Sofà #14

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6-06-2011

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tivi che travalicano gli angusti confini della rigida ripartizione delle arti in generi. «L’arte è sempre indagine sul linguaggio» né può essere un abbandonarsi all’intuizione poetica dell’istante e men che meno soltanto una questione di «superficie fine a se stessa», afferma Paladino. Al di là dell’individuazione di nuovi idiomi, molte tra le opere paladiniane rievocano questioni reali e narrano di principi universalmente validi. Tra queste ancora la Montagna di sale che, per l’artista, riproduce «un’opera popolare che ha bisogno di un luogo pieno di gente» e, attraverso il medium del sale trasportato dalla Sicilia a Napoli e poi a Milano, ha inteso anche unificare idealmente la penisola in occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia. Vi è, in particolare, un’altra invenzione del maestro beneventano, realizzata nel 2008, che costituisce un modello di allarmante attualità: la Porta di Lampedusa, porta d’Europa, un monumento che si staglia al centro del Mediterraneo, su un faraglione dell’isola in prossimità delle coste della Tunisia, per ricordare i migliaia di esuli e migranti senza nome che negli ultimi decenni, e pure al momento come tragicamente noto, hanno perso la vita nelle traversate della speranza. Simile alle entrate trionfali dell’antichità ma qui declinata senza

enfasi attraverso un lessico sobrio e rispettoso della umana sciagura, la porta di cinque metri per tre si affaccia sulle coste africane a configurare il varco di una dimora o di un paese, di una nazione o di un continente che si spalanca per dare ospitalità ai forestieri. Realizzata con una particolare ceramica molto resistente in un laboratorio di Faenza e montata nella tenuta dell’artista a Paduli, la Porta della Speranza, che assorbe e riflette sia i raggi del sole sia i bagliori lunari, esibisce nel doppio fronte, a compendio di una pagina di Storia tristemente trascurata, gli elementi-simbolo di questa diaspora della povertà. Sagome di volti mai conosciuti, lacerti di pesci, allineamenti di mani senza corpi che implorano assistenza, brandelli di oggetti appartenuti ai martiri del mare come calzature che si alternano ai cocci di utensili a rimembrare gli infiniti reperti d‘arte affiorati dalle imbarcazioni greco-ellenistiche che per secoli hanno solcato queste acque e giacciono nei fondali. Un riepilogo per immagini di una inaccettabile sciagura umana; un ammonimento per non dimenticare e per congiungersi idealmente a tutti quegli uomini, donne e bambini che non hanno neppure una lapide che possa onorarli.

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