescere, soprattutto con una proposta come la vostra… Infatti noi la stiamo portando avanti da 10 anni, con grande sforzo, quasi porta a porta. Però la alternative sono due: o aspetti che arrivi l’angelo dal cielo oppure molli. Noi non aspettiamo né l’angelo né molliamo. Ringraziamo che di questi tempi un’etichetta abbia investito sul nostro album pur conoscendo in anticipo i suoi contenuti e sapendo che è un lavoro complesso, dalle sonorità particolari ma con molta sostanza al suo interno. C’è qualcosa sotto che regge tutto il resto. Siamo noi. Poi l’Italia è un paese come tutti gli altri e non vediamo la ragione per essere ossessionati dal nostro paese. Abbiamo suonato da poco negli Stati Uniti, abbiamo suonato tanto in Europa, però quando fai una data a Roma la fai come la fai a Londra o a New York.

strumentale perché devi essere impeccabile. Poi dopo aggiungi il colore vocale. Quindi lo strumentale è una parte del bacino di creatività di una band. In Italia forse in questo momento storico si è meno pronti per quello che voi proponete. Che ne pensate? Se l’ascoltatore italiano deve indentificarsi in Rockit o qualcos’altro posso essere d’accordo con te. Ma

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l’Italia non è Rockit o altro. C’è tutto un altro mondo. Ci siete voi. C’è Yes Uk Radio. Ci sono tanti variegati e sfaccettati mondi. Credo che se c’è autenticità e una cosa vale, vale e basta. In questo senso sono super partes. Come si fa un album ecosostenibile nella pratica? Dove si reperiscono i materiali? Chi vi ha sostenuto? Abbiamo fatto una ricerca semplice, quasi di scuola. Ci siamo resi conto che esisteva addirittura un cd fatto di amido di mais della Sanyo. Hanno provato

a stamparlo e produrlo in Giappone, ma non reggeva i cambi di temperatura dovuti ai trasporti di distribuzione e il contenuto era destinato a perdersi. Quindi l’idea non ha avuto un approvvigionamento reale. Comunque, a noi questa idea ha incuriosito molto e abbiamo constatato che si poteva fare qualcos’altro nei limiti delle nostre possibilità. Per cui abbiamo conosciuto, ad esempio, la Pozzoli S.p.a. (che stampa

per artisti come Sigur Rós e Madonna), una fabbrica italiana tra le più grandi tra quelle che stampano dischi con le certificazioni PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification Scheme) e che riesce a proporre un packaging completamente green, con cartoncino già riciclato al 100%. Spesso riguardo alle diciture ci sono dei fraintendimenti: “riciclato” è cosa ben diversa da “riciclabile”. Tutto è riciclabile, ma ciò che è riciclato ha già guadagnato un processo a favore del consumo contro lo spreco. Per cui rivolgendoci a loro abbiamo trovato una risposta concreta alle nostre esigenze. Abbiamo trovato una quadratura e abbiamo voluto che tutto fosse ecosostenibile, dagli inchiostri alle colle. Loro hanno accolto le nostre proposte. Ci hanno anche consigliato una fabbrica in Germania che stampa i cd con un sostrato vinilico (quasi tutti i nostri cd sono così). Questa fabbrica ha una certificazione che attesta una riduzione massima dell’emissione di CH2. Anche se i costi sono molto alti ci è sembrato opportuno scegliere questa via e costruirci dentro anche un messaggio che non fosse solo filosofico ma anche pragmatico, perché il cd lo hai in mano. Da allora questa è diventata una prassi e tutti i nostri oggetti, anche quelli del merchandising, raccolgono questa emozione. L’album è dedicato a Domenico Lo Russo, un ragazzo di potenza brutalmente assassinato in un parco di Monaco il 28 maggio 2013… Sì. Noi non vogliamo essere fraintesi su questo. Stavamo ultimando il disco ed è successa questa cosa. Lui era un nostro fan, è venuto ad ascoltarci anche ad Augsburg, in Germania nel 2010 con la fidanzata. Era cresciuto con Antonello, il nostro bassista. Quindi c’era un legame molto intenso. Era innamorato di LonelyDance, che fa parte del primo disco. Quando portammo avanti la campagna di suonare sotto gli alberi, chiedemmo a chiunque di suggerirci un albero che avesse un significato e una propria dimensione. Lui postò l’immagine del parco di Monaco suggerendoci di andare a suonare lì. Questa foto è stata usata da alcuni giornalisti di Potenza per dare la notizia che noi eravamo in tour e dedicavamo il lavoro a Domenico. Non ci è piaciuto. Ci sono confini molto labili quando si vivono queste esperienze. Ci siamo sentiti a disagio. Conoscevamo Domenico, ma non intimamente come poteva conoscerlo il compagno di una vita insieme. Però fermamente, con grande convinzione il lavoro è dedicato tutto a lui. [ ]

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di Gaia Caffio | ph Riccardo La Valle

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2Pigeons

Ritornano i con un nuovo lavoro Akustik suonato e registrato dal vivo al 75Beat di Milano durante un “live unplugged”. Le canzoni dei 2Pigeons sono strutture proteiformi, di loop ritmici e vocali, dove la manipolazione del suono e del canto regala ai brani sfumature e imprevedibilità emozionale. Ma le loro composizioni non sono “giochi” virtuosistici o “algide” architetture che puntano a stupire, anzi. JK | 29


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Come è nato il vostro progetto? Siamo nati con un colpo di fulmine avvenuto nel 2008, quasi per caso ci siamo trovati a partecipare allo stesso concerto, improvvisando insieme ci siamo piaciuti e da quel giorno abbiamo cominciato subito a scrivere e lavorare insieme. Qual è il vostro modo di lavorare a un disco? La modalità è cambiata con il tempo. All’inizio lavoravamo insieme in sala prove, improvvisando in due con gli strumenti che avevamo, Kole con il suo set di tastiere e synth e io con la mia nuova loopstation. Gli strumenti hanno dettato la scrittura e l’arrangiamento. Poi piano piano ci è venuta voglia di integrare altri suoni e strumenti per cui abbiamo cominciato a lavorare a casa con il computer. Mandandoci idee e scambiandoci il materiale. Che ruolo ha per voi l’improvvisazione? Beh come anticipato prima, l’improvvisazione è molto presente nel nostro modo di fare musica, sia come scrittura che come parte integrante dei live. Forse è l’aspetto che più ci ha permesso di conoscerci e ci ha legato. Credo che in questo nuovo disco acustico si senta molto questo aspetto di noi. Riduttivo definirvi una band di musica elettronica e men che meno un semplice duo piano e voce. Le vostre sonorità accennano al freddo metallico dell’elettronica per poi raggiungere atmosfere dense di calorosa umanità. Quali aggettivi vorreste vi fossero attribuiti? O RetroFuturistici o Retronici come il titolo del nostro disco precedente. L’iconografia che vi rappresenta è ben definita e curata, è un elemento importante per voi? Cosa rappresenta? Anche questa si è evoluta con il tempo. Ci piaceva l’estetica costruttivista russa, il senso del rigore marziale che ci fa sentire un po’ “soldati della musica” in missione. Missione che diventa sovraumana e quindi anche spaziale, affascinati dal desiderio di spingerci oltre i limiti umani, alla ricerca di nuove frontiere. Abbiamo trovato che quest’estetica potesse rappresentare la nostra idea. La voce nei live acustici emerge con forza. E’ uno strumento perfettamente inserito in un contesto sonoro così radicale come il vostro, si atteggia in modo istrionico nei vari brani, spogliati delle macchine, arricchendoli di gradazioni e sfumature.

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E’ un approccio semplice e istintivo o controllato? È un approccio istintivo e totalmente spontaneo. Mi piace giocare con la voce, riempirla di colori e caratteri diversi, usarla come strumento… affascinata dai diversi linguaggi musicali e vocali. Parimenti istintivo appare il suono del piano, a tratti anche più emotivo della voce. I brani così destrutturati hanno una nuova anima? No l’anima è la stessa, è solo che in questo contesto si è spogliata dell’armatura da guerriero elettronico per far emergere un po’ di più quella umana. “Retronica” mostra uno sviluppo ben riconoscibile rispetto al precedente “Land”, “Akustik” che tappa rappresenta del vostro percorso? AkustiK è una raccolta. Abbiamo scelto alcuni brani estratti sia dai 2 dischi elettronici precedenti che dal primo Ep, li abbiamo suonati pianoforte, voce e loopstation, li abbiamo registrati dal vivo in una bellissima serata al 75Beat di Milano, ed infine li abbiamo fatti mixare da Giulio Ragno Favero. Ecco il risultato. Inevitabile considerarvi una bella e rivoluzionaria eccezione nel panorama musicale italiano. Avete un artista al quale non smettete di ispirarvi? Il punto credo che sia proprio il fatto che non ce ne sia solo uno, ma molti. Sia io che Kole siamo onnivori musicalmente, ascoltiamo di tutto. Entrambi abbiamo i nostri riferimenti con cui siamo cresciuti, lui è schierato con Prince e io con Michael Jackson. Entrambi amiamo i Beatles. Ma non esiste un riferimento preciso nella musica che facciamo, e devo dire che questa è forse una delle cose che più ci distingue. Dopo l’uscita di “Akustik” seguirà un tour, dove vi porterà? Stiamo organizzando un po’ di date in Germania e Nord Europa, poi direi un nuovo disco elettronico. Alla realizzazione di “Retronica” hanno collaborato ospiti d’eccezione come Giovanni Gulino dei Marta sui Tubi, Pierpaolo Capovilla de Il Teatro degli Orrori, Enrico Gabrielli e Roy Paci. Avete in previsione altre collaborazioni? Al momento non ne abbiamo in programma ma ovviamente ci piace molto incontrare e poter incrociare la nostra strada con quella di altri musicisti, aspettiamo il prossimo incontro. [ ]

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di Claudio Delicato

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inutile girarci intorno, nell’immaginario collettivo “plof” è il suono che fa lo sterco quando impatta l’acqua del water. Dopo aver ascoltato il vostro EP ho concluso che siete sufficientemente pazzi da averlo scelto come nome proprio per questo motivo. Dico bene o c’è qualcos’altro dietro (che so, siete endorser Guttalax)? Semplicemente il nostro nome sembrava – in una situazione di indecisione totale – quello maggiormente adatto al nostro modo di far musica, che “dovrebbe” avvicinarsi al mondo fumettistico. Essendo “plof” un’onomatopea c’è stato un consenso collettivo. Niente

cacche, purtroppo. Che delusione. A proposito di questo, anche nella vostra biografia leggo che “l’intento è quello di emulare l’atmosfera del mondo dei fumetti e dei cartoni animati, condendo il tutto con suoni acidi e note di umorismo”. Negli ultimi tempi i prodotti che volgono lo sguardo a questi simboli pop degli anni ’80 sono proliferati (Zerocalcare ne è solo l’esempio più lampante): sembra quasi che chi è stato ragazzo in quel periodo stia cercando di scattare una serie di fotografie di un’epoca che si sta dissolvendo. Nel vostro caso, da cosa JK | 32

nasce quest’esigenza? E soprattutto, questo vuol dire che nel 2030 avremo gli amarcord degli One Direction? Non siamo nostalgici della scena fumettistica o dei “buoni vecchi” cartoni animati il cui ricordo si è negli anni dissolto, ma un membro del nostro gruppo – il chitarrista – è particolarmente affascinato dalla scena dei fumetti, quindi siamo stati spronati a intraprendere questa direzione che ci sembra abbastanza funzionale alla musica che suoniamo. A mio parere il vostro disco ha il pregio di essere del tutto inascoltabile. È caotico, dissonante, nevrotico. Siamo abituati a vedere


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Diciamolo subito, parafrasando Joe Bastianich: se la musica vi rilassa i

Plof

non fanno per voi. Il loro EP Mardí Gras – che anticipa l’album d’esordio di prossima uscita – è un concentrato di sfuriate noise, stop’n’go e urla senza soluzione di continuità, insomma: l’album perfetto per un musicista che non vuole groupie con cui fare sesso dopo il concerto, e per questo ci piace da impazzire. Trovate la nostra recensione su justkidswebzine.wordpress.com ma nel frattempo abbiamo fatto due chiacchiere con questa folle band di Montalbano di Fasano. Credevamo di trovarci di fronte a un gruppo stralunato, sarcastico e per certi versi un po’ costruito, invece è stata una piacevole sorpresa scoprire che i Plof sono vere e proprie anime candide – anche data la loro giovane età – e che fanno la musica che fanno perché è il modo più onesto e sincero che conoscono per esprimere le loro velleità artistiche.

l’orecchiabilità dei pezzi come un pregio, dunque facciamo il gioco contrario: qual è il pregio di non essere orecchiabili? Eh. Pensavamo di essere orecchiabili, in realtà! A nostro parere le tracce presenti nell’EP – seppur il background sia sempre caotico – prese singolarmente hanno una struttura e dei suoni definiti che seguono un certo criterio. Di certo Mardí Gras non è il classico disco che cattura al primo ascolto; il pregio di non essere orecchiabili sta nella difficoltà di essere apprezzati, e se qualcuno gradisce lo fa con sincerità.

Il punk è un genere che amo molto perché lo trovo glorioso. Fatemi il nome di qualche gruppo punk che vi ha influenzato. Non sappiamo dirlo; magari c’è qualche affinità con i Butthole Surfers, ma c’è anche chi ci associa ai Primus, per quanto non siano punk. Non siamo un gruppo puramente punk o comunque non è stato quel genere a influenzarci; in realtà non siamo stati coscientemente influenzati da qualcosa, il progetto ha più che altro avuto l’intento di crescere nella maniera più spontanea possibile.

scelgono di puntare forte sui testi – e non a torto del resto, dato che noi Italiani abbiamo sempre avuto particolare attenzione verso questo aspetto dei pezzi che ascoltiamo. Nel vostro caso il cantato è non solo in inglese, ma in buona parte incomprensibile (almeno a me): quanto sono importanti per voi i testi? E nel caso la risposta sia “poco”, come credo, perché? Cosa cercate di trasmettere con le lyrics? Nei testi di solito si cerca di raccontare di qualcuno o qualcosa, magari alternando il nonsense a qualche pseudo critica sociale, ma Le influenze punk nella Al giorno d’oggi molte band al di là di questo finora ciò di cui vostra musica sono evidenti. cosiddette “indipendenti” ci prendiamo maggiormente cura è JK | 33


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la struttura musicale. O meglio, è colpa di Fabrizio che non è capace di scrivere qualcosa di serio e impegnato, anche se ci prova! Mi colpisce molto la linea della vostra etichetta, che – almeno a quanto ho capito – permette il download gratuito di tutti i dischi che produce. È una strategia lungimirante perché ormai guadagnare con i dischi è praticamente impossibile a meno che non si raggiungano cifre importanti (sad but true), e in pratica l’unica fonte di guadagno dei gruppi è il cachet dei concerti. Detto questo, il vostro genere non mi sembra esattamente quello che riempie i locali, almeno non in Italia. In questo senso vi vedo in qualche modo destinati a non avere un seguito tale da fare della musica il vostro unico impiego. Lo trovo un po’ triste, è come se ai gruppi veramente validi come i Plof sia stato tolto in

partenza un sogno, quello di vivere di musica. Voi che ne pensate? Se suonare dovesse restare una sorta di “hobby” vi andrebbe bene comunque, oppure cercherete un consenso più largo magari all’estero, dove un gruppo come il vostro avrebbe forse più riscontro? In realtà il batterista fa già il pizzaiolo, il cantante il cameriere, il chitarrista va a scuola e il bassista fa il postino, quindi possiamo tranquillamente dire che della musica non ne faremo un vero mestiere! Però la speranza è sempre l’ultima a morire e saremmo disposti a mollare tutto se si dovesse presentare una buona occasione. Magari riuscire ad avere consensi anche all’estero, è il nostro sogno! Domanda stupida. Cosa rappresentano per voi le galline? Perché ogni cosa che vi riguarda sul web è piena di galline?

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Perché la gallina in parte rappresenta “l’incapace”, essendo uno dei pochi uccelli che non sanno volare, e direi che ci sentiamo immedesimati in questo “gallus gallus domesticus” (anche se quello della copertina è un gallo combattente, credo). A pensarci bene rappresenta anche la nostra musica, dati gli aggettivi che hai elencato; e del resto hanno associato più volte la voce del cantante al poco piacevole crocchio della gallina in occasione dei concerti! Bella questa motivazione, mi piace. E mi piacciono anche gli aneddoti, quindi vi chiedo: raccontatemi la cosa più strana, divertente o fastidiosa che vi è accaduta da quando suonate insieme. Quando abbiamo suonato ad Arezzo Wave, pochi minuti prima di suonare il batterista Angelo è rimasto chiuso in bagno a causa di qualcuno che – pensando che non ci fosse più nessuno – ha chiuso a


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chiave la porta. Gli saranno passate molte cose per la testa in quel momento, ma dopo venti minuti buoni ne è uscito illeso, sudato e un po’ arrabbiato col mondo! Oppure una volta ci siamo ritrovati a dormire in una casa stregata, mentre in un’altra circostanza al cantante sono venuti giù i pantaloni durante l’esibizione…

a che casa ti riferisci? Scusa se insisto ma è nel DNA di ogni intervistatore. Era in un paesino di pochissimi abitanti e appena siamo arrivati di fronte a questa casa ha iniziato a diluviare. Siamo entrati di corsa. Le porte sbattevano, delle scale portavano in un posto buio dal quale proveniva un rumore di passi. Una casa stregata? Cos’è, La porta della nostra camera “American Horror Story”? si apriva e si chiudeva da sola, Una casa stregata, proprio così. c’erano vermi sulle coperte. Fuori continuava a diluviare, alla fine non Spiegami meglio. Perché era abbiamo resistito e siamo scappati. stregata? Cosa ci succedeva dentro? Accidenti, sembra il copione Non posso dirlo, il proprietario non di un film di John Carpenter! sa che siamo scappati in piena Grandi Plof, se volete notte. Mi dispiacerebbe se venisse aggiungere qualcosa fate a sapere che parliamo della sua pure, se no per me può pure casa. bastare. Grazie del tempo concesso a Just Kids, ancora Interessante... ma se mi tanti complimenti per l’ottimo racconti qualcosa senza dire lavoro e in bocca al lupo! dov’è la casa, né com’era Grazie a voi e crepi il lupo! [ ] arredata, insomma nessun dettaglio che possa far capire

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Il batterista fa già il pizzaiolo, il cantante il cameriere, il chitarrista va a scuola e il bassista fa il postino, quindi possiamo tranquillamente dire che della musica non ne faremo un vero mestiere! ”


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ANDREA RIVERA di Valentina Oliverio | ph Melania Stricchiolo

Ho avuto il piacere di incontrare

Rivera

Andrea

al Fusolab a Roma dove ha presentato il suo nuovo disco “Verranno giorni migliori” in uscita per l’etichetta FioriRari. Proprio là dove il culto della parola è un’arte, dove la libertà è l’unica via di salvezza dalla triste sottocultura, dove la strada è l’unica vera scuola praticabile troverete Andrea Rivera. Un folle totale nella misura in cui follia, intelligenza e libertà coincidono. Italo Calvino diceva: “Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Credo che Rivera rappresenti proprio quel non inferno che va conservato, protetto e ascoltato.

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dal titolo del tuo Pgiorniartiamo nuovo album “Verranno migliori”. E’ strano che

proprio un comico utilizzi tale frase quasi rassicurante. Anche se poi, andando ad ascoltare la title track, si percepisce tutt’altro: un capovolgimento radicale e totale di questa società. Com’è nata l’idea di intitolare proprio così questo tuo ultimo lavoro? Forse perché volevo che il titolo fosse volutamente surreale ma anche ironico. Dietro l’aspetto così serioso c’è sempre una battuta come in tutto il mio teatro canzone. Quindi giorni migliori verranno però magari tra cent’anni, come cantava Ron, oppure anche domani o forse stasera durante un concerto. I giorni migliori vengono quando tu li cerchi con insistenza, sta a noi farli venire, è come il lavoro, come l’amore…non è che stai lì che aspetti e arriva, a volte lo cerchi in cose che non sono per forza una persona. Ho scritto ultimamente una canzone che si chiama L’amore davvero che dice: “troverò il vero amore in un pianto di un bambino, in un tombino... ”.

Quindi l’unico modo per salvarsi è andare alla ricerca dell’assurdità? Nell’assurdo c’è la salvezza, lo dice anche Antonio Rezza. Come nella pazzia c’è la bontà. La legge Basaglia si reggeva proprio su questo. Dicono che il tuo modo di comunicare sia molto vicino all’arte di strada e al teatro canzone. Cosa, a tuo avviso, invece ti allontana da questo ambiente? In realtà più che essere io a

discostarmi da quel tipo di ambiente (il teatro) sono gli altri che lo fanno. Forse Rivera fa ancora paura per le cose che dice, quando la satira è libera viene un po’ allontanata. Come in televisione, non a caso io faccio solo citofoni da una vita e la gente non si chiede mai il perché. Perché faccio parlare molto gli altri e io invece rimango in silenzio? Vorrei stare dall’altra parte del citofono per dare qualche risposta, ogni tanto ad esempio essere citofonato da qualche trasmissione e poter dire quello che penso su tante cose. E’ un’utopia, lo so bene. Forse il titolo del prossimo disco potrebbe essere Verranno trasmissioni migliori, chissà… L’ album è uscito per l’etichetta FioriRari.Com’è stato lavorare con Daniele Rossi e Roberto Angelini? Io l’ho chiamata FioriRai tra i ringraziamenti perché io lavoro per Rai 1 e Bob Angelini per Rai 3. Comunque l’etichetta mi ha lasciato spazio facendo sentire le loro ragioni - com’è giusto che sia in un rapporto tra produttore e artista insomma io sono sempre abituato ad andare sul palco e a decidere io la scaletta, questa volta invece mi sono confrontato con Bob e Daniele e loro hanno messo la propria esperienza. Ci sono 4 o 5 canzoni che abbiamo deciso di lasciare fuori dal disco forse giustamente, forse ingiustamente, non lo so. Però il disco ha una sua identità così com’è, identità che magari non avrebbe avuto con le canzoni scartate. Ho seguito i loro suggerimenti, a volte anche con difficoltà lo ammetto, perché ascoltare oggi è una forma di comunicazione che

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si sta perdendo. Il prodotto mi ha soddisfatto e penso che i risultati si stiano già vedendo visto che un signor Vincenzo Mollica ha deciso di dare un ampio spazio sul TG1 a questo brano dei cantanti; brano che è nato durante un viaggio con il mio musicista Matteo D’Incà, il famoso cazzeggio in macchina tra Roma e Bologna: “oh con un tiromancino se famo una righeira de zucchero”. Dobbiamo ringraziare Zampaglione, forse, per quel testo. Ecco diciamo


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che Matteo D’Incà ci ha messo il utilizzando i titoli delle sue canzoni matrimonio gay tra due cantautori. suo zampaglione dentro. e che mi ero auto-dedicato. E viene il papa? Storia di un disoccupato è Andrea, amico fragile, un matto, Il papa l’abbiamo invitato ma l’evidente opposto di Storia senza un medico, un ottico, adesso è impicciato con la suora di un impiegato. In questo un blasfemo della canzone del che è rimasta incinta. lavoro c’è spesso un implicito maggio, la domenica delle salme e rimando a De André. Secondo il re fa rullare i tamburi, come un Tu sei colui che nel 2007 te qual è stata la rivoluzione giudice con Giovanna D’arco, s’io venne definito un terrorista di di De André rispetto ad altri fossi foco, ti faccio una smisurata stato. Con questo nuovo papa nella storia del cantautorato preghiera se verranno a chiederti intravedi quell’evoluzionismo italiana? del nostro amore con Prinçesa; di cui parlasti e che tanto ti è Ti rispondo leggendoti una lettera Prinçesa il pescatore con la bocca costato? di De André che avevo scritto di rosa nella città vecchia, in Via Assolutamente! Questo papa è del Campo la cattiva strada, tu dì rivoluzionario e io i rivoluzionari io mi innamoravo di tutto, di Sally, li appoggio, magari un giorno Suzanne, Franziska, Geordie, aò ci facciamo anche una canna amore che vieni, amore che vai. insieme! Per quanto riguarda Nella mia ora di libertà ho visto l’evoluzionismo, spero che non sia Nina volare, anche se il sogno soltanto un merchandising, avevo di Maria è quello che non ho. Se fatto la battuta - la chiesa con ti tagliassero a pezzetti Andrea, Ratzinger aveva perso un milione come nell’Ottocento per una storia di fedeli, fedeli un cazzo…! sbagliata, le storie di ieri, e per i Comunque di questo nuovo, molti tuoi larghi occhi, non sono cose dicono che è un gran papa-culo, che dimentico, tu volta la carta, la secondo me invece è una persona guerra di Piero non è morire per che può riuscire a fare un po’ di delle idee, quella è il testamento pulizia; infatti quando venne eletto di Tito, laudate hominem che sulla io mi aspettavo un papa filippino… collina fanno un girotondo in verdi pascoli e son nuvole a forza di Sei nato a Roma, vivi a Roma, essere vento, quelle sì che sono lavori a Roma. Musicalmente anime salve. parlando cosa disprezzi di Tuo Faber questa città? Sono nato a Roma ma io mi sento Questo è quello che penso di del Sud Italia essendo mio padre De André. Io penso delle cose della provincia di Lecce e mia attraverso le cose che faccio. madre di Napoli. Ma non è che abbia cambiato No, io non disprezzo la scuola a livello cantautorale qualcosa, romana musicalmente parlando, semmai ha arricchito come Rino a scuola sono andato sempre mal Gaetano, Piero Ciampi o Bobo volentieri, quindi le scuole non mi Rondelli che io reputo un mio interessano, forse è questo che fratello di sangue, l’ho conosciuto disprezzo: le scuole in sé. Ognuno al premio Gaber e non ci siamo più ha un suo iter, come quando per staccati. strada mi chiedono: “Andrea dove Per i più curiosi annuncio che posso andare a studiare teatro, in quest’anno io e Bobo festeggeremo quale scuola?” il decimo anno di matrimonio e Io dico loro di buttarsi per strada ci sposeremo a Firenze: il primo perché la strada è la scuola

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Avete vinto voi in una battaglia persa, quindi io non voglio fare parte di quelle battaglie che si perdono in una specie di sottocultura. ”

migliore. È proprio essa che ti insegna a stare sul palco (sembra un ossimoro). Secondo me non esiste la scuola romana, è stata etichettata così con Silvestri, Gazzè, Britti ma sono artisti romani, non c’è una vera scuola romana perché ognuno poi è diverso dall’altro. A Roma ci sono tanti cantautori bravi che vengono sottovalutati. C’è un sottobosco come Paolo Zanardi, che è un grandissimo poeta a livello di Piero Ciampi, pochi lo conoscono e mi dispiace. Un altro è il mio amico Filippo Gatti di cui ho grande stima e a volte ci scambiamo delle idee reciproche senza creare alcuna scuola ma con un contatto fraterno e unicamente sincero. Comunque esisterà anche questa scuola romana, forse, ma non l’ho mai frequentata, ho fatto sempre sega.

sbarre, però noi spesso e volentieri fuori abbiamo delle carceri mentali da cui non vogliamo uscire, insomma dei preconcetti, delle finte amicizie che siamo ad esempio costretti a tenere per lavoro. Quindi ai ragazzi che incontro là dico questo e loro si sentono un po’ più sollevati e pensano: “anvedi, allora noi siamo fortunati, qua magari facciamo più amicizia che fuori”. Cos’è la libertà per te, Andrea? La libertà è una questione mentale, non di spazio. Spesso si può essere più liberi in un carcere che a fare un programma in cui non ti fanno fare quello che vuoi, anche se il carcere, voglio dire, è duro. Ho dedicato una canzone a Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e Aldo Bianzino che parla della condizione del carcere che non è certo un paradiso, anzi, è un vero inferno, carceri sovraffollate, gente che si uccide in carcere. Anche la stessa vita delle guardie carcerarie è molto pesante e quindi è un po’ il gioco drammatico delle parti che caratterizza queste strutture; chi sbaglia deve ripagare ma deve essere un processo costruttivo non autodistruttivo.

So cha hai suonato a Sestriere, come è andata? Bene, abbiamo fatto un bel concerto. Erano tutti incappottati, impellicciati, età media 82 anni… Spesso capita che vai a suonare più che un locale sembrava una all’interno delle carceri un po’ pensione. alla Johnny Cash, ecco com’è relazionarsi con chi è stato Ma è importante il contatto privato del bene più grande la con gli anziani nella musica, libertà? giusto? Certe volte li guardo e penso se Assolutamente sì, anzi io lavorando siano loro a essere in carcere o ora su Rai 1 ho un pubblico di noi. Perché è vero che loro stanno soli anziani e ho scritto pure una dentro quattro mura, dietro le canzone: voglio puntare sulle

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vostre pensioni, la ragazza giovane e bella la lascio stare a Capossela, non voglio vedervi tra gatti e piccioni lasciatelo fare a Claudio Baglioni, voglio le vecchie nelle mie orecchie e anche i cani li voglio più anziani, pisciatevi addosso con allegria così non ve tocca la polizia. Pisciarsi addosso è l’unico modo per non farsi toccare durante le manifestazioni, ancora non lo hanno capito. Ma quali lacrimogeni, scudi e cultura, hai visto i manifesti “io mi copro con Pennac”, non servono a niente, una bella pisciata e vedrai che nessuno ti tocca. Al G8 non sarebbe accaduto nulla se tutti avessero cantato in coro: “se semo pisciati sotto” e vedrai come la polizia si sarebbe allontanata. Invece che G8 si sarebbe chiamato Pisciotto. C’è un po’ il mito del lato oscuro di ciascun comico. A me dai l’impressione di essere una sorta di personaggio in cerca di autore, cosa ne pensi? Personaggio in cerca d’autore, no no, io è meglio che l’autore non lo trovo. Io sono un personaggio non in cerca d’autore. Infatti in Pirandello quello è il concetto, la tragedia è che cerchi ma non trovi… Esatto, è un po’ una sorta di aspettando Godot. Non è che c’è un lato oscuro, c’è un lato che la gente non è abituato a sentire tramite le mie battute. Però ad esempio stasera faremo una canzone totalmente diversa che narra la storia di un aviatore israeliano che ha ucciso 35 persone tra donne e bambini, io me lo sono immaginato nel momento in cui torna a casa e cerca di addormentare il figlio e così è nata la canzone “Se te potessi Ḥamās”.


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Vedi, c’è sempre un lato ironicodrammatico in me. Io a scuola amavo molto i contrasti e dal contrasto nasce sia la drammaticità che la commedia. Soffermiamoci sul concetto di cultura e controcultura. Alla fine sono due assunti totalmente eguali: oggi fare cultura è fare controcultura? O fare controcultura è fare cultura. Rezza in un’intervista ha detto che aspira all’ignoranza totale. All’inizio ho pensato che fosse uno stronzo, che non sono cose da dire ma poi se ci pensi bene un fondo di verità c’è. L’ignoranza intesa rispetto a quello che vedi oggi intorno a te, cioè vorrei essere ignorante rispetto alla vostra cultura come la canzone di Ivan Graziani ”Pigro”: “tu sai citare i classici a memoria, ma non distingui il ramo da una foglia”. Ho visto tanta gente all’università laureata ma grandissima testa di cazzo, per esempio. Quindi a volte è meglio essere ignoranti e viversi la natura come in un brano che facevo a teatro e si intitolava “Avete vinto voi”. In realtà il concetto era questo: avete vinto voi in una battaglia persa, quindi io non voglio fare parte di quelle battaglie che si perdono in una specie di sottocultura. La cultura non è soltanto leggere, la cultura è sapersi rapportare.

insomma, ci vogliono delle menti deviate. Credi sia così? Sì sono d’accordo, io sono distorto dalla nascita. Artista è una parola vuota, che va riempita con quello che facciamo, altrimenti rimane soltanto un epiteto così superficiale. Quella patologia a cui tu hai accennato io l’ho sempre confusa nella mia ingenuità con la fantasia, che è una patologia che dovrebbero avere tutti, perché è sana, sono quelle malattie autoimmuni insomma. Oggi invece si fanno i vaccini che poi servono a ben poco perché ti ammali lo stesso.

Vorrei concludere l’intervista parlando del concetto di arte in generale. Una importante critica d’arte sostiene che l’arte in tutte le sue forme d’espressione sia strettamente legata alla patologia. Per fare arte,

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Quindi i vaccini che ci vengono somministrati dalla cultura di massa sono poi quelli che ci fanno venire la malattia che il vaccino stesso dovrebbe coprire. E dopo questa, ho pure la laurea in medicina. [ ]


cesare basile [Musica] INTERviste

di Valentina Oliverio | ph Gabriele Spadini

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[Musica] INTERviste

Cesare Basile

è colui che, se fossimo in un paese culturalmente evoluto, non avrebbe bisogno di presentazioni. La sua storia lo precede e della fama se ne infischia. Ha girato il mondo, aperto i concerti a gruppi quali Nirvana e Primus per poi tornare là nella terra che gli ha dato i natali: la Sicilia. Uno dei migliori autori che questo stivale possa vantare: eleganza, padronanza della lingua e assoluta libertà. Il raro caso in cui uomo e artista si fondono in un unicum.

Non sogno movimenti di massa. A volte basta incontrare individui con cui costruire presenti possibili.


”

P

artiamo dal premio che ti abbiamo assegnato ai Just Kids Awards 2013 ovvero il PREMIO CARLO ROGITO per il disco più poetico.
 Mi piacerebbe capire cosa sia la poesia per Cesare Basile e quanto essa possa essere un’ancora di salvezza dalla mediocrità imperante. Insomma la poesia può salvare il nostro paese? La poesia è disciplina dell’attenzione, prontezza di riflessi, combattimento, ed è spietata. Una poesia di tal genere non cambia il mondo ma ci dà strumenti per interpretarlo e quando salva qualcosa salva innanzitutto chi la scrive. 

 Nel tuo disco ci sono molti pezzi in dialetto siciliano...ti è mai capitato che alcuni gestori di locali ti abbiano chiesto di non suonarli? Accettare la

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propria terra è anche accettare la parola che la accompagna e la caratterizza: secondo te perché c’è talvolta una specie di chiusura verso il dialetto? Nessuno mi ha mai chiesto di non fare i miei pezzi in siciliano, ci saremmo divertiti un sacco altrimenti. Io non accetto la mia terra, me la riprendo. Me la riprendo fisicamente e culturalmente. La lingua che impari da bambino viene abbandonata presto grazie alla scuola e a una conformità linguistica a cui siamo costretti a piegarci. Ci costringono a dimenticare suoni, costruzioni, immagini verbali che, nei fatti, costituiscono la nostra prima ricchezza sociale. Riprendendomi la lingua io compio un atto di libertà e mi riapproprio di un mondo poetico e narrativo, oltre che di relazioni. Tutti trovano normale cantare in inglese (anche io lo faccio a volte),


[Musica] INTERviste

La cultura in Italia è figlia del collocamento e del pensiero salariale. Quando cominceremo a viverla come una necessità inizieremo anche a immaginarla diversamente.

”

la maggior parte lo fa male ma lo trova comodo. Chi ascolta non capisce una parola, eppure la consuetudine porta ad accettare uno strumento che fa parte di un immaginario consolidato, senza sforzo. Non si tratta di capire o non capire, si tratta di abitudine alla norma. Preferisco stare scomodo, la scomodità crea tensione. 

 Quest’anno hai vinto il premio Tenco per il miglior album in dialetto che hai deciso di non ritirare a seguito di alcune dichiarazioni del presidente della Siae Gino Paoli e del suo direttore generale Gaetano Blandini riguardo il Teatro Valle ed altre realtà autogestite. Credi ci sia un’effettiva volontà nel mondo indipendente (che poi è quello che paga il prezzo più alto) di cercare delle soluzioni giuridiche alternative al modello di gestione dei diritti proposto dalla S.I.A.E. o c’è comunque uno status quo tendente all’accettazione? Il mondo della musica e dell’arte

in generale è pigro e pantofolaio. Preferisce accomodarsi nei piccoli spazi che gli vengono concessi per non doverne immaginare altri. La S.I.A.E. è solo una parte del problema. La cultura in Italia è figlia del collocamento e del pensiero salariale. Quando cominceremo a viverla come una necessità inizieremo anche a immaginarla diversamente.

spazi fisici, anzi, direi che è soprattutto una questione di spazi mentali. “La ribellione è un atto di volontà” abbiamo scritto all’inizio dell’occupazione.

Canzoni Addinucchiata parla di Alfia una donna costretta in ginocchio per tutta la vita. In ginocchio per pregare, lavorare, essere sfruttata e usata sessualmente. Quando in Cesare Pavese ne La Luna e i morte viene messa nella bara, Falò ha scritto “un paese vuol è incapace di starci distesa. dire non essere soli, sapere Può essere una metafora che nella gente, nelle piante, della nostra nazione? Quanto nella terra c’è qualcosa di è importante partire dal tuo, che anche quando non particolare per arrivare poi ci sei resta ad aspettarti”.
 all’universale? Sette pietre per tenere a Ognuno trova le metafore che bada il diavolo ha sancito il vuole. Nell’orrore globale sono tuo ritorno, dopo sette anni a convinto che siano le piccole Milano, in Sicilia. 
La tua terra esistenze a raccontare la Storia. 

 era lì ad aspettarti? Sì, e non me ne accorgevo.

 Sugnu Nunziu Maistà iu ma fici a libbertà:
la libertà Il tuo disco Cesare Basile questa parola così bella, così uscito l’anno scorso è fuori concettualmente da ogni cresciuto da solo in Sicilia fra tempo e spazio non si chiede la polvere del cantiere del ma si fa sporcandosi le mani, Teatro Coppola occupato, un mettendoci la faccia e a volte punto di riferimento per la anche la vita.
C’è il rischio di città. Dare alla cittadinanza diventare schiavi della libertà, uno spazio per fare arte e può anch’essa divenire una condividerla è un atto politico. prigione? Quanto “il potere” ha paura di Sì, se diventa proprietà esclusiva.

 questi spazi e credi siano dei luoghi dove poter finalmente Ho assistito a un tuo far ripartire un certo tipo di bellissimo concerto dove hai discorso culturale fuori da eseguito una cover di Neil qualsiasi logica di marketing? Young “Out on the weekend” A prescindere dalla paura del introducendo il brano parlando Potere mi preoccuperei di più della di come condividevi la musica sua arroganza. Sottrarre spazi al con gli amici da giovane: uno pensiero autoritario è pratica di comprava il vinile e gli altri autonomia, educazione a un ordine portavano una cassettina diverso fatto dai bisogni, dalle per farselo registrare e hai urgenze e dai liberi accordi fra le detto che questa pratica, che persone. oggi chiamano pirateria, per Non è solo una questione di te è semplice condivisione.

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[Musica] INTERviste

Perché la bellezza non può avere vincoli. Quindi sei un fervido sostenitore del free download? Registrare insieme le proprie cassette aveva per la mia generazione un valore di socialità. Non stavi semplicemente copiando un disco, lo stavi ascoltando insieme ai tuoi amici, ne discutevi, ti inventavi le traduzioni dei testi, ne guardavi le immagini di copertina per sapere come vestirti. La bellezza creava mondi esistenziali e comportamenti sociali. E’ qualcosa di completamente diverso dallo starsene davanti a un computer a scaricare qualunque cosa in maniera compulsiva. Detto ciò non inorridisco davanti alla violazione della “proprietà

artistica”. Come lo vedi il futuro di questo paese destinato inevitabilmente a continuare a vivere sotto i colpi di mezzi favori o c’è una speranza di riscatto? E se sì, credi che il riscatto possa avverarsi solo mediante una vera e propria lotta popolare? Non sogno movimenti di massa. A volte basta incontrare individui con cui costruire presenti possibili.

 Vorrei concludere questa intervista soffermandomi sul concetto di bellezza e rivoluzione. Cosa è rivoluzionario per Cesare Basile e cosa è bello?
 Sono due termini, a tuo avviso,

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logicamente collegati? Tutto ciò che non nasce dal risentimento e non genera vendetta è bello e rivoluzionario. [ ]


ALI' [Musica] INTERviste

di Valentina Oliverio e Catherine ph Stefania Mazzara

In una fredda serata dicembrina a Castiglione del Lagoabbiamo incontrato

S t e f a n o A l ì ,cantautore

siciliano all’esordio con l’album La Rivoluzione nel Monolocale uscito nel 2013 per l’etichetta La Vigna Dischi. Questo è uno di quei dischi da ascoltare ripetutamente fino ad immedesimarsi in ogni sua parola e accordo. In gergo tecnico “entrare in fissa”, per poi cantare a memoria le canzoni sotto il palco del prossimo concerto. JK | 46


[Musica] INTERviste

L

a rivoluzione nel monolocale contiene in sé un titolo che simboleggia bene lo status quo della nostra generazione: l’immobilità di piccoli spazi in cui ci si ritrova per necessità e il cambiamento che una rivoluzione dovrebbe portare si trovano quasi in contrasto tra loro. È la storia delle rivoluzioni quotidiane, dei contratti a tempo determinato, delle storie d’amore precarie. Come nasce questo titolo? In maniera semplice, è un titolo che nasce per istinto. Questo album è la storia della mia piccola rivoluzione a partire dal 2011, una rivoluzione delle cose che è stata anche la mia rivolta interiore. Dentro il monolocale è iniziato tutto... sono bastati un tavolino, una sedia, la carta e una penna. Esattamente come capita a un milione di persone. Ma lì dentro è iniziato tutto, con l’obiettivo finale di uscire a confrontarmi fuori dalle quattro mura. L’impatto con il quotidiano è duro. Il rapporto che hai con la tua morosa, con l’amico, col tuo datore di lavoro, con i soldi. Ecco, è tutto qui, in questo disco qua c’è tutto. Io potrei fermarmi qui e nel prossimo disco parlare che ne so... di astronomia. Per me non è stato semplice metterci dentro quello che mi è successo negli ultimi anni, ma il risultato è un disco romanzato pochissimo. È stato come un lavoro dall’interno, prima su me stesso, poi sulla realtà, per vedere che succede quando il mio io e la realtà s’incontrano. Il punto focale era trovare un equilibrio prima di approcciarmi al prossimo e al mondo. Ho fatto una specie di “auto-psicoanalisi”, con ottimi risultati terapeutici... non sai quanti soldi ho risparmiato. Di recente ho letto un commento di Colapesce, che ha prodotto il tuo disco, in cui diceva: “Stefano non l’ho scoperto io, si è scoperto da solo”. Quanto è stato importante avere lui come produttore artistico e come vi siete incontrati? Riguardo Colapesce penso che Rolling Stone abbia un un po’ giocato sulla notizia. Lui non mi ha scoperto perché in realtà ci conosciamo da una vita. Pensai: ho una possibilità in casa perché chiamare qualcuno di fuori? Colapesce è un mio amico, quindi gli ho dato i brani e gli ho chiesto di occuparsi della produzione artistica del mio primo album. Gli ho detto: “Qui ci sono i pezzi, ascoltali”, a lui sono piaciuti ed è andata così. In questi giorni il tuo conterraneo Cesare Basile,

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ha deciso di non ritirare il premio Tenco come protesta nei confronti del presedente della S.I.A.E Gino Paoli e del suo direttore generale Gaetano Blandini. Cosa ne pensi delle questioni che riguardano questo ente? Ho letto qualcosa, anche se non in modo approfondito. Sicuramente posso parlare del Teatro Coppola che sta andando benissimo perché Basile e tutto lo staff di grandi personaggi della musica catanese stanno facendo cose molto belle. Il teatro Coppola è davvero un grande laboratorio in cui può suonare e suona chiunque. Riguardo alla vicenda con Paoli... diciamo che sono d’accordo con Basile. Paoli musicista è una cosa, Paoli direttore S.I.A.E è un’altra. Per il resto, non sai quanti Alfonso Signorini ci sono in questo ambito. Leggendo le tue recensioni mi ha fatto sorridere che abbiano accostato la tua voce a quella di Biagio Antonacci, il tuo folk rock a quello dei Wilco e la tua poetica citando Verga e

Sciascia. Secondo te, perché nel giornalismo musicale c’è sempre questa necessità di trovare somiglianze anche dove non ci sono? Mi hanno accostato anche a Raf e a Piero Pelù, se è per questo. Ma io non ho problemi, se domani Gigi D’alessio dovesse fare un gran brano io lo ammetterei, non sono un tipo che a prescindere esprime apprezzamenti. Concedo il mio ascolto a tutti... forse però con Biagio Antonacci hanno esagerato. Non so perché per forza di cose si debba sempre accostare qualcuno a qualcun altro, negli ultimi tempi è evidente che non sempre chi fa le recensioni è veramente del mestiere, ma si deve trovare comunque qualcosa da dire. Spesso quello che si scrive c’entra molto poco col disco che invece andrebbe semplicemente ascoltato e poi valutato, senza eccedere ma nemmeno buttarlo giù. Invece a volte per scrivere quattro frasi per bene si esagera in un verso o nell’altro. Il mio disco appena uscito è stato per una settimana in streaming su

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Rockit: pubblicato alle 15.00, alle 15:04 c’erano già i primi commenti. Ma se il disco dura 30 minuti? Purtroppo questo è il modo di fare di molti pseudo-giornalisti di musica. I dischi andrebbero ascoltati almeno una decina di volte prima di poterne parlare. Io quando mi fissavo con un disco ascoltavo solo quello per mesi. Certo è vero che adesso esce tantissima roba, quindi è difficile starci dietro. Non si fa in tempo ad apprezzare qualcosa che ne esce un’altra, e così si rischia di perdere delle chicche. La cosa certa è che a un disco bisogna dare più di una possibilità. In una recensione pubblicata su Just Kids si scrive questo: “Questo ragazzo spacca il culo, è una spanna sopra gli altri: [...]perché quella che fa è una cosa molto semplice [...] Imbracciare una cazzo di chitarra acustica e cantare”. Spesso accade che, se non c’è una serie smoderata di accordi, tutto viene etichettato come opera mediocre. Si è un po’ persa la poetica del fare musica in quanto parola... Quella di Claudio Delicato è stata la più bella recensione in assoluto. Era passionale, ho come percepito che il disco lui l’ha sentito veramente. Riguardo l’importanza del testo, è vero che se dici cose di un certo tipo, bastano due o tre accordi. Il mio concetto di canzone perfetta sarebbe con le musiche dei Broken Social Scene e il testo di Tenco, ma so che è poco realizzabile. Rimane il fatto che dopo che hai fatto musiche fighe, se hai un testo del cavolo non ti rimane molto perché quello che avevi da dire non lo hai detto. Dal punto di vista della funzione catartica che un disco può avere, il testo ha più valore,


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di poco ma ha più valore. Bisogna curare i suoni, ma un bel testo lo devi avere, almeno se sei un cantautore. Io in realtà sono pigro a scrivere, anche quando ho l’ispirazione. Scrivo un po’ come mi capita, senza concentrarmi troppo ed esserne troppo consapevole. Un esempio è Continuare a vendere oro, di questa canzone ho scritto le prime due strofe scherzando e solo a distanza di giorni ho capito che il pezzo era bellissimo.

rimanere sopraffatti dalla grandezza di altri? L’ascolto di altri mi ha aiutato molto di più da un punto di vista emotivo che musicale. Anzi, alcuni artisti e brani di artisti mi hanno salvato le giornate e addirittura interi strani periodi. Poi certo se per tanto tempo senti sempre The National o Wilco e poi inizi subito a creare è inevitabile che qualcosa te la porti dietro. Ma l’idea di non ascoltare musica mentre si fa un disco non mi piace, non è possibile più che altro. Come In un tuo pezzo, Per la gioia di fai a stare mesi senza ascoltare Wodoo parli della felicità che musica? A me serve la musica. Vivo è al contempo infelicità, come così. se in questo momento storico essere felici fosse sinonimo Questa settimana hai suonato di accontentarsi. Credi sia a Roma. Com’è stato l’impatto possibile? con la capitale? Sicuramente la felicità non è il Ho avuto modo di conoscere solo Lexotan. La felicità a volte da Leo Pari, a dire il vero. Da fuori universale diventa particolare come posso dire che la scuola romana mi la rivoluzione nel monolocale. La piace, gli artisti che ne fanno parte felicità è una cosa molto semplice, mi trasmettono la sensazione di anzi la felicità è così semplice che scambio, amicizia e familiarità. Poi non esiste. Esistono tanti piccoli non frequentandoli, in effetti, non momenti sereni che messi insieme posso giudicare, la percezione di ti fanno stare bene. Negli ultimi chiusura comunque non l’ho avuta. 15 giorni di tour per esempio sto suonando fuori ed è la cosa che ho Quello che contraddistingue sempre sognato... ma ti assicuro questo album è il fatto che che sono stati 15 giorni di merda. se ne colgono la bellezza Lo sai quando li apprezzerò e sarò e la profondità dei testi veramente contento? Ricordandoli. dopo averlo ascoltato La felicità del ricordo. ripetutamente. Non è affatto Nel momento stesso in cui le vivo immediato né scontato. non sempre riesco a godermi Sembra una specie di atto di pienamente le cose, a volte mi coraggio in un paese dove faccio troppe paranoie. Dovrei vige la faciloneria del pop che provare a godermi di più i momenti. deve arrivare subito e fare numero. Da “fioraio”, com’è Continuare a vendere oro è stato buttarsi nel mondo della un pezzo dove si percepisce musica senza percorrere le vie il grande amore per la musica più facili? tale da volerne quasi morire. Non faccio più il fioraio, ultimamente Da cantautore, c’è il rischio ho fatto il cassiere per 9 mesi ma di cadere nell’imitazione o poi è scaduto il contratto.

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Del lavoro come cassiere mi è rimasta l’immagine sconvolgente di quando si crea un’enorme fila... tu sei lì, da solo come unico responsabile e si vivono i momenti di panico. Allo stesso tempo però si ha la sensazione di avere il potere di dare i resti e le buste. Quando hai il controllo del bancomat di qualcuno, è tutto a posto. Mi è capitato di essere più emozionato lì che sul palco. Quando poi mi hanno licenziato ho avuto il coraggio di iniziare a suonare sul serio e di lanciarmi in quest’impresa. Non è per niente semplice lasciare la sicurezza di un contratto anche se precario per l’insicurezza della vita da musicista. Stimo tantissimo chi riesce a farlo, davvero, ma se io adesso trovassi un lavoro comunque me lo terrei. E questo non vuol dire che smetterei di fare musica. Quello che mi frena a volte è non riuscire a spiegare bene alla gente quello che faccio, non tutte le persone capiscono. Infatti il solo fatto che voi siate qui con me a parlarne è una grande soddisfazione. La rivoluzione di Alì uscirà dal monolocale? No, la rivoluzione di Alì rimarrà dentro per sempre. Perché per tutta la vita voglio fare dischi. []


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COSIMO MESSERI di Andrea Barbaglia

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La Toscana è da sempre fucina di spiriti liberi e ingegnosi.

Cosimo Messeri

è uno di questi. Vulcanico eppure metodico e lucido artista a 360 gradi, figlio dell’incontenibile Marco Messeri e dell’altrettanto creativa Luisanna Pandolfi, dopo i buoni riscontri ottenuti con i suoi lavori cinematografici se ne è uscito allo scoperto anche in campo musicale, con una passione enorme per la Swinging London e le belle melodie. Autore di se stesso, consapevole della precarietà artistica che da sempre è convivente con l’uomo comune, senza seguire alcuna strada privilegiata, eccolo gettarsi a capofitto nell’ennesima avventura che è anche confronto con le proprie radici. Qua di seguito trovate la nostra constatazione amichevole dopo un tamponamento sfiorato con il suo Transit lungo le strade che da Fiesole portano a Roma.

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inema e musica: quale di queste tue due passioni hai sviluppato gradualmente e quale è stata invece una folgorazione vera e propria? Cinema e musica. Entrambi mi hanno folgorato immediatamente, e subito è stato come se non ci fosse più nient’altro intorno, come se nella vita non potessi fare altro. Il guaio (?) è che quando lo capii ero ancora al liceo e per

questa mia assenza mentale, presa giustamente dai professori come sprezzante indifferenza, fui bocciato e ribocciato! Dopo l’esordio e una carriera nel mondo della celluloide ecco un tuffo nella musica con un lavoro composto e suonato quasi interamente da solo. Perché un disco ora? Quale aspettative nutri sulla sua riuscita? JK | 51

Carriera?! Ma carriera di che? Trovo ridicolo chi fa questo lavoro e parla di carriera; è un linguaggio ministeriale, da corridoio. Sono sempre stato d’accordo con mio padre e Paolo Poli quando dicono: “Ma quale lavoro, noi facciamo gli scemi sulle montagne russe!”. Per quanto mi riguarda vivo la mia vita al meglio delle mie possibilità, cerco continuamente di assomigliarmi e di dimenticarmi di me! Ora ho fatto un disco e non nutro alcuna


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aspettativa sulla sua riuscita. Primo perché come diceva Eduardo il pubblico è un blob imprevidente e imprevedibile, e secondo perché per me questo dischetto, e sottolineo per me, è un lavoro più che riuscito!

materializza tra i loro solchi è senz’alto quella proveniente da una band di Liverpool: che rapporto hai con la musica dei Beatles? Che rapporto si può avere con i Beatles se non di spassionata e sincera gratitudine? Mi sembra un miracolo e sono contento che siano esistiti davvero! E lo stesso vale per Fellini, Chaplin, Socrate, i Monty Python: ogni tanto per fortuna esplodono delle supernove che illuminano questo mondo poverello.

Talmente ben riuscito che non hai sentito neppure l’esigenza di affidarti ad altri musici, se non che per piccolissimi interventi. Ascolta, chi si nasconde dietro lo pseudonimo di Apollo Vermut? Non sarà davvero il baronetto Macca? Che fine hanno fatto i Plastic Beh, se Capitan Confusione son io, Macs ovvero la band con cui Apollo Vermut è... Madame Bovary! “esordisti” tempo fa nel mondo della musica? I dischi d’esordio sono I Plastic Macs… sono stati un bel solitamente e in larga parte momento spontaneo e doveroso, album autobiografici; le di passaggio e roccioso. Ma canzoni di Capitan Confusione soprattutto felice. Due canzoni abbracciano un ampio periodo della tua vita oppure sono composizioni recenti, databili ad un più ristretto periodo? A parte alcune eccezioni sono perlopiù canzoni recenti, vicine nel tempo, vicine al me di adesso eppure già lontanissime. Oltre a diversi brani sviluppati secondo forme classiche per la canzone pop cantautorale mi hanno colpito tutti quei pezzi più brevi posti quasi a mò di raccordo tra una canzone e l’altra, pensieri che nello spazio di pochi secondi sanno fornire mondi ben più vasti. Mi sono sempre piaciuti gli intermezzi brevi, che dicono tutto e nulla e lasciano la voglia di farsi subito riascoltare. Così nel disco ho disseminato queste pagliuzze (Forse troppe? Ma no...) qua e là. Una influenza evidente che si

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nell’album vengono da quel periodo e mi ha fatto piacere portarle con me in questa nuova avventura. Ora il batterista fa il disc jockey, il bassista è diventato avvocato, il chitarrista sta in Bolivia a piantare il riso per i bambini poveri e io sono rimasto l’unico disoccupato! Nei tuoi lavori cinematografici che ruolo ha avuto fino ad ora la musica? La scelta ad esempio di occuparsi di un artista ai più sconosciuto come Emitt Rhodes sembra far trapelare una attenzione verso artisti di nicchia, ma capaci di arrivare alle masse se solo supportati anche da un pizzico di fortuna in più. Credo che tutte le arti si parlino tra loro. Mai in maniera esplicita sia chiaro, ma si parlano eccome. Pittura, poesia, letteratura, cinema,


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musica… The One Man Beatles, il mio filmetto su Emitt Rhodes, mi ha confermato in questa mia convinzione. Ma con Emitt è stato soprattutto un incontro umano, una rivelazione emotiva per lui e per me: dall’altra parte del mondo ci può essere qualcuno che ci vuol bene senza motivo! Tuo padre Marco avrà senz’altro guardato i tuoi film, ma a proposito del cd quali sono state le sue reazioni e i suoi commenti? È molto difficile giudicare artisticamente il lavoro di una persona cara. Bisognerebbe astrarsi, far finta di, ma alla fine rimane sempre un giudizio drogato. Mio padre no, è molto anglosassone in questo: se c’è da sculacciare sculaccia da sempre senza pietà. Ma il disco gli è piaciuto. È lì che

ho capito che forse anche lui non che un po’ più in là, magari con è poi così distaccato… o magari è il secondo disco, non inizi anche davvero un bel disco! a fare dei piccoli concerti… ma come vedi sono già troppe risposte Hai intenzione di portare sul per essere vere! palco le tue canzoni oppure attualmente sei già impegnato Abbiamo citato tra gli altri in altri progetti? Beatles, Monthy Python, La domanda sul live è una di quelle il grande Paolo Poli, tuo domande per cui ogni volta mi padre Marco: qual è il tuo piacerebbe trovare una risposta sentimento con il tempo che fosse di soddisfazione per chi che passa, con le tante mi pone il quesito. La scusa ufficiale persone che direttamente – e verosimile – che uso è quella o inconsciamente ti hanno che sto preparando il mio primo formato? film, quindi anche volendo non Ho un sentimento molto profondo avrei il tempo di suonare dal vivo. verso queste entità, una La verità è che c’ho paura e per ora commossa e sincera epifania. E non ci penso nemmeno! Un’altra sono riconoscente a persone come verità, non meno importante, è Marco Lodoli, Carlo Mazzacurati, che la musica io la intendo così, Nanni Moretti, veri e propri fari per concetto nato in una cameretta e me, nello stesso modo in cui sono da ascoltare in un’altra cameretta, riconoscente a Federico Fellini, da soli. Comunque non è detto Charlie Chaplin, Italo Calvino, che invece non ho mai conosciuto. Ma non importa, quello che mi doveva arrivare m’è arrivato attraverso il loro lavoro, tramite quello che hanno fatto e che adesso è qui, per tutti, come in un prodigio. È cosa rara entrare naturalmente in confidenza con persone speciali, illuminate, e in questo, per nascita, sono stato molto fortunato. Tra vinile, cd o mp3 tu da fruitore di musica scegli? Scelgo la musica che mi parla, ogni mezzo è lecito musicassette incluse, e credo perfino nel sistema radiofonico italiano…! []

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thony di Claudio Avella | ph Luca Carlino

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Thony è una cantautrice di origine Siciliana, trapiantata a

Roma. Nel 2012 è stata scoperta e lanciata da Paolo Virzì che l’ha scelta come attrice protagonista del suo film “Tutti i santi giorni” per il quale ha curato anche la colonna sonora. Da quest’esperienza è nato un album di cantautorato intimistico e suggestivo. Abbiamo incontrato Thony all’Arci Bellezza di Milano, in occasione di un concerto di grande impatto, intensità ed atmosfera: il live di Thony è un viaggio in cui si alternano momenti di grande tranquillità a momenti più forti, in un crescendo che culmina in un’ esplosione finale di suoni e vibrazioni che riverberano fino allo stomaco.

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i piacerebbe partire dal live di questa sera: mi è piaciuto molto che tu sia riuscita a creare un’atmosfera di complicità, confidenza, di intimità con il pubblico. Sul finale l’atmosfera è diventata evocativa... quasi orgasmica! Mi sono piaciuti molto anche i tuoi musicisti, quindi vorrei partire dalla presentazione di tutto il tuo staff. Stasera l’organico era formato da Andrea Ruggiero al violino e al basso, Claudio Gatta alla batteria e Lorenzo Corti che suona la chitarra e la tastiera. Anche a me è piaciuta molto questa serata, anche se è stata la prima con questa formazione... per cui era un po’ un punto interrogativo: abbiamo fatto solo tre prove in dieci giorni. In concerto a me piace avere delle cose molto definite: ci sono delle canzoni che richiedono una certa attenzione alla sonorità, al giro, a quelle cose che sono identificative del pezzo, che sono l’anima della canzone stessa, a prescindere dalla voce. Ma ho anche imparato che mi

piace, quando è possibile, avere una grossa libertà, perché in questo modo si crea un’eccitazione che altrimenti si perderebbe. In effetti la struttura delle canzoni permette di spaziare molto: non c’è solo il cantato, ma anche una forte attenzione allo strumentale a cui lasci molto spazio. Diciamo che quando ero più ingenua, in un certo senso, ma anche più costruita - perché nell’ingenuità c’è anche una sorta di costruzione - nelle prime canzoni che scrivevo cercavo di raggiungere la forma canzone. Poi a un certo punto ho capito che mi mancava, invece, un respiro. Quindi ci sono delle canzoni che sono rimaste in forma canzone, ma il fatto di aver dovuto scrivere delle canzoni per un film mi ha permesso di staccarmi dalla tipica struttura, strofa-ritornello-strofa-ritornello. Questo mi è servito e mi ha permesso di divertirmi molto. Ora anche nel live posso riproporre quei momenti di respiro e di pausa, e la cosa mi piace. JK | 56


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In passato hai detto che per fare le canzoni del film hai avuto poco tempo, per cui hai dovuto lavorare sodo anche per cercare l’ispirazione... come si lavora per cercare l’ispirazione? Io non sono molto prolifica, ovvero non sono una che scrive una, due canzoni al giorno, per cui poi ne ha trecento tra cui scegliere. Non sono mai stata così, però prima avevo molto tempo e non avevo un’urgenza, per cui passava molto prima che portassi a termine una canzone: la lavoravo, la riscrivevo. Quando c’è stata l’esigenza del film e quindi una scadenza immediata, non ho potuto ripensarci troppo,

quindi le canzoni sono state scritte in maniera molto istintiva: ho un’idea, la registro e te la mando, fine! E se al regista (Paolo Virzì, ndr) piaceva, rimaneva così. Quindi le canzoni sono rimaste le stesse dei provini: le strutture, nonché molti degli strumenti che ho usato in casa... quando sono andata in studio a cercare di fare registrare bene i pezzi, i risultati in realtà non andavano bene. I pezzi non avevano quell’intenzione eccitata della scrittura, erano troppo perfetti, troppo precisi, e Paolo non li ha accettati, quindi abbiamo tenuto i provini. E l’ispirazione dei tuoi pezzi da dove viene? Non lo so, non è una cosa a cui ho mai pensato. Penso che in realtà mi diano ispirazione gli strumenti: tutte le volte che ne prendo uno in mano, a meno che non sono particolarmente frustrata in quel momento della mia vita, vengono fuori una o due canzoni, che magari non porto a termine e che lascio lì... ma gli strumenti hanno delle canzoni dentro, un’emotività, una vita, una vitalità... hanno tutto dentro. Anche per questo uso tre chitarre dal vivo e nel disco. Molte le uso con accordature strane. L’ispirazione a volte arriva perché trovo una chitarra abbandonata in studio, che non tocco da tre anni, la suono, è scordata, anzi, è accordata a modo suo, e lì nasce una canzone che non avrei mai scritto con una chitarra accordata normalmente. Quindi la registro così... e per riproporla uso chitarre scordate.

Credo che parlino di me... ma non è una cosa voluta. Non sento la necessità del racconto. Succede che mentre scrivo immagino delle cose che diventano parole, ma non è un pensiero costruito. Oggi tra reality e talent show si perde la distinzione tra la vita privata dell’artista e la sua opera. In un certo senso in te possiamo scorgere tre persone o personaggi: Thony, Antonia la protagonista di Tutti i santi giorni e Federica, che è il tuo nome vero. Qual è l’interazione tra questi tre personaggi? Diciamo che le cose nascono per un’esigenza. Ad esempio non ho deciso di chiamarmi Thony per darmi un nome d’arte e farmi riconoscere attraverso quel nome. Era lontanissima da me quest’idea. È nata da un’esigenza: quella di mettermi un nomignolo che mi divertisse. Mi piace Thony. Avevo chiamato una gatta così, peraltro... poi è morta... Su tante cose non mi andava di essere riconosciuta. Quando andai a vivere a Roma, all’inizio, per strada parlavo e le persone mi chiedevano “sei siciliana?”. Questo mi dava fastidio, ma non perché non volessi ammettere di essere siciliana, ma perché mi dava fastidio che volessero sapere qualcosa di me che io non avevo detto. Era un periodo in cui mi piaceva stare un po’ nascosta. Ho parlato con un accento misto per anni, perché non volevo che mi chiedessero di dov’ero. Stessa cosa per il nome Thony.

E i testi parlano di te o ti ispiri Quindi sentivi un’esigenza di a storie che vedi intorno e che riservatezza? vuoi raccontare? Era un’esigenza di gioco, non di

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riservatezza! Chiamarsi Thony per me è un gioco. Parte da un’esigenza, che è quella di giocare, come i bambini... I miei genitori hanno scelto di chiamarmi Federica, quindi mi sarei dovuta chiamare Federica per tutta la vita? A me questa cosa non mi andava. Oggi mi piace chiamarmi Thony, magari in futuro cambio... magari a casa mi farò chiamare Genoveffa! Infatti mi viene in mente una cosa che hai detto sul personaggio di Antonia, ovvero che è un personaggio un po’ infantile, che tira fuori la bambina che c’è in ogni donna. Ma infatti, guarda, prima del film ero molto più seria. Dipende anche dalle persone che conosci nella vita: ci sono delle persone che ti cambiano, ti dicono delle cose su di te che prima non sapevi e che magari sono stati dei tuoi crucci a lungo. Fare questo film è stato per me stravolgente. Nel senso che effettivamente ha cambiato molti lati di me, io non sono una che pensa tanto a se stessa, una che si studia. Ho conosciuto delle persone, come Paolo e quelli che lavorano con lui, che mi hanno detto delle cose su me stessa che non sapevo: “sei istintiva”, “le tue canzoni non sono tristi, sono malinconiche, che è una cosa diversa...”, così la malinconia è diventata un gioco. Ho completamente rivoltato alcune cose che davo per scontate di me. Anche il fatto di imparare che certe cose che non sai di poter affrontare, con alte probabilità, le sai affrontare: ci sono cose che non provi mai a fare, ma se ti trovi nella condizione di doverle fare per forza, le fai. Questo mi ha fatto capire che abbiamo

molte più possibilità di quelle che musica in inglese perché nessuno utilizziamo. Perciò, in questo senso, la produce. Ma c’è qualcosa che giochiamo... giochiamocele! non dicono: se canti in inglese, ti viene sempre chiesto perché Non hai mai avuto esperienze non canti in italiano. Io mi devo come attrice prima del film giustificare perché canto in inglese! con Virzi’? Mi dicono che devo cantare in No, infatti premi che ho ricevuto italiano perché sono italiana. Ma come attrice mi hanno fatto molto che cazzo di discorso è?! Questo piacere, sono superlusingata! modo di pensare, proprio di chi Invece quelli che sono arrivati ascolta la musica, arriva per forza per la musica mi hanno fatto anche ai produttori. pensare un’altra cosa: quanto Gli italiani ascoltano un sacco di il mondo musicale italiano sia musica straniera, ma se viene predeterminato. Il disco è uscito fatta da un italiano c’è sempre una sia come album, che come colonna resistenza. sonora. Come colonna sonora Io canto in inglese, non mi chiedere ha avuto tanti riconoscimenti, ma di cantare in italiano! Se uno calcia come disco no. con il destro, perché gli devi Ora, probabilmente se non avessi chiedere di calciare con il sinistro? fatto un film con Paolo Virzì e C’è una certa diffidenza. Per questo l’avessi fatto con un altro regista gli italiani sono visti con diffidenza non mi avrebbe cagato nessuno, e non arriva la musica italiana e questo ci sta... però ho capito all’estero, perché noi stessi siamo che il gusto viene imposto e questo diffidenti. Tutto il mondo canta in rispecchia che non c’è libertà: inglese, islandesi, francesi... in se il gusto lo imponi, questa è Italia non si può. l’antilibertà. Questo è un pensiero che ho approfondito guardando A volte c’è anche un problema i giornali, le copertine, i gruppi di pronuncia... che suonano sempre. E questo un Ma in realtà non credo che sia un po’ mi dispiace, ma non per me... problema di pronuncia. Ci sono questo discorso è troppo serio per casi eclatanti per cui la pronuncia me... sono esausta... strana è diventata un segno di riconoscimento a cui gli ascoltatori È interessante, effettivamente, si affezionano. Come Bjork. Ovvio quello che dici. La scena che se scrivi in inglese e non lo musicale italiana secondo me conosci, il tuo percorso ha un ha dei buchi. Credo che non ci buco, ma se conosci l’inglese e la siano molti artisti veramente tua pronuncia non è perfetta, non è originali o innovativi: si creano un problema: se dici qualcosa che dei filoni e poi all’interno di ha un valore, allora probabilmente quel filoni tutti si copiano. qualcuno vorrà ascoltarti. Tu hai mantenuto una certa Per me, scrivere in italiano coerenza, continuando a significherebbe fingere in questo cantare in inglese e scegliendo momento, quindi scelgo di non delle sonorità che sono molto farlo. Quando mi verrà in maniera particolari... naturale, lo farò. Ti rispondo anche su questo: tutti dicono che in Italia non si può fare E del tuo tour negli Stati Uniti?

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Abbiamo fatto delle date con un produttore che si chiama Ferdinando Arnò, che fa molta pubblicità e ha prodotto Malika Ayane. Ha organizzato un tour negli USA e mi ha chiesto di partecipare con i Common Mama: io cantavo e suonavo sulle loro canzoni e loro suonavano e cantavano sulle mie. Abbiamo fatto questo giro ad Austin, Texas, al festival South by Shouthwest, un festival pazzesco a cui tutto il mondo può partecipare tramite un bando. Ci sono più di mille concerti in cinque giorni. Tutta Austin viene adibita a concerto: i negozi, le strade, gli alberghi... potresti trovare Prince in una location da quattrocento persone. Anche in quest’occasione ho capito un po’ di cose. C’erano dei gruppi che venivano dall’India, gratuitamente – perché al South by Southwest, se ti accettano, non ti pagano nemmeno il caffè - salivano sui palchi, montavano, suonavano quattro canzoni e poi se ne andavano. In Italia siamo un po’ dei privilegiati, perché in un certo senso, nonostante non si vendano più dischi, la musica è ancora una cosa che ci possiamo permettere di fare. In Inghilterra e negli Stati Uniti, così come in altri posti, ad esempio, non hai dei cachet fissi, vai a ingressi. Quindi organizzare qualcosa significa rischiare parecchio.

di booking. Ho capito che la figura del manager serve, perché hai bisogno di qualcuno che si interponga tra te e le persone con cui devi mantenere un buon rapporto: quella persona è un capo, tu sei un buon amico. Se ti poni come capo, per cui dici a tutti cosa devono fare, quando una cosa non ti va bene, i rapporti diventano faticosi. Non ce l’ho fatta a reggere quello stress e ho dovuto fermarmi per un attimo. Anche perché ogni casino era mio. Ieri si è rotto il furgone, per cui ho Invece come va il tour passato tutta la notte a cercare il italiano? Hai degli aneddoti modo di fare arrivare i musicisti da interessanti da raccontare? Roma a Milano. No, nessuna! Sono successi un sacco di casini, per cui ora mi Sei rimasta attiva anche al sono un po’ fermata. Io sono a di là del tour, collaborando un livello medio, quindi non ho un con la Dandini al tour Ferite agente. Ho avuto la stanchezza a morte, in cui venivano di interfacciarmi con tutti: con portati in scena monologhi l’ufficio stampa, con i musicisti, con di donne vittime di violenza i proprietari dei locali, con l’agenzia e con Diego Buongiorno per

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lo spettacolo The Bush - My Heart is a Forest... Certo! Mi sono fermata quest’estate perché ero stanca di suonare dal vivo: volevo riorganizzare le idee, cercare nuovi musicisti, capire quando avrei dovuto fare uscire il disco nuovo. Capito questo, ho partecipato allo spettacolo della Dandini per questi suoi monologhi bellissimi. Ho collaborato con Diego per questo suo progetto e probabilmente lavoreremo insieme anche per altre cose. Insomma, non sono rimasta chiusa in casa. E del nuovo disco cosa ci racconti? Non so quando ci sarà l’uscita. Ci sono un sacco di canzoni che mi piacciono, al punto che pensavo di fare due dischi. Ora le carte si stanno mischiando un po’. [ ]


TUTTE LE RECENSIONI DI JUST KIDS

SONO DISPONIBILI SUL SITO www.webzinejustkids.wordpress.com


JUST KIDS COMPILATION STREAMING

AMANDA ROGERS

NAUSICA

DAVIDE TOSCHES

CASSETTE

DANIELE CELONA

ALBEDO

YOU ARE PLURAL

OMID JAZI

JOHNNY FISHBORN

16MINS

SMALL GIANT

NICOLAS J. RONCEA

NEW ADVENTURES IN LO-FI

ECHO BENCH

TRACKLIST

W//M

01. AMANDA ROGERS - GENES I’M ALWAYS WEARING 02. NAUSICA - ...SAID THE MOTHER TO THE CHILD 03. YOU ARE PLURAL - CUT ALONG THE LINE 04. JOHNNY FISHBORN - WORDS WITHIN MY AIR 05.16 MINS - SILENT BIRD FULL VERSION 06. DAVIDE TOSCHES - TERRA 07. CASSETTE - TAPIR HOUSE 08. SMALL GIANT - WE WERE FUCKERS 09. NICOLAS J. RONCEA - FOREVER WITH HER GHOST 10. DANIELE CELONA - ACQUA 11. ALBEDO - STOMACO 12. OMID JAZI - L’AURA 13. NEW ADVENTURES IN LO-FI - SOMETHING MISSING 14. ECHO BENCH - 24

WAVES FOR THE MASSES È UNA REALTÀ ITALIANA NATA NEL SETTEMBRE DEL 2013 PER PROMUOVERE GRATUITAMENTE BAND INDIPENDENTI DAL SOUND EASY LISTENING. IL PROGETTO È APERTO AD ARTISTI PROVENIENTI DA TUTTO IL MONDO ED HA COME OBIETTIVO QUELLO DI DARE VISIBILITÀ A CANZONI CANTATE IN QUALSIASI LINGUA, CONVINTI CHE QUEST’ULTIMA SIA PRIMA DI TUTTO

UNO STRUMENTO MUSICALE E NON SOLO UN MEZZO PER RENDERE COMPRENSIBILE IL SIGNIFICATO DI UN BRANO.

W//M È SIA UNA NET LABEL INDIPENDENTE SIA UN UFFICIO STAMPA CHE CON ALCUNI ARTISTI RIVESTE ENTRAMBI I RUOLI MENTRE CON ALTRI CONTRIBUISCE ALLA LORO VISIBILITÀ LASCIANDO ALLE RISPETTIVE ETICHETTE TUTTI I CREDITS.

COME POTETE NOTARE IN QUESTA COMPILATION. WWW.WAVESFORTHEMASSES. COM

WWW.WEBZINEJUSTKIDS.WORDPRESS.COM


[Musica] NOVECENTO

novecento

di Gaia Caffio | illustrazione di Viviana Boccardi JK | 62


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[Musica] nOVECENTO

Lou Reed – Transformer – 1972 Lato A Testi e musiche di Lou Reed. Vicious – 2:58 Andy’s Chest – 3:20 Perfect Day – 3:46 Hangin’ Round – 3:35 Walk on the Wild Side – 4:15

Lato B Testi e musiche di Lou Reed. Make Up – 3:00 Satellite of Love – 3:42 Wagon Wheel – 3:19 New York Telephone Conversation – 1:33 I’m So Free – 3:09 Goodnight Ladies – 4:31

1972, Londra (non New York)

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ome sempre i punti di vista fanno la differenza. Nel 1970 essere Lou Reed non era affatto come si potrebbe immaginare. Due anni dopo aver lasciato i Velvet Underground, la sua carriera era in uno stato di limbo, con un debutto da solista abbastanza imbarazzante (un miscuglio minimalista e stratificato di brani preVelvet e post-rottura, che vendette in tutto 700 copie) e un futuro più certo come dattilografo nella ditta di famiglia che nel mondo della musica. Sono gli anni dell’ascesa del glam inglese, il primo movimento mainstream a riconoscere apertamente l’influenza dei Velvet Underground. Benché Reed abbia poco in comune con quell’enfasi, è proprio quello l’ambiente dove il suo stranoto anticonformismo poteva trovare casa in quel momento (“There was this whole glam thing going on so I just put myself in that head. Its not like I had to go very far to do it. I have about a thousand selves running around. Its easy” dirà lui stesso). La svolta arriva proprio da lì, dalle paillettes e gli imponenti cappelli di Londra. David Bowie e Mick Ronson – giovani di successo, entusiasti e probabilmente più lungimiranti di Reed – si sobbarcano la produzione del suo nuovo lavoro su suggerimento della RCA. L’eco dei Velvet è ancora molto presente e tutti in quel periodo si aspettano l’album della rivalsa. Quell’album è Transformer, gioia e perfezione. Bowie e Rodson, portano Reed a Londra, dove in pochissimo si rimette a lavoro in una dimensione lontana dalla sua New York. Transfomer nesce esattamente da questo contesto: da un artista purificato da un biennio infausto e da un’ accoppiata di inglesi scintillanti. Entro un anno l’album esce trionfante (“From

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the underground way up to Mars”). L’influenza indiscreta di Bowie è in ogni centimetro del disco, fino alla copertina che rappresenta un Lou Reed/Frankenstein in make up (diciamo più un Dr. Frank-N-Furter). Sul retro immagini da censura di Ernst Thormahlen grossolanamente oscurate in Italia dal fascione dorato “Produced by David Bowie and Mick Ronson”. Transformer è composto da 11 brani che dopo 40 anni suonano ancora profondamene fuori dai luoghi comuni che inficiano altri album dell’epoca (credo che l’abusato termine “cult” voglia dire anche questo). Lou Reed canta le sue canzoni fatte di una struttura base e melodia, accompagnandosi con la chitarra. Intorno alle sue armonie, semplici ma efficaci, Ronson compone misurati e puliti arrangiamenti che, insieme alla sua chitarra “nasale”, suonata con un pedale wah-wah premuto a metà, attribuiscono all’album un suono vivo e identificabile. Transformer suona in modo incredibilmente naturale. Universale subconscio musicale Le singole tracce sono storia. I loro testi sconfinano facilmente l’assetto musicale per quanto sono compiuti. Liriche incisive. Reed mostra un’attitudine comune a poeti come Patti Smith e Leonard Cohen, che hanno indirizzato la loro poesia alla musica, con l’unica differenza che lui non ha mai messo la sua scrittura sulla carta come poesia. Per la cronaca: un furioso litigio tra Bowie e Reed fece naufragare la speranza di avere un’altra collaborazione tra i due artisti e l’incantesimo svanì. Buon ascolto. [ ]


[Musica] L’ANTIPASTO NUDO

L'aNTIPASTO NUDO di Giovanni Romano e Graziano Giacò|illustrazione di Viviana Boccardi JK | 64


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[musica] L'antipasto nudo

Da Burroughs a Lester Bangs, interviste scorrette a 365 gradi.

Ospite: DAVIDE TO F F O L O [ELTOFO] [Hai scoperto, mentre lavoravi ad una determinata opera, qualcosa di nuovo su te stesso?] Il disegno l’ho sempre utilizzato per capire come sono fatte le cose, le persone. Come un attrezzo che uso per capire la realtà. Tutte le volte che fai un disco, in quel momento capisci poco, sei preso dalle varie relazioni che devi tenere. [Qual è la connessione tra la tua musica ed i fumetti che realizzi?] Ogni tanto il fumetto mi viene in aiuto, ogni tanto accade il contrario…Graphic Novel is Dead è costruito così: c’è una sezione fotografica che racconta la mia parte pubblica, che è speciale, in quanto sono quasi due anni che sono vestito da scimmia. Penso che i TARM siano un gruppo artrock, come potevano essere i Velvet Underground o i Roxy Music. Sul palco non potrei fare a meno della maschera, anche se è più divertente suonare senza perché si nota molto di più l’emotività del momento, mentre quando sei mascherato devi farla capire attraverso il corpo. La scelta di

omettere la propria immagine pubblica è una cosa fondamentale per capire cosa siamo, i TARM sono un gruppo rock con un’idea molto precisa di che cos’è l’alienazione umana nella trasformazione di un uomo in una merce. Nel libro racconto quest’alienazione e quindi come io vivo, che non vuol dire superare, quella dimensione lì: l’essere una merce. I concerti che facevamo otto anni fa avevano un’altra emotività, forse quella che faremo vedere nei concerti di aprile. Il ragionamento su che cos’è un’arte multipla è stata una delle chiavi per capire l’immaginario, il motivo per il quale continuo a scrivere delle cose e penso sia un nodo centrale del ‘900, mentre ora c’è una dimensione di socialità completamente differente. Questa cosa del fumetto come linguaggio e non come genere di intrattenimento è la battaglia che io ed altri disegnatori conduciamo da tanti anni. La graphic novel è una novità molto forte che ha rimesso in moto un linguaggio strepitoso, molto giovane e forse per questo motivo, rispetto al romanzo o al cinema, più accessibile e meno consumato. La Storia del fumetto si può ancora fare. Ho avuto un percorso fortunato da lettore perché sono cresciuto in un periodo nel quale i fumetti avevano un impatto sociale molto alto; quand’ero bambino leggevo soprattutto super-eroi, almeno sino al ’75, poi scoprii Alan Ford, realizzato da Magnus: un fumetto-commedia strepitoso in b/n con un’ambientazione esotica, americana e m’innamorai della visione estetica di Magnus. Poi in prima superiore la scoperta di Frigidaire (rivista fondata da

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Andrea Pazienza e Vincenzo Sparagna, ndr) con le storie di Pazienza, che per me sono state una grandissima rivelazione. Il Paz l’ho sempre sfiorato ma non l’ho mai incontrato, ho frequentato la scuola dove insegnava, l’anno in cui sono arrivato io era appena andato via ma non ho il rimpianto di non averlo conosciuto perché comunque è tuttora vivo quando leggo le sue tavole. In quell’anno di frequentazione, incontrai diversi autori che già leggevo come Magnus stesso, Mattotti, Igort, Scozzari; avevo diciannove anni e fu un anno epifanico: vidi questi autori, i miei preferiti, in diretta, e compresi il loro impegno rispetto ad un lavoro così astratto. Quel periodo è stato così forte che ho capito che sarei diventato un disegnatore. Dietro un fumetto c’è una grande professionalità artigianale e per i fumetti d’autore, c’è un talento supportato dalla grande coscienza di quello che si fa perché è un lavoro complicato, logorante ma unico in quanto mette insieme in relazione diretta il lettore con le capacità tecniche e il pensiero di una persona. Penso che in questo momento le “merci” siano tantissime, il tempo in internet si è azzerato, io ho la pretesa di immaginare di fare delle cose che abbiano un peso, almeno per me e tutte le volte che immagino di fare un libro o un disco si tratta di un viaggio profondo intrapreso col massimo dell’aspirazione. [Storicamente il fumetto è stato prodotto dalle case editrici specializzate, oggi invece le grandi editorie sono molto interessate. Quest’ultime non rischiano di raffreddare il prodotto e di


[Musica] L’ANTIPASTO NUDO

mercificarlo ancora di più?] L’interesse del grande editore è di tipo speculativo. In questo momento penso di essere un autore sufficientemente libero, la mia è una condizione speciale perché vivo su due direzioni, tutte e due si nutrono tra di loro e io sono diventato mio malgrado “famosetto”, come mi ha detto una volta un tassista romano: vedendomi con la chitarra, mi chiese cosa facevo. Gli rivelai allora che suonavo in un gruppo, quando gli ho detto che si trattava dei TARM esclamò: “Allora sei famosetto, mi fija t’ascortava prima, ora se sente artre cose” (l’espressione romanesca è autentica, ndr). L’essere famoso mi permette di restare autonomo nelle scelta, ed è la stessa linea che teniamo con La Tempesta e con i gruppi che lavorano con noi: tendiamo a dare la proprietà dei master, che nel fumetto sarebbe la proprietà del testo. [Esporteresti dovunque la tua arte, o ci sono delle situazioni off limits?] L’Italia è un posto strano dove Sanremo continua ad avere un peso altissimo nella musica,

tuttavia tutta la nostra produzione musicale sta da un’altra parte anche se io personalmente, con un gruppo precedente, ho partecipato ad una trasmissione parallela negli anni ’90 che si chiamava Sanremo International, dove c’erano artisti internazionali quali Depeche Mode, Jimmy Somerville, Van Morrison, roba incredibile. Penso ci siano due modi per immaginarsi artisti contemporanei, uno è quello di essere una parte integrante di un meccanismo complesso, quello della merce tradizionale e l’altro è quello di provare, su insegnamento dei gruppi come possono essere quelli dell’hard-core americano degli anni ’90, a trovare delle vie differenti. Io, questi ultimi vent’anni, li ho spesi a cercare delle vie differenti. Da parte dell’etichetta comunque non c’è alcuna preclusione verso Sanremo, è il singolo artista che decide. [Parlando del musicali lo-fi Cinque Allegri Ragazzi Morti] È stata un’esperienza nutriente per me, l’idea drammaturgica della regista è molto precisa: avviene tutto in un tempo diretto, la musica è tutta suonata e cantata dal vivo,

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lo spazio teatrale è completamente diverso, senza scenografie, con un palco a terra. Trovo sia vicino alle esperienze americane di teatro contemporaneo, la recitazione è potentissima. Ho dato credito alla regista perché avevo visto i suoi spettacoli precedenti ed erano per me fortissimi, le performance degli attori sorprendenti: te li ritrovi a due centimetri che fanno i numeri. Poi bisogna dire che loro provano tantissimo, a differenza dei gruppi rock, il mio perlomeno, noi non proviamo un cazzo. Il teatro è stata una sorpresa anche per me, e ci sono alcuni gruppi teatrali italiani che mi piacciono: la compagnia Valdoca è gigantesca, Raffaello Sanzio seminali, poi c’è la Compagnia delle Ariette, mi piace moltissimo Tony Clifton Circus e in Slovenia c’è un gruppo che si chiama Via Negativa, altrettanto potente. Io sono sempre stato uno curioso: mi sono sentito molto a mio agio durante lo spettacolo, mi è tornata l’energia che avevo da ragazzo, quando incominciai a suonare. Ho sentito lo stesso tipo di emozione per una cosa nuova con un rapporto molto diretto con il pubblico.


[musica] L'antipasto nudo

[Il discorso si sposta su cosa hanno dato e tolto a Davide le città come Pordenone, Milano, Roma] La provincia è l’unico posto che conosco veramente, è un po’ un rifugio anche se è un rifugio impossibile perché credo che in questo momento la provincia italiana sia in discreta difficoltà. Roma la conosco poco e sono eccitato come un bambino quando ci vengo. Qualcuno sostiene che è talmente potente che puoi fare a meno di cercare una tua identità. Ho abitato a Bologna quand’ero ragazzo ed è stata una città importante perché c’era un nucleo di disegnatori interessanti, sono andato via perché la trovavo troppo autoreferenziale. A Milano mi sono divertito molto, ho incontrato una comunità di musicisti gigante: forse il privilegio della città piccola è che non ti puoi crogiolare troppo. Street art non ne ho fatta praticamente mai, tranne un murales a New York che ho realizzato in modo estemporaneo. Ci sono degli artisti di street art che in questo momento sono i più grandi di tutti: BLU è il più grande artista che c’è nel mondo.

Qui a Roma so che c’è una tradizione importante. Conosco un ragazzo che è diventato molto bravo si chiama Luca Maleonte, potente, fa delle cose bellissime e l’ho conosciuto mentre eravamo in giro a suonare da giovani. È un’arte che mi piace ma non è il mio mondo, io lavoro in dimensioni molto piccole, lì ci vuole una capacità fisica diversa. [Parlando di cinema] Mi piacerebbe lavorare alla composizione di una colonna sonora. I film che hanno comprato le nostre canzoni non li avevo mai visti prima, perciò non potevo capire cosa c’era dentro; per me il cinema ha un aspetto emotivo un po’ complicato, mi mette un po’ a disagio nella visione, devo sempre vedere le cose due - tre volte, ci sono troppe immagini e non capisco un cazzo di quello che succede. Mi piacerebbe fare un film in animazione di un mio fumetto, quello su Pasolini. [I vent’anni di attività musicale con i TARM] Non li vedo come un peso o un’eredità, tutte le volte che faccio una cosa cerco di farla come se fosse la prima volta e questo mi dà una certa freschezza. Quest’anno stiamo preparando un libro grafico con tutta la biografia dei TARM e rivederla tutta insieme in un solo colpo è un bel viaggione… mi fa un po’ tenerezza rivedermi quand’ero più piccolo e a volte mi fa anche impressione, soprattutto nel periodo pre-TARM, lì non mi riconosco…Faremo tante cose diverse, le prime sono state l’uscita del mio libro, poi il musical, che è un’idea della Compagnia Pubblico Teatro, quindi ci sarà questo tour che farò da solo che si chiamerà

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GRAPHIC NOVEL IS DEAD LIVE: sono spettacoli comici, sto cercando di fare delle cose che ottengano un certo tipo di spiazzamento. Ad aprile con i TARM faremo un tour che si chiamerà APRILE 1994 dove proporremo i concerti del ’94. Non provo vergogna quasi di niente, al contrario forse c’è qualcosa di cui ho paura, ma non so se ho voglia di dirvelo… [Ritorno al Futurismo…] Intanto mi piacevano i quadri, poi mi piaceva l’idea del gruppo, l’idea di essere un’avanguardia, di lavorare su un’idea di linguaggio, tutte le avanguardie storiche hanno qualcosa di epico. Io penso che gli artisti, quelli veri, abbiano sempre una dimensione critica rispetto a quello che gli succede intorno, mai di schieramento politico, almeno quelli che piacciono a me. Anche Pasolini, che apprezzo molto, non è mai stato un’artista banalmente di sinistra; preferisco gli artisti che hanno un’autonomia di pensiero, in generale preferisco pensieri critici e non allineati. Pratt ed Enki Bilal sono enormi, e confesso d’essere molto affascinato da Carmelo Bene. [Tutto è bene quel che finisce con Carmelo Bene] []


[Musica] webziners

stordisco.blogspot.it

The Black Stuff di Angela Giorgi

N

on ho mai letto una riga dell’enciclopedia musicale di Scaruffi, in cui l’intento positivista di classificazione e controllo, finalizzati all’educazione delle masse, eclissa ogni traccia di egoistica famelica passione. E la prima volta che ho visto una foto di questo signore perbene, tra i suoi cd incolore clinicamente

accumulati, con un’incolore t-shirt domenicale e la sua espressione di competenza incolore, il mio sistema immunitario ha involontariamente generato l’antidoto: l’immagine di Lester Bangs accucciato sul pavimento di una stanza dominata dall’entropia, circondato da vinili che franano rovinosamente dalle pile disordinatamente edificate accartocciando fanzine e riviste, mentre l’attenzione rimbalza dagli occhi allucinati d’esaltazione di Les alle cuffie dello stereo che lo accompagnavano nei lunghi ascolti notturni. Mi sono guardata intorno, soccombendo inerme all’assalto da terra capeggiato da Grotesque dei Fall, mente dall’alto della libreria plana Scott Walker con Bish Bosch; la mia vita sarebbe più ordinata se non avessi scelto di arrendermi all’invasione: lasciare che ogni centimetro, giorno dopo giorno, sia conquistato dall’esercito di plastica nera equivale a visualizzare lo spazio occupato dalla musica nell’esistenza, trovando nel sovraffollamento domestico il correlativo oggettivo dell’ossessione ultradecennale. Lascio la comodità di altri supporti a chi predilige una vita maneggevole; e a chi non tollera i difetti di fabbrica e i logoramenti inflitti dal tempo, le imperfezioni che si accumulano nostro malgrado come tracce di ciò che è stato. Il vinile che sfoggia orgogliosamente come uno schiavo affrancato le cicatrici subite sotto i precedenti padroni, o che brilla nuovo per essere deflorato dalla prima puntina o

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[musica] webziners

persino martoriato dagli impietosi giradischi dei locali, quando viene trascinato fuori dall’intimo delle mura domestiche per dj set notturni, mi ricorda ogni giorno gli istanti passati scanditi dai solchi. Il graffio che corre da Cactus fino a Vamos rende la mia copia di Surfer Rosa un esemplare irripetibile: la sua corrosa unicità sovrasta vittoriosa nel mio cuore l’asettica lucentezza di un cd o l’impalpabile inattaccabilità di un file. Attraverso il mio amplificatore a valvole il suono conquista un’esistenza tangibile, si afferma con una presenza quasi corporea mai identica a se stessa; occupa la stanza come un ospite abituale che, dopo pochi giri sul piatto, si siede sul pavimento perfettamente a suo agio con la schiena contro l’armadio. Come i corpi lasciano il loro odore sulle mani, sui vestiti e tra le mie lenzuola rosso sangue, così un 45 giri di Elmore James importa la muffa degli scantinati di magazzini in disuso dal profondo sud degli Stati Uniti, un disco usato comprato da un negozio vicino irrimediabilmente caotico diffonde la polvere depositata nei mesi, che copre l’odore delle stanze altrui che ha abitato: parenti che vendono la memoria dei loro morti in intere collezioni, rocker sulla via della redenzione o della pensione che si sbarazzano di un compromettente passato, squattrinati che racimolano qualche spicciolo disfacendosi a malincuore di oggetti d’affezione, come Christiane F. che vendeva la raccolta di Bowie e non solo quello, per strada a Berlino Ovest. Lo sfavillante nero pece di un vinile sigillato insegna che anche la novità ha un suo profumo, di affamata attesa alimentata da ascolti furtivi e recensioni allusive e proclami ed erano vent’anni che i My Bloody Valentine non facevano un disco. Osservando intimorita la marea nera che dilaga nella mia stanza e nel resto della casa, comprendo che la solitudine è condizione necessaria e insieme inevitabile conseguenza di questa relazione esclusiva; la devozione al feticcio vinilico, l’ipnosi esercitata dalla varietà estetica delle copertine, soprattutto l’assuefazione dell’orecchio al suo suono materico e accogliente richiedono il tempo e la pazienza di una frequentazione solitaria e solo raramente condivisa. Il matrimonio che mi lega da oltre metà della mia vita è stato combinato e preparato per l’altra metà: quando il palmo della mano è cresciuto abbastanza, mio padre mi ha insegnato la corretta presa di un vinile; l’esercizio di maestria equilibristica è diventato naturale negli anni, tanto da poter abilmente sorreggere una copia di No New York mentre rovisto alla ricerca del prossimo

cambio in console, contemporaneamente ingoiando Long Island e pavoneggiandomi con gli avventori. Quello che mi ha insegnato mia madre è che gli arrangiamenti di Tony Visconti rifulgono anche su una stampa Best Buy consumata fino alla consunzione dello stesso già emaciato Ziggy, causa collezione ridottissima e perciò amatissima di soli sette otto dischi. Anche le ossessioni si trasmettono per via ereditaria. [ ]

...e nel prossimo numero ospiteremo anche altri webziners!

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www.osservatoriesterni.it/ breakfastjumpers.blogspot.it www.paperstreet.it


[ILLUSTRAZIONI] FUMETTI

PEGASUS INTERNATIONAL testi: Marcello D’Angelo disegni: Michele D’Aloisio lettering: Rossella Dargenio

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[ILLUSTRAZIONI] FUMETTI

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[ILLUSTRAZIONI] FUMETTI

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[ILLUSTRAZIONI] FUMETTI

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[ILLUSTRAZIONI] FUMETTI

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[ILLUSTRAZIONI] FUMETTI

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la dimensione eroica del microbo

di Maura Esposito


[illustrazioni] la dimensione eroica del microbo

Ai bambini disobbedienti

Ai bambini disobbedienti. Bombarolo sul trenino di sughero Kamikaze sull’aeroplano di carta lanciato alla stazione spaziale per natale, la casa gloriosa di dio.

Ai bambini disobbedienti. Caramelle in bocca, nudi, schiacciati, detersi sfidano il plotone di esperti che si avvicina solenne pronto a decimarli, il loro sguardo rivolto dove c’è l’estate. Saltano le lettere dell’alfabeto -zuppete zuppete plum plum! all’assalto del mattino gridando -buongiorno niente! Dalle stanze si leva un grido che dice che niente parla d’amore. [ ]

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[illustrazioni] punto focale

PUNTO FOCALE di Giulia Blasi

Davanti le porte del tempio, Giulia Blasi, 2013 www.giuliablasiart.blogspot.it

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[illustrazioni] punto focale

Senza Titolo

Paura e dolore camminavano Per mano Mentre arrivarono alla porta Il buio poi la luce Fermento di battiti cardiaci Sudore Ripercorrere i momenti non Può dare la pace Sbattere alle pareti del Barattolo vitreo Febbre alta Fermento di battiti cardiaci Il cuore si ferma Tutta la realtà si concentra in Quell’attimo veloce

Puoi forse uscire E respirare aria buona Lo farai Luce che corre nell’umida ombra per la vita. [] JK | 79


[immaginario] Sommacco

sOMMACCO

è Luca Palladino, Giorgio Calabresi, Francesca Gatti Rodorigo www.sommacco.wordpress.com

Sommacco è immaginario adamantino. Sommacco è la necessità di buttare fuori le storie che popolano dentro noi. Sommacco è la necessità di mettere le mani in pasta per raffreddare i pensieri, perchè se no poi scoppiano. La nostra casa è il Mediterraneo.

14 storie in 140K di Luca Maria Palladino

1

.La parola venne derubata del suo significato. Non fu mai trovato il colpevole, erano troppi. 2. All’assemblea il tizio prese la parola e la strozzò. 3. Dice che la speranza è sempre l’ultima a morire. Se moriva per prima a quest’ora nun stavamo a sperà un cazzo. 4. Indossava addirittura un orologio al polso. Un’esperienza nuova era

per lui passare inosservato. 5. Sebbene l’eiaculazione fu precoce, fu proprio in quel preciso momento che capì che il bandolo della matassa è la Fica. 6. Non rappresentava più una sofferenza dormire al freddo e al gelo. Morì di abitudine. 7. Non riusciva a trovare la parola che gli serviva per concludere il puzzle dell’immagine pensata. Si ubriacò di frustrazione.

8. Si sentiva come il parlante davanti al tempo composto, improrogabile era dover scegliere l’ausiliare giusto. 9. “Broccolo deve essere soffritto con l’aglio e poi soffocato”, questi erano gli ordini che gli impartirono. Lui si rifiutò. 10. Se ne stava tutto impaturgnato pensando al suo amaro destino: presto lo avrebbero affettato a listarelle, cavolo! 11. Sgombro se ne stava rinchiuso in una piccola scatola di latta ricoperto di mostarda. Non lo aveva scelto lui. 12. A volte gli andava così tanto de fasse li cazzi degli altri che prendeva la metro a buffo. 13. Critone non lo compra l’ombrello, dice che il cielo di Parigi si libererà prima o poi dalla legge del Nord. Critone si bagna. 14. La vita è sugar free, è amara [] | pic by Florry one

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[immaginario] sommacco

Domani smetto di Giorgio Calabresi

G

li hanno detto che desiderare fa venire il mal di pancia. Gli hanno chiesto di non mettere su sempre la stessa canzone, di non guardare ancora lo stesso film ma di iniziare a usare le mani. Non le puoi mica correggere le emozioni - gli ha detto lei - non ce la fai, nessuno ce la fa e tu non sei diverso dagli altri.

Anche se ci hai creduto per un sacco di tempo adesso sai che non conta più, passa oltre, gira pagina, varia piatto, volta faccia, cambia lingua. Tanto poi ti torna tutto addosso come furia equestre anche se non vuoi. Lui non la sa scrivere una storia intera, scrive solo l’inizio poi non sa più come andare avanti, rumina

i soliti non lo so, inchioda le stesse parole fino a quando non perdono peso e il vuoto se le mangia. Alla parola fine non ci arriva mai, preferisce ciao, lo fa sentire meno solo. ciao. [ ]

10 Giri di lavatrice e’ il tempo per cambiare idea di Francesca Gatti Rodorigo

A

settembre ero sola, così come ad ottobre. A novembre eravamo in due e più che abbastanza. A dicembre già in tre. A gennaio in cinque. Lo scopo di Fibonacci era stato di chiarire la legge che regolava la riproduzione dei conigli. Ma a me che coniglio non sono, mai Fibonacci è sembrato più pertinente. “Tu vuoi ciò che non hai” era la diagnosi sudata di Thibault fatta ad agosto dopo un’accurata visita. Fuori piove, è un lunedì di festa e la colazione è a base di orzo e crostata. A conferma vorrei che fosse mercoledì, cielo terso, latte di mandorla e cannoli. La lavatrice scassata gira faticosamente. Per decidere se in cinque si è troppi mi do tempo fino a che il calzino blu precipiti 10 volte alla base dell’oblò. Se tutto si costruisce con pazienza, devozione all’intento, tanto spazio

e tempo, al contrario del costruire bastano fretta, nonchalance, e un’unità minima di spazio e tempo. Con gli indici e i medi viscosi di marmellata tutta pectina scrivo una mail con degli spazi vuoti da riempire all’occorrenza al posto di: - nome del destinatario - genere dell’aggettivo che precede il destinatario - data dell’ultima volta in cui ci si è visti e identificata casualmente come decisiva rispetto al messaggio da comunicare - due righe a metà del corpo del testo destinate a virtù e pregi universalmente riconosciuti al destinatario che tuttavia non bastano a compensare le due righe standard che seguono, ovvero l’elenco delle mancanze costitutive e dei difetti insanabili del mittente che toglie qualsiasi possibilità di dialogo e tentativi futuri. - nome in calce al messaggio e luogo in cui è stato scritto (diversi solo per il destinatario numero JK | 81

5 che probabilmente ha mentito a sua volta su nome e luogo di residenza). “Ti auguro di trovare qualcuno che possa capirti davvero e renderti felice come meriti. Tua. Annarella”. []


[IMMAGINARIO] TROPPO TARDI PER GLI ONESTI

troppo tardi per gli onesti di Daniele Aureli e Francesco Capocci | 2ue

Fine primo tempo. Italia-Ucraina 1-1 Da una scoperta Dedicato al nostro compagno di viaggio (m.s.) Musica consigliata: John Lennon – Nobody told me Bevanda abbinata: Shottino di vodka

P

artenza, Volo, Arrivo. Città straniera. Benvenuti. In poche parole siamo arrivati, oppure siamo arrivati in poche parole: punti di vista. La prima impressione è povera, una città lasciata a se stessa. Una città lenta, senza troppe pretese. Io ho fame ma non mangio, poi ho sete ma non bevo. Abbiamo una manciata di soldi ma non sappiamo come usarli, sembrano quelli del Monopoli. La partita è iniziata e noi dobbiamo avanzare di qualche casella. Saliamo su un autobus Ucraino, un malridotto giallo autobus Ucraino. L’autista fuma. Fuma sigarette lunghe, fini. Ha dei gran baffi ed è vestito con una maglia impolverata. Sorride; mancano all’appello alcuni denti, a occhio e croce ne conto circa 23. Noi siamo i primi a salire, poi arriva uno sciame di facce sconosciute e indecifrabili come le scritte che ricoprono l’autobus… Primi inconvenienti linguistici. L’autobus parte, noi non sappiamo nulla. Direzione, arrivo, dove

andare, quando fermare. Abbiamo solo la speranza di arrivare. Nel nome del Padre, del Figlio e della sorella prosperosa… Amen. Scattiamo foto per seminare imbarazzo e nascondere domande. Il flash sorprende tutti e dalla semina l’imbarazzo cresce velocemente; le domande invece si sono nascoste bene “Dove? Dove diavolo ci starà portando?”. L’autobus si ferma, l’autobus riparte. L’autobus si ferma, la porta si apre, qualcuno sale, qualcuno scende, la porta si chiude, l’autobus riparte. “Dove? Dove diavolo ci starà portando?”. Le donne… Sono belle! Le donne ci distraggono, si pettinano i lunghi biondi capelli e inchiodano i nostri sguardi. Le donne ci regalano un po’ di speranza. Hanno le unghie troppo lunghe, ma non è un problema così grave: anche la rosa più bella nasconde delle spine. Una voce, cupa e incomprensibile, ci fa capire che alcuni fiori non devono essere toccati, mentre altri

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costano caro. Anche se i gesti che accompagnano il messaggio sono chiari, noi fingiamo di non capire. L’autista alza il braccio, possiamo scendere: siamo arrivati a destinazione. Paghiamo il doppio del dovuto e non ci dà il resto. La sua faccia mi dice che è meglio non creare problemi e io accetto il consiglio. Il resto mancia. “Paese che vai, usanza che trovi”. Io conosco anche il detto “il cliente ha sempre ragione”, però lo terrò presente per un’altra occasione. Scendiamo; valigie e zaini ci trascinano. Due nomi, scritte, cartelli ci fanno sentire un po’ a casa, ci ricordano un po’ casa. Una via che si chiama Shevchenko mi ricorda Roma-Milan. Quella sera mi trovavo all’Olimpico, l’Ucraino ha infuocato gli spalti. Due a zero, o forse due a uno: mi sorprende un dubbio numerico. Poi un simbolo: una emme. Una M gialla di uno stramaledetto Mc Donald’s che non manca mai. Camminiamo, la gente non parla inglese e noi non parliamo l’ucraino.


[immaginario] troppo tardi per gli onesti

1-1, palla al centro, si ricomincia. Ci affidiamo all’istinto e svoltiamo a destra. Da lontano s’intravede una scritta. Strizzo gli occhi e cerco di fare lo spelling. O di e esse esse a spazio acca o ti e elle. Odessa Hotel. Siamo arrivati. … Ci guardiamo, è la prima certezza del viaggio. I nostri occhi sorridono, le nostre bocche si accodano. Primo traguardo raggiunto. Intervallo. Dopo due ore, il primo momento di tranquillità. Prendo il mio lettore mp3 e mi dedico una canzone, casuale, quella che viene. Il fato ha ottimi gusti: John Lennon, Nobody told me. Mi vengono in mente due cose, la prima è il video della canzone, dove lui e Yoko folleggiano innamorati, la seconda è un pensiero… Forse non torno più. []

| pic by 2ue

wearedroll@gmail.com JK | 83


[immaginario] INTERvISTE IMPOSSIBILI

INTERVISTE IMPOSSIBILI di Alessandro Barbaglia

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o sempre covato nel fondo dell’anima una domanda bizzarra: Dio è ateo? Cioè, Dio, crede in un dio? Ha fede? No perché potrebbe sembrare una sciocchezza, ma io credo sia fondamentale: credere in Dio è una condizione esclusivamente umana o si addice anche al Creatore? Perché quella dell’alto dei cieli sarà mica una credenza terra a terra? La questione mi inquieta. Perché se Dio credesse in dio, sarebbe una forma di narcisismo? Di politeismo? E se Dio non credesse in dio, invece, cosa farebbe? Andrebbe in analisi per parlare della cosa? E chi è l’analista di dio? Un dio, suppongo… Non so. Ieri notte camminando sotto la neve (che poi cos’è la neve? Forfora dei gelidi gratta capo di dio?) ho trovato una chiesetta tra i campi. Una chiesetta della Madonna. Lì, nella notte bianca di latte, due ragazzi rompevano la luna guardandosi negli occhi: lui schettinava sul ghiaccio il nome di lei. Lei aveva freddo. Ma solo fuori, dentro rideva. Li ho visti giocare in quel loro ridere scambiando brividi e calore ma non con il gelo d’inverno. E mi son chiesto se magari là in mezzo non ci fosse dio. Uno in cui credere. Nella notte, nella neve, nei loro occhi. D’improvviso mi le ginocchia hanno ceduto. Come un inchino fatto di sangue e sbucciature. D’amore. E allora pieno di domande l’ho chiamato. Perché io sono un uomo pieno di dubbi. O forse no… Buio. Sullo sfondo la chiesetta. Intorno tanta neve. Fioca, una luce in crescendo, illumina un uomo. Tiene in mano qualche foglio bianco. In testa un cappello, cappotto scuro, elegante, scarpe da ginnastica blu con lampi gialli. L’uomo ha pessimo gusto per le scarpe. Io(?): “Dio?” Si sente un tuono spaventoso. Poi un altro tuono. Infine uno più spaventoso ancora. Io(?): “Dio...? Sei tu?” Altro tuono, poi scarica di fulmini. Silenzio. Io(?): “Dio, mi perdoni, volevo farle qualche domanda, ma se ha da fare torno un altro giorno...

il settimo magari che ho letto da qualche parte che il settimo che si riposa... (pausa. Tuono) Guardi che sono in buona fede, sa… ho portato anche la mela (si toglie una mela dalla tasca) così lei è tranquillo che non le rubo niente”. Silenzio per qualche secondo. Io(?): “DIO! DIO! Insomma, DIO... ma perché vuol farsi pregare a tutti i costi! …”. (guarda in alto) Dio(?): “Perché guarda in alto quando mi parla? Eh?

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| pic by Inha Leex Hale

Intervista a Dio


[immaginario] INTERVISTE IMPOSSIBILI

Fate tutti questa cosa qui. Ridicola per altro. Perché nessuno di voi mi cerca, che so, in una pozzanghera, sotto le poltrone, nel frigorifero che anche lì se apri la porta vedi la luce in fondo al tunnel… Chi vi ha detto che volo?” (E’ una bellissima voce di donna.) Io(?): “Oh mio Dio…” (Shock. Come vedere una scarpa col tacco sulla neve...) Dio(?): “Dimmi…” Io(?): “Ma tu... ma tu sei Dio? E per parlati era così facile? Bastava venir qui a farti due domande?” Dio(?): “Tu lo dici”. Io(?): “Scusa ma che stavi facendo prima?” Dio(?): “Quando?” Io(?): “Prima con quella storia dei fulmini, dei tuoni… della neve” Dio(?): “Ah, quelle… Quelle sono le mie abluzioni. Facevo lo shampoo”. Io(?): “Dio… Dio... tu… tu ti lavi?” Dio(?): “No, ma abbia pazienza, lei è di questo che voleva parlare? Della mia igiene personale? Francamente in questi 2000 anni ho sentito rivolgermi

domande migliori sa…” Io(?): “Ha ragione, dev’essere l’emozione. E che faccio sempre così quando ho a che fare con i supereroi. Una volta ho intervistato Superman e gli ho chiesto perché mettesse le mutande rosse sopra i pantaloni e non viceversa”. Dio(?): “E lui?” Io(?): “Questione di abitudine, mi ha detto. (Pausa. Poi incalza...). Ma che fa si interessa a queste cose?”. Dio(?): “Io mi interesso a tutto”. (stizzito) Io(?):“E che cos’è che le interessa di più?” Dio(?):“Beh, si sa. Lo dimostro da sempre: il silenzio. E’ quanto di più interessante abbia mai sentito. Ogni tanto mi infilo sotto gli oceani e passo eternità a sentire quello che mi raccontato i pesci. E sa cosa mi dicono? Niente. Che paradiso…” Io(?): “Che poi detto da lei…” Dio(?): “Perché lei non ha idea di che caos che c’è lì. In paradiso. Basta una vecchietta che deve attraversare la strada con le buste della spesa e ci sono chili di anime pie che vogliono aiutarla... E litigano sa? Spesso devo intervenire io”. Io(?): “E come fa? Li sgrida? Li punisce?” Dio(?): “No non posso più. Son beati... Moltiplico le vecchiette bisognose.” Io(?): “Mi sembra una buona soluzione, sa? Per aiutare quelli che son già beati... moltiplica i bisognosi. Un atteggiamento molto ecumenico...” Dio(?): “Non faccia lo spiritoso, non fa ridere nessuno, sa?” Io(?): “Be nemmeno lei come comico non è gran che...” Dio(?): “Ha ragione, di solito preferisco fare piangere. Ma poi consolo. Io sono la consolazione, ecco perché non faccio tanto ridere”. Io(?): “Ma ridere è consolazione... Dio, sia serio: perché ci sono le guerre? Perché c’è la sofferenza? Le malattie? Perché i bambini muoiono di fame? Perché c’è il dolore?...” Dio(?): (interrompendo) “Sempre la stessa storia… Oh Gesù…” Io(?): “Cosa fa? Impreca?” Dio(?): “No no, ma quale imprecazione, stavo chiamando mio figlio: (rivolto ad altri) “Gesù? Oh? Gesu? Guarda che questi ancora non hanno capito niente. Devi tornare. Lo so che non hai voglia, lo so che non ti hanno trattato bene, ma questa è gente un po’ dura di comprendonio... Ma non gli avevi lasciato anche degli appunti da studiare?” Io(?):“Dice la Bibbia? I Vangeli?”

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[immaginario] INTERvISTE IMPOSSIBILI

Dio(?): “Ma va… quella è roba vostra. Parlo dei tramonti e delle notti stellate. Delle montagne. Del mare in tempesta visto dalla scogliera. Della neve di notte. Dell’amore... Non le avete più queste cose qui sulla terra? Il mistero è tutto scritto lì. Basta leggere”. Io(?): “Ma non può fare un ospitata da Vespa a Porta a Porta con il plastico del progetto divino e spiegarlo meglio?” Dio(?): “Meglio di come spiega il mistero un tramonto sul mare? Va in onda tutti i giorni… in prima serata!” Io(?): “Dio, mi scusi, ma se lei fosse un uomo, crederebbe in Dio” Dio(?): (ride) “Ma assolutamente no. Credo in me stesso, però” Io(?): “E perché se fosse uomo non crederebbe in Dio mentre se fosse Dio ci crederebbe?” Dio(?): “Perché io sono colui che è. E voi invece siete stupidi”. Io(?): “Non ho capito” Dio(?): “Ha visto che avevo ragione io…” Io(?): “Quindi noi non le serviamo…” Dio(?): “Oddio… (pausa) a conti fatti nessun Dio sopravvive alla morte dei propri fedeli…”. Io(?): “E tu mangi, Dio?” Dio(?): “No ma cucino benissimo. Cucino da Dio. Infatti ho sempre a cena un sacco di amici”. Io(?): “Tipo?” Dio(?): “Viene Freud, tutti i giovedì sera. Simpaticissimo. Sa che sono ancora in analisi da lui? Dice che non sono ancora uscito dalla fase dell’onnipotenza tipica dei bambini. Il fatto è che se fosse per lui le sedute durerebbero un’eternità. Meno male che ha il lettino… E poi Einstein, viene il lunedì, lo prendo sempre in giro sulla storia della velocità della luce. “Hai visto che c’è qualcosa di più veloce”, gli dico…” Io(?): “I neutrini…” Dio(?): “Ma che i neutrini, il buio! Quando arriva la luce il buio è già lì ad attenderla. E lui si arrabbia “Non prendermi in giro!”. Ma il più simpatico è Nietzsche: “Dio è morto”, mi urla in faccia tutte le volte. E io gli rispondo: “Parla per te Friedrich, parla per te”. Ci facciamo certe risate …” Io(?): “Dio, però, può darmi un segno della sua esistenza. Una dimostrazione concreta. Certa…” Dio(?): “Volentieri. Lei ascolta la musica sul computer? Usa mai il Dj automatico?”

Io(?):“Certo”. Dio(?): “Ecco, quello che sceglie la sequenza delle canzoni sono io”. Io(?): “Questa è la più grossa sciocchezza che abbia mai sentito dire su Dio”. Dio(?): “Davvero? Beh, è fortunato. Non sa quante ne ho sentite io…” Io(?): “Ecco, ma lei le sente le preghiere?” Dio(?): “No” Io(?):“Non le senti perché non le ascolta?” Dio(?): “No, non le sento e basta. Sto lontanuccio io, caro lei, non ho mica l’udito di Superman. E nemmeno le sue mutande sui pantaloni…” Io(?): “E cosa sente della terra?”. Dio(?): “Un rumore di fondo. Come di calabroni”. Io(?): “E siamo noi? Le preghiere? Gli inni, le messe? I Salmi? I canti gregoriani?” Dio(?): “No no, sono i calabroni. Per non impazzire potevo scegliere un solo suono per ognuno dei pianeti dell’universo. Del vostro ho scelto i calabroni. Mi rimanevano solo loro...”. Io(?): “Ma allora c’è vita nell’universo?” Dio(?): “Uh… poca. Un po’ il sabato sera”. Io(?): “No. Tu non sei Dio. Non può essere” Dio(?): “E tu (pausa) non sei Dio neanche tu” Io(?): “Sì, ma io lo so di non essere Dio, caro mio”. Dio(?): “Eh… mica lo so, sai? Uno che vuole intervistare Dio significa che si sente al suo livello. Se non di più…” (Silenzio) Io(?): “Dio, dimmi un po’ ma a Natale che hai fatto?” Dio(?): “Un delirio. Ho dovuto trovare per la 2013esima volta un regalo per la nascita di mio figlio…” Io(?): “E che gli hai regalato?” Dio(?): “Alla fine ho esaurito la fantasia: ho scritto una letterina a Babbo Natale, ci ha pensato lui” Io(?): “Dio, ma per carità, non vorrai mica dirmi che alla tua età ancora credi a Babbo Natale?” Dio(?): “Io credo, io credo che nella vita, in qualcosa, bisogna pur credere. Mi creda…” Io(?): “Dice?” Poi in un lampo tutto si fa silenzio. Come non ci fosse più altro da dire. Siamo in un Pub irlandese. Davanti a lui tre pinte di Guinnessvuote. Va verso i bagni, lo fermo un istante prima che entri nel bagno delle donne. Lui mi guarda con un sorriso stupito: “E perché lì no? C’è scritto Signore? Sarà ben per me, no?” [ ]

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[storie] sbevacchiando pessimo vino

SBEVACCHIANDO PESSIMO VINO di Paolo Battista

L’occasione

sei sicuro che questo è quello che vuoi? “, mi dice Mario guardandomi con gli occhi a palla. “ non lo so quello che voglio “, gli dico “ ma non le riesco a staccare gli occhi di dosso. “ “ cazzo ti prende man, io non la vedo bene sta storia “, continua Mario appoggiato con la schiena al bancone sudicio del Nevermind. “ e cosa dovrei fare? lasciar perdere? spegnere il cervello? “ gli dico buttando giù il terzo cicchetto di southern. “ ma cristo non vedi che è una ragazzina? “ “ e allora? ioio…e comunque ha vent’anni, da tre fa la barista e da due vive da sola, capisci? “ “ massì che capisco “ sbotta Mario, “ resta il fatto che sei sposato e tua moglie ti aspetta a casa, che ti devo dire, io sono dalla tua ma attento a quello che fai “ “ cazzo si che sto attento, e poi non ho fatto un cazzo “ gli dico svuotando un altro cicchetto. Anche Mario ne ingolla due di fila e poi m’invita a seguirlo fuori per una sigaretta.

“ hai le cartine? “, mi fa “ che ho finito le mie…” Prendo due cartine e ci rolliamo le nostre belle sigarette, poi il discorso continua: “ cazzo man hai vent’anni in più, non può finire bene credimi io lo so no che non può finire bene, lo so “ frigna Mario preoccupato per i miei problemi di cuore e di palle. “ non so che fare “ gli faccio sputacchiando fumo sulla sua faccia ingrugnita, “ proprio non so che fare cazzo…” “ e lo so, e ti capisco, ma qui in questa piccola città le cose possono solo complicarsi, qui tutti si conoscono, tutti sanno quello che fai addirittura prima che tu faccia una cosa, se proprio devi incasinarti la vita pensaci bene, capì? “ “ ok beviamoci qualcos’altro “ gli dico ma proprio in quel momento Diana, capelli castani lunghi, occhi chiari e lucidi, culo da favola nel jeans stretto, stivaletti bassi, sorriso aperto, mi si fionda addosso come una gattamorta, mi bacia quasi sulla bocca alzandosi sulle punte e mi butta le sue braccia lanose

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attorno alle spalle. Io non mi tiro indietro ma neanche mi sento completamente rilassato. Solo mi piace, e ogni volta non riesco a staccarle gli occhi di dosso. Così ce ne stiamo a parlare a pochi passi dal bancone, le offro da bere, cerco di ascoltare le sue parole le sue pause i suoi sguardi i suoi sogni, con Mario a due passi che mi fredda col suo sguardo alcolico e decine di persone tutt’intorno che vomitano grugniti squillanti come telefonini di ultima generazione. Poi è il mio telefono a squillare, come a volermi ricordare chi sono; bevo un altro bicchiere, rispondo e con una scusa qualsiasi mi catapulto nel cesso lasciando Diana appesa come una pera. “ quando torni a casa? “ mi chiede mia moglie Carla strizzando la c come una cosa fastidiosa. “ non lo so “ le rispondo, “ più tardi “ ma vorrei dirle: e se non tornassi? se da domani smettessi di guardarmi indietro? se anche tu facessi lo stesso? “ si piccola… “ continuo, “ ma tu non aspettarmi alzata, tranquilla…” e cerco di non sembrare troppo


[storie] sbevacchiando pessimo vino

distante, distaccato, chiudo con: ti amo, e tiro fuori l’uccello per fare un goccio. Quando apro la porta a soffietto senza maniglia del cesso del Nevermind mi ritrovo a fissare la mia faccia scoppiata nello specchio scheggiato dell’antibagno. Potrei non tornare, mi dico affondando le mani sotto l’acqua fredda. Semplicemente potrei non dire niente, mi ripeto cercando di superare la cosa con calma ma mi odio per questo, e non resisto, con foga riempio il vetro di saliva, l’occhio sdoppiato che mi fissa m’inquieta e mi giudica, e senza pensarci troppo tiro un pugno in quel che resta del vetro frantumandolo in mille pezzi. Il sangue sgorga dalle nocche. Rimetto la mano sotto l’acqua, sto per scoppiare anche se fingo di stare bene, un gorgo rosso mi trascina giù per le tubature fino alle fogne; ecco, questo è il posto giusto per quelli come me, mi dico, le fogne. Poi prendo un pezzo di carta e mi copro la ferita, fortunatamente non troppo profonda. Dopo due minuti il sangue si ferma, metto su i miei guanti tagliati per nascondere le prove e mi riavvicino al bancone per prendere da bere. Mario, capelli neri a spazzola, occhi neri, fisico asciutto, cappotto nero, mi fa segno di avvicinarmi: “ Diana dice di chiamarla, più tardi, quando vuoi…è andata via…dice che ti bacia…sulla bocca…” ma è sarcastico, spalanca gli occhi, il volto gli si scurisce. “ ok “ gli dico attirando l’attenzione del barman grande grosso e stupido come un giocatore di rugby. “ forse dovresti tornartene a casa “ attacca Mario barcollando come una pallina da flipper, “ la tua ragazzina ti porterà solo guai…io

ci sono già passato, e ti assicuro che sono solo casini…” “ e se non volessi tornarci più a casa? “ gli faccio di rimando afferrando l’ennessimo cicchetto di southern dal bancone lurido. “ e cosa vorresti fare? “ mi dice sorpreso, “ cosa? merda non dire cazzate, e poi con Carla come la mettiamo? “ “ non lo so, cazzo non lo so, offrimi da bere “ gli dico tirando giù d’un fiato quello che ho tra le mani per svuotare il bicchierino, ma Mario inizia a preoccuparsi, non mi ha mai visto così, e allora cerca di farmi ragionare invitandomi a smetterla di bere: “ così peggiori solo le cose “ mi fa, “ lascia perdere, torna a casa, bacia tua moglie, fatti una bella dormita, domani una bella scopata, e poi è un altro giorno man… “ “ …un altro giorno un cazzo… “ sbotto io deluso dal fatto che il mio amico non dice quello che voglio sentirmi dire, “ un altro giorno un CAZZO…vorrai dire come fai a vivere così, vorrai dire dopo nove anni di matrimonio come mai ancora non hai deciso di migliorare la tua vita, forse è questo quello che stai cercando di dirmi…come fai a non capire? eppure dovresti, tu da quanto sei separato? quanto? tre anni giusto? cazzo perché allora pensi che io non dovrei stare meglio? “ “ sei sicuro che è quello che vuoi? “ mi chiede sconcertato dalla mia presa di posizione, “ io io…io credo di aver fatto una cazzata, nononon sono più sicuro che quella sia stata per me la mossa migliore…” “ cazzo amico, che che stai dicendo?…perché non me ne hai mai parlato? “ gli faccio biascicando le sillabe, “ COSA? vuoi dirmi che ti penti di averla mollata? “

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“ non dico questo “ mi fa poggiando i gomiti sul bancone, “ ormai era diventata una situazione insostenibile ma forse avrei potuto lottare un po’ di più per la mia famiglia…sì…avrei dovuto lottare per non perderla, per non perdermi, e forse oggi mio figlio mi guarderebbe con meno rabbia

di quella che ha dovuto imparare a contenere, tu “ continua agitando il bicchierino mezzo pieno, “ sei ancora fortunato a non avere marmocchi di cui occuparti, quindi pensaci bene prima di fare qualsiasi cosa tu abbia intenzione


[storie] sbevacchiando pessimo vino

di fare…” “ il problema è come affrontare questa cosa con se stessi “ gli dico, “ e di questo che ho paura più di tutto il resto…e chiaramente non voglio ferire Carla, ma lei è una donna forte, e forse chissà anche per lei può essere un bene lasciarsi tutto alle spalle “ ma

sono tutte scuse, non so cos’è che voglio veramente, e me ne rendo conto sentendo il suono della mia voce confuso alle decine di voci che chiedono da bere. Per una volta, anche se sto per vomitare, sento chiaramente la mia voce,

le mie bugie, dette a voce alta, parlando con un amico, parlando con me stesso, battuto, oppresso, dolorante, spaventato, confuso; penso che abbiamo il dovere di combattere l’infelicità, anche se questa dovesse comportare dolore per se e per gli altri, penso che è nostro dovere lasciare le persone quando le cose si fanno insostenibili, anche se apparentemente la cosa può risultare come un tradimento. Le nostre esperienze sarebbero limitate se non decidessimo di affrontare il nuovo, ma in qualche modo tutto questo ci spaventa, ci turba, ci schiaccia, mentre invece il passato ci rassicura, anche se fa male, ma alla fine è il presente che siamo costretti a vivere, non c’è scelta, il presente è la nostra via d’uscita da un passato dimmerda. E dobbiamo fare il possibile per cogliere al volo l’occasione. Amo Carla, sì l’amo veramente, ma forse è già parte del mio passato. Il mio presente è altro, magari minaccioso, magari doloroso, ma sento che sta per spazzare via tutto, compreso passato e futuro. Lo so, sono un mostro, lo so, Mario crede che non so quel che faccio, e non fa che ricordarmelo sputandomi in faccia i suoi errori e i suoi rimpianti, ma è questo quello che sento, quindi come si fa tenere a freno un treno che deraglia dai binari? Poi il gruppo inizia a suonare, le chitarre distorte si animano, la batteria incalza, i miei pensieri cambiano direzione concentrandosi sulla musica che arriva dal piccolo palchetto del Nevermind, sono stanco di parlare, sono stanco di desiderare, stanco di vivere una vita che da un po’ di tempo ha smesso di appartenermi, smesso di appassionarmi, smesso di prendermi. Mi scolo un altro

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cicchetto, Mario fa lo stesso anche se forse è un po’ confuso, il basso tuona, la batteria picchia, mi butto nel mezzo, il presente è davanti ai miei occhi, il futuro non importa, il passato non esiste, e salto, mi dimeno, urlo a squarciagola, pogo come un pazzo; poi il telefono squilla, è Carla, sono stanco di parlare, non rispondo, mi ributto nella mischia e continuo a sbarellare come uno che ha bevuto troppo e non ha voglia di tornare al suo posto. [ ]


[storie] SUONATORE D’AUTOBUS

SUONATORE D'AUTOBUS di Carlo Martinelli

CAPITOLO 2

u

n giorno d’estate la madre lo prese con sè e lo portò a passeggiare per una strada di ghiaia scura. i cardi si disperavano. granelli di speranza rotolavano come fossero granelli di sabbia nell’aria. c’era un lunapark funereo con rotonde tende rosse e scivoli verdazzurri. il cancello metallico sfondato e la desolazione,

nel mezzo del villaggio. e loro avanzavano sulla strada bollente ed il ragazzo dopo aver lanciato sassi alle lucertole sibilanti si gettava in ginocchio a cercarle, terrorizzato all’idea di averle colpite.
 e la madre lo stirava strascinandolo. e le ginocchia dei jeans sfondati sfregolavano sulla ghiaia schiazzandola di sangue e scintille sbrillanti. ed ogni mostro metallico che s’affacciava sferragliando da una duna veniva fatto schizzare via con delle pietre JK | 90

appuntite.
l’orizzonte gli saltò alla gola come un lupo, ma la madre lo sventrò con il coltello grande della cucina piccola. e leggendone gli intestini mostrò al giovane cantagallo la baia che avevano davanti con il mar di petrolio e le montagne dalle curve di una donna. lo prese per i capelli, e per quanto lui strillasse e berciasse lo trascinò al pozzo della baia e lo immerse fino agli occhi. gli occhi del giovane scantavetri ficcarono velocissimi, la madre lo teneva


[storie] SUONATORE D'AUTOBUS

ancora così e gli strillava qualcosa in dialetto. e poi lo stese sulla sabbia e lo fece rotolare
- avevo un figliolo, un figliolo bello, ed un dì ne feci un bel mattarello, per spianare quel pezzo di terra, davanti al mar.. per spianare quel pezzo di terra davanti al mar.. ed il giovane caldarrosta scoppiò in un pianto disperato ed allora la mamma lo guardò ben bene e ridendo gli disse:
- non piangere figlio mio, non piangere, è solo una spina. e così dicendo gli estrasse la lunga spina di pesce da un orecchio. e lui ancora piangendo e gridando la ringraziò l’abbracciò, e poi insieme tornarono a casa. il palazzo dove vivevano dava sul mare. ogni inverno era invaso dalle rane, ed il giovane pignaverde le raccoglieva e le lanciava eccitato verso la madre, che sorrideva e diceva: - lasciami stare, piccolo ranocchietto.
 ma lui proseguiva finchè lei non lo afferrava e gliele faceva ingoiare, allora ridevano insieme e guardavano il signorino schiacciacarte che rimetteva rane.
poiché erano una famiglia molto povera non potevano permettersi la luce del sole, ed erano costretti a tenere accese lampadine biancastre dalla mattina alla sera. ed ogni volta che il giovane apriva un po’ una finestra la madre e la nonna s’arrabbiavano così tanto che gli uscivano delle grosse bolle d’acqua sulle facce larghe.
la nonna del giovane tritacarne si chiamava melissa e vestiva sempre di nero per ragioni di chiesa. indossava grossi occhiali neri attaccati alle orecchie per mezzo di due forconi che sparivano nei timpani.
aveva corti capelli bianchi tagliati secondo la moda dei suoi tempi. dei piccoli uccelli grigi andavano sempre a nascondersi nella sua pettinatura non appena

usciva di casa e lei s’arrabbiava tantissimo e li scacciava via con le mani strillando in dialetto:
- via, via!
da giovane aveva avuto una lunghissima lista di amanti che l’avevano abbandonata salpando per il mare, e per questo ogni volta che s’affacciava alla finestra gridava furibondi insulti al mar di petrolio. ed il giovane buonanovella sentendola così arrabbiata diventava triste e le raccontava storielle:
- c’era un orsetto con la pelliccia fulva che si nascondeva in una grotta stretta e lunga.. ma la nonna melina lo ignorava e continuava a gridare. la sera s’addormentava ascoltando la madre e la nonna cantare piccole canzoni nella loro lingua, qualunque essa fosse. la sera non s’addormentava mai, perché la madre e la nonna lo lasciavano solo, e lui temeva la solitudine come un uomo sull’orlo della follia.
temeva la solitudine come un lupo, come un vecchio, come un poeta dimenticato.
sulle pareti cadenti erano appesi pesci secchi e pezzi di pane raffermo. rimaneva tutte le notti a fissare i pani ed i pesci e non dormiva mai. ogni notte gesù cristo appariva e moltiplicava i pani ed i pesci, ogni mattina arrivavano centinaia di gatti e divoravano tutto. 
ogni notte arrivava il re pescatore e fissava nuovi pesci alle pareti. ogni mattina arrivava il contadino con una grossa sacca marrone e cuoceva il pane vecchio sulla sua fronte febbricitante, quindi lo salutava ridendo ed andava a vendere il pane come appena sfornato al villaggio, camminando in cielo aggrappato alle nuvole. ed ogni mattina la nonna bestemmiava arrivava a svegliarlo ed appendeva i rimasugli al muro.
ogni notte dei pesci saltavano dal mare

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poiché erano una famiglia molto povera non potevano permettersi la luce del sole, ed erano costretti a tenere accese lampadine biancastre dalla mattina alla sera.

”

attraverso la finestra nel suo letto e gli raccontavano delle storie, poi temendo di essere mangiati s’infilavano nel pane della sua colazione. ogni mattina appena il giovane spremiagrumi si svegliava la madre prendeva gli avanzi e l’infilava in un’alcova nel muro. a quel punto entravano centinaia di vecchiette col volto coperto da un manto nero e pregavano per centinaia d’ore centinaia di dei. quando grandinavano vetri, chicchi d’uva ghiacciata s’infilavano sotto il letto, ed il giovane li contava per tutta la notte. a volte piovevano vetri così grossi che interi palazzi crollavano, terrorizzando la nonna che fingeva di ridere per nascondere la paura. allora il giovane saltacampi s’affacciava e guardava i topi che schizzavano dalle macerie in tutte le direzioni, li fulminava con la torcia e faceva, forte:
- chi va là! chi va là!
al sorgere del sole s’alzava in piedi, s’arrampicava in piedi, si stendeva in piedi ed alla finestra: - buongiorno a te, mondo mio! buongiorno a te, vita mia! io ti amo! io ti amo! io vi amo tutti!
e le due vecchie signore ridevano e basta. [ ]


[TEATRO-Libri] L’occhio

L'occhio di Sabrina Tolve

Chi se ne frega della musica? di E. Deregibus Edito da NdA Press 300 pgg

Chi se ne frega della musica? Recensione semiseria di un libro di recensioni

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i si scuserà l’aferesi iniziale. È simpatica, e la lascio così. Ma sul semiseria, qualcuno si chiederà qualcosa, spero. O devo credere che non abbiate proprio voglia di pensare. Ad ogni modo, Chi se ne frega della Musica? di Enrico Deregibus, con interventi vari ed eventuali di Gianluca Morozzi, Nda Press, edito nel 2013 (254 pp.) è, di fatto, un libro di recensioni. Che siano esse edite, inedite, ritrovare, riscritte, accorciate, allungate, modificate, lasciate intatte, sono le recensioni a fare il libro. Recensioni di musica italiana, di cantautori italiani. Alla fine d’ogni recensione (ripeterò questo lemma fino alla noia e alla nausea) veniamo a conoscenza dell’eventuale giornale di provenienza, dell’eventuale pubblicazione, ecc.; mentre all’inizio abbiamo le date per l’adeguata contestualizzazione dell’articolo che andremo a leggere. E, di tanto in tanto, troveremo un cameo letterario-musicale di Gianluca Morozzi. Si spazia, all’interno del libro, e si spazia tanto. Si va dagli Afterhours a Tenco, passando per Baglioni e Ligabue, e chi più ne ha più ne metta. Le recensioni sono piacevoli – e per fortuna, direi, visto che Deregibus tratta di musica (a modo suo) dal

1993 (e direi che venti anni nell’ambiente fanno il loro sporco lavoro) – e credo che gli amanti della musica possano sguazzarci dentro e perderci anni della loro vita per semplice lettura o per affastellare i ricordi, o per diosolosacosa. È un libro che ha l’intenzione di onorare l’arte d’Euterpe, e ci prova, ci prova con tutte le sue forze. Se ci riesca o no, a voi la scoperta. È un testo divertente, una raccolta per feticisti e non solo, un salto nella musica italiana, in quella che può o non può piacere, ma tant’è. È un libro che consiglio agli appassionati. Non è un testo di J. L. Borges, ovviamente, e sarà dunque più leggero da leggere e smaltire, ma, c’è da dirlo, è come entrare in un’emeroteca e rimanerci. Finché resta la lettura. Sono tentata di mettere un voto al libro, ma non lo farò. A differenza degli autori, io non mi occupo di musica, m’occupo di libri. E il mio voto non sarebbe adeguatamente giustificato. Ma lo consiglio, eh. Altrimenti non sarei qui a parlarne. E fregatevene, della musica. O non leggete il libro, né Just Kids. [ ]

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[TEATRO-Libri] L'occhio

Breve guida al suicidio

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o conosciuto persone che catalogano la letteratura in spazi chiusi come camere stagne. Io, di contro, ho sempre letto un po’ di tutto. Ho letto anche cose che mi vergogno d’aver letto, ma che mi hanno spinto verso alt(r)i orizzonti letterari. Poi ho letto libri che non hanno per nulla voglia di divenire letteratura. Libri leggeri, libri che non hanno la presunzione di avere stili e forme definiti. Libri che sono lì, per essere letti sorridendo e che non sono per nulla pretenziosi. Ecco. Breve guida al suicidio di Giuseppe Galato è un testo così. Lieve, simpatico, ironico, con qualche pennellata d’acume qui e lì. Il testo abbraccia e scardina – a suo modo – l’Idolo celebre, attraverso suicidi noti o improbabili, o di pura fantasia, saltellando tra modalità di suicidio, lettere d’addio, e immaginifiche situazioni grottesche postmortem, a stretto contatto con Dio. Forse. Un libro che si legge facilmente, e che può risultare altresì divertente. E su cui, fondamentalmente, non c’è molto da dire. Leggere e comprendere può essere una buona soluzione. Buon suicidio a tutti. [ ]

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Breve guida al suicidio di Giuseppe Galato Edito da La Gru 100 pgg.


[sterilita’ del benpensare] parodia della volonta’

parodia della volonta' di Edoardo Vitale @edoardovitale_ www.concimalatesta.it

La pausa pranzo

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un certo punto degli anni ‘90 Marc Augé conia il termine nonluogo catalogando tutti quei posti senza anima tipo aeroporti, centri commerciali, autostrade, sale d’attesa ecc. in cui l’uomo moderno sguazza e insomma per farla breve finisce che siamo tutti delle merde senz’anima anche noi. Ma sicuramente, se avete avuto il piacere di ritrovarvi a un aperitivo con qualche laureando in architettura, ne avrete sentito parlare. È il secondo argomento che esce fuori una volta consumati tutti gli insulti a quel comunista arricchito di Fuksas. Ora, sperando che Bergson non abbia modo di leggere questa rubrica, bisogna dire che non c’è Spazio senza il Tempo. Perciò, oggi, parleremo di nonora, la cui espressione aurea è l’ora della pausa pranzo. Sessanta minuti di vuoto pneumatico, in cui l’uomo moderno si barcamena nel vano tentativo di sfruttare al meglio ogni secondo libero a disposizione senza fondamentalmente riuscirci mai. Ci sono gli audaci, in grado di fissare appuntamenti ricreativi durante quella fascia oraria, senza subire

gravi conseguenze dal brusco contatto con la realtà esterna e il conseguente forzato rientro nei ranghi. Ci sono gli stakanovisti, che fissano appuntamenti di lavoro alla tavola calda e riescono a mantenere una credibilità anche quando la mozzarella bollente del trancio di pizza margherita da 3,90euro + bibita gli ustiona la lingua. C’è il branco: una mandria di colletti bianchi compresa tra i tre e gli otto componenti, quasi sempre a maggioranza maschi, che finiscono con il parlare di lavoro. C’è quello attrezzato, munito di borsa termica e contenitori ermetici di almeno sette dimensioni differenti: questo individuo il più delle volte segue una dieta e/o è psicopatico. E poi ci sono io. Solitamente le cose vanno così: quando scatta la pausa pranzo non ho assolutamente fame, perché l’appuntamento fisso con il calo-di-zuccheridi-metà-mattina mi ha costretto a mangiare qualche schifezza presso il distributore automatico. Poi però l’ansia di cadere in un nuovo calo di zuccheri di primo pomeriggio, mi costringe a mettere qualcosa sotto i

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[sterilita’ del benpensare] parodia della volonta’

Oggi parleremo di nonora, la cui espressione aurea è l’ora della pausa pranzo.”

denti. A questo punto si presenta il problema della distanza, quanto allontanarmi? La scienza non è in grado di fornire risposte a tal proposito. Se rimango nei paraggi, mi ritrovo sempre con un anticipo pazzesco e finisco con lo spendere i restanti ¾ del tempo libero a disposizione giocando a dama con l’iPhone. Se mi allontano anche solo di un isolato, non faccio attempo ad aprire la confezione di forchetta e coltello di plastica + fazzoletto di marmo tipica di ogni mensa, che devo rientrare. Ma attenzione. A questo punto il mondo si divide in due blocchi ben definiti: quelli che si lavano i denti e quelli che non si lavano i denti. Personalmente appartengo alla prima categoria, solo perché mette a disagio gli esponenti della seconda ogni volta che ci si incrocia al cesso. Tu sei lì a spazzolare, loro escono dopo una pisciata e l’unica cosa che possono fare è lavarsi le mani nel futile tentativo di non apparire dei mostri, ma dentro di loro sanno che è così. C’è però un aspetto negativo, un fastidiosissimo prezzo da pagare del lavarsi i denti dopo la pausa

pranzo: non esiste un modo per evitare di bagnarsi il polso della camicia. Una delle sensazioni più scomode che l’uomo moderno possa provare. Una delle sfide del millennio. La leggenda vuole che in quel lasso di tempo le leggi della fisica e della termodinamica non rispondano più e che non sia sufficiente neanche spogliarsi nudi, il polso della camicia risulterà ugualmente bagnato. [ ]

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[sterilita’ del benpensare] la nuova era e' adesso

LA NUOVA ERA E' ADESSO di Sara Fusani

In ritardo su chi?

O

rmai sono quasi tre anni che ho passato i trenta e sempre più spesso mi capita, quando mi chiedono l’età e si sentono rispondere “quasi 33”, di notare un certo imbarazzo nelle persone che ho di fronte, come si fossero improvvisamente pentite di avermi posto la domanda. Una volta, una ragazza più giovane mi ha risposto che l’essenziale era averne ancora 32 e non pensare al dopo, un’altra volta ancora una donna più grande, con il panico negli occhi, mi ha balbettato nell’imbarazzo che tutto sommato a darci dentro ci si poteva ancora sperare ad avere dei figli. Eppure alla prima non avevo detto che ero dispiaciuta di arrivare a 33 e con la seconda non avevamo toccato l’argomento maternità, sebbene sapesse che non sono mamma. Il fatto che fossero imbarazzate per me su argomenti - mi permetto di dire - di loro fantasia, mi ha fatto dubitare per qualche istante: e se avessero ragione? E se fosse davvero tardi? E come al solito, quando ti focalizzi su una questione, le coincidenze, le situazioni, le giornate, ti porgono altri spunti per riflettere. Mi sono ritrovata velocemente in una jungla di gente che toglie ogni indicazione di età da Facebook, che diventa irrintracciabile l’intera settimana del compleanno, e che alla domanda “come festeggi?” risponde che è meglio lasciar perdere e passa il resto della serata a guardare per terra con l’aria disperata. Insomma, la nostra generazione si vergogna dell’età che ha già dai trent’anni, mentre una volta, non solo non ci si vergognava, ma per cominciare a lamentarsi, si aspettava almeno di avere i figli adulti. Mi sono chiesta da dove arrivasse tutta questa vergogna, e sopratutto l’idea di essere in ritardo sul tempo della propria vita, in ritardo rispetto agli altri,

rispetto alle nostre aspettative, a quelle degli altri, rispetto a una vita perfetta. Una cosa ha accomunato tutti i discorsi che ho sentito delle persone che si sentono fuori tempo: un senso generale di sconfitta, di perdita, in alcuni casi di disperazione. E nella totalità dei casi, la trovavo inappropriata, auto sabotante e sopratutto ingiusta. Insomma, nessuno è scemo, e in linea di massima facciamo tutti il meglio che possiamo fare e diamo il massimo di quello che possiamo dare, anche quando |pic by a JanetI2008

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[sterilita’ del benpensare] la nuova era e’ adesso

sbagliamo o quando ci sembra che tutto il mondo si muova intorno a noi e che solo noi restiamo sempre uguali a noi stessi. In effetti, l’idea che si possano raggiungere tutti gli obiettivi mediamente desiderabili entro i vent’anni è un concetto che abbiamo assorbito grazie al lavaggio del cervello del marketing e della pubblicità, che ci vuole giovani e vincenti sempre e ad ogni costo. Grazie al bombardamento mediatico e sociale abbiamo dimenticato una cosa importantissima: la vita è un opera d’arte complessa ed elaborata. Anche se non ce ne accorgiamo e crediamo di non aver ancora tagliato nessun traguardo, stiamo comunque lavorando, una tessera dopo l’altra, all’integrità del mosaico che siamo. Ogni volta che ci vergogniamo di dichiarare la nostra età e ogni volta che pensiamo di avere solo perso tempo fino a qui, stiamo togliendo valore a quel percorso, stiamo smettendo di credere alle battaglie che combattiamo da sempre. Con l’età (ebbene sì pure io ci faccio i conti) sono arrivata a credere che l’unico tempo davvero perso nella nostra vita è il tempo che passiamo ad essere infelici.

E certe volte, è Mi sono vero, l’infelicità chiesta può durare a lungo. Ma da dove nell’istante in cui ce ne rendiamo arrivasse tutta conto e decidiamo questa vergogna, di fare qualcosa, anche se ci e sopratutto l’idea vogliono anni per di essere in ritardo costruire quello che desideriamo, sul tempo della neanche un propria vita, in secondo sarà tempo perso. ritardo rispetto agli E io intorno a me vedo tantissima altri, rispetto alle gente che si da da nostre aspettative, fare ogni giorno per uscire dal a quelle degli altri, proprio inferno, rispetto a una vita e si reinventa, e lotta, e investe, perfetta.
” e si mette in discussione, ed è per questo che trovo assurdo e ingiusto, quando poi li sento vergognarsi del tempo che passa e non riuscire a dichiarare orgogliosamente quanti anni hanno. Dovremmo essere tutti fieri di come utilizziamo il nostro tempo, e fieri degli anni che si sono accumulati sulla nostra pelle, sconfitta dopo sconfitta, vittoria dopo vittoria. E se da fuori, senza avere idea di chi siamo, si vergognano al posto nostro, almeno noi, per essere gentili verso noi stessi, che ce lo meritiamo, dovremmo entrare più nell’ottica di onorare il nostro personale percorso, e dovremmo farlo tutti i giorni. Magari, se alla prossima volta che ci chiedono l’età, rispondessimo con un sorriso e con un “intensissimamente 38” o un “gloriosamente 35” potremmo addirittura riuscire a stupire e a rassicurare le persone che denunciano, col disagio proiettato su di noi, di non essere serene rispetto al timing della loro vita. Si sa mai che si possa essere di buon esempio. Non voglio rubarvi altro tempo, che poi invecchiate a date la colpa a me, e concludo la vostra lettura augurando buon compleanno a tutti quelli che nel 2014 vogliono smettere di vergognarsi e cominciare a celebrarsi. [ ]

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|pic by Kaboomish Gem

[sterilita’ del benpensare] sex on

sex on

di Catherin

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[sterilita’ del benpensare] sex on

CAMBIO IDEA #mappamondi

#analisiqualiquantitative #forse #però #nonlosO #mivendomale

[...] “Necessità dell’illogicità. – Tra le cose che possono portare un pensatore alla disperazione, c’è la constatazione che all’uomo l’illogicità è necessaria, e che da essa può derivare molto bene. Essa è insita così saldamente nelle passioni, nella lingua, nell’arte, nella religione e, in generale, in tutto quanto dà valore alla vita, che non la si può estirpare senza danneggiare irreparabilmente queste belle cose. Solo uomini troppo ingenui possono credere che si possa trasformare la natura umana in natura puramente logica; ma se dovessero esistere gradi di accostamento a questa meta, quante cose mai non andrebbero perdute per questa via! Anche l’uomo più ragionevole ha bisogno, di tempo in tempo, di un ritorno alla natura, cioè della sua illogica posizione fondamentale verso tutte le cose” (Nietzsche, Umano troppo umano) [...]

C

i sono giornate da supermercato, così come ci sono giornate da stazione. Sono sempre stata attratta dai “non luoghi”, dalle terre di nessuno, o forse di qualcuno, ma di certo non mie. Strade percorse per la prima volta, case in affitto, città in cui ci si ferma per tre giorni al massimo, uffici postali, camere di hotel, bar che non ci rivedranno mai più. In certi posti non servono approfondimento e spiegazioni, certi posti non pretendono di essere, non hanno aspettative, lasciano spazio a un’immaginazione di passaggio. Se li prendi per quello che sono, forse, è proprio in questi certi posti che il senso di disordine e di non appartenenza si placa. Ci sono giornate da supermercato, così come ci sono giornate da stazione. Si tratta di giornate profondamente diverse tra loro, associabili ad altrettanto diversi stati d’animo e bisogni che spesso non hanno niente a che vedere con la necessità di riempire un frigo vuoto o di prendere un treno in partenza. Certo, una volta che ci si trova lì, si può sempre comprare tutto anche se non serve niente e

scegliere un binario a caso per una destinazione a caso. Inutile dirvi che in principio, quindi una manciata di minuti fa, non era questo l’argomento che avevo in mente. In principio piuttosto che dei non luoghi avrei voluto parlarvi degli episodi bizzarri, ossia di quelle strane vicende che ogni persona a diversi livelli di frequenza e bizzarria sperimenta nella vita quotidiana. Se in principio fossi rimasta coerentemente in pendant coi miei neuroni, il succo del discorso sarebbe stato capire perché gli episodi bizzarri per alcuni esseri umani costituiscono parte integrante della realtà ordinaria. Così all’ordine del giorno che quasi ce li si ritrova scritti sui post-it delle cose da fare, tipo: comprare il detersivo, chiamare papà, vivere tassativamente un episodio bizzarro anche oggi. Ma un episodio bizzarro bello e originale...di quelli che mentre li vivi ti viene voglia (e lo fai) di uscire un attimo da te stesso e guardarti da fuori per crederci veramente. Sul finire dell’ipotetico pezzo che oramai due manciate di minuti fa avevo in mente di scrivere, sarebbe stato

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[sterilita’ del benpensare] sex on

teorizzato il legame calamitoso che si manifesta irreparabilmente tra episodi bizzarri e persone propense al caos psicomotorio. Infatti, escludendo la piccola percentuale di fatti non cercati né provocati annotabili sul post-it “sfiga”, esistono una bibliografia anonima e una letteratura non documentabile di fatti che non accadono proprio a tutti, sono piuttosto un’esclusiva connaturata a determinati e recidivi individui che conducono la loro intera esistenza in un modo BIZZARRO a prescindere. Il vaniloquio sui suddetti episodi sarebbe proseguito con l’ambizioso tentativo di spiegare questa dinamica viziosa, tuttavia nessuna soluzione valida sarebbe stata individuata e tanto per cambiare alla fine si sarebbe arrivati a parlare di uomini. Anzi di NON uomini. Anzi di NON uomini NON adatti a NON donne. Perché con i tempi sballati che corrono dal ragionare sugli episodi bizzarri all’ostinarsi sugli incontri sbagliati il passo è breve. Sono confusa. Mi servirebbero delucidazioni, stavolta non sono qui per darne. Stavolta metto le mani in alto, il carro davanti ai buoi, l’ammissione di colpevolezza sotto il cuscino, le domande dietro i punti di domanda e le risposte dentro il caffè di una colazione consapevole prima dei saluti. Nelle puntate precedenti le ho già provate tutte: non sono io sono gli altri, non sono gli altri siamo noi, non siamo noi è il karma, è la combinazione astrologica, è il lavoro, è la fase generazionale, è il sonno, è l’alcol, è la lontananza, è la paura, sono le statistiche che dimostrano che le donne e gli uomini giusti in circolazione si riducono a un’esigua fetta di diagramma a torta. Dunque, confermo di essere nata col punto interrogativo di serie e la prima questione che ho da porvi è: mi dareste una musica giusta per una NON situazione in bilico tra un non pigiama, il relax, le parole e il non sapere? Dopodiché passiamo alle maniere esplicite: per quale motivo è così difficile stare bene insieme a qualcuno, ma intendo bene nel senso di bene noto a tutti come bene? Ora, se ci si guarda intorno la gente lo fa e pare sia la cosa più semplice del mondo. Ebbene sì, il resto del pianeta si accoppia quasi senza accorgersene. Dopotutto di risorse umane se ne trovano, ne capitano e succede addirittura che in un primo momento le cose sembrino andare. Poi però succede che quando torni a casa e sei felice di riabbracciare i tuoi oggetti capisci che le cose non vanno poi così bene nel senso di bene noto a tutti come BENE. Me ne rendo conto, il mio discorso non è lineare.

Provo a semplificare con una breve locuzione: disastrosamente e miracolosamente innamorato! Succede che torni a casa, vorresti esserlo, ma non lo sei. Oppure non lo sai. Oppure non sai più come vorresti essere. Quello che a un certo punto risulta complicato è conciliare le situazioni relazionali favorevoli con il vero e proprio abbandono dei sensi e dei non sensi. Praticamente i due parametri necessari affinché, in un colpo solo, si possa godere dei benefici dell’amore | pic by Loïc R

e della passione appaiono di solito inversamente proporzionali. Probabilmente continuo a non spiegarmi, si deve ammettere però che l’impegno è evidente. Magari l’errore è proprio l’eccessivo impegno, ma non lo so... ho detto che non avrei saputo. Qualcuno dice che se si pensa con la testa di voler perdere la testa, la testa non si perderà per principio naturale. Qualcun altro suggerisce che le cose si possono anche costruire, procedendo nel tempo

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[sterilita’ del benpensare] sex on

senza troppo cervello e con una certa gradualità. Mi piacciono come affermazioni, assolutamente contrarie a ogni mia logica, mi piacciono. Si tratterebbe del passaggio cruciale dalle costruzioni by-my-self alle costruzioni self-made, in sostanza affidarsi alla sprovveduta provvidenza con l’animo disposto a evoluzioni di ogni sorta. Arrivati al punto critico di attorcigliamento del caricabatteria del cellulare ci si rende conto che forse è il caso di intervenire, poi però capita che per poca

pazienza non si ha mai voglia di sciogliere fino in fondo tutti i nodi. Rimane il fatto che il caricabatteria funziona lo stesso, forse a lungo andare potrebbe danneggiarsi, ma il breve incedere appare già una prospettiva onerosa. Nell’imminente poco prospettico potremmo semplicemente trovare un finale e inventarci un incosciente inizio, facendo fuori un po’ per volta le NON cose che ci circondano. Anche il NON presente sarebbe pregato di andare. [ ]

P.S.: QUESTI-ON (lesson 1) Entriamo insieme stasera? Nessuno te l’ha mai chiesto? Chi non ha mai scritto un’email senza inviarla è insensibile? Da A a B ci sai arrivare? Ci si può affezionare a qualcuno più del dovuto? E perché diciamo “dovuto” convincendoci del valore romantico della cosa? Hai mai scavalcato il cancello di casa tua? Il pungo G come la noia, come l’amore, come la befana, non esiste? Ogni notte il giorno fa finta di dormire? Le storie finite fanno invecchiare? Ma una bella rastrellata a queste orme sulla sabbia? Esiste qualcosa di meno attraente di un k-way con il cappuccio estraibile estratto (anche se non piove da giorni)? Per di più se fossi incinta lo saresti di un coglione? Qualcuno ama dopo due appuntamenti? Quanti smettono dopo tre? Si può essere romantici e illuministi senza la mediazione diacronica di un secolo? A domandare come stai si corre sempre un certo rischio? Tra i baci e le bugie scorre lo spazio di una schiena? Mi guidi? Ti seguo? Sono due facce della stessa domanda? Quanto è importante la seconda parte della frase? P.P.S.: Le questioni qui sopra conseguono da paranoie irrisolte realmente esistite. Si ringraziano i personaggi bizzarri, saggi, immorali, carucci, furiosi, da dimenticare e da ricordare che le hanno ispirate.

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[CRONCA NERA] ORacoloSCOPO

Oracoloscopo Le ultime notizie dalle stelle, scelte per voi da franco loscuro Salute: la terza luna di Giove questo mese sta guardando verso il lato oscuro di Plutone. La luna è grande come un paio di milioni di campi da calcio e ha la superficie di un colore tipo grigio e blu. Lo so perché sono finito su Discovery l’altro giorno dopo pranzo e facevano vedere delle foto e

varie ricostruzioni della Nasa. In ogni caso l’aura della luna dovrebbe dare beneficio alle querce della vostra casa in campagna, specialmente se avete la casa in campagna su Giove. Lavoro: troverete sul mobile del bagno una banconota da 500 euro, mezza bagnata. Restituitemela. [ ]

Amicizia: ho visto il sindaco di Frattamaggiore al Carrefour, ti manda i saluti. Varie: non succederà niente questo mese, ma proprio niente, statevene pure a casa. Bellezza: non mangiate alimenti con acqua dentro per un po’, poi per un altro po’ assumete solo noccioline e patatine Amore: incontrerai George Clooney dal macellaio di Frattamaggiore. Ti chiederà di smezzarvi un polletto con lui che lui è solo in casa questi giorni e al macellaio non gli interessa tanto che lui è George Clooney e gli ha detto di prenderselo tutto intero o sennò di pezzi al massimo gli può dare un po’ di

salatissime, dopo un paio di settimane vi ricresceranno tutti i capelli. Se avete già abbastanza capelli dovete comunque evitare gli alimenti con dentro il coriandolo (ad esempio il coriandolo stesso), quanto meno a colazione. Musica: ascoltate Sognando California dei Dik Dik al contrario. [ ] petto di pollo. Rifiutate. Va bene che è George Clooney ma non è che potete mangiarvi un mezzo pollo stasera, tanto più che avete promesso a Gino che vi prendevate la pizza con lui dall’egiziano. Lavoro: diventerai sindaco di Frattamaggiore grazie ai contatti fatti al Carrefour. Salute: non c’è male. [ ]

Varie: da quello che ho capito tuo fratello si chiama Fabio. Salute: vai a cacare! Dico sul serio, è un consiglio. Amicizia: vi accorgerete che il vostro migliore amico si chiama Fabio. Denaro: Fabio vi profetizzerà il modo di arricchirvi senza faticare, ma in cambio vi chiederà dei soldi: dategliene e Lavoro: ieri ho incontrato a lavoro uno che mi ha detto che era vergine, ma credo non inteso come segno zodiacale. Denaro: non dico che dovete mettervi proprio a stampare banconota, però è ora che vi inventate qualcosa del genere che altrimenti altri soldi voi non li vedrete fino al Natale Lavoro: i grandi successi che state ottenendo lavorativamente e le sudate soddisfazioni che stanno finalmente lusingando la vostra autostima non sono merito vostro ma di un’eclissi di una delle lune di Saturno tra Saturno stesso e Urano. L’eclissi dovrebbe finire tipo tra un paio di

credetegli ciecamente. E con quelli che vi avanzano comprate spazi pubblicitari su Just Kids. Canzone del mese: Nausea di Beck. [ ]

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prossimo. Amore: finalmente alcune stelle vi sorridono (sono parecchie le stelle, non è che possono sorridervi tutte). Non vedo bene da qui ma secondo me è un sorriso un po’ derisorio. Musica: rivaluterete Mino Reitano (Rino Gaetano invece vi farà schifo). [] giorni. Salute: meglio passare alle voci successive. Denaro: ricordatevi che dovete dare 20 euro per l’Enel a Federica. Musica: entro fine mese canterete come Demetrio Stratos. [ ]


[sterilita’ del benpensare] sex on

Salute: il passaggio di Mercurio in Gemelli renderà un po’ freddina l’acqua in uscita dal vostro scaldabagno, l’idraulico è inutile che lo chiamate, in ogni caso tra un sei settimane Mercurio sarà uscito; nel frattempo potete fare la doccia dal vicino di casa che scoprirete essere il vincitore di X

Factor Bosnia 2011 che però in Italia fa il parcheggiatore abusivo sul lungomare (se abitate in una città senza lungomare, allora il vicino avrà vinto Masterchef Macedonia 2012 e farà per vivere il venditore di caricatori del cellulare cinesi davanti all’Ipercoop). Denaro: è finito. [ ]

Amore: l’ultimo libro che avete letto non esiste perché non ne avete mai letto uno. Andate su Amazon a comprarne uno a caso. Sulla strada, farete incontri interessanti e promettenti. Denaro: andate a ritirare 100 euro al bancomat e lanciateli addosso al primo vecchio che incrociate sul marciapiede.

Tutti gli abitanti di Alpha Centauri ve ne saranno grati per un po’ (una storia di una scommessa persa). Lavoro: dovete vedervi tutti gli episodi delle prime 5 serie dei Soprano in due giorni. Potete prendervi le ferie per farlo. Canzone del mese: Money in the pocket di Joe Zawinul. [ ]

Salute: so chi avete votato alle Regionali del 2003. Caso mai non aveste votato in quell’occasione, Dario Franceschini verrà a casa vostra ad applicarvi una nuova crema idratante ai polpacci. Denaro: erediterete un nonno dal quale erediterete un’eredità importante. Riceverete la notizia via email Salute: l’associazione dei notai cinesi della provincia di Viterbo vi fa gli auguri per un sereno 2014 cinese (che però nel calendario cinese siamo nel 4711 quest’anno, quindi l’augurio è retroattivo di 2700 anni). Denaro: ricordatevi di giocare 20 euro sul 66 al lotto armeno. il tabacchi armeno più Lavoro: è ora che vai al cinema a finanziare l’industria dell’audiovisivo che poi non ti puoi lamentare che la gente va a vedere solo i cinepanettoni che se non fosse per loro manco li facevano più i film in Italia. Salute: il vostro nuovo medico di famiglia è Rocco Papaleo. Denaro: per il regalo a Denaro: oggi la Luna in Capricorno vi regalerà piacevoli sorprese: tanto per cominciare ti ricordi quella volta che sei passato che era appena scattato il rosso in Porta Maggiore? Ti hanno fatto la foto i vigili e dovrebbe arrivarti a casa in questi giorni. Amore: questa domenica ricordatevi di

da account sconosciuti, non spaventatevi non è phishing, anche quando vi chiederà di fare una transazione con carta di credito su un sito cinese, sono solo i costi per il notaio cinese. Lavoro: comincerete ad apprezzare la musica gitana. [ ]

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vicino è a 4700 km, vi conviene portare una bottiglia d’acqua prima di uscire. Lavoro: troverete un lavoro fico, però al vostro primo giorno dovrete litigare davanti all’ufficio con una vecchia perché ha visto prima lei il parcheggio e ha messo le 4 frecce (dice lei), ma in verità è arrivata dopo e fa la furba. [ ] Daniele mi devi ancora dare 10 euro. Se ti è più comodo, puoi darli a Rocco Papaleo. Canzone del mese: Diarrhea bounce back dei The Toilet Bowl Cleaners.[ ]

prendere del tempo per voi stessi, rilassarvi sul divano e coccolarvi un po’ col vostro partner. Se si tratta di un cane, non andate oltre i preliminari per cortesia. Salute: la diarrea è ormai un lontano ricordo. Canzone del mese: Jump Monk di Charles Mingus. [ ]


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www.v4v-records.it le nostre ultime pomposissime uscite

Auden Love is Conspiracy

Lantern / Diavoleria

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in uscita a marzo 2014 V4V011

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