La gioia
DI ESSERE CRISTIANI
Presentazione di S.E. Mons. Andrea Bellandi
La gioia di essere cristiani
Lettere ai catechisti
Volume 1
Identità e missione del catechista
Presentazione di S.E. Mons. Andrea Bellandi
probabilmente resterà appassionati.
Nicolò, socio in questo progetto, grado di realizzare questo mio sogno. va a lui per aver “sposato” messo
Nelle edizioni Itaca
Andrea Lonardo - Maurizio Botta
Le domande grandi dei bambini. Sussidio per la prima Comunione dei figli insieme ai loro genitori
1. Dal segno della croce alla Confessione
2. Da Gesù all’Eucaristia
tutti gli intervistati permesso di incontrare particolare Pietro Manganoni, Gigi Soldano, ha fornito la maggior parte delle pubblicazione. sempre sostenuto soprattutto di sempre che ancora prima di aver riservargli naturalmente.
José María Sánchez Silva Marcellino Pane e Vino. Libro più DVD del film
Dante Carolla
La gioia di essere cristiani
www.itacaedizioni.it/la-gioia-di-essere-cristiani
Prima edizione: dicembre 2020
© 2020 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati
ISBN 978-88-526-0668-7
Stampato in Italia da Modulgrafica Forlivese, Forlì (FC)
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Presentazione
Più di quarant’anni fa, e precisamente nel 1979, pubblicando l’esortazione apostolica Catechesi tradendae circa la catechesi nel nostro tempo, Giovanni Paolo II così scriveva:
La specificità della catechesi, distinta dal primo annuncio del vangelo, che ha suscitato la conversione, tende al duplice obiettivo di far maturare la fede iniziale e di educare il vero discepolo di Cristo mediante una conoscenza più approfondita e più sistematica della persona e del messaggio del nostro signore Gesù Cristo. Ma nella pratica catechetica, questo ordine esemplare deve tener conto del fatto che spesso la prima evangelizzazione non c’è stata. Un certo numero di bambini, battezzati nella prima infanzia, vengono alla catechesi parrocchiale senza aver ricevuto nessun’altra iniziazione alla fede, e senza aver ancora nessun attaccamento esplicito e personale con Gesù Cristo, ma avendo soltanto la capacità di credere, infusa nel loro cuore dal battesimo e dalla presenza dello Spirito santo; e i pregiudizi dell’ambiente familiare poco cristiano o dello spirito positivista dell’educazione creano subito un certo numero di riserve. E bisogna aggiungere altri bambini non battezzati, per i quali i genitori non accettano che tardivamente l’educazione religiosa: per certe ragioni pratiche, la loro tappa catecumenale si svolgerà spesso, in gran parte, nel corso della catechesi ordinaria. Inoltre, molti preadolescenti e adolescenti, battezzati e partecipi sia di una catechesi sistematica, sia dei sacramenti, rimangono ancora per
lungo tempo esitanti nell’impegnare la loro vita per Gesù Cristo, quando addirittura non cercano di evitare una formazione religiosa in nome della loro libertà. Infine, gli adulti medesimi non sono al riparo dalle tentazioni del dubbio e dell’abbandono della fede, in conseguenza dell’ambiente incredulo. Ciò vuol dire che la «catechesi» deve spesso sforzarsi non soltanto di nutrire e di insegnare la fede, ma di suscitarla incessantemente con l’aiuto della grazia, di aprire i cuori, di convertire, di preparare un’adesione globale a Gesù Cristo per coloro che sono ancora alle soglie della fede. Questa preoccupazione ispira in parte il tono, il linguaggio, il metodo della catechesi (n. 19).
Oggi questo giudizio appare non solo confermato, ma riveste ‒ è del tutto evidente ‒ contorni ancora più drammatici. Il processo di trasmissione della fede è diventato molto più complicato e assume, nella maggioranza dei casi, il carattere di una prima evangelizzazione. Non si tratta semplicemente di contenuti da dover comunicare, bensì di proporre la totalità dell’esperienza di fede, nelle sue dimensioni totalizzanti e umanamente significative.
In questa prospettiva, circa quindici anni dopo il testo di Giovanni Paolo II, in una conferenza svolta nell’ambito del Sinodo della diocesi di Roma ‒ tenuta il 18 gennaio 1993 ‒, l’allora cardinale Ratzinger così si esprimeva:
La catechesi è catecumenato. Essa non è mera lezione di religione, bensì il processo dell’inserire sé stessi e del lasciarsi inserire nella parola della fede, nella comunione di vita con Gesù Cristo. Della catechesi fa parte anche l’intimo avvicinarsi a Dio. Sant’Ireneo, inoltre, disse una volta che dovremmo abituarci a Dio come Dio nell’umanazione si è abituato a noi, agli uomini. Dovremmo abituarci alla natura di Dio, così da imparare a reggere in noi la sua presenza. Espresso teologicamente: dev’essere scoperta in noi l’immagine di Dio che ci rende capaci di comunione di vita con lui. La tradizione compara ciò all’azione dello scul-
tore che dalla pietra distacca pezzo dopo pezzo affinché divenga visibile la figura da lui prevista. La catechesi dovrebbe sempre essere un tale processo di assimilazione a Dio, perché certo possiamo conoscere solo ciò per cui c’è in noi una corrispondenza. «Se l’occhio non fosse solare, non potrebbe riconoscere il Sole», disse Goethe in riferimento a una frase di Plotino. Il processo gnoseologico è un processo di assimilazione, un processo vitale. Il noi, il cosa e il come della fede stanno insieme.
Si comprende, allora, come la figura del catechista assuma un significato e un valore assolutamente centrale in questo processo di trasmissione e di educazione alla fede. Non può essere semplicemente un “insegnante”, o addirittura semplicemente una persona disponibile di buona volontà che ama stare con i ragazzi o con i giovani, bensì occorre che sia innanzitutto un “testimone”, impegnato lui stesso con quella vita di fede che intende comunicare agli altri.
Lo ricordava Papa Francesco, nel suo Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale sulla catechesi, il 27 settembre 2013:
“Essere” catechisti! Non lavorare da catechisti: questo non serve! Io lavoro da catechista perché mi piace insegnare… Ma se tu non sei catechista, non serve! Non sarai fecondo, non sarai feconda! Catechista è una vocazione: “essere catechista”, questa è la vocazione, non lavorare da catechista. Badate bene, non ho detto “fare” i catechisti, ma “esserlo”, perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. Ricordatevi quello che Benedetto XVI ci ha detto:
«La Chiesa non cresce per proselitismo. Cresce per attrazione».
E quello che attrae è la testimonianza. Essere catechista significa dare testimonianza della fede.
E, nell’omelia della Santa Messa, celebrata due giorni dopo, sempre in occasione del Congresso, il Papa ribadiva:
Il catechista [allora] è un cristiano che porta in sé la memoria di Dio, si lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua vita, e la sa risvegliare nel cuore degli altri. È impegnativo questo! Impegna tutta la vita! Lo stesso Catechismo che cos’è se non memoria di Dio, memoria della sua azione nella storia, del suo essersi fatto vicino a noi in Cristo, presente nella sua Parola, nei Sacramenti, nella sua Chiesa, nel suo amore?
Cari catechisti, vi domando: siamo noi memoria di Dio? Siamo veramente come sentinelle che risvegliano negli altri la memoria di Dio, che scalda il cuore?
Questo orizzonte è ben presente nei due volumi che vengono ora pubblicati – il secondo uscirà a breve –, in cui sono raccolte le “Lettere” che monsignor Dante Carolla, per anni Direttore dell’Ufficio catechistico dell’Arcidiocesi di Firenze, ha inviato negli ultimi tre anni ai catechisti impegnati nelle Parrocchie e Aggregazioni laicali della chiesa fiorentina. Il primo, di primaria importanza, è dedicato all’identità e alla missione del catechista; il secondo ‒ anch’esso non meno significativo – è rivolto ai contenuti della catechesi. Il senso generale dell’opera può essere racchiuso nell’espressione, cara all’Autore, una catechesi della vita, con la vita e per la vita, che esprime bene quanto abbiamo sinteticamente sopra evidenziato, richiamandoci alle parole degli ultimi Pontefici.
Solo ed esclusivamente una catechesi che comunichi una vita e sia trasmessa dalla vita ‒ in questo caso, da quella dei catechisti ‒ può risultare una proposta umanamente significativa e perciò credibile anche per i ragazzi della cosiddetta Generazione Alpha ‒ come vengono talora chiamati –, ovvero i veri nativi digitali, quelli che hanno visto la luce dopo il 2012. Anche per loro, infatti, il fatto cristiano può e deve risuonare come “una buona notizia” che offre alla vita l’orizzonte della gioia.
Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno
Queste lettere ai catechisti della diocesi di Firenze sono nate tre anni fa da una situazione ben precisa.
L’ufficio catechistico diocesano ha sicuramente un legame con la realtà del territorio, ma inevitabilmente non è, e non può essere, collegato strettamente, incessantemente a tutte le singole comunità parrocchiali. Il mio desiderio, perciò, è stato quello di colmare quella distanza fra il centro e la periferia e sviluppare un dialogo che fosse un arricchimento, sia per l’ufficio, sia per le comunità locali. Ero convinto, cioè, che con questo dialogo, sia pure epistolare, l’ufficio diocesano si potesse arricchire della varietà e creatività delle singole realtà presenti sul territorio, a beneficio di tutta la diocesi, in particolare delle comunità più piccole o meno attrezzate, e d’altra parte anche le parrocchie potessero trarre giovamento dalle proposte, dai suggerimenti, dalle esperienze che potevano sorgere da questo osservatorio centrale che è l’ufficio diocesano.
In particolare sentivo il bisogno di liberare la catechesi, specialmente quella dei ragazzi, da uno schema di tipo scolastico che per la catechesi risulta decisamente inadeguato, rigido e addirittura, talvolta, controproducente.
Mi ricordo che tanti anni fa si diceva che “si andava a dottrina” riducendo così il cristianesimo, anche senza volerlo, a un sistema di pensiero, a una dottrina appunto. Certo, il cristianesimo è anche una dottrina, ma è molto di più, è una vita, una pienezza di vita.
Già al tempo del Documento di base, del 1970, intitolato Il rinnovamento della catechesi, cinquant’anni anni fa, i Vescovi italiani parlavano di questo. Al n. 55, Il Mistero fatto carne, scrivevano:
Del resto, tale è il mistero di Cristo: il Figlio di Dio, assumendo l’umana natura nell’unità della Persona divina, prende dimora tra noi, come Salvatore e Maestro ed entra, in forza del suo amore, nella esistenza di coloro ai quali si rivela, rivolgendo ad essi urgente appello per un nuovo modo di essere e di vivere. «Parola fatta carne» è il suo nome. E la parola di Dio «è viva ed efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; poiché essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e giudica i sentimenti e i pensieri del cuore». Cristo può essere accolto, se è presentato come evento salvifico presente nelle vicende quotidiane degli uomini. Per questo il catechista opera la verità nella sua stessa vita. La sua azione, del resto, è sempre un atto ecclesiale: è la testimonianza della perenne presenza di Cristo nella Chiesa e nella storia del mondo.
Questa concezione viene ripresa e proposta con forza anche dal recente Direttorio per la Catechesi, pubblicato dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Leggiamo, infatti ai numeri 197 e 198:
L’esperienza umana è costitutiva della catechesi, sia nella sua identità e nel suo processo, come pure nei contenuti e nel metodo, perché non è solo il luogo in cui far risuonare la Parola di Dio, ma anche lo spazio in cui Dio parla. L’esperienza dei singoli o della società intera va accostata con una attitudine di amore, accoglienza e rispetto. Dio agisce nella vita di ogni persona e nella storia e il catechista, ispirandosi allo stile di Gesù, si lascia raggiungere da questa presenza. Ciò libera dal pensare la persona e la storia solo come destinatari della proposta e apre a una relazione di reciprocità e di dialogo, in ascolto di quanto lo Spirito Santo sta già silenziosamente operando.
Gesù, nel suo annuncio del Regno, cerca, incontra e accoglie le persone nelle loro concrete situazioni di vita. Anche nel suo insegnamento, parte dall’osservazione di eventi della vita e della storia, che rilegge in ottica sapienziale. L’assunzione dell’esperienza da parte di Gesù ha qualcosa di spontaneo che traspare soprattutto nelle parabole.
Allora davvero la nostra catechesi deve diventare la catechesi della vita, con la vita e per la vita. Dice un grande monaco santo medioevale: Se Gesù è in vita, tanto mi basta”!
E quanto è puro l’affetto che così si esprime: «Se Gesù è in vita, tanto mi basta!». Se Egli vive, io vivo, poiché la mia anima è sospesa a Lui; molto di più, egli è la mia vita e tutto ciò di cui ho bisogno. Cosa può mancarmi, in effetti, se Gesù è in vita? Quand’anche mi mancasse tutto, ciò non avrebbe alcuna importanza per me, purché Gesù sia vivo»1.
O Gesù è la vita, la mia vita, o non è nulla, è solo uno dei tanti saggi di cui la storia umana è piena, ma che non salva nessuno.
Un secondo obbiettivo che mi ero posto con queste lettere era quello di contrastare una mentalità che credevo superatissima e invece mi sono accorto che era ed è tuttora tranquillamente presente e diffusa nelle nostre comunità. Mi riferisco a quella concezione negativa, moralista, del cristianesimo per cui spesso il messaggio cristiano viene interpretato come un insieme di permessi e di divieti, di costrizioni e imposizioni che finiscono per dare, specialmente ai giovani, l’impressione dell’oppressione, della minaccia e perfino dell’angoscia. In questo modo si mette fra parentesi proprio il nucleo centrale ed essenziale del kerigma, e cioè l’incontro vivificante e libe-
rante col Signore Gesù. Il cristianesimo è libertà e vita. Il catechismo, più che una conoscenza astratta, è un’esperienza concreta, è un incontro con il fascino, la bellezza, la gioia di Cristo Gesù Salvatore dell’uomo, di tutto l’uomo. Questa, e solo questa, è la vera conoscenza. L’amore è la più alta, la più vera forma di conoscenza. Per cui tutto ciò che è veramente umano mi appartiene, anzi solo Gesù, l’Uomo vero e intero, mi garantisce la pienezza della mia umanità. Il catechismo deve essere un’esperienza di bellezza, di gioia, di verità, di umanità.
Un terzo obbiettivo che mi sono proposto, per me particolarmente importante, anzi decisivo, è sottolineare che il catechismo non si identifica con l’IRC (Insegnamento della religione cattolica), ma è un’esperienza in cui il ragazzo scopre il valore vero e ultimo di tutto ciò che vive: la famiglia, la scuola, il gioco, lo sport, gli amici, il divertimento. «Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3, 23). Gesù, insomma, c’entra con tutto.
In un incontro per i catechisti che abbiamo organizzato qualche anno fa, mi ricordo che il relatore, il professor Franco Nembrini, raccontò di una visita di un sacerdote ortodosso alla sua scuola cattolica, nella diocesi di Bergamo. A un certo momento quel sacerdote ortodosso chiese dove era la cappella e il professor Nembrini rispose: «Vede, in questa scuola anche la matematica è cattolica!». E non è una battuta e nemmeno l’espressione di una visione integralista, bensì la testimonianza di una Presenza che dà consistenza a tutte le cose (cfr Col 1,17), come dice san Paolo, a tutti gli aspetti della vita.
In modo particolare sentivo il bisogno di liberare il catechismo da quella concezione di momento separato dalla vita reale, concreta. Per questo una particolare importanza la riservo alla famiglia perché è il luogo affettivamente decisivo della crescita del ragazzo e siccome si educa con la vita più che con i concetti, mi sembra decisivo restituire alla famiglia quel primato, quel ruolo determinante che ha e che solo essa può esercitare in maniera profonda ed efficace.
Se vogliamo che il nostro sia il catechismo della vita, dei fatti, della realtà, è necessario, fra l’altro, che il catechismo sia l’incontro con una comunità viva, una comunità che incarna, dà carne, dà visibilità al Mistero che annunciamo. Concludo con un’affermazione del recente Direttorio che riassume in poche righe tutte le preoccupazioni e gli obbiettivi che hanno ispirato queste lettere ai catechisti:
In altre parole, secondo un’accezione maturata in diverse Chiese, si tratta della catechesi di iniziazione alla vita cristiana. È un itinerario pedagogico offerto nella comunità ecclesiale che conduce il credente all’incontro personale con Gesù Cristo attraverso la Parola di Dio, l’azione liturgica e la carità, integrando tutte le dimensioni della persona, perché cresca nella mentalità di fede e sia testimone di vita nuova nel mondo (n. 65).
Dante CarollaLontano, Signore, lontano dal cuore del tuo servo che si confessa a te, lontano il pensiero che qualsiasi godimento possa rendermi felice. Questa è la felicità, godere per te, di te, a causa di te e fuori di questa non ve n’è altra.
S. Agostino
Nell’attuale contesto, il processo di trasmissione e di educazione alla fede assume, nella maggioranza dei casi, il carattere di una prima evangelizzazione.
In tale processo la figura del catechista riveste un significato e un valore assolutamente centrale. Non può essere semplicemente un “insegnante”, bensì occorre che sia innanzitutto un “testimone”, impegnato lui stesso con quella vita di fede che intende comunicare.
Anche per la generazione dei nativi digitali il fatto cristiano può e deve risuonare come “una buona notizia” che offre alla vita l’orizzonte della gioia.
Andrea Bellandi

Dante Carolla è sacerdote dal 1966. Canonico della Cattedrale di S. Maria del Fiore, ha diretto l’Ufficio catechistico dell’Arcidiocesi di Firenze dal 2008 fino a giugno 2020.

È direttore spirituale del Seminario Maggiore di Firenze e Assistente ecclesiastico dell’Ordo Virginum
€ 14,00