Juggling Magazine #40 - september 2008

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22-09-2008

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Luke Wilson

Remi

Kelvin

www.lukewilson.de Insegno da 8 anni, da Circus Space a Stoccolma e in altre scuole, ma ho cominciato come un hobby juggler. Non sarei il giocoliere che sono adesso senza le tante convention cui continuo a partecipare e, sebbene non penso che tutto avvenga qui, mi piace ripagare quello che questa comunità mi ha dato. Il modo migliore per trasmettere la conoscenza è attraverso il contatto personale, su internet trovi poco circa la storia e molto sulla tecnica e sugli spettacoli, ma non puoi fare domande, non puoi capire come lavorare sulla creatività o la teoria della scena, la coreografia, la tecnica fisica e mentale. Cosa fa crescere l’arte è la comunicazione tra persone che praticano e che vogliono fare qualcosa in questo senso. Mi piacciono i trick, ma troppo spesso li osserviamo solo come effetto visual e non intellettualmente. In realtà sono più interessato a capire perchè qualcuno giocoli, o cosa stanno cercando di dire con la loro giocoleria. Così quest’anno alla EJC ho tenuto un workshop a numero chiuso dal titolo “Investigating Techique”, che esplora cosa succede nel cervello e nel corpo quando giocoliamo. Con un titolo così nessuno sapeva cosa significasse, era alle 10 del mattino, un orario dove tutti devono ancora carburare alle EJC, eppure tutti i 30 posti erano sempre pieni. È chiaro che le persone sono interessate, vogliono apprendere, e la loro attenzione è importante per me come insegnante.

www.myspace.com/remilaroussinie In questi anni c’è stata un’evoluzione della tecnica, e l’influenza di alcune discipline su altre, come ad esempio del contact con le palline sul contact con i bastoni e poi con le clave. Molte di queste cose credo siano nate tecnicamente da questo movimento amatoriale, e perfezionate artisticamente nelle scuole e dal lavoro di diverse persone, ma quello che noto è che ai workshop delle convention si pone poca attenzione sul processo di creazione. In realtà c’è molto interesse su questo ed è la ragione per cui tanti vanno a workshop come quello di Stefan Sing. Paragono i giocolieri e degli alberi, dove ci sono tante varietà e dove tutto dipende anche dal seme di origine. Così la mia pratica pedagogica passa per tre tappe: la prima è la preparazione corporale senza oggetto, fondamentale, e suggerisco per esempio di frequentare le lezioni di Hervé Diasnas, che ha inventato “la pratique”, una pratica magnifica che è la base del movimento del performer. La seconda è una preparazione con l’oggetto, dove si lavora sulla tecnica (il lavoro sulla gravità, lanciare bene le palline, far ben rotolare gli oggetti, etc.) e sulla ricerca (atelier artistici per accordare il corpo e l’oggetto, per permettere agli artisti di sviluppare la propria ricerca). La terza tappa è l’approccio artistico, l’aiuto alla creazione, che affronta le regole di base necessarie alla fabbricazione dello spettacolo, a rendere un progetto presentabile ad un pubblico. Qui si analizza un tema, si chiede agli allievi una scrittura e poi una messa in scena del proprio lavoro, si danno degli esercizi intorno al quale creare qualcosa di personale, quella che chiamo ricerca e improvvisazione, si stimola il confronto tra gli studenti.

www.kelvin-kalvus.de Il contact ha cominciato a diffondersi nella comunità dei giocolieri negli anni ’90, grazie anche al pezzo di contact con David Bowie che si vedeva in Labirinth. Quando ho cominciato nel 1996 eravamo in pochi e ci allenavamo da soli, mentre ora grazie a internet, workshop, libri, dvd sono in tanti e imparano in 2 anni quello che noi abbiamo appreso in 5. Alla convention di Cesenatico nel 2000 ho tenuto il mio primo workshop, poi altri alle EJC, e in seguito ho cominciato a tenere 2 o 3 workshop all’anno in Katakomben. Insegno 5, 6 volte all’anno, forse perché mi sento ancora più un artista. Ci confrontiamo tra insegnanti e abbiamo chiaramente diverse idee su come effettuare delle tecniche, ma fa bene agli allievi ricevere più interpretazioni. Agli allievi trasmetto le mie idee, che ritengo importanti, spiego le linee orizzontali e verticali, come fare dei cerchi intorno a queste traiettorie, come concentrarsi, essere vicini alla palla, entrare nella palla. Ognuno ha una sua forza interna, che dobbiamo imparare a gestire, a far fluire, per poter imparare a guidare le palline. La maggiore difficoltà che incontrano gli allievi è cercare di afferrare la palla o di andare dalla palla invece di equilibrarla; fanno delle mosse completamente sbagliate, come quella di abbassare il braccio per far rotolare la pallina, devono invece imparare a lavorare sulla gravità e a usarla. Non sono tanto i limiti fisici, ma il concepire un movimento insolito del corpo. Mi piace molto insegnare e una dei piaceri maggiori è scoprire alle lezioni dei veri talenti, tutti possono imparare, ma alcuni hanno già la manipolazione dentro, lo vedi già dopo poche ore, e da loro arrivano spesso anche spunti interessanti.

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