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nella

Sofà

la storia della lira

Sofà

repubblica Italiana

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Anno V Numero 14 2011

TRIMESTRALE DEI SENSI NELL’ARTE

Eventi Salone del libro Torino, la carta va

Grandi mostre

PIER PAOLO PUXEDDU+FRANCESCA VITALE STUDIO ASSOCIATO

Conforti: Vasari fabbriche & scritti

le Ultime Coniazioni

Il corpo dell’arte

Dalla Zecca dello Stato, la nuova emissione celebrativa dedicata alla Lira realizzata in oro dal materiale creatore originale.

Mimmo Paladino l’artista errante

Gli esemplari della Lira - le Ultime Coniazioni sono coniati in oro fondo specchio nelle dimensioni delle monete originali e nel loro ultimo anno di emissione.

Un caffè con

Tiratura limitata e numerata con certificazione dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Collezione completa: 1999 esemplari, Collezioni singole: 1999 esemplari ciascuna.

Paolo Baratta Biennale, e luce sia

Il tributo più prezioso alle ultime monete che abbiamo tenuto fra le mani prima dell’avvento dell’Euro. www.editalia.it

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anni di unità

Una medaglia per l’anniversario realizzata dalla Zecca Eventi e manifestazioni lungo lo Stivale


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la storia della lira

la storia della lira

U nità d’ I talia 150° 1861-2011

nel Regno di

ViTTORIO Emanuele III

anniversario

Le più belle monete del “Re numismatico” L’Arte, i valori e la storia della nostra Nazione da ammirare nello splendore dell’oro.

Gli esemplari della Lira di Vittorio Emanuele III sono coniati nelle dimensioni originali, in oro 900‰

Tiratura limitata

Presidenza del Consiglio dei Ministri Comitato per le Celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia

È questo il significato della collezione che Editalia dedica all’Unità d’Italia, e che si identifica con lo spirito delle celebrazioni del 150° Anniversario. Un percorso scandito dalle riconiazioni della prima moneta dell’Italia Unita [ 5 lire del 1861] considerata molto rara nell’ambiente del collezionismo, e da quelle per gli anniversari del cinquantenario [ 50 lire del 1911] e del centenario [ 500 lire del 1961].

Con la Lira di Vittorio Emanuele III, l’ultimo re a battere moneta prima dell’avvento della Repubblica, l’Italia tornò ad esprimere dei veri capolavori degni della più grande tradizione artistica nella quale il nostro Paese vanta da sempre un primato internazionale.

Caratteristiche dell’opera

Con il patrocinio di:

La storia, il presente e il futuro della nostra Patria

Garanzia dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello stato Il certificato di provenienza e autenticità attesta la provenienza e le caratteristiche tecniche delle coniazioni, la dimensione, il peso, il titolo dell’oro e la tiratura limitata

Collezione: 1999 esemplari Serie singole: ciascuna 1999 esemplari

5 LIRE 1861

50 LIRE 1911

Scudo Unità d’Italia

Cinquantenario dell’Unità d’Italia

500 LIRE 1961

Centenario dell’Unità d’Italia

Un privilegio esclusivo A tutti i collezionisti sarà consegnata la speciale coniazione in argento emessa quest’anno per celebrare il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.

PIER PAOLO PUXEDDU+FRANCESCA VITALE STUDIO ASSOCIATO

Tiratura limitata La collezione è stata realizzata in 2011 esemplari certificati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Gli esemplari delle monete sono coniati nelle dimensioni e nei metalli originali, in oro 900‰ e in argento. Cofanetto personalizzabile.

NCompleta

l’opera il volume

Le lire dell’Italia unita curato da Silvana Balbi de Caro Il volume di pregio, creato appositamente per questa occasione, percorre un’inedita storia della moneta italiana dalla nascita, al Regno e alla Repubblica, con particolari approfondimenti sulle monete presentate. Tiratura limitata

www.editalia.it

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PIER PAOLO PUXEDDU+FRANCESCA VITALE STUDIO ASSOCIATO

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Una collezione unica e preziosa Nove monete, selezionate fra le piÚ significative dal punto di vista storico e artistico del Regno di Vittorio Emanuele III, costituiscono questa inedita collezione con la quale Editalia e l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato proseguono e arricchiscono il progetto della Storia della Lira. www.editalia.it

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LA

LIRA SIAMO

UN’OPERA D’ARTE IN FORMA DI LIBRO

NOI

Un prezioso album dei ricordi con una copertina scultorea interamente realizzata a mano: un bassorilievo in argento che raffigura la dea Minerva sul verso delle 100 lire del 1955. All’interno, fotografie che raccontano la grande storia e le storie di tutti i giorni. E insieme immagini insolitamente ravvicinate di monete e banconote della Lira, per una spettacolare e inconsueta galleria d’arte.

Il bassorilievo è realizzato in argento patinato a mano. Il volume di grande formato (29 x 39 cm) è composto da 324 pagine stampate su carta pregiata, con oltre 400 fotografie in bianco e nero e a colori. Rilegatura in pelle serigrafata, con impressioni in argento sul dorso. Un cofanetto in plexiglass permette di custodire ed esporre, come su un moderno leggio, il prezioso volume. Tiratura limitata: 4999 esemplari

Con il patrocinio di: Presidenza del Consiglio dei Ministri Comitato per le Celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia

Viale Gottardo 146 00141 Roma www.editalia.it

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editoriale

IL VALORE

L

della nostra identità

La stella, emblema dell’Italia fin dal Risorgimento, e la ruota dentata, richiamo alla Repubblica fondata sul lavoro. Il ramo d’ulivo a rappresentare il valore indiscusso della pace, e la quercia, immagine della dignità del popolo italiano. Sono i simboli che incorniciano l’esile profilo dell’Italia sulla medaglia celebrativa del 150° anniversario dell’unità d’Italia. La medaglia, con la quale si chiude la serie di copertine dedicate ai tre cinquantenari, è stata realizzata da Editalia e dalla Zecca su modello della scultrice e medaglista Laura Cretara ed emessa per la presidenza del Consiglio dei ministri. La rappresentazione dei valori dell’Italia odierna è ancora una volta affidata ai rilievi di una medaglia come accadeva secoli fa nelle corti rinascimentali italiane. Circolerà oltre i confini nazionali, memoria dei valori simbolici su cui è fondata la Repubblica, ma anche in rappresentanza della grande tradizione artistico-artigianale italiana interprete della vitalità creativa e produttiva del saper fare italiano. Ma la capacità di realizzare opere che parlano il linguaggio della tradizione si accompagna in Editalia alla creazione di opere che usano linguaggi e tecniche innovativi. In questi giorni, ad esempio, alla triennale di Milano è esposto “Art passion”, il libro d’artista in tre volumi sui giovani artisti mediorientali realizzato dalla nostra azienda per Campari, con il quale il curatore Marco Milan ha realizzato un’istallazione sul tema del viaggio. Il nostro lavoro, dunque, colma lo spazio che c’è fra una tradizionale medaglia celebrativa e un innovativo libro d’artista fotografico. Innovazione, tradizione e qualità, valori italiani ancora oggi capaci di generare l’eccellenza del nostro paese e che sono stati al centro della riflessione sviluppata nella recente “convention” Editalia tenutasi a Scilla per festeggiare i buoni risultati di questi anni e riflettere sulle radici profonde di questo successo. La nostra convinzione è che Editalia esprima, nelle proprie opere e nel proprio stile d’impresa, quei valori italiani che fanno del nostro paese un’eccellenza mondiale. L’Italia è vincente quando fa l’Italia. Non solo nei tempi passati e non solo nel mondo dell’arte e della cultura, ma anche nel presente e in contesti quali scienza e tecnologia. Editalia, dunque, è parte di un paese che rispettando i propri valori ha successo.

Fa piacere in chiusura riportare un pensiero espresso dalla professoressa Rossana Pace, presidente delle Eccellenze italiane, che partecipando al nostro convegno ha evidenziato come in un mercato della comunicazione sovraffollato da contenuti negativi e disvalori, la proposta Editalia rappresenta un raro esempio di testimonianza e racconto positivo e non retorico del nostro paese. Per questo incontra il favore dei nostri collezionisti che, coadiuvati dal lavoro capillare e responsabile della nostra rete di agenzie sul territorio, apprezzano ogni giorno di più i valori dei quali ci facciamo interpreti. Grazie a tutti i colleghi e grazie agli agenti Editalia. E soprattutto grazie ai 50mila collezionisti che in questi ultimi anni hanno scelto le nostre opere.

Marco De Guzzis Amministratore delegato Editalia

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sommario 52

NOTIZIE

PRIMO PIANO

PERSONAGGI

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Cronache d’arte Rainaldi celebra il beato Wojtyla, polemiche per la sua statua

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Fotografia Jerry Uelsmann, surrealismo contemporaneo

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Esposizioni in Italia e all’estero Lotto a Roma, Norfolk a Londra

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Eventi L’identità nazionale nella nostra valuta Torino, la fabbrica delle celebrazioni Fiorenzo Alfieri, gli obiettivi di Esperienza Italia Salone del libro, letture edificanti Edmondo De Amicis, cuore della lingua Le interviste possibili: padri della patria/3 Camillo Benso conte di Cavour

16

Grandi mostre/1 Giorgio Vasari, il padre degli Uffizi

30

Grandi mostre/2 Tamara De Lempicka, la diva virile

34

Grandi mostre/3 Carla Accardi, sintesi e contraddizione

38

Conversando sul sofà Ugo Riccarelli: “Er papa se n’è ito”, ecco una bella storia

42

Un caffè con Paolo Baratta, la macchina del vento scuote la laguna

48

Il corpo dell’arte Mimmo Paladino, un guerriero dell’oggi

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L’arte prende corpo Chan Kwok Hung, il fascino degli estremi

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78 BELPAESE

I luoghi del bello/1 Palazzo Carignano, la dimora dell’Italia unita

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I luoghi del bello/2 Museo di porta san Pancrazio, l’eredità di un eroe

68

EDITORIA & ARTE L’arte del libro/5

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Flaminio Gualdoni, codici da collezione

ARTE & IMPRESA

IN CHIUSA

Speciale 150° 1861-2011, nel segno della lira

74

A regola d’arte/1 Unioncamere, le radici del nostro futuro

78

A regola d’arte/2 “Convention” Editalia, valori italiani

80

Comunicare ad arte Nivea, cento di questi anni

83

I mestieri dell’arte Symbola, la cultura che si mangia

86

Il motore dell’arte Art forum Würth, il tesoro di Capena

89

Cose dell’altro mondo Arte da Israele, la tradizione del futuro

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In cassaforte Febbre gialla

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cronache d’arte Rainaldi celebra il beato Wojtyla, polemiche per la sua statua A diciotto giorni dalla beatificazione di Giovanni Paolo II, sul piazzale della stazione Termini è stata inaugurata la scultura in bronzo di Oliviero Rainaldi, alta più di 5 metri, al centro di un’aiuola di rose. Conversazioni, questo il titolo dell’opera dono della fondazione Silvana Paolini Angelucci Onlus e dell’artista a Roma, ha riscosso varie critiche dalla cittadinanza e dalle gerarchie ecclesiastiche. C’è chi dice «sembra Megamind» e chi critica la posizione della statua perché «dà le spalle alla stazione e non accoglie con lo sguardo chi arriva in città». Ma c’è anche chi si dichiara soddisfatto. A fronte di polemiche e critiche lo scultore abruzzese – che vanta una lunga biografia ecclesiastica – ha valutato la possibilità di spostare la statua, vista anche l’ipotesi di un referendum cittadino lanciata dal sindaco Gianni Alemanno a cui replica: «Forse pecco di memoria, ma dove si è vista una cosa del genere? Non facciamo i pellegrini, la mia opera resterà nella storia». (S. U.)

ietro l’inaugurazione del ponte della musica a Roma si sono avute non poche polemiche. Problemi organizzativi e di gestione hanno fatto slittare l’inaugurazione dal 21 aprile al 31 maggio. Il sindaco Gianni Alemanno ha giustificato il ritardo con le falle al rivestimento in legno che serviva a ricoprire la zona preposta al camminamento pedonale: una partita di doghe e assi provenienti dall’Oriente. Il ponte della musica, dal costo di 8 milioni di euro e dalla lunghezza di 190 metri, fa parte del progetto

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Inaugurato a Roma il ponte della musica

Navetta dei musei, un percorso “ad hoc” che collega l’Auditorium con la galleria nazionale d’arte moderna di villa Giulia, il Maxxi (Museo nazionale delle arti del XXI secolo), lo stadio Flaminio e i Musei vaticani, passando appunto per il ponte sul Tevere. Il progetto è stato elaborato dall’Agenzia per la mobilità per valorizzare la vocazione del nuovo ponte, pensato per collegare la zona del Flaminio a quella del Foro Italico, dando continuità al circuito museale di Roma nord. (Silvia Ussia)

Uffizi a portata di tocco Eppela: opportunità e idee per artisti Uffizi “touch” è la nuova applicazione per “ipad” che consente di ammirare alcune opere conservate nella nota galleria del capoluogo toscano, di consultare le relative descrizioni e di ricevere informazioni pratiche sulle visite. L’applicazione permette inoltre di realizzare percorsi personalizzati e avere informazioni in tempo reale sulle novità che riguardano la galleria. È scaricabile dall’”Apple store” e ha un costo di 1,59 euro. Info: www.store.apple.com.

Eppela è la piattaforma virtuale “made in Italy” che propone un sistema di raccolta fondi pubblicizzando su internet le idee di artisti talentuosi ma squattrinati. Il progetto si riferisce a tre categorie: no profit, culturale (arte, letteratura, teatro, danza, musica, cinema e fumetto) e “lifestyle” che comprende design, tecnologia, “food” e moda. Come funziona? Le istruzioni sembrano semplici: chiunque abbia un progetto può presentare la sua idea al “team” di Eppela che, dopo averne verificato la qualità e la congruenza con le specifiche d’eticità richieste, darà il via libera per caricarlo sulla piattaforma. Info: www.eppela.com.

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Editalia - Edizioni in Facsimile

Andreas

Cellarius atlas coelestis

PIER PAOLO PUXEDDU + FRANCESCA VITALE STUDIO ASSOCIATO

RD 167 - Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, Roma

L’Universo elegante Dodici, sontuose tavole che illustrano le costellazioni e i sistemi planetari: un viaggio fantastico attraverso i cieli, fra gli astri, i pianeti, le costellazioni e le figure mitologiche che le identificano. Immagini di grande interesse storico e scientifico, capaci di affascinare con la potenza della loro suggestione. Tre Cartelle, ciascuna delle quali contiene quattro tavole montate su tela (formato 133x111 cm). Le tavole (ciascuna del formato di ca. 59x48 cm), sono riprodotte in facsimile su carta speciale per stampe d’arte con nove colori e ritocchi di oro a caldo. Sono realizzate dall’Officina Carte Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.

Tiratura limitata a 999 esemplari numerati e certificati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato

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colpo d’occhio JERRY UELSMANN

Surrealismo

contemporaneo

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Jerry Uelsmann, “Untitled”, 1991

La mostra “Synchronistic moments” La personale offre una panoramica sulle opere di Jerry Uelsmann, uno dei più importanti esponenti della fotografia surrealista, partendo dai vintage degli anni ‘60 e ‘70 fino alle immagini più recenti. La mostra è a cura di Miriam Tognazzi; il catalogo edito da Paci arte presenta il testo critico di Gigliola Foschi. Fino al 24 maggio. Paci arte contemporanea, via Trieste 48, Brescia. Info: www.paciarte.com.

Gli scatti onirici e poetici del fotografo statunitense in una personale a Brescia che evidenzia la teoria del sincronismo dell’artista di Giorgia Bernoni inuose figure fluttuanti in ambienti sospesi, corpi nudi che abitano l’universo sognante e fiabesco di un visionario. Benvenuti nel mondo, poetico e piacevolmente inquietante, del fotografo statunitense Jerry Uelsmann, demiurgo elegante di un non luogo caratterizzato dal delicato equilibrio tra essere umano e ambiente naturale. La decennale carriera di Uelsmann e il suo particolare quanto evocativo senso estetico vengono omaggiati alla galleria Paci arte di Brescia in una personale dal titolo “Synchronistic moments” che rimanda alla teoria del sincronismo operata dall’artista statunitense. «Tutte le informazioni sono lì eppure il mistero rimane», ama ripetere Uelsmann per dire che secondo lui le cose accadono nel momento stesso in cui devono accadere: l’opera infatti svela la propria identità solo durante il processo creativo. Il suo certosino lavoro è strettamente legato al procedimento analogico ed è il frutto di varie sovrimpressioni di negativi su un’unica stampa. Le sue creazioni sono una complessa composizione di diversi elementi che vengono combinati in modo enigmatico. Il risultato è quello di lasciare spiazzato lo spettatore perché nulla è come sembra, ma al contempo lo rassicura perché ogni elemento è singolarmente riconoscibile.

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expo in Italia pagine a cura di

Camilla Mozzetti

VENEZIA L’ELOGIO DEL

DUBBIO

Venezia ospita negli spazi della punta della Dogana la mostra Elogio del dubbio fino al 31 dicembre. Un’ampia collettiva, con opere di Maurizio Cattelan, Dan Flavin, Subodh Gupta, David Hammons, Roni Horn e altri, che indaga la sfera del turbamento, la messa in discussione delle certezze in tema d’identità, il rapporto tra la dimensione intima, personale, e quella dell’opera d’arte. Info: www.palazzograssi.it.

VIAREGGIO I CAPOLAVORI DEI MACCHIAIOLI

Nel 2010, con la ricomposizione della collezione di Ugo Ojetti, il Centro Matteucci di Viareggio aveva avviato il suo progetto: indagare e presentare l’arte moderna valorizzando il collezionismo. Sulla linea di questa missione, l’obiettivo che il fondatore Giuliano Matteucci si è ora dato è quello di ritessere le fila del gusto collezionistico di Mario Borgiotti e dei macchiaioli. Fino al 13 novembre. Info: www.centromatteucciartemoderna.it.

MILANO RICORDANDO FERNANDA PIVANO È stata una delle vere e poche protagoniste del Novecento, per sessant’anni ponte culturale tra Italia e Stati Uniti. Fernanda Pivano, giornalista, saggista e traduttrice, viene ricordata dalla galleria gruppo credito Valtellinese nel refettorio delle stelline a Milano. Una suggestiva retrospettiva fatta di fotografie e scritti dal titolo Fernanda Pivano, viaggi, cose, persone. Fino al 18 luglio. Info: www.creval.it.

MILANO DANTE NEI TRATTI DI DALÌ

MILANO GIO PONTI

Fino al 17 luglio la fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano ospita un’affascinante rilettura dell’Inferno di Dante Alighieri, attraverso le opere di Salvador Dalì e Robert Rauschenberg. Trentaquattro xilografie a colori del maestro surrealista spagnolo e altrettante serigrafie di uno dei portavoce dell’arte contemporanea statunitense. Info: www.fondazionearnaldopomodoro.it.

Dal 6 maggio al 31 luglio, nel cinquantenario del palazzo Pirelli, la sede della regione Lombardia accoglie una raffinata esposizione di creazioni di Gio Ponti, l’architetto che progettò il grattacielo Pirelli. Non si tratta di una mostra dedicata alla figura di Gio Ponti architetto ma a Gio Ponti designer legata soprattutto alla produzione di ceramiche da lui ideata per la manifattura RichardGinori tra il 1923 e il 1930. Info: 0267655315.

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ROMA L’ARTE

NELLA STORIA

Nell’ambito delle iniziative realizzate per i festeggiamenti dei 150 anni dell’unità d’Italia, il complesso del Vittoriano ospita Regioni una mostra di 4 artisti che meglio di altri hanno saputo sintetizzare la storia della nazione dal 1861 ai nostri giorni. Visibili le opere di Giovanni Boldini, Giorgio Morandi, Antonio Fontanesi e Carlo Zauli. Fino al 3 luglio. Info: 066780664.

ROMA CAPOLAVORI DALLA GERMANIA

TREVISO ESTATE FOTOGRAFIA 2011 Villa Brandolini, nel cuore delle colline trevigiane, ospita Estate fotografia 2011. Fino al 28 agosto, la grande dimora settecentesca presenta importanti rassegne, accompagnate da un ricco programma di iniziative collaterali. Fulcro della kermesse è la mostra Corrispondenze elettive di Paul Strand e Walter Rosenblum, cui si accompagna una monografica sul Pittorialismo italiano. Villa Brandolini, piazza Libertà 7, Solighetto di Pieve di Soligo (Treviso). Info: 3349677948; www.fondazionefrancescofabbri.it.

SPOLETO ODISSEA CONTEMPORANEA Giganti dell’arte del XX secolo, accanto a giovani promesse, conosciuti e scoperti da Valentina Moncada e riuniti nella collettiva Odissea contemporanea, a cura di Gianluca Marziani. Un viaggio nella storia della gallerista, curatrice e collezionista romana, attraverso gli artisti incontrati ancora giovanissimi e poi diventati protagonisti della scena internazionale. Dal 26 giugno al 30 ottobre, palazzo Collicola arti visive, piazza Collicola 1, Spoleto. Info: 074346434; www.palazzocollicola.it.

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Cento capolavori dallo Städel museum di Francoforte danno vita alla mostra ospitata al palazzo delle Esposizioni di Roma fino al 17 luglio. Per la prima volta vengono presentati in Italia le collezioni del famoso museo tedesco. Impressionismo, espressionismo e avanguardia: sono questi i generi in mostra. Info: www. palazzoesposizioni.it.

ASCONA ARTISTI RUSSI

TRA

‘800

E

‘900

Fino al 31 luglio il museo comunale d’arte Moderna di Ascona, nel Canton Ticino, dedica una retrospettiva a Marianne Werefkin. Un percorso espositivo che presenta 25 opere che affiancano 3 tele giovanili, 60 lavori e 30 libretti di schizzi. Info: www.museoascona.ch.


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expo nel mondo pagine a cura di

Simone Cosimi

LONDRA NORFOLK, L’AFGHANISTAN LUNGO I SECOLI Nell’ottobre del 2010 Simon Norfolk ha iniziato una serie di nuove fotografie in Afghanistan, prendendo ispirazione dal lavoro del fotografo britannico John Burke, attivo nel diciannovesimo secolo. Le immagini di Norfolk immaginano ex novo o reagiscono alle scene di guerra di Burke trasponendole però nel contesto del conflitto avviato negli ultimi anni dalla coalizione occidentale. Fino al 10 luglio. Londra, Tate Modern, Level 2 gallery. Info: www.tate.org.uk.

NEW YORK IL VISIVO DI FELDMANN Hans-Peter Feldmann, vincitore del premio Hugo Boss 2010, ha speso più di quattro decenni indagando l’influenza del contesto visuale nella costruzione della realtà soggettiva. Combinazioni, archivi e assemblaggi sono la sua chiave di interpretazione della vita quotidiana. Fino al 2 novembre. New York, Guggenheim. Info: www.guggenheim.org.

LIGORNETTO SCULTURE GIGANTI

NEW YORK IL MINIMALISMO DI RUNA ISLAM

La mostra considera l’intero percorso creativo dell’artista ticinese Veronica Branca-Masa a partire dal 1987, data del suo spostamento da Ranzo a Carrara, dove la scultrice ha aperto il suo laboratorio ai piedi delle celebri cave di marmo, materiale da sempre privilegiato nella sua ricerca artistica, in particolare per le sue massicce sculture di grandi dimensioni. Fino al 31 luglio. Ligornetto, Svizzera, museo Vincenzo Vela. Info: www.museo-vela.ch.

L’artista britannica Runa Islam, nata nel 1970 in Bangladesh, lavora attraverso video e film. Ostentatamente minimaliste e austere, le sue opere sono segnate da una rigorosa logica consequenziale. Fino al 19 settembre. New York, Moma. Info: www.moma.org.

OTTAWA IL QUOTIDIANO DI FRED HERZOG Trenta fotografie di Herzog, attivo a Vancouver fra anni Cinquanta e Sessanta. Gli scatti spaziano fra Victoria, San Francisco e la stessa Vancouver. Fino al 5 settembre. Ottawa, National gallery of Canada. Info: www.gallery.ca.

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SALISBURY LE LINEE DI GORMLEY La cappella della cattedrale di Salisbury, nel Wiltshire, in Inghilterra, ospita “Flare II”, un’installazione di Antony Gormley. La scultura è sospesa dal tetto del transetto meridionale. Una combinazione fra architettura e creatività contemporanea. Fino al 2 aprile 2012. Salisbury, Inghilterra. Info: www.salisburycathedral.org.uk.

BATH L’ESTRO DI PETER BLAKE Un’esposizione di uno degli artisti più popolari della creatività britannica contemporanea, Peter Blake (quello della copertina di “Sgt. Pepper’s lonely hearts club band”) riapre l’Holbourne museum di Bath. “A museum for myself” include lavori dall’intera carriera di Blake senza contare gli oggetti della sua collezione. Fino al 4 settembre. Bath, Holbourne museum. Info: www.holburne.org.

ANVERSA I MAESTRI FIAMMINGHI PER IL MAS

OSLO MAGNUSSEN, PIONIERE DEL DESIGN Erik Magnussen, classe 1940, è uno dei pionieri del design danese del dopoguerra, uno di quelli che hanno contribuito a promuovere la creatività nordica nel mondo. Magnussen, nato ceramista, ha realizzato nella sua lunga carriera lavori e oggetti minimalisti, contraddistinti da chiarezza e semplicità. Il segreto è il bilanciamento fra tecnica e produzione. Fino al 28 agosto. Oslo, Nasjonalmuseet. Info: www.nasjonalmuseet.no.

Anversa si proietta sulla scena internazionale con il nuovo Museo sull’acqua e con la mostra inaugurale. Lo sviluppo della cultura visuale occidentale nei capolavori della collezione, da Van Eyck a Rubens. Fino al 30 dicembre 2012. Anversa, Mas. Info: www.mas.be.

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eventi LA MONETA DELL’ITALIA UNITA

L’IDENTITÀ NAZIONALE di Maria Luisa Prete

Al Palaexpo di Roma l’esposizione sull’unificazione monetaria del Belpaese promossa dalla Banca d’Italia

La mostra Dalla lira all’euro Nel quadro delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità, la mostra, promossa dalla Banca d’Italia, presenta installazioni multimediali e documenti d’archivio, collezioni di monete e macchine industriali, oggetti d’uso comune e libri antichi, banconote moderne e forme di moneta primitiva. Larga parte del materiale viene dalla Banca d’Italia, ma la mostra si avvale anche della collaborazione del Museo nazionale romano, degli Archivi di Stato, di musei, biblioteche e collezionisti privati. Catalogo Codice edizioni, 312 pagine, 25 euro. Fino al 3 luglio, palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Info: 06489411; www.palazzoesposizioni.it.

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NELLA NOSTRA VALUTA Da sinistra: esemplari di banconote e monete a destra: banconota da due lire della Banca nazionale del regno d’Italia in basso a pagina 16: la locandina della mostra

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n occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia non poteva mancare l’omaggio a uno dei collanti decisivi per la costituzione del paese, la moneta, con una mostra allestita a palazzo delle Esposizioni di Roma dal titolo appunto La moneta dell’Italia unita: dalla lira all’euro. Così come oggi, attraverso l’euro, si cerca di cementare il sentimento di appartenenza all’Europa, anche nell’Ottocento la giovane nazione italiana aveva bisogno di un segnale tangibile di unificazione come la lira, aspettando l’affermazione di una lingua e di un’identità comune ancora di là da venire. Nelle tasche di ogni cittadino del regno cominciava a circolare la stessa moneta, un segnale importante, un simbolo politico prima ancora che economico. Quella che fino al 2002 è stata la moneta identificativa dell’Italia, la lira, nasce ufficialmente il 24 agosto 1862, quando re Vittorio Emanuele II appone la sua firma sulla legge di unificazione del sistema monetario. Questo ha segnato la fine di un universo di monete diverse: i carlini, le piastre, i baiocchi, le svanziche e le altre 200 e più valute che circolavano nei diversi stati della penisola. Un gesto necessario, imposto dal nuovo corso della storia e dell’econo-

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mia. «La lira – spiega nel catalogo della mostra il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi – fu istituita quale valuta del Regno d’Italia subito dopo l’unità. Le sue vicende contribuiscono a raccontare la storia del paese, nel mezzo delle difficoltà e delle speranze del tempo. Simbolo della nuova comunità nazionale, essa fu voluta anche come elemento portante nella costruzione di un grande mercato italiano, grazie al quale le imprese potessero meglio specializzarsi, innovare, entrare nel vasto fiume della Rivoluzione industriale». Ma i risvolti sono stati inevitabilmente anche politici, civili e culturali: ha aperto la strada alla partecipazione dell’Italia alle trasformazioni europee e mondiali, ponendo le basi per il suo sviluppo futuro. Gli stessi obiettivi che hanno ispirato il processo di unificazione europea e la nascita dell’euro. All’interno del percorso espositivo isole tematiche permettono di approfondire, attraverso documenti e installazioni interattive, tra le altre cose, le diverse forme che la moneta ha assunto, il suo ruolo nella società italiana dell’Ottocento, la situazione economica prima e dopo il 1861, i differenti sistemi monetari nel mondo e negli stati preunitari italiani. Una percorso suggestivo, capace di raccontare la storia di un valore unificante: quello della moneta.


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LE MOSTRE DEL 150°

L’Italia si specchia Torino L’Italia si specchia è un viaggio nella storia dell’alta moda e dello stile italiano dall’unità a oggi. La mostra ripercorre le tappe attraverso le quali la moda è diventata un elemento unificante. Dal 17 marzo all’11 settembre. Reggia di Venaria reale, Torino. Info: www.lavenariareale.it.

Cavour gourmet Torino La mostra riporta in vita l’atmosfera risorgimentale e i momenti conviviali, fondamentali per la storia d'Italia. Il percorso mostra la vita a Torino attraverso i fornitori del ricevimento a palazzo Cavour. Fino al 26 giugno. Palazzo Cavour, Torino. Info: www.italia150.it.

Un’espressione geografica Torino A cura di Francesco Bonami, la mostra viene ospitata dalla fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Lo sguardo di venti artisti racconta con una prospettiva inedita la varietà del territorio italiano, esaltando la specificità di ciascuna regione. Fino al 27 novembre. Info: www.fsrr.org.

eventi L’ANNIVERSARIO DELL’UNITÀ

LA FABBRICA di Margherita Criscuolo

Le Officine grandi riparazioni di Torino ospitano tre importanti esposizioni per festeggiare lo stato nazionale

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e Officine grandi riparazioni, capolavoro dell’architettura industriale italiana, sono il cuore delle celebrazioni torinesi per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità nazionale. Fare gli italiani, 150 anni di storia nazionale; Il futuro nelle mani, artieri domani; Stazione futuro, qui si rifà l’Italia, sono le mostre cardine ospitate all’interno del complesso, ex centro di riparazione di locomotive e carrozze ferroviarie, simbolo dell’industria del paese e del lavoro di migliaia di italiani. Ma soprattutto un luogo che, quando Torino perse il ruolo di capitale, testimonia la sua capacità di reinventarsi per cercare una nuova vocazione. Alle Officine è stata “fabbricata” buona parte della storia italiana, e le tre mostre che vi sono allestite hanno una triplice vocazione: ricordare il passato, far riflettere sul presente, e guardare al futuro. Tra queste, Fare gli italiani, a cura degli storici Walter Barberis e Giovanni De Luna, ripercorre la storia dall’età preunitaria ai

Stazione futuro Un cubo per piazza Un percorso narrativo non lineare dove diversi contenitori architettonici evocano un paesaggio urbano. Sta al visitatore scegliere in base alla sua curiosità quale direzione prendere. L’allestimento si gioca sul cubo ed è articolato in ambienti chiusi e piazze aperte. Fino al 20 novembre. Officine grandi riparazioni, corso Castelfidardo 22, Torino. Info: www.officinegrandiriparazioni.it.

La bella Italia Torino Oltre trecento capolavori per un percorso che va dall’antichità alla vigilia del 1861, attraverso le capitali preunitarie: Torino, Firenze, Roma, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Napoli e Palermo. Fino all’11 settembre. Reggia di venaria, Torino. Info: www.lavenariareale.it.

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Dai feudi all’Italia Alba (Cuneo)

delle celebrazioni giorni nostri. A tessere le fila del discorso, narrazioni plurime e linguaggi diversi specifici di ogni epoca: dalle arti visive alla radio che raccontano, fondendosi, i momenti di inclusione ed esclusione formativi dell’identità nazionale. Se la scuola infatti ha rappresentato un punto di inclusione per gli italiani, la mafia, a cui è dedicata anche una delle isole tematiche cuore della rassegna, al contrario ne ha provocato l’esclusione. Fare gli italiani alterna a dipinti − di Hayez, Induno, Cammarano e tanti altri − opere di fotografia, cinema e teatro e si distingue per la presenza di un corposo apparato multimediale progettato dal team di Studio Azzurro e costituito da video, ambienti sensibili e interattivi, performance teatrali e film. La mostra Stazione futuro qui si rifà l’Italia, propone un’esperienza affascinante in cui il visitatore si cala anche fisicamente per intravedere uno scorcio realistico del paese che verrà. Curata dall’ex direttore dell’edizione italiana di “Wired”, Riccardo Luna, racconta un futuro guidato dalla tecnologia e da tutte le persone già al lavoro per trasformare in realtà le proprie idee. Stazione futuro è pensata come una città in

Fare gli italiani

Le Langhe di Camillo Cavour dai feudi all’Italia unita, ripercorre gli anni giovanili di Cavour e il suo rapporto con il territorio. Oltre duecento tra opere d’arte e documenti, alcuni dei quali mostrati per la prima volta. Fino al 13 novembre. Palazzo Giacomo Morra, piazza Medford 1, Alba (Cuneo). Info: 017335833.

Giovani ribelli

Il profilo del paese

Milano

Il racconto di 150 anni di storia d’Italia in un allestimento multimediale che si snoda lungo 10mila metri quadri e propone i linguaggi tipici di ogni epoca. Il percorso si sviluppa su due livelli e il cuore della mostra è rappresentato da diverse isole tematiche sui fenomeni più incisivi costitutivi il profilo degli italiani. Fino al 20 novembre. Corso Castelfidardo 22, Torino. Info: www.officinegrandiriparazioni.it.

La mostra I giovani ribelli del ’48 propone le tappe che animarono lo spirito lombardo negli anni culminanti del Risorgimento. Presenti, tra le altre, opere di Hayez, Induno e Trezzini. Fino al 5 giugno. Palazzo reale, piazza Duomo 12, Milano. Info: www.lombardia150.it.

Donne e unità Milano A partire dagli archivi storici, viene presentata un’immagine della donna nella sua vita quotidiana, valorizzando l’apporto dell’impegno femminile per la causa nazionale. Dal 18 ottobre a dicembre. Museo del Risorgimento, Milano. Info: www.museodelrisorgimento.mi.it.

Manzoni, Hayez e Verdi Brera La mostra evoca l’atmosfera culturale milanese dell’800 attraverso una serie di capolavori di Hayez, ispirati ai testi di Manzoni e ai melodrammi di Verdi. Fino al 25 settembre. Milano, Pinacoteca di Brera. Info: www.brera.beniculturali.it.

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Italia unita Genova La galleria d’arte moderna presenta la vita italiana tra tradizione e progresso mentre il museo dell’Accademia linguistica si focalizza sui cavalletti “en plein air”. Fino al 25 settembre. Galleria d’arte moderna e museo Accademia linguistica, Genova. Info: www.museidigenova.it.

Un porto per la nuova Italia Genova La storia del porto di Genova e il suo ruolo nello sviluppo della città in dipinti, acquerelli e foto. Importanti artisti come Klee, e De Chirico dialogano con alcuni scrittori stranieri. Fino a novembre. Palazzo Ducale, Genova. Info: www.palazzoducale.genova.it.

Cristiani d’Italia Bologna La mostra Cristiani d’Italia si propone di rappresentare i cristiani d’Italia non solo nella dialettica tra stato e chiesa ma anche nella partecipazione alla storia nazionale. Fino a novembre. Palazzo re Enzo, Bologna. Info: www.comune.bologna.it.

Donne del Risorgimento

Il futuro nelle mani Dedicata al lavoro A cura di Enzo Biffi Gentili, la mostra è dedicata al lavoro e si articola in tre sezioni: Le nuove officine, Il tunnel del treno fantasma e La galleria delle botteghe. Installazioni temporanee testimoniano l’alto valore qualitativo ed estetico dei lavori “fatti ad arte” e delle loro prospettive economiche e occupazionali. L’allestimento, che coinvolge artieri che hanno affermato il saper fare italiano nel mondo, è per scelta estetica ed etica, quasi integralmente recuperabile. Fino al 20 novembre. Info: www.officinegrandiriparazioni.it.

Firenze Le abitudini e il costume femminile dell’800 attraverso la vita di alcune sue celebri protagoniste. Fino a novembre. Galleria del costume a Palazzo Pitti, Firenze. Info: www.uffizi.firenze.it.

In alto e nelle pagine precedenti: alcune immagini delle tre mostre ospitate negli spazi di Officine grandi riparazioni A destra: l’assessore del comune di Torino Fiorenzo Alfieri

cui addentrarsi, un percorso in crescendo ma allo stesso tempo frammentario, che consente al visitatore di scegliere dove andare. Ci sono 12 aree tematiche (internet, energia, chimica verde, rifiuti, territorio, cibo, salute, casa, lavoro, spazio, mobilità e tessuti) contenenti una selezione di oltre 100 processi e prototipi di nuova generazione, che rappresentano il fulcro della migliore creatività e sperimentazione made in Italy. In più, dei laboratori permanenti esprimono l’innovazione “in diretta”: tra questi la telemedicina, il riciclo della carta, la plastica biodegradabile, i materiali del futuro. Da Stazione futuro al Futuro nelle mani artieri domani, mostra laboratorio proiettata a un nuovo artigianato metropolitano che guarda al futuro e all’internazionalità ma, contemporaneamente, è radicato nella cultura e nelle tradizioni del paese. La rassegna si ispira direttamente alle esposizioni dell’industria e del lavoro ospitate a Torino nel 1911 e nel 1961, e al primato tutto italiano di aver capito la necessità di un nuovo lavoro “hand made” e “mind made”. La mostra curata da Enzo Biffi Gentili si articola in tre sezioni che offrono uno spaccato di ciò che si sta realizzando nel settore dell’artigianato d’eccellenza. In apertura la sezione dedicata a quello digitale, illustrato dal cosiddetto tunnel del treno fantasma, una sorta di corridoio verso il futuro popolato dai “fantasmi” degli operai e delle locomotive a vapore che hanno abitato alle Officine. Alla fine del tunnel, lo spazio centrale della mostra, le Nuove officine, dove sono presentati i progetti all’avanguardia nel campo della tecnologia meccanica e le arti tradizionali, opere di artisti affermati e giovani creativi. La terza sezione, la Galleria delle botteghe, è una sorta di “art and craft supermarket”, dedicato all’artigianato attuale prodotto in diverse zone d’Italia e che, oltre a essere ammirato, può essere acquistato. Dalle Officine alla reggia di Venaria, da palazzo Carignano alla Mole Antonelliana: Torino, nel 2011, è tornata capitale.

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Gli obiettivi di Esperienza Italia L’assessore alla Cultura di Torino Alfieri: «Un progetto straordinario per l’intero paese»

R di Margherita Criscuolo

Ricco il programma di Esperienza Italia, il grande appuntamento per celebrare i 150 anni dell’unità del paese che si tiene a Torino e in Piemonte dal 17 marzo al 20 novembre. L’assessore alla Cultura e al 150° anniversario dell’unità d’Italia del comune di Torino, Fiorenzo Alfieri, ne sottolinea la valenza culturale, divulgativa e storica. Qual è il messaggio di Esperienza Italia 150, alla luce dei tanti eventi torinesi? «Il senso del progetto è piuttosto elementare e potrebbe suonare così: venite a Torino a fare esperienza diretta di cosa l’Italia ha da dire al mondo, oggi. Nella Venaria reale si “fa esperienza” sullo straordinario patrimonio artistico che l’Italia conserva e valorizza al servizio dell’intera umanità: ecco il primo messaggio lanciato dalla mostra La bella Italia. Da Venaria parte poi un secondo messaggio: con il “potager royal” si vuole ricordare che dall’Italia, e in particolare dal Piemonte patria del movimento “slow food”, è partito quell’appello al ritorno alla terra che ha rimesso al primo posto nella gerarchia delle priorità l’agricoltura e il cibo sano. Alle Officine grandi riparazioni sono stati lanciati altri importanti messaggi. Fare gli Italiani vuole dimostrare come il processo di costruzione dello stato nazionale, dal 1861 al 2011, sia un esempio per tutti della capacità, non senza difficoltà, di far incontrare differenze e di accogliere gli stranieri e i diversi non solo come avveniva nel passato ma anche nel presente. In questa mostra si compiono due percorsi: uno cronologico e un altro più emozionale tra tredici isole in ognuna delle quali il pubblico si incontra con un grumo tematico particolarmente significativo dal punto di vista della costruzione dell’identità degli italiani, come per esempio le diversità tra gli stati preunitari, la scuola, i partiti di massa, la mafia, i trasporti, i media. La mostra occupa 10mila metri quadri ed è molto interattiva. Non a caso il regista Mario Martone, direttore del nostro teatro Stabile, ne ha curato la regia con l’aiuto di Studio Azzurro». Può darci un bilancio provvisorio delle celebrazioni, a livello di pubblico e turismo straniero? «Innanzitutto va detto che il “pacchetto” Esperienza Italia non comprende soltanto i due siti principali: le Officine e la Venaria reale. Ne fa parte anche il nuovo museo del Risorgimento che ha riaperto i battenti dopo quattro anni di lavori. Fino a novembre sono attesi dai 4 ai 6 milioni di visitatori. Questo primo periodo ha dato esiti molto superiori alle aspettative. Nei giorni festivi dobbiamo chiudere al traffico le strade del centro per contenere le persone e gli stranieri che arrivano in città sono molto numerosi. La risposta più esaustiva la danno gli alberghi: durante i fine settimana è sempre tutto esaurito».

I padri fondatori Roma La mostra intende celebrare i grandi italiani Cattaneo, Gioberti, Mazzini, d’Azeglio, Manin, Tommaseo, Spaventa, Garibaldi, Pisacane e Cavour che hanno contribuito in misura determinante a realizzare un’importante pagina della storia patria. L’esposizione propone la loro attività letteraria e politica tra il XVIII e XIX secolo. Dal 7 giugno al primo agosto. Palazzo Madama, Roma. Info: www.senato.it.

Regioni in mostra Roma La mostra, ospitata in vari luoghi romani, costituisce un “leit-motiv” nelle celebrazioni degli anniversari dell’unità d’Italia: la continuazione ideale delle precedenti e il punto di arrivo sullo stato delle regioni italiane. Fino al 3 luglio. Vittoriano, palazzo di Giustizia, luoghi dell’esposizione internazionale del 1911, Cinecittà e Città del gusto. Info: www.060608.it.

L’unicità italiana Roma Il made in Italy quale espressione del senso di identificazione nazionale al centro di due mostre romane. Il palazzo delle Esposizioni ospita la sezione storica che si snoda lungo 50 anni, dal 1961 al 2011. Lo spazio della Pelanda del Macro future Testaccio è dedicato invece alla ricerca e alle nuove tecnologie. Da maggio a dicembre. Info: www.palazzoesposizioni.it; www.macro.roma. museum.


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eventi SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO

LETTURE edificanti Crescente affluenza per la manifestazione letteraria di Torino in attesa della fondazione del museo dedicato alla parola scritta di Giorgia Bernoni

L’entrata del salone del libro di Torino

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Ernesto Ferrero

I numeri da record non raccontano dell’aria di festa che si respira al Lingotto Ormai lo sappiamo se l’offerta culturale è buona la risposta è ottima

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a chiusura dell’edizione 2011 del salone internazionale del libro di Torino, che si è svolta dal 12 al 16 maggio al Lingotto, ha coinciso con la sconfortante diffusione della notizia che l’Italia può vantare il record di ”inattività volontaria“ tra i giovani laureati e decisamente poco istruiti: l’11 per cento non studia né lavora; un’anomalia nel panorama europeo, la cui media per questo fenomeno è decisamente inferiore. Nonostante il paese, e soprattutto le sue nuove generazioni, arranchi tra formazione inadeguata e lacunose prospettive professionali, un dato positivo arriva proprio da Torino e dalla massiccia affluenza che ha caratterizzato questa ventiquattresima edizione. Sono stati oltre 300mila i visitatori accorsi durante i cinque giorni della manifestazione. Millecinquecento editori, di cui 159 ospitati per la prima volta, 1.300 eventi in programma, cinque padiglioni per complessivi sessantamila metri quadrati di spazi espositivi dove sono state ospitate le grandi iniziative culturali e istituzionali. Sono questi i principali numeri dell’ultima edizione della kermesse, dedicata anche quest’anno alla memoria e che ha

premiato, dopo Amos Oz nel 2010, lo scrittore spagnolo Javier Cercas per la seconda edizione del premio che prende il nome dalla manifestazione. Un evento ricco e articolato nonostante alcuni episodi che devono suonare come campanello d’allarme: la manifestazione dei precari, alcuni stand che hanno registrato invenduto e un’edizione sottotono rispetto alle precedenti. Come ha infatti sottolineato il direttore Ernesto Ferrero: «Sedici regioni italiane con oltre 1.300 eventi grandi e piccoli, dentro e fuori il salone, con il solito cast di ospiti famosi ma anche di emergenti che cerchiamo di valorizzare continuamente. Tanti incontri e dibattiti insieme a musica e spettacoli. Ma i numeri da record, quelli che si leggono sulla carta, non raccontano dell’aria di festa che si respira al Lingotto. Ormai lo sappiamo: se l’offerta culturale è buona, la risposta è ottima». E a proposito della Russia, paese ospite d’onore, il direttore ha aggiunto: «Gli scrittori russi hanno davanti un doppio compito: fare i conti con il Novecento e misurarsi con un oggi dominato da una sorta di rassegnazione di fronte ai guasti della deriva oligarchica». Non è mancata una vena polemica che ha attraversato la manifestazione. «Il salone è luogo del dialogo, non dell’invettiva». Così Ferrero ha introdotto la lectio magistralis tenuta alla ker-

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Alcune immagini del Salone In basso, nel box: lo stand Editalia a Torino

Gian Arturo Ferrari

L’Italia dei libri vuole essere il primo tentativo italiano e non solo di raccontare 150 anni di storia attraverso i suoi testi e i suoi scrittori intesi come specchi della società e della politica stessa

messe torinese da Franco Cordero che il giorno precedente, in un articolo sul quotidiano La Repubblica, aveva paragonato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a Hitler. «In questi ventiquattro anni, e in particolare nei tredici della gestione pubblica, il Lingotto è sempre stato e mi auguro continui ad essere il luogo del confronto e della discussione, anche dura ma sempre nel reciproco rispetto. Se in una linea ci riconosciamo è quella del dialogo leopardiano, non quella dell’invettiva gaddiana, anche se è un autore che tanto amiamo». Grande affluenza ha registrato la mostra 1861-2011 l’Italia dei libri, voluta e curata da Gian Arturo Ferrari per celebrare i 150 anni dell’unità. L’Italia dei libri è la prima e articolata iniziativa con cui il paese legge un secolo e mezzo della propria storia, cultura, costume e creatività attraverso la cartina tornasole del libro: i testi simbolo, gli autori, gli editori e i fenomeni che più hanno contribuito a formare, anche in modo critico e problematico, la cultura e la memoria condivisa dell’Italia. Ferrari, già direttore generale di Mondadori libri e ora presidente del centro per il libro e la lettura, con l’ausilio dell’architetto Massimo Venegoni che ha curato l’allestimento spiroidale del percorso espo-

sitivo, ha cercato di raccontare al pubblico non il libro come oggetto ma come flusso di cultura: si parte dal 1862 con Paolo Giacometti autore della Morte civile, per arrivare al 2010 con il Leopardi di Pietro Citati. «L’Italia dei libri – ha dichiarato Ferrari – vuole essere il primo tentativo italiano e non solo di raccontare 150 anni di storia attraverso i suoi testi e i suoi scrittori intesi come specchi della società e della politica stessa. Chiaramente questa, come qualsiasi selezione al mondo, scontenta qualcuno». L’esposizione è destinata a essere il cuore del futuribile museo del libro di Torino. Proprio il giorno dell’inaugurazione il ministro della Cultura Giancarlo Galan ha rafforzato l’ipotesi che sia il capoluogo piemontese a ospitare un museo tutto dedicato al libro. «Questo salone – ha spiegato – poteva essere realizzato in qualsiasi parte d’Italia, dunque bravi i torinesi che lo hanno inventato e in questi anni hanno saputo gestirlo. Non voglio fare alcuna promessa ma mi sento di dire che il museo del libro è una buona idea e le buone idee in genere trovano sempre le risorse per camminare». L’appuntamento è dunque per il mese di maggio 2012 con il salone internazionale del libro numero 25; paese ospite candidato, la Spagna.

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La lira siamo noi Editalia ha presentato il volume a Torino Come ogni anno l’azienda romana è stata presente fra gli espositori del Salone dedicando il proprio stand, in particolare, alla presentazione delle opere che fanno parte del progetto Storia della lira. E della storia del “monumento più popolare, più costante e più universale che rappresenti l’unità della nazione”, Editalia è certamente uno dei punti di riferimento poiché sono anni che si impegna nella valorizzazione storica e collezionistica della valuta italiana. Per questa specificità di contenuti che filtrano la storia del paese attraverso la storia della sua moneta, abbiamo partecipato al fitto programma di incontri torinesi dedicati alla Memoria, il seme del futuro con la presentazione del volume La lira siamo noi. A raccontare la storia d’Italia attraverso la storia della lira si sono confrontati Silvana Balbi de Caro, Bruno Costi e Federico Barbiellini Amidei in rappresentanza del gruppo di studio che ha realizzato la mostra sulla lira curata a Roma dalla Banca d’Italia. Il dibattito ha scandagliato il tema dei ricorsi storici tra passato e presente, dalla prima unione monetaria del 1862 che sanciva l’unione politica di una nazione tutta da costruire, a quella molto più recente dell’unione monetaria europea. Il racconto del passato quale radice del presente ha reso evidente come la lira non sia andata affatto in pensione nella memoria storica e individuale rimanendo legata a momenti fondamentali della storia economica del paese, a modi di dire quotidiani e, andando indietro nel tempo, quale sia stata l’effettiva efficacia dell’unificazione monetaria voluta da Vittorio Emanuele II per raggiungere una concreta ed efficace unificazione del regno. Info: www.editalia.it.

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eventi L’ITALIANO E LO STATO NAZIONALE/2

DE AMICIS, CUORE della lingua di Rosanna Marsico

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a posizione di Edmondo De Amicis nel dibattito linguistico postunitario si pone su una linea di continuità con la lezione manzoniana, della quale accoglie la proposta di adottare come lingua comune il fiorentino dell’uso vivo adattato alle nuove esigenze comunicative. La fama dello scrittore ligure è legata indissolubilmente a Cuore, romanzo del 1886 ormai assunto nel canone della letterarietà a pieno titolo, sia per quel pedagogismo teso a valorizzare la scuola come cardine della civiltà urbano-borghese e come luogo deputato a promuovere l’inserimento armonioso dell’io individuale nell’unità organica del popolo-nazione, sia per il suo stile efficace e accessibile, in bilico tra tradizione e innovazione, con caute aperture alla dialettalità e all’inventiva lessicale. Nel romanzo vengono trasposte e messe in atto nella concreta prassi di scrittura le teorie linguistiche deamicisiane, teorie che troveranno una sistematica definizione nell’Idioma gentile (1905), un libro indubbiamente meno noto ma che merita di entrare a far parte della biblioteca sia di chi ama e studia la lingua sia degli appassionati di scrittura creati-

va. Si tratta di un testo “anticonvenzionale” che, attraverso una serie di letture, di dialoghi, di aneddoti, di brevi racconti e caricature di “mal parlanti”, offre un affresco variegato di temi, forme gergali, modelli espressivi e si propone di fornire una soluzione agli incessanti problemi di base che gli insegnanti delle scuole primarie si trovavano a dover affrontare. Non essendo né filologo né linguista, De Amicis sceglie di trattare “la materia semplicemente e praticamente” procedendo per exempla e ritagliando per sé non il ruolo di maestro ma quello di “consigliere” dei giovani ai quali intende rivolgersi. L’opera è scritta in uno stile coinvolgente e piacevole per “trasfondere” la passione e il rispetto della lingua a quel ceto borghese che aveva contribuito attivamente all’unità del paese e che ora, nella babele linguistica della nazione appena unificata, doveva imparare ad usare la lingua nazionale. Secondo De Amicis il discorso linguistico non può disgiungersi da quello della patria, in quanto «è inseparabilmente congiunto l’amore della nostra lingua col sentimento d’ammirazione e di gratitudine che ci lega ai nostri padri per il tesoro immenso di sapienza e di bellezza ch’essi diedero per mezzo di lei alla famiglia umana, e che è la gloria dell’Italia, l’onore del

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Secondo lo scrittore il discorso linguistico non può disgiungersi da quello della patria

nostro nome nel mondo». Ecco dunque che la lingua, unendo in un inevitabile legame il pensiero e l’espressione, diviene un osservatorio privilegiato dal quale guardare e comprendere, in una prospettiva patriottica, sociale, civile e culturale, il Risorgimento italiano e i primi anni della storia unitaria. Se si considera che negli ultimi decenni del XIX secolo circa l’80% degli abitanti del giovanissimo stato unitario era analfabeta, si può facilmente comprendere quanto la lingua italiana avesse bisogno di uno svecchiamento che ne consentisse la diffusione su ampia scala. De Amicis credeva fermamente nella funzione unificante della lingua, parafrasando Massimo D’Azeglio, si può dire che “l’Italia era fatta, e ora bisognava fare la lingua italiana”, e sebbene auspicasse che anche in famiglia si parlasse correttamente l’italiano, riconosceva alle singole parlate locali un valore comunicativo, almeno in situazioni informali e familiari. In questa prospettiva, pur partendo dal modello manzoniano, il discepolo va ben oltre il maestro, attribuendo alla lingua e al dialetto funzioni indipendenti, ma mai antagonistiche. Una lezione che oggi sembra essere stata dimenticata, ma che, opportunamente rivisitata, ci aiuterebbe a comprendere meglio le nostre radici linguistiche e a ravvivare la nostra identità culturale, rendendoci veramente “fratelli d’Italia”.

Un’illustrazione dall’edizione del 1886 di Cuore Nel tondo a sinistra: Edmondo De Amicis


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le interviste possibili PADRI DELLA PATRIA/3 CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR

IL PRESIDENTE di un paese ancora da fare

Camillo Benso a colloquio con l’autore. Elaborazione grafica di Gaia Toscano

Affari, amori e morte del primo ministro che unì l’Italia. Quasi di Maurizio Zuccari uomo, un po’ imbolsito, mira naso all’insù la lapide di pietra Serena sulla facciata del palazzo: “Il conte Camillo di Cavour nacque in questa casa addì 10 agosto 1810 e vi morì il 6 giugno 1861”. La facciata, d’un giallino smorto e grigio sotto il cielo di Torino che non rallegra manco a primavera, fa “pendant” colla marsina marroncina di panno inglese, di ottima fattura, del primo presidente del Consiglio d’Italia. Camillo Benso, conte di Cavour, si volta a osservare quella che ai suoi tempi era via Arcivescovado e ora porta il suo nome. Scote il capoccione, il volto rubicondo che t’aspetti serioso accenna un sorriso bonario, una smorfia l’incupisce: «Veggo che nulla è mutato da quando vi ho lasciato, si vive in una specie di inferno intellettuale, in una paese ove l’intelligenza e la scienza sono reputate cose infernali da chi ha la bontà di governarci». Prego, signor conte? «Massì, mi riferivo a codesta città che ebbi il privilegio di rendere capitale d’Europa ma

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resta, pur sempre, trista e retriva come ai miei dì. Guardi che facce. Quanto al resto del paese... Ma non voglio concionare qua, al mezzo della via. Abbiate la bontà di seguirmi nel mio studiolo, non v’è certo la folla dei postulanti e la gazzarra che regna quaggiù. A malapena v’entrano i custodi, oggidì. Ben altra folla attorniava questo palazzo, nei giorni della proclamazione del regno d’Italia e finanche ai miei funerali». Però, signor conte, la sua memoria è tenuta in gran conto, ha monumenti e piazze in ogni città d’Italia, le hanno pure dedicato una portaerei e una liquirizia aromatizzata alla violetta... «Lasci stare quella robaccia, nulla a che vedere con un buon bicérin, o le quagliette al romarino servite al Cambio, innanzi palazzo Carignano, ove ero uso desinare prima d’avviarmi al Parlamento. Come amavo ripetere, conquista più amici la mensa che la mente. Né mai dimenticai di ricordare al buon Nigra di serbare una bottiglia di Barolo, inviata dalle mie tenute, per spuntarla nelle trattative più complesse. Ricordo ad esempio la volta che, sulla questione di Nizza, l’imperatore... Ma non credo abbia voluto incontrarmi per parlare di vino e

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cucina, nevvero?» Beh, no, ma come dice lei, la tavola... «L’uomo ha formato la società non solamente per soddisfare i suoi bisogni materiali, per aumentare la massa dei suoi godimenti per mezzo della moltiplicazione dei prodotti dell’industria, ma soprattutto al fine di poter sviluppare e perfezionare le sue facoltà morali e intellettuali. Ora la ricchezza non è per nulla il solo scopo che l’umanità riunita in società deve perseguire, non è per nulla la sola finalità delle nazioni, e la cura di ottenerla non costituisce lo speciale compito dei loro governi. Sono le scienze e le arti che determinano le leggi dell’intelligenza e dello sviluppo morale delle nazioni». Belle parole, ma pochi in Piemonte erano ricchi par suo, con un patrimonio che ammontava a un paio di milioni di lire e affari in tutti i campi: nell’agricoltura, nei commerci, nelle ferrovie, nelle speculazioni in borsa. E dopo la carestia del ‘48, preferì esportare i grani prodotti nelle sue aziende e macinati nei suoi molini, profittando dei prezzi. La gente affamata venne a tumultuare sotto queste finestre e lei fece chiamare i carabinieri. Una bella professione di liberalità. «Tutte infamie, accuse inventate dai miei nemici politici, che erano inimici della stessa libertà. Sono figlio della libertà, a lei devo tutto ciò che sono. La verità è che in tempi in cui più non esistevano dei gran signori non si conoscevano che due mestieri: combattere la guerra d’Italia o raccontarla, essere soldati o scrittori. Io, dacché non ero l’uno né l’altro, posi mano all’aratro». Ma non fu suo padre ad affidarle la tenuta di Grinzane, per distrarla dal gioco e da una vita che intravvedeva dissipata fra gozzoviglie e belle donne? Con la penna provò a misurarsi ma c’era il problema dell’italiano... E a spezzarle la spada fu, piuttosto, la marchesa Giustiniani, la frequentazione del suo salotto mazziniano che le costò l’esilio al forte di Bard e l’appellativo di “contino giacobino” da parte di Carlo Alberto. «Di questo preferirei non parlare, la mia condotta fu indegna, orribile. Vero è che la povera Nina, pazza d’amore per me, non era in pieno possesso delle sue facoltà mentali, ben prima di gettarsi dalla finestra del suo palazzo, a Genova. Debbo dirle che, deluso dagli amici e dalla vita, non fosse stato per certi dubbi sulla moralità del suicidio, in verità mi sarei liberato io stesso di quella che allora m’appariva una fastidiosa esistenza, come ebbi ad annotare nel mio diario. Quanto al re di cui ha fatto il nome, né mai mi pregiai d’entrare nelle sue grazie, o peggio in quelle del di lui padre, Carlo Felice, che ebbe l’ardire d’accusarmi di cospirazione. L’essermi liberato di quella livrea da gambero di paggio di camera fu per me motivo d’orgoglio, almeno quanto lo fu di sconforto per la mia famiglia». Comunque il giacobinismo di gioventù si tramutò presto in antimazzinianesimo dal governo. Quanto alle grazie sovrane, era

a malapena tollerato anche da Vittorio Emanuele II che proprio grazie a lei e a Garibaldi divenne primo re d’Italia. Narrano che dopo l’armistizio di Villafranca la fece portare via di peso dalla sua presenza, per le sue rimostranze. Ma è vero che... «Ci andò di mezzo qualche sedia, sì. E forse gridai pure il vero re sono io, non ricordo. Sua maestà non m’amava, e mille volte trovò il modo di dimostrarmelo. Né io avea dubbi al riguardo: non si può negare che l’umanità nel suo insieme non abbia progredito ma quanto a quel birbante di uomo, o testa coronata che sia, non credo che abbia fatto alcun progresso». Però... «Quanto all’accusa d’aver nutrito simpatie prima e aver osteggiato poi certi cervelli bruciati, non cado dalla parte verso cui pendo per la buona ragione che so tenermi ritto. La ragione mi portava verso la moderazione, l’eccessivo desiderio di spingere innanzi i retrogradi mi cacciava verso la rivoluzione. Finalmente, dopo molte oscillazioni, ho finito con lo stabilirmi, come il pendolo, nel punto di mezzo. Così, come onesto uomo di mezzo, desiderando ardentemente il progresso sociale e lavorando per esso, ho risoluto di non acquistarlo a costo di un generale rovesciamento politico e sociale». Però i suoi mezzi: agenti, trame, corruzione, tutto il peggio del Belpaese insomma... «Cosa restava per lottare dunque contro la marea popolare, e d’altro canto tenere a freno le potenze che osteggiavano i nostri voti? Nient’altro di solido, di potente, di duraturo». Pure con Garibaldi ha fatto il doppio, triplo gioco. «I giudizi sommari postumi sono come le leggi retroattive: fatalmente ingiusti. Benché il fine sia eccellente, a volerlo raggiungere direttamente si corrono i pericoli più gravi. Per traversare una montagna che ci separa da una fertile pianura, bisogna fare lunghi giri per evitare i precipizi di cui il più sovente è seminato il cammino». Ma, signor conte, lei la voleva davvero l’Italia? «L’Italia del Settentrione per certo, quanto al resto non vi sono più lombardi, né piemontesi, né toscani, né pure napoletani o romani. Ma il formare l’Italia, fondere insieme gli elementi che la compongono, armonizzare il Nord con il Sud presentava altrettante difficoltà di una lotta contro L’Austria o Roma. È stato un bene? Un male? Non lo so davvero. Ma ne vedremo ancora delle belle». Quindi quella frase che le hanno messo in bocca sul letto di morte: l’Italia è fatta, restano da fare gl’italiani... «Corbellerie dettate dalla penna d’un gazzettiere, rimpinguate dalla fantasia popolaresca. Vada a vedere dove sono finiti gli scartafacci relativi alla mia morte, piuttosto, o quella tale in gonnella che a casa della cara amica Bianca Ronzani “manomissionò” la mia tazza di caffè». Ah, perché, la sua morte... «Vada, vada, qua si perde tempo in chiacchiere e io non son più, a malgrado delle apparenze, uomo di spirito».

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grandi mostre GIORGIO VASARI

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Il padre degli Uffizi Architetto, pittore, storico dell’arte e autore delle Vite nei 500 anni dalla nascita l’omaggio al maestro aretino di Claudia Conforti*

Dal maggio del 1540 Cosimo I (1519-1574) si insedia con la famiglia nel palazzo dei Priori rinominato Ducale e poi, dopo l’acquisto di Pitti (1549), palazzo Vecchio. È un atto di usurpazione che sdegna i fiorentini: per attenuarne la violenza ideologica il duca conclama il religioso rispetto per la facies repubblicana del palazzo, possente, introversa e imperiosa. Giorgio Vasari (1511-1574) che nei Ragionamenti è chiamato ad argomentare le ragioni di Cosimo, si appella alla storia, in particolare alla politica di Ottaviano Augusto, costante modello di riferimento dal duca. Sulla scorta del primo imperatore, che volle preservare le pristine virtù dell’antica repubblica romana conservandone le forme di governo, Cosimo intende custodire «i fondamenti e le mura maternali» di Palazzo Vecchio, «per avere esse, con questa forma vecchia dato origine al suo governo nuovo». Una continuità senza traumi detta la linea politica del giovane Medici. Significativamente nel dipinto di Vasari al centro del soffitto dell’Udienza, a palazzo Vecchio, il duca rifulge quale novello Augusto, aureolato dagli stemmi delle

ventuno Arti e magistrature: non tiranno liberticida, ma primo magistrato della repubblica, governata appunto da quelle Magistrature che Cosimo riuscirà a svuotare di ogni potere, servendosi anche della costruzione degli Uffizi […]. Tramite l’edificazione degli Uffizi, Cosimo costringe le tredici magistrature più doviziose a svenarsi nella realizzazione di una sede comune, la cui progettazione e costruzione sono controllate soltanto e direttamente da lui. L’ostentata serialità architettonica degli Uffizi, al pari dell’incombere sulla nuova fabbrica della massa rocciosa di palazzo Vecchio, simboleggia la subordinazione al duca. In definitiva: il duca accorpa le tredici magistrature più potenti in un’architettura unitaria, modulare e protocollare, che suggelli, marmore loquente, il trionfo dell’assolutismo dei Medici. Alle ragioni di potere si associano poi urgenze di decoro, impellenti in una città che si vuole specchio del principe […]. Progettati da Vasari su ferree prescrizioni di Cosimo, gli Uffizi danno la misura della maturità artistica dell’aretino, che mette in campo un vocabolario perso-

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Giorgio Vasari Perseo e Andromeda 1570

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nale, sobrio ed efficace, capace di amalgamare armonicamente riferimenti alla tradizione fiorentina e a quella romana, antica e soprattutto moderna, come meglio si dirà. Il disinvolto sincretismo lessicale, la ricercata essenzialità sintattica, l’uso tendenzioso della bicromia – intonaco bianco e pietra serena grigia del Fossato – che evoca all’istante il Brunelleschi dell’Ospedale degli Innocenti e la cappella Pazzi, ma anche Giuliano da Sangallo nella villa di Poggio a Caiano e nel quadriportico di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, cioè a dire l’architettura dell’età dell’oro di Firenze, quando risplendono gli astri di Cosimo il Vecchio, di Piero e di Lorenzo il Magnifico, fanno degli Uffizi il canone linguistico dell’identità di Firenze e della Toscana, oltre che del buon governo dei Medici. E del sofisticato uso politico che essi fecero dell’architettura e delle arti. Il segreto degli Uffizi riposa sul suo essere un’architettura del vuoto: un invaso rettangolare lungo e stretto che convoglia piazza Signoria

sull’Arno e che, in forza di uno strabiliante percorso aereo coperto, il Corridoio Vasariano, salda in continuità le due residenze ducali, il fiume e un nevralgico brano di città […]. Il progetto degli Uffizi chiama in causa il tempo come grande costruttore: un’ipotesi metodologica che si nutre della concezione antropormofica dell’architettura che guidò Michelangelo. Come il corpo umano è predisposto a crescita e sviluppo inconoscibili (ancorché virtualmente presenti) al momento della nascita, ma che si materializzeranno con il trascorrere del tempo e che saranno modificati sulla spinta di condizioni molteplici e imprevedibili, analogamente il corpo dell’architettura viene fissato materialmente in alcuni elementi costitutivi, gravidi di potenzialità che il tempo e gli uomini annichiliranno o metteranno in luce, approntandone la crescita progressiva.

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*estratto dal catalogo, cortesia Gruppo editoriale Giunti


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Le mostre

La vita 1511

Vasari, gli Uffizi e il duca Oggetto della mostra, curata da Claudia Conforti, Antonio Godoli e Francesca de Luca (catalogo Giunti) è la fondazione degli Uffizi: risultato di una stretta collaborazione tra il duca, Cosimo I de’ Medici, e Vasari, il suo artista prediletto. Il complesso edilizio sorge nel cuore della città dove, rispecchiando la politica assolutistica di Cosimo I, accorpa le istituzioni amministrative di governo, magistrature o arti, sottomettendole, logisticamente e simbolicamente, al dominio del giovane duca. Catalogo Giunti editore. Dal 14 giugno al 30 ottobre, Galleria degli Uffizi, piazzale degli Uffizi 1, Fienze. Info: 0552388651; www.polomuseale.firenze.it/uffizi.

Nasce ad Arezzo il 30 luglio

1524 Si trasferisce a Firenze dove conosce Michelangelontino

1540 Realizza la Cena di san Gregorio nella Pinacoteca nazionale di Bologna

Santo è bello L’allestimento museale, all’interno del piano terra del palazzo Vescovile di Arezzo, propone l’esposizione di dipinti, a contenuto sacro, realizzati da Giorgio Vasari. Due sale sono interamente dedicate alla produzione pittorica dell’artista aretino, mentre le altre ospitano parte delle opere del Museo diocesano, quale testimonianza di una tradizione e produzione artistica locale di estremo interesse, sia dal punto di vista storico che culturale e religioso. Fino al 30 dicembre, palazzo Vescovile, piazza del Duomo 1, Arezzo. Info: www.diocesi.arezzo.it.

1550 Pubblica Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri

1560 Cosimo I gli affida la realizzazione degli Uffizi

1567 Realizza l’affresco La Sconfitta dei pisani a San Vincenzo nel Salone dei Cinquecento di palazzo Vecchio

1574 Muore a Firenze il 27 giugno

Da sinistra, in senso orario: Giovanni Pollastri, Cosimo I fa fabbricare gli Uffizi, s. d. Giorgio Vasari, Autoritratto, 1550 La sala dei Cinquecento Baldassarre Lanci, Prospettiva teatrale, Uffizi, Firenze


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grandi mostre TAMARA DE LEMPICKA

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La diva virile Al Vittoriano di Roma una retrospettiva dedicata all’artista simbolo della modernità e icona degli anni Venti di Gioia Mori*

Il mondo sofisticato della moda, quello che compare su “Femina”, “L’Illustration des modes” e “L’Officiel de la couture et de la mode de Paris”. Il mondo in bianco e nero delle fotografie di Kertész, Laure Albin-Guillot, Berenice Abbott, Tina Modotti e Dora Maar. Il mondo della grafica pubblicitaria, francese e tedesca, che veicola la donna del futuro, una moderna dea che fuma, fa gare automobilistiche, gestisce gli affari, agisce anche con spregiudicatezza. Il mondo del cinema, delle riviste “Cinéa” e “Hebdo-Film”: quello muto dai gesti esasperati, gli occhi sgranati verso il cielo di Maria Falconetti, e quello patinato di Marlene Dietrich e Greta Garbo e Louise Brooks, bionde platino o dal caschetto à la garçonne, prime interpreti di scene lesbo. Il mondo della città del futuro, quello delle Torri di Babele americane, e quello dei modernisti francesi, di Bob Mallet-Stevens e Adrienne Gorska e Pierre de Montaut. Tutto si confonde nell’universo caleidoscopico di Tamara de Lempicka, in quella frenesia creativa che risponde a sollecitazioni incalzanti, che intercetta ogni piccolo segnale di modernità, in una commistione esplosiva che l’artista riesce a filtrare e a disporre

sui quadri in modo armonico, equilibrato, incisivo e personale. Un “curioso mélange di estremo modernismo e purezza classica”, scrive Magdeleine Dayot nel 1935, che “attira e sorprende, e provoca, forse, prima di conquistare completamente, una sorta di lotta cerebrale, dove queste tendenze così diverse lottano una contro l’altra, fino al momento in cui lo sguardo avrà afferrato la grande armonia che regna in queste opposizioni”. Quella della Lempicka è infatti la sensibilità più recettiva di fronte alla realtà nuova, a quella vita moderna fatta di elettricità, cinema, acciaio, velocità che – come spiega Guillaume Janneau nel 1925 – entra nel mondo dell’arte, dando luogo a un “expressionisme français” che riesce a tradurre in una sorta di contrappunto “le rythme de la vie contemporaine”. La Lempicka entra in tutti i settori della vita moderna e appone ovunque la sua chiosa. Prende dal cinema, ma fa anche il cinema: nei documenti filmici che sono rimasti – uno amatoriale, che la vede in giro per Parigi con l’amica Ira Perrot, l’altro un film d’attualità girato nella sua casa-studio, “Un bel atelier moderne” del 1932 – si muove spigliata e padrona

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IL CATALOGO Tamara De Lempicka Gioia Mori (a cura di) Skira 208 pagine 40 euro

La mostra Tamara de Lempicka, la regina del moderno Dopo il successo ottenuto da Vincent van Gogh, il complesso del Vittoriano di Roma presenta un’altra grande protagonista dell’arte, Tamara de Lempicka, la regina del moderno. Ottanta dipinti, 40 disegni e 50 fotografie d’epoca, ma anche due film diretti dall’artista e 13 dipinti di autori polacchi a documentare il rapporto con la sua patria. Nota e amata nel periodo Decò, si impose per il fascino e la grande carica comunicativa. La sua cultura figurativa la portava a mescolare rimandi all’arte classica con le varie correnti in voga in quegli anni, in particolare il futurismo. Affascinanti i ritratti dedicati all’amica Rafaela o le foto che ritraggono l’artista come una diva del cinema, sensuale modello di un’indipendenza femminile ante litteram. L’esposizione è a cura di Gioia Mori che dà una lettura nuova della sua produzione anche alla luce di ricerche inedite che hanno portato al ritrovamento di un dipinto considerato perduto, “Portrait de madame P.”. Catalogo edito da Skira. Fino al 10 luglio, complesso del Vittoriano, via San Pietro in carcere, Roma. Info: 066780664.

della scena. Prende dalla fotografia, ma si mette anche davanti all’obiettivo: le foto di Lartigue, Madame d’Ora, Joffé, Camuzzi restituiscono i gesti della bella polacca che evocano la Garbo di “Romance” e “Grand Hotel”. Prende dalla moda, ma fa anche la moda: disegna per qualche rivista specializzata, presta il proprio nome e la propria figura per qualche stilista amico – Lelong e Rochas e Descat – disegna i cappelli che indossa. Prende dall’architettura, ma fa anche dell’architettura della sua casa un veicolo di immagine che approda sulle riviste di mezzo mondo. Prende dalla grafica, ma fa anche grafica: e le sue copertine per “Die Dame” e “Swiat” viaggiano dalla Germania alla Polonia. Prende dal Gran libro della storia dell’arte, ma fa anche la Storia dell’arte, divenendo l’icona internazionale dell’arte

degli anni felici e folli, icona del tempo del jazz e di Joséphine Baker. Moderna nel linguaggio, moderna negli atteggiamenti, moderna nelle strategie: è tra gli artisti la prima a capire l’importanza della comunicazione, e con metodi prelevati dal mondo del cinema appronta studiate campagne stampa per affermare il proprio nome e la propria arte. Sembra tutto derivare da un’attitudine innata, ma non è così: donna dalla volontà ferrea e dalla tenacia intransigente, con autodisciplina priva di mollezze che doma tutte le inquietudini, traghetta la propria vita dalle ombre nebbiose dell’universo dei profughi alle luci accecanti del palcoscenico di Hollywood. Trasformando l’oscuro “monsieur Lempitzky”, russo, in “madame de Lempicka”, polacca, in “baroness

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Da sinistra: Tamara de Lempicka, Ritratto di Kizette 1923-1924 circa Ritratto del marchese Sommi, 1925 La sciarpa blu, 1930 Nella pagina precedente: Autoritratto, 1929 (non in mostra) Cortesia Tamara art heritage Museum masters international, New York

Kuffner”, americana, fino a “Tamara de Lempicka”, cittadina del mondo [...]. Quello che la Lempicka imita è il modello Garbo, una donna “glamour” che nasconde sotto lunghe ciglia e sguardi suadenti inedite fermezza e tenacia. L’immagine di Venere moderna della Lempicka nasconde in realtà una mente da Minerva, da guerriera armata di cultura, in grado di sostenere il confronto duro che serpeggia nella vita artistica di Parigi. Le donne delle sue tele sono belle e seducenti, ma hanno spesso un libro fra le mani, un volume aperto che racconta la dimestichezza dell’artista con quest’arma da Minerva. In una Parigi percorsa dai fremiti delle femministe che reclamano il voto, abitata da donne intellettuali che gestiscono librerie e case editrici, da avvocatesse che aprono scuole per le

future deputate, da sportive che sfidano i pregiudizi maschili, da aviatrici e spericolate guidatrici d’automobile, la Lempicka non pensa di imporsi con la sola arma delle lunghe ciglia. E affronta la sfida da “donna virile”, incarnazione di quell’ibrido già tratteggiato da Valentine de Saint-Point nel Manifesto della donna futurista del 1912: “Ogni donna deve possedere non soltanto delle virtù femminili, ma delle qualità virili; altrimenti è una femmina”, laddove il termine “femmina” è usato in senso dispregiativo. La Lempicka ha sempre vissuto in modo “virile”, dominando le situazioni e conquistando rispetto, autonomia e indipendenza economica [...].

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*estratto dal catalogo, cortesia Skira


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grandi mostre CARLA ACCARDI

SINTESI e contraddizione Segno e trasparenza: un’esposizione a Catania sulle diverse stagioni creative dell’artista siciliana di Luca Massimo Barbero

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Senza titolo, 2009 A sinistra: Grande integrazione 1958 (particolare)

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Il desiderio di contraddizione che governa l’opera di Carla Accardi, la sua idea di usare “la pittura come un’ispirazione di antipittura” hanno determinato la costruzione della mostra organizzata a palazzo Valle, nella sede catanese della fondazione Puglisi Cosentino, chiusa il 9 giugno. Segno e trasparenza, i due poli apparentemente contrastanti entro cui oscilla felicemente la ricerca dell’artista, appaiono nella mostra come elementi di una possibile sintesi, di una dialettica basata sulla “problematica discontinuità”, come protagonisti di un agone poetico tra la pittura e i propri stessi limiti. Limiti messi continuamente in discussione, sottoposti con costanza a incessanti sollecitazioni innovative. Nella mostra ciascun ambiente è dedicato ad aspetti specifici della ricerca dell’artista sui materiali, il colore, il segno, la trasparenza. La struttura cronologica è così solo apparente, grazie al continuo gioco di rimandi e di riemersioni tra le diverse stagioni creative dell’opera di Accardi. Si parte dai primi lavori degli anni Cinquanta, in cui si manifestano articolazioni di segni cromatici, germi proliferanti in configurazioni libere, che alla metà del decennio si attestano sulla bicromia del positivonegativo, del bianco-nero: opere, queste ultime, generate da un’esigenza di riduzione espressiva, eppure innegabilmente vive e dinamiche. La polarità tra segno e trasparenza si manifesta qui in un’idea nuova della luce e del colore, della superficie e dello spazio. Temi che troveranno nuovi sbocchi nelle opere a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quei “cervelli” in cui lo sguardo si concentra in quello che l’artista definisce “ordine casuale”, ossimoro fedele alla qualità critica e dialettica della sua ricerca. Gli anni Sessanta, con i tentativi “naturalistici”, le strutturazioni geometriche e l’adozione di nuovi materiali, tra cui il sicofoil, rappresentano il momento forse più fecondo nell’evoluzione di questa ricerca. Segno e trasparenza sono, in modi diversi e molteplici, i fari di una navigazione che si confronta anche con la terza dimensione: tra tutte emerge l’opera Tenda del ‘65-‘66, esito da troppo tempo non esposto di questa indagine sulla qualità spaziale del segno, sulle potenzialità generative della trasparenza. Sempre intorno allo spazio e alle sue dimensioni inedite ruotano opere come il Paravento della collezione Frac Nord – Pas de Calais o quella Superficie in ceramica del 2007, in cui il segno si fa superficie sonora grazie all’intervento musicale di Gianna Nannini, in un’unità capace di conferire allo spazio architettonico del palazzo nuove possibilità per lo sguardo e per i sensi. *direttore museo Macro di Roma, curatore della mostra

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LA MELODIA

della creazione Accardi: «Il colore è come un verso, una musica, un film» di Maria Antonia Nocco

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e si domanda a Carla Accardi cosa le manchi della sua Sicilia, lei risponde semplicemente che «partire è ricominciare». Ogni viaggio è un inizio. Come le passate esposizioni o l’ultima monografica che l’artista ha presentato nella rinnovata cornice di palazzo Valle a Catania, in cui le policromatiche invenzioni accardiane intessono un dialogo profondo con l’architettura tardo-barocca dello spazio museale in una sinergia ideale tra opere e ambiente, in un incessante avvicendarsi di forme, superfici e toni. Quasi fossero delle sequenze cinematografiche o piuttosto una partitura musicale su cui l’artista compone note e seminote, accordi e melodie. Sulla possibilità che una tra le due arti possa prevalere sull’altra, la pittrice asserisce che «è una normalità storica: gli stili artistici si sono sempre susseguiti e hanno dialogato anche attraverso le loro differenze». Dopo sessant’anni di attività, di importanti rassegne internazionali a lei dedicate (New York, Londra, Parigi, Bonn

e Buenos Aires), quella di Catania ha costituito la prima significativa esposizione in Italia di un’artista, tra le più rilevanti esponenti dell’astrattismo internazionale, che fin dal principio della sua carriera si è posta in rapporto dialettico con le sperimentazioni dell’arte informale e con le avanguardie culturali. A novembre arriva, poi, un importante catalogo ragionato, curato da Germano Celant (Silvana editoriale, 440 pagine, 75 euro). La sua opera, studiata con attenzione da Celant, viene ripercorsa nella sua completezza, mostrando ai lettori come l’impulso creativo dell’artista si sia continuamente rigenerato – anche di fronte ai mutamenti linguistici che hanno caratterizzato gli ultimi cinquant’anni di storia dell’arte – in una metamorfosi sempre nuova della pratica artistica. Caratteristica dell’arte della Accardi è il far scaturire dalla tela o da altri materiali, come la ceramica o il plexiglas, una luminosità di cromatismi che trova, nell’incontro tra segni e superfici, una tensione complessa e profondamente vitale. Il volume ripropone lo storico saggio di Germano Celant già pubblicato per la prima monografia edita per le

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A destra: un ritratto di Carla Accardi

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L’artista Protagonista dell’astratto

In alto da sinistra: Ombra di castagno 2010 Pieno giorno (veduta) 1987 Catasta, 1979

Carla Accardi (Trapani, 9 ottobre 1924) vive e lavora a Roma dal 1946. Ha partecipato al gruppo romano Forma dal 1947 ed è considerata tra i protagonisti dell’arte astratta italiana dal secondo dopoguerra: dal 1948 ha partecipato in più occasioni alla Biennale di Venezia. Nel 1996 è nominata membro dell’Accademia di Brera e nel 1997, fa parte della commissione per la Biennale di Venezia, nel ruolo di consigliere. Il suo lavoro si fonda sulla feconda interazione tra segno, superficie, luce e colore che si dirama in realizzazioni che spaziano dal dipinto all’installazione.

Edizioni Charta (Milano, 1999), arricchito da una tanto puntuale quanto necessaria trattazione delle opere realizzate dal 1996 al 2009. Il catalogo annovera, oltre alle opere di questo nuovo periodo, anche quelle dei decenni precedenti non comprese nella prima monografia, ponendosi così come integrazione completa del precedente volume. Le tavole delle opere sono accompagnate da testi della stessa Accardi. Il repertorio dell’artista si svolge in una ingegnosa interazione di tracce semantiche, di originali supporti e di un complesso articolarsi del colore attraverso dipinti di medio formato, ampi pannelli o estese installazioni. «Sono diventata artista, seguendo il mio desiderio», rievoca la Accardi. Una straordinaria inventiva che dispone o allinea, scompagina e mette in scena le suggestive creazioni contraddistinte da un’euritmia, una corrispondenza di toni e di forme che è insolito rintracciare, nella stessa misura, in pur celebrati pittori; un’estetica al femminile che in qualche modo differisce dall’interpretazione virile dell’armonia e a cui lei ribatte: «Ho comunque sempre cercato di fare il mio lavoro

d’artista a prescindere dal genere, anche se nel passato riconosco che le opere più importanti le hanno fatte gli uomini». Se le si chiede di un modello, di un maestro di arte e di vita, la Accardi afferma inequivocabile che «uno è stato Matisse». Le forme sinuosamente morbide e le variegate modulazioni cromatiche del maestro fauvista connotano molte delle sue creazioni, quali Concentrico blu, rilucente nelle tonalità di azzurro intenso che si osservano anche in Nudo blu del francese. Le stesse “nuances” cobalto che ritroviamo in Passi di passaggio del 2007, presentato in diversi allestimenti e nella rassegna catanese, che si compone di una superficie in grés azzurra, verde e bianca e delle sonorità di Gianna Nannini che ha concepito il brano come una “camminata”, in perfetta sintonia con l’opera accardiana. A ribadire la poetica dell’artista che ha più volte rivelato: «Io do molta importanza alla comunicazione che dà il colore come se fosse un verso, una musica o un film». E molte sue opere in particolare assumono i caratteri e le suggestioni di una melodiosa e variopinta danza matissiana.

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conversando sul sofà UGO RICCARELLI

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“Er papa se n’è ito” Ecco una bella storia Dal teatro al romanzo: La repubblica di un solo giorno rievoca dal “basso” l’epopea risorgimentale di Roma e parla all’oggi della politica “alta” di Maurizio Zuccari

«Er papa se n’è ito!, parole incredibili che corrono da un angolo all’altro della Città eterna: c’è chi le mormora con stupore, chi le grida esultando, c’è chi si informa, chi ride, chi applaude…». No, non è l’abbandono da parte del santo padre del suo regno millenario, come può sognare un anticlericale incallito, ma l’incipit dell’ultimo romanzo di Ugo Riccarelli. La fuga di Pio IX da Roma, protagonisti l’uno e l’altra, loro malgrado, dell’epopea che rese il romano pontefice e la sua sede protagonisti del Risorgimento, nel biennio 1848-49. A quella breve stagione di sogni e libertà affossata dalle armi francesi che rimisero sul soglio di Pietro il suo successore, cacciando mazziniani e garibaldini, lo scrittore che nella capitale vive da un decennio dedica La repubblica di un solo giorno, abbandonando le narrazioni dell’animo umano mutuate dal vissuto famigliare per rievocare quell’episodio tanto glorioso quanto breve. Meno di ventiquattr’ore, infatti, restò in vigore la Costituzione della Repubblica romana retta dal triumvirato di Giuseppe Mazzini e dei meno noti delegati delle Romagne Carlo Saffi e Aurelio Armellini, difesa dai volontari di

Garibaldi e di chi, come lui, decise di opporsi con la forza alle armi della reazione. Non solo francesi e papalini ma napoletani, austriaci, spagnoli e quant’altri vedevano come la peste l’idea di un’Italia unita e del popolino in armi. Così, quando le truppe francesi salirono in Campidoglio per intimare all’assemblea Costituente di sgombrare, la sera del 4 luglio 1849, Garibaldi aveva già lasciata la città promettendo ai quattromila che lo seguivano – e presto si sarebbero squagliati per via – «non paghe, non ozi molli. Acqua e pane quando se ne avrà», i romani che avevano fatto la loro parte tornarono ad abbassare il capo al papa re riportato sul trono dal generale Oudinot. Una pagina di storia forse più nota che conosciuta, per dirla come Manzoni, che Riccarelli fa rivivere sulla carta, con un testo che ha dato la stura all’omonimo spettacolo teatrale scritto con Marco Baliani. Perché un romanzo storico sul Risorgimento, quel periodo in particolare? «Beh, non sono uno storico e non so se questo sia un vero e proprio romanzo storico. Dovere di chi scrive è ripercorrere la memoria, con i mezzi della letteratura. Quella della Repubblica romana è una bella storia,

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importante per la nostra identità, un episodio esaltante e tragico allo stesso tempo che mi sembrava fosse troppo poco conosciuto nella nostra memoria di popolo. L’occasione del 150° anniversario dell’unità è importante non tanto per celebrarlo ma per conoscerlo meglio, raccontando da un punto di vista “basso” una sorta di sogno infranto che si conclude in poco tempo ma lascia qualcosa che darà i suoi frutti negli anni ed è ancora il nostro futuro». Cosa vuole raccontare questo libro all’oggi e come interpreta quest’oggi? «In questa storia c’è un alto senso della politica che oggi manca. Il nostro è un periodo di grande decadenza delle idee, di lotte di potere inteso nell’accezione peggiore, sentiamo la mancanza di un confronto democratico. La Repubblica romana dimostra come la politica possa volare alto e produrre qualcosa di utile nell’interesse generale e non particolare dell’uomo. Si è tentato di realizzare nel posto forse meno adatto, la Roma della metà dell’Ottocento, una democrazia popolare partendo dal presupposto di mettere le mani sui diritti fondamentali dell’uomo che oggi reputiamo naturali ma non è così. I giovani che all’epoca si immolarono per difendere quella Costituzione non potevano esprimersi liberamente, non avevano neanche il riconoscimento a una propria identità unitaria di popolo. Ecco un aspetto che questa storia può raccontare all’oggi: come la politica possa essere manutenzione di cose e di idee. Il Risorgimento non è stato una vera lotta di popolo ma la Repubblica romana fu capace di coinvolgere un popolino disincantato, dimostrando che quando la politica dà risposte concrete la gente si appassiona a essa». Ama raccontare la storia dalla parte dei vinti: questa è una storia di vinti, anche se resta quell’idea grandiosa di repubblica che è anche alla base della nostra Costituzione. Che rapporto c’è tra quei vinti, quella resistenza, e altri episodi della storia di Roma più recente, in questa città bifronte? «Rispondo letterariamente con un’affermazione di Gesualdo Bufalino: i vincitori non sanno quello che si perdono. Cioè, il punto di vista di chi ha perso è per noi narratori più interessante che non quello di chi ha vinto e scrive la storia. Poi, diciamolo francamente, gran parte della storia è di perdenti, i vincitori saranno un dieci per cento, però è questa gente che fa la resistenza, fa la Storia con la S maiuscola. Ed è importante non dimenticare questo sguardo dal basso perché ci

IL LIBRO La repubblica di un solo giorno Mondadori 161 pagine 18 euro

Coi protagonisti sullo sfondo, prendono vita le comparse della Repubblica romana del 1849. Ranieri e Aurelio, venuti dal nord a Roma al seguito di Mazzini e Garibaldi; Maddalena, prostituta che, innamorata di Ranieri, si fa infermiera nell’ospedale della principessa Cristina di Belgiojoso; Lucio che da ladruncolo trasteverino diventa eroe in nome della libertà. Una galleria di personaggi, metafore di un momento storico zeppo di illusioni e di speranze.

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Questa storia racconta come la politica possa essere manutenzione di cose e di idee Quando dà risposte concrete la gente si appassiona Il nostro è un periodo di decadenza

A destra e nella pagina precedente lo scrittore Ugo Riccarelli (foto Camilla Mozzetti) Nelle pagine seguenti un’immagine tratta dallo spettacolo teatrale andato in scena con la regia di Marco Baliani (foto Paolo Romano archivio Napoli teatro festival)

dà la possibilità di mettere le mani su un aspetto che lo storico non riesce a toccare: quello emotivo, emozionale, profondo delle vicende umane. Confesso che mi ha fatto molto piacere quando lo storico Emilio Gentile mi ha detto: piacerebbe anche a me raccontare la storia con questo valore aggiunto, mi rammarico perché devo attenermi strettamente ai documenti. Nonostante un romanziere non debba attenersi alla stretta realtà storica, riesce a dare al lettore verità altrettanto forti. È questo il bello della narrativa storica». Il suo romanzo nasce come lavoro teatrale per lo spettacolo omonimo con la regia di Marco Baliani, inaugurato al Napoli teatro festival e andato in scena, tra l’altro, all’India di Roma. Una cosa curiosa. «Normalmente è dal testo narrativo che nasce una scenografia o una drammaturgia, invece questa storia, proprio per raccontare il 150esimo dell’unità in modo differente, nasce da un’idea teatrale per il secondo atto di una trilogia. Il primo è stato Piazza d’Italia tratto dal libro di Antonio Tabucchi, ora Baliani ne sta preparando un terzo sul brigantaggio. Abbiamo costruito La repubblica guardandola dal basso, come dicevo prima, Mazzini e Garibaldi restano sullo sfondo. Ci interessava parlare di chi la storia l’ha fatta materialmente, dopodiché con Baliani ci siamo scambiati le idee. Mantenendo la stessa sostanza abbiamo avuto la possibilità di raccontare le cose con sfumature diverse».

Lo scrittore Audience & Strega Nato il 3 dicembre 1954 a Cirié, in provincia di Torino, da genitori di origini toscane, Ugo Riccarelli frequenta Filosofia all’università di Torino. Operatore culturale, si occupa dell’ufficio stampa del comune di Pisa. Nel 1995 è tra i vincitori del concorso Rai-Corriere della sera Sette per Sette, con il racconto Come ti faccio impennare l’audience da cui viene realizzato un programma radio. Vive e lavora a Roma. Tra i suoi libri: Le scarpe appese al cuore, Feltrinelli 1995 (vincitore del premio Chianti); Un uomo che forse si chiamava Schulz, Piemme 1998, (Campiello 1998); Stramonio, Piemme 2000; L’angelo di Coppi, Mondadori 2001; Il dolore perfetto, Mondadori 2004 (Strega 2004); Un mare di nulla, Mondadori 2006; Pensieri crudeli, Perrone 2006; Comallamore, Mondadori 2009; Diletto, Voland 2009. La repubblica di un solo giorno, Mondadori 2011 (anche testo teatrale, con Marco Baliani).

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Differenze e analogie tra testo teatrale e narrativo? «Sono due mezzi diversi, il teatro ha la corporalità, la musica, le luci, la forza dei sensi. Il romanzo la profondità dell’introspezione, la descrizione. Qui alcune cose sono rimaste, altre si sono aggiunte. Le storie hanno lo stesso nucleo centrale, poi divergono come in un caleidoscopio. A teatro le scene si susseguono, c’è una valenza coreografica più forte. Spero di essere riuscito a mantenere la stessa cosa attraverso le parole, che queste possano tenere il lettore inchiodato alla pagina. Ho tenuto l’idea dei quadri, scenette con una forte valenza ellittica. Non è un romanzo classico, chiede al lettore uno sforzo d’immaginazione». Nel romanzo da un punto di vista stilistico ha affrontato la parlata romana, un po’ come Gadda. Lui veniva da Milano, lei è tosco-piemontese. Com’è andata? «Ho riletto il Pasticciaccio con molto piacere, Gadda è uno dei miei autori preferiti. Sicuramente, e parlo pure a nome di Baliani perché questo è successo anche a livello teatrale e nessuno dei due è romano, non abbiamo voluto scrivere in una lingua naturalistica e neanche recuperare il dialetto ottocentesco, sarebbe stato impossibile e non so fino a che

punto utile. Abbiamo cercato un compromesso come lo stesso Gadda e Pasolini, un romanesco legato all’attualità, con le sue parentele con l’italiano. Non tanto come dizione o trascrizione ma come modo di parlare e di porsi nella realtà. È un romanesco forse bastardo ma efficace». Il suo stile narrativo è stato avvicinato al realismo magico. Ci si riconosce? «Vengo da una tradizione toscana orale dove, nel raccontare le storie, il filo sottile fra realtà e fantasia è sempre in primo piano: un buon narratore si attiene alla prima fino a un certo punto. Al di là delle definizioni che sono esercizi da critico, raccontare è davvero qualcosa di magico che ha forti radici nella realtà ma dà la possibilità di spaziare, far sognare le persone, entrare sotto al velo che la realtà ricopre e la fantasia, il sogno, l’emozione tolgono. Svelare è, per me, la possibilità di raccontare». Tra i temi cari alla sua narrazione c’è il dolore, la follia. «Sono due aspetti che mi hanno sempre inte-

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ressato, non tanto il dolore fisico in sé quanto quello psichico, il disagio che fa parte della condizione umana. Basta poco per farci capire quanto siamo fragili, soprattutto davanti al dolore perfetto, assoluto. Un raggio di luce che scende, un’amicizia che si rompe, un amore che finisce. Scientificamente non è comprensibile ed è questa la materia della lettura, della poesia, del teatro. Per quanto c’illudiamo di essere forti sappiamo che la nostra natura è imperfetta, gli esseri umani sono imperfetti. Per riconoscere in sé stessi e negli altri questo aspetto la sofferenza è una condizione imprescindibile, perché è una forma di conoscenza. Non tanto per masochismo ma per non rinnegare la propria umanità. In questo senso anche la follia può essere conosciuta, il suo dolore riesce a produrre uno sguardo altro sulla realtà, in fondo è quello che fanno gli artisti. Non mi piace pensare che tutto lo spazio della sofferenza sia occupato dalla malattia, ma che ci sia la possibilità di conoscere e avere spunti di riflessione diversi attraverso il disagio mentale». È anche giurato allo Strega: cosa salva, che mette nella valigia letteraria di questo paese,

in questi 150 anni della nostra storia? «Il verismo è vicino ai miei gusti, quindi penso a Giovanni Verga; a un grande come Luigi Pirandello, modernissimo come autore teatrale e per la capacità psicologica di costruzione dei personaggi. Ci sono anche dei contemporanei che amo molto, uno fra tutti Antonio Tabucchi che considero un mio maestro e ammiro moltissimo anche per la pulizia della scrittura. Non dobbiamo pensare che la nostra letteratura sia inferiore o tutta da buttare, vedo cose che si muovono, ci vorrà del tempo. Ma non bisogna fossilizzarsi sulla riproduzione della realtà attuale, la letteratura è ricerca, quindi il linguaggio attuale è importante ma non possiamo dimenticare le possibilità della nostra lingua, i nostri classici. L’italiano ha una musicalità e un passo che altre lingue non hanno, mi piacerebbe che questi aspetti restassero». Infine, progetti? «Tra i tanti, una cosa in teatro che farò a quattro mani con un amico attore, e un romanzo per il prossimo anno che scriverò questa estate. Una storia sull’attualità, stavolta, vista con occhi un po’ stravolti: il modo migliore di guardarla, oggi».

La natura umana è imperfetta la sofferenza è una forma di conoscenza proprio per non rinnegare la nostra umanità

Lo spettacolo A lezione di storia e teatro con Marco Baliani È una lezione di storia quella scritta a quattro mani dal premio Strega Ugo Riccarelli e da Marco Baliani, interprete del teatro civile. Lo spettacolo La repubblica di un solo giorno, inaugurato al Napoli teatro festival e andato in scena all’India di Roma lo scorso novembre, con Patrizia Bollini, Daria Deflorian, Gabriele Duma, Simone Faloppa, Renata Mezenov Sa, Mariano Nieddu, Alessio Piazza, Naike Anna Silipo, Alexandre Vella, con scene e costumi di Carlo Sala, musiche di Mirto Baliani e drammaturgia di Maria Maglietta. Prodotto dal Teatro di Roma e inserito nel progetto “Fratelli di storia”, tre appuntamenti dedicati al centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, l’opera – insieme a Piazza d’Italia, tratto dall’omonimo romanzo di Antonio Tabucchi, e da un terzo lavoro sul brigantaggio, in fase di preparazione – costituisce un affresco storico che racconta il controverso processo unitario con la forza del palcoscenico teatrale, del teatro di parola tipico di Baliani, ed è in cartellone in varie piazze del Belpaese.

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un caffè con PAOLO BARATTA

La mostra Illuminazioni include anche tre opere del pittore veneziano Jacopo Robusti detto Tintoretto (1518–1594) Le tele, concesse in prestito alla Biennale dalla soprintendenza per il Polo museale veneziano, sono esposte nel padiglione centrale ai Giardini Si tratta dell’Ultima cena (a sinistra, proveniente dalla basilica di san Giorgio maggiore e realizzato fra 1592-94), del Trafugamento del corpo di san Marco e della Creazione degli animali (entrambe conservate alle gallerie dell’accademia)

La macchina del vento scuote la laguna Al via la Biennale di Venezia, il presidente: «Che illuminazione sia» di Paolo Baratta*

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a Biennale è come una macchina del vento. Ogni due anni scuote la foresta, scopre verità nascoste, dà forza e luce a nuovi virgulti, mentre pone in diversa prospettiva i rami conosciuti e i tronchi antichi (e quest’anno i tronchi saranno davvero antichi vista l’intenzione della curatrice di aprire con Tintoretto). La Biennale è un grande pellegrinaggio dove nelle opere degli artisti e nel lavoro dei curatori si incontrano le voci del mondo che ci parlano del loro e del nostro futuro. L’arte è qui intesa come attività in continua evoluzione. Se un museo si qualifica principal-

mente per le opere che possiede, una istituzione come la Biennale si qualifica piuttosto per il suo “modus operandi”, per i metodi seguiti, per la natura dei soggetti che vi partecipano, per le scelte sul metodo e per i principi e le regole che ispirano la sua organizzazione, per gli spazi di cui dispone: insomma per la forma dell’istituzione che si riflette nella forma data alla mostra che vi si tiene ogni due anni. Ed è dalla qualità di questa forma che dipende il raggiungimento del principale nostro obbiettivo: ottenere la stima del mondo. Dopo 116 anni di vita della Biennale, la forma della mostra attuale è quella definita in modo compiuto nel 1999 e confermata e perfezionata negli anni successivi. Dico questo perché è proprio a partire da quell’anno che alla mostra organizzata per padiglioni

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si affianca in modo netto e distinto la mostra che il curatore nominato dalla Biennale deve organizzare come mostra internazionale, con un compito netto non dovendo egli darsi carico della selezione del padiglione italiano. La mostra della Biennale si presenta dunque ora fondata sui seguenti pilastri. Primo: i padiglioni dei paesi partecipanti. Sono 28 i padiglioni fissi, costruiti all’interno dei giardini, utilizzati da 30 paesi titolari considerati partecipanti permanenti. Sono però partecipanti ad egual titolo altri paesi che chiedono di essere invitati; di questi alcuni trovano spazio all’interno dell’arsenale, altri trovano il loro spazio in luoghi diversi di Venezia. I paesi partecipanti quest’anno sono complessivamente 89 (erano 77 nell’ultima Biennale). Tra questi alcuni sono presenti per la prima volta: Principato di Andorra, Arabia Saudita, Bangladesh, Haiti. Altri sono tornati dopo presenze antiche: India (1982), Congo (1968), Iraq (1990), Zimbabwe (1990), Sudafrica (1995), Costa Rica (1993) e Cuba (1995). I padiglioni dei paesi sono una caratteristica molto importante della Biennale di Venezia. Una formula antica di presenza degli stati eppure viva e vitale più che mai. Preziosa in tempi di globalizzazioni, perché ci dà il tessuto primario di riferimento sul quale possono essere osservate e meglio evidenziate le autonome geografie degli artisti, sempre nuove, sempre varie. Secondo pilastro: la mostra internazionale del curato-

re della Biennale. Al centro, parallela alla serie dei padiglioni dei paesi, sta la mostra internazionale del curatore, quest’anno Bice Curiger, che ha scelto come titolo Illuminazioni (gli artisti presenti saranno 83). Il curatore (la curatrice) è chiamato espressamente a realizzare una mostra “senza confini”. La Biennale non ha nominato comitati o commissioni, né diversi curatori per diverse aree, ma si affida alla singolare responsabilità di un curatore. Terzo pilastro: Gli spazi per realizzare la grande mostra internazionale del curatore. Dovevano essere adeguati allo scopo. E proprio per questo, nel 1998 abbiamo ampliato grandemente gli spazi che oggi sono costituiti: da un lato dal padiglione centrale e dall’altro dall’arsenale. Gli spazi costituiscono un elemento essenziale della mostra che, negli spazi e nella loro particolare articolazione e qualità, trova lo strumento più opportuno per formare il proprio linguaggio. Un ulteriore componente: le partecipazioni collaterali. Soggetti non profit possono presentare progetti per piccole mostre, da tenersi nella città di Venezia, normalmente per tutti i sei mesi della mostra. Il curatore della

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Biennale, anche qui in totale autonomia, giudica la loro qualità e ammissibilità come “collaterali”. Un elemento decisivo: la città di Venezia che per sei mesi accoglie sul suo territorio questo grande insieme di energie vitali. Un pilastro sempre più importante della nostra costruzione è poi la cura del pubblico. Da tempo la Biennale sviluppa attività “educational” e visite guidate. Quest’anno abbiamo aperto un nuovo campo d’azione. Dopo l’esperienza compiuta favorevolmente con la mostra d’architettura, per la prima volta lanciamo il programma “Biennale sessions”, rivolto a istituzioni operanti nella ricerca e nella formazione nel campo delle arti o nei campi affini. Scopo è quello di offrire

una facilitazione a visite di tre giorni da loro organizzate per gruppi di almeno 50 tra studenti e docenti, con vitto a prezzo di favore, la possibilità di organizzare seminari in luoghi offerti gratis, assistenza all’organizzazione del viaggio e soggiorno. Durante la Mostra si terranno poi seminari aperti. “Meetings on art” saranno organizzati in giugno e alla ripresa autunnale. Con questo pilastro vogliamo confermare il ruolo della Biennale di Venezia quale istituzione aperta alla conoscenza e allo spirito di ricerca, degna di un pellegrinaggio. Ho detto dell’importanza del ruolo del curatore e della responsabilità lui (lei) affidata. Il curatore deve avere occhio esperto, spirito indipendente, generosità verso gli artisti, severa capacità di selezione, grande fedeltà a quella misteriosa dea che è

Padiglione Italia L’arte non è cosa nostra

L’evento Record di partecipazioni Illuminazioni, questo il titolo della 54esima edizione della Biennale d’arte di Venezia al via dal 4 giugno. La kermesse si presenta con un record, quello delle 89 partecipazioni nazionali. E con la voglia di rimanere al vertice del sistema artistico internazionale anche e soprattutto in tempi di crisi. L’esposizione è firmata quest’anno dalla storica e critica svizzera Bice Curiger, curatrice della Kunsthaus di Zurigo. La mostra, allestita al padiglione centrale dei Giardini e all’Arsenale, ospita 82 artisti: tanti i giovani, nati dopo il 1975, e le donne, ben 32. Intorno al nucleo principale sbocciano i padiglioni nazionali, con l’esordio di nuovi paesi come Andorra, Arabia Saudita, Bangladesh e Haiti. Due i progetti di punta: “Biennale sessions”, rivolto a università, accademie e istituti di ricerca e “Meeting on art”. I Leoni d’oro alla carriera sono stati assegnati all’artista statunitense Elaine Sturtevant e all’austriaco Franz West. Fino al 27 novembre, Giardini e Arsenale, Venezia. Info: www.labiennale.org. (S. C.)

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Un lavoro monumentale. Un piano – quello messo a punto da Vittorio Sgarbi per il padiglione Italia – che fra le componenti in cui è articolato coinvolge un paio di migliaia d’artisti. Praticamente ci sono tutti, dalla a di Valerio Adami alla z di Marco Zanta. Il critico ferrarese ha elaborato un progetto concepito con un criterio originale: gli oltre 200 artisti all’Arsenale per la mostra principale, intitolata L’arte non è cosa nostra, sono stati indicati da scrittori, poeti, registi, uomini di pensiero chiamati a far parte di un comitato tecnico scientifico presieduto dal presidente della fondazione Roma e dell’azienda speciale Palaexpò Emmanuele Emanuele. «L’obiettivo – ha dichiarato Sgarbi – è il risarcimento del rapporto tra letteratura, pensiero, intelligenza del mondo e arte, chiedendo non a critici d’arte e nemmeno a me stesso, quali siano gli artisti di maggiore interesse dell’ultimo decennio». Il progetto riserva inoltre un ruolo importante al 150esimo anniversario dell’unità d’Italia. Anzitutto, le 27 esposizioni promosse nelle regioni italiane in collaborazione con le amministrazioni regionali e le attività programmate negli 89 istituti italiani di cultura all’estero sponsorizzate dal ministero degli Affari esteri. Il quadro si completa con i tanti eventi collaterali, dal Canaletto alla collezione fotografica di Elton John. Discorso a parte merita la mostra Accademie d’Italia alle Tese di san Cristoforo, che vedrà la presenza degli istituti di Belle arti d’Italia che hanno selezionato i loro allievi più promettenti. Fino al 27 novembre, sedi varie, Venezia. Info: www.beniculturali.it. (Simone Cosimi)


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la qualità. Sguardo libero sul mondo. Queste doti il mondo riconosce a Bice Curiger. Con lei siamo tornati a Zurigo. Cominciammo con Szeemann, appunto nel 1999. Alcuni amici descrivono questi 12 anni di Biennale come “il felice viaggio dalla barba di Harald al rosso ciliegia del rossetto di Bice”. Concordiamo con Bice. In un’epoca nella quale l’arte ha da tempo cessato l’enfasi sulla provocazione dell’anti-arte, cerchiamo le vie del colloquio tra l’opera dell’artista e il nostro sguardo e il nostro spirito, vogliamo capire e sentire quel di più che l’arte con generosità ci dona e ci sussurra, desideriamo illuminazione come visitatori, come amanti dell’arte, come individui e come membri della comunità umana. E che Illuminazione sia. *presidente Biennale di Venezia

Il personaggio Manager di cultura Manager, ministro e uomo di cultura, Paolo Baratta ha ricoperto la carica di presidente della Biennale dal 1988 al 2002 per poi tornare in sella nel 2007, dopo la nomina dell’allora ministro Francesco Rutelli. Nato a Milano l’11 novembre 1939, ha ricoperto incarichi nel mondo bancario e culturale (Zanussi, Ericsson, Olivetti, Mediobanca, Edizioni Holding, fondazione Valla) ed è stato ministro per le privatizzazioni nel governo Amato, per il Commercio estero nel governo Ciampi e dei Lavori pubblici e ambiente nel governo Dini. Laureato in ingegneria ed economia, Baratta ha fatto parte dei cda di varie società e istituzioni fra cui Telecom Italia, Fs e Banca Finnat Euroamerica oltre a essere presidente dell’Accademia filarmonica Romana, riconfermato nel 2010.

A sinistra: Vittorio Sgarbi Sotto, da sinistra: i giardini il padiglione Italia e Paolo Baratta foto Ap/lapresse

Gli eventi collaterali Cosa c’è da vedere Anton Ginzburg Palazzo Bollani www.artpace.org “Ascension” Basilica di san Giorgio www.arteallarte.org Roma pavilion Palazzo Zorzi www.soros.org Stefano Cagol Chiesa di san Gallo, san Marco www.concilio-biennalevenezia.org “Cracked culture?” convento del santo Spirito www.gdmoa.org “Future generation art prize” Arsenale, campo della Tana www.futuregenerationartprize.org “Mobility & memory” Arsenale, campo della Tana www.artmuseum.gov.mo Pino Pascali Palazzo Michiel dal Brusà www.museopinpascali.it “Round the clock” Arsenale novissimo spazio Thetis www.beinnaleroundtheclock.com “The future of a promise” Magazzino del sale www.thefutureofapromise.com “The heard and the unheard” Palazzo delle prigioni www.tfam.museum Pier Paolo Calzolari Ca’ Pesaro www.museiciviciveneziani.it Tim Davies Ludoteca santa Maria Ausiliatrice www.artscouncilofwales.org Anastasia Khoroshilova Biblioteca zenobiana della temanza www.mmoma.ru


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il corpo dell’arte MIMMO PALADINO

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Un guerriero dell’oggi L’artista, già esponente della Transavanguardia, influenzato dai fasti dell’antichità crea potenti suggestioni per il nostro presente di Maria Antonia Nocco

La candida Montagna di sale che Mimmo Paladino ha di recente allestito in piazza Reale a Milano irrompe quieta nello spazio scenico compreso tra il versante laterale della cattedrale gotica, il palazzo Reale che ospita una retrospettiva dell’artista e i due edifici dell’Arengario come a voler stabilire un dialogo con il passato per trarne idee e riflessioni e, al tempo stesso, ribadire la propria assoluta peculiarità. Più che di “land art” o “site specific”, come è stata più volte considerata la messa in opera della piramide salina già affiorata la prima volta lungo la Via del sale che da Trapani giunge a Marsala, poi nel 1990 a Gibellina e nel 1995 in piazza del Plebiscito a Napoli, si potrebbe parlare di “art in progress” in cui l’autore interviene direttamente sullo spazio urbano, attraverso l’inserimento e la contestualizzazione temporale e ambientale di allestimenti effimeri, modificandone

l’immagine. «La Montagna di sale ha avuto un grande valore – spiega Paladino – perché per la prima volta ci si stupiva a credere che il popolo, la gente comune potesse amare e apprezzare un lavoro d’arte contemporanea e quindi assume un valore di strano simbolismo etnico. Parte da un’idea artistica d’avanguardia e diventa un oggetto di lettura popolare: veramente popolare». Elemento di forte attrazione della piramide salina sono le trenta possenti sculture, alte quasi quattro metri, dei foschi cavalli adagiati mollemente o sprofondati nella massa cristallina e ancora eretti a severi paladini di quel magico microcosmo. Gli arcaici destrieri, in particolare, costituiscono un anello di congiunzione tra presente e passato. Si è detto che essi rappresentano la “forza”, l’“ingegnosità” delle italiche genti o un tributo al Don Chisciotte di Cervantes e ancora un richiamo al Cavallo

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di Troia, ma il legame potrebbe essere di natura ideale e intimamente connaturato a quel luogo senza che questo sia, in realtà, nelle intenzioni dell’autore che non ha concepito la Montagna di sale (35 metri di diametro e 10 d’altezza) come un’opera stanziale bensì un organismo in continuo movimento. Ecco pertanto piazze e slarghi di paesi e di città allestite per l’approdo del monumento itinerante che, di volta in volta, acquista la funzione di monolite o di statua commemorativa, di totem o di fonte d’acqua. Strutture che, universalmente e in ogni tempo, hanno topograficamente contrassegnato e adornato i piazzali di oscuri villaggi e celebrate metropoli: luoghi simbolo, accentratori e propulsori di energie cosmiche e antropiche. Al pari del contiguo monumento equestre di Vittorio Emanuele II in piazza Duomo con cui a notte fonda, allorché la città si svuota e quest’area assume una dimensione di dechirichiana metafisica, i cavalli paladiniani sembrano colloquiare. Si potrebbe pensare, ma rimane unicamente una teoria affascinante, che gli scuri corsieri possano in qualche modo essere lontani discendenti della colossale statua equestre che nel 1482 Leonardo da Vinci aveva progettato nel medesimo sito su commissione del duca di Milano Ludovico il Moro per commemorare il padre Francesco Sforza; secondo le fonti il poliedrico artista aveva la bottega in Corte vecchia, esattamente nell’area dell’attuale palazzo Reale. Ipotesi avvincente o congiunzione fortuita? Bisogna considerare tuttavia che la montagna salina ha avuto una sorte migliore riguardo al rinascimentale cavallo leonardesco; se la prima è stata costretta dalla Soprintendenza milanese a “traslocare” da piazza Duomo, che con la sua estensione avrebbe certamente enfatizzato l’opera, alla piazzetta Reale – per lasciare spazio ad altri eventi di politica e sport (comizi elettorali, Giro d’Italia) che nel nostro paese hanno maggiori impellenze riguardo alle esigenze dell’arte e degli artisti – l’ambizioso progetto di Leonardo di realizzare un cavallo in bronzo “rampante”, di circa sette metri e in una unica colata, non fu portato a termine e il gran modello in “terra” venne abbandonato in un cortile del castello Sforzesco in balìa dei balestrieri di Luigi XII che, nel 1499, lo utilizzarono come bersaglio, distruggendolo. Nelle opere di Paladino i richiami all’antico, se pur distanti da ogni riferimento diretto e assoluto con i modelli del passato, vivificati dal soffio impetuoso della contemporaneità sono ricorrenti e molteplici. «In realtà – precisa l’artista – ci sono degli incontri del passato che avvengono rispetto a quello che in quel momento si sta facendo; potrebbe essere, ad esempio, Paolo Uccello come Piero della Francesca piuttosto che Giotto. Non ci sono dei punti di riferimento precisi. E comunque per me su tutti campeggia

Picasso, soprattutto come forma di mentalità creativa». Un universo magico e ancestrale ma al tempo stesso drammatico e tormentato spesso caratterizzato da omini assorti e distanti, uomini-fantoccio sprofondati nel nulla esistenziale, e da piccole teste tosate e senza identità contraddistinte da inquietanti fissità iconiche. Le creazioni polimateriche di Paladino sono spesso realizzate con sostanze naturali intrinsecamente correlate alla geografia vegetale della penisola come il legno, la pietra, il sale, il calcare e la terracotta, una sostanza che si adatta particolarmente a trasporre concettualmente e visibilmente l’universo alchemico dell’artista, come si può osservare nella ‘terra’ di circa tre metri dell’imponente Guerriero di Capestrano in mostra a Chieti, omaggio alla statua fittile del VI secolo a.C. conservata nel Museo nazionale archeologico di villa Frigerj, rappresentante un condottiero di ceppo sabellico, e inoltre nei quattro scudi con diametro di cinque metri esposti nel cortile di palazzo Reale, dove alla matrice fortemente arcaica dello strumento in terraglia si aggiunge l’elemento straniante e con una profonda valenza simbolica, dei numeri e dei segni. Sottolinea Paladino: «Il legame al mondo mediterraneo mi appartiene: dalla cultura araba attraverso la Sicilia e oggi attraverso l’arte italica abruzzese, appunto, nel Guerriero di Capestrano, la prima opera che ho guardato con attenzione nel momento in cui ho deciso di fare una scultura. Mi sembrava che in quel lavoro ci fossero tutti i punti di riferimento. Dalle Grotte di Lascaux a oggi noi non saremmo tali se non ci fosse stata tutta la storia del mondo attraverso il segno e soprattutto, per quel che mi riguarda, l’espressione grafica; c’è da mettere dentro proprio tutto». Non solo terracotta ma anche pittura, incisione, scultura, disegno, fotografia ed inoltre mosaico, cinematografia ed encausto in una costante sperimentazione dei più moderni codici figura-

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Mimmo Paladino al lavoro foto Peppe Avallone Nelle pagine precedenti a sinistra: Montagna di sale Milano 2011 A destra: Porta, 2007

L’artista Consacrato da Abo Mimmo Paladino nasce a Paduli (Benevento) il 18 dicembre 1948. Le sue prime e più importanti personali sono nel 1969 allo studio Oggetto di Caserta e nel 1976 alla galleria Nuovi strumenti di Brescia. In occasione di Aperto ‘80, alla Biennale di Venezia del 1980 Achille Bonito Oliva accomuna le sue opere a quelle di Cucchi, Chia, Clemente e De Maria coniando il termine Tr a n s av a n g u a r d i a . Fotografia, pittura, scultura, disegno, incisione, mosaico, encausto, terracotta, ceramica, cinematografia sono le espressioni utilizzate dall’artista. Nel 2010 realizza la scenografia del tour di Dalla e De Gregori “work in progress”. Vive e lavora a Paduli, Roma e Milano.

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tivi che travalicano gli angusti confini della rigida ripartizione delle arti in generi. «L’arte è sempre indagine sul linguaggio» né può essere un abbandonarsi all’intuizione poetica dell’istante e men che meno soltanto una questione di «superficie fine a se stessa», afferma Paladino. Al di là dell’individuazione di nuovi idiomi, molte tra le opere paladiniane rievocano questioni reali e narrano di principi universalmente validi. Tra queste ancora la Montagna di sale che, per l’artista, riproduce «un’opera popolare che ha bisogno di un luogo pieno di gente» e, attraverso il medium del sale trasportato dalla Sicilia a Napoli e poi a Milano, ha inteso anche unificare idealmente la penisola in occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia. Vi è, in particolare, un’altra invenzione del maestro beneventano, realizzata nel 2008, che costituisce un modello di allarmante attualità: la Porta di Lampedusa, porta d’Europa, un monumento che si staglia al centro del Mediterraneo, su un faraglione dell’isola in prossimità delle coste della Tunisia, per ricordare i migliaia di esuli e migranti senza nome che negli ultimi decenni, e pure al momento come tragicamente noto, hanno perso la vita nelle traversate della speranza. Simile alle entrate trionfali dell’antichità ma qui declinata senza

enfasi attraverso un lessico sobrio e rispettoso della umana sciagura, la porta di cinque metri per tre si affaccia sulle coste africane a configurare il varco di una dimora o di un paese, di una nazione o di un continente che si spalanca per dare ospitalità ai forestieri. Realizzata con una particolare ceramica molto resistente in un laboratorio di Faenza e montata nella tenuta dell’artista a Paduli, la Porta della Speranza, che assorbe e riflette sia i raggi del sole sia i bagliori lunari, esibisce nel doppio fronte, a compendio di una pagina di Storia tristemente trascurata, gli elementi-simbolo di questa diaspora della povertà. Sagome di volti mai conosciuti, lacerti di pesci, allineamenti di mani senza corpi che implorano assistenza, brandelli di oggetti appartenuti ai martiri del mare come calzature che si alternano ai cocci di utensili a rimembrare gli infiniti reperti d‘arte affiorati dalle imbarcazioni greco-ellenistiche che per secoli hanno solcato queste acque e giacciono nei fondali. Un riepilogo per immagini di una inaccettabile sciagura umana; un ammonimento per non dimenticare e per congiungersi idealmente a tutti quegli uomini, donne e bambini che non hanno neppure una lapide che possa onorarli.

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La mostra Trent’anni di storia a palazzo Reale Per la prima volta un artista contemporaneo espone nelle sale del piano nobile di palazzo Reale. Il 21 marzo si è inaugurata la retrospettiva dedicata a Mimmo Paladino, curata da Flavio Arensi. Una mostra tematica rivolta a celebrare trent’anni di storia di questo originale sperimentatore. Un filo conduttore unisce le sale di palazzo Reale alla Montagna di sale progettata da Paladino per piazza del Duomo, una riedizione dell’opera allestita a Napoli nel 1995. Catalogo Giunti. Fino al 19 giugno, palazzo Reale, piazza Duomo 12, Milano. Info: 02804062; www.comune.milano.it. A Chieti è visitabile la nuova sala permanente del Guerriero di Capestrano, realizzata da Paladino nel Museo nazionale archeologico di villa Frigerj (largo Martiri della libertà 1). Info: 0871568206.

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Senza titolo (tavolo con elmi) 1993 In alto: Senza titolo 1999 Nella pagina a fianco: Senza titolo 2007


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l’arte prende corpo CHAN KWOK HUNG

IL FASCINO DEGLI di Giorgia Bernoni

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a riflessiva staticità di un ritratto fuori dal tempo, come lo sono gli stessi protagonisti catturati dall’obiettivo, per restituire allo spettatore una visione congelata dalla neve e assopita nel silenzio dei luoghi sacri in cui è stata catturata. Il dinamico verticismo di un gesto, catturato nel momento fugace del suo svolgersi con i soggetti concentrati e colti nell’apice dell’azione. Si muove tra questi due affascinanti estremi la ricerca estetica di

Chan Kwok Hung, fotografo cinese di Hong Kong che in pochi anni ha raggiunto un notevole successo grazie anche alle molte partecipazioni a concorsi europei e statunitensi. Chan Kwok Hung ama raccontare quello che conosce e gli è vicino, l’Asia dalle tante sfumature in bilico tra tradizione e progresso, e lo fa attraverso un personale sguardo autoriale che va compostamente a braccetto con una tecnica ben definita. I mondi ritratti da Kwok Hung, con la loro cornice agreste e le ambientazioni d’altri tempi, sono lontani dall’esperienza occidentale ma riescono comunque a far nascere quell’empatia nell’osservatore che si ritro-

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“Fearless”, 2008

Un racconto per immagini di terre e persone lontane immortalate dall’artista cinese

ESTREMI va catapultato in una dimensione suggestiva. Il fotografo ha partecipato con successo all’ultima edizione del concorso veneziano Arte Laguna dove si è distinto con il suo lavoro che ritrae una comunità di monaci tibetani, tra i quali vi sono molti bambini, incastonata nel remoto nord della Cina. Un’idea di collettività molto forte è quella che affiora guardando questi scatti, dove l’uso del colore è sapientemente caricato con l’obiettivo di donare all’insieme un alone iperrealista e ultramoderno: la naturalità dei soggetti si scontra così con lo spietato artificio dell’uso del mezzo digitale. Intraprendente e instancabile manager di sé

stesso, Kwok Hung ha capito fin da subito che la promozione è un imprescindibile aspetto del fare arte oggi. Ha infatti già partecipato a numerosi concorsi fotografici internazionali, vincendone anche di prestigiosi. È solo dello scorso anno, infatti, la vittoria al National Geographic’s photography contest, nella categoria persone, con uno scatto che immortala un contadino intento a guidare i suoi bufali nel fango durante una gara indonesiana. In Italia invece si sta facendo conoscere grazie alla sua recente partecipazione ad Arte laguna. Attraverso un partecipato colloquio conosciamo più a fondo la sua arte.

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Chan Kwok Hung, “Final punch”, s.d.

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“Buffalo race”, Indonesia, 2010

Quando e come hai iniziato a fotografare? «Ho comprato la mia prima macchina reflex nel 2006, e da autodidatta ho imparato le nozioni base dai manuali e da internet. Ho cominciato quindi con il ritrarre panorami, scene notturne, belle ragazze e classiche foto da viaggio. Dopo il primo periodo d’esaltazione che è durato qualche mese, ho cominciato però ad annoiarmi perché gli scatti erano simili. Quindi ho deciso di sviluppare maggiormente l’aspetto legato al paesaggio rurale e ai suoi abitanti, scoprendo degli aspetti che in città non erano presenti. Attraversando queste terre caratterizzate dalla mancanza di hotel di lusso e di cibo ricercato, ho trovato quello che cercavo: scenari primitivi abitati da gente serena e il sorriso dei bambini. Mi piace disegnare ma non sono particolarmente bravo, così ho espresso me stesso attraverso la fotografia». Nelle tue immagini qual è il confine tra l'aspetto estetico e quello documentaristico? «Non esiste un confine netto tra i due aspetti che sono

invece connessi. Come un fotografo amatoriale, non sistemo e preparo gli scenari e le ambientazioni prima di scattare. Provo sempre a cercare qualcosa di bello che è già presente nella vita reale, senza artifici». Come è nato il lavoro che hai realizzato a Gansu in Cina, presentato al premio Arte laguna di Venezia? «Gansu è tra le regioni meno sviluppate della Cina e alcuni genitori non possono tenere con sè i figli a causa delle precarie condizioni economiche. Quindi lasciano i bambini al tempio quando hanno 2,3 anni; così i bambini giocano, vivono e crescono insieme come fratelli. Il giorno in cui ho scattato le foto le condizioni erano veramente avverse: il maestro insegnava durante una tormenta, non smetteva di nevicare e il giovane Lama aveva riunito tutti nello stesso posto per scaldarsi, concentrandosi a parlare sotto un vento gelido e la neve (difendendosi dalle forze naturali con l’arma della parola) . Dal momento che hanno lasciato i propri genitori, questi bambini hanno bisogno di aiuto e cure come tutti gli altri. I loro visi ci racconta-

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Uno scatto dal reportage realizzato a Gansu

no che non è facile crescere senza l’amore dei genitori e della propria famiglia. Così ho deciso di raccontare la loro vita attraverso le foto, mi auguro che questo contribuisca a far conoscere la loro storia al resto del mondo». Credi che l’arte sia sempre libera e frutto della creatività umana, o gli artisti non sono mai completamente liberi? «Sì, per me la creatività è completamente libera, specialmente se si vive in un paese libero. Non importa con che tipo di educazione si cresce, l'età, essere uomo o donna, bianco o nero. Non importa se la gente ti apprezza o meno o quanto ti apprezza, è soltanto una proiezione della mente: la creatività ha un aspetto solitario, personale. La sola cosa che può limitare la mia creatività sono io stesso». Nuovi progetti? «Sto ancora lavorando al reportage sulla corsa dei bisonti in Indonesia, finirò questo ciclo nei prossimi anni».

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L’artista Da Hong Kong con clamore Chan Kwok Hung è nato il 12 settembre del 1973 a Hong Kong in Cina, dove vive. Ha partecipato a numerose collettive tra cui il “Trierenberg super circuit” in Austria e il “Photographic society of America international photo exhibition”, entrambi del 2008. Nel 2010 lo scatto “Buffalo race” ha vinto il National Geographic’s photography contest per la categoria persone. Negli ultimi anni ha vinto diversi premi di fotografia. In Italia, Chan Kwok Hung ha partecipato alla collettiva dei 110 artisti finalisti della quinta edizione di Arte laguna che si è tenuta a marzo alle nappe dell’Arsenale di Venezia.


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i luoghi del bello PALAZZO CARIGNANO

TORINO, LA DIMORA

dell’Italia unita Il museo del Risorgimento festeggia il 150° con un nuovo allestimento di Massimo Canorro

Esterno di palazzo Carignano, Torino

LA MEMORIA DI UN’EPOPEA

Bergamo

Bologna

Brescia

L’albero della libertà

Istituto di storia

Al castello, nel Grande Miglio

L’iter del museo di Bergamo si apre con una ricostruzione dell’albero della libertà innalzato nel 1797 durante i giorni della Repubblica bergamasca. Piazza Mercato del Fieno 6, Bergamo. Info: 035247116; fondazione.bergamoestoria.it.

Sorto nel 1893, il museo del Risorgimento di Bologna si propone quale istituto di storia contemporanea, con riferimento agli accadimenti cittadini. Piazza Carducci 5, Bologna. Info: 051347592; www.comune.bologna.it.

Collocato nel castello di Brescia, negli ambienti del Grande Miglio, si compone di dipinti, stampe e proclami, bandiere, manoscritti dell’epopea risorgimentale e dei moti patriottici. Via Castello 9, Brescia. Info: 0302977834; www.comune.brescia.it.

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«L’

idea di un nuovo allestimento museale nazionale del Risorgimento è iniziata nel 1998. Sono trascorsi centoventi anni dalla nascita del museo, novanta dalla sua collocazione nella Mole Antonelliana, sessanta dall’inaugurazione a palazzo Carignano: poteva essere una grande opportunità ma anche una sfida per gli anni a venire». Da queste parole traspare l’entusiasmo di Umberto Levra, ordinario di storia del Risorgimento dell’università di Torino e dal 2004 presidente del museo nazionale del Risorgimento italiano, inaugurato con una nuova veste lo scorso 18 marzo. Curatore scientifico del riallestimento delle trenta sale di palazzo Carignano, Levra sottolinea come l’obiettivo sia quello di «raccontare la storia in modo semplice, senza toni encomiastici e apologetici, pertanto noiosi e poco credibili». Il periodo risorgimentale viene narrato in chiave italiana ed europea, partendo da un profondo impegno nei confronti del visitatore. La messa in scena del museo è stata affidata all’architetto Richard Peduzzi, già direttore dell’accademia di Francia a Roma, che ha pensato i nuovi spazi espositivi come stanze organizzate all’interno delle sale preesistenti. Operando sui colori, la cui scelta è stata effettuata in base a codici cromatici riconducibili ai temi affrontati, sull’utilizzo specifico di contro-pareti, sull’illuminazione per le singole opere e su una serie di soluzioni innovative in termini di arredo, il nuovo museo «corregge le incongruenze e le molte stratificazioni presenti nell’esposizione precedente, quella inaugurata nel

1965, ma anche le carenze del percorso e l’arretratezza comunicativa», precisa Levra. Arricchite da filmati realizzati con immagini provenienti da note collezioni europee e visibili su schermi di grandi dimensioni – così come ampi tavoli interattivi permettono ai visitatori di approfondire alcune tematiche – le sale espongono 2.579 pezzi (dei quali il 65 per cento non è mai stato mostrato) scelti tra i 53.011 posseduti, per ripercorrere quelle tappe che portarono all’unità nazionale sia l’Italia sia quei paesi europei che nell’Ottocento combatterono per la propria libertà ed indipendenza. In tal senso il racconto dei processi di nazionalità è possibile grazie alla proiezione di quattordici filmati tematici e otto approfondimenti accompagnati da quadri, litografie, oggetti d’epoca, fotografie e documenti provenienti da un centinaio di musei in tutta Europa. In questo modo il visitatore viene guidato lungo un racconto visivo sulla rivoluzione francese e sulla rivoluzione industriale inglese, per poi soffermarsi sulle nazionalità nella confederazione germanica, nell’impero asburgico, in quello ottomano, oltre che sulle rivoluzioni europee in Belgio, Francia e Polonia. Quindi è possibile assistere alle esplosioni rivoluzionarie nel vecchio continente negli anni a cavallo del 1848, facendo ritorno – nell’ultimo trentennio del secolo – sulle nazioni boema e magiara, tedesca, bulgara, romena, serba, polacca e dei paesi baltici. In merito alle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, che hanno visto proprio la riapertura del museo nazionale del risorgimento a Torino, Levra sottolinea come nel nuovo iter espositivo «il processo di unificazione viene illustrato in tutte le sue sfaccettature e contraddizioni. In Italia nel 1861 ha vinto l’opzione moderata dinastica sabauda – monarchia costituzio-

Caprera

Castelfidardo

Como

La tomba di Garibaldi

Triplice struttura

Omaggio all’eroe dei due mondi

La tomba e la casa museo di Giuseppe Garibaldi sono a Caprera, nell’arcipelago della Maddalena, dove l’eroe dei due mondi spirò il 2 giugno 1882. Isola di Caprera (La Maddalena). Info: 0789727162; www.compendiogaribaldino.it.

Il museo si compone di tre strutture: l’area della battaglia con l’ossario, il monumento delle Marche, le sale di palazzo Ciriaco Mordini. Via Mazzini 5, Castelfidardo (Ancona). Info: 0717206592; www.comune.castelfidardo.an.it.

Garibaldi abitò a palazzo Olginati a Como. Per testimoniarne le imprese, l’amministrazione ha destinato alcune sale all’esposizione di arredi, costumi, armi. Piazza Medaglie d’Oro 1, Como. Info: 031271343; www.comune.como.it.

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Sala 22 Italia triennio 1859-1861 spedizione dei Mille A sinistra: sala 16 camera Subalpina A destra: sala 30 l’epica del Risorgimento

nale a guida dei re Savoia – e ha perso l’opzione repubblicana democratica mazziniana. Dopo la morte di Cavour, avvenuta nel 1861, la nuova classe dirigente ha deciso di organizzare lo stato in senso accentrato, anche se sussistevano idee federaliste. Come storico avevo il dovere di mostrare tutte le posizioni all’atto unificatore». Dunque il visitatore del museo, che nei suoi spazi accoglie anche una biblioteca con emeroteca, aule didattiche e sale eventi, ha l’opportunità di scegliere percorsi differenziati, a seconda del tempo a disposizione e dell’interesse ad approfondire determinate tematiche: il percorso breve (quarantacinque minuti) parte da un livello di comunicazione più semplice e immediato, illustrando in particolare 90 oggetti; il percorso standard – novanta minuti – presenta 210 oggetti, circa sette per sala; il percorso di approfondimento dura centoventi minuti ed esamina 288 oggetti mentre il percorso integrale fornisce sulla video-guida

l’immagine e la descrizione sommaria di tutti gli oggetti esposti. E proprio in riferimento al pubblico, la soprintendente per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici del Piemonte, Edith Gabrielli, spiega che «il visitatore ha l’ottima occasione di fare lo stesso percorso degli ospiti del principe di Carignano, il committente dell’edificio. Eccolo allora entrare nell’atrio ovale, salire per lo scalone monumentale, affacciarsi nel salone d’onore, trasformato nel 1848 in aula del parlamento Subalpino, scendere fino nei sotterranei ed entrare negli appartamenti barocchi, in particolare in quello di Mezzogiorno – denominato anche Sale dorate o appartamento dei principi – dove nacquero e vissero due sovrani chiave del Risorgimento, Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II. E dove ebbe il suo studio privato Camillo Benso, conte di Cavour». Il tutto all’interno di un edificio, palazzo Carignano, «che grazie al disegno del geniale architetto Guarino Guarini, è probabilmente il

Faenza

Ferrara

Cimeli e documenti locali

Reperti della fortezza pontificia Dedicato a Luigi Musini

Fidenza

Riaperto al pubblico nel 2009, il museo di Faenza, a palazzo Laderchi, offre una selezione dei principali documenti locali e cimeli dall’età napoleonica. Corso Garibaldi 2, Faenza (Ravenna). Info: 0546691710; www.sistemamusei.ra.it.

La struttura del museo di Ferrara, inaugurato nel 1903, dispone di un rilevante archivio storico-didattico. In esposizione reperti originali della fortezza pontificia andata distrutta, Corso Ercole I d’Este 19, Ferrara. Info: 0532244949.

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Garibaldino e deputato socialista del Regno d’Italia, Luigi Musini (1843-1903) fu anche giornalista e medico. A lui è dedicato l’omonimo museo di Fidenza. Via Andrea Costa 2, Fidenza (Parma). Info: 0524517388; www.comune.fidenza.pr.it.


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più bel palazzo barocco torinese, eletto dall’Unesco patrimonio dell’umanità», continua Gabrielli, aggiungendo che «dalla seconda metà del Seicento fino alla seconda metà dell’Ottocento è stato teatro e motore della storia, compresa quella risorgimentale. Ecco perché il palazzo “lega” questo momento chiave del nostro passato». Tornando all’esposizione, le prime tre sale del museo sono dedicate alle rappresentazioni del Risorgimento nei due secoli scorsi: in rassegna i cimeli di battaglia appartenuti a Vittorio Emanuele II, donati alla sua morte nel 1878 dal figlio Umberto I e il quadro La battaglia di Torino di Ignace Jacques Parrocel. La quarta, quinta, sesta e settimana sala sono incentrate sulle rivoluzioni del Settecento, sull’occupazione francese e sul triennio rivoluzionario 1796-1799 (con il busto di Napoleone Bonaparte), sull’Italia napoleonica dal 1800 al 1814 (con la bandiera di Torino), sul consolato e sull’impero napoleonico dal 1799 al 1815.

La soprintendente Edith Gabrielli Edith Gabrielli è nata a Roma il 27 febbraio 1970. Ha pubblicato saggi e monografie su artisti italiani dal XV fino al XVIII secolo, da Cosimo Rosselli a Stefano Maria Legnani. Nel 1999 ha assunto la carica di funzionario del ministero per i Beni e le attività culturali, occupandosi del patrimonio storico artistico del Castello di Aglié, per diventare nel 2010 la più giovane dirigente storico dell’arte. Dall’agosto dello stesso anno, succedendo a Carla Enrica Spantigati, è diventata soprintendente per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici del Piemonte. La Gabrielli si è distinta per aver riaperto stabilmente al pubblico due straordinarie residenze sabaude: lo stesso palazzo Carignano e villa della Regina.

Firenze

Forlì

Genova

Patrimonio editoriale

Vestiario e manoscritti

Dedicato a Giuseppe Mazzini

Conta su un patrimonio di rilievo: 22mila volumi e opuscoli, una raccolta di periodici e giornali locali dell’Ottocento, una collezione di proclami e oltre 2.500 inserti documentari. Via S. Egidio 21, Firenze. Info: 0552480561; www.comune.firenze.it.

Documenti, manoscritti, foto e vestiario relativi alle vicende locali del XIX e XX secolo sono custoditi nel museo del “Aurelio Saffi”, a palazzo Gaddi a Forlì. Corso Garibaldi 96, Forlì. Info: 054321109; www.cultura.comune.forli.fc.it.

ll museo di Genova offre un percorso che copre oltre 120 anni di storia, con rimando alla casa natale di Giuseppe Mazzini dove sono conservati vari documenti. Via Lomellini 11, Genova. Info: 0102465843; www.museidigenova.it.

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Sala 18, Italia il decennio 1849-1859 A destra: sala 1 rappresentazioni del Risorgimento nel museo 1884 1961

Restaurazione, società segrete e insurrezioni dal 1815 al 1830 rappresentano i temi dell’ottava sala, seguita dallo spazio sulla repressione dell’opposizione politica nell’età della Restaurazione – con la ricostruzione della cella nella fortezza austriaca dello Spielberg in Moravia in cui fu prigioniero Silvio Pellico, tra il 1822 e il 1830 – e dalla sala sulle rivoluzioni del 1830, fermenti di nazionalità e movimento democratico in Italia. Quindi l’accesso è alla sala Italia: liberali moderati, sovrani, riforme (il cui simbolo è il fazzoletto che raffigura i sovrani Carlo Alberto, Leopoldo II e Pio IX in occasione del trattato firmato il 3 novembre 1847 per una lega doganale tra il regno di Sardegna, il granducato di Toscana e la Santa Sede) e alla sala Italia: statuto albertino e costituzioni del 1848, dove campeggia l’arazzo raffigurante Carlo Alberto nell’atto di firmare lo statuto per il regno di Sardegna (annunciato l’8 febbraio 1848, fu

promulgato il 4 marzo dello stesso anno). La tredicesima sala è dedicata alle rivoluzioni e alle insurrezioni del 1848 in chiave europea e italiana, seguita dagli spazi incentrati sulla prima guerra d’indipendenza (1848-1849) e dalla fedele ricostruzione della camera a Oporto in cui nel 1849 morì Carlo Alberto. Giro di boa, ed ecco la camera dei deputati e del parlamento subalpino (1848-1860) – l’unica rimasta integra in Europa tra i parlamenti nati dopo le rivoluzioni del 1848 e monumento nazionale dal 1898 – la sala cinema e quella dal titolo Italia: il decennio 1849-1859, un periodo contraddistinto dalla crisi dei vecchi stati regionali italiani e del movimento democratico che per primo aveva supportato la questione italiana in termini di unità. La guerra in Crimea (ingresso del regno sardo nella grande politica internazionale nel biennio 1855-1856) e la diplomazia, la questione italiana e l’alleanza con

Lucca

Mantova

Mentana

Armi e attrezzature da campo

Allestito in aree tematiche

Un viaggio nel tempo

ll patrimonio custodito a palazzo Ducale comprende armi, divise, attrezzature da campo, fotografie e documenti di interesse storico sulle vicende italiane tra il 1821 e la prima guerra mondiale. Cortile degli Svizzeri 6, Lucca. Info: 058391636.

L’allestimento è articolato in aree tematiche: l’età napoleonica, la restaurazione e il 1848, la congiura di Belfiore, gli anni della dominazione austriaca, la città nel Risorgimento. Piazza Sordello 42, Mantova. Info: 0376338645; www.comune.mantova.it.

Le donazioni e i cimeli offerti dai familiari dei garibaldini, molti dei quali riposano nell’ossario attiguo al museo, consentono ai visitatori di tuffarsi in un viaggio a ritroso nel tempo. Via della Rocca 2, Mentana (Roma). Info: 0690969431; www.museomentana.it.

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La sede Dal 1878 quattro restauri, l’ultimo quest’anno Unificare in un edificio il simbolo di Torino e l’esposizione della memoria dell’unificazione italiana. Con questo intento nel 1878, dopo la morte di re Vittorio Emanuele II, venne fondato il museo nazionale del Risorgimento italiano, destinato alla Mole Antonelliana e aperto al pubblico nel 1908 con un primo allestimento. Trenta anni dopo fu trasferito al piano nobile di palazzo Carignano; quello del 1938 rappresentò il secondo allestimento mentre il terzo fu realizzato tra il 1961 e il 1965, nell’ambito delle celebrazioni del primo centenario dell’unità d’Italia. Nell’aprile 2006 il museo è stato chiuso per il quarto rifacimento in previsione delle celebrazioni per i centocinquanta anni dell’unità nazionale. Il nuovo allestimento è stato possibile grazie al contributo del ministero per i Beni e le attività culturali, della regione Piemonte e della compagnia di San Paolo. Museo nazionale del Risorgimento italiano, via Accademia delle Scienze 5, Torino. Aperto dal martedì alla domenica. Info: 0115621147; www.museorisorgimentotorino.it.

la Francia (1856-1858) – dal congresso di Parigi all’incontro di Plombières – sono i temi al centro delle sale diciannove e venti, seguite da tre spazi che approfondiscono il triennio 1859-1861: seconda guerra d’indipendenza, annessioni e plebisciti; spedizione dei Mille; controffensiva moderata e occupazione del centro sud. La nascita del regno d’Italia e la presa di Roma (1861-1870), lo studio ministeriale di Cavour, politica, cultura e società nel regno d’Italia, l’età delle borghesie e i ceti popolari dal 1870 al 1915 accompagnano lo spettatore fino alla penultima sala (Europa e Italia verso la grande guerra) per approdare all’epica del Risorgimento. «Come si vede il percorso non si limita a esaltare i ben noti valori architettonici e storico-artistici dell’edificio – conclude Gabrielli – ma vuole anche sottolineare gli aspetti meno conosciuti e affrontati sin d’ora, senza soluzione di continuità fra le varie fasi storiche».

Milano

Modena

Nizza (Me)

Settantaquattro anni di storia

Oltre 2.000 reperti

Per Giovanni Interdonato

Dalla prima campagna napoleonica sul suolo italico all’annessione di Roma al Regno d’Italia. Settantaquattro anni raccontati dal museo a palazzo Moriggia. Via Borgonuovo 23, Milano. Info: 0288464180; www.museodelrisorgimento.mi.it.

Oltre 2.000 reperti, 1.500 volumi della biblioteca, della raccolta documentaria di opuscoli e autografi e delle 2.500 foto. Viale Vittorio Veneto 5, Modena. Info: 0592033100; www.comune.modena.it.

Lo spazio espone armi bianche e da fuoco del periodo garibaldino e vari cimeli di proprietà del colonnello Giovanni Interdonato, al quale Nizza nel 1949 ha dedicato una piazza. Via Umberto I. Nizza (Messina). www.comune.nizzadisicilia.me.it.

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i luoghi del bello MUSEO DI PORTA SAN PANCRAZIO

L’EREDITÀ DI UN EROE Annita Garibaldi Jallet: «I ragazzi non chiedono del mito sono più interessati all’uomo» di Massimo Canorro

B

Il personaggio Da Bordeaux al Gianicolo Annita Constance Beatrice Garibaldi Jallet è nata a Neuilly sur Seine (Francia) il 25 maggio 1942. Ha studiato a Bordeaux, dove nel 1963 si è laureata in scienze politiche e diritto pubblico. Autrice di saggi di storia risorgimentale, istituzioni europee e storia delle donne, dal 1985 collabora con il museo civico di Riofreddo a villa Garibaldi. È stata docente all’università di Bordeaux, Cagliari, Siena e Roma. Vicedirettrice dall’associazione nazionale veterani e reduci garibaldini dal 2002 e direttrice dell’ufficio storico del museo garibaldino di porta san Pancrazio, sul Gianicolo, a Roma. Nel 2007 è stata chiamata dal ministero della Cultura per far parte del comitato per le celebrazioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi.

usti, dipinti, incisioni e cimeli legati a doppio filo all’eroe dei due mondi ma anche plastici e apparati multimediali rappresentano il corpus custodito nel museo della Repubblica romana e della memoria garibaldina di porta san Pancrazio, per guidare il visitatore alla scoperta dei luoghi, delle date e dei protagonisti degli accadimenti di quegli anni, contraddistinti da grande fermento politico. L’edificio, che si snoda lungo quattro piani, domina quel parco del Gianicolo dove tra aprile e luglio del 1849 si batterono Giuseppe Garibaldi e i suoi volontari accorsi da ogni parte d’Italia – tra i quali figuravano Goffredo Mameli e Luciano Manara – per difendere l’appassionata avventura della Repubblica romana, specchio del progetto politico di Giuseppe Mazzini. La stessa abnegazione che oggi ritroviamo in Annita Garibaldi Jallet, pronipote diretta del generale di Nizza, figlia di Sante Garibaldi – a sua volta figlio di Ricciotti, figlio di Giuseppe ed Ana Maria De Jesus Ribeiro, meglio

LA MEMORIA DI UN’EPOPEA

Palermo

Pavia

Piacenza

Ricordi risorgimentali

Dall’epoca asburgica

Dalla stampa ai quadri

L’esposizione abbraccia ricordi risorgimentali legati all’impresa dei Mille come ritratti a olio di patrioti, uniformi, stampe clandestine, incisioni e armi. Piazza San Domenico 1, Palermo. Info: 091582774; www.storiapatria.it.

Sorto nel 1885, si contraddistingue per un ambito tematico locale in relazione alla vicenda storica del paese. L’iter espositivo si apre con un accenno alla Pavia asburgica. Castello Visconteo, Pavia. Info: 038233853; www.comune.pv.it.

Dalla stampa ai quadri, dai ritratti alle monete, dalle divise alle armi. Il museo del Risorgimento di Piacenza a palazzo Farnese approfondisce gli accadimenti della storia cittadina. Piazza Cittadella 29, Piacenza. Info: 0523492661; www.musei.piacenza.it.

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Sopra, da sinistra: monumento a Garibaldi sul Gianicolo e la targa commemorativa al Vascello A destra: il museo di porta san Pancrazio A sinistra: Annita Garibaldi Jallet Nelle pagine successive: un locale del museo e un tricolore d’epoca foto Manuela Giusto

nota come Anita – e di Beatrice Borzatti. Direttrice dell’ufficio storico del museo garibaldino collocato al piano terra dell’edificio, Annita Garibaldi è una donna tenace e intraprendente, peculiarità che l’hanno portata, affiancata dal suo staff di volontari, a divenire per il pubblico che visita questo spazio da poco ritrovato. Un referente privilegiato. «Soprattutto in qualità di vicepresidente dell’Associazione nazionale veterani e reduci garibaldini, titolare di questa porta dal 1944, quando vi sono stati sistemati la sua sede e in seguito il museo con i primi cimeli donati dai soci», circoscrive. Quindi la sua mente torna indietro di undici anni, quando il comune di Roma presentò richiesta per i lavori di restauro. «Non le nascondo la mia gioia iniziale – continua – poiché subito dopo il museo rimase chiuso per questioni di agibilità». Arrendersi? Neanche per un attimo. Annita Garibaldi non si perse d’animo e quando il comune strinse un accordo con le autorità per il centocinquantenario dell’unità nazionale, finalizzato a condurre un restauro più completo, venne chiesto a lei e all’associazione (che oggi ha qui la sede nazionale) di cedere i propri oggetti in comodato d’uso e di mantenere un

Pisa

Ravenna

Reggio Emilia

La Domus mazziniana

Da Vienna all’unità

Il museo del Tricolore

La Domus mazziniana raccoglie l’eredità materiale e spirituale della casa Rosselli di Pisa, dove il 10 marzo 1872, all’età di 67 anni, si spense Giuseppe Mazzini. Via Giuseppe Mazzini 71, Pisa. Info: 05024174; www.domusmazziniana.it.

Il periodo storico di riferimento va dagli anni successivi al Congresso di Vienna (1814-1815) fino a quelli dell’unità nazionale, proponendo raccolte e cimeli. Via Baccarini 3, Ravenna. Info: 0544482112; www.classense.ra.it.

Il museo del Tricolore di Reggio Emilia (all’interno del palazzo comunale) documenta la nascita della bandiera italiana. Ad affiancare la storia alle vicende della città. Piazza Camillo Prampolini, Reggio Emilia. Info: 0522456805; musei.comune.re.it.

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ufficio storico del museo. «Abbiamo accettato volentieri – riprende – contando su un’area museale organizzata, dove i cimeli sono tutti ben esposti. Inoltre ci saranno operazioni di restauro che da soli non avremmo mai potuto portare avanti». Quindi la direttrice entra nello specifico: «Il nostro è sia il museo della Repubblica romana sia il museo della memoria garibaldina. A livello espositivo spaziamo dai cimeli legati al corpo dei cacciatori delle Alpi del 1859 alla battaglia di Bezzecca di sette anni dopo, dalla campagna dell’Agro romano del 1867 alla guerra del 1870-1871, quando Garibaldi combatté al fianco del figlio Ricciotti, del quale custodiamo numerosi ricordi». Aperto al pubblico nel 1976 con due sezioni – una riguardante la vicenda garibaldina risorgimentale, l’altra la storia e le vicende della divisione italiana partigiana Garibaldi – il museo ha subìto una serie di interventi significativi soprattutto al piano terra. È stata installata sui due lati della porta una cancellata a quattro ante, aperta di giorno, all’interno della sagoma dell’edificio, per permettere l’accesso al pubblico dei visitatori e dei turisti, e richiusa di notte. I cinque portoni in legno sono aperti e consentono, tramite ampie vetrate, la vista degli ambienti interni. E anche sul tema degli allestimenti, Annita Garibaldi ha le idee piuttosto chiare: «Siamo nella capitale d’Italia e non si può conoscere a fondo questa città senza aver appreso la storia della Repubblica romana. Il nostro è un museo didattico, che illustra determinate vicende storiche con estrema chiarezza». Già, ma per chi non avesse l’opportunità di visitarlo? «Nessun problema – replica decisa – l’intenzione è quella di organizzare delle mostre itineranti, così da poter girare la penisola e accontentare le numerose richieste». E in effetti sono molti i comuni interessati a far conoscere ai propri cittadini le avventure dell’eroe dei due mondi. Alcune richieste

Roma

Desenzano

Trento

Il complesso del Vittoriano

La battaglia di Solferino

Anche cinema e storia

Il museo centrale del Vittoriano di Roma ripercorre le fasi più importanti della storia d’Italia, dalle riforme dei vari stati del paese nel Settecento al termine della prima guerra mondiale. Piazza Venezia, Roma. Info: 066793598; www.risorgimento.it.

La battaglia di Solferino e San Martino contrappose l’esercito austriaco e quello franco-sardo, ponendo fine alla Seconda guerra d’Indipendenza. Via Torre 2, Desenzano (Brescia). Info: 0309910370; www.solferinoesanmartino.it.

Una biblioteca che custodisce monografie, opuscoli e periodici, un archivio cartaceo, fotografico e iconografico e un archivio di cinema e storia (istituito nel 1990). Via Torre d’Augusto 41. Info: 0461230482; www.museostorico.tn.it.

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Il museo Sull’altura del Gianicolo, lungo le mura aureliane Collocata sull’altura del Gianicolo, porta san Pancrazio rappresenta una delle porte occidentali che si aprivano lungo le mura aureliane e deve il proprio nome al titolo della vicina basilica dedicata al martire cristiano. L’attuale porta venne edificata nel triennio 185457 dall’architetto Virginio Vespignani, sulle rovine di quella realizzata da Marcantonio De Rossi nel 1648, semidistrutta durante gli accadimenti bellici del 1849, quando le truppe francesi aggredirono la Repubblica romana ponendo la città sotto assedio. Il 19 aprile 1951 l’amministrazione comunale consegnò i locali all’Associazione nazionale veterani e reduci garibaldini per la realizzazione del museo. Intanto fu avviato l’ordinamento dei materiali e della documentazione per la costituzione dello spazio museale, aperto al pubblico venticinque anni dopo. Museo della Repubblica romana e della memoria garibaldina, largo di porta san Pancrazio, Roma. Info: 060608; www.museodellarepubblicaromana.it.

sono già state esaudite, ma c’è ancora tanto da fare. «Ho accettato volentieri gli inviti di molte città, le prime che mi vengono in mente sono Genova, Brescia, Torino e Catanzaro, ma la mia vera passione sono le visite e le conferenze negli istituti scolastici», precisa Annita Garibaldi, motivando così questa preferenza: «I giovani sono interessati alla storia, purché la si racconti in modo scorrevole, e risultano attratti dall’aspetto umano del mio famoso bisnonno. I ragazzi che incontro, infatti, non sono legati al mito, ma vogliono sapere che cosa l’uomo, e non l’eroe, ha fatto di concreto. Ecco perché è indispensabile uscire dal mito per poterlo successivamente spiegare». Insomma: Giuseppe Garibaldi uomo tangibile e non figura da idolatrare. Difficile da credersi, eppure secondo la pronipote «i nostri connazionali lo amano così tanto proprio perché era un personaggio autentico e popolare, un portatore di valori sani che non è nato eroe, come nessuno d’altronde». Stessi concetti che Annita Garibaldi ripete volentieri ai visitatori del museo di porta san Pancrazio: «Mi piace il rapporto con il pubblico, purtroppo non basterebbero mille vite per poter rispondere agli interrogativi di tutti. In molti vengono con oggetti e fotografie da farmi vedere, oppure mi parlano dei loro antenati». Ma anche per questo l’ufficio storico del museo si sta organizzando: «Faremo in modo che i visitatori riempiano dei formulari, così da poter rispondere con più precisione». Quindi un museo che vuole anche insegnare, e non solo “limitarsi” a promuovere le proprie opere. «Piuttosto – conclude Annita Garibaldi – dobbiamo suscitare discussioni e riflessioni, soprattutto tra i giovani, ricordando che i nostri cari hanno sacrificato la propria vita per l’Italia. Arrivare a comprendere chi ci ha preceduti rappresenterebbe già un bel traguardo».

Trieste

Vicenza

Udine

L’impegno irredentista

Manoscritti e bandiere

Fra annessione e indipendenza

Un museo monumento che celebra l’impegno irredentista per l’annessione di Trieste e della Venezia Giulia al Regno d’Italia, nel periodo 1861-1918. Via XXIV Maggio 4, Trieste. Info: 040361675; www.retecivica.trieste.it.

Manoscritti, stampe, quadri, ritratti, proclami, monete e medaglie, carte geografiche e militari, uniformi, bandiere rappresentano il patrimonio del museo di Vicenza. Viale X Giugno 115, Vicenza. Info: 0444222820; www.museicivicivicenza.it.

Inaugurato al piano terra del castello di Udine il 26 luglio del 1906, il museo del Risorgimento mette a disposizione di studiosi e laureandi il materiale raccolto. Via Lionello 1, Udine. Info: 0432271591; www.provincia.udine.it.

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l’arte del libro 5.I PRIMI BIBLIOFILI

CODICI da collezione di Flaminio Gualdoni

Fratelli Limbourg, “Très riches heures du duc de Berry”, 1412-1416

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U

n momento straordinario nella vicenda storica del libro si verifica quando esso diviene oggetto di collezionismo, un collezionismo da subito maniacale. Uscito dall’ambito dei monasteri e delle corti, divenuto strumento di studio e di diletto, il libro comincia a trasformarsi in un oggetto che si apprezza in se stesso, per la qualità della sua fattura, per la rarità, per la bellezza intrinseca, anche a prescindere dal contenuto. Luigi IX, San Luigi, dà avvio in Francia a una vera e propria biblioteca reale. Nel 1254, di ritorno dalla crociata, intende emulare le biblioteche dei sultani saraceni e destina a studiosi e religiosi un luogo prestigioso, il terzo piano della cappella del palazzo reale, a fianco della Sainte-Chapelle, ove sono raccolti numerosi codici delle Sacre scritture e i testi di tutti i padri della chiesa. Un secolo dopo il re Carlo V colleziona 910 volumi, il che rappresenta la terza biblioteca della cristianità dopo quella papale di Avignone, che ne conta circa 2.000, e quella della Sorbona, che ne possiede 1.200. Nel 1367 egli destina la Tour de la Fauconnerie del Louvre alla Librairie royale, trasferendola dal Palais de la cité. Ma il titolo di primi autentici bibliofili spetta a Richard de Bury e a Francesco Petrarca. Collezionista ma anche ricettatore di libri, De Bury fa perlustrare biblioteche pubbliche e private, fa copiare e restaurare libri. “Si diceva di me ch’ero divorato da tale brama che chiunque otteneva il mio favore più facilmente con un manoscritto che con una somma di denaro”, egli scrive nel Philobiblon, La passione per i libri, scritto che occupa gli ultimi anni della sua vita. De Bury incontra alla corte papale di Avignone Petrarca. Tra i due non scocca la scintilla dell’amicizia, anche se in comune hanno, certamente, l’amore per il libro. Sin da giovane Petrarca raccoglie libri con una passione che non è solo culturale. Nonostante il padre, il quale non vuole che egli si distragga dagli studi giuridici, gli imponga il rogo della sua biblioteca, da cui si salvano solo un Virgilio e un Cicerone, già in anni precoci Petrarca possiede opere rare, che negli anni raggiungono la cifra di 300 volumi. Egli scrive: “Mi possiede una passione insaziabile. Vuoi dunque sapere la mia malattia? Non so saziarmi di libri”. Ad Avignone l’amico Simone Martini non solo minia per lui il frontespizio di un Virgilio con il commento di

Servio, ora all’Ambrosiana di Milano, ma anche, canta Petrarca, “fu in paradiso”, vide Laura e “la ritrasse in carte”. Nel 1351, infine, Giovanni Boccaccio fa dono a Petrarca di un manoscritto della Commedia dantesca – uno dei circa 800 giunti sino a noi – conosciuto oggi come Vaticano latino 3199. Ma è il fratello di Carlo V, Jean de Berry, l’esempio del collezionista a pieno titolo. Egli è più attratto dalla qualità estetica degli oggetti che dal loro contenuto. Negli anni mette insieme un’importante raccolta antiquaria, fatta di arazzi istoriati e decorativi, di ricami fiorentini e inglesi, broccati in oro lucchesi, tappezzerie in seta, smalti, porcellane, servizi da tavola in oro e argento. Jean de Berry acquista gemme preziose e oreficerie dai prediletti mercanti italiani ed ebrei: giunge a possedere venti rubini, dei quali uno di 240 carati. “La passion predominante” sono però i libri: se non giunge a possederne in numero uguale alla biblioteca reale del fratello, tuttavia può contare sulle migliori opere del suo tempo, e non solo. Ama le opere francesi di maestri come Jean Pucelle, André Beauneveu e Jacquemart de Hesdin, e in pari misura i libri “istoriati alla maniera di Lombardia” o “alla maniera romana”, ai quali provvede Pietro da Verona, miniatore e mercante milanese. Ma è con l’arrivo dei fratelli Limbourg alla corte di De Berry che nascono i veri capolavori. Le cronache narrano di un rapporto di straordinaria familiarità, atipico tra un nobile di sangue reale e degli artigiani al suo servizio: un “libro contraffatto da un pezzo di legno, senza fogli né scritture” coperto in velluto bianco e ornato di fermagli in smalto con le armi ducali, è il dono scherzoso che i fratelli possono permettersi di fare al signore per il capodanno 1411. Il libro sarà conservato nella collezione, e debitamente inventariato. In cambio Pol de Limbourg, il capo della bottega, avrà in dono un diamante montato su un anello d’oro, e in seguito un anello con un orso in smeraldi. Tra ricchi doni e la nomina dei tre pittori all’ambita carica di “valet de chambre”, nasce l’impresa delle Très riches heures, che un inventario descrive come “molti quaderni di un Très riches heures, fatti da Pol e dai suoi fratelli, molto riccamente instoriati e miniati”, e delle affini Belles heures. La morte del duca e dei Libourg, avvenuta pressoché contemporaneamente durante la peste del 1416, lascia il capolavoro incompiuto: sarà Jean Colombe, tra il 1485 e il 1489, a condurla a termine per Carlo I di Savoia. Ma il duca di Berry entra di diritto nella storia e nel mito del collezionismo.

Luigi IX dà avvio in Francia a una biblioteca reale nel 1254, di ritorno dalla crociata, per emulare i sultani saraceni

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editoria & arte SPECIALE 150°

1861-2011

1914 1948

Nel segno della lira

Si conclude il viaggio nella storia della nostra moneta con le celebrazioni dell’unità d’Italia

Centenario dell’istituzione dell’arma dei carabinieri

La costituzione della repubblica italiana

1861

I

l terzo appuntamento nel catalogo Editalia si sviluppa sotto il segno della lira. Della storia della moneta italiana nell’epoca della repubblica abbiamo indagato ogni aspetto, storico, economico, sociale, artistico e, in virtù dell’appartenenza al Gruppo Poligrafico e Zecca dello stato e della collaborazione con la Scuola dell’arte della medaglia, abbiamo potuto realizzare le collezioni celebrative delle riconiazioni della moneta che gli italiani hanno avuto in tasca per oltre cinquant’anni. Voci diverse, produzioni differenti per tecnica, contenuti e materiali, ciascuna con un proprio senso compiuto ma anche capitoli legati a un unico importante progetto: la Storia della lira. La ricorrenza del 150° anniversario dell’unità d’Italia ci ha consentito, poi, di unire passato e presente con l’opera che riassume in sé le diverse anime delle realizzazioni Editalia: La lira dell’Italia unita, dove la riconiazione delle tre monete che rappresentano i momenti focali dell’unità trova il suo completamento concettuale nel bassorilievo realizzato dalla Scuola dell’arte della medaglia e nel volume che racconta le monete nell’arco temporale dei centocinquant’anni.

Il Conte di Cavour 1810-1861

1946 1911 Il conio della prima lira

Unità d’Italia del cinquantenario

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1951

1957 La lira della Repubblica

1870-71

1900

Le 500 lire Caravelle

Roma capitale

1922

Storia della lira nel regno di Vittorio Emanuele III

1848

Scritti e discorsi di Benito Mussolini L’Italia nell’Ottocento

1860 2000

Giuseppe Garibaldi 1807-2007

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2011 La lira dell’unità d’Italia 1861-2011

La lira siamo noi

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Il conio della prima lira del 1946 e le 500 lire Caravelle del 1957 Conî e punzoni: la prima lira del 1946 e le 500 lire Caravelle. Il conio e il punzone sono i “materiali creatori” di una moneta, le matrici indispensabili per la coniazione. Sono oggetti rari, hanno un’origine artistica, ma il loro valore è legato al ruolo di matrici con le quali si producono le monete. I conî e i punzoni delle monete italiane sono conservati nello storico “caveau” della zecca conosciuto come “magazzino a tre chiavi” giacché tante sono le chiavi che permettono l’apertura della porta blindata affidate a tre istituzioni diverse. Conio e punzone solitamente sono oggetti da museo. La rivisitazione artistica è un’opera originale mai sperimentata in precedenza. Il conio e il punzone della prima lira emessa dalla neonata repubblica nel 1946 ricordano l’origine agricola dell’economia del paese appena uscito dalla guerra con le immagini di un frutto tipicamente italiano, l’arancia, e sul diritto la testa della giovane repubblica coronata di spighe. Il conio delle 500 Lire Caravelle con le bandiere controvento ricorda una delle più famose monete italiane. Nel 1957 il ministero del Tesoro, per sottolineare gli anni della ripresa economica volle coniare una moneta di circolazione in argento. Il progetto doveva racchiudere i valori di quell’età irripetibile che fu per l’Italia il Rinascimento. Sul rovescio, il grande medaglista Guido Veroi scelse le caravelle di Colombo come simbolo dell’inizio di un’età felice, nel passato come in quegli anni. La moneta divenne famosa per il presunto errore delle vele disposte in maniera errata: erano controvento. Il dibattito inarrestabile convinse il Tesoro a riemettere la moneta correggendo lo sventolio delle bandiere. Le Caravelle con le bandiere “controvento” divennero quasi introvabili e oggi sono considerate rare, di grande valore e ricercate dagli appassionati e dai collezionisti.

Storia della lira, le ultime coniazioni La Zecca dello stato ha realizzato una sorta di monumento alla lira con la riconiazione delle quindici monete più rappresentative della repubblica, tutte coniate con il materiale creatore originale nell’anno della loro ultima emissione. La grande qualità di produzione delle monete nella zecca, dal dopoguerra, crea uno “stile italiano” internazionalmente riconosciuto che, al passo con i tempi, di volta in volta condensa nelle monete i simboli di una società uscita sconfitta dal secondo conflitto mondiale ma piena di voglia di riscatto che con il miracolo economico ricostruisce il suo potenziale economico e sociale fino a porsi in prima fila fra i paesi più industrializzati del mondo. Alla singolare bellezza delle monete si unisce l’innovazione tecnica che porta la zecca italiana per prima a realizzare monete bimetalliche, le 500 lire coniate per l’ultima volta nel 1995, e le 1000 lire nel 1998. Sono le ultime monete che abbiamo risparmiato e speso, le ultime monete in circolazione con le quali gli italiani hanno festeggiato la fine del XX secolo.

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Cento libri per mille anni

La lira siamo noi

L’opera diretta da Walter Pedullà non è una semplice raccolta antologica, ma è stata ideata come un compendio della letteratura nazionale, dei suoi autori e delle sue correnti visto alla luce dell’interpretazione critica più attuale. Una raccolta unica, presentata in una forma preziosa con copertina rigida e dorso tondo con impressioni in oro sul piatto e sul dorso, composta da 100 volumi, che testimonia la straordinaria bellezza del nostro patrimonio culturale. Il valore dell’opera è confermata dall’alto patronato della presidenza della Repubblica, e dal patrocinio della presidenza del Consiglio dei ministri e della Commissione nazionale italiana Unesco.

La lira siamo noi, miserie e nobiltà della moneta italiana in 50 anni di vita quotidiana. La grande opera sulla storia d’Italia e della lira racchiude e completa le opere precedenti. Curato da Silvana Balbi de Caro, racconta la storia della politica monetaria italiana del periodo 1946–2002 intrecciata con gli eventi economici, storici e sociali ma anche con la quotidianità, degli italiani, con le paure, con fenomeni di costume come il cinema o la canzone, con il costo dei salari in relazione a quello dei beni, in una parola con la vita di tutti noi. I testi di Silvana Balbi de Caro e di Bruno Costi, più tecnici i primi e con taglio economico-sociale i secondi, fluiscono parallelamente, seppur su registri differenti, condividendo il ricco apparato iconografico realizzato con grandi immagini che “entrano” nei dettagli ravvicinati di monete e banconote alternate e messe a confronto con fotografie storiche. Laura Cretara ripercorre il significato profondo dei simboli che si sono cristallizzati prendendo forma sui tondelli metallici; Rosa Maria Villani affronta il tema del ritratto guardando alla straordinaria galleria di uomini illustri raffigurati sulle banconote stampate dalle officine della Banca d’Italia e ne individua le origini iconografiche nei modelli di artisti del passato; Gianni Fina illustra con vivacità le avventure di alcuni falsari che con grandissima abilità sono riusciti a ingannare, o quasi, anche le autorità competenti. Un grande affresco della vita italiana nella seconda metà del XX secolo letta in “filigrana”.

La lira dell’unità d’Italia 1861-2011 Le lire dell’Italia unita. Editalia dedica al 150° il cofanetto Unità d’Italia, rilettura della storia unitaria attraverso i simboli del mondo numismatico. Tre monete rappresentano il percorso storico dall’epopea risorgimentale alla repubblica e nella loro diversità segnano momenti storici assai differenti. Gli appuntamenti più importanti che celebrano l’unità nazionale lasciano tracce sulle monete grazie a emissioni speciali a essi dedicate. Le 5 lire 1861, la prima moneta emessa dopo la proclamazione dell’unità d’Italia il 17 marzo 1861 dalla zecca di Firenze, ne porta la data marzo 1861 sul verso; le 50 lire 1911 emesse durante il regno di Vittorio Emanuele III dalla zecca di Roma per celebrare il cinquantenario; le 500 lire 1961, dedicate al centenario dell’unità. Le tre emissioni raccontate da Silvana Balbi de Caro nel volume che completa l’opera con la storia della politica monetaria italiana dall’unificazione monetaria ai nostri giorni, sono esposte all’ombra del bassorilievo ispirato alla figura invitta dell’Italia dipinta da Giulio Aristide Sartorio nell’emiciclo della Camera dei deputati. Un’opera dal forte significato istituzionale tradotto nei linguaggi dell’arte propri a Editalia.

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a regola d’arte UNIONCAMERE

LE RADICI del nostro futuro Per l’anniversario dell’unità premiate 150 aziende storiche con una medaglia Editalia di Silvia Novelli


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La medaglia realizzata da Editalia per l’evento di Unioncamere e Symbola a sinistra: la sede Unioncamere a Roma

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Nell’anniversario dell’unità d’Italia non poteva mancare l’omaggio al tessuto imprenditoriale che ha contribuito a creare l’identità del nostro paese. Quel “made in Italy” riconosciuto in tutto il mondo, apprezzato sinonimo di prestigio e qualità, come di versatilità creativa e produttiva negli ambiti più diversi. Unioncamere e Symbola, con la collaborazione scientifica del centro culturale d’impresa e dell’istituto Tagliacarne, hanno ideato un programma di iniziative volto a promuovere e attivare una riflessione sui caratteri originali e connotativi dell’economia del Belpaese. Italia 150, le radici del futuro ha celebrato, con incontri organizzati da nord a sud, le tradizioni e le innovazioni del “fare italiano”. Storiche realtà, anche piccole, da valorizzare e rappresentative dei caratteri più profondi dell’identità nazionale e di come questa viene percepita a livello internazionale. Lo spirito dell’iniziativa è stato quello di dar vita a un confronto costruttivo, capace di cogliere nei caratteri del sistema imprenditoriale italiano le radici di una scommessa sul futuro, in una formula virtuosa che attraverso la riscoperta delle nostre qualità imprenditoriali, ci insegni a farne tesoro e diventi volano per lo sviluppo. «La rapida istituzione delle Camere di commercio da parte del Regno d’Italia – ha affermato il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – rappresenta un riconoscimento da parte del nascente Stato nazionale di quei ceti borghesi e mercantili che aderirono con convinzione all’ideale unitario. Forze sociali composte di uomini e donne che confidavano nella propria operosità e nella propria creatività, alle quali l’Italia di oggi, questa Italia che si afferma nel mondo per i suoi valori di qualità e di stile, deve molto». Unioncamere e Symbola hanno deciso di conferire un riconoscimento alle Camere di commercio che ufficialmente risultano istituite nel 1862 e un altro alle 150 aziende inscritte alla stessa data, individuate da una ricerca ad hoc, in occasione dell’anniversario dell’unità d’Italia. All’ultimo appuntamento previsto dal progetto, che si è svolto lo scorso 8 giugno a palazzo Colonna a Roma, tappa conclusiva di un percorso che ha coinvolto le città di Torino, Macerata e Palermo, è stata consegnata alle imprese selezionate la medaglia creata per l’occasione da Editalia. L’evento è stato anche l’occasione per presentare al pubblico il primo archivio delle aziende più longeve d’Italia.

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a regola d’arte

passione qualita’

RESPONSABILITA’innovazione

VALORI ITALIANI

Talento

generosita’

Queste le parole chiave del gruppo che chiude cinque anni in crescita e a Scilla festeggia i risultati con una “convention” di Cecilia Sica

l compimento di un quinquennio di crescita e consolidamento aziendale in controtendenza rispetto all’orientamento generalmente diffuso fra le aziende del settore in questi tempi di crisi, Editalia ha riunito tutti i suoi collaboratori nell’incantevole cornice di Scilla per festeggiare i risultati conseguiti. La “convention” ha analizzato e riaffermato l’insieme dei valori che costituiscono l’identità dell’azienda e che hanno consentito alla caravella di navigare sicura nelle acque insidiose della recessione economica metaforicamente rappresentate dai mitici vortici di Scilla e Cariddi che nell’antichità terrorizzavano i naviganti di passaggio nello stretto di Messina. Lo sforzo dell’azienda di rimanere tenacemente fedele alla propria tradizione di competere sul terreno della qualità e dell’innovazione si è rivelato uno

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TRADIZIONE

ASSEMBLEA EDITALIA

straordinario esempio di processo virtuoso nello sviluppo di progetti culturali in continua evoluzione che hanno tenuto il passo con l’evoluzione del gusto e del mercato. La riflessione sui punti di forza della nostra economia ha evidenziato la capacità di tenere insieme efficacemente creatività e organizzazione e di condividere una cultura d’impresa basata su valori consolidati e sempre attuali quali talento e responsabilità, generosità, passione e qualità nella cornice tracciata dalla consapevolezza che le nostre grandi tradizioni in tutti i campi sono la garanzia per uno sviluppo futuro innovativo. La capacità di coniugare tradizione e innovazione è stato il nodo cruciale del progressivo sviluppo dell’impresa. D’accordo con quanto scrive Paolo Colombo nella prefazione di Mestieri dell’arte e made in Italy, “la saggezza di un popolo nasce e si sviluppa in un determinato territorio che diventa esso stesso valore fondamentale, da proteggere e riscoprire, da considerare prezioso al pari dell’oro e del petrolio”. E il nostro territo-

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Qui e nella pagina seguente alcuni momenti della “convention� Editalia


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rio da coltivare e far crescere sono le opere d’arte e di pregio che nascono dall’incontro di diverse discipline, di lavorazioni artigianali e artistiche legate alla centralità dei mestieri dell’arte, da sostenere nel contemporaneo contesto produttivo e da promuovere utilizzando i mezzi dei nuovi media. A sostegno di questo sistema di valori nel suo intervento la dottoressa Rossana Pace, presidente di Eccellenze italiane, ha raccontato, con una carrellata di esempi antichi e moderni raccolti in un pluriennale lavoro di ricerca, una nuova narrazione del paese basata sulle innumerevoli eccellenze italiane frutto di quel flusso di ingegno e creatività che ha caratterizzato passato e presente: si scopre così come, in ogni momento della giornata in tutto il mondo, sia presente una molecola di genio italiano, dagli orologi all’elettricità, dal gelato agli occhiali, dal personal computer al microchip, fino alle monete bimetalliche che come l’euro circolano in tutta Europa. Oggi la responsabilità di far crescere questa cultura è nelle nostre mani.

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CENTO di questi anni La “creme” festeggia il secolo di vita con l’esposizione degli “spot” pubblicitari che hanno reso il marchio un’icona

Il manager e l’azienda “Beauty al top” Giuseppe Berardi è nato a Conegliano Veneto (Treviso) il 19 luglio 1970. Si laurea in Ingegneria gestionale al Politecnico di Milano e inizia a muovere i primi passi nel mondo della cosmetica nel 1997 lavorando per L’Orèal Italia, per poi approdare nel 1999 a Manetti Roberts dove ricopre il ruolo di “product manager”. È nel 2000 che inizia la sua collaborazione con Beiersdorf Italia e nel 2006 diventa ”marketing manager”, ruolo che ancora ricopre. Beiersdorf, con sede a Milano, è una delle più importanti consociate del gruppo tedesco omonimo che opera nel settore del “personal & beauty care” con i brand Nivea, Labello, Eucerin e Hansaplast. Info: www.nivea.it; www.beiersdorf.it.

di Silvia Ussia

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Buon compleanno Nivea Una mostra per festeggiare i 100 anni Si chiama Nivea “video art” la mostra tenuta dal 6 al 14 maggio a Milano, in omaggio al centesimo compleanno della famosa casa tedesca di prodotti per la cura del corpo. La videoinstallazione, ospitata dal Metropol, storica sala cinematografica milanese della fine degli anni quaranta, era composta da 16 schermi rotondi che riproponevano i memorabili “spot” della Nivea, dai manifesti cartacei degli anni ‘20 alle più conosciute reclame dei giorni nostri, ripercorrendo così l’evoluzione del design pubblicitario, della musica e della cultura dell’ultimo secolo. L’obiettivo è quello di rievocare nell’immaginario collettivo le emozioni legate al profumo, alla “texture”, al colore della crema che si ritrovano nei ricordi e nelle esperienze dell’infanzia. Ecco perché Nivea “creme” è la madre del marchio Nivea, non solo in termini biografici, ma anche dal punto di vista storico e sociale, in quanto creatrice del mito.

«L’

idea della mostra nasce dalla voglia di celebrare i 100 anni di Nivea, senza un sapore nostalgico amarcord, ma rivivendo l’ultimo secolo di fotografie, immagini, pubblicità e musiche che hanno fatto la storia del marchio tedesco, tramite l’utilizzo di nuove tecnologie e con una connotazione del tutto moderna». A parlare è Giuseppe Berardi “marketing manager” della intera linea Nivea, classe 1970, coneglianese di nascita e milanese d’adozione, che inizia da giovanissimo a collaborare con le più importanti aziende nel mondo della cosmetica, per approdare nel 2000 alla Beiersdorf, colosso tedesco e “leader” nella ricerca per la cura della pelle. Dopo aver lavorato in Francia nel biennio 2003-2005, torna in Italia con una maggiore consapevolezza ed esperienza, pronta a essere messa in pratica nell’anno successivo. «Abbiamo sfruttato il fascino del manifesto anni ‘30 facendolo reinterpretare da giovani artisti “leader” nel settore, che hanno reso attuali usi e costumi

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In queste pagine: manifesti pubblicitari della crema Nivea dal 1920

di inizio secolo. Gli schermi utilizzati – spiega Berardi – 16 oblò della grandezza di 2 e 4 metri di diametro, riproducevano video di 12 minuti per decennio analizzato, a partire dal 1920 fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui abitudini, storia, ruolo della donna, evoluzione della famiglia e rapporto tra i sessi, vengono rivissuti tramite gli occhi delle pubblicità e della comunicazione Nivea. Uno spot deve riflettere e rappresentare la cultura di un paese, e proprio la particolarità del metodo comunicativo del “brand” Nivea ha fatto sì che questa venga percepita da tutti i paesi, dall’Italia alla Francia dal Giappone alla Germania come marca locale, proprio per la sua universalità comunicativa e per la certezza del prodotto. L’attitudine all’innovazione è intrinseca nel marchio, che continua a guardare al futuro. Quella di maggio è stata la prima mostra, ma non sarà certo l’ultima iniziativa nonché approccio tra l’azienda e il mondo dell’arte. Il rapporto tra Nivea e in particolar modo il design, infatti, è ormai consolidato da anni. In ogni paese in cui è presente, l’azienda sposa talenti ed

eccellenze locali per elaborare nuovi linguaggi comunicativi, progetti di design e pubblicità all’avanguardia. Una dimostrazione è Nivealab, presente da anni nella filiale italiana: si tratta di un laboratorio sperimentale in collaborazione con l’istituto universitario Politecnico di Milano che dà ampio spazio a studenti e giovani talenti nel mondo del design e che si sviluppa in tre ambiti differenti quali il “packaging”, il “pos” (miglioramento dei punti vendita) e la comunicazione. Da un mero punto di vista strategico “l’advertising” dà notorietà al “brand”, il punto vendita avvicina il consumatore al prodotto, il packaging attira l’attenzione, infine gli eventi creano esperienze di vita. Importante è l’utilizzo coerente dei codici di comunicazione cromatici e valoriali declinati in maniera flessibile ma riconoscibili nel tempo. Bisogna sempre ricordare, inoltre – conclude il manager – che la relazione tra marca e consumatore va oltre la semplice esperienza di prodotto. Siamo molto soddisfatti del riscontro che ha avuto la mostra, per questo abbiamo in cantiere nuove forme di collaborazione con il mondo delle arti, probabilmente non si esplicheranno nella stessa forma , ma più possibilmente ci concentreremo su videoinstallazioni a cui stiamo ancora lavorando».

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LA CULTURA che si mangia Intervista con il direttore Sturabotti: «L’industria dei contenuti deve recuperare il ritardo ma le potenzialità sono enormi» di Simone Cosimi

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Un’industria segnata dalla crisi. Difficile, d’altronde, non portarsi dietro qualche cicatrice dall’oscura recessione globale decollata nel 2008. Un macrosettore che nell’ultimo anno ha tuttavia risollevato la testa, grazie all’investimento sui nuovi prodotti, alla ricerca di qualcosa d’inedito, di quel valore aggiunto cui aggrapparsi per traghettarsi fuori dal marasma dell’ultimo triennio. «Il settore dell’industria culturale – racconta il direttore di Symbola, Domenico Sturabotti, torinese classe 1971 – è variegato e mette insieme, in sostanza, tutto ciò che produce contenuti: si va dal cinema alla radiofonia passando per l’editoria, l’artigianato, la manifattura di alto livello, il design. Senza dimenticare due ambiti, quello dell’industria dei giocattoli e in particolare del videogioco, che sta tentando di agganciarsi alla clamorosa tendenza internazionale». La fondazione per le qualità italiane capitanata da Ermete Realacci, che dal 2005 spinge verso un nuovo modello di sviluppo orientato appunto al valore qualitativo, la cosiddetta “soft economy”, mette insieme dal 30 giugno al 2 luglio a Montepulciano questo mondo attraente. Cerca di ricucirne i pezzi, organizzarne le politiche, capire che strada sta imboccando. Un pianeta affascinante – piace a tutti riempirsi la bocca di cultura e affini, soprattutto a chi ne capisce poco – eppure snobbato dalla politica e dall’economia finanziaria, convinte che “con la cultura non si mangia”. «Si mangia eccome – continua Sturabotti presentando il seminario estivo di Symbola e anticipando la ricerca condotta con Unioncamere – il problema è che mentre per alcuni settori il prodotto interno lordo, la redditività insomma, sono facilmente calcolabili, questo non avviene nell’ambito culturale. Tranne pochi casi, come nella comunicazione, è difficile fornire a chi deciderà, vale a dire al politico di turno, l’effettivo indicatore di quanto pesano

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Da destra in senso orario: un laboratorio di moda uno di restauro il direttore di Symbola Domenico Sturabotti e uno scatto dal seminario 2010

queste attività nell’economia di un paese. Prendiamo il settore della moda: difficile rispondere alla domanda “quanta creatività c’è”? Complicato stimarne il peso. Eppure di sarti, designer e creativi ce ne sono a centinaia e lavorano ogni giorno, stimolando a loro volta un ricco indotto». Insomma: capire (e far capire ai politici) quante macchine produce un’azienda è semplice. Altro discorso è portarli a focalizzare su parole chiave del nuovo millennio come competitività, valorizzazione del capitale umano, crescita economica nel rispetto dell’ambiente e dei diritti umani, produttività, coesione sociale. Sembrano chiacchiere ma è proprio in quel mix che si nasconde uno degli assi nella manica del sistema-Italia: «Di fatto è quello che Symbola tenta di fare da anni, per esempio col progetto della Banca delle qualità italiane: dare una mappatura delle realtà che sfuggono alla quantificazione immediata. Scovare eccellenze, metterle in risalto e discuterne, facendole diventare casi emblematici, nel corso dei nostri incontri, come il seminario della prossima estate». Ci sono due strade che l’industria culturale, ancora appesantita dalle ombre della crisi, può imboccare per recuperare il ritardo accumulato negli ultimi anni ed esprimere a pieno il suo potenziale: «Una è quella dei privati, che è anche la più reattiva e investe sempre più in design e comunicazione – anticipa Sturabotti dalla ricerca ancora in fase di gestazione – mentre nel settore pubblico il messaggio stenta ancora a passare. Ci sono regioni, come la Toscana e le Marche, che hanno compreso l’importanza di valorizzare nella maniera giusta il loro territorio. Ma a livello nazionale manca un progetto complessivo, un

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Il seminario Il futuro della bellezza

La strada dei privati nell’industria culturale è reattiva mentre a livello nazionale manca un ragionamento che sposi società economia e cultura

ragionamento che metta insieme società, economia e cultura: sono tutt’uno, soprattutto in un paese come l’Italia. La beffa è che alla fine gli investimenti pubblici, magari a fatica, partono. Ma senza questa mappa di base rischiano di essere ben poco efficaci». Non basta più, insomma, adagiarsi fra le fortune che il passato o la creatività hanno lasciato agli italiani, bisogna valorizzarle e comunicarle nel modo giusto: «Pensiamo a Eurochocolate, la manifestazione di Perugia – continua il direttore di Symbola – che è organizzata da una società di comunicazione eppure fa leva su un aspetto strettamente gastronomico, legato appunto alle tradizioni artigianali: ecco, serve questa sinergia». Ed è proprio in questa direzione che s’inserisce il nuovo progetto targato Symbola ancora in cantiere, che vedrà la luce entro l’anno: quello sui maestri d’arte. «Siamo partiti da una considerazione lampante – conclude Sturabotti – alcuni mestieri artigianali e creativi hanno scarsissimo “appeal” sul pubblico, soprattutto più giovane. Insomma: domandano del lavoro che fatica a formarsi e rendersi disponibile. Secondo noi perché, come accade con i calciatori, mancano delle figure di riferimento, dei monumenti della manifattura, com’è per esempio in Giappone, dove i maestri artigiani sono punti di riferimento. Cercheremo di tirarne fuori qualcuno e di comunicarne meglio le qualità e l’attrattiva».

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L’ormai usuale seminario estivo di Symbola, intitolato Il futuro della bellezza, è arrivato alla nona edizione. L’appuntamento, in programma al teatro Poliziano di Montepulciano (Siena), vedrà un’anteprima il 30 giugno dedicata al confronto tra le diverse esperienze che a livello nazionale stanno cercando di dar vita a strategie orientate alla “carbon free”, a partire da quella della provincia di Siena che nel 2015 sarà la prima area vasta d’Europa a emissioni zero di co2. Tema fondamentale dei tre giorni del seminario è l’industria culturale: venerdì primo luglio la riflessione sarà introdotta dalla presentazione di una ricerca predisposta da Symbola insieme a Unioncamere, che è anche partner strategico della manifestazione. Sabato 2 luglio, invece, si terrà la sessione conclusiva dell’incontro con la consueta tavola rotonda alla quale parteciperanno personalità del mondo politico, istituzionale, culturale ed economico. Info: www.symbola.net.


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il motore dell’arte ART FORUM WÜRTH

IL TESORO DI CAPENA In provincia di Roma una collezione d’arte unica al mondo di Francesco Talarico

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einhold Würth è il “patron” dell’omonima azienda di sistemi di fissaggio, utensileria, elettrica e pneumatica. Per suo volere è nato l’Art forum, una collezione di arte contemporanea unica al mondo. A Capena, in provincia di Roma, sorge una delle dieci sedi in cui sono esposti gli oltre 14mila pezzi della collezione. Le altre nove sono dislocate in altrettante città d’Europa. La responsabile della sede di Capena, Tania Zepf, ne illustra le peculiarità. Cosa spinge un’azienda come Würth ad occuparsi d’arte? «Arte e cultura rappresentano un importante valore

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aggiunto della filosofia aziendale del Gruppo Würth. Grazie alla sensibilità di Reinhold Würth, appassionato collezionista d’arte moderna e contemporanea, l’azienda da molti anni promuove e sostiene progetti di varia natura in ambito artistico, scientifico, formativo ed educativo. Per Würth «Le belle cose, come l'arte, arricchiscono la nostra vita, aprono la mente, promuovono la creatività» e tanto più possono arricchire l’ambiente di lavoro – dove alcuni trascorrono la maggior parte della vita – rendendolo piacevole, confortevole e culturalmente stimolante. Da tali presupposti è nata l’idea di esporre le opere della collezione Würth in alcune sedi del gruppo. La collezione, iniziata negli anni Sessanta e curata con passione da Reinhold Würth, comprende attualmente oltre 14mila opere di pittura, grafica e scultura, principalmente del XX e del


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XXI secolo. Tra le altre, sono presenti opere di Max Beckmann, Max Ernst, Ernst Ludwig Kirchner, Edvard Munch, Emil Nolde e Pablo Ricasso. Per la scultura Eduardo Chillida, Tony Cragg, Alfred Hrdlicka, Robert Jacobsen, Anish Kapoor, Henry Moore e Bernar Venet. Caratterizzano la collezione anche importanti nuclei monografici con lavori di Hans Arp, Horst Antes, Georg Baselitz, Max Bill, Christo e Jeanne-Claude, Anselm Kiefer, Bernhard Luginbühl e molti altri. Il primo museo d'arte Würth è stato inaugurato nel 1991 a Künzelsau, nella casa madre dell’azienda nella regione del Baden-Württemberg e successivamente altri spazi espositivi, musei e gallerie sono stati aperti al pubblico nelle sedi di Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Italia, Norvegia, Olanda, Spagna e Svizzera». Che cos’è l’Art forum?

«L’Art forum Würth di Capena in provincia di Roma, con una superficie di circa 550 metri quadri articolati su due piani, è stato realizzato unitamente al progetto della sede Würth nel 2005 e inaugurato nel 2006. Da allora ha ospitato sette mostre temporanee, sia monografiche con Thomas Lange, Hundertwasser, Picasso che collettive con i Percorsi da Spitzweg a Baseliz e “Weltanschauung, visione del mondo”. Aperto, come tutte le istituzioni artistiche Würth, sia ai collaboratori interni all’azienda, sia a visitatori esterni, l’Art forum Würth Capena, si propone come uno spazio vivo, per un pubblico di tutte le età, dove oltre agli eventi espositivi vengono proposti incontri, conferenze, concerti e variegate offerte didattiche con laboratori e visite guidate. L’ingresso e la partecipazione a tutte le attività sono gratuiti».

Non solo Capena: tutti i luoghi d’arte di Würth Dieci gli spazi espositivi nelle maggiori città d’Europa Oltre allo spazio di Capena, Würth ha aperto altri nove spazi dedicati al contemporaneo in Belgio, Francia, Danimarca, Olanda, Norvegia, Austria, Spagna e due sedi in Svizzera. Tutto è cominciato al quartier generale del gruppo, a Künzelsau, dove nel 1991 è stata inaugurata la prima “Kunsthalle”. Dieci anni dopo ha aperto i battenti una seconda galleria, sempre nella regione del Baden-Württenberg. L’ultimo spazio in ordine di tempo a vedere la luce è stato quello di Johanniterhalle a Künzelsau, dedicato in modo specifico alla collezione di arte medievale. Le mostre sono sempre corredate da eventi culturali e attività particolarmente coinvolgenti per i ragazzi. Info: www.artforumwuerth.it e www.kunst.wuerth.com (in inglese).

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La mostra Günter Grass Si inaugura sabato 11 giugno la mostra monografica Günther Grass, acquerelli, disegni e sculture nella collezione Würth ospitata negli spazi dell’Art Forum di Capena. Oltre cento i lavori esposti fra sculture e interi cicli di disegni caratterizzati dall’uso estensivo del “lettering”. Protagonisti di un’osservazione critica e attenta del secolo appena concluso sono fatti e persone che hanno subìto la storia. I racconti diventano immagini, attraverso l’utilizzo di varie tecniche: dall’inchiostro su carta di Mostrare la lingua, agli acquerelli di Oggetti rinvenuti per non lettori e Il mio secolo. Un viaggio dentro il secolo appena passato e visto con gli occhi di un personaggio controverso che provoca allo stesso tempo dissensi, ma soprattutto apprezzamenti per il suo genio letterario. Art forum Würth, viale della Buona fortuna 2, Capena (Roma). Info: www.artforumwuerth.it.

Günter Grass Il mio secolo 1959, (1997-1999) A sinistra: Ragazza con ratta II, 1984 Nelle pagine precedenti: una veduta interna e una esterna dell’Art forum Würth Capena

Quali sono le peculiarità della collezione di Capena? «L’Art forum Würth Capena non ospita una collezione permanente, essendo destinato a mostre temporanee incentrate sulle opere della collezione Würth. Le mostre presentate fino a oggi sono state: La collezione Würth, percorsi da Spitzweg a Baselitz nel 2006; Thomas Lange, Genesi Würth e Melodia apocalittica nel 2007; Friedensreich Hundertwasser, la raccolta dei sogni nel 2008. A seguire, Presepi dal mondo nella collezione Würth, sempre del 2008 e Il mondo fantastico di Picasso, la collezione Würth e opere ospiti nel 2009; Weltanschauung, visione del mondo e infine José de Guimarães, mondi, corpo e anima conclusa a maggio». Qualche anticipazione sull’evento in corso?

«L’attuale mostra all’Art forum Würth Capena ha come protagonista lo scrittore, pittore, grafico e artista plastico tedesco Günter Grass». Nato a Danzica il 16 ottobre 1927, Günter Grass ha vinto nel 1999 il premio Nobel per la letteratura ed è noto al pubblico internazionale soprattutto per opere quali Il tamburo di latta (1959). La mostra Günter Grass, acquerelli, disegni e sculture nella collezione Würth presenta oltre cento lavori datati tra il 1952 e i primi anni Duemila. Tra questi, i cicli come Mostrare la lingua del 1987, Oggetti rinvenuti per non lettori realizzato nel 1997 e Il mio secolo, composto fra il 1997 e il 1999. A questi si aggiungono disegni realizzati con diverse tecniche: penna, matita, carboncino e inchiostro di seppia, sculture in bronzo, terracotta e ghisa.

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cose dell’altro mondo ISRAELE

Lo sguardo degli artisti israeliani è rivolto al passato e proiettato al domani

La tradizione del futuro di Giorgia Calò

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o stato d’Israele, fondato nel 1948, è relativamente giovane se pensiamo che alle spalle ha un secolo di sionismo e oltre cinque millenni di tradizione ebraica. Tutto ciò ha contribuito alla formazione di una cultura con una ben radicata identità, seppur eterogenea, perché composta di una popolazione di immigrati giunti sia dall’Oriente che dall’Occidente. Per questo Israele può considerarsi un catalizzatore nel modo in cui ha assorbito le influenze sociali e culturali provenienti da ogni parte del mondo. Nell’ambito artistico, fin dall’inizio del XX secolo Israele ha dato spazio ad artisti che ponevano al centro della loro ricerca i paesaggi locali, i temi biblici, la politica e

la vera natura del paese. La prima scuola d’arte risale al 1906, quando il bulgaro Boris Chatz crea l’Accademia di Bezalel, secondo un progetto approvato dal Congresso sionista l’anno prima per incoraggiare i giovani ebrei a studiare nella terra che sarebbe diventata quarantadue anni dopo lo stato d’Israele, dando così vita a un’arte ebraica autoctona. Come una piccola Bauhaus, la scuola ospita 500 studenti tra pittori, scultori, ceramisti, argentieri e orafi, tessitori, favorendo la nascita di un movimento artistico locale che manifesta forti legami con l’“Art nouveau”. Nel frattempo anche Tel Aviv, fondata nel 1909, diventa il palcoscenico dell’arte e dello sperimentalismo artistico israeliano. Qui risiedono Nahum Gutman e Reuven Rubin, fra i più importanti artisti dell’epoca, ai quali oggi sono dedicati rispettivamente due musei nel cuore della città Bianca. Durante

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Adi Nes dalla serie “Soldiers”, 1999 A sinistra: Andy Warhol Sara Bernhardt da “Ten Portraits of Jews of the 20th century”, 1980

gli anni Trenta l’arte israeliana si fa sempre più occidentale. Pittori come Moshe Castel, Menachem Shemi e Arie Aroch volgono il loro interesse verso l’espressionismo francese e tedesco, quest’ultimo dovuto anche all’arrivo di artisti immigrati in fuga dal terrore del nazismo in ascesa. La loro arte si basa sulla semplificazione delle forme, sull’abolizione della prospettiva e del chiaroscuro e sull’uso di colori vivaci e innaturali. Ma con la Seconda guerra mondiale e i traumi della Shoah, diversi artisti rompono ogni rapporto con la scuola francese per identificarsi invece in alcuni miti locali, nel tentativo di creare una nuova arte ebraica. Contemporaneamente il gruppo dei Nuovi orizzonti si pone l’obiettivo di liberare la pittura israeliana dal suo carattere locale per condurla nella sfera dell’arte europea contemporanea. A capo del gruppo troviamo Marcel Janco, pittore romeno

fondatore insieme a Tristan Tzara del movimento Dada che, trasferitosi in Israele nel 1941, diventa il capo riconosciuto della nuova ricerca astratta. La successiva generazione di artisti, fra i quali Raffi Lavi, Aviva Uri, Uri Lifschitz e Lea Nikel introduce un nuovo linguaggio visivo che comprende vari stili astratti espressivi e figurativi derivanti da origini esterne a Israele. Durante gli anni Sessanta, decennio in cui dilaga in tutto il mondo la “Optical art”, in Israele Yaacov Agam diviene il pioniere nell’arte ottica e cinetica. Figlio di un rabbino ortodosso, il lavoro di Agam è fortemente influenzato dal pensiero religioso. Le sue opere, che si basano sullo spazio, il tempo, la luce e il movimento, sono infatti cariche di elementi filosofici e mistici, gli stessi che ritroviamo nei lavori di Menashe Kadishman, in cui il rapporto con la terra d’Israele è molto forte. Nel 1978, alla Biennale di

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Da sinistra: Sigalit Landau, “Deadsee”, 2005 Arie Aroch, “Bus in the mountains”, 1955 Menashe Kadishman Biennale di Venezia 1978 Sotto, da sinistra: Aviad Petel “99” suspension lamp” Tal Gur “Daily chair”

Venezia, l’artista porta un gregge di pecore vive e le macchia con una vernice blu provocando forti critiche. Oltre ad un richiamo alla sua terra, alla natura e ai valori fondanti, non va dimenticato che questi sono gli anni delle neoavanguardie. Appena nove anni prima Jannis Kounellis realizza l’installazione performativa con cavalli vivi alla galleria l’Attico di Roma, in uno scontro tra natura e cultura. Ancora una volta, dunque, l’arte israeliana prende le mosse dalle proprie radici e si mette sullo stesso binario delle nuove ricerche contemporanee internazionali. Dal postmodernismo gli artisti cominciano a lavorare in un’atmosfera di sperimentazione individuale, pur continuando a concentrarsi su elementi locali. Le attuali tendenze, come nel caso delle opere di Tsibi Gheva, Zvi Goldstein e altri, continuano ad orientarsi verso un ampliamento della definizione di arte israeliana al di là dei suoi concetti e materiali tradizionali, come espressione unica di una cultura locale e al contempo parte integrante dell’arte contemporanea occidentale. Ad esempio la ricerca di Sigalit Landau, protagonista del padiglione israeliano curato da Jean de Loisy e Ilan Wizgan nella prossima edizione della biennale di Venezia, consiste nella raccolta e nella manipolazione di materiali con cui crea le sue installazioni direttamente connesse all’esperienza vissuta del luogo, cui spesso si accompagnano video e performance. Un artista che invece lavora sul concetto di esplorazione di un nuovo territorio è Nahum Tevet. Egli realizza, sul crinale tra arte e architettura, strutture complesse dal design minimale applicando i rigorosi principi della geometria. Le grandi installazioni di Tevet, fatte di assemblaggi apparentemente caotici, si

compongono di molteplici punti di vista che danno prospettive e vie di fuga sempre diverse tra loro. Il suo lavoro si basa dunque sulla posizione dell’individuo all’interno dello spazio collettivo, inteso come territorio, ambiente da dividere e condividere. Gli artisti israeliani del XXI secolo sono alla ricerca di un’identità nazionale ed esprimono le proprie ideologie mediante l’uso di mezzi diversi, dalla fotografia, come Adi Nes, Naomi Leshem, Masha Rubin, al video, con Yael Bartana, Einat Amir, Michal Rovner, solo per fare alcuni nomi. Anche il design israeliano sta cominciando a farsi sentire in ambito internazionale. Durante il Salone del mobile di Milano lo scorso aprile è stata presentata la mostra “Promisedesign 2011 - new design from Israel”. I curatori Vanni Pasca e Ely Rozenberg hanno selezionato per l’evento 45 designer israeliani, nomi di successo e nuovi talenti quali Yaakov Kaufman, Tal Gur, Mika Barr. La mostra ha esposto le diverse tendenze che caratterizzano il

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design israeliano, dall’uso sperimentale di oggetti quali fari per auto e materiali da imballo, alla realizzazione di prodotti in piccole serie utilizzando tecnologie avanzate. Questo breve percorso diacronico ci restituisce un quadro d’insieme sulle ricerche che dall’inizio del Novecento hanno caratterizzato l’arte israeliana, ponendola oggi come una delle realtà più espressive a livello mondiale. Quello che contraddistingue il contemporaneo israeliano è proprio la sua peculiarità nel porsi in bilico fra tradizione e innovazione. Pur non tralasciando alcuni temi che traggono ispirazione dalle origini storiche, sociali e culturali, gli artisti israeliani tendono ad affrontare i rapporti tra luoghi e identità mediante l’uso di tecniche e materiali diversi. Ciò lo dimostrano alcuni tra gli autori più espressivi del panorama contemporaneo, come ad esempio Uri Katzenstein. Rappresentante del padiglione israeliano alla Biennale del 2001, Katzenstein è considera-

to un artista multidisciplinare. Scultore, performer, cineasta e musicista, il suo lavoro è costituito dall’uso di mezzi diversi e ha come oggetto principale il corpo umano posto in una condizione di pericolo, seppur accompagnato da un certo lirismo e “humour”, temi questi che non a caso seguono da millenni la storia e la tradizione dell’ebraismo. L’arte israeliana può dunque considerarsi innovativa e avveniristica pur non rinunciando a una memoria storica e culturale caratterizzata da un forte rimando alla tradizione e alle proprie radici. Ciò si evince anche negli allestimenti degli oltre duecento musei israeliani. Si pensi ad esempio al museo d’Israele di Gerusalemme. Fondato nel 1965, oggi diretto da James Snyder, il museo registra un ampio sguardo sul contemporaneo pur coprendo tutta la storia dell’arte ebraica, dall’archeologia ai giorni nostri. Nel museo spiccano per bellezza e posizioni strategiche alcune celebri opere come ad esempio “Ten portraits of jews of the twentieth century” di Andy Warhol che ritrae dieci luminari della cultura ebraica tra cui Sarah Bernhardt, Albert Einstein, Sigmund Freud, i fratelli Marx, Golda Meir, Franz Kafka, tra gli altri. Del museo non va dimenticata nemmeno la splendida collezione dada e surrealista donata da Arturo Schwarz, composta da circa 700 opere. Gli artisti, così come i luoghi contemporanei israeliani, dimostrano di aver compreso il senso e lo spirito del proprio tempo. Senza mai distrarsi da uno sguardo rivolto al passato, sono costantemente proiettati verso il futuro. Questa è probabilmente la caratteristica che contraddistingue l’arte israeliana e la rende unica nel suo genere.

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in cassaforte L’ANGOLO DEL COLLEZIONISTA

FEBBRE GIALLA Cina, è boom: Sotheby’s Hong Kong incassa quasi mezzo miliardo di dollari di Stefano Cosenz

l mercato dell’arte conferma la sua buona salute per i grandi e rari capolavori museali. Accanto alle piazze di Londra e New York, si rafforza la presenza di Hong Kong, fulcro del mercato orientale, in particolare del facoltoso collezionismo cinese, interessato non solo alle importanti opere moderne, ma anche a riportare in patria le grandi e antiche testimonianze dell’arte cinese, ovvero le sue prime terrecotte e le porcellane delle dinastie imperiali del 17° e 18° secolo. Ne sono una dimostrazione le vendite di Sotheby’s dal primo all’8 aprile ad Hong Kong dedicate all’arte decorativa cinese, arte asiatica contemporanea, arte cinese del XX secolo, orologi, vini e gioielli, con un fatturato totale di 447 milioni di dollari. L’asta record è risultata quella di dipinti cinesi moderni con un fatturato di 83.134.262 dollari Usa. “Top lot” dell’asta è risultato il dipinto “Spring mountains in Sichuan” di Zhang Daqian che ha più che triplicato la stima iniziale fermandosi sotto il martello del banditore a 8.269.230 dollari, acquistato da un collezionista cinese. L’asta di ceramiche cinesi e arte decorativa cinese ha fatturato 74.703.782 dollari. Il top lot è risultato un rarissimo e magnifico vaso girevole “famille rose” con sigillo del periodo Qianlong che ha realizzato 8.987.179 dollari. Nella vendita di vestigia della storia imperiale cinese, un importante sigillo in giada bianco con impresso un poema imperiale Qianlong Yuti, periodo Jiaqing, risalente al 1796, ha realizzato 8.269.231 dollari. Nell’asta

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dedicata alla collezione Ullens sulla nascita dell’avanguardia cinese, un trittico del celebrato artista cinese Zhang Xiaogang, Forever Lasting Love, olio su tela del 1988, ha realizzato ben 10.135.897 dollari. Nel settore dell’impressionismo e dell’arte moderna le principali aste si sono tenute a febbraio e a maggio a Londra e New York. A Londra l’asta dell’8 febbraio di Sotheby’s vanta un eccezionale top lot: “La lecture” di Pablo Picasso del 1932, appartenente alla celebrata serie raffigurante la sua modella e amante MarieThérèse Walter – relazione tenuta segreta per molti anni, nei tempi in cui l’artista era sposato con la danzatrice russa-ucraina Olga Khokhlova – venduto per 25.241.250 sterline. Nell’asta di Christie’s del 9 febbraio un importante risultato per un’opera surrealista, a dimostrazione del rinnovato interesse dei collezionisti per il surrealismo: “Étude pour Le miel est plus doux que le sang” di Salvador Dalì del 1926-27 più che raddoppia la stima di 2-3 milioni di sterline realizzandone 4.745.250. Nella vendita serale di Sotheby’s a New York del 3 maggio ben 37 opere sono state vendute al di sopra del milione di dollari. Ancora una volta Picasso attira collezionisti e investitori. Top lot dell’asta è infatti il suo “Femmes lisant” del 1934, raffigurante MarieThérèse Walter con la sorella, che realizza 21.362.500 dollari. Accesa competizione per un’iconica scultura di Alberto Giacometti, “Femme debout”, alta 71 cm, concepita nel 1956 e colata nel 1957, che partita da una stima di 2-3 milioni di dollari schizza a 7.362.500 dollari. Il 4 maggio è la volta dell’asta serale di Christie’s con tre opere vendute al di sopra dei 20 milioni di dol-

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“Forever lasting love”, Zhang Xiaogang, 1988

lari. Top lot dell’asta, “Les peupliers” di Claude Monet, una delle più celebrate e monumentali opere dipinta “en plein air” durante l’estate del 1891 e appartenente alla sua grande serie realizzata negli anni trascorsi a Giverny. L’opera è stata venduta a un collezionista americano per 22.482.500 dollari. Dopo i picchi speculativi del 2007 e la sensibile caduta degli indici in seguito al crac di Lehman Brothers, il mercato dell’arte contemporanea ha recuperato attestandosi poco al di sopra dei livelli del 2006. Un dato molto significativo è che il mercato globale di opere di artisti europei viventi nel 2010 ha rappresentato il 59% del mercato globale dell’arte contemporanea. La vendita londinese di Sotheby’s del 10 febbraio, “Looking closely”, dedicata alla collezione di arte moderna e contemporanea di un solo proprietario (60 lotti offerti, tutti venduti), vanta un eccezionale top lot, un trittico, olio su tela di Francis Bacon del 1964, “Three studies for portrait of Lucian Freud”, raffigurante il suo grande amico e collega, venduto per 23.001.250 sterline contro una stima 7-9 milioni e il record mondiale per Salvador Dalì con “Portrait de Paul Eluard” del 1929, venduto per 13.481.250 sterline contro una stima 3,5-5 milioni. Nella vendita serale di Sotheby’s del 15 febbraio a Londra il top lot è assegnato all’artista vivente Gerhard Richter, appartenente alla sua ambita serie “Abstraktes Bild” del 1990, una monumentale opera venduta per 7.209.250 sterline. Il 16 febbraio, nella vendita serale di Christie’s, sbanca Andy Warhol con il suo autoritratto del 1967, “Self-portrait”, appartenente a una serie di 10 autoritratti, in buona parte custoditi in musei internazionali, venduto a un

collezionista europeo per 10.793.250 sterline contro una stima di 3-5 milioni. Significativo è il secondo top lot, assegnato a un artista francese, Martial Raysse, con “L’année dernière à Capri” del 1962, un capolavoro appartenente all’alba della Pop art, venduto per 4.073.250 sterline (stima 1-1,5 milioni), record mondiale per un lavoro di artista francese vivente e per l’artista. Nell’asta serale di Sotheby’s del 10 maggio a New York, ancora una volta il top lot è assegnato a Andy Warhol con “Sixteen Jackies” del 1964, 16 immagini di una delle icone dell’artista, Jacqueline Kennedy, venduto per 20.242.500 dollari. Al secondo posto si attesta la scultura di Jeff Koons del 1988, “Pink panther, edizione di tre – gli altri due esemplari al Moma di New York e al Museum of Contemporary art di Chicago – venduta per 16.882.500 dollari, un investimento per l’ex proprietario che l’aveva acquistata nel 1999 per 1,8 milioni di dollari. Al terzo posto un’iconica opera di Lucio Fontana, Concetto spaziale del 1965, che realizza 6.242.500 dollari. Eccezionale il fatturato della vendita serale di Christie’s dell’11 maggio, oltre 301 milioni di dollari. Il top lot ancora una volta è di Andy Warhol: il suo “Self-portrait” in quattro parti, acrilico e serigrafia su tela, del 1963-64 è stato venduto per 38.442.500 dollari a un collezionista europeo. Anche nella vendita serale di Phillips de Pury del 12 maggio Andy Warhol vince il banco con “Liz #5 (early colored Liz)”, il ritratto di Liz Taylor del 1963, opera ancora più iconica oggi dopo la recente scomparsa dell’amata attrice di Hollywood, che realizza 26.962.500 dollari.

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TRIMESTRALE ANNO 5 NUMERO 14

Sofà è una pubblicazione trimestrale di Editalia Gruppo Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato viale Gottardo 142, 00141 Roma Numero verde 800014858 - fax 0685085165 www.editalia.it

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Pubblicità e marketing Raffaella Stracqualursi marketing@guidotalaricoeditore.it

Stampa Bimospa spa, via Gottardo 142 00100 Roma Responsabile trattamento dati Guido Talarico. Le notizie pubblicate impegnano esclusivamente i rispettivi autori. I materiali inviati non verranno restituiti. Tutti i diritti sono riservati

In copertina particolare della medaglia ufficiale per le celebrazioni del 150° anniversario unità d’Italia, realizzata dalla Zecca su modello di Laura Cretara per il comitato ufficiale delle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia. numero chiuso in redazione il 31.05.11

Sofà è visibile online sul sito www.insideart.eu


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la storia della lira

la storia della lira

U nità d’ I talia 150° 1861-2011

nel Regno di

ViTTORIO Emanuele III

anniversario

Le più belle monete del “Re numismatico” L’Arte, i valori e la storia della nostra Nazione da ammirare nello splendore dell’oro.

Gli esemplari della Lira di Vittorio Emanuele III sono coniati nelle dimensioni originali, in oro 900‰

Tiratura limitata

Presidenza del Consiglio dei Ministri Comitato per le Celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia

È questo il significato della collezione che Editalia dedica all’Unità d’Italia, e che si identifica con lo spirito delle celebrazioni del 150° Anniversario. Un percorso scandito dalle riconiazioni della prima moneta dell’Italia Unita [ 5 lire del 1861] considerata molto rara nell’ambiente del collezionismo, e da quelle per gli anniversari del cinquantenario [ 50 lire del 1911] e del centenario [ 500 lire del 1961].

Con la Lira di Vittorio Emanuele III, l’ultimo re a battere moneta prima dell’avvento della Repubblica, l’Italia tornò ad esprimere dei veri capolavori degni della più grande tradizione artistica nella quale il nostro Paese vanta da sempre un primato internazionale.

Caratteristiche dell’opera

Con il patrocinio di:

La storia, il presente e il futuro della nostra Patria

Garanzia dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello stato Il certificato di provenienza e autenticità attesta la provenienza e le caratteristiche tecniche delle coniazioni, la dimensione, il peso, il titolo dell’oro e la tiratura limitata

Collezione: 1999 esemplari Serie singole: ciascuna 1999 esemplari

5 LIRE 1861

50 LIRE 1911

Scudo Unità d’Italia

Cinquantenario dell’Unità d’Italia

500 LIRE 1961

Centenario dell’Unità d’Italia

Un privilegio esclusivo A tutti i collezionisti sarà consegnata la speciale coniazione in argento emessa quest’anno per celebrare il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.

PIER PAOLO PUXEDDU+FRANCESCA VITALE STUDIO ASSOCIATO

Tiratura limitata La collezione è stata realizzata in 2011 esemplari certificati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Gli esemplari delle monete sono coniati nelle dimensioni e nei metalli originali, in oro 900‰ e in argento. Cofanetto personalizzabile.

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l’opera il volume

Le lire dell’Italia unita curato da Silvana Balbi de Caro Il volume di pregio, creato appositamente per questa occasione, percorre un’inedita storia della moneta italiana dalla nascita, al Regno e alla Repubblica, con particolari approfondimenti sulle monete presentate. Tiratura limitata

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Sofà

la storia della lira

Sofà

repubblica Italiana

Anno V Numero 14 2011

150

TRIMESTRALE DEI SENSI NELL’ARTE

Eventi Salone del libro Torino, la carta va

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Conforti: Vasari fabbriche & scritti

le Ultime Coniazioni

Il corpo dell’arte

Dalla Zecca dello Stato, la nuova emissione celebrativa dedicata alla Lira realizzata in oro dal materiale creatore originale.

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Gli esemplari della Lira - le Ultime Coniazioni sono coniati in oro fondo specchio nelle dimensioni delle monete originali e nel loro ultimo anno di emissione.

Un caffè con

Tiratura limitata e numerata con certificazione dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Collezione completa: 1999 esemplari, Collezioni singole: 1999 esemplari ciascuna.

Paolo Baratta Biennale, e luce sia

Il tributo più prezioso alle ultime monete che abbiamo tenuto fra le mani prima dell’avvento dell’Euro. www.editalia.it

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14

anni di unità

Una medaglia per l’anniversario realizzata dalla Zecca Eventi e manifestazioni lungo lo Stivale


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