JUST KIDS #10 Novembre-Dicembre 2013

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[sterilita’ del benpensare] sex on

vada vivremo dentro una scarpa monoposto, male che vada incontreremo una stronza che ci snobberà definendoci antiestetici. Perché tutte le volte l’incipit diventa uno sproloquio infinito? Quella dei calzini non voleva essere una metafora (GIURO), era solo un fatto realmente accaduto che mi ha ispirato. In definitiva però una metafora questi infelici calzini lo sono diventati e calzino spaiato docet che anche la coppia più ovvia del mondo tende, presto o tardi, a perdersi. Non parlo solo di coppie d’amore, di sesso, pseudo amore o pseudo sesso, parlo proprio della difficoltà di rimanere insieme in generale. Insieme a un’amica, una madre, una sorella o un amico, un padre, un fratello che siano. Insieme all’altro, insomma. L’altro che non ci somiglia, o forse sì, ma poi ha sempre quella sfumatura di nero più chiara o più scura della nostra. Non lo so, le cose da dire sarebbero tante. A qualcuno verrà in mente che dio santo potrei provare a dirne solo qualcuna, possibilmente esponendola in modo lineare e conciso. Non lo so, le cose da dire sarebbero tante. E io non sono il genio della scelta senza ombra di dubbio, si sa. Anche se scegliere, invece, in alcuni casi dovrebbe essere naturale e istantaneo. Scegliere (nella fattispecie scegliersi) non dovrebbe essere un’operazione di sofisticato e sapiente incastro di elementi, ma piuttosto dovrebbe essere UN MOMENTO. Uno esatto, quello e basta, riconoscibile e inconfondibile. Come dire: “ciao vorrei che fossi mia, mi vuoi? Sì, ti voglio e a questo

punto direi che sei mio anche tu”. Perché di base le persone vogliono essere volute. In mezzo ci possono stare le complicazioni, l’incomprensione, la distanza di sicurezza oppure il senso unico. In mezzo ci può stare il rischio di perdere l’occasione per i più diversi motivi, ma rimane il fatto che se il momento fosse stato quello lo si sarebbe dovuto sentire discretamente sulla pelle. In caso contrario, l’auto o l’altrui convincimento servono a poco. In caso contrario, se sembrava fosse il momento ma non proprio, allora significa che non lo era. Meglio lasciare in pace la povera sfortuna invece di scomodarla pensando che la sua attività preferita sia farci incontrare le persone sbagliate, che a quanto pare tra loro hanno una sola cosa in comune: avere incontrato noi. Il concetto si è palesato indirettamente tra le righe o devo proprio parlarne in modo esplicito? Devo davvero capovolgere senza mezzi termini la prospettiva intrinseca da cui nessuno osa allontanarsi? Ebbene: negli ultimi tempi sto cautamente prendendo in considerazione l’ipotesi che gli altri c’entrino poco. Forse, disgraziatamente, è il caso di rivedere il business plan del nostro modo di essere. Magari, sciaguratamente, non siamo poi così bravi a guardarci allo specchio prima di guardare gli altri che nascondiamo dietro il dito. È una tortura mettere in discussione tutto, capisco. È una rottura voltarsi indietro per vedere cose non viste e pensare “ah, ecco dov’è successo il fatto”. E poi scandagliare lentamente avvenimenti, comportamenti, sentimenti irrisolti e insicurezze fottute. Sì, ho detto fottute. Però freniamo, c’è un limite a tutto e persino l’autoanalisi spietata può essere resa magnanima. Dunque ammettiamo le sviste ma poi perdoniamoci. Sembro il Papa, ma fa niente. L’unica certezza è che quello che poteva essere fatto è stato fatto oppure non è stato fatto, in ogni caso non si può più fare ma la splendida notizia è che si può fare altro. Qualcosa di pericolosamente diverso. Si potrebbe iniziare col non fossilizzarsi nel proprio delirio. Perché probabilmente il nostro indirizzo civico non è il centro del mondo e, se si escludono gli enti pubblici o privati a cui dobbiamo dei soldi, nessuno lo troverà così facilmente. Se poi tendiamo a depistare, il destino si fa ancora più improbabile. Se poi pur di non stare fermi in un posto ci affezioniamo alle stazioni, ai non luoghi e alle non risposte può succedere di trovarsi indecisi tra restare, partire

JK | 93


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