JUST KIDS #14

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JUST KIDS rivista indipendente di musica e arte #14

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Poste italiane s.p.a. - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n. 46, art. 1, comma 1 S1/RM - Anno II - n. 09 - 2,99 euro

[PAOLO BENVEGNU] [MARINA REI] [IL DISORDINE DELLE COSE] [NADAR SOLO] [... A TOYS ORCHESTRA ] [STEFANO MARELLI] [DILAILA] [DAVIDE TOSCO VS MARIO CONTE]

Paolo Benvegnù . Marina Rei . Il Disordine Delle Cose . Nàdar Solo . A Toys Orchestra . Stefano Marelli . Dilaila . Davide Tosco Vs Mario Conte . Soviet Soviet . Moseek . Touch And Go . In Missione Per Conto Di Nick Cave: Il Colloquio Di Lavoro . Good Morning, Captain . Colossal Youth . Boyhood O Del Tempo Che Colpisce Il Cinema . Edoardo Ferrario . Casi Di Daniil Cahrms . Ruggine . Giorno Di Festa . Italia. Chio È Dentro È Dentro, Chi È Fuori È Fuori . Dieta (Non Troppo) Ferrea . Suonatore D’autobus, Capitolo 5 .


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JUST KIDS

SOMMARIO

rivista indipendente di musica e arte

Ci pensavamo come Figli della Libertà col compito di preservare, proteggere e rinnovare lo spirito rivoluzionario del rock ‘n ‘roll. Temevamo che la musica che ci aveva sfamato corresse il pericolo di una carestia spirituale. La sentivamo perdere il senso dei suoi proponimenti avevamo paura che stesse finendo preda di mani ingrassate, avevamo paura che arrancasse nel pantano della spettacolarizzazione, dell’economia e di un’insulsa complessità tecnologica. Ripescammo dalla memoria l’immagine di Paul Revere che cavalcava la notte americana, incitando le persone a svegliarsi, a imbracciare le armi. Anche noi avremmo imbracciato le armi, le armi della nostra generazione: la chitarra elettrica e il microfono.” da “Just Kids”, Patti Smith Direttore Editoriale Anurb Botwin | direzione@justkidsmagazine.it Responsabile Musica Simona Strano | musica@justkidsmagazine.it

[Musica] 04 | PAOLO BENVEGNU' di Francesca Amodio 08 | marina rei di Francesca Amodio 12 | il disordine delle cose di Fabrizio Morando 17| nadar solo di Francesca Amodio 21| a toys orchestra di Francesca Vantaggiato 24 | stefano marelli di Federica Ivaldi 28 | dilaila di Andrea Barbaglia 32 | davide tosco vs mario conte intervista doppia 36| soviet soviet di Michele Battilomo 37| Moseek di Enrico Ocirne Piccirillo 38 | indiepedia di Fabrizio Morando|Touch and Go 40 | speedy pizza, dischi a domicilio di Edoardo Vitale |In missione per conto di Nick Cave: il colloquio di lavoro 42 | MUSICOMIX di Gianpiero Chionna | Good Morning, Captain 48 | webziners di Angela Giorgi | Colossal Youth di Giacomo Lamborizio | Boyhood o del tempo che colpisce il cinema 50 | l’antipasto nudo di Giovanni Romano | Edoardo Ferrario

Responsabile Web Claudio Delicato | web@justkidsmagazine.it

[teatro - libri] 54| ruba questo libro di Marco Taddei | Casi di Daniil Cahrms

Responsabile Commerciale Alessandro Buda | commerciale@justkidsmagazine.it Website www.justkidsmagazine.it Social Network facebook.com/justkidswebzine twitter.com/justkidswebzine Scrivono Alessandro Barbaglia, Andrea Barbaglia, Alina Dambrosio, Angela Giorgi, Anurb Botwin, Carlo Martinelli, Claudio Avella, Clara Todaro, Claudio Delicato, Daniele Aureli, Edoardo Vitale, Fabrizio Morando, Francesca Amodio, Francesca Gatti Rodorigo, Francesca Vantaggiato, Francesco Capocci, Francesco Liberatore, Gaia Caffio, Giorgio Calabresi, Giovanni Romano, Giacomo Lamborizio, Giulia Blasi, Luca Palladino, Marco Taddei, Maura Esposito, Paolo Battista, Skandergeb, Viviana Boccardi.

[ILLUSTRAZIONI] 56 | LA DIMENSIONE EROICA DEL MICROBO di Maura Esposito|Giorno di Festa [immaginario] 58 | troppo tardi per gli onesti di Daniele Aureli e Francesco Capocci |ITALIA. Chio è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. [storie] 60| sbevacchiando pessimo vino di Paolo Battista | Dieta (non troppo) ferrea 62| suonatore d'autobus di Carlo Martinelli | Capitolo 5

Fotografi Luca Carlino, Enrico Ocirne Piccirillo, Michele Battilomo, Davide Visca, Noemi Teti, Betty Bryce, Alessio Jacona.

[oracoloscopo] di Franco Lo scuro ---contenuti speciali [recensioni a fumetti] a cura di gianpiero chionna 55| iceberg - ruggine

Editore Kaleidoscopio edizioni via San Rocco, 40 85050 Satriano di Lucania (PZ) Registr. Tribunale di Potenza n.120/2013 ISSN 2282-1538

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[Musica] INTERviste

paolo benvegnu’ di Francesca Amodio | ph by Mauro Talamonti

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’ sempre una grande gioia quando in Italia esce un bel disco in italiano: è un po’ un difetto di casa nostra infatti quello di non apprezzare mai abbastanza le nostre ricchezze, a favore di un amore quasi forzato per un certa esterofilia musicale - in cui a volte la sterilità abbonda e la qualità scarseggia- per cui è sempre un gran piacere ogni qual volta un disco come il tuo trova la giusta e meritata accoglienza. Ti è mai capitato nel corso della tua carriera di musicista, ormai ventennale, di ricevere “pressioni”, magari da taluni discografici, che propendessero per una “americanizzazione” di tue sonorità o dei tuoi testi? Mi è capitato di ricevere qualche pressione di questo genere anni fa, quando ero alla Emi con gli Scisma, ma è altresì vera una cosa: sono fermamente convinto che siano arrivate anche per il fatto che probabilmente

non ero abbastanza forte e convinto in quello che proponevo. Poi col tempo si cresce e crescendo ho capito che basta semplicemente scrivere al meglio come si vive, esprimere al meglio le mie intuizioni, essere un continuo ricercatore di me stesso sempre in divenire, con la massima purezza possibile. Il mio amico Marco Parente dice: io scrivo lettere al mondo, anche se questo non mi risponde. Ecco, è proprio questo: anche se il mondo non ti risponde, ma cambia semplicemente solo lo sguardo, va già bene, perché è un’esperienza che deve servire a te e a nessun altro. Non ha né l’ambizione di conquistare il mondo né quella di dominarlo; certo, poi è fantastico se un piccolo riflesso dell’intuizione che io scrivo arriva a qualcuno qui oppure a qualcuno lontanissimo da qui, ma non è questo il punto: io per star bene devo continuamente cercarmi, perdermi, ritrovarmi e

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[Musica] INTERviste

Caffè, biscotti al cioccolato e il fumo della sua sigaretta: è così che mi accoglie l’artefice di uno dei dischi italiani più attesi di questo 2014, e lui è uno di quelli a cui l’etichetta di cantautore, per quanto di pregio, è sempre

Paolo Benvegnù

andata stretta: è molto più di questo. Poeta contemporaneo, filosofo dei sentimenti ancestrali, delle passioni ataviche, ho il piacere di conversare con uomo che ha maturato una consapevolezza di sé che ora grida lungo tutti i corridoi di questo enorme Earth Hotel. Quel sé con cui è sempre stato in lotta, ma grazie al quale si è ritrovato, quel sé che oggi ringrazia per aver fatto sì che si perdesse e al quale chiede proprio questo: di ritrovarsi e perdersi ancora, sempre e per sempre, perché questa è la vita. questo a me basta per vivere in letizia e serenità in questo mondo. Il tuo modo di scrittura dei testi è da sempre molto particolare: a volte letterario - per quanto riguarda Earth Hotel il riferimento è qui al brano dedicato proprio allo scrittore Stefan Zweig - a tratti cinematografico, evocativo, scenografico, altre volte ermetico, altre volte ancora barocco. C’è qualcosa o qualcuno che ti ispira nella scrittura? Ogni qual volta io affronto qualcosa di “altro” da me che sia un film, un libro, un’opera d’arte, ma anche una conversazione o una passeggiata - cerco sempre di far in modo che questo qualcosa mi rivolti dall’interno, che una mano invisibile mi prenda le interiora e me le getti via, per poi tornare a riprendermele un giorno, per tornare ad essere uguale ma diverso. E’ naturale che i tempi delle prime esperienze di scrittura siano di emulazione - per quanto mi riguarda ti potrei citare Chaplin, i Beatles, Dalla, Gaber - ma poi arriva il momento in cui emulare non ti basta più perché scopri la necessità impellente di trovarti: in realtà ognuno ha insito dentro di sé un proprio codice di scrittura che non sarà mai uguale a quello di nessun altro e soprattutto non sarà mai uguale a sé stesso, o meglio: arriva sicuramente l’attimo in cui ti fermi e

realizzi di aver trovato il tuo colore, ma succede quello che succede poi nella vita e cioè che non siamo più quelli che eravamo fino a un secondo fa. Perciò la scrittura è un’esperienza di evoluzione e di rivoluzione continua. Io dico sempre che fare musica è come fare artigianato, con l’unica differenza che nella musica non pensi solo nelle tue otto ore di lavoro, ma sei portato all’esercizio del pensiero in maniera incessante e costante, quando dormi e quando vivi. In un mondo dove ormai c’è sempre qualche marchingegno che fa le cose al nostro posto, dove non si scrive quasi più manualmente , dove non abbiamo quasi più memoria, forse per te e per chi fa il tuo mestiere l’esperienza della scrittura è un riappropriarsi di una certa purificazione, un esercizio di catarsi. Nel brano “Nello spazio profondo” dici: “le parole sono pietre ambiziose e vizio di forma innaturale”. Tu come la vivi quindi l’esperienza della scrittura? Le parole sono ambizione, come dico appunto in quel verso lì. La scrittura è un codice, ma scrivere è qualcosa di altamente complesso, per questo penso che l’esperienza della scrittura sia qualcosa che abbia a che fare con la presunzione ma anche con lo stupore. Spiegare con le parole un’intuizione o una visione di qualcosa spesso si rivela un’operazione più che complessa, io poi mi butto nel pozzo profondo della complessità con tutte le scarpe visto che i miei testi pullulano di molteplici chiavi di lettura, di rimandi,

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[Musica] INTERviste

di citazioni, a volte per un fine puramente estetico ma a volte no. Io però la mia strada l’ho capita, ed è quella di non avere per forza l’ambizione di dover spiegare e di dovermi spiegare sempre, perché penso che le persone dovrebbero capirsi tramite metodi più semplici di quello della scrittura. A che serve e a chi serve un buon disco? Un buon disco serve in primis a me. E’ sempre stato e sarà sempre così, non mi sono mai posto il problema dell’identità dei possibili destinatari o fruitori, perché se il modo che ho scelto per fare pulizia dentro di me è fare un disco, allora è un’esperienza che necessariamente servirà solo a me. Poi certo, a me piace quando qualcuno o qualcosa mi fa cambiare la prospettiva, quindi se con un disco si riesce a fare questo a qualcuno è magnifico, ma non deve essere quello l’obiettivo primario di un musicista, secondo me. E’ bello quando una domanda che mi faccio io in un disco ne suscita altre quindici in qualcun altro, alle quali magari troverà risposte un altro ancora dieci anni dopo. E’ così che dovrebbe essere, per l’essere umano dovrebbe contare il mettersi in relazione con l’altro e con l’alto. Tra le giovani leve del cantautorato italiano, c’è qualche astro nascente secondo te? Ce ne sono moltissimi a mio parere, e di ciò sono molto entusiasta. Ti dico i primi che mi vengono in mente: Ettore Giuradei, Brunori Sas, i Petramante, e questi ultimi li nomino non perché li abbia prodotti - cosa di cui tra l’altro non mi viene assolutamente nulla in tasca - ma perché penso che la loro cantante sia attualmente una delle poche donne capaci nella scrittura. Devo dire che praticamente ogni giorno mi arrivano cose nuove da ascoltare, ma il problema fondamentalmente è uno: si sente quando un pezzo è scritto con tutti gli organi che compongono il corpo umano, come dovrebbe essere quando si scrive e si compone un pezzo, quando cioè in quel pezzo trovi corpo e anima, e quando invece è scritto con una specifica parte del corpo e basta, che non sto qui a dire, ed in quel caso la furbata è facilmente smascherabile, nonché triste e non proficua. Nei nomi che ti ho citato c’è proprio questo, una musica in cui il vero sentimento è l’anello di congiunzione proprio tra l’anima e il corpo, una musica in cui c’è purezza.

stato importante per la tua formazione musicale o per la tua formazione nella vita in generale.. Ce ne sono moltissimi, da Orson Welles a Mao Tsetung, ma potrei citarti anche un contemporaneo che però non ho mai conosciuto e che è Franco Battiato. Per quanto riguarda lui ad esempio, ti dirò che ora mi piace anche il fatto di non conoscerlo, perché è un uomo ed un artista che ammiro davvero molto ed è come se mi piacesse tenere per me la mia idea di lui, il mio immaginario; in realtà poi conosco moltissime persone che hanno lavorato con lui perciò so anche parecchie cose, ma mi piace comunque l’idea di lasciarmi un po’ questo “mito” per me, di

avere una capacità interpretativa che sia slegata dalla fisiognomica...Ecco, questa è una tipica frase che direbbe lui!

Leopardi diceva che “il piacer è figlio d’affanno”, tu in “Piccola pornografia urbana” dici che la gioia non è pura senza il suo tormento.. Ma allora è vero che la felicità deve passare obbligatoriamente per la sofferenza? Sicuramente si deve conoscere il dolore per scoprire C’è qualche personaggio per cui rimpiangi il fatto cos’è la gioia, così come si deve conoscere il nero per di non esser nato prima? Magari qualcuno che è capire cos’è il bianco, o come si deve sapere che c’è il JK | 6


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nulla per comprendere che c’è qualcosa. Ma non è sempre e tassativamente così, perché la verità è che fondamentalmente non possiamo far altro che arrenderci tutti al grande disegno casuale della vita. Non è vero che per fare dei bei dischi, o dei bei libri, o dei bei quadri, si debba per forza soffrire, non è vero che il bello scaturisce solo ed esclusivamente dal dolore, semmai anche da quello, ma non solo. Dobbiamo anche arrenderci al fatto che le nostre vite si intersecano, che i sentimenti più contrastanti tra loro si mescolano di continuo, la vitalità può andare di pari passo con l’infelicità; per questo ad esempio un momento prima ci sentiamo soli, l’attimo dopo

percepisce subito e che non sempre è presente in una band, quindi già questo è un loro grosso vanto; è un progetto in cui si sente la scatenante e infuocata passione e il profondo e puro amore per la musica, ed è questo che ha fatto intrecciare con meravigliosa naturalezza i quattro componenti. Denise, la cantante del gruppo, è inoltre una fantastica scrittrice di canzoni come ce sono poche in Italia e questo non fa che avvalorare quello che dicevi tu, il fatto cioè che sfuggano assolutamente a etichette e gabbie varie che piacciono tanto ad alcuni critici musicali. Credo che stiano facendo un bellissimo percorso che li porterà sempre più vicini al famoso triangolo perfetto “armonia, melodia, testo”, che di sicuro raggiungeranno. Nel brano “Sempiterni sguardi e primati” parli di molti sentimenti: c’è la gioia, la solitudine, la noia, il silenzio, la disperazione. Io ci ho visto un raccordo con “Nuovo sonetto maoista”, dove parli di diseducazione ad ogni sentimento, il che mi ha fatto tornare quindi di rimando al primo brano, in cui affermi che eppure è tutto vero, anche se non c’è niente. Cos’è quel “niente”, quindi? Quel niente in realtà è tutto, se preso singolarmente, per questo parlo di moltissime sensazioni e sentimenti nei due brani che hai citato e che sono assolutamente legati. E’ tutto perché la fuga è vera, la disperazione è vera, la noia è vera, ma così come lo sono un libro o una bottiglia d’acqua, che rapportati all’immensità e alla forza dell’universo intero ecco che però diventano di colpo un niente. Semplicemente dobbiamo cercare di vivere secondo questo assioma: quello che per noi è vero è anche impalpabile, come le nostre aspirazioni, come le nostre passioni, le nostre ambizioni.

A te è affidata la produzione artistica del primo disco di una band molto interessante, La distanza della Luna, progetto che sfugge a qualsiasi tentativo di etichetta, tanto è originale il sapiente sperimentalismo del sound. Cosa ti ha colpito di loro? Adoro il modo in cui si sono amalgamati, in maniera assolutamente casuale, folle, ma volenterosa e disciplinata, costruendo un’intesa e un feeling che si

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BENVEGNU'

incontriamo la persona o le persone giuste e ci sembra che tutto sia meraviglioso. E’ la vita, semplicemente.

Se Paolo Benvegnù dovesse recensire il suo disco, in pochissime parole, che disco è Earth Hotel? Non ne ho idea, ma ti dico che questo è il miglior modo che ho per confortarmi, e mi conforto facendo l’unica cosa che mi riesce, scrivere canzoni. Sono molto contento di esser uscito ancora “respirante” da una lotta con me che non avevo ben compreso ma che ora ho iniziato a capire. Ho scritto questo disco perché ne avevo bisogno, accogliendo più me stesso e meno una certa ambiguità che ho abbracciato invece in passato. Posso solo dire che per me questo non è un disco, è un pezzo di vita. [ ]

PAOLO


[Musica] INTERviste

marina rei di Francesca Amodio| ph Laura Penna

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arina Rei

torna con un disco forte, intenso e d’impatto, a partire dal titolo, “Pareidolia”. Davanti a me ho una donna che ha raggiunto la piena consapevolezza di sé, cosa che si riflette anche nel suo ultimo album, frutto di un percorso musicale e personale che dura da vent’anni. Scevra ormai di orpelli esteriori che l’hanno caratterizzata in gioventù, Marina Rei declina la sua pareidolia in un disco che come la sua testa è coerente “perché coerenza significa avere il coraggio di assecondare il cambiamento e di saperlo incanalare”. Semplicità, coraggio e sperimentazione sono le parole chiavi per entrare nel nuovo mondo di un’artista rivoluzionaria, innovatrice e sempre genuina.

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ei figlia di un batterista e di una violista, e fai la cantante e la musicista da più di vent’anni. È successo quello che succede ai figli di fumatori, che hanno il 90% di probabilità di diventare fumatori anch’essi, o hai sempre saputo che avresti fatto questo nella vita? Tra l’altro tuo padre Vincenzo, noto e stimato batterista, è uno degli ospiti del tuo ultimo disco. Che effetto ti ha fatto lavorare con lui? Di fumatori, o di alcolisti! Oltre i miei genitori, in realtà anche i miei nonni materni erano musicisti per professione, ma di certo non è una regola. Mio fratello, ad esempio, fa tutt’altro, ma devo dire che per me è stato semplicemente qualcosa di inevitabile. Mio padre suona un pezzo in ogni mio disco, è praticamente una nostra tradizione. Lavorare con lui è bellissimo, il suo è un tocco inconfondibile. Il prossimo step sarà riuscire a convincerlo a salire sul palco con me!

Da diverso tempo sei in tour con gli Operaja Criminale, in questo caso in veste di tua band. Com’è nato questo incontro? Su Facebook! Che ogni tanto a qualcosa serve! In pratica io e Andrea Ruggiero eravamo “amici virtuali” già da diverso tempo, apprezzando vicendevolmente i nostri post musicali, che molto spesso erano canzoni dei CSI e CCCP, gruppi che entrambi amiamo. Così un

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giorno, mentre ero alla ricerca di una band da portare in tour con me, di getto ho fatto loro questa proposta, loro hanno accettato, e come in una storia d’amore, non ci siamo più lasciati! Scherzi a parte, io volevo fortemente una band che fosse già formata, e che soprattutto avesse chiaro in mente il concetto di “band”, e non di un gruppo che sta dietro a una cantante. Il fatto che cantante e band lavorino realmente insieme su tutto per me è fondamentale, e credo che la differenza si senta proprio quando io e i ragazzi siamo sul palco: abbiamo un nostro suono specifico, la nostra intesa, che si crea perché quando siamo in tour facciamo tutto insieme, viaggiamo insieme, mangiamo insieme, proviamo insieme. Tant’è che nei miei concerti spesso suoniamo anche pezzi loro, e ciò è molto bello. Credo che oramai la gabbia di “cantante pop” ti vada abbastanza stretta. Nell’immaginario collettivo le canzoni pop, proprio perché etimologicamente “popolari”, spesso rispondono a canoni di linguaggio semplice, di leggerezza, a volte frivolezza, gli argomenti che trattano sono quasi sempre di matrice sentimentale, per il fatto che “devono arrivare a tutti”. Io invece trovo che il tuo modo di scrivere sia decisamente poco pop. Lo trovo elaborato, a volte quasi barocco, molto raffinato. Sicuramente il tuo modo di scrivere è cambiato nel corso degli anni: facendo una piccola autoanalisi su te stessa, mi racconti un po’ questo viaggio itinerante? A volte anche il pop è rivoluzione, pensiamo ai Beatles! Comunque di certo il mio modo di scrivere è cambiato nel corso degli anni, e credo che questo per un artista sia inevitabile. Così come ti evolvi come persona, lasciando un po’ quella che eri a vent’anni per approdare ad un’altra te a quaranta, si evolve anche quello che fai, nel mio caso la musica, o almeno così dovrebbe. Io poi sono una rivoluzionaria e una caotica di natura, quindi ho sempre cercato di incanalare nel migliore dei modi questo mio caos. È ovvio che soprattutto quando si è giovani si ha voglia di sperimentare, che a volte è anche sinonimo di sbagliare, ma è giusto e bello così. Scrivere in italiano poi è una cosa difficilissima: noi qui in Italia smaniamo da una vita per tutto ciò che è americano, siamo esterofili molto spesso solo perché “fa figo”, adoriamo le canzoni straniere senza sapere cosa cantiamo. Inoltre proprio da un punto di vista tecnico, musicale e di metrica, l’inglese è più calzante e più facile. Io negli anni ho imparato a dare

più importanza al senso di una frase e ad adattare la musica a ciò che voglio dire, anche se poi può capitare naturalmente che musica e testo nascano insieme. Quando si scrive nella propria lingua madre è bene dare la giusta importanza a ciò che si sta dicendo, abbiamo un’autorevolissima scuola di cantautori che ce lo testimonia, per questo scrivere in italiano è tanto bello quanto complesso. C’è chi parla della tua come una svolta “indieunderground”, dopo le collaborazioni con artisti come Capovilla, Epo, Benvegnù, Cristina Donà. Magari non se lo aspettano da chi partecipa più volte ad un festival considerato da sempre molto “mainstream”, ovvero Sanremo, e ne esce anche fortunatissima, o da chi ha fatto televisione. Per te questa è la costruzione di un’altra identità, o hai semplicemente riscoperto quella che in realtà hai sempre avuto? Credo di averla sempre avuta, ma credo anche che ci sia voluto il tempo giusto, il cammino e giusto e l’esperienza giusta per concretizzarla. Ad un certo punto ho sentito l’esigenza di attuare un cambiamento nel mio percorso perché non mi sentivo più a mio agio in diverse cose, tra cui un sistema discografico canonico, proprio perché non sono canonica io. Mi ritengo una persona da sempre fuori dalle righe, il che a volte può essere un pregio ed altre volte può essere controproducente, ma credo che bisogna essere testardi e andare avanti per la propria strada senza stare a sentire troppo gli altri. Io nella mia vita ho fatto mille cose per essere indipendente, dalla ballerina alla corista in televisione o in teatro, andavo dovunque mi chiamassero. Ero una ragazzina, e andavo in giro a fare cover con una band – a Roma in quel periodo a fare questo eravamo praticamente io con la mia band di liceali e Giorgia con la band del papà – mi divertivo e già cominciavo a muovere i miei primi passi nel mondo della musica, approdando poi in un’etichetta indipendente con la quale feci il mio primo disco in inglese. Avevo 22 anni, ero poco più di una bambina, e cominciavo a toccare il mondo intorno a me per la prima volta da sola; perciò succede che a volte ciò che vedi e senti ti piace, a volte no, a volte cadi e ti rialzi, fai una cosa giusta e tre sbagliate: tutto ciò ha fatto parte di un percorso lungo e non sempre facile, ma che mi ha formato come persona e come artista. Sono arrivata a questa mia rivoluzione a piccoli passi, io e la mia musica siamo cresciute insieme.

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[Musica] INTERviste

Proprio in riferimento al tuo percorso musicale, molto vario, che ha vissuto epoche e vite musicali diverse, passando da grandi etichette per approdare poi in una tua, da grandi platee popolari come quella sanremese a palcoscenici più piccoli, o magari grandi uguale ma in tutt’altri contesti - anche, per così dire, “impegnati - cosa vuol dire per te essere una musicista indipendente e alternativa oggi? Questi due aggettivi si usano spesso, ma altrettanto spesso non si capisce da cosa si è indipendenti e a cos’altro si è alternativi. Guarda, senza presunzione, posso dirti che sono molto più indipendente di artisti che si etichettano da soli come tali. Perché mi produco i miei dischi, con la mia etichetta, e faccio il mio percorso senza le interferenze di nessuno. Per quanto riguarda l’essere alternativi, io credo che l’unica cosa davvero alternativa sia la semplicità, e semplicità vuol dire porsi in modo semplice e spontaneo di fronte a ciò che si è, alla propria indole. Ecco, questo è un difetto tipicamente nostro, italiano: siamo un paese di comodoni e di paurosi, l’ignoto ci fa paura, il cambiamento pure. La rivoluzione per me coincide anche con l’incoraggiare il mio cambiamento. Volenti o nolenti la televisione in Italia è uno dei mezzi di comunicazione e di creazione di visibilità più potenti, forse il più potente in assoluto. Il fatto che il passaggio di un artista o meno in tv insinui il dubbio sulla sua probabile “morte artistica” però, è a dir poco spiazzante. Cosa pensi a riguardo? Ti è mai importato il discorso “televisione”? No, non me ne sono mai curata, ed è per quello che non ci vado. Ma quello che dici è tristemente vero: il fatto che un artista non faccia televisione, significa automaticamente che non produce dischi, e questo è

assurdo. E poi se anche uno volesse, la televisione italiana non ha più spazi o programmi musicali validi in cui uno può andare a suonare. Anzi, il fatto che la televisione già da parecchio tempo non dedichi uno spazio davvero serio alla musica, è ancora più triste di quelli che pensano che una persona non esista solo perché non vede la sua faccia sbattuta in tv. È una questione di mentalità, per quello dico che è una battaglia persa. Per fortuna ti potrei fare una lista interminabile di musicisti che non vanno in tv, ma neanche in radio, e hanno comunque un grande e meritato successo: vedi le Luci della centrale elettrica, il Teatro degli Orrori, gli Afterhours. Io credo che quello che interessa ad un musicista fondamentalmente sia il momento del concerto, del live, e nient’altro. “Qui è dentro”, contenuto nel disco “La conseguenza naturale dell’errore”, è un brano che parla del carcere, in cui dici cose abbastanza forti: “Benvenuti nelle carceri italiane, questa è una pena di morte autorizzata, questa è la nostra vergogna”. In un’era in cui “fa figo” cantare determinate tematiche sociali, qual è secondo te la sottile linea d’ombra tra furbizia e sentita denuncia sociale? Qui dentro c’è una canzone che parla del sovraffollamento delle carceri, che è un problema reale e molto grave, davanti a cui tutti, televisioni comprese, si sono tirati indietro nel momento in cui ho fatto richiesta di poterne parlare apertamente in pubblico. Per scrivere questa canzone ho letto moltissime lettere di detenute e detenuti, sono stata in carcere a suonare, insomma volevo semplicemente porre l’attenzione su questo argomento, anche perché visto quello che dico e come lo dico non si può certo dire che sia una canzone da “promozione disco”, non è certo un pezzo radiofonico, tutt’altro. Quindi direi che io non sono stata furba per niente, in questo caso, e alla mia non furbizia si aggiunge l’immenso dispiacere per il fatto che ogni volta che ho provato a toccare l’argomento carceri c’è sempre stata molta omertà, silenzio e paura. Cose che non fanno certo onore al nostro Paese. Per te una canzone è come un figlio – nel senso che si sa da dove esce ma non si sa dove va a finire quando poi comincia a camminare con le proprie gambe - oppure quando scrivi sai esattamente a chi vuoi rivolgerti? I destinatari dei miei pezzi, non è un problema che mi

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[Musica] INTERviste

Il fatto che in “Pareidolia” ci sia la parola “Rei”, è una casualità oppure no? Ma sai che questa è una cosa che mi ha detto anche Pierpaolo Capovilla! L’ho notata grazie a lui, inizialmente non me ne ero accorta, e devo dire che è fighissimo! Sicuramente è una parola che rende l’idea di un concetto molto forte, difficile ma in realtà diretto. Il fatto che dietro ogni cosa ci sia in realtà un aspetto misterioso che non si manifesta subito ma che comunque ci coinvolge, è un concetto molto affascinante. “Pareidolia”, è un disco molto eterogeneo, poliedrico: si passa da ballate rock a pezzi più movimentati, da sperimentazioni rap come nel pezzo cantato con Zona MC che dà il titolo al disco, al pezzo di chiusura che è una commovente cover dello storico brano dei CCCP, “Annarella”; nel brano “Del tempo perso” canti: “del tempo perso a darci il tempo di rifarci ne è pieno il mondo”. Ogni tanto dunque bisognerebbe smetterla di farsi prendere dall’ansia di essere perennemente occupati a fare qualcosa, perché magari una sana perdita di tempo può essere rigenerante? Questo è l’unico pezzo che ho scritto con Matteo Scannicchio degli Operaja Criminale. La noia è importante, lo dico sempre a mio figlio quando mi dice: “Mamma, mi annoio!” E io gli rispondo: “Fantastico!” E’ importante sapersi annoiare proprio perché nel

momento in cui ci si annoia in realtà il cervello lavora lo stesso e mette in atto altre funzioni, esplora altri territori. Anche se in realtà poi io predico bene e razzolo male, perché sono un vulcano perennemente attivo, per me annoiarmi è un problema…Ma cerco di educare perlomeno mio figlio a farlo! L’album è prodotto da Giulio Favero, bassista del Teatro degli Orrori, produttore, che ha collaborato anche alla scrittura. Sicuramente oggi il ruolo del produttore è cambiato: se un tempo il produttore era una specie di sarta che cuciva addosso all’artista un vestito su misura secondo i propri gusti, oggi fortunatamente non è sempre così, come testimonia il fatto che tu e Favero abbiate realizzato insieme la scrittura del disco. Come è nata questa collaborazione e com’è stato lavorare con lui? E’ stato assolutamente stimolante, ed è stato Giulio stesso a darmi lo stimolo maggiore per rimettermi a scrivere. Il fatto che sia innanzitutto musicista e poi produttore è sicuramente molto prezioso. Il ruolo del produttore sicuramente è cambiato, e nel mio caso lo testimonia il fatto che il nostro è stato un lavoro di squadra: a volte scrivevo io delle cose che poi gli inviavo, a volte mi inviava lui delle idee musicali sulle quali poi io lavoravo, e tutto ciò è sicuramente molto bello. La scelta del produttore è importante, e Giulio non è stata certo una scelta casuale, perché quella del produttore è una figura nella quale hai necessità assoluta di riconoscerti e nella quale devi avere fiducia, dal momento in cui gli affidi le tue canzoni. Il lavoro con Giulio è stato accompagnato da una perfetta sintonia, per cui non poteva che uscirne un disco che piacesse molto ad entrambi e di cui sono estremamente contenta. Una collaborazione possibile che ti piacerebbe fare, e una impossibile. Tra le possibili sicuramente Jack White, tra le impossibili, Luigi Tenco. Squilla il telefono e qualcuno ti dice: “Ciao Marina, ho scritto un testo per te”. Chi vorresti che ci fosse dall’altra parte? Giovanni Lindo Ferretti. [ ]

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pongo. L’unico destinatario a cui il pezzo deve arrivare sono io, e ti assicuro che se passa da me è già tanto, vista la mia enorme autocritica e la severità che uso con me stessa! Io mi autocensuro moltissimo prima di approvarmi. Il titolo del tuo ultimo album, “Pareidolia”, non rimanda a una parola usata nel linguaggio comune, a differenza però del concetto che rappresenta - è la tendenza istintiva a trovare forme familiari in immagini disordinate, classici esempi sono la visione di animali o volti umani nelle nuvole - Come è nata la scelta di questo titolo? Il nome del disco, la pareidolia è un concetto che mi piace perché mi piace il fatto che tutto ciò che è apparentemente visibile agli occhi non sia la vera realtà, che ci sia sempre qualcosa dietro che inizialmente non vediamo ma che ci colpisce profondamente. Poi sicuramente è un titolo fatto un po’ apposta, così tutti prendono il vocabolario e vedono cosa vuol dire!

marina


[Musica] INTERviste

il disordine delle cose di Fabrizio Morando A due anni dal precedente lavoro, lo splendido La Giostra registrato interamente in Islanda,

Il Disordine delle Cose ritornano

con un nuovo album ancora incentrato sul tema del viaggio. Durante le dieci tracks di “Nel posto giusto”, sentiamo ancora una volta la forte esigenza di viaggiare verso un contesto adatto, non necessariamente fisico, in cui si possano intrecciare rapporti personali, ambientali e tecnologici con l’obiettivo di trasformare un progetto in una certa idea di musica e di suoni. Il risultato è ancora una volta di altissimo livello, confermando il sestetto piemontese come una delle poche band di vera innovazione nel panorama musicale indipendente italiano. Li incontriamo a “le Mura” a San Lorenzo, nel cuore della capitale, prima di quello che sarà una loro sorprendente performance, di quelle che lasciano il segno. JK | 12


[Musica] INTERviste

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iete una band di band di viaggiatori veri. Nel posto giusto è solo la punta dell’iceberg riguardo una vostra spiccata attitudine al viaggiare, che vi porta molto spesso ad uscire dall’Italia per cercare qualcosa che – probabilmente - nel nostro stivale non riuscite a trovare. Perché questa esigenza? Marco (M): Non è necessariamente il bisogno di uscire dall’Italia, ma quello di trovare il posto giusto dove registrare una nuova idea. Pensiamo che qualunque cosa, anche al di fuori della musica, dia il meglio se viene fatta nel contenitore giusto, perché quel contenitore avrà delle particolarità, delle peculiarità che solo quel luogo può dare. Sicuramente in questi anni abbiamo scelto contesti nordici, freddi. Anche il primo disco, pur avendolo registrato in Italia, è stato concepito in una baita di montagna dove noi tutti eravamo chiusi, ma proprio chiusi e isolati dal mondo. Nell’ultimo album abbiamo scelto la Scozia, e in particolare uno studio di registrazione di Glasgow, perché sentivamo il bisogno di far suonare le chitarre in un certo modo che negli altri dischi non c’era. Dopo aver valutato diversi studi italiani, abbiamo realizzato che quel particolare mood che abbiamo sentito da diverse band che ci piacevano, proveniva solo da li. E li siamo andati. Infatti sentendo il vostro lavoro saltano subito in mente i territori musicali propri delle band del luogo come Mogwai e i Belle & Sebastian. Le sonorità che cercavate sono quindi proprio queste? Mi riferisco più che altro agli gli squarci sonori propri dei Mogwai, le improvvise impennate psichedeliche di matrice shoegaze, i cambi di umore e gli intrecci chitarristici che hanno portato la band di Stuart Braithwaite ad essere apprezzata nella scena internazionale. M: Quando abbiamo concepito il disco, durante la preproduzione in una cascina di Novara, ci siamo resi immediatamente conto che il suono che cercavamo era quello dei Mogwai. E quindi senza girarci tanto intorno, abbiamo semplicemente cercato dove loro avessero registrato i primi lavori, e da lì a raggiungere quello studio in Scozia è stato un attimo. Un’altra band che vi ha segnato indelebilmente sono i Sigur Rós. Avete registrato il disco precedente in Islanda grazie alla collaborazione del loro fonico Birgir Jón Birgisson e io ho sentito ancora indistintamente queste atmosfere nel primo pezzo…

Ale (A): Si, abbiamo cercato un ponte sul fiume, una barca che ci potesse traghettare dal vecchio al nuovo e che regalasse all’ascoltatore una certa continuità. Marco: la verità è che anche i Sigur Rós sono uno dei gruppi che ci ha da sempre influenzato e che abbiamo ascoltato tantissimo, e volendo cercare quel tipo di sonorità siamo andati negli spazi islandesi. Per Nel posto giusto invece l’idea era di avvicinarci ad altre soluzioni, come il prog, cose un pochino più cattivelle, un po’ più acide, e per questo siamo andati a Glasgow. Echi di Sigurrosismi si trovano sempre, piuttosto che di tutta la musica che ascoltiamo che poi è tantissima. Luca ad esempio ascolta solo gente morta di quasi 50 anni fa (risata, ndr), e in generale prendiamo a piene mani da ogni fonte di ispirazione, dai Beatles sino alla musica contemporanea. A questo proposito, vi confesso la mia curiosità e vi chiedo che difficoltà avete nello scrivere pezzi in sei persone, e soprattutto dovendo mettere insieme sei teste differenti con, immagino, altrettante differenti idee e gusti. Mattia (Mat): Difficoltà? tutt’altro che difficile, basta bersi due bicchieri di sambuca… (Risata. Per inciso, tutti i membri del gruppo producono con ottimi risultati una sambuca “home made” che pensano di commercializzare a breve, quando la creatività non si limita all’arte, ndr). Mettere a fattor comune sei teste differenti non è facile. Suoni in un gruppo ed è normale. Cerchiamo di non pestarci i piedi e di vederlo come un valore. Ci ricordiamo di avere uno scopo comune e puntiamo dritto all’obiettivo. Ma i vostri gusti, le vostre idee sono radicalmente diverse o ci sono molti fattori comuni? C’è una mente predominante che trascina la fase creativa? Sono molto diverse, ma questo è il bello. Molto spesso arriva in saletta Luca con qualche idea già strutturata, Ale che fa delle produzioni a casa con il computer ce la fa sentire, anche Marco si sveglia la mattina col piglio giusto e ti tira su una canzone dal nulla. Io e Ema gli diamo una pennellata di colore e un vestito. Molto spesso un pezzo inizia in un modo e finisce con una roba che sta completamente all’opposto. Anche la musica dei Belle & Sebastan ha giocato un ruolo chiave nella vostra spinta compositiva. So che Chris Geddes ha suonato in un brano del disco e che ha dato un contributo comunque importante a tutto l’album. Però leggo una forte impronta nazionalista nella band di Glasgow che

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sembra andare in contrapposizione col vostro spirito di appartenenza ad un mondo globale. Stewart Murdoch di fatto cita molto spesso nei suoi testi l’ideologia che sta dietro ai movimenti separatisti che vorrebbero la Scozia indipendente dal regno unito. M: C’è un particolare di fondo che è doveroso raccontare: noi non abbiamo mai cercato una collaborazione con loro, tutto è successo per puro caso: eravamo in studio di registrazione e ovviamente ad una certa ora si fa pausa pranzo. Mentre si mangiava un panino lì fuori, Birgir ha salutato un tipo nel bar, dicendogli che stava registrando con questi ragazzi italiani: quel tipo era Chris Geddes. Incuriosito, Chris è venuto in studio con noi e subito si è creato un bell’ambiente grazie a lui, abbiamo fatto amicizia e gli abbiamo chiesto alla fine se voleva registrare una traccia del disco. Ovviamente ha accettato. Tutto questo per dire che la collaborazione è iniziata così per caso, non c’è stato niente di premeditato. Alla fine gli abbiamo chiesto se voleva qualcosa come contributo... oh si è offeso che volevo dargli dei soldi! Nulla. Davvero un grande. Riguardo allo spirito nazionalista, non lo definirei così: è molto vero che gli scozzesi sono tanto... scozzesi, orgogliosi di essere tali. Ed è anche il motivo per cui la musica dei Belle & Sebastian e dei Mogwai è cosi

caratteristica. Loro sono quindi nazionalisti ma in senso positivo ed espansivo, parlano molto della loro terra, ma lo fanno con grande gioia e trasporto. Vinicio (V): Io li adoro! ho visto tutti i loro concerti in Italia, mi piacciono un sacco! Chris è una persona di una gentilezza clamorosa. In Italia un artista di quel calibro si sarebbe probabilmente girato dall’altra parte e avrebbe continuato a farsi gli affari propri. La collaborazione, anche se indiretta, con i Sigur Rós e con il quartetto d’archi delle Amiina nel precedente lavoro è stata una vera svolta nel vostro sound. Il leader dei Sigur Rós, Jónsi Birgisson, utilizza una forma di linguaggio inventata (l’homelandic) perché ritiene che il cantato debba avere solo una forma musicale nel contesto di un brano, come una sorta di strumento aggiuntivo. Viene quindi snaturata la semantica propria di un testo, decontestualizzando di fatto il significato delle parole. Qual è la vostra opinione a riguardo? M: Non abbiamo la possibilità di fare in modo che il testo suoni come noi vorremmo – la lingua italiana usa parole che terminano con vocali e questo è sempre stato un motivo di difficile adattamento - però siamo contenti di cantare in italiano, anche se dietro le quinte porta ad un lavoro più certosino di adattamento alla

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linea melodica. Ma è d’altro canto il motivo per cui la musica cantata in italiano si differenzia da quella del resto del mondo. Faccio un esempio: il nostro secondo disco è quello che molti hanno fortemente accostato al sound tipico dei Sigur Rós. Il bello è che se chiedi a loro dicono di non aver mai suonato niente di simile. Perché secondo te? A mio modesto avviso, il cantato in italiano porta completamente da un’altra parte. Una parte che ovviamente a noi piace parecchio.

almeno a volte ho la sensazione di fare qualcosa di molto simile a questo. Mi ricordo quando lavorammo ad uno stacco molto sospeso nell’ultimo disco insieme a Mattia Boschi, e dove quindi gli archi erano preponderanti: in quel caso componevo avendo nella mia testa delle immagini ben definite che rappresentavano un cambio climatico e che riguardavano la natura, alberi, foglie. In ogni caso si, ci piacerebbe molto poter lavorare ad un progetto come una sonorizzazione o simile.

Tornando invece al discorso relativo all’approccio di Jónsi e al suo homelandic, voi invece utilizzate il testo anche per il suo significato: in particolare nelle frasi del disco ci sento una forte vena poetica e molti riferimenti alla vita di coppia. Ci ho visto giusto? M: Direi che hai centrato il bersaglio in pieno! Parlo di persone, di conoscenti, di amici che hanno problemi quotidiani, problemi di vita di tutti i giorni. In particolare mi interessano le relazioni di coppia e tutte le cose che girano intorno ai problemi di rapporto di coppia, dove per coppia si può intendere anche due amici, non necessariamente tra uomo e donna. Anche se quelli tra persone di sesso diverso sono le cose che racconto di più. Molto spesso sono pensieri di altre persone, che io raccolgo durante una chiacchierata, faccio mie, e poi le trascrivo.

L’etichetta con la quale avete inciso il disco è la Black Candy Records. Chissà perché mi sono venuti in mente i Jesus and Mary Chain, scozzesi anche loro, e in particolare il loro singolo Some Candy Talking. Pezzo estremo, con continue allusioni a droghe e comunque ad un approccio alla musica più aggressivo e provocatorio. Si tratta di una coincidenza giusto? Ema (E): Si certo, non ci sono riferimenti. Conosco i JaMC e il modo di scrivere legato alle droghe è a mio avviso è tutta roba del passato. Oggi ci sono ben altre provocazioni, non vedo più gruppi che utilizzano droghe o parlino di droghe durante il processo creativo. In quel tempo gli stupefacenti erano utilizzati per elevarsi ad una visione quasi spirituale della musica, utilizzata soprattutto per restringere le distanze tra il terreno, ovvero la mano che suona, e l’ultraterreno, Ho di recente intervistato i Giardini di Mirò, ovvero l’idea artistica che vuoi raggiungere. Un che hanno lavorato ad una sonorizzazione di approccio che va in netta contrapposizione con il un vecchio film muto. Secondo me la vostra nostro modo di comporre e di suonare. musica potrebbe andare anche in tal senso, in molte occasioni la sento vicina e adatta a fare Parliamo di social. C’è una domanda ricorrente da soundtrack. Può essere una possibile svolta che faccio spesso durante le interviste. artistica della band? Personalmente ritengo che i social media siano A: Guarda, ce lo dicono tutti tanto che, trovandoci a una delle cause principali del degrado artistico e Roma, stavamo per andare a Cinecittà per vedere se si culturale di questo nuovo millennio. In particolare riusciva a portarci a casa qualche lavoro! Aspettiamo mi riferisco alla facilità di proporsi direttamente che un produttore ci chiami... ma anche Vanzina, in un mercato senza l’intermediazione di figure di sai che bello scrivere la colonna sonora di un suo produzione e quindi cercando di soddisfare una “vacanze di natale”, sarebbe un’esperienza davvero platea con gusti e idee sempre più “flat”, senza creativa! (risata, ndr). picchi di genio e senza talento. Siete d’accordo? Scherzi a parte, la ritengo un approccio molto Mat: Io non sono così radicale. Ritengo che per complesso tecnicamente, e dove occorre una una persona con un po’ di intelligenza in zucca i preparazione e una esperienza nel genere. Può social possano essere di aiuto. Se lo fai diventare il essere un risvolto interessante nel futuro. fulcro di tutto perché sei una persona vuota, allora V: Marco quando scrive i testi è sempre molto “visivo”, questi strumenti diventano una droga e di fatto ovvero descrive situazioni come se fossero immagini. rappresentano la solitudine di questa generazione. Noi nel nostro piccolo proviamo a riprodurre le sue Con un altro gruppo col quale suono abbiamo scritto visioni. Di fatto è come scrivere una sorta di sountrack, un pezzo proprio su di questo. JK | 15


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Per chiudere: prossima destinazione Polo Nord? E: No, basta posti freddi... andiamo al caldo! Facciamo Raeggeton! (ndr, risata). Scherzi a parte, il raegge non ci piace, ma ci sono comunque sonorità da paesi caldi assolutamente fantastiche come il desert blues e lo stoner rock. Una conseguenza delle scelte musicali che si vogliono fare, e che uno arriva a cercare il posto migliore per realizzarle. Cercare il posto dove uno si possa sentire musicalmente a casa. Oggi come oggi, in un panorama dove un ragazzino di 16 anni si può registrare un disco a casa sua con due microfoni amatoriali e il “logic”, (Eminem, ndr), ma anche musicisti del calibro di Beck hanno fatto la stessa cosa, si sente l’esigenza di evadere, di guardare un paese o una terra come fonte di ispirazione: non puoi fare reggae guardando l’Islanda, come immagino i Sigur Rós non avrebbero mai prodotto quello che hanno fatto guardando caldi scenari tipici della Giamaica. Ad eccezione dei Motorpsycho che hanno fatto un disco country in una baita in Norvegia - ma parliamo di una band che non ha mai fatto una cosa uguale all’altra - in linea di massima ogni cosa meriterebbe di essere fatta “nel posto giusto”. Sempre. [ ]

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delle cose

M: Io sono completamente d’accordo riguardo la tua affermazione sul degrado. Conosco band che hanno pubblicato il loro primo disco sfruttando solo i canali e le amicizie di facebook, e il finto e apparente successo nell’immediato li ha portati ad avere un’attitudine da “band vissuta”, quando fondamentalmente non sono nessuno e probabilmente mai lo diventeranno. Soprattutto se continuano ad atteggiarsi in questo modo ed a usare il canale social con questi fini che ritengo sbagliati e controproducenti. Quando non c’era questa facilità di proposizione, uscivano fuori solo quelli che spaccavano il culo a cento, altrimenti non venivi fuori neanche con le bombe. E: D’altro canto, se hai talento, il social ti può dare l’opportunità di farti conoscere, di arrivare ad un pubblico più ampio della classica cerchia d’empatia costituita dai tuoi amici e Conscenti. Insomma come in tutte le cose, ci sono gli aspetti positivi e il loro rovescio della medaglia.

il disordine


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nadAr solo di Francesca Amodio \

A solo un anno di distanza da “Diversamente,

Nadàr Solo

come?” i tornano con un disco che non vi lascerà indifferenti: senza alcuna paura, in maniera violentemente dolce, con “Fame” Matteo De Simone (voce e basso), Federico Puttilli (chitarra) e Alessio Sanfilippo (batteria), affrontano la sfera completa dei sentimenti, dall’amore alla rabbia, dal risentimento alla rassegnazione. Fame è un disco che disegna l’arcobaleno completo delle emozioni, ma con un fil rouge intessuto di eleganza, pacatezza, anche di disappunto, mai però di sterile rabbia fine a sé stessa. E’ un lavoro in cui si va consapevolmente a fondo nella ricerca dei perché, e sembra proprio che l’osannatissimo trio torinese le sue risposte le abbia trovate. JK | 17


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V

NADAR

i chiamate come un film di un regista argentino uscito una decina di anni fa, di cui la traduzione è “nuotare solo”; il film indagava con una certa intensità sentimenti come la paura e la solitudine: siete sulla scena musicale italiana da più di otto anni ormai, avete mai incontrato la paura e la solitudine in questo ambiente? Parafrasandovi, ci sono stati momenti in cui avete “nuotato soli”? Praticamente i due terzi della nostra carriera sono stati caratterizzati da porte chiuse in faccia! Anche dall’incapacità nostra di aprirle però, perché poi bisogna sempre saper fare un po’ di autocritica. A volte solo col tempo si può crescere, e noi abbiamo imparato a suonare e a scrivere meglio nel corso degli anni. Indubbiamente il percorso di un musicista che inizia a suonare, in un Paese come questo poi, è molto difficile; spesso poi si è costretti a fare molta palestra per reggere psicologicamente pressioni e tensioni che ti fanno venire voglia di cambiare mestiere in un attimo, se sei troppo sensibile o fragile. Perciò si, abbiamo nuotato spesso da soli, ma la passione che ci porta ad andare avanti è per noi talmente bruciante che alla fine vince quella.

bene, rispondendosi evidentemente di no, visto che in quel testo la parola “odio” compare 37 volte.. In un periodo in cui vanno tanto di moda testi di protesta, di denuncia sociale, di disagio esistenziale, quand’è che una canzone è davvero sincera? Quando non ti poni nessun tipo di domanda, perché sei talmente convinto di quello che hai da dire che non te ne frega niente di ciò che diranno gli altri. O meglio, il problema del destinatario noi ce lo poniamo, ma non per un fatto di compiacenza, ma perché naturalmente vogliamo essere ascoltati e quindi capiti. Ovviamente aveva senso quando i Bluvertigo scrivevano quella cosa, in quanto provocazione nei confronti di un certo clima politico-culturale di allora e verso il cosiddetto “belcanto”, verso le “canzonette” italiane dell’epoca. Noi non siamo così in lotta con questo mondo, anzi, abbiamo anche un modo di scrivere molto “intimistico”, per così dire, ma è ovvio che lo scopo ultimo di una canzone deve essere quello di comunicare qualcosa, quindi quando scriviamo immaginiamo comunque di avere un ipotetico interlocutore, perché altrimenti, proprio come in una conversazione, capirsi da soli o non farsi capire non servirebbe a nulla.

E’ quasi una rarità ormai il fatto che un giovane gruppo italiano scriva, per l’appunto, in italiano. Una delle lingue più belle del mondo, eppure molto spesso snobbata in primis proprio dai musicisti a favore di un inglese molto spesso sgangherato ma che in qualche modo fa sempre “figo”. Voi ci avete mai pensato ad un disco in inglese? Si, la tentazione c’è stata, soprattutto quando eravamo agli inizi. I problemi però erano due: il primo era che non sapevamo per niente bene l’inglese, il secondo era che non avevamo neanche tutta questa grande voglia di impararlo! Tra l’altro quando abbiamo iniziato noi, questa della lingua era una questione che ti dovevi porre per forza, perché non aveva ancora preso piede per bene tutta la giovane scena cantautorale italiana che invece c’è adesso. Noi però abbiamo semplicemente scelto di esprimerci nella lingua che padroneggiamo meglio, è stata una scelta felicemente obbligata.

In una vostra biografia, alla voce “influenze”, si leggono: Timoria, Afterhours, Ministri. Chiedendovi anzitutto se confermate, e posto il fatto che tutte le opere d’arte, quindi anche le canzoni, sono figlie del loro tempo ma anche del tempo che le ha precedute, in termini pratici come si affronta, all’interno della stesura di un disco, la consapevolezza del proprio background musicale? Noi non ci ispiriamo mai consapevolmente a qualcuno, anche se di sicuro tutto ciò che ascoltiamo diventa il nostro bagaglio, una sorta di nebulosa indistinta in cui ci sono tanti riferimenti che ovviamente si vanno a pescare per poter esprimere noi stessi al meglio. Tutto ciò è ben diverso dall’andare in giro a rubacchiare idee sterilmente: non c’è dubbio che le parti della storia della musica che ci sono e dalle quali poi tutto ha avuto inizio vanno fatte proprie, vanno inglobate e trasferite con un proprio linguaggio nella cosa che si scrive in quel momento. Pensiamo al discorso delle citazioni per esempio, che in qualsiasi campo, da quello letterario a quello cinematografico, storicamente non fanno che dare più lustro a ciò che si sta producendo. In questo disco in realtà non ci siamo proprio posti il problema,

Qualche anno fa i Bluvertigo si chiedevano se bisognasse sempre per forza parlare d’amore, se bisognasse sempre comunque far nascere il sole, se fosse necessario far credere di fare del

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l’abbiamo scritto e suonato cercando di sentirci liberi il più possibile. C’è da sempre questo gioco, da parte di alcuni critici musicali, in cui per l’appunto si gioca a trovare sempre la citazione, la somiglianza, a volte il plagio, soprattutto tra band giovani e contemporanee, e per quanto riguarda noi questa cosa è stata scritta più volte a proposito dei Ministri: certamente li conosciamo e li apprezziamo molto, ma essendo per l’appunto a noi contemporanei, più giovani di noi tra l’altro - è praticamente impossibile che possano influenzarci. Semplicemente sia noi che loro siamo cresciuti coi Nirvana, ad esempio, e quindi è ovvio che abbiamo gli stessi riferimenti. Anche quella dei Timoria è un’influenza che smentiamo, categoricamente!

personale, professionale ed umano a tutta la band. Pierpaolo è uno di quegli uomini che ti insegna sempre qualcosa, anche senza volerlo, ha una dote naturale; come musicisti è stata la guida migliore che potessimo avere, mentre a me personalmente, in quel caso in veste di scrittore, avere avuto quel riscontro è stato qualcosa che mi ha regalato un’immensa fiducia.

Il terrore dell’oscuramento di visibilità, che ci porta a vedere sempre meno collaborazioni tra gruppi giovani, voi sembrate proprio non averlo (da Bianco, a Levante, a Daniele Celona). Per quanto riguarda invece quelle “impossibili”, con chi vi sarebbe piaciuto collaborare? Visto che dobbiamo fantasticare, fantastichiamo per bene: ci immaginiamo sul palco insieme ai Led Il vostro genere è classificato come “alternative- Zeppelin, che iniziano con un mega assolo di venti rock”..Siete riusciti a capire che vuol dire? minuti, alla fine del quale inzia a cantare Kurt Cobain.... Queste sono le classiche etichette che alcuni giornalisti E dove entra a sorpresa Freddie Mercury, va! hanno cominciato a dare, probabilmente a partire dagli anni novanta, forse post Nirvana, per tentare di Diversi passaggi nei testi mi hanno colpito: da “ingabbiare” quei gruppi che in un modo o nell’altro “la fredda sufficienza dentro agli occhi di tuo sfuggivano alle regole del cosiddetto “mainstream”, figlio che ha imparato a disprezzarti istruito ma la verità è che etichette di questo tipo dicono tutto da suo padre” (Cara Madre), a “Sono io che ho e non dicono nulla. paura di esistere” (Jack Lo Stupratore). Senza E’ successo così anche per l’indie, che da un certo dubbio Fame è un disco di forte impatto, in cui modo di vendere la propria musica - questo era in i sentimenti umani vengono dissezionati con origine il significato, che quindi non aveva niente a che una certa profondità, scandagliando i dubbi e i fare col contenuto artistico - è passato a signifcare timori. Cosa comporta suonarlo live? E’ una sorta tutt’altro, e neanche lì si capisce bene cosa. Quindi no, di catarsi, di liberazione? non lo capiamo neanche noi a cosa siamo alternativi! E’ sicuramente liberatorio. A livello testuale è il disco di cui siamo più soddisfatti e convinti in assoluto finora, Matteo, nel 2011 è uscito il tuo romanzo “Denti proprio perché concentra uno spettro davvero molto guasti”. Umberto Eco dice che un romanzo senza ampio di emozioni e soprattutto perché è un disco almeno un lettore è come se non esistesse, e tu sincero. fra i tanti ne hai avuto uno più che autorevole, Pur non essendo un disco autobiografico infatti, se non Pierpaolo Capovilla, sicuramente un punto di in minima parte, paradossalmente è stato più facile riferimento per te e la band, avendo voi aperto metterci dentro molte verità su noi stessi, rispetto a diversi concerti del Teatro degli Orrori. Il romanzo quando si parte proprio con l’idea dichiarata e decisa lo ha ispirato al punto tale da fruttargli dei testi di scrivere di sé, andando alla ricerca di un’unica verità nell’album “Il mondo nuovo”. Che sensazione si che poi puntualmente non si trova. Il bello di questo prova quando una propria “creatura” fa accadere disco invece, per noi, è proprio il fatto di non aver cose di questo tipo? raccontato la verità, ma più verità, tutte condivisibili. Certamente un’immensa soddisfazione. Pierpaolo poi l’ho sempre seguito, così come Federico e Alessio, fin In un mondo dove a volte sembra che la da ragazzino, dai tempi degli One Dimensional Man, rivoluzione vada di pari passo con l’involuzione, quindi a maggior ragione è stata una gratificazione la felicità con l’infelicità, in un’era di tante enorme. contraddizioni e poche certezze, siamo destinati Senza ombra di dubbio il fatto di aver avuto la ad avere fame? possibilità di collaborare con una personalità di quel Assolutamente sì, perché è proprio la peculiarità calibro, con quel carisma, ha dato tantissimo a livello dell’essere umano, quella di avere fame, è il suo JK | 19


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Se i Nadàr Solo dovessero autorecensire “Fame”, cosa direbbero? Fame è un disco figlio della volontà di voler essere più coerenti durante l’esecuzione di questi brani dal vivo, di poterli poi trasportare con più semplicità sul palco. Crediamo che la differenza coi precedenti consista proprio nella sua duplice efficacia, nel fatto cioè che nel momento in cui si passa da ascoltarlo su cd ad ascoltarlo live non si percepisce la classica “differenza”, su questo abbiamo lavorato molto. Per quanto riguarda i contenuti è senza dubbio un disco di analisi, di considerazioni sulle nostre vite che negli ultimi anni hanno subito grossi cambiamenti, perché la vita del musicista comporta ovviamente cambiamenti forti, uniti spesso ad un’altrettanto forte instabilità, che porta a vedere alcune cose sotto una luce diversa. E’ un disco di riflessione e di ponderazione, di cui siamo molto soddisfatti. [ ]

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motore. Per sopravvivere fisicamente in questo mondo devi mangiare, così come per sopravvivere a livello emotivo ti devi comunque nutrire di qualcosa, perciò quando questo non succede c’è il rischio di ammalarsi. E’ proprio questa l’idea che ha dato poi forma al disco, che all’inizio doveva essere un concept album sulle malattie psicosomatiche, sulle frustrazioni, ma che poi è diventato anche altro: Cara madre parla di ipocondria, Jack lo stupratore parla di impotenza, Ricca provincia di bulimia, tutto ciò è la matrice originale di quest’idea, del fatto che quando non si riesce ad ottenere ciò che si vuole inevitabilmente ci si ammala.

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...a toys orchestra di Francesca Vantaggiato Poco prima del concerto, tra la confusione e le spirali di fumo che riempivano il cortile della Santeria di Milano,

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gli ... ci hanno raccontato molte cose su Butterfly Effect, il loro ultimo lavoro. È stata una chiacchierata concitata e sintetica su come la vita sia fantasticamente imprevedibile, sulle tante possibilità nascoste dietro a un’esplosione di colore, e su quanto sia lontano il compromesso tra la band e la lingua italiana. Dopodiché ho preso una birra e mi sono goduta lo spettacolo.

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utterfly Effect si rifà alla teoria del caos, ok. Ma la mia curiosità è: vi è successo qualcosa in particolare - magari un episodio significativo o una catena di eventi che non vi aspettavate - che vi ha fatto pensare a questa teoria? Enzo (E): Più che altro mi sono concentrato molto su questo tipo di cose che succedono. Magari un giorno

anziché uscire sono rimasto a casa e ho scritto una canzone che è finita nel disco. Se fossi uscito magari mi sarei ubriacato e la canzone non l’avrei mai scritta! Questo per fare un esempio da chiacchiera, diciamo. Però questa roba che non riusciamo a controllare il destino e che anche piccolissime variazioni - anche l’aver deciso di fare adesso quest’intervista piuttosto che andare di là - è

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ultra affascinante che possano cambiare totalmente il corso delle vite, che poi si cambiano a vicenda. In questo momento io la sto cambiando a te e viceversa: questa roba mi ha intrippato tantissimo. Mi sono concentrato molto, mi sono focalizzato ossessivamente su questo punto da scriverci un album.

Diciamo che, al momento, stiamo su queste coordinate perché ci piace. Alla fine l’abbiamo sempre accennato, forse adesso lo abbiamo calcato di più, mettendolo più in evidenza, ma c’è sempre stato. Soprattutto nei live, avevamo fatto delle sorte di improvvisazioni, dei medley molto più danzerecci e incentrati sui sintetizzatori. A questo giro, Quindi gli ...A Toys Orchestra tendenzialmente invece, abbiamo calcato la mano di più anche sulle fanno progetti o si lasciate andare al destino? composizioni. E: No, progettare è troppo complicato. Più che altro, cerco di darmi delle tracce guida. Anche se oggi ti Voi siete sempre stati molto oltre confine, dicessi che il disco parla del Butterfly Effect, ti sfido a guardando sempre all’estero. Questa volta siete dirmi che nei testi parla di questo. andati addirittura a Berlino per registrare. Perché Io cerco di avere una linea guida, un filo conduttore per avete scelto Berlino e proprio il Vox-Ton Studio? poi prendere le mie divagazioni, le mie ramificazioni, E: Lo abbiamo scelto per una serie di motivi, le famose variazioni sul tema. Non riesco a esser principalmente perché Jeremy Glover, il produttore che focalizzato su un unico punto. È il nmio modo di scrivere avevamo scelto, era di stanza a Berlino. i testi, ma anche nella musica è così: magari partiamo Avevamo anche degli ottimi contatti con questo studio da un’idea, ma poi inevitabilmente ci muoviamo in altre fighissimo e poi c’era anche la volontà, da parte direzioni. nostra, di staccarci un secondo dal nostro stagno che ci protegge sempre, che è quello dell’Italia, per Ma quindi le tracce dell’album come si ricollegano provare a percepire delle vibrazioni differenti. Poi al tema? C’è un collegamento o, come dici tu, ci Berlino è una città che si presenta da sola, è vibrante, sfidi a trovare il concetto del Butterfly Effect nelle ti fa captare la sua presenza. canzoni? Noi abbiamo cercato di fare una struttura all’apparenza Ma c’eravate già stati? ordinata, quindi sezioni ritmiche più inquadrate, E: No! Fin a quel momento eravamo stati in tutta la più calzanti, meno accordi e con delle stratificazioni Germania, tranne che a Berlino! sonore che generano una sorta di caos, a modo loro. E come è stato passare da un’autoproduzione ad La mia canzone preferita del disco è Fall to una produzione artistica? restart, e mi piace molto anche Come on, get E: Non è stata una cosa assolutamente nuova perché out! perché l’inizio mi ricorda un gruppo che in passato lo avevamo già fatto con Dustin O’Halloran amo particolarmente, cioè gli Hillstomp. Mi (ndr: produttore del disco Technicolor Dreams, 2007), sono chiesta se magari li avevate ascoltati, se vi che tra l’altro abbiamo incontrato anche a Berlino, avevano potuto influenzare... visto che lui abita lì. E: No, non li conosco. Ti dico la verità, quando sono È diverso lavorare con un produttore, ma secondo me nella fase di scrittura di un disco ascolto pochissima non stravolge del tutto il quadro. Quello dipende anche musica perché sono saturo. Magari passo giornate dalla persona a cui ci si affida. Noi ci siamo affidati intere a provare e l’ultima cosa di cui ho voglia in a una persona che aveva la sensibilità giusta per serata è di mettere altra musica. mettere in evidenza alcuni aspetti nostri, quindi essere Magari passa un anno intero in cui ascolto poco, con un’ottica leggermente distaccata, meno coinvolta pochissimo. Ora sto ricominciando ad ascoltare cose rispetto alla nostra, per certi versi più fredda, ma un e a comprare dischi perché il disco è fatto! freddo che poi è asservito alla passione. Ha avuto un approccio da musicista, un coinvolgimento In questo disco avete usato molto il sintetizzatore tale da vivere le nostre stesse ansie. e la drum machine ed è anche abbastanza dance. State forse cambiando rotta virando verso Mettere nelle mani di un altro il vostro progetto l’elettronica? non vi ha limitato? Non ci sono stati conflitti su E: Non stiamo decidendo di cambiare rotta, perché alcune scelte sonore, ad esempio? non abbiamo mai preso una decisione definitiva. E: Mai. Questo non è successo mai, anzi. Lui era JK | 22


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Noi di Just Kids, appena dopo Sanremo e in questo stesso luogo, abbiamo intervistato The Niro, un altro artista che ha sempre cantato in inglese, ma che poi ha fatto un album in italiano. Voi che ne pensate? E: Noi non ci pensiamo proprio, non ci interessa minimamente, perché non ne vedo il motivo. Fossimo stati una band agli inizi che fa il primo disco in inglese e non se li caga nessuno e fa il secondo e continua a non cagarseli nessuno... Ma adesso abbiamo una dozzina di anni di storia e ce la siamo creata in questo modo, non vedo il motivo per cui dover cercare un compromesso che suonerebbe male, un compromesso che suonerebbe sospetto, sarebbe probabilmente una furbata. Poi sai, parlavamo di imprevisto, può succedere qualunque cosa, però non sarà mai una scelta forzata o funzionale a chissà quale paraculata. Qualcosa che se viene, viene. Per adesso non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello.

propria sceneggiatura, per dare spazio al colore, quindi cercare un soggetto forte che si prestasse a farsi inondare dal colore. Io, a questo giro, ho voluto che non ci fosse un colore portante, ma che ci fossero quasi tutti i colori, perché tanti colori ti danno più chances, ti inglobano meno in qualcosa. Se il disco fosse stato soltanto nero, probabilmente avrebbe dato un unico tipo di sensazione alla vista. Il volere l’esplosione di colori è il voler creare il caos. Il soggetto del video, Lorenzo Buzzigoli , come l’avete convinto? Immagino siate amici... E: Lui secondo me è stata la ciliegina sulla torta! Siamo amici, ma anche questo è successo per caso. Al momento di cercare l’attore, stavamo vagliando alcuni attori professionisti, poi mi sono trovato per caso a pensare a lui. Ero su Facebook, l’ho visto e ho pensato: è lui! Per cui l’abbiamo chiamato e lui, carinissimo, si è prestato subito e si è fatto buttare addosso di tutto. Peraltro Lorenzo non è soltanto un amico, è praticamente uno dei personaggi della musica indipendente italiana: è un promoter, è un fonico, è il gestore di un locale. Qual è l’ultimo concerto a cui sei stato? E: Non me lo ricordo! Ed è recente, è quello il bello. Ti dico però l’ultimo concerto che mi è rimasto impresso: quello di Trentemøller all’Estragon di Bologna. [ ]

Parliamo della grafica del disco. Nella copertina c’è un lupo, ci sono gli uccelli, ma dove sono le farfalle? E: Ci sono, ma sono molte nascoste! La copertina l’ha fatta Roberto Amoroso, un artista delle nostre parti, campano ma che vive qui. Il motivo per cui non abbiamo messo principalmente delle farfalle è perché io volevo che ricordasse una macchia di Rochard sai quella degli psichiatri - che, essendo speculare, ricorda una farfalla. È vero anche che nelle macchie di Rochard ognuno ci vede quello che vuole! Quindi, ognuno nel disco ci vede quello che gli pare? Certo, ci si può psicanalizzare da soli guardando il disco! Nella grafica dell’album ci sono tanti colori, come nel videoclip del primo singolo Always I’m wrong. Come è nato il video? E: L’idea è stata quella di non creare una vera e JK | 23

ORCHESTRA

sempre molto preoccupato di cercare di far venire fuori il nostro aspetto più peculiare, quindi sempre attento ad enfatizzarci piuttosto che mettere la sua personalità avanti. Questo ha comportato da parte sua un lavoro di spessore, faticoso anche: spesso era distrutto! È un disco quasi fatto da sei componenti, perché lui l’ha vissuto come tale.

... A TOYS


[Musica] INTERviste

STEFANO MARELLI

avvia il suo progetto cantautorale diversi anni fa ma entra in studio di registrazione solo nel 2012 con Orange Home Records. Nel mezzo, l’esperienza decennale dei Finisterre, il mestiere abbandonato di architetto, la viticoltura, l’amore e i figli. A novembre 2013 esce “Facile o felice”, un album di sedimentazione, “fotografia di un momento del percorso artistico”. L’album propone 12 pezzi diversi l’uno dall’altro, che fondono strumenti e sonorità variegatissime. Le canzoni colpiscono per la serietà e leggerezza dei testi ma anche per la cura meticolosa dei suoni e degli arrangiamenti.

stefano marelli di Federica Ivaldi| ph Stefania Schubeyr

L

e prime domande a Stefano Marelli sono banali, ma d’obbligo: come ti sei sentito dopo le nomination al Premio Tenco sia per la Sezione Opera Prima, sia per la Canzone Singola con “Immobile”? Cosa ti aspettavi? Come mi sono sentito... beh, le prime sensazioni sono state euforia e riconoscenza, per chi ha seguito il mio lavoro, ma anche “riconoscenza per un riconoscimento”: quando un apprezzamento viene da persone che non conoscono te e la tua storia, ma sentono solo quello che si è depositato sul disco, arriva anche la soddisfazione. Quindi cosa mi aspettavo? Di fare man bassa di premi (ride! ndr). No, realisticamente niente. Mi ha colpito soprattutto la candidatura per “Immobile”: trovare il proprio nome vicino a dei mostri sacri come Battiato,

Finardi, Vecchioni ... Eh! – ammicca: lo puoi scrivere un “eh” ben soddisfatto? – non è cosa di tutti i giorni. Tocchiamo subito un argomento doloroso: come se la cava un cantautore nella cosiddetta“industria musicale” italiana? Beh, l’industria musicale si sta lentamente suicidando, in Italia e nel mondo. Dunque il punto non è come cavarsela con lei, ma come inventarsi un modo per far arrivare la musica alla gente ignorando un apparato che quasi non esiste più; esiste qualche major internazionale e un movimento indipendente sempre più polverizzato; manca la fascia media e medio alta, che ha fatto grandi alcuni fenomeni del passato; penso ai Genesis dei primi anni ‘70, emersi con la Charisma Label, un’etichetta discografica medio-piccola.

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[Musica] INTERviste

Per quanto mi riguarda, io credo molto nelle etichette già intuito che la cosa gli piaceva, ma solo dopo ha veramente indipendenti. deciso di investire: se chi lavora con te crede in quello che fai, è una bella spinta. Quanto il lungo percorso di sedimentazione che ha portato al disco ha a che fare con il titolo Il risultato è questo bell’album, qual è la ricetta? “Facile o felice”? Qual è la giusta dose fra testo e musica, fra Beh, il titolo dell’album è sicuramente legato al mio scrittura e interpretazione, fra elaborazione e percorso di vita, ma tanti ci si possono riconoscere. registrazione, fra autonomia e collaborazione? Tutti abbiamo sperimentato cosa vuole dire fare Bellissima domanda. Grazie (ride e si gratta la testa, una scelta e sappiamo che puntualmente comporta ndr). La prossima? Non vorrai mica chiedermi se rinunce. A volte sono propedeutiche a qualcosa di scrivo prima il testo o prima la musica? meglio, ma c’è sempre una componente di rischio e di scommessa, quel rischio che ci tiene lontani dalla No, io non te l’ho chiesto, voglio solo sapere facilità ma ci fa muovere alla ricerca della felicità. Io di come li gestisci, in mezzo a tutto il resto. Da che strade ne ho aperte tante, con la laurea in architettura parte si comincia? e il conseguente lavoro, ma altre erano già aperte in (Ride, pensa, scuote la testa, ndr). Cominciamo dal simultanea: cantavo già da ragazzino. fondo con una premessa. Io non amo ricevere consigli; La mia prima esibizione pubblica, è stata su un palco è un eufemismo: soprattutto se non richiesti, i consigli pomeridiano, alla Festa Provinciale dell’Unità di mi fanno proprio incazzare. Se poi li chiedo sono Genova, ancora imberbe, con una chitarra 12 corde disponibile a riceverli, ma nessuno deve dirmi “secondo in prestito, un’armonica a bocca e una filodiffusione me”. Allora – e veniamo al problema “autonomia e in tutti gli stand di cui ero ignaro. Fra quella festa collaborazione” – che succede in ambito musicale? dell’unità e questo album c’è tutto il resto. C’è interazione; prima di tutto, necessariamente, fra il In parallelo al percorso di aspirante cantautore, c’è singolo e chi lo sta a sentire; poi con gli altri musicisti, stata l’esperienza coi Finisterre, con cui ho combinato con chi registra, coi fonici di palco, con le persone con diverse cose belle: quattro album in studio, concerti cui anche solo per due ore si condivide uno spazio in Italia, tour negli Stati Uniti e in Messico, festival espressivo. internazionali. Con loro ho assaggiato qualcosa Io ho avuto la fortuna di circondarmi di persone molto che sicuramente non avrei sperimentato se avessi brave, non virtuosi fini a se stessi, ma artisti capaci percorso esclusivamente la strada del cantautorato. di comunicare, sorridere, partecipare alla costruzione Poi, dopo quasi 15 anni di matrimonio a cinque, anche di quel che stai dicendo. Anche quando non vedo la se con cambiamenti di formazione, sono emerse sezione ritmica che suona dietro di me mi piace sentire le personalità e le urgenze espressive dei singoli in che posso appoggiare la mia voce e la mia chitarra su modo sempre più prepotente; così, dopo il bassista una base ritmica solida. e il pianista è venuto anche per me il momento di Poi c’è il rapporto coi fuori classe, i solisti, meravigliosi percorrere strade differenti. ma da gestire. Io volevo mantenere la mia centralità Avevo voglia di raccontare altre cose che non potevano m contemporaneamente ho potuto e voluto scegliere stare in quel gruppo, avevo bisogno di lavorare alle dei fuori classe: Eros Cristiani al pianoforte, che suona mie cose. Così ho iniziato a bazzicare palchi e concorsi con gente come Pagani o Vecchioni; Raffaele Kohler rivolti ai cantautori e mi sono ritrovato di nuovo in giro alla tromba, un fenomeno dalla personalità forte; gli finché, tramite amici di amici di amici, come accade nel Gnu Quartet coi loro archi, altri pezzi da novanta; il mondo musicale, ho conosciuto il futuro produttore grandissimo Mario Arcari all’oboe, un gigante umile. dell’album. Il rapporto con loro non deve essere un braccio di Potresti trovartici bene, mi avevano detto, e ci avevano ferro ma un gioco di interazione: chi porta il carretto azzeccato.Con Raffaele ho lavorato bene. e il nome, in questo caso io, preserva i propri spazi Ci siamo accorti strada facendo che il lavoro di espressione ma allo stesso tempo lascia agli altri funzionava. Tant’è che l’idea della coproduzione è i loro, altrimenti non vale la pena scegliere artisti nata in corso d’opera. Siamo partiti, come in tante tanto bravi! È un gioco di equilibri che mi sta facendo autoproduzioni, col titolare dello studio, in questo crescere tantissimo, come allenarsi a tennis con un anche titolare dell’etichetta, che dice “hai qualche professionista. soldino da parte? Iniziamo e vediamo”. In realtà aveva Al momento le mie collaborazioni si limitano al JK | 25


[Musica] INTERviste

momento dell’esecuzione e, in qualche caso sporadico, all’arrangiamento. Nella scrittura invece non ho mai sperimentato… non lo escludo ma non è capitato. Testi e musiche son sempre state mie.

arrangiati di tutto punto, col loro bel vestitino nuovo. Magari li abbiamo registrati alla fine, quando l’impianto generale del lavoro era ormai chiaro. Abbiamo registrato un po’ alla vecchia maniera, con i musicisti che suonavano il più possibile assieme: per prima cosa abbiamo inciso l’ossatura dei brani, chitarra, basso e batteria. Alcune cose sono state ovviamente poi ritoccate, ma l’ossatura era già tutta lì. Poi abbiamo aggiunto piano, voce e altri strumenti. Con l’amalgama che si è creato durante le registrazioni siamo arrivati ad avere un suono di gruppo, coerente e naturale, così anche i pezzi che erano appena abbozzati suonano alla fine come il resto. Da quando scrivo a quando registro, voglio avere il controllo di tutto. Volevo che il disco suonasse in un certo modo e ci sono riuscito; non sarebbe stato possibile – se non con budget ben più alti o con tempi non limitati – senza l’aiuto e la pignoleria di Raffaele Abbate, produttore ma anche tecnico del suono. Ora ricordami: qual era l’ultima coppia?

Ecco, veniamo alla scrittura e al rapporto fra testi e musiche? Testi e musiche “arrivano”. Io ho una testa da arrangiatore: mi capita di immaginare un brano, mai scritto né suonato, e di sentirlo nella mia testa con tutti gli strumenti e le parti. Ci sono stati un paio di episodi che definirei quasi delle “illuminazioni” in cui è arrivato tutto assieme, anche quando non dovrebbe succedere, ad esempio alla guida. Una mattina all’alba, in Sardegna su una strada deserta, mi sono trovato a rallentare, smettere di guidare, afferrare il taccuino, metterlo sul voltante e iniziare a scrivere quella che poi è diventata “Sull’Etere”: strofe, ritornello, armonia, tutto. Altre volte il lavoro è molto più faticoso. Ho una pila di taccuini su cui ho appuntato frammenti di testo, frasi, porzioni di melodia che poi un giorno, forse, scopro Scrittura e interpretazione. che stanno assieme. Non mi è successo praticamente Eh, l’interpretazione: mi sto scoprendo cantante col mai di scrivere una musica e poi di incastrarci un testo. tempo. Cantare è la cosa più simile al girare nudi per strada che mi venga in mente, soprattutto se, per scelta E il contrario? di registrazione, la voce non è artefatta e soprattutto Il contrario sì: mi è capitato di avere un testo e trovargli se non hai alle spalle studi di canto e formazione un abito. Mi viene più facile ritrovare la musicalità nelle tecnica. È veramente mettersi a nudo. Mi piace, anche parole e da lì partire per costruire un brano. Così alla se mi fa paura. La strada per l’interpretazione è lunga. fine la domanda se viene prima il testo o la musica me la sono fatta da solo... Quali erano le altre coppie? Cambiamo completamente discorso. Quali sono i tuoi modelli? Portatene tre su un’isola deserta. Scrittura e registrazione. Parliamo di dischi o di artisti? Qui entra in ballo la tecnologia, che cambia nel tempo. Come insegna la storia dell’arte, a strumento Parliamo di quello che tu intendi per modelli... corrisponde diversa forma espressiva. Si sono diffusi Ok, allora tre persone. Mi porto Fossati per la scrittura dei meravigliosi registratori digitali che sono diventati perfetta (ha scritto benissimo e per chiunque oltre taccuini di appunti, per cui adesso so che se ce l’ho a che per se stesso), per il bel matrimonio fra rock e disposizione, se le pile sono cariche e l’alimentatore è canzone d’autore, penso soprattutto ai primi dischi, e a portata di mano, faccio molto prima ad accenderlo per la capacità di essere raffinato, colto e popolare e a fissare l’idea registrando. Tante volte già nei miei insieme. Questa fra l’altro è una qualità che ritrovo appunti digitali ci sono degli arrangiamenti, magari anche nei Beatles, nel periodo che preferisco, fra sovraincisi con quello che avevo in casa, chitarre, Revolver e Sgt. Pepper’s. piano elettrico, cori. Per questo album, sono arrivato Mi porto i Beatles perché questi signori oltre alle in studio con le idee già molto chiare. armonie vocali che amo alla follia hanno veramente Era come se in casa avessi fatto una brutta copia che inventato la musica moderna. consentisse di trasmettere ai musicisti cosa volevo E poi mi porto Jeff Buckley: perché “Grace” è stato ottenere, con ampi margini di miglioramento. Ci sono uno degli ultimi album che mi hanno dato davvero la stati però due o tre brani (non rivelerò quali perché scossa e perché in lui sento il canto dell’anima senza spero che l’album risulti omogeneo) che sono arrivati filtri e con una padronanza tecnica difficile da trovare. in studio con chitarra, voce e poco più e sono poi usciti Mi piace anche il suo essere sia uomo che donna; JK | 26


[Musica] INTERviste

Torniamo al tuo lavoro. L’album si apre con “Lento lento” e si chiude con “Immobile”, (la canzone in nomination al Tenco). Sono due pezzi musicalmente diversi (uno pop, l’altro più cantautorale) eppure mi pare ugualmente autobiografici e tematicamente legati: “Lento lento” incita ad una vita slow,”Immobile” elogia l’immobilità, quasi fosse un esercizio di equilibrio e resistenza al “mondo in transito”. Sbaglio o dall’insieme delle due si ricavano una poetica e una filosofia di vita? I due brani non sono collegati nella genesi, non c’era una volontà di scrivere una storia in due puntate. Indubbiamente però c’è stata attenzione nella costruzione della scaletta finale dell’album, che ha portato ad aprire e chiudere con questi due pezzi, dandogli rilievo, anche se in mezzo succede di tutto (non si resta lenti lenti e immobili per tutto il disco!). Lo spirito delle due canzoni è profondamente diverso, ma dentro c’è una filosofia comune, un’etica della lentezza, se la possiamo definire così. Riconosco alla lentezza una capacità di collegamento con la profondità. Come attraversare un paesaggio in bicicletta o in automobile: la percezione è molto diversa. È bello anche in automobile, infatti a volte (anche nel disco) corro, ma la lentezza permette di assaporare di più. Per immobilità invece intendo quella raggiunta con un grande lavoro su di sé: non un’immobilità naturale, ma quella del mimo che cerca di diventare sasso o tronco d’albero e si esercita a non muovere nessun muscolo per il maggior tempo possibile. Il risultato è percepire il movimento di tutto quello che c’è intorno. È un’immobilità anche metaforica, non c’è bisogno di stare veramente fermi per essere immobili.

canzone? Dopo una vita da cittadino, da 8 anni vivo in campagna, in contatto molto stretto con i ritmi della natura e delle stagioni; è come se da allora una certa sensibilità fosse cambiata e si fosse acuita e paradossalmente, anche quando torno in città, sono più sveglio. Questa canzone è nata durante un giro a Genova, in via San Lorenzo, quando ho visto un mimo, uno più bravo degli altri. Io ho una passione letteraria per Jodorowsky che racconta di essere stato allievo di mimo e di pantomima di Étienne Decroux. Mi affascina l’idea di tendere ad una percezione totale del proprio corpo, sapere cosa succede al mignolo del piede sinistro o come sta il cuoio capelluto... vedendo quel mimo a Genova ho avuto una sorta di visione dell’immobilità intesa non come assenza di movimento ma, viceversa, come enorme attività interiore, come il nucleo di una bomba atomica un attimo prima dell’esplosione: una grandissima energia compressa mentre di fuori non si vede niente. Anche io a volte mi sento un po’ così. Questo è quello che ho cercato di descrivere e raccontare nella canzone che è entrata in nomination per le targhe Tenco. Perché credi che sia stata scelta proprio questa canzone? L’hanno scelta perché è bellissima – sorride: no, dai non lo scrivere – l’hanno scelta perché, in un’improbabile scala di nudità, è la più essenziale dell’album: l’arrangiamento è ridotto all’osso ed è quella che più mi svela, credo che si senta dalla voce, magari imperfetta ma totalmente sincera. Mi sono giocato tutto e forse si sente. C’è altro che vorresti ti chiedessi? Il nuovo disco. Ah, ottimo! parlami del nuovo disco. Non c’è ancora – ride – ma ce l’ho tutto qui – indica la fronte.

marelli

non sto parlando di orientamento sessuale ma di personalità artistica. C’è un verso di Ottocento in cui De André elenca “maschi femmine e cantanti” come se fossero tre distinte categorie. Ecco, la musica di Buckley contiene elementi di virilità e femminilità assieme, non solo per via del falsetto estremo, e lo mette al di sopra delle altre due categorie.

Cosa cambierà? Il processo. “Facile o felice” era un disco di Infatti nel finale del testo ammicchi all’intervallo sedimentazione, questo sarà diverso. Sarà un bella tonica-sensibile; un’allusione geniale ed ironica, esperienza scrivere a caldo e buttare subito giù. [ ] perché la sensibile è per sua natura un grado instabile e umorale, che richiede movimento stefano e risoluzione. Sembra che tu godessi proprio di quell’attimo di sospensione del tempo e di immobilità precaria. È vero? Come è nata questa JK | 27


[Musica] INTERviste

DiLAILa di Andrea Barbaglia Se c’è una band di cui ancora si parla troppo poco rispetto all’enorme potenziale che ha è senz’altro quella dei

Dilaila

. In una continua rincorsa all’intervista durata tutta una estate ecco finalmente un po’ di utili pensieri e soggettive che la loquacissima Paola Colombo ha voluto mettere nero su bianco e condividere. L’uscita dell’ottimo Tutorial, quarto cd di una carriera lunga oltre tre lustri, è chiaramente il pretesto per fare il punto della situazione. Del resto, dopo tutto il seminato, ora è tempo di raccolto.

I

nnanzitutto una domanda facile facile. Spiegaci un po’ il titolo del nuovo album. Perché “Tutorial”? In un’epoca dove sembra sia sempre necessario un contributo dal web anche per l’esecuzione di elementari attività manuali i Dilaila si accodano a questa “moda” virale dell’aiutino indiscriminato oppure, illuminati da sarcasmo e intelligenza, ironizzano sulle sue derive che spesso rasentano il ridicolo? Hai colto lo spirito umoristico che ha dato vita a questo titolo. Oggi i tutorial sul web danno consigli sui temi più disparati, dalle piccole attività quotidiane

ai massimi sistemi. E allora abbiamo immaginato di portare alle estreme conseguenze questa tendenza come se le canzoni dell’album fossero dei tutorial “impossibili” che spiegano il senso della vita, del dolore, dell’amore, della crisi e di tutti gli altri nodi fondamentali dell’esistenza. Ovviamente nessuno di noi è realmente in grado di insegnare agli altri come si vive e un titolo del genere è da interpretarsi col massimo dell’autoironia e del senso del paradosso possibili. Da un punto di vista prettamente estetico trovo interessante il contrasto che si crea fra una parola

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[Musica] INTERviste

quello in cui ho dato meno in termini compositivi. Ho trascorso anni difficili, convulsi, spesso dolorosi. In alcuni momenti ho vissuto letteralmente ai limiti della follia. Perciò è stata una benedizione avere dei compagni di avventura come quelli che ho. Claudio Cicolin e Luca Bossi oltre che degli ottimi, ispirati e talentuosi musicisti e songwriters, sono gli amici di una vita e hanno saputo trasformare in poesia la prosa delle lunghe sessioni di brainstorming in cui vomitavo loro addosso tutte le mie angosce e le fatiche della risalita. Per questo, mentre in Ellepì molti brani portano la mia firma, in Tutorial ho fatto un passo indietro e mi sono limitata ad intervenire in alcuni passaggi e... a vivere ciò di cui si stava scrivendo. Ho cercato di usare la vibrazione particolare che il coinvolgimento emotivo dava alla mia voce per portare a un livello più “alto” quelle piccole parole che stanno dentro ai discorsi di tutti i giorni. Spero di esserci riuscita.

così tanto legata al mondo tecnologico e l’immaginario genuino che abbiamo voluto evocare con le canzoni e col booklet. Proprio nei testi proposti credo risieda l’arma in più che vi caratterizza da sempre: pur utilizzando un lessico di uso estremamente comune non risultano mai convenzionali o scontati come potrebbe sembrare ad un ascolto superficiale. Qual è il vissuto da cui attingi ispirazione? Quale, nello specifico, quello finito nel nuovo album? La cosa buffa, paradossale se vogliamo, è che Tutorial è il disco che parla maggiormente di me pur essendo

Dopo quattro cd, due ep e decine di concerti è evasione in una mitica Arcadia sonora il tuffo negli anni ‘60 che contraddistingue il vostro percorso musicale? In realtà è una tendenza che riguarda solo gli ultimi due dischi, Ellepì e Tutorial. Siamo anagraficamente e musicalmente cresciuiti negli anni Novanta e questo ha avuto un peso non indifferente nella nostra produzione fino a prima di Ellepì - ascoltare per credere. Invece il gusto per il suono genuino degli strumenti cablati e suonati c’è sempre stato. E’ più una questione di approccio alla musica che una riproduzione di suoni già sentiti. Poi in qualche modo ci siamo ricongiunti alle radici profonde della nostra formazione musicale, quelle dei genitori, degli zii, della tradizione italiana ed anglosassone. Credo ci sia qualcosa di atavico in tutto ciò. Di certo non si tratta dell’adesione a una moda. Piuttosto penso che la scelta del suono di un disco debba avere anche un valore semantico e rispondere in maniera funzionale alla sua estetica: lo spirito di rinascita delle canzoni di Tutorial non poteva che essere espresso con sonorità genuine e non filtrate. Proprio il fatto di essere giunti nel 2014 al quarto album pur non essendo una band sotto i riflettori del music business significa a mio avviso due cose: caparbietà e lungimiranza. Caparbietà vostra nel procedere con qualcosa in cui si crede fermamente e lungimiranza da parte di chi ha

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[Musica] INTERviste

saputo riporre fiducia in voi. Allora non è vero che tutta la discografia di oggi è usa e getta?! Purtroppo non riesco come te a vedere il bicchiere mezzo pieno: il fatto che dopo quattro dischi e 16 anni di carriera non siamo ancora emersi quanto avremmo voluto è per me il sintomo che qualcosa è andato storto. Forti di un’amicizia ventennale siamo rimasti uniti e nelle scelte artistiche e stilistiche siamo andati diritti per la nostra strada, cercando non di cavalcare le mode, ma rispondere piuttosto alle nostre esigenze espressive, sperando di volta in volta di incontrare il gusto altrui. Questo ci ha permesso di durare, ma non di avere grossi exploit. Non è mio il compito (né sono nella posizione per farlo) di giudicare se la qualità della nostra proposta musicale meriti più di quanto ottenuto finora. Però sono certa che la nostra riluttanza ad aderire necessariamente e pedissequamente a una qualche “scena” abbia avuto un discreto peso. Spesso, come nel mondo animale, avere un branco attorno aiuta l’individuo a sentirsi più forte e protetto. Insomma: l’ambiente conta. Noi abbiamo editato quattro dischi con quattro etichette discografiche differenti: ogni volta è stato come ricominciare da capo, sia nel bene, perché è come avere sempre lo stimolo e l’entusiasmo del debutto, sia nel male, perché sentirsi eterni debuttanti e sentirsi trattati come tali alla lunga è frustrante. Vi sentite collocabili in quello spiraglio tra musica “indipendente” e musica popolare, territorio di confine quindi tra oblio e massima esposizione?

Certamente. E lo sento insieme come il nostro miglior pregio e il nostro peggior difetto. Non sono così convinta che “indipendente” debba per forza significare “di nicchia”, “per pochi”. La sola distinzione che davvero riconosco fra quei due mondi è legata ai mezzi che hanno a disposizione per raggiungere un pubblico più o meno vasto, non certo alle scelte artistiche più o meno ammicanti. Soprattutto negli ultimi anni, però, l’equazione “più mezzi = più pubblico” non funziona efficacemente come una volta. Ogni giorno ci sono esempi lampanti di investimenti colossali che finiscono per dimostrarsi flop clamorosi. O al contrario piccole realtà che improvvisamente diventano fenomeni di massa. Le carte si sono irrimediabilmente mescolate. Spesso, noi Dilaila, ci sentiamo porre la fatidica domanda “A Sanremo quando ci andate?”, accompagnata non di rado da commenti su quanto quella manifestazione potrebbe tornare ad essere di qualità se le direzioni artistiche attingessero maggiormente dalla scena indipendente. La cosa mi lusinga, ovviamente. E mi dà la dimostrazione che pur appartenendo ad un circuito discografico “minore” una band possa comunque scrivere canzoni che la gente riconosce come potenziali successi. L’importante è non appiattirsi sugli stereotipi: “indipendente” non è nemmeno necessariamente sinonimo di “qualitativamente alto”. Sotto l’egida di questo vero e proprio brand chiamato “indie” sono state fatte sia cose meravigliose che schifezze inenarrabili. Se una grande esposizione al pubblico significa portargli cose di qualità, allora evviva la popolarità. A tuo avviso un disco può rappresentare alla perfezione un musicista? Tutorial è in grado di rappresentare in toto i Dilaila di oggi, ma anche quelli di ieri e di domani? No, credo sarebbe disumano. La musica e più in generale l’arte sono espressioni dell’anima. E l’animo umano è quanto di più volubile e in continua trasformazione io conosca. Un disco non può che fotografare un momento di quel tortuoso percorso. Credo sia anche il dovere di un musicista dirti “Ehi questo sono io adesso, per come sento la musica ora, per il suono di chitarra che mi piace in questo periodo, per come mi sono alzato stamattina”, renderti partecipe dei suoi cambiamenti. Che noia sarebbe altrimenti. Chi è davvero sicuro del proprio stile e della propria personale poetica non ha paura dei cambiamenti, di lasciare spazio

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[Musica] INTERviste

E allora ti domando: cosa vorrebbero esplorare i Dilaila e, di riflesso, ovviamente tu, Paola Colombo, nell’immediato futuro? Intanto, visto che siamo ancora nel pieno della fase promozionale di Tutorial, ci piace sperimentare un po’ con la comunicazione. Oggi il web sa essere più obsoleto di “TV Sorrisi e Canzoni”, quando ci si mette. Perché in un posto dove c’è tutto fisiologicamente ci trovi anche il nulla. E magari il vecchio e l’inutile. Credo il segreto stia nel saper sfruttare le potenzialità ancora nascoste della rete in modo creativo e funzionale all’espressione di un’urgenza. Un po’ come quando ci dicono che usiamo solo una minuscola parte del nostro cervello, capisci? È un peccato. Poi è vero che se non hai un’identità artistica, se non hai le canzoni, tutto questo non serve a un cazzo. Alle sessioni di registrazione di Tutorial siamo arrivati con una ventina di canzoni, tutte ugualmente valide secondo me. Quelle rimaste (fisiologicamente) fuori da questo disco saranno la base da cui partire per il prossimo. Il resto verrà da sé, con l’ispirazione del momento, con la vita che vorrà farsi raccontare dalle canzoni. Di certo sarà ancora una volta un disco diverso dal precedente: non so ancora quale potrebbe essere la direzione artistica che prenderemo ma trovo imprescindibile l’idea del cambiamento, della crescita continua. Questo vale anche per me in senso individuale. Mi sto misurando coi miei limiti con lo scopo di abbatterli. Sento che la mia voce ha ancora uno spettro inesplorato di possibilità. Adesso che la riconosco, sento che vorrei liberarla, farla tornare primitiva, scioglierle le briglie. Trasformarla in una finestra attraverso la quale si veda il magma che ho dentro. I cantanti che più amo lo fanno, ti fanno sporgere sul loro abisso. Negli ultimi due anni ho ricevuto diverse richieste di collaborazione da parte di bravi musicisti. I Cosi, Non

Voglio Che Clara, Norman, per citare coloro con i quali ho effettivamente cantato in studio. Questi attestati di stima mi lusingano molto, mi fanno pensare che forse in tanti anni qualcosa di buono ho costruito. Adesso sto lavorando a un mio disco solista con Walter Somà, co-autore delle canzoni di Edda. Walter è uno che fa succedere le cose. L’incontro con lui è stato tanto fortuito quanto fortunato: ha innescato i meccanismi che hanno portato all’uscita di Tutorial e mi ha riavvicinato alla scrittura e alla creatività quando per me sembravano di nuovo lontane. In più, e non è poco, ho trovato un buon amico. C’è uno scambio artistico importante, al di là delle ovvie contaminazioni prettamente musicali: io mi porto dietro un immaginario “pulito” ma nascondo degli inferni, lui un immaginario “sporco” ma ha un’anima pura, più pura della mia. Gli ho chiesto di aiutarmi a far emergere quegli abissi che per pudore e pigrizia non ho ancora lasciato venire a galla. A mia volta cerco di dare una voce alla sua purezza. Ne stanno uscendo delle canzoni sospese fra terra e cielo, sono molto orgogliosa. Tra le collaborazioni passate, una in particolare mi ha colpito. Qual è stato il vostro contributo all’interno di LOVES YOU MORE il tributo a Elliot Smith uscito lo scorso inverno per Niegazowana? Sembrerà bizzarro, ma in realtà è stata quella compilation a dare un contributo bellissimo ai Dilaila! Ti spiego: il primo contatto con Niegazowana, la nostra attuale etichetta che a maggio ha dato alle stampe Tutorial, è avvenuto proprio mentre registravamo la nostra versione di Little One nello studio di Davide Lasala, ideatore e curatore di questo omaggio. Spesso questi progetti collettivi creano territori fertili di collaborazione e credo questo sia un esempio lampante del tipo di fenomeno. Prima di Loves You More conoscevamo Elliott Smith, ma non così approfonditamente. Ci piaceva in quanto beatlesiano come noi. Abbiamo approcciato la cover con l’intento di contaminarla il più possibile col nostro stile ed è stato bello sentire che ogni musicista coinvolto ha fatto lo stesso. Credo che ognuno di noi, mettendoci una parte di sé, abbia capito qualcosa in più su questo artista tanto sensibile quanto, a tratti, oscuro. [ ]

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all’affascinante dimensione del dubbio – che spesso rende anche più interessanti le sue opere. Troppo spesso assisto allo scempio che certi mostri sacri fanno della loro arte cercando perennemente il disco che li possa “rappresentare alla perfezione”... il risultato il più delle volte è una serie di fotocopie in bianco e nero. Tutorial è secondo me il nostro disco più riuscito, quello in cui siamo più consapevoli. E personalmente, per la prima volta, mi sono sentita davvero padrona della mia voce. Ma non escludo nuove svolte, nuovi cambiamenti. Anzi, li auspico.

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[Musica] INTERviste

Davide Tosco vs Mario Conte SMILE :-) è docudrama nato con l’intento di rappresentare l’universo giovanile contemporaneo prestando particolare attenzione ai snaturare se stessi ma puo’ aiutare ad essere un po’ fenomeni di dipendenza e più consapevoli. consumi ricreativi. Il regista Credo che anche per te l’esperienza fatta in America abbia significato un cambio di prospettiva abbastanza compie radicale. una riflessione lucida sulle motivazioni, i rituali e i Davide. Quando ho cominciato a parlarti del contesti che definiscono i progetto per me era chiaro che si sarebbe comportamenti delle giovani trattato di una collaborazione creativa, trovo generazioni. molto interessante la sovrapposizione dei ruoli SMILE :-) è stato scritto e diretto dallo stesso Tosco, che in una dimensione forse più vicina a certe si è avvalso del contributo del modalità produttive in ambito musicale. Quanto è normale questo negli ambito dove lavori produttore e sound designer (pubblicità, discografia) e cosa pensi di questo . approccio legato ad una produzione televisiva/ il regista e il musicista crossmediale? partenopeo si raccontano in Mario. Non solo nel caso di Smile, ma in tutte le questa intervista incrociata. occasioni in cui ho collaborato con te, ho subito notato un approccio alla scrittura, regia o art-direction, ario. Una biografia ricca di spostamenti e sorprendentemente diverso dallo standard. L’aspetto attività in vari paesi la tua, quanto conta sonoro di una produzione è sempre tenuto in grande considerazione. Addirittura il confine tra le due nel tuo modo di lavorare? Davide. Beh sicuramente aver vissuto e lavorato in un discipline audio-video è spesso talmente labile che paio di paesi diversi ha contribuito profondamente alla non di rado anche i ruoli si confondono. Una grande mia formazione e al modo di lavorare ma sopratutto confusione creativa, che poi si trasforma in scelte ha influenzato lo sguardo sulle cose. In Germania ho spesso non convenzionali ma di grande efficacia e imparato l’importanza dei dettagli ma anche il rispetto novità. La nostra collaborazione creativa si distacca per il lavoro altrui. Mi capita ancora occasionalemente dalle compartimentazioni tra ruoli molto rigide del di lavorare a Berlino e rimango sempre affascinato mondo dei media o dell’adv. dall’attenzione che si ha per la dimensione creativa, E’ piuttosto uno scambio alla pari su visioni generali, pensieri e idee dalle quali poi ognuno di noi trae spunti per la ricerca di linguaggi e la sperimentazione. Lavorare fuori permette di allargare i propri confini da elaborare nell’ambito delle proprie competenze mentali e di porsi in una dimensione più riflessiva. specifiche. Se parliamo poi dell’ambito crossmediale, Essere stranieri permette di guardare con maggiore inevitabilmente quanto detto si amplifica e diventa lucidità alla propria cultura e al proprio modo parte essenziale del concept. di lavorare sviluppando una sensibilità utile alla Il superamento del tipico schema produttore/fruitore comprensione degli altri, forma anche quelle capacità di contenuti del “vecchio” sistema radio-televisivo ha di adattamento che tornano utile quando ci si muove delle implicazioni enormi anche sul piano creativo. in contesti anche molto diversi: questo non vuol dire Nuove tematiche si pongono, o meglio si impongono

Davide Tosco

Mario Conte

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[Musica] INTERviste

all’ attenzione dei producers. Nuovi orizzonti narrativi in tutti i campi ma anche, inevitabilmente, tante variabili diverse, soprattutto tecniche e tecnologiche con cui fare i conti. Mario. Quali sono le differenze in termini espressivi in una lavorazione mainstream (grossi budget) e nel lavorare autonomamente con più ristrettezze? Davide. Certo con meno risorse si possono concepire progetti meno dispendiosi dal punto di vista produttivo ma spesso i limiti possono anche essere uno stimolo all’inventiva. Nel tempo ho lavorato in contesti molto diversi, mi è capitato di produrre programmi per radio comunitarie lavorando in minuscole postazioni nel mezzo di aree disagiate ma anche nei migliori studi di registrazione di prestigiosi canali radiofonici. L’approccio però non è mai variato, mi piace adeguarmi alle condizioni e al contesto. E’ cruciale mantenere uno spirito creativo che dia sempre la massima attenzione e cura al lavoro, indipendentemente che si tratti di una grossa produzione o di un piccolo progetto off. Le differenze solitamente riguardano questioni legate ai tempi di produzione e alle figure professionali che possono essere attivate. In ambito commerciale, dove i budget sono molto più grandi, il margine creativo puo’ essere limitato e il controllo che viene esercitato sull’esecuzione è maggiore. I vincoli di queste strutture possono anche limitare o trasformare pesantemente il risultato. Ma questa non è necessariamente una regola. Non è raro ad esempio che progetti molto sperimentali e underground siano raccolti da agenzie pubblicitarie e portati in un ambito mainstream, trovando all’improvviso spazio per raggiungere il grande pubblico. I fini magari vengono stravolti ma in fondo è un po’ come nell’arte, e la pubblicità è di fatto un dimensione artistica, dove una visione differente dalle precedenti si rivela al pubblico o meglio viene commercializzata al servizio di un prodotto di consumo. Davide. Il ruolo del suono in termini di narrazione ha spazi molto tradizionali, in radio e televisione ci si affida sempre più spesso ad archivi musicali e raramente il sonoro di un programma contempla un lavoro curato di design del suono o di composizioni originali. Cosa pensi rispetto alla relazione tra suono e immagine e a come viene trattato negli standard dell’industria mediatica? Mario. Il suono e l’immagine sono a mio avviso parti integranti di ogni narrazione audio-visiva.

Non credo di poter essere smentito nell’affermare che addirittura alcuni suoni o musiche rappresentino un film al pari, se non di più delle immagini. Spesso anche solo a livello inconscio. Basti pensare ad esempio al suono (sintetizzato) degli Uccelli di Hitchcok, o alla musica dei Doors nella celebre scena dell’attacco degli elicotteri in Apocalypse Now. Ma potrei citare senza dubbio le musiche di Rota per il cinema di Fellini o, su tutti, le cinque note di sintetizzatore di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo. (ta - ta - ta- tuuuuuu - taaaaaa…..) Oggi troppo spesso e, ahimè, devo dire soprattutto in Italia, l’aspetto sonoro delle produzioni audio-visive è trascurato. Il suono è quasi sempre un complemento, un qualcosa per riempire i vuoti. Raramente mi entusiasmo per il suono recentemente. Non si tratta di limiti tecnici o di budget (o meglio, non solo). E’ proprio una questione di approccio e di considerazione dell’importanza di un apporto sonoro creativo all’ interno di una produzione visiva. Forse alcuni spunti interessanti si trovano (molto raramente) nel’ ambito della comunicazione commerciale. Ovviamente ci sono delle eccezioni. Mi viene in mente la cura del suono dei film di Sorrentino, o l’utilizzo della musica in Gomorra, una vera seconda chiave narrativa. Ad ogni modo in Italia siamo ancora mediamente molto distanti dalla qualità sonora delle produzioni di altri paesi europei, soprattutto del nord. Adoro il suono di lavori come Into Eternity, del Danese Michael Madsen o anche della serie di Charlie Brooker, Black Mirror. Essi hanno contribuito ad ispirarmi anche nel concept del sound di Smile. Mario. In questo ma anche in altri lavori tuoi la parte visiva e di scrittura e gli aspetti sonori si dividono quasi al 50%, è così? Se è così cosa ti ha portato a questo modo di vedere e di lavorare? Davide. Come sai le prime esperienze le ho fatte in ambito radiofonico, nei prima anni ‘90 producevo sorte di ibridi tra il documentario e il radiodramma proponendoli poi ai canali tedeschi che ogni tanto ne acquisivano i diritti e li trasmettevano. Vivevo a Berlino e lavoravo in cucina con un registratore 4 piste su cassette audio, collaboravo con musicisti della scena elettronica nella parte orientale della città. Le emittenti erano disponibili ad accogliere lavori più sperimentali e questo è stato un grande stimolo, sapere che producendo con mezzi limitati e idee si poteva ambire anche ad un pubblico vasto come quello delle reti pubbliche nazionali. Questo è stato un periodo di auto-formazione che mi ha segnato,

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[Musica] INTERviste

il lavoro sul suono da allora ha continuato ad avere un ruolo fondamentale anche quando ho avuto poi la possibilità di muovermi in ambito televisivo. La partitura sonora è per me un elemento altrettanto importante a quello visivo, anzi credo che il sonoro, rispetto al visivo, possa costituire un carattere evocativo ancora più efficace nel trasmettere emozioni. Hai presente quando guardi un film senza l’audio? Non sempre riesci a seguire la storia... Davide. Il progetto come sai prevedeva una dimensione sonora espansa attraverso l’emissione di tracce sonore differenti pensate per essere trasmesse in contemporanea da radio e tv. Questo dispositivo addizionale ha comportato un ulteriore produzione audio c’è ne puoi parlare? Mario. E’ doverosa una premessa. Il crossmedia è materia nuova. Il realizzare un opera crossmediale non può prescindere da una serie di aspetti fondamentali. Tra questi sicuramente: tecnologiche e tipologie di streaming; stato dell’arte del broadcaster dal punto di vista tecnologico; capacità infrastrutturali e velocità di navigazione in rete da parte degli utenti; forte interconnessione e sharing di informazioni e tecnologie tra dipartimenti diversi all’ interno della stessa rete televisiva e tra reti diversi all’interno di una stessa azienda; non ultima, una visione moderna e proiettata nel futuro da parte delle dirigenze, esecutive ed artistiche all’interno delle strutture di produzione. Questi, sono tutti elementi quasi assenti nel nostro servizio pubblico. Quindi, nel realizzare Smile, abbiamo dovuto prendere in considerazione mille variabili, legate spesso anche alla totale inattendibilità sulle possibilità tecnologiche offerte dalla Rai ed anche ad una poca collaborazione

nell’inevitabile sperimentazione. In termini pratici, il lavoro è consistito nella creazione di più linee sonore che, anche senza essere sincronizzate tra loro, se ascoltate insieme da fonti differenti (es. TV-RadioComputer) potessero avere una valenza sonora collettiva, pur mantenendone una individuale se ascoltate separatamente. Per far questo, anche in fase di mix abbiamo usato diversi dispositivi per testare latenze, effetto sonoro etc. Talvolta addirittura la scelta dei suoni in termini di frequenze è stata “cucita” sul tipo di apparecchio che poi l’avrebbe trasmessa. Il risultato alla fine è stato a mio avviso comunque molto interessante e, pur nei limiti descritti, un precedente importante nell’uso del mezzo televisivo in modo innovativo. Mario. Il ruolo del suono in termini di narrazione ha spazi molto tradizionali, in radio e televisione ci si affida ad archivi musicali e raramente il sonoro di un programma contempla un lavoro curato di design del suono e di composizioni originali. Cosa pensi rispetto alla relazione tra suono è immagine e a come viene trattato negli standard dell’industria mediatica? Davide. Trovo decisamente più interessante, a livello di linguaggio e composizione, la dimensione sonora. Il suono in televisione è spesso considerato secondario anche se svolge un ruolo fondamentale. Basta pensare a quanto tempo viene dedicato e a quali budget sono di solito allocati per il mix audio di un programma (di solito sono uno o due giorni per una puntata di un ora – mentre per il montaggio video si puo’ arrivare anche a due mesi di montaggio). Se pensi che il suono permette di creare una dimensione emotiva ed evocativa molto più pregnante rispetto alle immagini, questo da solo basterebbe a giustificare una maggiore attenzione. Ci si affida, nella migliore delle ipotesi, a bravi consulenti musicali che individuano brani, spesso molto conosciuti, per accompagnare il flusso visivo in maniera il più possibile didascalica. In radio è abbastanza la stessa cosa, ormai sono pochissime le trasmissioni che vengono post-prodotte o montate con cura. Oggi in radio tutto è ‘dal vivo’, tutto è incentrato sulle chiacchere dei conduttori e i loro ospiti al telefono. Si è persa totalmente, ad esempio, la cultura del radiodrammache fino a 30 anni fa poteva contare su professionalità di altissimo livello (sceneggiatori, attori, registi, rumoristi, tecnici del suono) e su un alto numero di produzioni realizzate ogni anno dalla Rai. Questa assenza a mio avviso ha contribuito a

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[Musica] INTERviste

Mario. Il documentario si muove tra il ‘reale’ e il ‘recitato’ come è nata l’idea? Raccontaci del casting di Smile. Attori presi dalla strada, non professionisti ma che recitano un copione, non raccontano solo se stessi, possiamo parlare di neorealismo contemporaneo e transmediale? Davide. Recitano ma sono anche un po’ loro stessi, attraverso un lavoro preparatorio di ricerca si sono individuati punti di raccordo diffusi, elementi di narrazione ricorrenti nelle esperienze di molti dei giovani interprellati. A prescindere dai diversi background culturali vi sono delle aree di pensiero che possiamo definire universali. D’altronde i contenuti che consumano non fanno differenza di pubblico, l’offerta culturale da cui si ‘alimentano’ tutti è più o meno la stessa. La cultura del Grande Fratello dove i protagonisti mettono in scena se stessi ma allo stesso tempo mettono in atto dinamiche che sanno il pubblico vuole vedere, ci si aspetta da loro un determinato personaggio. E’ un gioco tra gli autori che provocano le reazioni e gli ‘attori’ che le inscenano. Una modalità simile l’abbiamo usata per le parti di interviste, mentre per i tre personaggi principali la messa in scena è stata più ‘pesante’, si è lavorato su un copione, costruendo testi e situazioni, cercando di rendere credibili gesti e sguardi. L’idea ruota attorno al tentativo di raccontare attraverso il quotidiano una serie di eventi il più possibile banali cercando di rendere questi in qualche modo speciali. E’ importante cercare linguaggi che possano stimolare il pubblico a cui si fa riferimento. Il nostro pubblico in questo caso era idealmente quello giovanile, anche se in realtà il prodotto televisivo era destinato ad un audience più adulta. Di fatto l’intenzione era di parlare ad entrambe, un idea su cui ho riflettuto a lungo era come sviluppare una modalità comunicativa che potesse costruire un ponte di dialogo intergenerazionale tra genitori e figli. Questo sarebbe l’aspetto più interessante secondo me, creare spazi di confronto. Credo anche che, sopratutto il mezzo televisivo, abbia bisogno di un profondo

rinnovamento proprio nell’ambito dei linguaggi. Mario. Ma che cosa significa crossmedia e transmedia? quale è lo stato dell’arte in Italia e quanto è difficile produrre progetti di questo tipo? Il nostro paese è pronto per questo tipo di operazioni? Davide. Esistono differenze sostanziali certo, anche se molte sono al momento le interpretazioni del concetto di transmedialità. Personalmente definirei transmediale un meccanismo narrativo che si dipana, evolvendosi, su piattaforme diverse, accompagnando chi lo fruisce attraverso un racconto in evoluzione, contemplando modalità di interazione tra contenuto e utente/spettatore. Insomma, una narrazione che si sviluppa, attraverso media diversi, rilasciando progressivamente e in maniera coordinata contenuti che contribuiscono nel proprio insieme all’evoluzione di una storia. Crossmediale è invece una modalità di diffusione articolata su più media, dove contenuti semplicemente replicati, o adattamenti dello stesso, contribuiscono a raggiungere il pubblico possibilmente ovunque, pensiamo al lancio di un film con manifesti per strada e trailer in radio e tv ad esempio. Credo che la differenza sostanziale sia in qualche modo relazionabile all’idea di progressione narrativa. Per come la vedo io, se racconto una storia e la sua evoluzione progredisce da un media ad un altro sono transmedia, se arricchisco un contenuto principale di versioni/varianti dello stesso, adattate per piattaforme differenti, sono crossmedia. In entrambe le modalità si ambisce a raccogliere pubblici diversi traghettandoli verso una o più piattaforme diverse. Queste sono operazioni anche molto complesse, sicuramente più costose perchè comportano la realizzazione di contenuti aggiuntivi destinati a canali differenti. Per quanto se ne parli molto in Italia sono pochissime le produzioni con queste caratteristiche, poche le persone in grado di gestirle, minimo l’interesse dei potenziali committenti. E’ un ambito quasi esclusivamente frequentato dalla pubblicità e dal marketing costantemente alla ricerca di nuove strade per conquistare il pubblico, in radio e televisione c’è ancora molta ignoranza e i termini cross e transmedia vengono spesso usati a sproposito. [ ]

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mario conte

modificare i codici percettivi del pubblico che sono progressivamente diventati meno sofisticati. Ma è un discorso abbastanza generale, nella letteratura, nel giornalismo, come nel cibo... stiamo diventando più grezzi, meno sensibili e direi anche sempre meno poetici. Ci accontentiamo di sfamare le pulsazioni basilari senza coltivare un gusto per la complessità.

davide tosco


Soviet Soviet, bari 2014 | pic by Michele Battilomo


Moseek, roma 2014 | pic by Enrico Ocirne Piccirillo


[musica] indiepedia

indiepedia di Fabrizio Morando

1990 -> 1997

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a storia che conta della Touch & Go inizia più di trent’anni fa, quando la sua prima breve infausta avventura come rivista hardcore-punk fu, grazia di Dio, accantonata per diventare ufficialmente un marchio che di lì a poco avrebbe fatto la storia delle label indipendenti in America. Corey Rusk, il bassista di una band metal-hardcore di alternante fortuna (Necros, ndr), salì a bordo della nave nel 1981 e ne mutò la rotta, puntando barca e marinai verso la produzione di materiale scomodo, abrasivo, aggressivo e anticonformista, ma dannatamente sublime. Situata a metà strada tra le pratiche commerciali non convenzionali e idealistiche come l’handshake discografico (usava dividere gli introiti al 50% tra la produzione e l’artista) e la mentalità di gran lunga più egoista e produttiva della Dischord, la T&G ha resistito per molti anni al mare tempestoso delle minuscole label periodo pre-MTV, attraversando la corsa all’oro alt-rock dei primi anni ‘90 sino ai tempi tumultuosi più recenti dominati da iTunes e dal mercato dei social network. Anche se le prime release discografiche portano il nome di Negative Approach e The Fix, evidenziando gli strascichi metal hardcore covati per anni nel grembo di mr. Rusk, gli anni ‘80 videro la T&G svoltare definitivamente verso la follia musicale acidodirompente dei Butthole Surfers, l’industrial-rock di Steve Albini e i suoi Big Black, sino ai territori pseudo-politicizzati e noisey dei Killdozer. Prima della triste mercificazione del rock alternativo, arrivata a cavallo degli anni ‘90, band come Urge Overkill, Jesus Lizard e Slint hanno contribuito in massa a costruire pagine epocali di musica verace

e genuina dove non si poteva trovare un artista uno ad un livello sotto quello dell’eccellenza. Tempi recenti hanno visto alterne fortune per la T&G. L’impatto negativo di download illegale sulla scena indie, il cui reddito principale proviene ancora dalle vendite discografiche di vinili e CD, è significativo. T&G adesso è solo una delle tante etichette indipendenti che sono costrette a restare a galla con qualunque mezzo, spinte spesso dalla sola passione per il mestiere: pochi anni fa Corey Rusk ha annunciato un ridimensionamento importante come l’unico modo per garantire la sopravvivenza del marchio. Meglio cosi che la definitiva scomparsa, per noi e per la musica tutta. GIRL VS BOYS – CRUISE YOURSELF, 1993 Il disco fa a gara col precedente Venus Luxury n. 1 baby per la palma di pietra miliare del gruppo, o perlomeno di opera che ne definisce al meglio il loro complesso ecosistema sonoro. Ascoltato ancora adesso dopo vent’anni suona come brillante e moderno, un vulcano di infinite idee e tendenze del periodo ma miscelate con insolita vena creativa. Si spazia tra le aggressioni chitarristiche di scuola Fugazi sino ai fantasmi new wave dei Gang of Four, sfocianti in mantra ritmici ossessivi con rifermenti anche troppo espliciti alla musica techno. Il cantante chitarrista Scott McCloud evoca un canto cinico e quasi monocorde, intriso di testi recanti storie di alcool, sesso, e depravata noia metropolitana. Meravigliosi e apocalittici.

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[MUSICA] INDIEPedia

BRAINIAC – HISSING PRIGS IN STATIC COUTURE, 1996 Sciabolata di pseudo-noise deviante, suono scalcinato, elettrico e destrutturato ma avanti di decenni rispetto a qualsiasi timeframe temporale, i Brainiac (Dayton - Ohio) rappresentarono realisticamente una sferzante e vitale boccata di ossigeno e di vera innovazione. Descriverli a parole è impresa ardua: immaginate una sbilenca rivisitazione dei primi Devo (letteralmente omaggiati nella track Nothing Ever Changes) e aggiungeteci l’estro dei Dead Kennedys con al posto del basso un paio di Commodore 64. Si ascolti soltanto l’episodio più significativo del disco: la devastante I Am A Cracked Machine - quasi 5 minuti di follia “pop” visionaria – per farsi un idea precisa di cosa dovrebbe essere la musica che si voglia fregiare del titolo di Alternative rock con la A maiuscola. Mostruosi. DON CABALLERO – FOR RESPECT, 1993 I Don Caballero sono di Pittsburgh, Pennsylvania. I Don Caballero sono il più grande gruppo alternative interamente strumentale di ogni tempo. Spesso li trovate etichettati come una formazione math-rock, ma l’epiteto è osteggiato dagli stessi membri della band e a ragione: il sound prodotto dai pattern marziani di Damon Che - sembra che abbia quattro braccia e nove gambe - e gli intrecci di chitarra diabolici di Ian Williams produce un ibrido tra logica, struttura e istinto puro, un capolavoro di arrangiamento e composizione al momento mai eguagliato. “Molte cose che abbiamo ascoltato rivelano l’essenza della musica e spiegano perché i presidenti vengono uccisi e perché mia nonna ogni inverno va in Florida. Questa è la musica che vogliamo fare, quella capace di far comprendere ogni cosa”. Parola di Ian Williams.

compulsiva e feroce follia. Per questo è facilmente nominato come il loro miglior lavoro, per non parlare del più grande capolavoro di ingegneria che mr. Albini abbia mai vomitato su una piastra di registrazione: ogni strumento viene registrato nella sua splendida chiarezza, nonostante i toni della chitarra siano stridenti e spigolosi, il basso arrugginito e la batteria picchiata a sangue come Mike Tyson farebbe con un avversario alle corde. La voce di David Yow suona come il lamento di un internato, urlato a squarciagola per soverchiare il frastuono dei demoni che ha in testa. Canzoni che ti fanno venir voglia di ubriacarti a ciuccio e combattere mostri alieni. Assoluti. BLONDE REDHEAD – FAKE CAN BE JUST AS GOOD, 1997 Il disco rappresenta la loro prima uscita su T&G, e il primo album interamente prodotto da Guy Picciotto dei Fugazi. Qui, le mani di Picciotto sono evidenti: si orecchiano i toni puliti, distinti, viscerali della band seminale di Washington D.C. ma emulsionati con riff trasversali e ipnotici propri dei Sonic Youth che rendono il tutto una meraviglia post-punk interstellare. Questo taglio siderale è più evidente nella terza traccia dell’album, Water, dove il feedback sospeso nel finale suona come se si stesse sollevando nello spazio cosmico. I blonde Redhead passano alla storia con la stessa formazione di sempre: la nipponica Kazu Makino (vocals, rhythm guitar) e i gemelli italo-americani Simone e Amedeo Pace (rispettivamente drums/vocals e lead guitar). Buon Ascolto. [ ]

JESUS LIZARD – GOAT, 1991 I Jesus Lizard nascono nel 1988 a Chicago, dove si incontrano il cantante David Yow, proveniente dalla formazione texana degli Scratch Acid e David Sims, bassista dei Rapeman. Goat è un cataclisma sonoro di nove canzoni in 30 minuti, è un tour de force di brutalità, nevrosi JK | 39


[MUSICA] DISCHI A DOMICILIO

Speedy Pizza dischi a domicilio di Edoardo Vitale| pic by Viviana Boccardi

Michele Arinotti è un pizza-pony disadattato a cui nessuno vorrebbe lasciare una mancia, la regola è semplice: per ogni consegna vi racconta un disco.

1. In missione per conto di Nick Cave: il colloquio di lavoro

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i ritrovo senza un quattrino che è quasi estate. Il frigo puzza come una fogna ed è più vuoto del mio stomaco stesso, che brontola mentre me ne sto sul divano ad ascoltare un disco che sono le tre di notte. Non che sia il migliore del Cave, ma avevo voglia di metter su No more shall we part che si concilia bene con il mio stato d’animo attuale.

Il Cave aveva proprio fatto incazzare tutti con questo disco perché se la mena troppo con il pianoforte e tutta una serie di smancerie e a me quelli che fanno incazzare la gente in giro mi vanno a genio e allora non posso fare a meno di accendermi una sigaretta con un tuffo al cuore quando arriva il verso di Hallelujah che mi si schianta addosso e dice my meals

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were ill prepared, my typewriter had turned mute as a tomb, and my piano crouched in the corner of my room with all its teeth bared e mi sento proprio uno schifo di fallito. Sarei dovuto nascere cinquant’anni fa. La vera età dell’oro, altroché. Avrei avuto alle spalle una guerra mondiale scampata da snobbare, e una carneficina sociale da affrontare con il culo parato e con il diritto naturale di critica su tutto. Magari avrei avuto un paio di attentati alle istituzioni nel curriculum. Adesso sarei un annoiato e postmoderno professore di filosofia. Che si disgusta nel vedere tutti quei cellulari al cinema, saltati fuori neanche iniziati i titoli di coda per controllate chissà quali chiamate perse. Invece mi ritrovo solo un mucchio di briciole di patatine sulla maglietta. Una casa sporca da far schifo. Qualche libro. E l’andare della notte ancora fresca. Già detto, che è quasi estate. Il disco gira imperterrito, il disco se ne infischia del giorno e della notte e io decido che è bene che mi addormenti sulle note di Oh my lord che cade a metà album e francamente le conto sulle dita di una mano di canzoni così e visto che ci sono meglio tenermelo buono questo Signore onnipotente che se sta tanto simpatico al Cave allora deve stare simpatico anche a me e credo di aver chiuso gli occhi sbiascicando qualche preghiera pagana, colpa del vino sottocosto. Be mindful of the prayers you send, pray hard but pray with care. Il lunedì è il giorno dei buoni propositi e decido di alzare il culo per mettermi in cerca di un lavoro. Mi sono fatto la barba, come piace alla madre mia. La questione è semplice: non apparire troppo stupido per poter lavorare, ma apparire abbastanza stupido per poter lavorare. Questa è cosa nota. Mi becco una sfilza di siamo pieni, non assumiamo più, ripassa e tutto il resto. Immaginare di trovare un lavoro è un’idea davvero stupida. In ultimo mi caccio dentro un ristorante dove c’è un tipo che non mi dà neanche il tempo di presentarmi, con la sigaretta stretta fra i denti gesticola e brontola di seguire un giovanotto. Salto in macchina del tipo che sembra uno apposto. Ha la voce rauca ed è di poche parole. Niente di meglio. Tocca subito gli argomenti giusti: la paga, gli orari, le beghe. A quanto pare dovrò farmi andare bene tutto quello che gli esce dai denti, perché di certo non trascorrerò più un solo altro minuto in cerca di un impiego. Torno alla base per una fragorosa stretta di mano con il mio nuovo capo. Devo presentarmi venerdì. Mansione: consegna pizze a domicilio. Ho un ruolo decisivo in questa società opulenta. Porto

il cibo alle famiglie e ai figli di puttana che tornano stanchi dall’ufficio, proprio loro, che hanno fatto girare il mondo nelle otto ore precedenti, senza di me resterebbero digiuno. Non vedo l’ora di sbattere la notizia in faccia a mio padre. Averlo saputo prima che bastava balbettare qualche preghiera da sbronzo sul divano, mica scemo il Cave. Torno a casa. Fino a venerdì non ho niente da fare. Di pulire casa non se ne parla. Adesso ho un lavoro che mi costerà fatica, devo riposarmi. [ ]

I personaggi e gli episodi raccontati in questa rubrica sono frutto della fantasia dell’autore.

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[RECENSIONI A FUMETTI] MUSICOMIX

MUSICOMIX Recensioni a fumetti a cura di Gianpiero Chionna

Goodmorning, Captain

Nel 1987 quattro adolescenti pubblicano Tweez il loro primo disco, registrato da Steve Albini. I quattro si chiamano Slint. Terminata la hig school, gli Slint si riuniscono per dare alla luce quello che è considerato un capolavoro assoluto e pietra miliare della musica rock: Spiderland. Spiderland esce il 1991 per la Touch&Go. Subito dopo gli Slint si sciolgono diventando leggenda. Nell’aprile 2014 la Touch&Go pubblica un box set contenente la versione rimasterizzata di Spiderland, il download digitale di 14 brani tra demo, inediti ed outtakes e il Dvd del documentario “Breadcrumb Trails” di Lance Bangs. Gli Slint sono: Brian McMahon : voce, chitarra Britt Walford: batteria David Pajo: chitarra Ethan Buckler/ Todd Brashear: basso la storica foto di copertina fu scattata dal folksinger

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Will Holdam







[Musica] WEBZINERS

stordisco.blogspot.it

Colossal Youth di Angela Giorgi

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n questo vecchio locale del centro un’inconsistente parete di plexiglas separa la sala fumatori isolando la band inverosimilmente sudata e i suoi fanatici sostenitori poco più che maggiorenni, che si dimenano inconsapevoli come frotte di pesci in un acquario caliginoso; appena faccio capolino attraverso il pertugio della porta, in quindici secondi mi accorgo che a stento i musicisti tengono il tempo, a causa forse della poca naturalezza con cui si dibattono sugli strumenti, ignari del fatto che non è poi così semplice essere un rock ‘n’ roll animal. Ma agli avventori, giovani in modo quasi imbarazzante nella mente più che nel corpo, sembra non importare mentre a squarciagola cantano all’unisono storie nostalgiche di cuori spezzati e sogni da adolescenza protratta, mentre gridano al fumo stantio massime esistenziali da diario segreto strattonandosi a vicenda in un’eruzione di testosterone inespresso. Questo pogo da occupazione tardiva non è certo pericoloso e ad allontanarmi non è il rischio di venire travolta: piuttosto mi ritiro a riflettere, ma non più del tempo necessario a farmi spillare una birra al bancone, sull’insopprimibile fascino del melodramma sugli artisti italiani e sul loro pubblico, come se il rock dalle nostre parti fosse condannato da un destino malevolo ad avere come padre adottivo Mario Merola. I menestrelli del rock indipendente italiano sembrano essere inguaribilmente legati a un’immagine canonicamente romantica dell’artista, forse convinti che mostrare fragile sensibilità equivalga a un’attestazione di profondità, lirica prima e musicale di conseguenza; sono rari gli esempi di lucidità o ferocia, in cui i turbamenti individuali vengono abilmente trasfigurati nell’universale o persino trascurati per lasciare che sia la musica a rivendicare e vendicare sofferenza e frustrazione. Mi chiedo se sia la l’italiano, lingua da operetta, a imporre il dominio di questa attitudine alla confessione

intimista, sussurrata in preghiere cantautorali o urlata su un fragore spesso purtroppo poco efficace; o se al contrario non siano i limiti della lingua, spaventosamente complessa e articolata rispetto al più asciutto e tagliente inglese, a determinare la scelta di un atteggiamento di sfogo sommario, ma una consapevole volontà di com-muovere gli animi attraverso la via più semplice, la via umida delle lacrime e di altri svariati umori corporali, tangibili e figurati. Come rivolta estemporanea, propongo la fondazione di un movimento di emancipazione dalla stereotipata disperazione da cameretta, magari capeggiato da chi padroneggia la lingua e non teme di servirsene come un letterato, o da chi grida la propria personalissima rabbia attraverso sentenze icastiche e lapidarie, persino da chi elimina l’elemento verbale e riduce a pochi gemiti o ululati l’emissione vocale, restituendo dignità allo strumento. A me è sempre andata stretta anche la mia, di cameretta; non posso quindi dedicare che qualche minuto distratto ai fantasmi e alle rêveries che abitano quelle altrui. [ ]

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www.paperstreet.it

[Musica] WEBZINERS

Boyhood o del tempo che scolpisce il cinema di Giacomo Lamborizio

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l cinema è l’arte di scolpire il tempo, diceva Andrej Tarkovskij. Una massima che ben si adatta alla ricerca di Richard Linklater, regista americano a lungo sottovalutato dalla critica internazionale, il cui ultimo film, Boyhood, ne consacra invece il talento registico e la profondità della sua visione autoriale. Il regista ha raccolto ogni anno, per dodici estati, una troupe, un gruppo di attori e ha filmato il tempo passare. La vita di Mason, dai sei ai diciotto anni, è diventata Boyhood. C’è la famiglia frantumata, l’America contemporanea della liquidità familiare, sociale e geografica. La crescita di un ragazzo, di una madre, di un padre. La ferita dell’Undici settembre, l’Iraq, la speranza liberal in Obama, le case che si popolano dei congegni elettronici cui non possiamo più rinunciare. Non c’è la sensazione, la scena madre, il pianto o il riso coatto. Ci sono rapporti che nascono e si esauriscono, fuochi che si assopiscono, gelo che entra dentro e fatica ad andarsene. Nella carriera ventennale di Linklater, oscillante tra sperimentalismo e cassetta, tra indie e major, è centrale, preparazione decisiva a Boyhood nello studio sulla temporalità e i sentimenti, la trilogia composta da Before Sunrise, Before Sunset e Before Midnight. Nel 1995, due ragazzi (Ethan Hawke e Julie Delpy) si incontrano per caso su un treno, passeranno insieme la notte, vagando per le strade di Vienna, l’alba li sorprenderà innamorati, ma costretti a salutarsi. Si sono ritrovati? Nove anni dopo a Parigi, un pomeriggio di sole, un libro che racconta la loro storia, lunghi piani sequenza a indagare la banale grandezza di un sentimento che non si è spento. Questa volta forse non si perdono, mentre Nina Simone accompagna il tramonto e un aereo parte con un passeggero in meno. Altri nove anni, un aeroporto, lui che saluta il figlio ed esce, un carrello laterale, ecco, meraviglia, addormentate sul sedile

della macchina, due gemelle, le figlie di lui e di lei, finalmente invecchiati insieme. Richard Linklater porta alle estreme conseguenze, anche produttive, il suo tarlo, la ferita d’artista che non può rinunciare a stuzzicare, riuscendo in un’impresa disperata, vincendo la scommessa folle di attraversare un abisso – quello della peggiore televisione, del kitsch più bieco, della morbosità da buco della serratura – sul filo sottile di un’arte cinematografica purissima. Boyhood è un piccolo grande miracolo di grazia e di scrittura. È tutto tranne che un documentario, è “finto” e “vero” insieme come un grande romanzo: è baciato da una sceneggiatura talmente saggia e delicata, talmente invisibile, da sfiorare l’utopia definitiva del cinema che si scioglie, perde la bidimensionale materialità della sua finzione, per finire con l’illuderci di assistere, davvero, alla vita. Linklater con il suo film più grande ci regala il contrario del reality show, dove la vita quotidiana è messa in scena con effettacci da vaudeville: un cinema che si lascia scolpire dal tempo. [ ]

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[Musica] L'ANTIPATO NUDO

L’antipasto nudo di Giovanni Romano | pic by Viviana Boccardi

Da Burroughs a Lester Bangs, interviste scorrette a 365 gradi. Ospite: EDOARDO FERRARIO

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mmaginatevelo con un sottofondo di folla, un po’ di caos, come l’inizio di Sgt. Pepper dei Beatles. Un qualcosa di popolare e di clownesco accompagna questa chiacchierata in una trattoria di Trastevere. Ed è uno sfondo adatto per parlare con Edoardo. Non perché sia un clown. Certo, è un comico, vuole far ridere, ma si tratta di un ridere CON lui, non di un ridere DI lui. E ridiamo di cose che ha visto in prima persona, con il suo humour disincantato, tipico dello studente di giurisprudenza. E per questo lo capisco, condividiamo la stessa visione ironica derivante dallo stesso tipo di studi.

G: - “Io e te abbiamo entrambi studiato giurisprudenza, io a La Sapienza e tu a Roma tre. In “Esami” ho visto proprio l’umorismo cinico e disilluso dello studente di legge”. “Si, vero. Mi sono laureato da poco con una tesi in diritto penale sulla diffamazione a mezzo satira, mi sono divertito molto nel farla, una bella tesi, con un prof molto bravo e disponibile. Tutta l’esperienza universitaria mi è servita poi per convogliarla in ESAMI”. - “Dimmi che sei entrato anche tu a giurisprudenza con l’impostazione del “qualcosa faccio, mi sarà utile”,

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[Musica] L’ANTIPATO NUDO

a me è accaduto in relazione al giornalismo”. “Esatto: in ballottaggio fra Lettere e Legge e poi ho scelto la seconda perché c’è la credenza che con lettere non si lavora”. - “Poi per molte persone che non riescono ad entrare da altre parti è una facoltà alternativa”. “Già, una vera cavolata. Come se dici che non riesci ad andare in vacanza al mare e poi vai in Russia. Però aldilà di questo, si, è stato un po’ un equivoco inizialmente, ma mi è servita per tanto…o quantomeno ho scritto esami. Sono entrato e nel frattempo mi sono iscritto ad una scuola: “L’Accademia del comico”, dove ho fatto esperienza: scrivere monologhi, recitarli in pubblico, fare le prime esibizioni…” - “E giurisprudenza ha un lato comico veramente forte, c’è lo studente di ogni tipo, quello in perenne ansia, quello esaltato che parla sempre di codici…” “…Quello che dice che vuole fare l’avvocato perché vuole comprarsi il Mercedes, quello che si vuole prendere il pezzo di carta della laurea. Ecco, ho preso tutti questi tipi e li ho sbattuti dentro Esami”. (Ci spostiamo sulla nascita di “Esami”) - “Lo sai che sei stato il primo in realtà a mettere in pratica un’idea che avevano avuto in molti, ma che nessuno aveva mai fatto? Facciamo vedere tutte le

cose che accadono e ci accadono all’università”. “Nonostante per me sia stato tutto molto naturale coniugare i miei due posti, l’università e la comicità, l’assurdità per me è proprio che non ci fosse una webseries che parlasse di questo”. - “L’avevano fatto i The Pills, parlando non dell’università, ma della vita che conduci negli anni universitari. Quello che arriva in entrambi i casi è l’immedesimazione”. “Che poi è la cosa che funziona di più. Adoro prendere i caratteri e snaturarli, specialmente in un contesto come quello universitario, così perennemente presente. Ho sempre pensato che fosse una buona idea. Credevo che il percorso sarebbe stato più lento, invece ha avuto subito una grandissima risonanza”. - “Hai fatto tutto da solo?” “Avevo perfettamente chiaro il contesto del tipo di umorismo che doveva uscire. Sarebbe stato decisamente più facile scriverla da solo”. (Un comico agli inizi) “Ho sempre voluto fare il comico sin da piccolo, mi sono iscritto a quella scuola di cui ti dicevo e ho iniziato a scrivere testi comici. Ho capito per bene il discorso delle tecniche per scrivere, dei trucchi usabili, esercizi, meccanismi. Non basta solo il talento”.

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[Musica] L'ANTIPATO NUDO

- “Non sapevo esistessero delle regole vere e proprie per far ridere, pensavo ci si affidasse più che altro all’intuizione”. “Chiaramente quella è fondamentale, però delle regole ci sono sempre nella scrittura di un testo comico. Poi, alla fine, sono del parere che più di tanto non si possa insegnare…però si può studiare, cosa che ho fatto nella scuola dove ero iscritto. Poi ho iniziato con le prime serate organizzate dalla scuola, fino a quando non ho scritto il mio primo spettacolo di un’ora. Praticamente un kamikaze. L’ho provato per la prima volta in un pub, chiedendo anche un aiuto organizzativo ai miei amici. Il risultato è stato soddisfacente”. - “Paura?” “No sai? Sapevo che si sarebbero divertiti. Poi, per carità, alcuni erano amici con cui condividevo lo stesso senso dell’umorismo, quindi non avevo dubbi. Se sai che qualcuno in sala trova di che ridere, non t’importa se poi in sala ci siano 100, 200 o più persone, vai avanti incoraggiato”. - “Per il musicista ci sta la paura dell’indifferenza, per il comico immagino che la totale freddezza deve essere, immagino, la principale preoccupazione”. “Cavolo! Pensa quanto il discorso legato all’indifferenza per il musicista sia amplificato per noi. Al musicista nessuno nega un applauso. La comicità è la forma d’arte più rischiosa. La risposta del pubblico è la più immediata ed è insindacabile. Se non fai ridere non fai ridere. Non c’è nulla da salvare. Però almeno è meritocratico, non c’è possibilità di raccomandazione. Sai, certe volte penso che vorrei troppo essere un musicista”. - “Pensa che io vorrei essere un comico alle volte!” “Sei un pazzo! Non sai a cosa vai incontro. Se fai ridere, tutta l’ansia che hai prima va via, è bellissimo, una gratificazione enorme. Ricordati che tu sali sul palco con la presunzione di far ridere la gente. La comicità è un forma d’arte molto violenta, ti arriva subito in maniera diretta sia per te che per il pubblico. Inoltre, a differenza del musicista, il comico mette in gioco se stesso proprio a livello personale, facendoti ridere di se”. - “Il vuoto di memoria?” “No, non succede, o comunque è rarissimo. Avviene che ti scordi un pezzettino e lo riprendi dopo. La cosa fondamentale è che tu ti diverta. Sennò, sinceramente, è meglio che fai altro. Immaginati teso, che cerchi di far ridere il pubblico, la gente lo capisce. Se ti rilassi, va tutto alla grande”. (Televisione, scrittura, ispirazioni) “Le prime cose in TV le ho fatte con Sabina Guzzanti,

che ha creduto in me. La mia prima esperienza televisiva, molto grossa sai, stavo in prima serata La Sette…però è andata bene anche là”. - “Hai notato una differenza rispetto al rapporto con il pubblico alle serate live? Non tanto soggettiva, quanto oggettiva…” “Contenutisticamente no. I miei pezzi non sono stati minimamente modificati, e di questo infatti sono stato molto contento. La forma cambia però, le luci, il fatto che, intrinsecamente, sai che ti guardano tutti anche da casa. La salvezza è stata il pubblico in sala. Panico all’inizio, con la prima risata si è diradato tutto. Anche se non ti nascondo che la prima volta è stata tosta. Mi pareva di fare una follia”. - “Ricordo di aver visto un video tuo dove palesemente ti ispiri alle esperienze vissute”. “Quella è la prima cosa, però poi ho alcuni argomenti che mi fanno molto ridere. Ad esempio adoro raccontare di volte in cui mi sento inadeguato alla situazione. Mi diverte molto e gioco in casa quando parlo di Roma, dei suoi abitanti, delle varie zone…” - “La comicità romana rimanda per forza a Verdone”. “Si, assolutamente, poi anche i Guzzanti, fuori Roma Albanese, Rezza…E non solo Italia, anche la scuola americana e inglese. Dei comici loro mi piace enormemente la pulizia: dicono tutto il necessario. Nulla in più, nulla in meno. Ma come raccontano! Pare che un amico ti stia raccontando una storia. Sai, è molto difficile far arrivare tutto in maniera genuina e spontanea. Da loro si lavora anche sulla complessità. C’è un lavoro molto approfondito, mentre da noi invece bisogna fare spesso tutto in fretta: in tre minuti devi dire tutto e in maniera semplice, usando sempre gli stessi tormentoni”. - “Si, decisamente la comicità televisiva è quasi assimilabile al concetto di contest: il fatto che il comico di turno debba per forza raggiungere il risultato fa sì che debba scendere nella comicità becera. Non c’è possibilità di costruire un discorso, di metterlo in pausa, di riprenderlo. Ma le televisioni in relazione al web come si stanno ponendo?” “Il concetto di televisione sta cambiando notevolmente, proprio in relazione ad internet. Prendi il concetto di “on demand”, ad oggi non si può prescindervi. Un determinato programma me lo voglio vedere quando cavolo voglio io, perché non ho tempo, perché me lo vedo in autobus. Con internet ormai la gente non sta più in casa alle 9 per vedere un programma, e le televisioni lo stanno capendo”. (“Esami” e il suo successo) - “La tua popolarità è stata veloce e inaspettata, una

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[Musica] L’ANTIPATO NUDO

cervello, perfetta”. - “La domanda finale è sulla musica: che ti ascolti?” “Ovviamente i Cani, poi gli Offlaga disco pax: la perdita di Enrico Fontanelli è stata veramente gravissima (a chi lo dici…ndr). Tuttavia il mio gruppo preferito in assoluto sono i Pixies, con due dischi capolavori che non ti stanchi mai di sentire, un po’ come “Is this it” degli Strokes (come non approvare), e poi l’elettronica di Gold Panda, Mount Kimbie, Bonobo”. Si difende il ragazzo, anche spiegazione del suo successo te la sei data?” musicalmente. Peccato che però, andando via dal “Sicuramente il fatto che io faccio più personaggi. Che ristorante, ci siamo accorti di aver pagato due volte. E poi, paradossalmente, era la cosa che mi preoccupava vabbè, qualcosa di comico doveva accadere. [ ] di più”. - “Invece l’ho trovato proprio divertente e caratterizzante”. “Si, è vero, ma su youtube non c’è spesso, c’è o chi interpreta se stesso o chi invece è caricaturale. Io invece volevo fare altro. Non avevo idea di come sarebbe andata. Sono stato contento del fatto che sia andato bene, molta gente non aveva capito che io facevo entrambe le parti, mi mandavano messaggi tipo “complimenti agli attori”, e io rispondevo “grazie da entrambi”. (Grandi risate). - “Mi sono accorto che tu hai dedicato del tempo per ogni minuscola cosa nella serie, ad esempio le scritte sugli statini in alcune puntate, o i particolari del plastico nella puntata “Architettura. La trovo una cosa esilarante”. “Fa parte del mio modo di fare comicità, adoro approfondire le battute. Mi piace quando l’autore ti regala delle chicche nascoste che, se sei attento, ti fanno ridere enormemente. E la vicenda dei Lokka Ripka è sullo stesso mood, ed è degenerata fino al video. La gente pensa che siano realmente un gruppo. La cosa più divertente in assoluto è che la pagina dei Lokka Ripka non l’abbiamo fatta noi: volevamo farla, ma abbiamo scoperto che c’era già. Ci siamo messi in contatto con loro e stiamo collaborando, abbiamo sviluppato le grafiche insieme, che spettacolo!” (Edoardo, la musica, I Cani). “La sigla è de Cani!” “Si! Niccolò (Contessa ndr) lo conosco da poco prima del successo col progetto de I Cani; gli ho chiesto una sera se gli andava di fare una sigla. La mattina dopo mi sono svegliato con una mail in cui c’era la sigla che senti. Non abbiamo cambiato una nota. Ti entra nel JK | 53


[libri] ruba questo libro

ruba questo libro di Marco Taddei

Casi di Daniil Cahrms (Adelphi, 2008)

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’ solo per un puro caso che oggi parlo in questa piccola rubrica bibliomane di Casi di Daniil Charms. Come è anche un puro caso che io sia qui a gestire la suddetta rubrica di bibliomania ed è anche un puro caso che io sia qui a scrivere in generale giacché è per un ennesimo puro caso che tutta l’umanità sia qui sulla Terra e che questo pianeta Terra offra condizioni di vivibilità per delle forme di vita intelligenti – in senso biologico ovviamente - come la nostra. Per questo e per mill’altri – casuali – motivi questo libro minuscolo e pazzo, ci racconta de la Vita. Proprio quella con la scintillante V maiuscola, aguzza come le punta di lancia in cima ai cancelli degli orfanotrofi. Roba che tiene alla larga e che dissuade la fuga. Roba che, come i cocci aguzzi di bottiglia che stanno in cima al muro di montaliana memoria, ci fa ben capire di cosa parliamo quando trattiamo la “Vita”. E non possiamo che ghignare sommessamente – che altro possiamo fare d’altronde? - innanzi a questo allegro bisticcio che è il vivere. Ecco, ora quel ghigno stampatevelo bene in testa, aprendo il libro di Charms, ad una qualsivoglia pagina, ad una qualsiasi altezza di riga, quel ghigno ve lo ritroverete infisso in faccia, stile paresi proprio perché Casi parla dell’Esistere ma tramite una surreale astrattezza, apparentemente annaffiata di vodka ma che in realtà è lucida ed imperturbabile, da santone, da eremita, da apostolo illuminato direi. E lo fa in una forma che non è né il romanzo lungo né il racconto breve, ma è l’improvviso letterario di poche righe, la breve prosa, l’appunto, la lettera, l’atto singolo di una piece teatrale a conferma

forse che la vita di ognuno di noi si può racchiudere in una valigia ma si può anche riassumere in poche ridicole righe, che deridono proprio la surreale inattività della nostra pretesa attività vitale. Charms era russo, figlio di sovversivi antizaristi. Lui stesso è erede di quel sovversivismo, che rivolge non contro il nuovissimo potere bolscevico (anche se sarà arrestato ben due volte) ma contro l’egemonia delle leggi superiori, contro il monopolio dell’accidente che rende le nostre vite così pericolanti, contro l’ordine precostituito generale (ed è per questo motivo che sarà arrestato ben due volte). Esteticamente un dandy folle e geniale, come prima occupazione scrittore per l’infanzia (fa il paio con Majakovskji che per campare faceva il pubblicitario assieme a Rodcenko), come seconda sobillatore ed estimatore di quell’astro luminoso di Velimir Chlebnikov e della poesia zaum, fraterno di tanto futurismo sovietico che non avrebbe cambiato il mondo ma che cambia ancora oggi il modo di pensare di così tanti artisti, ci lascia roba del genere: “Una vecchia, per la curiosità, si sporse troppo dalla finestra, cadde e si sfracellò. Dalla finestra si affacciò un’altra vecchia e si mise a guardare giù quella che si era sfracellata, ma, per la troppa curiosità, si sporse troppo anche lei dalla finestra, cadde e si sfracellò. Poi dalla finestra cadde una terza vecchia, poi una quarta, poi una quinta. Quando cadde la sesta vecchia mi stancai di stare a guardarle, e me ne andai al mercato Mal’cevskij, dove, dicevano, a un cieco avevano regalato uno scialle fatto ai ferri.” Morì durante l’assedio di Leningrado nel 1942 nel gelo soporifero di una clinica psichiatrica dove – non per caso - l’avevano recluso dopo l’arresto. // Marco Taddei []

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ICEBERG - RUGGINE (V4V Records, 2014)

recensione di gianpiero chionna


[ILLUSTRAZIONI] la dimensione eroica del microbo

la dimensione eroica del microbo testo e illustrazione di Maura Esposito

Giorno di festa Nelle città nuove ci si suicida in molti modi

I giovani guardano le guerre degli altri ma hanno perso la loro Ci sono mitra posizionati ai margini dell’adolescenza, i proiettili nei loro cuori in rovina Ma qui ci si sposa comunque. I figli inseguono le bombe come li rincorrono gli aquiloni Dentro la chiesa un gesù bello come il fuoco irradia dalle sue ferite piene di grazia I suoi lividi un monito: più non osare Sotto il cielo cadono i palazzi osso per osso [ ]

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[IMMAGINARIO] TROPPO TARDI PER GLI ONESTI

troppo tardi per gli onesti di Daniele Aureli e Francesco Capocci | 2ue

ITALIA. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. Da una costatazione Ispirato dal sole che picchia in fronte Poesia consigliata: Pier Paolo Pasolini – Alla mia nazione Bevanda abbinata: Bloody Mary o qualcosa per dimenticare italiaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliainitaliaitaliataliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliailtruccoc’èmanonsivedealiaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitalitaitaliaiitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitaliaitalia[ ] JK | 58


[IMMAGINARIO] TROPPO TARDI PER GLI ONESTI

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[STORIE] SBEVACCHIANDO PESSIMO VINO

sbevacchiando pessimo vino di Paolo Battista

Dieta (non troppo) ferrea

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azzo questa dieta del cazzo mi sta uccidendo, dice Lilli alzandosi dal letto per afferrare una pizzetta dalla busta. Io non so come fanno quelle che lo fanno, continua sfilandosi il pantalone per mettersi la tuta blu che usa per stare in casa. Devi solo sapere quando fermarti, dico io e afferro

una pizzetta dalla busta sporca d’olio. Ma non ci posso fare un cazzo, spara pulendosi le labbra dal pomodoro, quando ho voglia di mangiare niente deve mettersi di mezzo. Cazzo quindi va male?, faccio io. Ti sembra esagerato, dice lei, e afferra un’altra pizzetta dalla busta bianca facendo colare uno schizzo di pomodoro che le s’infrange sul capezzolo. Mmmmhhhhh, mugugno io, sei tu poi che fra qualche mese, quando arriva la primavera cominci a rompere con la storia del culo grosso e i fianchi larghi e la faccia grossa, e tutte quelle cagate da donna con cui noi maschi dobbiamo fare i conti; forse anche un po’ per colpa nostra, penso senza far uscire un fiato, siamo noi che le vogliamo senza un chilo di grasso, tette perfette, culo ben fatto, anche se sappiamo bene che la maggior parte delle donne sono tutt’altro che perfette. Per esempio penso a Marina, una tipa con i baffi e il culo grosso, che viveva in via Filarete, coinquilina di un mio excoinquilino con cui ho avuto a che fare una sera di qualche anno fa, dopo una discussione sul suo grosso culo che all’epoca in realtà trovavo anche molto seducente. Marina la commessa, Marina la nana, Marina ossessionata dal

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[STORIE] SBEVACCHIANDO PESSIMO VINO

suo culo; probabilmente doveva essere alta un metro e cinquanta, aveva i capelli riccissimi, come una brasiliana, e sulla faccia si sbatteva tre dita di cerone che la facevano assomigliare a un puttanone. Ricordo che passavamo ore a discutere del fatto che lei pensava che a me non piacesse il suo grosso culone. Era una tortura! Quel giorno capii ch’era meglio tenere la bocca chiusa e se proprio dovevo esprimere un’opinione sul culo delle mie donne dovevo stare attento alle parole. Ogni donna ha i suoi difetti, ed è difficile pensare che loro non ne siano ossessionate, anche se magari fingono il contrario. A cosa pensi?, fa poi Lilli guardandomi perplesso. A niente. Cazzo sei uno stronzo, frigna lei, lo so che tu sei uno di quelli che se vede ingrassare la sua donna le fa il culo per una qualche stronzetta segalitica, e si avvia in cucina per prendere il pacco di biscotti ai cereali. Ma cosa cazzo dici, ribatto pensando che non vorrei mai trovarmi in questa situazione, per chi mi hai preso? è solo che…lo sai cosa voglio dire! No, non lo so cosa vuoi dire, cosa vuoi dire cazzo? Voglio dire che…ma porca puttana non lo so cosa voglio dire, ti amo piccola, questo voglio dire, perché dovresti prendere dieci chili? E’ quello che è successo alla Cinzia, sbotta lei strapazzando il biscotto tra i denti. Chi?, le chiedo cercando di assecondare la sua paura. Sei uno stronzo, mi fa mettendosi in bocca un altro biscotto. Passamene uno, le dico strappandole di mano il pacco. Come non ti ricordi di Cinzia?, mi dice ansiosa, la mia amica della scuola? Ah si!, faccio io, come sta? Beh, è ingrassata da morire e da quando è così non ha più il coraggio di farsi vedere dal suo uomo, e ci soffre da morire, e più soffre più mangia, e più mangia più si allontana da tutti. Non dico niente, penso a una mia cugina anoressica che ancora oggi mangia poco e quel poco che mangia lo vomita via subito dopo. La sua vita è un inferno ma lei non vuole saperne d’ingrassare, e a nulla sono servite le sedute dallo psichiatra che i miei zii si sono preoccupati di pagarle. E il suo uomo che dice, faccio poi tornando su Cinzia, dovrà pur soddisfare i suoi bisogni, no? Pensi sempre a quello, cinguetta Lilli incarognita. Anche lui stanne certa, le ripeto sarcastico.

Ma non capisci che il problema qui è di Cinzia, è lei che sta passando un periodo dimmerda, anche quando lui cerca di avvicinarla. Vi conosciamo voi uomini, l’importante è centrare il buco…, e mi guarda con i suoi occhi verdemare, insoliti profondi accusatori. I capelli neri e ondulati le coprono le spalle tonde, il naso piccolo e le labbra rosse s’incastrano nel volto leggermente nutrito, il sedere prosperoso e rotondetto per via della palestra che a periodi alterni Lilli frequenta, il seno piccolo sotto la maglietta col cigno che usa per dormire. Non so perché vi abbiamo dato tanto potere, frigna Lilli stanca di questa dieta iniziata da soli dieci giorni anche se in realtà non ne avrebbe bisogno per niente. Fortunatamente riesce ancora a controllarsi e a non ingozzarsi fino allo svenimento, anche se probabilmente questo suo autocontrollo finirà per fare altri danni, magari a livello emozionale o psicologico o sociale. È un casino non lasciarsi andare alla brama delle voglie, ed anch’io lo so bene, visto che non mi alzo neanche dal letto se non bevo un bicchiere di vino o mi scolo una birra. Comunque sto male per lei, per la Cinzia, mi fa poi Lilli cercando una sigaretta sul tavolino, e non sai che paura ho di finire anch’io allo stesso modo. Non voglio aver paura di farmi vedere o toccare da te, ci penso continuamente, non ci dormo più. Ma non devi, le dico sputando fuoco dalle mani per farla accendere, non devi aver paura di me, mai! Sembra facile a parole, frigna Lilli sbuffando fumo dal naso, ma siamo noi donne a sentirci dimmerda, a fare figli, a vederci ingrossate come balene, a cucinare, e sempre stato così: se un uomo mette dieci chili è affascinante, se li mette una donna è una vacca da pascolo. Non devi preoccuparti, le ripeto, tu mi piacerai sempre, e le pizzico il culo sballonzolante nella tuta. Lo so che non è così, mi dice, ma sei uno stronzocarino a dirmi queste cose, e cadendo sul divano abbarbicati l‘uno all’altro in effusioni erotiche e piccanti schiacciamo pizzette e biscotti sotto i nostri culi foderati. Si che è così, le dico, e poi non hai bisogno di nessuna dieta del cazzo, te l’ho detto!, e la prendo lì sul divano, stringendo quel poco di carne che spunta da sotto la maglia e mi fa godere da matti. [ ]

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[STORIE] SUONATORE D'AUTOBUS

suonatore d'autobus di Carlo Martinelli

Capitolo 5

Q

uando tornava era sempre notte, e non ricordava mai dove abitasse. così si fermava, e aspettava che arrivassero le lucciole/formiche che s’arrampicavano sui pali e accendevano i lampioni e allora lui s’alzava e andava. e si perdeva. aspettava il canto delle sirene per orientarsi e i pipistrelli che s’impigliavano nei capelli dei bambini bestiali che si tagliavano i capelli e gridavano e sanguinavano e lui li seguiva finchè l’ultimo pipistrello non era stato impiccato da un esercito bendato della protezione civile e il suono si era placato. e si perdeva e non si ritrovava davanti casa e picchiava alla porta ed apriva il vecchio che diceva: - e chi sei tui che picchi e picchi alla mia porta ! - e chi sei tu che gridi e gridi come se io fossi straniero

in casa mia ! - casa tua ! oh bella ! - che bella, oh bello ?! - questa casa è bella, bello straniero in casa mia ! e allora il signor prega bandiera lo afferrava e spingeva via ed entrava dentro. passava il resto della notte a spostare i mobili e disegnare finestre e arredi finché non sembrasse casetta bella, con nonna e ma’ che cucinavano le ranocchiette e i ricci di mare. finché le due vecchie che vagavano confuse nel paese vedendo questa bella casetta identica alla loro entravano e si salutavano e si abbracciavano con il giovane ritrovato. chissà dov’è ora quel povero vecchio sfrattato? riuscite a vederlo dall’alto? è lui, quel vecchio che

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[STORIE] SUONATORE D’AUTOBUS

poi lo tagliano a fette e lo sbattono nelle pentole e ridono e picchiano sui coperchi e danzando in cerchio gridano questa canzone”

s’avvicina alle alte torri dell’ovest che pian piano crollano? è lui, quel vecchio che sta al mare e sull’acqua cerca di afferrare il proprio ritratto? è lui, quel vecchio che non smette mai di scrivere il proprio nome sul suo stesso corpo e su quello di giada della donna che segretamente ama e non ama? è lui, quel vecchio che non riesce più a ricordare il viso di suo figlio eppure non fa altro che scuotere il capo e riderne? è lui, quel vecchio, oppure sono io? - ascoltate il suono del miracolo ! grida il bambinello fregaostiefotti dal balcone mentre sfrega le mani sulla ringhiere e sporge gli occhi fino in fondo all’esofago dell’orizzonte. - io riesco a vedervi dentro le vostre piccole case ! so di che pasta siete fatti ! vi sento parlare fin qui, sento il vostro odore ! so cosa state pensando, in ogni momento ! io vedo il vostro futuro e il vostro passato ! vi ho visti quando avete commesso il vostro primo peccato, e non smetterò di vedervi per quanto mi preghiate ! è inutile che continuiate ad affollarvi nelle chiese e nei cimiteri ! non sfuggirete al mio occhio con la morte, con la preghiera, con le orazioni ispirate ! io so cos’è che vi anima, so il vostro scopo. io so chi siete ! io lo so ! io vi vedo ! io vi vedo ! dannati ! santi ! guardatemi ! non lasciatemi solo ! vi prego ! sono solo ! sono disperato ! e si buttava a terra e afferrava più forte il ferro del balcone e chinava il viso e piangeva: - se potrò vi aiuterò ma non lasciatemi solo, sono anni ormai, che non so più dove, come, non so più per quale motivo, per quale senso, quando, e chi fu a dirlo, chi fu a farlo, cosa lo spinse e quanto, trovate un sistema qualsiasi e arrivate quassù, e scagliatemi in mezzo a voi, o sotto di voi, dove stanno le larve che si nutrono e s’accoppiano, nella fanghiglia !

- quante cose pensavo quando ero bambino, quante cose allegre. e non c’era nessuno ad afferrarle e decapitarle, come se fossero vespe sconsiderate. non c’era ancora nessuno a credermi sciocco. a credermi poco importante. a non credermi per niente. sai? - certo che lo so piccoletto ! devi essere fiero di questo pensiero ! ne devi andare fiero di questa saggezza, anche se non serve a niente ! - ma perchè ma’? perché? - hai visto quelle belle balene nel mare? quelle che salgono e scendono, e non annegano? hai visto quanto sono grasse e larghe e rumorose e sciatte? quand’erano piccole nessuno le vedeva, ora tutti le vedono, e sai cosa gli succede, eh? allora arriva nonna e butta sul tavolo il piatto, afferra la carne e la sbatte in faccia al signorino. - le ammazziamo ! le strangoliamo, le tagliamo, le sbucciamo, le cuciniamo, ce le mangiamo ! il povero signorino piange e grida ma nonna e mamma continuano a ridere e lanciargli addosso la carne di balena, la raccolgono da terra e gliela spremono sulla pelle. dopo pochi minuti la stanza è colma di sangue e carne e squame. - allora? vuoi ancora che tutto sia come quando eri piccolo? vuoi essere il cucciolo di balena? tu che ora sei una grossa balena sfatta? vuoi essere piccola e fresca? - sì ma’ ! per favore ma’ ! ti prego ma’ ! e allora nonna afferra un grosso uncino e lo lega al nylon e glielo cala in gola mentre mamma lo tiene stretto e lui gridacchia, il signor caccia viscere, ma si diverte. e poi lo tagliano a fette e lo sbattono nelle pentole e ridono e picchiano sui coperchi e danzando in cerchio gridano questa canzone: - povere, povere noi ! che abbiamo un figlio-balena, e ce lo mangeremo, e lo vomiteremo, e lui se ne andrà, e si dimenticherà di noi ! cos’abbiamo fatto ! dove abbiamo sbagliato ! - ma’ ti prego ! ti prego ma’ ! e commosse le vecchie raccolgono la carne la mangiano e la vomitano nel cesso, e nel cesso il signor schiorca vitelli scivola e finisce nel mare e nel mare sta, per lunghi anni. [ ]

- ma’, ma’. - che c’è piccoletto? JK | 63


oracoloscopo Le ultime notizie dalle stelle, scelte per voi da Franco LoScuro

A

RIETE

Soldi: grazie all’incrocio tra marte e venere che quasi quasi si toccavano, troverete una nuova banconota da 10 euro e scambiandola per la 50000 lire del monopoli la userete per fare filtri e aeroplani di carta che lancerete in pompa magna contro il regime di assad. Musica: giulio mi dice che c’è un problema al jack in ingresso sulla linea 4 tra il mixer e l’impianto.

T

ORO

Natura: scoprirete che i cachi sono tra i vostri frutti autunnali arancioni preferiti. Soldi: comprerete un furgone per vendere frutta e verdura da un ambulante, in questo modo potrete finalmente realizzare il sogno di vendere cachi per vivere. Il sogno dura poco, anche perché incontrerete delle difficoltà a rispondere alle pressanti richieste di spiegazioni delle vecchie su come si fa a capire se i cachi sono maturi o acerbi. Amore: i cachi vi regaleranno l’amore, nel senso che amerete i cachi per tutto il mese (farete l’amore sul furgone), poi loro vi tradiranno con la figlia del vicino, dettagli nell’oroscopo del mese prossimo.

G

EMELLI

Politica: incontrerete un tenente/colonnello italo-siriano che domani parte per una missione di addestramento dei guerriglieri curdi, epperò vi confesserà che i curdi gli stanno sul culo e che non ci pensa proprio a insegnargli niente di utile. Ricordatevi di votare per lui alle provinciali di antiochia. Tv: little tony sarà pure morto, ma la sua pesante eredità è stata fortunatamente già raccolta da un motivatissimo volon-

tario: tu. Dovrai quindi andare alla trasmissione di carlo conti sui sosia e dire che sei la reincarnazione di little t, e che vivi per il tuo ciuffo e anche altro che ti può venire in mente a tema.

C

ANCRO

Schettino: dopo aver commosso gli italiani coi suoi emozionanti racconti a report sulla mignotta moldava, deciderà di fare di voi il suo unico erede e di insegnarvi tutto quello che sa sulla nautica e sulle moldave. Foglie: le foglie possono essere verdi scure, verdi chiare o di altri colori non verdi. Ecco, voi questo non lo sapevate prima di adesso.

L

EONE

Spettacoli: diventerete famoso, se siete uomo. Se siete donna invece, diventerete uomo, e poi famoso. Travestitismo: questo mese vi piacerà travestirvi da antonella clerici e dire boiate e fare mossucce e ballare come un carillon ottocentesco mentre sarete imbrigliati da un vestito pastello vergognosamente tre taglie più piccolo della vostra.

V

ERGINE

Broadway: vi trasferirete in una strada con questo nome, a motta di livenza però. Tasse: ricordatevi di pagare la tasi, la tari, la tata, la tara, la alti tatra, la tratta degli schiavi, la tartare di fassona e la tatara corpulenta che avete abbordato su viale zara. Tortellini: mi piacerebbe che imparassi a farli a mano al posto di giovanni rana, così giovanni rana può finalmente ritrovare il tempo per fare le cose che gli piacciono davvero, tipo bruciare i campi rom.

JK | 64


B

ILANCIA

Stelle: le stelle dicono un sacco di cose interessanti, a saperle leggere. Dinaro: convertirete tutti i vostri averi (per la verità stiamo parlando di 400 euro) in dinari macedoni, perché è una moneta forte e anelastica alle fluttuazioni del dollaro e del brent e poi si sa che skopje è ormai la nuova copenaghen in termini di qualità della vita e poi come puoi non apprezzare una città dove la probabilità che gang di bestioni rasati e incattiviti ti rapinino o ti stuprino mentre ti insultano in slavo è maggiore che quella di trovare acqua potabile. Turismo: passerete l’estate a skopje cercando le spiagge, ma non le troverete forse, ma non necessariamente, perché è a 200km dal mare.

S S

COPRIONE

Caschi: deciderete di comprarne uno. La moto però no dai.

AGITTARIO

Sinodo: verrete nominati vescovo di kinshasa a metà settimana. Avrete da gestire un po’ di temi caldi prima di potervi recare a roma per il sinodo: la nomina dei sottosegretari alla difesa e agli esteri, trovare il legno per costruire una chiesa di legno, trovare il cemento per costruire una chiesa di cemento, trovare acciaio e vetro per costruire una chiesa di cemento, trovare il cemento per costruire una chiesa d’acciaio e vetro, trovare il vetro per costruire l’acciaio.

C

saturno verso metà settimana, con possibile intensificazione dei fenomeni. Possibilità di schiarite da ovest verso la fine della settimana.

A

CQUARIO

Turchia: attenti ai viaggi in turchia. Il segno d’acqua incrocia il segno d’aria nell’orbita di plutone: ne viene fuori un casino, da cui meglio evitare la turchia questa settimana. Settimana prossima invece vai tranquillo, anche tutta l’asia minore in generale dico, anzi quasi te lo consiglierei, sai, un giro in siria? Amore: dovete diventare sexy! Vedete voi come, inventatevi qualcosa, anche se siete brutti parecchio non fatevi scrupoli, mettetevi abitini scosciati e zeppona (soprattutto se siete donna), perché la luna si è messa in una posizione ambigua e quindi vi dovete tirare di brutto e capitalizzare le influenze lunari al più presto, buttarvi anche fisicamente sugli sconosciuti, anche perché poi la luna venerdì si sposta e tornano a essere cazzi come al solito.

P

ESCI

Amore: il passaggio di venere vi farà ritrovare il piacere della conquista e dell’innamoramento. Venere è il pianeta dei sentimenti, vero. Considerando però pure che è un pianeta con l’effetto serra e 92 atmosfere di pressione in superficie e 464 gradi c di temperatura media annuale, forse è meglio lasciar perdere l’amore ‘sta settimana va. [ ]

APRICORNO

Clima: pioverà su di voi per buona parte della settimana, indipendentemente da dove vi troviate e se vi spostiate. La scelta dell’ombrello, dunque, dal cingalese all’uscita della metro, acquisirà una speciale importanza nell’equilibrio della vostra settimana. Possibilità di fare amicizia/conoscenze dal cingalese. Grandi opportunità riservata dall’incrocio con l’orbita di JK | 65


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