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INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Foto di Pete Linforth da Pixabay

LA DOPPIA VELOCITÀ DELL’AI ITALIANA

Il nostro Paese è all’avanguardia nel campo della ricerca, ma limiti di competenze e investimenti rallentano i progetti. L’opinione di Gianluigi Greco, presidente di AIxIA.

L’intelligenza artificiale è una grande leva di cambiamento, ma è anche fonte di rischi, reali o paventati. E per molte aziende, specie in Italia, è difficile cogliere l’opportunità. Come risolvere queste contraddizioni? Ne abbiamo parlato con Gianluigi Greco, presidente di AIxIA, l’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale.

La vostra missione è quella di promuovere la ricerca e la diffusione delle tecniche proprie dell’intelligenza artificiale. A che punto è l’Italia in questo percorso?

Per quanto riguarda la ricerca sull’intelligenza artificiale, sicuramente quello italiano è uno scenario fertile come pochi altri territori in Europa. L’Italia è in tutti te dispongono di grandi competenze manageriali al proprio interno.

i ranking che valutano la qualità della ricerca, la nostra comunità di ricercatori è vivissima ed esiste una tradizione ormai consolidata. Basti pensare che la nostra associazione è nata nel 1988. Sicuramente lo stato di salute della ricerca sull’AI è buono, ma c’è tanto da fare sul fronte delle piccole e medie aziende. Le Pmi hanno una grossa difficoltà ad accedere a iniziative di ricerca industriale e solo una piccola percentuale ha già avviato progetti di intelligenza artificiale, e per lo più si tratta di progetti pilota. Poi c’è il mondo, un po’ paradossale, delle startup di intelligenza artificiale: spesso nate da spin-off di iniziative accademiche o di centri di ricerca, in Italia sono numerose ma faticano a crescere, sono poco votate a una dimensione industriale e raramen-

Che cosa servirebbe per superare questi limiti?

Due elementi, soprattutto: sostegno finanziario e formazione. Certamente bisognerebbe aiutare le startup a superare i problemi iniziali di finanziamento e a “scalare”. Consideriamo che per un progetto di AI servono risorse di calcolo non indifferenti e molto costose, anche se fruite tramite cloud. C’è poi in Italia un enorme problema di competenze: siamo soprattutto un Paese di piccole e micro imprese, in cui difficilmente sono presenti figure specializzate sull’intelligenza artificiale. E spesso le aziende nemmeno conoscono le opportunità dell’AI, una disciplina di cui si parla tanto ma di cui si sa poco dal punto di vista tecnico. Bisognerebbe, quindi, che i dirigenti aziendali avessero una base di competenze sul tema o che le imprese facessero parte di realtà associative.

Cito un terzo aspetto, ovvero l’assenza in Italia di grandi imprese specializzate (anche) in intelligenza artificiale. Se i grandi operatori tecnologici italiani iniziassero seriamente a investire sull’AI, questo alimenterebbe tutto il settore. Si tratta di sforzi che non possono provenire da una sola parte: la finanza agevolata potrebbe aiutare, ma devono fare qualcosa anche gli enti locali e le associazioni di categoria. È un percorso lungo, ma necessario.

A livello di casi d’uso, invece, dove siamo particolarmente in ritardo?

In generale, mentre negli Stati Uniti e in gran parte dell’Europa esistono già progetti funzionanti e sistemi basati su AI, in Italia siamo ancora in una fase di definizione dei casi d’uso e di progetti pilota. Le aziende stanno ancora cercando di capire come poter utilizzare l’intelligenza artificiale. Un settore di particolare interesse è quello bancario e assicurativo, che già da tempo impiega sistemi di scoring e analisi del rischio, e che con l’AI predittiva potrebbe ottenere dati più efficaci e puntuali. La predizione però può entrare in gioco anche in un ambito completamente diverso come quello medico, che è quello che ci sorprenderà di più e dove, a mio avviso, da qui a breve vedremo un grande cambiamento. Nei centri di ricerca americani già sono stati realizzati modelli di task per la diagnostica di diverse patologie, per esempio sistemi di riconoscimento di lesioni tumorali su mammografie oppure applicazioni per le malattie epatiche. Le reti neurali già esistenti potrebbero essere facilmente “importate” e usate anche in Italia. Ovviamente sono necessarie competenze per utilizzare questi sistemi, ma i vantaggi si vedranno. Siamo in particolare ritardo, invece, in un ambito come quello giudiziario. Altrove, in Nord America, Asia e nel resto d’Europa, già esistono sistemi predittivi applicati a questo campo. Qui una semplice “importazione” di modelli esistenti non è possibile e si dovrà lavorare sulla base delle normative e del sistema giudiziario italiano.

Gianluigi Greco

L’ultima edizione dell’annuale convegno di AIxIA era centrata sul tema della ripresa sostenibile. Alla luce della crisi economica ed energetica e della guerra, è ancora all’ordine del giorno?

Sono profondamente convinto che oggi sia il momento opportuno per investire sull’AI finalizzata alla sostenibilità. Anzi, se in passato avessimo seriamente investito sul risparmio energetico (sia sull’efficientamento sia su sistemi di metering più complessi) oggi forse affronteremmo la crisi energetica in modo diverso. Inoltre sta emergendo, specie negli Stati Uniti il tema della AI for social good, finalizzata ad azioni di utilità sociale. Oggi è importante dimostrare che l’intelligenza artificiale e la sostenibilità non sono solo chiacchiere: entrambe possono essere importanti leve di trasformazione. La Cina e l’America l’hanno capito. D’altra parte fra queste superpotenze è in atto una guerra tecnologica per il controllo dei chip che stanno alla base di tutti i dispositivi intelligenti in corso di sviluppo. Il Chips Act statunitense ne è dimostrazione, e se è vero che anche l’Unione Europea ha varato un piano per l’incremento della produzione di semiconduttori, i finanziamenti stanziati non sono paragonabili. Da solo il Chips Act europeo non sarà in grado di contrastare una eventuale carenza di processori fabbricati a Taiwan né di eliminare la nostra dipendenza dall’America.

Si parla spesso dei rischi legati all’AI, per esempio il rafforzamento di disuguaglianze e pregiudizi o le violazioni di privacy. Sono pericoli reali?

La nuova regolamentazione sull’intelligenza artificiale dell’Unione Europea sarà probabilmente approvata entro la prima metà del 2023. Si tratta di una regolamentazione che tutela in modo forte i cittadini e che è lungimirante, perché imponendo dei limiti (con una logica basata sulla valutazione dei rischi) promuove la fiducia nell’AI. Spesso sentiamo parlare di rischi legati all’impatto dell’intelligenza artificiale sull’occupazione, ma le passate rivoluzioni industriali ci insegnano che le tecnologie trasformano i posti di lavoro e creano nuove opportunità. In futuro ci sarà sempre più spazio per lavori intellettuali e creativi, dunque più che spaventarsi bisogna rimboccarsi le maniche. Dobbiamo essere consapevoli che le competenze insegnate oggi nelle scuole non saranno quelle utili nel mondo del lavoro di domani, quindi è importante che il settore dell’istruzione aiuti i ragazzi ad acquisire autonomia di giudizio e capacità di problem solving. Un altro rischio potenziale è che l’intelligenza artificiale possa decidere per noi. È vero che sempre di più ci affideremo all’AI per prendere decisioni ed è vero che se anche l’AI si limita a dare consigli ne saremo comunque influenzati. La sfida sarà di lavorare sulla complementarietà fra uomini e macchine e anche sulla explainability dei sistemi di AI. A mio avviso le macchine non dovrebbero essere sviluppate per dire sì o no, ma per dare delle spiegazioni.

Valentina Bernocco

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

UN COMPROMESSO FRA TECNOLOGIE, REGOLE E COSTI

Gli investimenti nel settore sono raddoppiati in due anni, trainati da Usa e Cina. L’Europa attende il nuovo regolamento basato sulla valutazione dei rischi.

L’intelligenza artificiale trova già oggi ampio utilizzo nell'economia globale. Secondo un recente studio dell’Università di Stanford (“Artificial Intelligence Index Report 2022”), gli investimenti privati in soluzioni di AI sono aumentati vertiginosamente lo scorso anno raggiungendo, a livello globale, i 93,5 miliardi di dollari, cioè più del doppio degli investimenti privati totali del 2020. Considerando sia negli investimenti privati totali in soluzioni di AI sia il numero di startup che hanno ricevuto lo scorso anno nuovi finanziamenti, gli Stati Uniti sono in testa alla classifica, seguiti dalla Cina. Guardando alle categorie di soluzioni che hanno ricevuto la maggior parte degli investimenti privati nel 2021, al primo posto ci sono le tecnologie per l’elaborazione e questo favorisce l'adozione commerciale più diffusa di queste tecnologie. Inoltre, poiché per l’addestramento delle soluzioni è fondamentale poter utilizzare ampi dataset, alcuni attori del settore privato sono favoriti nella corsa all’AI, disponendo già, per il proprio business, di queste informazioni.

la gestione dei dati e per il cloud, seguite dalle soluzioni per il settore medicale e sanitario e, al terzo posto, dalle soluzioni per il FinTech. Alla base del successo dell’intelligenza artificiale applicata al business c’è il fatto che questa tecnologia stia diventando sempre più economica e performante, quindi interessante per un maggior numero di applicazioni in contesti diversi. Dal 2018 il costo per addestrare un sistema di classificazione delle immagini è diminuito del 63,6%, mentre i tempi di formazione del software si sono ridotti del 94,4%. La tendenza a contenere costi e tempi di preparazione del software vale per numerose categorie di intelligenza artificiale, come soluzioni di raccomandazione, rilevamento di oggetti ed elaborazione del linguaggio. Tutto

Un valore per l’economia

Secondo lo “Studio globale sull’intelligenza artificiale” della società di consulenza PwC, queste tecnologie consentiranno nei prossimi anni un diffuso miglioramento della produttività e la maggiore adozione dell’AI contribuirà in misura del 26%, da qui al 2023, all’incremento del PIL mondiale. Nello studio si stima che entro il 2030 il contributo potenziale dell’IA all’economia globale potrebbe valere 15.700 miliardi di dollari. Incrementi di produttività nel lavoro delle persone potrebbero determinare i primi aumenti del PIL quando le aziende cominceranno ad adottare que-

sti strumenti nell’automazione di una serie di compiti e ruoli. Una parte consistente (il 45%) della crescita del PIL è attribuita a miglioramenti nei prodotti che potrebbero stimolare una nuova domanda da parte dei consumatori: l’AI, infatti, può consentire a costi contenuti una maggiore personalizzazione dei prodotti e servizi, che quindi diventano più attrattivi per i consumatori. Di nuovo, saranno in Cina e Nord America le economie che beneficeranno maggiormente di queste innovazioni.

I vincoli di etica e regolamenti

Con la crescita dell’adozione, anche problemi etici legati all’AI stanno assumendo proporzioni sempre maggiori. Se da un lato è comprensibile preoccuparsi degli impatti di una tecnologia una volta che questa è diffusa, dall’altro lato all’AI si attribuisce la capacità di svolgere compiti sempre più ampi e differenziati, sostituendosi in parte alle persone. Si rischia quindi di mettere in secondo piano le competenze umane e, conseguentemente, il diritto al lavoro. Un numero crescente di Paesi, quindi, sta sviluppando legislazioni ad hoc sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale, volte appunto a contenerne gli effetti negativi. La Commissione Europea, oltre a promuovere in generale la trasformazione digitale delle economie dei Paesi membri, riconosce da tempo che l’AI può portare miglioramenti tangibili alla nostra società, ma, contestualmente, ritiene che i rischi associati debbano essere presi sul serio e affrontati in modo adeguato. Nel tentativo di proteggere i diritti fondamentali dei cittadini, gli sviluppi dell’AI saranno in futuro sempre più regolamentati. È in questo contesto che nell’aprile 2021 la Commissione europea ha proposto un quadro normativo, l’AI Act, per garantire l’equità, l’affidabilità e la sicurezza dei sistemi di intelligenza artificiale. Si adotta un approccio basato sul rischio, distinguendo quattro livelli (inaccettabile, elevato, limitato e minimale o nullo). La normativa è ora in fase di revisione, la versione finale è attesa entro inizio 2023 e la fase di attuazione comincerà nella seconda metà del 2024.

I quattro livelli di rischio dell’AI Act

Inaccettabile

Es. social scoring, messaggi pubblicitari rivolti ai bambini, condizionamento psicologico

Es. credit scoring, selezione personale, chirurgia assistita, operazioni di polizia, infrastrutture critiche

Es. chatbot

Es. videogiochi, sistemi antispam Vietato

Elevato

Permesso nel rispetto di requisiti di AI e valutazione di conformità preventiva

Limitato

Permesso nel rispetto di obblighi di trasparenza e informazione

Minimo o nullo

Permesso senza obblighi, ma con un codice di condotta suggerito

I costi per le software house

Una domanda sorge spontanea: quanto costerà conformarsi alle nuove regole? La Commissione Europea ha stimato che per le aziende che sviluppano, utilizzano, importano e rivendono soluzioni di AI costi di adeguamento alle nuove regoleranno saranno, mediamente, pari al 17,3% del fatturato. Risorse che dovranno servire, per esempio, a formare i dipendenti in merito alle novità di legge, a modificare i processi di elaborazione dati, a ingaggiare società di auditing esterne, ad attivare nuove procedure amministrative, e altro ancora. Prendendo a modello un’ipotetica azienda da 150 dipendenti e 23 milioni di euro di fatturato, i costi ammonterebbero a 4 milioni di euro e si dovrebbe dedicare alla compliance circa 70 risorse equivalenti a tempo pieno. Il che, chiaramente, sarebbe insostenibile per la maggior parte delle aziende produttrici o rivenditrici di software. La buona notizia è che, secondo le valutazioni di Intellera Consulting (lo studio “The AI Act. What costs for SMEs?”), le cifre da spendere e le risorse da impiegare saranno in realtà molto inferiori, pari soltanto all’1,3% del fatturato. Per l’ipotetica azienda da 150 dipendenti e 23 milioni di euro di fatturato, si tratterebbe di circa 300mila euro e 2,7 addetti a tempo pieno dedicati. I costi potrebbero scendere ancora per le Pmi che sceglieranno di appoggiarsi a un polo di innovazione digitale (uno degli European Digital Innovation Hub) o di usare strumenti di prova e sperimentazione dell'intelligenza artificiale (Testing and Experimentation Facility), previsti all’interno del Digital Europe Programme.

Elena Vaciago

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