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ITALIA DIGITALE

LAVORI IN CORSO

E SFIDE IRRISOLTE NEGLI ENTI PUBBLICI

Foto di Nattanan Kanchanaprat da Pixabay

Molte realtà della Pubblica Amministrazione hanno già avviato progetti legati al Pnrr, ma la trasformazione richiederà tempo. La cybersicurezza è ancora sottovalutata.

Un “nuovo corso”, con un nuovo governo, con nuove relazioni da consolidare all’interno dell’Unione Europea e con uno scenario internazionale critico, che si riflette sull’economia. Il 2023 si aprirà con molte incognite, ma anche con il proseguimento di un percorso già avviato. Le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dovranno servire innanzitutto ad accelerare la trasformazione digitale: questa è la prima aspettativa degli enti di Pubblica Amministrazione centrale e locale italiani, stando a una ricerca di Gruppo Maggioli e The Innovation Group. Sul campione d’indagine (151 enti di diverse dimensioni, in prevalenza locali, come Comuni, Province, Comunità montane, Unioni di Comuni), il 46% ha citato la trasformazione digitale tra i principali benefici attesi del Pnrr per il settore pubblico. Seguono, nell’ordine, lo sviluppo di nuove competenze (36%), l’incremento di efficienza (32%), la semplificazione (29%), la maggiore qualità dei servizi (29%), il ricambio generazionale (28%). In pochi ritengono che le risorse del Piano possano servire al miglioramento dei rapporti con i cittadini (16%), una maggiore competitività della PA (14%), un aumento di produttività (11%) e una riduzione dei costi (7%). Come a dire: per questi non semplici obiettivi, avere a disposizione dei fondi da investire non è sufficiente.

Tra realismo e preoccupazioni

Peraltro gli enti pubblici italiani sembrano anche consapevoli del fatto che una vera trasformazione, digitale e organizzativa, richiede tempo. Ben l’82% degli intervistati pensa che i progetti legati al Piano dovranno proseguire oltre la scadenza dello stesso, cioè dopo il 2026. Una certa dose di realismo, per non dire pessimismo, si coglie anche dalle risposte alla domanda su quali siano i potenziali ostacoli alla realizzazione dei progetti legati al Pnrr: innanzitutto la complessità delle leggi e della burocrazia e la scarsa capacità amministrativa (elementi citati, entrambi, dal 48% degli intervistati) e a seguire la mancanza di competenze (44%), le resistenze culturali (“La PA non

è pronta a recepire cambiamenti”, 33%), l’assenza di riforme a supporto (27%), i tempi troppo stretti (22%), il contesto macroeconomico (15%) e lo scenario geopolitico attuale (12%). Dunque la guerra, le tensioni diplomatiche, il rialzo dei costi dell’energia e l’inflazione non vengono usati, se non da pochi, come giustificazione di un eventuale fallimento dei progetti. E tuttavia è indubbio che queste dinamiche non si possano ignorare. Di fronte alla crescita del cyberspionaggio e degli attacchi informatici rivolti alle infrastrutture critiche e agli enti governativi, in tutta Europa si fanno pressanti i temi della resilienza tecnologica, della sicurezza e della sovranità sui dati. Lo confermano le risposte della survey: tra gli intervistati, il 58% ha notato un incremento delle minacce cyber nei mesi successivi all’inizio del conflitto russoucraino.

Progetti avviati e nuove sfide

Ma quali sono, nel concreto, i progetti già iniziati nella PA italiana con il supporto del Pnrr? Lo stato dell’arte della scorsa estate, fotografato dall’indagine di The Innovation Group e Gruppo Maggioli, lascia intuire la direzione intrapresa e, purtroppo, un certo ritardo nelle trasformazioni più profonde e di sostanza. Infatti è vero che tra giugno e luglio il 75% degli pubblici aveva già avviato iniziative legate al Pnrr, ma in alcuni casi (il 31%) si trattava di semplici attività di consultazione delle fonti informative ufficiali. Circa un ente su quattro aveva intrapreso azioni di semplificazioni amministrativa (25% dei rispondenti) o riorganizzazioni interne (24%), e meno di due su dieci si erano adoperati per assumere nuovo personale specializzato (17%), per farsi supportare da società di mercato (15) o per rivedere i piani di investimento e i budget (14%). Vero è che negli ultimi mesi lo scenario potrebbe essere cambiato, ma considerando il contesto di incertezze economiche e politiche (nazionali e internazionali) non è ragionevole ipotizzare grandi accelerazioni. E, come si diceva, oggi rispetto al passato è ancor più importante che gli enti pubblici migliorino le difese informatiche per proteggersi da attacchi DDoS, ransomware e altre minacce. Lo ha sottolineato anche S&P Global Ratings in un suo recente report: “I cyberattacchi con motivazioni geopolitiche sono un particolare rischio per gli Stati indipendenti”, ha dichiarato Zahabia Gupta, analista autrice del report. “Questo, insieme alla crescente digitalizzazione dei servizi della Pubblica Amministrazione, dovrebbe spingere gli Stati a considerare un aumento degli investimenti e della spesa per creare solidi sistemi IT e di backup”. Come conseguenza della situazione macroeconomica e geopolitica attuale, nel 2022 la spesa di IT security dovrà aumentare per l’88% degli enti pubblici interpellati. Va notato però che il rapporto tra spesa IT e spesa in IT security è ancora sbilanciato, spesso: per il 36% del campione la quota da dedicare alla sicurezza informatica non deve superare il 5% del budget IT, un livello decisamente basso. Particolarmente importante ai fini della sicurezza informatica sarà, inoltre, il successo della Strategia Cloud Italia, che mira a portare su infrastrutture di data center sicure e certificate il 75% delle attività della Pubblica Amministrazione da qui al 2025. Intanto c’è un nuovo anno che bussa alla porta, con il suo carico di sfide. Accanto a quella della cybersicurezza, bisognerà affrontare quella del cambiamento culturale e organizzativo: un tema non certo nuovo per la PA italiana, spesso accusata (e spesso a ragione) di essere troppo ingessata e lenta. Al suo interno ancora domina una cultura del lavoro incentrata sul controllo diretto del personale: solo il 13% del campione ha già adottato un modello incentrato sul raggiungimento degli obiettivi, modello che è invece già abbastanza diffuso nelle aziende private (52%, secondo un’altra ricerca di The Innovation Group). Su quali leve si può agire? Gli enti pubblici sanno di dover incrementare l’uso delle tecnologie digitali (citato nel 45% delle risposte), di dover promuovere una diversa cultura interna (37%), di dover consolidare lo smart working (30%) e incentivare il lavoro agile (27%). Un mix di tecnologie digitali, di impegno e apertura mentale è ciò che serve per affrontare il futuro.

Valentina Bernocco ed Elena Vaciago

L’INNOVAZIONE MADE IN ITALY È ANCHE TECNOLOGICA

Foto di Oleg Gamulinskiy da Pixabay

Le testimonianze di aziende come Prada, Maire Tecnimont, Snam e Reale Ites: tutte impegnate a coniugare trasformazione digitale, ricerca dell’efficienza e sostenibilità.

Come impostare un percorso di trasformazione digitale che tenga conto delle numerose sfide poste oggi dal mercato? Dalle aziende italiane più strutturate possono arrivare utili indicazioni su come raggiungere obiettivi di trasformazione, che si tratti di migliorare l’efficienza nei processi, di cercare nuove opportunità di business, di contrastare la crisi energetica o di individuare percorsi di sostenibilità accompagnati dal supporto tecnologico. Nel corso di un recente evento organizzato da Microsoft, alcune importanti realtà del nostro Paese hanno fornito testimonianze sull’apporto del digitale ai rispettivi piani di sviluppo. Gruppo Prada, in modo particolare, ha messo in luce come l’utilizzo dei dati e delle nuove capacità elaborative sia una leva strategica per il made in Italy. Una gestione dei dati capillare può consentire, infatti, una maggiore personalizzazione della customer experience nel contesto della relazione diretta con il cliente, oltre che il monitoraggio puntuale della catena produttiva e il tracciamento dell’autenticità dei prodotti. Per questo, l’azienda ha sviluppato un data lake in cloud che, come ha descritto il Cio, Cristiano Agostini, “consente di beneficiare di una base dati unica e alimentare costantemente il patrimonio informativo, per semplificare l’elaborazione di insight e per migliorare la pianificazione, meglio comprendendo le dinamiche di mercato”. Prada, inoltre, sta cercando di concentrarsi sulla valorizzazione del capitale umano, per integrare professionalità nuove e tradizionali in uno scenario di skill shortage in cui è fondamentale attrarre e trattenere talenti. Per Snam, ricerca di efficienza e crescita sostenibile devono necessariamente fondersi, visto che parliamo di una delle principali società di infrastrutture energetiche al mondo. Su questa base è stato varato il progetto SnamTec, destinato a guidare l’azienda nell’impegnativa transizione ecologica ed energetica verso l’utilizzo di nuove fonti come il biometano e l’idrogeno. Per renderlo operativo, come ha ricordato l’executive vice president strategy, innovation & sustainability, Claudio Farina, “è stato necessario

rinnovare sia le infrastrutture fisiche sia quelle digitali. Abbiamo scelto di farlo in cloud per ottimizzare la gestione IT, potendo così allocare le risorse prima dedicate all’aggiornamento dell’on-premise a progetti di sviluppo”. Per il futuro, Snam punta a un sempre più massiccio utilizzo di tecnologie di AI e Big Data per diffondere ulteriormente intelligenza e capacità di calcolo sulla rete. Un esempio di questo approccio è il progetto di Intelligent Dispatching, che sta già incrementando la sicurezza del servizio volto a garantire l’approvvigionamento di gas alle attività essenziali del Paese e a migliorare l’efficienza del sistema.

Dall’ingegneria all’agricoltura

Nel solco dell’innovazione a supporto degli obiettivi di sostenibilità si pone anche l’esperienza di Maire Tecnimont. In linea con il proprio piano di azione verso la neutralità carbonica, la società di ingegneria dedica da tempo grande attenzione alla misurazione delle emissioni di CO2. In particolare, ha sviluppato una soluzione che consente di raccogliere dati in modo organico da una varietà di fonti, di misurare le emissioni con librerie e modelli di calcolo sia standard sia personalizzati, di produrre report in tempo reale monitorando l’impatto ambientale su cruscotti di Business Intelligence sempre aggiornati. Questo strumento, ha illustrato Ilaria Catastini, head of group sustainability della società, “rientra in una strategia più ampia di sostenibilità che si basa su quattro cluster, ovvero clima, economia circolare, ambiente, persone & comunità, e innovazione”. Anche Reale Ites ha intrapreso la via della modernizzazione del proprio data center in ottica cloud, con l’obiettivo di accelerare il percorso di trasformazione digitale del gruppo di appartenenza (Reale Group) e di essere sempre in grado di rispondere alle sempre mutevoli aspettative dei clienti. L’azienda ha anche avviato, in collabo-

RISORSE UMANE, MA SEMPRE PIÙ DIGITALI

In Italia il lavoro delle risorse umane diventa sempre più digitalizzato. In Europa siamo addirittura i timonieri di questa trasformazione, che investe processi come la ricerca e selezione del personale, l’onboarding, la gestione dei dipendenti, la formazione, la misurazione delle performance lavorative e altro ancora. Così emerge da un recente studio di Sd Worx, nel quale sono stati interpellati 4.371 datori di lavoro e 10.119 dipendenti di società private e pubbliche europee. Il 61% delle organizzazioni italiane, fra aziende ed enti pubblici, quest’anno ha incrementato la digitalizzazione delle attività di Hr. I settori più maturi sono finanza e assicurazioni (il 60% ha aumentato la digitalizzazione dell’area risorse umane), manifatturiero (60%), no-profit (58%) e sanità (57%). In diverse attività permane comunque, e comprensibilmente, una certa preferenza per le interazioni faccia a faccia e per i processi decisionali affidati alle persone. In particolare, i dipendenti preferiscono un approccio personale nelle attività di onboarding (solo il 15% predilige un approccio digitale), nella collaborazione tra colleghi, nei colloqui, nel reclutamento e nella valutazione delle prestazioni.

razione con Microsoft, un’iniziativa indirizzata alle Pmi che unisce competenze tecnologiche e finanziario-assicurative per mettere a fattor comune expertise, tecnologie e servizi utili per la digitalizzazione delle piccole realtà del territorio con un obiettivo di efficienza, sostenibilità, produttività, resilienza e prevenzione dei rischi aziendali. Un altro ambito di interesse è rappresentato dal settore agricolo. “Abbiamo dato vita a HubFarm, un progetto che intende accelerare la transizione tecnologica, digitale ed ecologica delle imprese agricole”, ha spiegato Marco Barioni, Ceo di Reale Ites Italy. “Il digitale infatti consente, partendo dai dati, di aiutare ogni organizzazione, anche quelle del settore agricolo, a definire le aree di efficientamento e quelle di innovazione: dal precision farming fino al tracciamento della filiera agroalimentare”.

Il punto d’incontro fra tech e green

Molte, come si è visto, sono le realtà impegnate nella ricerca dei punti di congiunzione tra sviluppi tecnologici avanzati e sostenibilità. Si tratta di un contesto nel quale, forse più che in altri ambiti collegati all’innovazione, si avverte il peso della carenza di competenze. Uno studio realizzato da Boston Consulting Group per Microsoft mette in evidenza la strada che ancora va percorsa per diffondere conoscenze di tipo analitico e di data science a supporto delle scienze ambientali. Si nota, in modo particolare, come il 68% di chi attualmente si occupa di sostenibilità provenga da altre funzioni interne all’organizzazione e solo il 40% abbia maturato un’esperienza di almeno tre anni su questo tema. Più in generale, tra le aziende intervistate a livello globale il 57% dei membri dei team di sustainability non ha una formazione in un campo correlato alle tematiche ambientali e climatiche. Secondo la ricerca, gestione e analisi dei dati, Business Intelligence e digital design sono le competenze digitali più richieste per chi si occupa di sostenibilità in questo momento storico. Dal punto di vista ambientale, il focus si concentra sulla misurazione e reportistica delle emissioni, sulle nozioni di base sul cambiamento climatico e sulla capacità di analisi di sfide e opportunità.

Roberto Bonino

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