Bobo Torchiana. L’amore non fa mai male al prossimo (Filippo Ciantia)

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Filippo Ciantia

BOBO TORCHIANA

L’amore non fa mai male al prossimo

Questo libro appartiene a ____________________________________

BOBO TORCHIANA

L’amore non fa mai male al prossimo

Prefazione di Giovanni Gola

Pubblicare è dare alla luce.

Desideriamo mettere in luce parole che accompagnino le persone nella vita.

Questa è la responsabilità che abbiamo come editori.

Libri compagni di viaggio.

Nella collana Telemaco

Filippo Ciantia

Elio Croce fratello missionario comboniano

Padre Tiboni «uno tra i più santi uomini che abbiamo»

Il medico del popolo. Vita e opera di José Gregorio Hernández

A cura di Carlos Izzo, Leonardo Marius

Marcos Pou

La mia storia

Eugenio Dal Pane

Anna Sangiorgi. Non è mai troppo tardi per andare oltre

Filippo Ciantia

Bobo Torchiana. L’amore non fa mai male al prossimo www.itacaedizioni.it/bobo-torchiana

Prima edizione: maggio 2025

© 2025 Itaca srl, Castel Bolognese

Tutti i diritti riservati

ISBN 978-88-526-0802-5

Foto di copertina

Agosto 1993, Punta Pousset, massiccio del Gran Paradiso.

Stampato in Italia da Modulgrafica Forlivese, Forlì (FC)

Col nostro lavoro cerchiamo di rispettare l’ambiente in tutte le fasi di realizzazione, dalla produzione alla distribuzione. Utilizziamo inchiostri vegetali senza componenti derivati dal petrolio e stampiamo esclusivamente in Italia con fornitori di fiducia, riducendo così le distanze di trasporto.

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A Tobia che Bobo, notte e giorno, assieme ai suoi cari, veglia con amorevole cura

Prefazione

Guerre, drammi, tragedie, lotte per il potere, noncuranza o perfino disprezzo per la vita: questo è ciò che incontriamo ogni giorno sui giornali, alla tv, sui social e spunta – inevitabile – la domanda: ma in questo mondo non c’è più nulla di buono, di bello, che in qualche modo sia un vero segno della presenza di quell’Amore che ci ha amati e ci ama ad uno ad uno “nonostante tutto”?

Certo che c’è, ma è come se tutto congiurasse a tenerlo nascosto, quasi a farlo scomparire.

Questo libro è come una vetrina, una “mostra”, di quello che la potenza di quell’Amore riesce a compiere proprio in questo mondo.

Bobo era presente alla Settimana Responsabili del movimento di Comunione e Liberazione che si svolse ad Assisi nel 1973; c’ero anch’io, ma non mi ricordo di averlo incontrato.

L’ho conosciuto meglio quando abbiamo incominciato a frequentarci, qualche mese dopo, nella parrocchia di San Vittore a Milano, dove stavo cercando di raccogliere qualcuno che condividesse la proposta di don Giussani. Nel territorio di quella parrocchia c’era anche un tratto di viale Papiniano; così ci siamo incontrati e ci siamo conosciuti.

Anche se era ancora molto giovane, lo vedevo attento e

sensibile alle esigenze di chi incontrava, una attenzione che non si perdeva in discorsi, ma si faceva sempre concreta. Questa caratteristica non venne meno neppure nel tempo della sua esperienza professionale.

Era vera per lui quella frase che aveva imparato da don Giussani: «Ci si alza al mattino per andare a messa, per farsi curare, per andare a lavorare, per i figli… ci si alza al mattino per un’esplosione in sé stessi del fatto di Cristo».

Quello che in lui traspariva era la verità di quelle parole del salmo 50: «Rendimi la gioia di essere salvato». Era proprio l’esperienza che aveva toccato e cambiato gli anni della sua adolescenza e giovinezza.

In quegli anni in cui abbiamo vissuto vicini, anche di casa, Bobo si era dato da fare per iniziare un’opera di accoglienza innanzitutto per altri studenti che facevano fatica a trovare luoghi di abitazione. Ma aveva nel cuore un movente grande: «Papà, è una cosa strana, capisco le tue esitazioni, ma noi siamo veramente amici, anche senza conoscerci!».

Era questa certezza di ciò che il Signore opera tra noi che rendeva possibile quello che per tanti altri sarebbe stato impensabile e inattuabile.

Dopo il 1986 è stato per me molto più difficile partecipare alla vita di Bobo: ero stato trasferito come parroco a Rho – dove sono rimasto per quasi trent’anni – e il nuovo compito e la distanza fisica hanno reso più difficile e rarefatta la frequentazione. Ma non era facile dimenticare – tanto più che, dopo la sua prematura morte, ogni anno ci si trovava con tanti amici a celebrare la Messa di suffragio – la grazia grande che aveva accompagnato la nascita di Teresa; non era facile non provare stupore di fronte alle parole di chi aveva avuto accoglienza, come gli albanesi, che sembravano riproporre la stessa domanda che la gente si poneva davanti a Gesù: «Ma chi è costui?»; non era facile dimenticare, per

esempio, la dichiarazione di Valentina: «Io ho avuto la fortuna di poter scegliere se vivere o morire e voi tutti mi avete aiutata a fare l’unica scelta giusta».

Ascoltando – in quegli incontri per il suffragio – vicende e ricordi della vita di Bobo, era facilissimo rendersi conto della verità che diceva spesso suo cognato Daniele Pellegatta, anche lui medico e amico mio: «La medicina non è una scienza, è un’arte». È un’arte la cura per il malato e non solo per la malattia; è un’arte perché mira a ristabilire la salute, cioè i parametri fisiologici, gli aspetti psicologici, la relazione con l’ambiente e con le altre persone; è un’arte perché una cosa è “essere ammalato”, in quanto riconoscimento della malattia da parte del medico, altra cosa è “sentirsi ammalato”, in quanto esperienza e vissuto personale. Il medico deve avere la capacità di instaurare un rapporto di empatia, avere cioè la capacità di sentire dentro, di comprendere i pensieri, gli stati d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona – il malato – in modo immediato, talvolta senza far ricorso alla comunicazione verbale: in questo Bobo riusciva benissimo!

Leggendo questo libro – a tratti commosso e trattenendo le lacrime perché, nonostante l’età, in questo mi sento un po’ come Bobo (“i maschi non piangono”) – ho trovato riposta alla domanda iniziale: «Ma in questo mondo non c’è più nulla di buono, di bello, che in qualche modo sia un vero segno della presenza di quell’Amore che ci ha amati e ci ama ad uno ad uno “nonostante tutto”?».

Sì, in questo mondo c’è sempre – basta che lo sappiamo cercare e guardare – qualcuno o qualcosa che è segno di quell’Amore che ci ama oltre ogni nostra attesa e ogni nostra speranza.

Ripensando a Bobo, mi appaiono molto vere – vere anche per me – le parole che scrisse a Nicoletta e ai figli dall’o-

spedale Humanitas di Rozzano: «Certo il dolore di non vederci “fisicamente” è grande, di non poterci accompagnare mano nella mano è struggente, ma Lui che può tutto mi farà più ancora che compagno della vostra strada… Insieme con Lui tutto è più bello, anche una vacanza, anche una gita, anche un distacco. Non abbandonate questa compagnia di amici: qui c’è Lui, state sicuri».

È questa l’unica ragione per cui ho accolto l’invito a scrivere questa pagina: che nessuno di noi abbandoni quella Compagnia di amici che è “segno” della presenza di Cristo, quella Compagnia di amici di cui fa parte anche Bobo, che – “facendo il salto” – già ci mostra la strada.

Ringraziamenti

Questo libro nasce nel pomeriggio di sabato 12 aprile 2024. Prima della seconda lezione degli Esercizi della Fraternità di Comunione Liberazione a Rimini, Teresa Torchiana esegue un canto popolare alla Madonna del Rocío: «una preghiera a Maria per chi mi fece conoscere il Rocío», il bianco santuario presso Almonte in Andalusia. Sugli schermi scorre la traduzione delle parole del canto. Vengo colpito da alcune parole. «[Mio padre] mi mise sulle spalle, perché potessi vederla da lontano… mi diede ciò che più amava: la Vergine del Rocío. […] E io Le dissi il primo ‘Evviva’».

Mentre Teresa canta, capisco che si rivolge a suo papà, Bobo Torchiana, cui è dedicato il gruppo di fraternità cui appartengo.

Infatti, poco dopo la sua prematura salita al cielo, impressionati dalla sua testimonianza, i membri del gruppo di fraternità scrissero:

Noi amici del gruppo di fraternità di Comunione e Liberazione cui Bobo apparteneva, abbiamo deciso di affidargli il nostro cammino di santità dando al nostro gruppo il nome “Amici di Bobo Torchiana”. Questo nome ci aiuta a camminare più sicuri e certi, perché Bobo ha vissuto in modo personale e lieto il cammino di santità che Dio aveva scelto per lui, dentro un’offerta continua resa possibile dall’appartenenza alla fraternità stessa. Una appartenenza mai sentimentale, fat-

ta di obbedienza, di sacrificio di sé, di gioia della compagnia, in Cristo.

Devo innanzitutto ringraziare Nicoletta, le tre figlie, Maria Cecilia, Lucia e Teresa e il figlio Pietro, perché mi hanno concesso il permesso e l’onore di raccontare la vita di Bobo. Ho ripreso tutti i documenti disponibili, soprattutto un libretto preparato subito dopo la sua morte, che raccoglie in modo ragionato testimonianze e documentazione preziosissime. Oltre a intervistare i familiari, tra cui ringrazio particolarmente Luisella, sorella di Bobo, ho incontrato i suoi molti amici, colleghi, compagni di studi e di operosità sociale.

Un grande incoraggiamento a intraprendere questa avventura di amicizia, mi è venuto dal carissimo Francesco Inguanti, persona dalla finissima cultura e sapienza. Provvidenzialmente, nel mese di maggio, per la presentazione di un mio libro, sono stato suo ospite a Palermo. Ho così scoperto la sua lunga e profonda amicizia con Bobo e Nicoletta, che proprio in Sicilia hanno vissuto la loro luna di miele. A Francesco devo non solo lo stimolo a raccontare la storia di Bobo, ma anche alcuni preziosi consigli. Con lui ricordo la sua sposa Lella, grande amica di Nicoletta e già in cielo con Bobo e tanti nostri amici.

Mi sono trovato ad essere come un archeologo che cerca un tesoro e scava nella terra della memoria. Incontro dopo incontro, mi pareva di scoprire sempre qualcosa di nuovo. Trovavo gioielli inattesi, bellissimi, piccoli e preziosi. I gioielli più preziosi sono piccoli! Ogni volta mi pareva che un po’ più in là potesse esserci un tesoro più grande. E, allora, avanti, scaviamo un altro metro! Poi ho dovuto fermarmi perché era necessario lasciare al lettore di scoprire – o ricordare – quello che manca ed è ancora nascosto.

Tra le tante scoperte, mi ha particolarmente colpito il fatto che le edizioni San Paolo abbiano pubblicato nel 2006 un libro che, tra le tante biografie di esemplari testimoni e protagonisti di fede e di virtù apostolica fino all’eroismo della santità, presenta tre figure della vita del movimento di Comunione e Liberazione: il fondatore, il Servo di Dio Luigi Giussani, don Francesco Ricci e Francesco “Bobo” Torchiana. Ringrazio Pierangelo Fiorini che ha voluto che la “straordinaria figura” di Bobo illuminasse gli anni molto particolari in cui visse1.

Ringrazio ciascuna persona incontrata. La maggioranza è citata nel testo: mi scuso per eventuali omissioni o dimenticanze. Vi sono profondamente grato.

Negli ultimi mesi di vita Francesco ha incontrato moltissimi amici, conoscenti, colleghi, parenti. Per tutti ha avuto parole preziose, che rimangono un patrimonio personale e solo in alcuni casi condiviso. Nel settembre del 2000 scrive alle suore Graziella e Carmela della Casa Don Bosco di Triuggio esprimendo la sua gratitudine per la concreta partecipazione alla sua malattia con le preghiere e il sacrificio. Ci sono scambi epistolari tra Bobo e compagni di studi, di professione, amici del gruppo di fraternità. Tra di loro Peppo Bonforte, Guido Andreani e Patrizia Bozzetti, Giancarlo Cesana, Luisa Soavi, Danilo Andreani, Patrizia Mascioli e molti altri.

Grazie a Giovanna Paini in Andreani che, due settimane prima della morte di Bobo, il 7 gennaio 2001, gli dedicava questa poesia.

1 P. Fiorini, Francesco “Bobo” Torchiana», in Testimoni della Chiesa italiana. Dal Novecento ai giorni nostri, a cura di E. Guerriero, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006, pp. 147-152.

Amico mio

amico nostro quando eravamo ragazzi e ci incontravamo a pregare Chi aveva unito le nostre strade, non pensavamo al Destino preparato per ognuno di noi.

Certo sapevamo già che Lui voleva tutto di noi.

Sapevamo già che gli avremmo dato tutto di noi.

Adesso però, non ci aspettavamo che ti chiedesse di lasciarci, che ti chiedesse tutto, fino all’ultimo respiro.

Siamo attoniti e un po’ spaventati che sia arrivato così veloce il tuo momento.

Vorremmo che non fosse vero.

Ma sei tu stesso

a consolarci col tuo sorriso perché sei certo che il tuo destino è buono, e pensato per te. E noi, che abbiamo pregato tutte le sere insieme nelle nostre case, continuiamo a pregare perché il miracolo della tua letizia avvenga anche per noi.

Come la figlia Maria Cecilia, anch’io desidero che non sia avvenuto invano il passaggio sulla terra dell’amico e fratello Bobo.

Se la memoria non è piena della storia, della storia della tua vita e della storia della Chiesa; se la memoria è vuota, ci entra il diavolo, la menzogna che separa dalla realtà (diavolo vuol dire colui che divide). Mentre, se il cuore e la mente sono pieni della storia, cioè dei miracoli che Dio ha fatto nella tua vita, il diavolo arriva, si arrabbia e se ne va. È la memoria […] la ricchezza del passato che dà vita e vigore al presente e riattizza continuamente la speranza per il futuro2.

2 Don Ambrogio Pisoni, L’esperienza di sequela e amicizia con don Luigi Giussani, Notte dei Santi, 31 ottobre 2014, Pieve di San Valentino, Santuario diocesano del Beato Rolando Rivi, Castellarano (Reggio Emilia).

XVII.

XVIII. «Vai avanti»

XIX. Fare il bene gratuitamente

XX. «Tutto, intorno a me, dice che sei con me sempre»

XXI. «Il “sì” al Suo volere»

Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei creatura finita.

Sono nato e mi sento dissolvere.

Mangio, dormo, riposo, cammino, mi ammalo e guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica.

Poi muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccati.

Ma io che cosa ho più di loro?

Nulla, se non Dio.

Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita.

Gregorio Nazianzeno

Bobo aveva a cuore questa preghiera che conservava nel suo Libro delle Ore.

Francesco Torchiana è stato un uomo come noi, eppure qualcosa lo rendeva speciale.

Aveva molto chiara in sé la coscienza della vita come compito e, per svolgerlo fino in fondo, aveva lo sguardo sempre fisso a Colui che glielo aveva dato: Gesù Cristo.

«Ripensando a Bobo, mi appaiono molto vere le parole che scrisse a Nicoletta e ai figli dall’ospedale Humanitas di Rozzano: “Insieme con Lui tutto è più bello, anche una vacanza, anche una gita, anche un distacco. Non abbandonate questa compagnia di amici: qui c’è Lui, state sicuri”».

Filippo Ciantia ha vissuto per trent’anni in Uganda con la moglie e i suoi otto figli lavorando prima come medico per conto di Ong come Cuamm e Avsi, poi come direttore del Dr. Ambrosoli Memorial Hospital. Ha scritto La montagna del vento. Lettere dall’Uganda, Il divino nascosto. Storie di eroico quotidiano, Padre Tiboni «uno tra i più santi uomini che abbiamo» e Elio Croce fratello missionario comboniano.

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