Inside Art 96 dicembre

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24-10-2013

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L’ARTISTA Amrit Chusuwan Amrit Chusuwan è nato a Nakhon Si Thammarat (Thailandia), il 22 aprile 1955. Dopo avere studiato pittura alla Silpakorn university di Bangkok si laurea in Polonia nel 1980. È stato tra i primi artisti thailandesi a provare l’utilizzo di nuove tecniche espressive. Le installazioni degli anni ’80 lo hanno reso un protagonista dell’arte contemporanea nel suo paese. Dagli anni ’90 ha iniziato a inserire video nelle sue installazioni. Le sue opere multimediali sono ricche di riflessioni scaturite dal pensiero buddhista, spesso integrate da domande sulle contraddizioni della vita in relazione alla pratica spirituale. Nel 2007, insieme a Nipan Oranniwesna, rappresenta il suo paese alla 52esima Biennale di Venezia portando l’installazione Being sand. È direttore del Silpakorn university art centre di Bangkok.

Prima ancora di lui, a dire il vero, c’era un altro italiano, Galileo Chini, che lavorava già da tempo ai dipinti del palazzo reale. Credo che sia stato proprio Chini a dire a Feroci vieni in Siam, è una terra piuttosto interessante. La realizzazione della prima scuola d’arte, a opera di Feroci, rappresenta il punto di partenza per l’apprendimento dell’arte moderna da parte della società thailandese. La scuola inizialmente aveva quattro grandi dipartimenti: scultura, pittura, archeologia e architettura. Feroci mandava gli allievi migliori a completare gli studi in Italia, molti dei docenti del primo periodo della Silpakorn, infatti, si erano formati in Italia. Dopo la Seconda guerra mondiale, la Silpakorn school of art diviene ufficialmente università». A proposito di Corrado Feroci, nel 1960 pubblica un articolo in cui illustrava agli artisti thailandesi due percorsi nella realizzazione di opere d’arte. Da un lato li invita ad apprendere le tecniche di pittura e di scultura alla maniera occidentale; dall’altro li esorta a conservare i caratteri tipici della propria tradizione. Crede che questi suggerimenti siano stati seguiti dai suoi allievi? «Penso che fino all’arrivo di Feroci, non avremmo neppure potuto fare un raffronto chiaro tra cosa è Occidente e cosa è

Oriente, più semplicemente portavamo avanti il nostro modo tradizionale di fare oggetti d’artigianato. È stato lui a inserire un elemento di critica e un termine di paragone che ci ha permesso di distinguere tra arte e artigianato e, cosa ancora più importante, a quel punto ci è stato chiaro: noi non eravamo Occidente, eravamo Asia. Avevamo la nostra identità che non avremmo potuto riprodurre nelle opere semplicemente copiando o imitando altri. Le nostre radici, la nostra storia sono piuttosto diverse, ma ciò che è più importante è che, nel momento in cui conosciamo l’Occidente e allo stesso tempo abbiamo consapevolezza dell’Oriente, possiamo stabilire un confronto». Nell’opera presentata alla Biennale di Venezia del 2007, Being sand, che fa parte della doppia installazione dal titolo Globalization... Please slow down, affronta il tema della globalizzazione, può dirci un suo pensiero a riguardo? Ha a che fare con il preservare l’identità contro la tendenza generale dell’arte globalizzata? «A dire il vero non sono contrario alla globalizzazione. In Thailandia abbiamo il detto “slow but sure”. Il titolo Globalization... Plesase slow down significa che non possiamo stare al


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