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IN EVIDENZA

l’analisi GLI INVESTIMENTI IT DELLE AZIENDE RESISTONO AI VENTI

CONTRARI

Non è un momento facilissimo per l’industria tecnologica. Le turbolenze dell’economia (i “venti contrari” di cui parlano un po’ tutti gli analisti e i dirigenti delle aziende Ict nel commentare i propri risultati finanziari) stanno spingendo anche i grandi colossi del settore a correre ai ripari con massicci piani di ottimizzazione dei costi e, spesso, di licenziamento. “Siamo focalizzati sugli investimenti responsabili di lungo periodo e sulla risposta al contesto economico”, ha detto a commento dell’ultima trimestrale di Alphabet (Google) l’amministratore delegato Sundar Pichai. L’andamento della società di Mountain View è positivo, perché i ricavi del trimestre di luglio-settembre segnano una crescita del 9% anno su anno, ma è impietoso il confronto con il +40% realizzato a luglio-settembre 2021. Quello di Alphabet è solo un esempio che dà l’idea della tendenza attuale. Anche Amazon nel terzo trimestre è cresciuta a doppia cifra in termini di ricavi (15% anno su anno) ma meno delle attese degli analisti, e l’amminsitratore delegato, Andy Jassy, ha fatto sapere con abile dialettica che “bilanceremo i nostri investimenti per ottimizzarli senza compromettere le nostre scommesse strategiche fondamentali di lungo termine”. Per la divisione Devices & Services sono già stati ufficializzati tagli, mentre i rumors parlano di licenziamenti più massicci nel prossimo futuro. Twitter, poi, è un caso peculiare, perché il dimezzamento del numero di dipendenti è anche l’effetto della “cura dimagrante” voluta da Elon Musk. Ma in generale anche i social network rallentano, cioè rallenta la spesa in advertising. E Meta sta pagando il prezzo del coraggio (o imprudenza) di aver aumentato la spesa in ricerca & sviluppo per tuffarsi nel metaverso. Sull’onda del calo dei ricavi, a inizio novembre l’azienda aveva già lasciato a casa undicimila persone. Focalizzando lo sguardo sul mondo B2B, tuttavia, lo scenario appare molto meno tetro. Nonostante l’inflazione, la volatilità dei tassi di cambio e le incertezze geopolitiche, gli investimenti in tecnologie e servizi IT continueranno a crescere in area Emea (Europa, Medio Oriente, Africa) anche nel 2023, secondo le stime di Gartner. “Nelle fasi di turbolenza i Cio esitano a siglare nuovi contratti, a impegnarsi in iniziative a lungo termine o a ingaggiare nuovi partner tecnologici”, ha dichiarato John Lovelock, distinguished vice president analyst di Gartner. “I budget IT aziendali non sono al centro di queste esitazioni e le aziende della regione Emea nel 2023 li incrementeranno”. Secondo le stime, il prossimo anno il volume spesa dovrebbe raggiungere i 1.300 miliardi di dollari, con un aumento del 3,7% rispetto al 2022. Il motore trainante sarà ancora una volta il cloud, in particolare i servizi di cloud pubblico, che già quest’anno chiuderanno con un valore di 111 miliardi di dollari e arriveranno a 131 miliardi nel 2023, con un aumento stimato del 18,2%. A detta di Gartner, il budget cloud delle imprese rappresenterà il 34% del totale destinato alle spese software. Anche per i servizi IT si prospetta un anno positivo, con una crescita del 6,6% che sarà imputabile anche alle difficoltà di reperimento di risorse competenti: fattore, questo, che spinge le aziende a ricorrere a partner esterni per colmare la penuria. Sullo stesso crinale, gli investimenti indirizzati ai sistemi per data center (gli unici cresciuti anche quest’anno nella regione Emea) mostreranno ancora un segno positivo dell’1%. Per converso, le spese dedicate ai terminali (Pc, tablet, smartphone) proseguiranno nella discesa già avviata nel 2022. Il calo della domanda soprattutto del mondo consumer porterà anche nel 2023 a una riduzione degli investimenti pari al 2,6%. Fra i mercati più maturi dell’Europa Occidentale, le cose andranno meglio nel Regno Unito, dove Gartner prevede che la spesa IT raggiungerà i 218,7 miliardi di dollari. In realtà la crescita sarebbe già iniziata quest'anno, ma l’8% raggiunto va calcolato in sterline, fortemente deprezzate sul dollaro.

Valentina Bernocco e Roberto Bonino

CLOUD E SICUREZZA AL CENTRO DELL’ECONOMIA DIGITALE

L’amministratore delegato di Dell in Italia, Filippo Ligresti, sottolinea gli attuali punti di forza e di debolezza del mercato. Si punta sull’as-a-service.

La nuova economia digitale è qui, seppur con livelli differenziati di comprensione e applicazione per area geografica e tipologia di aziende. Al Dell Technologies Forum 2022, tornato in presenza in Italia dopo tre anni, se ne è avuta la conferma nelle testimonianze delle realtà intervenute e nei messaggi proposti dal vendor organizzatore. L’amministratore delegato della filiale italiana, Filippo Ligresti, non ha nascosto le difficoltà che ancora esistono e che emergono da uno studio condotto a livello globale sul tema. “Da noi, come in tutta Europa, si notano ancora limiti all’innovazione legati alla cultura delle persone e ai timori di non riuscire a stare al passo con i tempi e a evolvere in direzione data-driven”, ha detto Ligresti. Ci sono, tuttavia, elementi che suggeriscono che gli sviluppi di breve termine di Dell Technologies in Italia seguiranno un flusso in linea con l’andamento fin qui positivo. Ligresti ha confermato come la filiale abbia avuto un andamento persino leggermente migliore della corporate nel primo semestre del 2022, nonostante l’apprezzamento del dollaro. “Idc ci attribuisce il 45% di market share nei server e il 41% nello storage. I clienti ci affidano progetti importanti e, in campo infrastrutturale, l’ultimo è stato il miglior trimestre di sempre”, ha spiegato. Fra gli sviluppi che potrebbero riservare nuove soddisfazioni, il manager ha indicato i progetti Apex e Alpine. Il primo, lanciato nel 2021 ma disponibile da quest’anno, esplicita come Dell stia sempre più diventando un fornitore di servizi. Di fatto, si tratta della proposizione pay-per-use di sistemi e storage fruibili anche all’interno del data center di un’azienda, così come su siti periferici o in colocation (Equinix è il partner globale). Alpine, invece, si fonda sulla migrazione verso i principali cloud pubbli-

Filippo Ligresti ci delle soluzioni di storage (a file, a blocchi e a oggetti), che quindi sono in grado di funzionare sotto un’unica console o al di sopra delle risorse hardware di Aws, Azure e Google Cloud Platform. Se quest’ultima iniziativa sta vivendo ora il primo periodo di proposizione al mercato, Apex invece ha già ottenuto, secondo Ligresti, una buona accoglienza anche in Italia, ma viene proposto con la dovuta attenzione per non spostare equilibri e installazioni in modo forzato. Garantire una trasformazione digitale sostenibile e innovazioni che si innestino in un futuro migliore è un driver che può essere perseguito superando la miriade di barriere umane al cambiamento e risolvendo le preoccupazioni oggi ancora molto forti sul fronte della cybersecurity. Uno studio realizzato da Vanson Bourne (che ha coinvolto oltre diecimila persone in 40 Paesi) ha infatti evidenziato un 72% di professionisti turbato dall’ascesa degli attacchi e concentrato sulla necessità di mitigare i rischi e ripartire, in caso, nel più breve tempo possibile. “I clienti italiani sono molto attenti alla criticità dei backup, essenziali per un rapido ripristino in caso di incidente, ha concluso Ligresti. “Ma per noi la data protection nel suo insieme è un focus importante e questo coinvolge anche i servizi di managed detection and response che possiamo erogare tramite i nostri partner”.

Roberto Bonino

METAVERSO TRA DUBBI E RAGIONEVOLI CERTEZZE

Non solo una tecnologia ma un universo di valore, che ha già un’efficacia dimostrata in attività come il training immersivo e l’assistenza al cliente. Ibm scende in campo con Verse Engine.

La prima e più importante argomentazione utilizzata per “smontare” l’hype generato dal concetto di metaverso è che sarebbe semplicemente una versione rivisitata e rimodernata di Second Life, il mondo virtuale online nato ormai quasi vent’anni fa. È ovviamente un ragionamento superficiale, anche se non si può escludere a priori che le promesse del metaverso restino tali. È superficiale perché non tiene conto di alcuni fattori molto evidenti: negli ultimi anni la tecnologia si è molto evoluta (tempi di latenza, usabilità, ergonomicità, maggior facilità di sviluppo del software), i costi sono inferiori e la cultura degli utenti è cambiata, anche grazie all’accelerazione digitale impressa dalla pandemia. D’altra parte, sono piuttosto evidenti i potenziali vantaggi di questo nuovo mondo valoriale (sì, perché il metaverso, contrariamente a quanto si possa pensare di primo acchito, non è un insieme di tecnologie, ma un insieme di valori abilitato dalle tecnologie): si possono facilmente immaginare negozi virtuali connessi, sistemi efficaci di assistenza tecnica, strumenti di formazione, nuove modalità di interazione con i clienti. Per non parlare dei videogiochi e, sul fronte diametralmente opposto, dei sistemi di digital twin industriali, che già in parte sono utilizzati con successo e che iniziano a incorporare valori e tecnologie tipiche del metaverso. Più difficile è immaginare un ritorno degli investimenti dei progetti che coinvolgono il metaverso, anche se la vendita di beni virtuali, nuovi livelli di efficienza sul lavoro (grazie a una collaboration più avanzata) e la possibilità di creare customer experience più efficaci fanno già oggi intravedere un risultato concreto dell’applicazione delle nuove tecnologie. Retail, intrattenimento, finanza, manifattura e formazione sono tra i settori che potrebbero ottenere i maggiori benefici dalla realizzazioni di progetti Web3 e metaverso (i due ambiti non coincidono ma hanno una vasta area di sovrapposizione). Insomma, scetticismo e interesse si fondono, come spesso accade per ogni next big thing. In Italia, una recente ricerca condotta da The Innovation Group ha mostrato come oltre la metà delle imprese, di qualsiasi dimensione, consideri il metaverso un’opportunità. L’8% addirittura lo considera “il futuro” del digitale, mentre solo il 10% ha un atteggiamento negativo (ne parliamo in modo più approfondito a pag. 38).

Ibm ci crede

“Per valutare le potenzialità di questo nuovo mercato”, ha detto Chris Hay, distinguished engineer di Ibm Consulting, nel corso di un evento dedicato agli analisti tenutosi a Londra lo scorso novembre, “dobbiamo concentrarci non tanto sui vantaggi e sulle problematiche dell’utilizzo dei visori immersivi, un elemento importante ma che io vedo come consequenziale all’adozione del metaverso. Dobbiamo invece concentrarci su un approccio Web3-driven, che ci porterà nuove e più ricche modalità di comunicazione con colleghi e clienti”. La storia di Ibm nel metaverso, o meglio nel suo concetto, risale addirittura al 2004, quando Big Blue aiutava i propri clienti a creare mondi virtuali e partecipava poi con numerosi progetti a Second Life. La creazione di ambienti 3D visitabili in real-time e la decentralizzazione sono temi che all’interno dell’azienda sono stati oggetto di sviluppo e che ora fanno parte integrante dell’offerta, insieme a un complesso ecosistema di tecnologie (anche ovviamente di terze parti) e di valori. Un nutrito gruppo di soluzioni è compreso all’interno del Verse Engine, una piattaforma basata su tecnologia open-source che può essere utilizzata in cloud privato o pubblico e che si affianca ad altre soluzioni mirate, come Ibm iX Experience Orchestrator e Spatial Design System.

Emilio Mango

DA UN CLOUD “AFFOLLATO” E “PESANTE” VERSO LA LIBERTÀ DI SCELTA

Le aziende necessitano di migliorare la flessibilità e ridurre i costi degli ambienti IT. La visione di Vmware, illustrata dal presidente Sumit Dhawan.

Un multicloud smart, accordi per la promozione dei cloud nazionali, maggiore sicurezza e una gestione ottimizzata dei digital workplace estesa al mobile. Questi, in estrema sintesi, i messaggi che Vmware ha lanciato da Barcellona in occasione dell’evento europeo Vmware Explore 2022, che ha accolto ben diecimila persone, tra clienti e partner del Vecchio Continente. Messaggi importanti ribaditi dal presidente della multinazionale, Sumit Dhawan, in un’intervista esclusiva per le nostre testate. “I clienti stanno cambiando velocemente il loro modo di operare”, ha detto Dhawan. “Il lavoro delle aziende viene solitamente strutturato in diversi team, con compiti diversi, che sempre più spesso si trovano ad afferire al cloud. Ma se tutti i team convergono verso lo stesso cloud, sia per l’uso delle tante applicazioni necessarie a un’azienda sia per la parte DevOps, si arriva a una situazione ‘pesante’ che stride con la velocità di azione che ci si attende dalla digitalizzazione”. Oltre a questo problema, le aziende si trovano a dover combattere con altre difficoltà, quali la carenza di talenti digitali, i costi energetici, la sicurezza e timori relativi la sovranità dei dati stessi. Complessivamente, vere e proprie zavorre alla velocità auspicata dalla digitalizzazione, se si fa convergere tutto nello stesso cloud. Vmware si propone come partner di fiducia per le aziende, che consente loro una maggiore flessibilità nell’utilizzo del cloud, con un migliore controllo dei costi e del consumo di energia. “L’alternativa a un cloud ‘affollato’ e complesso è la ripartizione dei workload, dei processi di sviluppo e gestione delle applicazioni su più cloud”, ha spiegato il presidente di Vmware, “ognuno con caratteristiche che lo rendono il più adatto e conveniente per l’utilizzo designato. Una condizione di flessibilità e di affrancamento dalle condizioni imposte da un unico provider cloud, che consente di lavorare sulle applicazioni aziendali in maniera trasversale attraverso un’infrastruttura che si può comporre di cloud privato, pubblico, nazionale e che arriva fino all’edge. Un’esperienza di efficacia e di sicurezza che Vmware ha dimostrato nel tempo di poter garantire nel cloud privato delle aziende, e che ora possiamo trasferire su qualsiasi cloud, senza imposizioni di limiti”. Secondo una ricerca condotta da Vanson Bourne per Vmware, il 96% delle aziende pensa che i dati saranno una fonte di ricavi nei prossimi due anni. Tuttavia la quasi totalità degli intervistati, il 95%, ha preoccupazioni relative alla sovranità dei dati. Oggi quasi tutti i Paesi del mondo hanno definito normative che regolano la gestione e l’archiviazione dei dati sul territorio nazionale, con associate multe per chi non è conforme. Per attivare dei cloud nazionali grazie alla trasposizione in edge dei cloud stessi Vmware ha stretto una serie di accordi con partner locali. Ad oggi sono attive alleanze per il sovereign cloud in una decina di Paesi fra cui l’Italia, dove l’accordo è stato siglato con Tim. “La flessibilità e la possibilità di trasposizione verso i diversi cloud consentono, inoltre, a Vmware di spostare le licenze on-premise da un cloud all’altro, potendo offrire sia il modello a sottoscrizione sia quello asa-service”, ha sottolineato Dhawan. “Il nostro Cloud Universal Program consente di spostare in maniera flessibile quanto è nel private cloud in un public cloud, in base a dove i clienti pensano sia meglio far girare i propri workload e le applicazioni sulla base dei diversi costi o dell’efficienza”.

Loris Frezzato

Sumit Dhawan

VELOCITÀ E SEMPLICITÀ, LE PROMESSE DEL DATA FABRIC

L’integrazione di sviluppo low-code, automazione e visibilità sui dati è la caratteristica distintiva della piattaforma di Appian. E oggi è una carta vincente.

Data fabric per molti può essere un’espressione un po’ criptica, ma non per Appian: è su questo concetto che, d’ora in poi, la multinazionale statunitense si focalizzerà sia dal punto di vista tecnologico sia nella comunicazione. Un data fabric è sostanzialmente un modo semplice per accedere alle informazioni, per condividerle in un ambiente dati distribuito e per gestire i dati stessi in modo unificato e coerente, superando i compartimenti stagni. Dal palco della conferenza londinese “Appian Europe”, il fondatore e Cto dell’azienda, Michael Beckley, ha rimarcato che per portare semplicità in ambienti IT sempre più complessi e frammentati non è sufficiente mettere insieme dati di diverse applicazioni e workflow. Non basta raccogliere: bisogna collegare, integrare e astrarre. La piattaforma di Appian è l’unica sul mercato a contenere tutti gli elementi: le capacità di sviluppo no code/low code, i servizi di accesso ai dati basati su cloud, funzioni di sincronizzazione, composizione, discovery, arricchimento dei dati e – aspetto fondamentale – un livello di virtualizzazione (virtual data layer) che permette di accedere ai dati separandoli dalle applicazioni di partenza. Per l’utente il risultato principale è la velocità: con un data fabric bastano cinque minuti, anziché tre ore, per creare un report; serve il 75% di codice in meno per creare grafici; si dimezzano i tempi delle operazioni di sicurezza; le ricerche sono da due a quattro volte più rapide. Nonostante l’attuale fase dell’economia stia dando del filo da torcere anche ai grandi colossi tecnologici (basti pensare alle decine di migliaia di licenziamenti delle big tech), il mercato dell’automazione e della data integration ha grande potenziale di crescita. Tra i settori di destinazione più promettenti quello bancario, l’assicurativo, il giudiziario/amministrativo, energia e utilities, istruzione, trasporti, Pubblica Amministrazione, difesa, sanità, supply chain e canale Ict. “Appian è già la scelta predefinita per le banche, le compagnie bancarie e assicurative e oltre 200 pubbliche amministrazioni”, ha spiegato Beckley a Technopolis. “Non siamo ancora molto conosciuti in altri settori, nei quali ci affidiamo molto ai nostri partner di canale per affermarci”. Il manifatturiero è uno tra i territori ancora da conquistare, ma già presidiati. In quest’ambito Appian può vantare un cliente illustre come Jaguar Land Rover, che ha usato il data fabric per gestire i molti cambiamenti conseguenti alla Brexit, tra documentazione, processi, relazioni con i clienti e compliance. “Il nuovo data fabric è molto adatto per la supply chain”, ha aggiunto il Cto, “perché essa è composta da sistemi che appartengono a diverse organizzazioni. Poterle trattare come un unico database è qualcosa di potente”. Tra le iniziative realizzate in Italia spicca la collaborazione con il Comune di Milano, che ha utilizzato la piattaforma lowcode di Appian per automatizzare e digitalizzare diverse procedure, dai servizi al cittadino al backoffice. Si intreccia invece con un tema molto attuale, quello della sostenibilità, il progetto della compagnia idrica britannica Anglian Water, che con

Michael Beckley

Silvia Fossati

E-COMMERCE IN CALO, MA NON IN ITALIA

Il giro d’affari dell’e-commerce è in calo del 2% anno su anno a livello mondiale e del 9% in Europa. Sono i numeri emersi dall’ultimo report trimestrale di Salesforce, lo “Shopping Index”, relativo al terzo trimestre di quest’anno e frutto della raccolta di dati da quasi 2.800 siti di commercio elettronico di 61 Paesi. Scende anche il numero dei consumatori che nel trimestre hanno acquistato qualcosa online: -4% anno su anno. Il volume degli ordini si è ridotto, invece, del 5%. Considerando l’inflazione e il diverso clima psicologico dominante nel 2022 rispetto a quello del 2021, la tendenza non stupisce. Va detto comunque che tutti gli indicatori del confronto anno su anno sono, sì, negativi, ma meno di quelli del secondo trimestre. “Ad oggi il commercio elettronico si sta pian piano riequilibrando, dopo l'impennata sostenuta durante la pandemia”, ha commentato Maurizio Capobianco, area vice president cloud sales di Salesforce, “ma ciò non toglie che viviamo in un mondo sempre più digitale, dove le aziende devono adattarsi in continuazione alle mutevoli condizioni del mercato in modo da soddisfare al meglio le richieste dei consumatori, sempre più esigenti in termini di aspettative, tempistiche e relazioni con i brand”. Intanto i dispositivi mobili continuano a guadagnare importanza anche per le attività di navigazione sui siti di shopping online: tra quelli monitorati da Salesforce, il traffico globale prodotto da smartphone e tablet è cresciuto del 6% su base annua, mentre il traffico generato da Pc è diminuito del 2%. Gli andamenti sono comunque parecchio diversi tra un contesto nazionale e l’altro e la buona notizia è che l’Italia, insieme alla Spagna, è in controtendenza. Nel nostro Paese, infatti, il valore degli acquisti in e-commerce del terzo trimestre 2022 è in linea con quello del terzo trimestre 2021, mentre il traffico Internet sui siti monitorati è cresciuto del 7% (più della media mondiale, che è del 3%). L’Italia resta comunque uno dei mercati in cui il tasso di conversione è tra i più bassi al mondo, cioè l’1,1%: questo significa che i consumatori passano molto tempo online a curiosare tra le offerte, leggere recensioni e confrontare prezzi, ma raramente procedono con l’acquisto. Altra nostra peculiarità è che il traffico e-commerce generato dai social media è pari al 10%, superiore di due punti alla media globale dell’8%.

un’applicazione cloud sviluppata tramite Appian ha potuto ridurre di oltre il 60% le proprie emissioni di carbonio. Nel terzo trimestre del 2022 Appian ha visto crescere i propri ricavi del 30%, anno su anno, e per l’intero esercizio fiscale si attende un giro d’affari compreso tra 461 e 466 milioni di dollari. Il modello di business continua a spostarsi verso la vendita di abbonamenti, da cui oggi deriva più dell’80% del fatturato. “La pandemia, prima, e la contingenza economica nel 2022 hanno accelerato la digitalizzazione delle aziende e anche la loro esigenza di orchestrare processi più frammentati, se pensiamo allo smart working”, ha illustrato Silvia Fossati, area vice president per il Sud Europa di Appian. “Un altro vantaggio competitivo, per noi, è il fatto che nei periodi di recessione le aziende hanno necessità di ottenere efficientamento e ottimizzazioni con risorse limitate. Appian permette di sviluppare software e prodotti con un rapido time-to-market e con risorse limitate, e dunque siamo un asset importante per le aziende in questo momento”. Fossati ci ha confermato che anche nel nostro Paese, così come a livello globale, le società di servizi finanziari, le compagnie assicurative e gli enti della Pubblica Amministrazione sono i pilastri di Appian. “In Italia abbiamo in corso iniziative con enti della PA centrale e locale”, ha spiegato, “e oggi il settore governativo, grazie anche al Pnrr, è a un punto di svolta”. La società comincia ora ad approcciare il settore sanitario italiano, potendo far leva sulle esperienze consolidate altrove. “Abbiamo molte referenze, negli Stati Uniti ma anche in Europa e questo è un ambito promettente anche in Italia, considerando le nuove frontiere che affronteremo con la telemedicina”, ha commentato Fossati.

Valentina Bernocco

EUROPA, TERRENO DI CONFLITTI DIGITALI

Di fronte alla crescita di DDoS, ransomware e violazioni di credenziali, gli approcci da adottare sono Zero Trust e microsegmentazione. Come ci spiega Akamai.

Il nuovo scenario di cybersecurity vede un peggioramento della situazione più rapido in Europa che non in altre zone del mondo, a causa del conflitto russo ucraino in corso. Ripensare la postura di sicurezza è quanto mai urgente, come ci spiega Alessandro Livrea, Country Manager di Akamai Italia.

Alla luce del vostro osservatorio, qual è oggi l’evoluzione delle minacce cyber?

Akamai ha una posizione privilegiata, un network con 365mila macchine e 1.500 reti presenti in 130 Paesi nel mondo, da cui estrae ampie informazioni sui trend delle minacce. Serviamo il 30% del traffico Web mondiale e quindi possiamo analizzare tutti gli accadimenti del Web, in termini di performance e di sicurezza. Nel primo trimestre del 2022 abbiamo intercettato, bloccato e mitigato oltre sei miliardi di attacchi di tipo Web. Ogni giorno analizziamo 454 terabyte di nuovi dati relativi ad attacchi sferrati nei confronti dei nostri clienti. Lo scorso anno abbiamo mitigato 200 miliardi di tentativi di credential abuse e quasi settemila attacchi di tipo DDoS (Distributed Denial of Service).

Quali tendenze emergono da questi dati?

Gli attacchi di tipo applicativo stanno crescendo in modo lineare, anno su anno, e in particolare sono cresciuti per taglia e frequenza. Sono diretti a tutti i settori, dal commercio, all’ambito finanziario, high tech, industria, media e Pubblica Amministrazione. Anche gli attacchi DDoS, un evergreen della sicurezza informatica, continuano ad aumentare in magnitudo, frequenza e taglia. Quest’anno, per la prima volta, gli attacchi DDoS sferrati verso l’Europa hanno superato per il volume complessivo quelli diretti contro gli Stati Uniti, con una crescita del 200% anno su anno rispetto a un incremento della taglia media del 70% negli Usa. È il segnale che l’Europa è diventata un terreno di guerra digitale più attivo rispetto al resto del mondo: la crescita maggiore si è osservata da marzo, dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, che ha portato nel digitale una vera e propria guerriglia.

Quale peso hanno oggi le bot malevole nella diffusione delle minacce cyber?

Sul totale del traffico che raggiunge siti e applicazioni Web, una quota compresa tra il 40% e il 70% è traffico generato da macchine. E il 40% di esse svolge attività in prevalenza malevole. Abbiamo bot che, per entrare in un account, provano le credenziali a ripetizione. Alcune poi sono addestrate per Alessandro Livrea

entrare prima in un account Facebook (provando vari user-id e password spesso usati dagli utenti), per poi ripetere la procedura sull’home banking o altro. Abbiamo anche osservato attacchi malware che, una volta entrati nel network di istituti sanitari, sono riusciti a inserire o eliminare immagini di tumori nei file medicali.

Serve quindi un nuovo paradigma per la cybersecurity: quali sono gli elementi da considerare?

Bisogna adottare una filosofia Zero Trust, ossia non dare accesso a informazioni se non strettamente necessarie e proteggere tutti i device, quindi anche quelli a uso promiscuo, come dispositivi personali utilizzati per il lavoro. Considerando la minaccia legata alle bot malevole, da un lato, e il ransomware dall’altro, sono sempre più indispensabili le soluzioni di bot management. Invece, per quanto riguarda i ransomware, le soluzioni di microsegmentazione aiutano a intercettare questa tipologia di attacchi e a limitarne gli impatti, facendo in modo che rimangano in una porzione confinata del network e del data center. Delle aziende che si sono rivolte a noi dopo aver ricevuto un attacco ransomware abbiamo notato che tutte avevano installato un EDR (Endpoint Detection and Response) e che erano presenti firewall, IPS (Intrusion Prevention System) e sistemi di controllo accessi. Quello che veramente mancava era una tecnologia che permettesse di avere visibilità dei flussi di informazione tra i sistemi, consentendo di individuare le dipendenze applicative e quindi di attuare procedure di microsegmentazione corrette.

L’UMANESIMO DIGITALE È IL NUOVO PARADIGMA

La ricerca del profitto non può più essere l’unico valore che muove le aziende. Il punto di vista di Mind-Mercatis sull’evoluzione del mercato italiano.

L’accelerazione digitale, il lavoro ibrido e la scarsità di competenze informatiche spingono le aziende verso un cambiamento necessario, che è tecnologico ma anche e soprattutto culturale. Ce ne parla Paolo Malato, responsabile commerciale di Mind-Mercatis, società che si occupa di sviluppare e implementare progetti di trasformazione digitale nelle imprese.

L’ondata di trasformazione digitale innescata dalla pandemia sta proseguendo ancora?

Sì, senza dubbio: i forti cambiamenti che la pandemia ha accelerato con azione catalizzatrice stanno proseguendo ancora e con maggiore incisività. Ritengo però di retrodatare la formazione dell’onda di trasformazione non a ridosso del 2020 ma a qualche anno prima. Vi è stato infatti un intervento del Governo italiano che ha previsto agevolazioni per “Industria 4.0”, termine coniato in Germania nel 2013, correlato a una iniziativa del governo tedesco consistente in un poderoso programma di investimenti in infrastrutture, scuole, Pubblica Amministrazione e aziende, per migliorare il sistema produttivo e che ha innescato la scintilla della trasformazione digitale. Trasformazione partita in sordina in Italia, forse anche a causa della mancanza di una piena consapevolezza della necessità di innovazione da parte delle Pmi, ora divenuta ineluttabile.

Accanto al cosiddetto “lavoro ibrido”, quali cambiamenti osservate nelle aziende italiane?

Il cambiamento è stato soprattutto culturale, ma anche tecnologico. Innanzitutto, è stato letteralmente cancellato il concetto di posto di lavoro fisico. Con il

Paolo Malato “lavoro agile” introdotto con la Legge 81/2017, si è voluto attribuire al lavoratore un ruolo fiduciario: non è necessario timbrare il cartellino ma si è misurati per obiettivi, erogando la prestazione nell’arco della giornata e da dovunque ci si trovi. Le innumerevoli piattaforme per il lavoro in cooperazione da remoto hanno facilitato molto tale modalità. Si sono determinate però alcune distorsioni, come ad esempio un utilizzo ipertrofico della videochiamata. Sembra che se non si è in “videocall” non si stia lavorando e le giornate lavorative sono anche di oltre dieci ore. E la quantità non è sempre sinonimo di efficienza.

Si sente spesso parlare di skill gap. Il problema si è accentuato o attenuato dopo la pandemia?

Non ritengo che la pandemia abbia incrementato o attenuato il divario di competenza. I talenti andavano coccolati prima e vanno coccolati adesso. Evidenzio che la crisi economica, accentuata nel 2022 per l’inflazione, ha reso tutti più avidi e probabilmente, anche a causa di una mancata presenza fisica nei posti di lavoro, anche meno fidelizzati. Non si può però attuare, da parte delle aziende, una rincorsa ad agganciare valori economici di altre proposte di lavoro, che, come sirene, lusingano in molti; la parte economica è sì importante, ma non è l’unica componente. Vi sono la serenità dell’ambiente di lavoro, la formazione professionale continua, la flessibilità e capacità dell’azienda all’ascolto delle esigenze e la velocità di reazione ai segnali di eventuali insofferenze. Noi di Mind-Mercatis siamo consapevoli dell’importanza di questi aspetti, delle diversità di ognuno e del benessere “lavorativo” di tutti.

La tecnologia può essere una risposta ad alcune di queste necessità?

La tecnologia può essere una risposta, ma è sempre il lato umanistico che dovrà prevalere, dovrà facilitare quello che io definisco umanesimo digitale, finalizzato ad apportare trasformazioni significative nella società per il bene e il progresso dell’umanità tutta, in modo trasversale e non a vantaggio di pochi. Mind-Mercatis è una società che eroga consulenza alle aziende in progetti di trasformazione digitale, e siamo in possesso delle competenze tecnologiche per poi rendere operativa tale trasformazione. La nostra squadra – e mi piace sottolineare che noi ci sentiamo fortemente squadra – ha conoscenze molto spinte delle tecnologie abilitanti, abbiamo compreso che l’ascolto dei nostri clienti è molto importante e cerchiamo di individuare sempre soluzioni che definirei sartoriali. I tre pilastri della nostra missione sono: attenzione all’ascolto, competenza spinta e tanta, ma davvero tanta passione.

DATA MESH, QUANDO E COME UTILIZZARLO?

Come portare semplicità in ambienti IT sempre più complessi, da dove si comincia? Il punto di vista di Denodo.

La gestione dei dati è un’attività sempre più strategica, anzi necessaria per le aziende, ma per molti versi è ancora problematica. Il data mesh può rappresentare una soluzione. Ce ne parla Andrea Zinno, sales director & data evangelist di Denodo Italia.

La gestione dei dati è ancora difficile per le aziende? Oggi i dati sono al centro di qualsiasi processo e decisione aziendale, tuttavia la loro gestione è ancora un aspetto delicato, in quanto coinvolge non soltanto l’ambito tecnologico ma anche l’assetto organizzativo e culturale. Le trasformazioni data-driven necessitano infatti di un cambiamento profondo, ulteriormente complicato da una mole di dati sempre maggiore e sempre più variegata. Basti pensare all’evoluzione della sensoristica, o al ruolo sempre più pervasivo dei social network e dei dati che li popolano. In un contesto così complesso, strumenti come i “contenitori di dati” (i cosiddetti “silos”) vengono spesso connotati negativamente a causa della loro natura chiusa e delle difficoltà di fruibilità del dato. In realtà, i silos nascono con lo scopo di proteggere le informazioni e fornire garanzie sul modo in cui il dato verrà distribuito e sugli standard di sicurezza adottati: poiché la protezione dei dati rimane una priorità, ma non deve andare a discapito della loro fruizione, è necessario guardare a nuovi approcci. Le nuove architetture dati, come le architetture logiche, per esempio, si pongono come soluzione mettendo a disposizione il dato grazie alla virtualizzazione, senza che sia necessario copiarlo altrove.

Il cloud ha migliorato o peggiorato la situazione? Gli ambienti eterogenei, ibridi e multicloud da un lato rappresentano un altro elemento di complessità, dall’altro si connotano anche come la soluzione più adottata. La maggior parte delle aziende sceglie, infatti, di affidarsi a più cloud provider in base alle specifiche esigenze funzionali, mantenendo però il controllo internamente: si tratta di cambiamenti tecnologici che, pur avendo avuto un innegabile impatto, hanno al contempo contribuito ad aumentare la consapevolezza sull’utilizzo del dato e lo hanno addirittura favorito.

Andrea Zinno

Che cos’è esattamente il data mesh e quando è utile? Il data mesh è un paradigma organizzativo nella gestione del dato, basato su due pilastri fondamentali: la competenza sulle informazioni (importante per saperle sintetizzare e aggregare adeguatamente) e la condivisione delle stesse (un dato diventa utile solo nel momento in cui è reso fruibile a chi ne ha bisogno). Il data mesh valorizza le competenze attraverso la creazione di data domain, permettendo a gruppi più o meno ampi – ma altamente specializzati – di gestire determinate tipologie di dati: tali informazioni, trattate singolarmente e quindi in base alla loro pertinenza, vengono poi condivise tramite data product (ovvero oggetti che rispondono a determinati standard e, una volta fruibili, rappresentano il paradigma informativo dell’azienda). Dal punto di vista implementativo, il data mesh può essere supportato da strumenti come le architetture logiche, la cui agilità non necessita di copiare preventivamente i dati e consente di mettere in comunicazione i diversi data domain. I principali benefici di questo approccio riguardano soprattutto le grandi aziende, che devono gestire elevate quantità di dati, persone e strutture organizzative.

Da dove si parte? Il primo passo è comprendere appieno che cosa sia il data mesh e appurare che il cambiamento è principalmente organizzativo e culturale, prima ancora che tecnologico. È poi necessario interrogarsi sulla natura dell’azienda, capire quali benefici può portare questo approccio, senza fare scelte frettolose o guidate dai trend del momento. È molto importante che l’azienda abbia già una certa consapevolezza dell’importanza del dato e l’intenzione, già matura, di intraprendere una trasformazione data-driven. Soprattutto le realtà mediograndi, sia nel pubblico sia nel privato, hanno definito e intrapreso una strategia di cambiamento e si stanno ora interrogando sui punti di forza del data mesh e su come questo possa essere integrato con i modelli tradizionali, per poi passare alla fase implementativa. V.B.

ANALYTICS E CLOUD, L’ACCOPPIATA VINCENTE

Dal lancio di nuovi prodotti alla fidelizzazione dei clienti, l’analisi dei dati è sempre più essenziale per raggiungere obiettivi di business. Parola di SAS.

Saverio Pasquini

Gli analytics non sono una novità, ma il loro utilizzo in azienda comporta delle sfide. E molte opportunità non ancora pienamente realizzate. Ce ne parla Saverio Pasquini, Presales and Innovation Director di SAS.

Dove gli analytics hanno già preso piede e dove no?

Dal nostro osservatorio sul campo notiamo che le aziende, di tutti i settori e dimensioni, sono sempre più consapevoli che per rimanere competitive, espandersi in mercati internazionali, personalizzare le esperienze dei clienti, fidelizzarli, creare nuovi prodotti e servizi devono necessariamente utilizzare i dati, ma non solo. È chiaro che i dati giocano sempre più un ruolo chiave sia nel business, indipendentemente da settore e dimensioni, sia per la società e i cittadini. Tuttavia, la raccolta di questi dati non è di per sé sufficiente perché la vera sfida è farli parlare (soprattutto tra di loro) tramite gli analytics, cioè metterli in connessione, individuare delle relazioni e analizzarli in tempo reale. Solo così, infatti, assumono un valore e possono essere trasformati in veri e propri input in grado di aprire nuovi scenari di supporto alle decisioni strategiche. La possibilità di estrapolarne informazioni permette di coglierne i benefici in ogni settore. Un ambito di applicazione di dati e analytics che sarà sempre più decisivo è quello legato alla sostenibilità, tramite la ricerca di nuovi utilizzi dell'analisi dei dati e dell'intelligenza artificiale per affrontare le sfide più importanti della società.

Il cloud è un’opportunità per gli analytics?

Stiamo osservando come il cambiamento stia portando in tutti gli ambiti produttivi a una rivisitazione delle attività e delle opportunità, sia per trasformarle sia per individuare nuove aree di business. Il trend è quello di avvicinarsi a modalità operative sempre più flessibili, integrate e resilienti. In questa ottica, l’introduzione del cloud rappresenta proprio il modello di fruizione che rende l’IT ancora più pronta a rispondere a questi rapidi cambiamenti del contesto, proprio perché permette di operare in modalità condivise, agili, più efficienti. Di conseguenza, passare al cloud è sempre più “attraente” per le aziende per ragioni di flessibilità e scalabilità. Portare gli analytics in cloud diventa, per le aziende, una scelta strategica che permette loro di estrarre il massimo valore dai dati e trasformarli in insight significativi, supportando i processi decisionali in modo più rapido, agile ed efficace. Velocità, flessibilità, trasparenza e riduzione dei costi. Potrebbero certamente essere riassunti così i vantaggi di un approccio cloud agli analytics. Ma l’elenco non risulterebbe affatto esaustivo, dato che la forza vincente del binomio cloud-analytics sta nei percorsi di modernizzazione, trasformazione, innovazione che le aziende riescono ad innescare. SAS Viya, ad esempio, è la piattaforma cloud-native ideale per le organizzazioni aziendali che vogliono accelerare la propria trasformazione digitale sfruttando al massimo i benefici di Advanced Analytics e Intelligenza Artificiale in cloud.

Qual è la strategia di SAS per gli analytics in cloud?

La strategia cloud di SAS si snoda su due direttrici importanti: soluzioni “per il cloud” e soluzioni “SAS Cloud”. Può sembrare una sottigliezza, ma racchiuse in queste due anime c’è proprio la nostra volontà di abbracciare tutte le opzioni possibili per lasciare alle imprese la massima libertà di scelta: le soluzioni per il cloud sono pensate per consentire alle aziende di installare gli analytics su infrastrutture cloud scelte dalle aziende stesse senza nessun vincolo, nemmeno nella tipologia (pubblico, privato, ibrido). Negli ultimi anni abbiamo fatto importanti investimenti anche nell’ottica cloud-native; oggi la piattaforma SAS Viya ne è la massima espressione. Le aziende non sono più legate alle release di prodotto ma godono di una piattaforma che viene aggiornata e arricchita costantemente, rendendo fruibili gli aggiornamenti in modo immediato e diretto. Non solo: SAS Viya è aperta anche alle distribuzioni di open-source Kubernetes (che si aggiunge come alternativa al supporto di OpenShift) e supporta e si integra facilmente con nuovi linguaggi di programmazione come R o Python. La direttrice SAS Cloud si snoda invece sulla capacità di SAS di fornire servizi cloud direttamente alle aziende, sia erogando Software as a Service, sia offrendo hosted managed services e remote managed services. Questi servizi sono pensati appositamente non solo per supportare le aziende nella governance e nella gestione della piattaforma di analytics, ma anche per accompagnarle nella progettazione del corretto modello architetturale di integrazione con i servizi e le applicazioni aziendali.

UNA PIATTAFORMA PER LA TRASFORMAZIONE NEL FINANCE

Il sales director di ServiceNow, Filippo Latona, illustra le evoluzioni che stanno stravolgendo lo scenario e il percorso verso un miglior supporto al customer journey.

Il rapporto fra istituzioni finanziarie e clienti sta mutando già da diverso tempo e la pandemia ne ha accelerato gli effetti. Il cambiamento coinvolge le tecnologie digitali, ma parte da un ripensamento dei flussi di lavoro. Ne abbiamo parlato con Filippo Latona, sales director di ServiceNow.

Quali sono le principali sfide che devono affrontare le aziende operanti in ambito Financial Services, e come ServiceNow può aiutarle nei loro processi di trasformazione?

Affianchiamo i nostri clienti e ci proponiamo di supportarli nel loro percorso di trasformazione partendo da un modello culturale, prima ancora che tecnologico. C’è una spinta che viene dalla società e che, naturalmente, ha avuto il suo evento scatenante nella pandemia: prima la tecnologia era subìta, creando il famoso digital divide, mentre oggi sembra quasi andare più lentamente rispetto alla società. Cambiamento di abitudini, di orizzonti, nelle relazioni tra le persone: alle aziende viene richiesto di rispondere a questa esigenza proponendosi come il luogo ideale dove realizzare le aspettative di cliente o di dipendente, in altre parole, di persona. Le banche, in particolare, hanno una responsabilità sociale che le pone in prima linea nel rispondere a queste aspettative. Si tratta di cambiare i modelli di ingaggio con le persone, di rendersi in grado di applicare insieme flessibilità e sicurezza a un livello mai raggiunto prima e di promuovere approcci sostenibili, garantendo attenzione ai costi e alla redditività.

Una miglior customer experience per banche, assicurazioni e gestori patrimoniali porta benefici di quale natura?

La realizzazione di questi modelli si scontra con barriere organizzative e tecnologiche che rendono lento il cambiamento e che determinano un “inquinamento” delle attività e dei programmi. Non uso a caso la parola inquinamento, poiché ne possiamo parlare laddove un processo non fluisce in modo spedito, in quanto la lentezza, gli ingorghi, il lavoro e i costi aggiuntivi che ne derivano, oltre alla frustrazione delle persone, sono tossici e producono vero e proprio inquinamento. Chi vorrebbe essere “inquinato” dalla propria banca o dal datore di lavoro, se pensiamo al cliente interno, quindi al dipendente? La soglia di sopportazione verso processi che non funzionano è diminuita drasticamente: il confronto è con i processi super efficienti che ognuno di noi sperimenta nella vita da consumatore online. Team di lavoro e sistemi disconnessi tra loro complicano le richieste più Filippo Latona

comuni e, quindi, le esperienze dei clienti. Quando gli sforzi non sono armonizzati, si crea frustrazione e il business è meno produttivo. In breve, una architettura frammentata alimenta customer journey poveri e scollegati, minando il rapporto di fiducia con i clienti. Poter rispondere a tutto questo con soluzioni efficienti vuol dire prendersi cura delle persone, di nuovo la chiave “culturale” per essere riconosciuti dal mercato.

Ci sono vantaggi derivanti dall’adozione di una piattaforma integrata?

Mi piace descrivere le caratteristiche della piattaforma ServiceNow come i suoi “superpoteri”: la capacità di far fluire i flussi di lavoro e di realizzare processi end-to-end sotto controllo durante tutto il ciclo di vita. Ma anche di gestire processi che attraversino vari dipartimenti dentro la banca e che facciano leva sulla base dati disponibile ovunque questi dati si trovino in azienda. Inoltre, si possono mettere in collegamento reparti differenti, con metriche e strumenti differenti, spesso separati tra loro. Questa è la tecnologia con cui ServiceNow affianca i propri clienti per accompagnarli nel loro viaggio di trasformazione.

LA LOGICA SOFTWARE-DEFINED GUIDA L’INNOVAZIONE

Le capacità di trasformazione digitale dipendono dal cloud, ma anche dall’automazione delle reti. Parola di Kyndryl.

Cloud computing e reti sono per le aziende due ambiti di trasformazione tra i più dinamici. A che punto siamo, in uno scenario in continua evoluzione? Lo abbiamo chiesto a Kyndryl, società nata a novembre del 2021 da una costola di Ibm e focalizzata sui servizi IT infrastrutturali, e in particolare a Isabella Scisciò, network & edge practice leader della filiale italiana.

Ci fa un primo bilancio della vostra attività in Italia? Kyndryl si è posta sul mercato con una missione precisa: disegnare, costruire, modernizzare e gestire le infrastrutture tecnologiche che sono alla base dell’economia digitale. In un anno abbiamo vissuto una crescita significativa: la filiale italiana è passata da 1.450 a oltre 2.000 dipendenti e, con più di 200 clienti nei principali settori industriali, ci attestiamo come il leader nell’ambito dei servizi infrastrutturali. La nostra libertà d’azione ci ha permesso inoltre di focalizzare gli investimenti per essere molto più allineati alle esigenze dei nostri clienti. Il 2022 ha visto il consolidamento delle sei practice globali e lo sviluppo di un ampio ecosistema di partner, con la conseguente espansione di competenze attraverso un importante programma di certificazioni sulle tecnologie più richieste. A tutto questo si aggiunge la costruzione di nuovi asset e capacità locali per rendere più efficace ed efficiente il modo in cui lavoriamo.

Isabella Scisciò

Nel prossimo futuro il cloud sarà ancora un motore di trasformazione? La complessità della trasformazione digitale porta a un’evoluzione continua in termini di soluzioni e servizi: la tecnologia – basata tra le altre cose su cloud, intelligenza artificiale, sicurezza, reti – abilita un ecosistema di soluzioni integrate che portano vero valore alle aziende. Il cloud continuerà ad avere una presenza stabile nel percorso di digitalizzazione delle aziende, ma la tecnologia è in continuo cambiamento e possiamo aspettarci sviluppi più ampi. Un’area di importante focalizzazione è l’automazione, su cui c’è una spinta incessante per ottimizzare il delivery attraverso un’efficienza di tipo predittivo. Stiamo infatti trasformando il modo in cui eroghiamo i servizi tecnologici grazie alla creazione di un sistema in costante apprendimento basato su automazione intelligente, nuovi modi di lavorare e crescita continua delle competenze: quello che in Kyndryl definiamo Advanced Delivery.

Le reti sono una tra le vostre specialità. Quali punti deboli e quali le sfide? La rete è la piattaforma alla base del successo nell’era digitale: tuttavia, molte aziende si trovano a dover gestire un mix di strumenti (hardware, software e fornitori di rete legacy) che ne ostacolano l’aggiornamento. Se l’adozione su larga scala del cloud ha reso le aziende più agili, il passaggio comporta anche una serie di oneri: ad esempio, i principali hyperscaler forniscono servizi cloud e di rete su larga scala, ma ciascuno ha set di funzionalità diversi. Ciò si traduce in un ambiente complesso da gestire, che rende difficile spostare carichi di lavoro critici in un cloud ibrido e multicloud integrato. Un mosaico di reti legacy e architetture Software Defined Network (Sdn) – che collegano Lan, Wan e data center aziendali, nonché cloud ibridi e multicloud – richiede che la rete si trasformi e venga gestita attraverso il Network Automation. Le aziende devono poi fare i conti con la sicurezza: a tal fine, Kyndryl propone il Secure Access Service Edge, che riduce i costi e limita le esposizioni ad attacchi esterni.

Ci sono opportunità ancora da cogliere? Spesso le aziende si scoraggiano di fronte alla gestione di ambienti complessi: perciò le supportiamo nel percorso di trasformazione digitale, spiegando come abbracciare una mentalità di governance tecnologica, investire in capacità latente ed estendere l’uso di Sdn e virtualizzazione. È importante poi che considerino l’uso del cloud privato e dell’infrastruttura “as a service", collaborando con partner dalla comprovata esperienza. Kyndryl vanta molteplici esperienze nella trasformazione delle reti, fornendo soluzioni che tengano conto del modello evolutivo dei clienti: in ambito energy & utilities, per esempio, la realizzazione di una Sdn ha permesso di ridurre i rischi legati all’implementazione e facilitato la scalabilità. O ancora, l’implementazione di una rete Sdn ha migliorato l’affidabilità e flessibilità di rete di un cliente nel settore digitale, integrando le connessioni tra le diverse sedi aziendali. V.B.

IL SOFTWARE IN AZIENDA VA VERSO L’INTEGRAZIONE

Una piattaforma “all in one”, comprensiva di Crm, email, Ucc e altre applicazioni in cloud, può rispondere alle esigenze dei tempi che corrono. Il punto di vista di Zoho.

È noto che negli ultimi anni molte categorie di software funzionali allo smart working abbiano conosciuto un’importante crescita di adozione nelle aziende. Non fa eccezione Zoho, piattaforma nata come Crm ma oggi composta da una vasta gamma di applicazioni Software as-a-Service per posta elettronica, videoconferenze, contabilità, marketing, produzione di contenuti, gestione risorse umane e altro ancora. In Italia l’adozione è in crescita del 45% anno su anno. Qual è stata finora e quale sarà la ricetta per il successo? Ne abbiamo parlato con Sridhar Iyengar, managing director di Zoho Europe.

Come è cambiato l’uso dei Crm nel post pandemia? La pandemia ha accelerato l’uso degli strumenti digitali per le aziende di ogni dimensione, a causa della necessità del lavoro a distanza. Oggi i modelli di lavoro ibridi sono diventati la norma. Entrambi questi sviluppi hanno spinto le aziende a ricercare applicazioni cloud per aiutare i team commerciali e di assistenza ai clienti a gestire il Crm senza problemi dovunque essi si trovino, in ufficio, in viaggio o al lavoro da casa. Le aspettative dei clienti sono aumentate anche in termini di velocità di risposta, ed è per questo motivo che le aziende che non sfruttano tutta la gamma di strumenti digitali di comunicazione potrebbero ritrovarsi con un tasso di soddisfazione dei clienti inferiore.

Che cosa chiedono oggi le aziende? Oltre ai cambiamenti del Crm, un altro settore che richiede rinnovata attenzione riguarda l’esperienza dei dipendenti. È un tema che ora sta in cima all’agenda dei datori di lavoro ma anche del personale, ed è diventato molto importante dotarsi dei giusti strumenti capaci di consentire ai dipendenti di dare il meglio di sé e fornire una buona Ux (user experience, Ndr), sia per migliorare la competitività aziendale nella ricerca di talenti e nella capacità di trattenerli, sia per consentire ai dipendenti di avere successo nei loro ruoli.

Sridhar Iyengar

E perché scegliere Zoho? Zoho offre un eccellente ritorno sull’investimento. Nelle condizioni economiche instabili che attualmente l’Italia, l’Europa e il mondo si trovano a dover affrontare, le aziende stanno valutando con attenzione i propri fornitori e potenzialmente cercano di limitarne il numero, sia per risparmiare denaro sia per gestire le relazioni con i fornitori in modo più efficiente. Zoho offre diverse soluzioni su un’unica piattaforma per aiutare le aziende in tutti gli aspetti del business, fornendo così un’esperienza unificata e un metodo semplice e accurato per ottenere la visione di tutti i clienti importanti, e da questo scaturisce una customer experience superiore, nonché l’opportunità di ottenere un’istantanea delle prestazioni aziendali in tempo reale nel suo insieme o per reparto. Ciò consente di intraprendere azioni rapide, nonché decisioni informate aiutate dalla capacità di previsione.

La strada giusta è dunque quella dell'integrazione? L’integrazione sta assumendo un’importanza crescente per favorire la competitività aziendale e migliorare l’esperienza dei clienti e dei dipendenti. L’uso di troppe applicazioni diverse su troppe piattaforme crea informazioni e processi in silos, con conseguente isolamento di dipartimenti o funzioni aziendali. In tempi di austerità, ci aspettiamo di vedere aziende di tutte le dimensioni prendere decisioni per tagliare i costi e, se riescono a ottenere tutto ciò di cui hanno bisogno su un’unica piattaforma o su un numero ridotto di piattaforme, ciò porterà al consolidamento. Il mercato si sta allontanando dalle applicazioni legacy statiche, per andare verso soluzioni end-to-end che consentono alle organizzazioni di essere agili, scalabili e adattarsi ai cambiamenti dei propri settori. Tuttavia, riconosciamo che molte aziende preferiranno comunque utilizzare una selezione di fornitori, quindi rendiamo tutto ciò il più semplice possibile, per ridurre le difficoltà e rendere la collaborazione con Zoho una scelta facile. Offriamo Api aperte e abbiamo configurato integrazioni con i principali attori in ogni segmento di mercato. V.B.

GFT, DALLE BANCHE AD ALTRI SETTORI. ORA ANCHE CON UN SERVIZIO ESG

Il system integrator si propone come riferimento per il mondo del banking e insurance, ma esplora altri settori con soluzioni personalizzate e, ora, con servizi trasversali per la certificazione Esg.

Parte dal banking ma si estende sempre più anche verso altri ambiti il mercato di riferimento di GFT, multinazionale tedesca che si occupa di integrazione di sistemi, tecnologie e di consulenza sui processi, presente in ben 16 mercati. Tra questi l’Italia, con una filiale che conta 900 persone dislocate tra Milano, Torino, Padova, Firenze, Siena e Genova. Il timone recentemente è passato nelle mani di Fabrizio Callery, in qualità di amministratore delegato, il quale per il nostro Paese sta esplorando anche altri settori.

Integratori, consulenti e sviluppatori

“Sia a livello globale sia nazionale, il banking rappresenta il nostro mercato di riferimento", dichiara Callery, "seguito per dimensione dall’insurance, settore per il quale siamo partner certificati Guidewire. Marchio, questo (insieme ad altri) per cui ci occupiamo di integrazione e progettazione, non di sola rivendita, e che si affianca a un’offerta di soluzioni nostre, software custom sviluppati per rispondere alle esigenze precise dei nostri clienti”. A questi mecati importanti GFT negli ultimi anni ne sta affiancando gradualmente anche altri, che per l’Italia si concentrano principalmente sul settore retail, sulla Gdo, il fashion e il luxury. Mercati B2C, che in fondo alla catena arrivino a interfacciare un’utenza consumer. Una catena sulla quale l’azienda ha costruito competenze che le consentono oggi di proporsi come interlocutori preferenziali nella costruzione di soluzioni di e-commerce, arricchite da schede clienti nell’ambito di un Crm evoluto, che nella logica dell’omnicanalità mostrino le caratteristiche e le propensioni all’acquisto dei potenziali clienti. Gft realizza le proprie soluzioni tenendo conto delle specificità di ogni mercato, ma anche considerando che esistono esigenze comuni a tutti i settori e consumatori, sempre più iperconnessi e abituati ad avere risposte veloci, con il risultato di promuovere un’accelerazione della catena con time-tomarket ristretti.

Esg certificato e verificato per le grandi aziende

Tra le tematiche che le aziende hanno in comune rientra ormai anche la certificazione Esg, sulla quale GFT è particolarmente attiva. “Il tema della sostenibilità, non solo ambientale ma anche etica, sociale e di governance, impone l’obiettivo di lasciare al futuro un mondo migliore di quello attuale", commenta Callery. "Per ottenere tale risultato, la comunità europea sta chiedendo di certificare non solo il singolo, ma l’intera filiera di riferimento. Fabrizio Callery

Ogni realtà è, infatti, parte di una filiera, in quanto fornitore o cliente di qualcun altro, e nessuna di queste si potrà permettere di non essere in regola, altrimenti romperebbe la certificazione dell’intera filiera”. GFT pertanto, anche grazie a una partnership con un ente certificatore, ha costruito una piattaforma che consente alle grandi imprese di raccogliere i dati dei fornitori e dei clienti potenziali, per certificare la propria filiera, verificando così che i diversi soggetti abbiano le caratteristiche necessarie.

E per le piccole realtà c’è l’as-a-service

Le imprese più piccole, invece, potranno utilizzare la piattaforma attraverso la banca o attraverso la filiera di cui GFT è parte con l’ente certificatore, e sapere così se hanno i requisiti Esg sufficienti per poter ottenere un credito, o capire come e dove intervenire per poterlo avere. “Una funzione, questa che intendiamo offrire anche come as-a-service, in modo che tutte le imprese, anche le più piccole, possano ottenere questo tipo di certificazione, spiega Callery. "Il servizio è cross industry e può interessare indipendentemente retail, industria, fashion e luxury".

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