EDITORIALE Bruno Daniele_20_00021_UPD2021

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FIGURA 1. Curve di sopravvivenza dello studio REFLECT. Modificata da Kudo M et al. Lancet 2018

La non inferiorità del lenvatinib rispetto al sorafenib è stata dimostrata dalla sopravvivenza mediana che è stata di 13.6 mesi (lenvatinib) e di 12.3 mesi (sorafenib) (FIGURA 1).

QLQ-C30 - specificamente role functioning (attività lavorative e di svago), dolore e diarrea sono peggiorati più precocemente nei pazienti trattati con sorafenib nei quali si è anche osservato un deterioramento più precoce dei domini nutrizione e immagine corporea misurati con il questionario QLQ-HCC18. Sulla base di questi risultati il lenvatinib è stato registrato in numerosissimi paesi in tutto il mondo per il trattamento di prima linea dell’epatocarcinoma e nel 2019 l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ne ha approvato il rimborso per questa indicazione. Come accennato in precedenza, il pur ottimo risultato del lenvatinib nello studio REFLECT avrebbe potuto essere ancora migliore se alcune delle caratteristiche basali dei pazienti nei due bracci fossero state ancor meglio bilanciate.

Rispetto al sorafenib i pazienti trattati con lenvatinib hanno proseguito il trattamento per un periodo più lungo (5.7 vs 3.7 mesi) e hanno mostrato una superiorità in termini di sopravvivenza libera da progressione, tempo alla progressione tumorale e tasso di risposte misurate con i criteri mRECIST (24% vs 9%). Una successiva post-hoc analisi è stata condotta da un comitato indipendente di revisione delle immagini che ha confermato il maggior tasso di risposte ottenuto dal lenvatinib sia con i criteri mRECIST (40.6% vs 12.4%) sia con i RECIST 1.1 (18.8% vs 6.5%).

Specificamente, favoriscono un miglior risultato dei pazienti trattati con sorafenib i valori più bassi di alfafetoproteina e il maggior numero di procedure locoregionali o terapie successive e la maggiore incidenza di infezioni da HCV nel braccio trattato con sorafenib. Infatti le evidenze scientifiche indicano che il miglioramento della sopravvivenza indotto dal sorafenib è maggiore nei pazienti con infezione da HCV rispetto a quelli con infezione da HBV. Analogamente, è uniformemente accettato il valore prognostico dell’AFP che è addirittura incorporato in alcuni sistemi di stadiazione dell’HCC (es. CLIP score). Infine, l’associazione tra l’aver ricevuto trattamenti successivi e una migliore sopravvivenza è stata specificamente dimostrata nello studio REFLECT da un’analisi post-hoc. Questa analisi ha indicato che la sopravvivenza mediana dei pazienti trattati con due linee di trattamento nello studio REFLECT è di 20.8 mesi se hanno ricevuto in prima linea il lenvatinib e di 17.0 mesi se hanno rice-

Gli effetti collaterali sono risultati accettabili e gestibili. Gli effetti collaterali più comuni osservati con il lenvatinib sono stati l’ipertensione, la diarrea, l’anoressia e l’astenia. Mentre gli effetti collaterali più comuni con il sorafenib sono stati l’eritrodisestesia palmo-plantare, la diarrea e l’astenia. Nel complesso, il profilo di tollerabilità dei due farmaci è simile, ma favorisce il lenvatinib se si tiene conto della più lunga durata di somministrazione di quest’ultimo. Infatti, la percentuale di effetti collaterali, normalizzata in funzione della durata del trattamento, è stata inferiore nel braccio lenvatinib rispetto ai pazienti trattati nel braccio sorafenib (18,9 vs 19,7 episodi per paziente/anno). La valutazione complessiva della qualità di vita dei pazienti con i questionari EORTC QLQ-C30 e EORTC QLQ-HCC18 è risultata simile nei due gruppi. Tuttavia, i punteggi di alcuni domini specifici del questionario

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Editoriale - Maggio 2020 - www.eisairealpractice.it

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