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EXECUTIVE ANALYSIS

MONDI VIRTUALI, OPPORTUNITÀ CONCRETE

Foto di Erik Tanghe da Pixabay

Fioriscono anche in Italia i primi progetti di realtà aumentata, realtà virtuale, Nft, e blockchain. Una ricerca di The Innovation Group e Web3 Alliance.

In un futuro non lontano, le tecnologie Web3, come realtà aumentata e virtuale, blockchain, Nft e intelligenza artificiale imprimeranno uno sviluppo enorme alla rete e la trasformeranno in qualcosa di diverso da come la conosciamo oggi. I metaversi – mondi virtuali interattivi e immersivi – saranno un luogo dove realizzare, grazie a un’ondata di contenuti e innovazione, esperienze sociali e sensoriali del tutto uniche. Oggi siamo all’inizio e il fenomeno è lontano dalla percezione quotidiana di tutti, ma a detta degli analisti il metaverso è fatto per restare e l’adozione crescerà velocemente: secondo Gartner, entro quattro anni il 25% della popolazione mondiale trascorrerà almeno un’ora al giorno in questi universi digitali. Per le aziende è quindi arrivato il momento di investire? Quali sono le opportunità offerte dai mondi virtuali e quali ancora gli ostacoli, i rischi e le incertezze? Non tutto sta filando liscio per Mark Zuckerberg, che un anno fa ha scommesso su questi mondi virtuali al punto di cambiare il nome della società da Facebook a Meta: oggi la piattaforma Horizon Worlds è ben lontana da raggiungere i 500mila utenti mensili prefissati e, peggio ancora, il tempo di frequentazione sta calando. Ciononostante, in giro per il mondo esperienze di Web3 già esistono e, anzi, sono numerose. C’è da dire, come spiegazione dell’insuccesso di Zuckerberg, che la scelta di puntare su casi d’uso come socialità e collaborazione non è stata molto prudente, perché al momento i casi di maggiore successo sono quelli legati al gaming. Per le aziende, invece, la motivazione che spinge di più gli investimenti è la brand awareness.

Un’occasione da cogliere

Apripista sono i settori fashion e lusso, che già da qualche anno vantano numerosi sviluppi Web3 e hanno realizzato campagne che dal ritorno planetario in termini di notorietà del marchio e loyalty dei consumatori. Gli sviluppi riguardano molteplici attività e tecnologie, quali realtà aumentata (Ar), realtà virtuale (Vr), Non-Fungible Token (Nft) e blockchain. Secondo la società di analisi DappRadar, solo per l’acquisto di terreni virtuali nei metaversi nell’ultimo anno sono stati spesi 1,93 miliardi di dollari in criptovaluta. Dozzine di grandi marchi hanno acquistato appezzamenti di terreno digitali nella mappa Sandbox, e almeno 22 milioni di dollari sono stati spesi per circa 3.000 lotti di terreno su Voxels. DappRadar può monitorarlo perché Voxels è costruito sul sistema di criptovaluta Ethereum, in cui ogni transazione viene registrata e pubblicata su una blockchain pubblica. Lanciati nel 2020, gli appezzamenti digitali Decentraland sono stati venduti in alcuni casi fino a milioni di dollari: Samsung, Ups e Sotheby’s sono tra coloro che vi hanno acquistato terreni e costruito negozi e centri per i visitatori. Il marchio del lusso Philipp Plein pos-

siede anche un lotto delle dimensioni di quattro campi da calcio, che in futuro dovrà ospitare un negozio e una galleria in metaverso. Tutto questo basta a spingere anche i più scettici a interessarsi a questi sviluppi? Secondo una recente indagine, “Web3 e Metaverso Survey 2022”, svolta da The Innovation Group e Web3 Alliance a settembre 2022 su un campione di 142 aziende italiane di diversi settori e di dimensione, il 75% delle imprese italiane (l’80% se consideriamo solo quelle medie e grandi) è interessato già oggi al mondo rappresentato dal Web3, la nuova frontiera di Internet che comprende realtà aumentata e virtuale, Nft, Blockchain, intelligenza artificiale e metaverso. Va aggiunto però che al momento la maggior parte delle aziende, il 64%, dichiara di essere in una fase di studio: solo il 4% fa seguire alla conoscenza progetti concreti di utilizzo. Il 7% ha invece avviato un progetto pilota. La ricerca aveva l’obiettivo di misurare il livello di conoscenza raggiunto in tema Web3 e metaverso e, per quanto riguarda le aziende che già hanno attività di studio e primi sviluppi in corso, capire quali siano le finalità. Dalle risposte emerge che le iniziative già in corso o in cantiere nelle aziende italiane medie e grandi riguardano principalmente la partecipazione a eventi digitali (il 10% ha già investito, il 20% lo farà entro quest’anno, il 33% entro tre anni), il posizionamento del brand (il 13% ha già fatto investimenti, il 13% li prevede entro quest’anno, il 27% entro tre anni), gli ambienti virtuali per lo smart working (il 23% ha già investito, il 10% lo farà entro l’anno, il 27% entro tre anni), la creazione di prodotti digitali ad hoc (il 13% ha già investito, il 13% lo farà entro l’anno, il 23% entro tre anni), gli Nft (l’7% ha già investito, il 10% entro l’anno, il 20% entro tre anni), la creazione di un mondo virtuale privato (il 7% ha già investito, il 7% entro l’anno, il 27% entro tre anni). Come prevedibile, le opportunità per le aziende nei nuovi mondi virtuali sono numerose e in molti saranno interessati a coglierle. Sulla possibilità di creare valore per il business, per il 52% delle aziende intervistate il metaverso è un’occasione per fare ingresso in nuovi mercati; per il 51% è una modalità di creare un’esperienza diversa per i clienti; per il 45% una strada per fare leva su modelli di business che rispecchiano la socialità delle persone; per il 42% un’occasione di partecipazione a ecosistemi innovativi. Tra chi sta lavorando per cogliere le opportunità di questi ambienti, i principali risultati attesi dalla maggiore presenza futura nel metaverso sono far parte di ecosistemi innovativi e aumentare la riconoscibilità del brand (citati rispettivamente dal 53% e 51% degli intervistati), ampliare la clientela (49%), fidelizzarla (39%) e sviluppare nuove aree di offerta (34%). Solo un’azienda su cinque (21%) si aspetta di realizzare profitti.

Fonte: “Web3 e Metaverso Survey 2022”, The Innovation Group e Web3 Alliance, settembre 2022

Gli ostacoli da superare

D’altra parte, non mancano i freni che rendono la scelta del Web3 ancora difficile per le aziende: le tecnologie devono essere ancora affinate, la governance e le regole d’ingaggio sono tutte da definire, e non abbiamo standard di navigazione condivisi tra i molti metaversi già esistenti. Ne consegue che, secondo la ricerca, permangono vincoli come: immaturità del settore/moda passeggera (33% delle aziende), difficoltà legate allo sviluppo di contenuti (30%), costi elevati dei progetti (27%), freni culturali interni (27%), incertezza delle regolamentazioni (27%), limiti tecnologici (25%), portabilità/mancanza di standard unico (16%), problemi legati alla protezione della proprietà intellettuale (12%), rischi di cybersecurity (12%), esperienze non allineate al brand (9%). L’affermazione del Web3 avrà molti impatti sul modo di comunicare, socializzare, interagire e collaborare. Per le aziende si aprono nuove opportunità ma anche modifiche rilevanti ai modelli di business. In questo momento, analizzando la propensione delle imprese italiane a progettare iniziative concrete per il metaverso, si osserva la tendenza a considerare questi ambienti per gli aspetti ludici, la socialità e la possibilità di realizzare esperienze del tutto nuove, diverse dal reale. Questi sono, secondo le aziende, gli elementi che guideranno l’adozione da parte degli utenti. Servirà ancora tempo, almeno tre anni in media, per poter vedere un’adozione di queste piattaforme da parte degli utenti, e nel frattempo brand awareness e lancio di nuovi prodotti e servizi saranno le principali motivazioni che spingeranno le aziende a progettare la propria presenza nel metaverso. Infine, competenze diffuse, partner specializzati e tecnologie adeguate determineranno il successo del percorso delle aziende verso il Web3.

Elena Vaciago

ESPERIENZE A CONFRONTO

L’interpretazione che diamo del Web3 è quella di realizzare per i nostri clienti, in una relazione uno-a-uno, un’esperienza personalizzata e raffinata, senza frizioni legate alla tecnologia. Partiamo da un concetto di digital twin economy del lusso, da blockchain ed Nft che sono legati in modo indissolubile al prodotto, come estensione digitale per creare esperienze uniche. Se l’Nft riproduce nel mondo digitale la scarcity, il metaverso è il luogo esperienziale. Abbiamo fatto alcuni esperimenti già nel 2021, creando Nft molto sofisticati, in cui il digitale sublimava l’esperienza del prodotto associato. Eduardo Barbaro, worldwide omnichannel director di Bulgari

Il Web3 è un meraviglioso viaggio costruito con la nostra audience. Stiamo creando con il nostro brand delle esperienze che mettono al centro le emozioni dei nostri clienti, i quali sono da sempre l’ingrediente unico del mondo del lusso. Oggi siamo all’alba di tutto questo: con il metaverso si aggiunge all’e-commerce e ai siti social una terza dimensione. Il cliente non guarda soltanto ma è ingaggiato completamente, come persona. Si aggiunge tridimensionalità all’oggetto ma anche al soggetto, e l’esperienza è fatta di interazione, anche sociale, con più persone. La sfida è creare un’interazione che sia allineata con il posizionamento del brand, mantenere il proprio posizionamento con i tempi che cambiano: Bulgari è sempre stata vicina a una visione artistica e creativa del mondo. Massimo Paloni, chief operation & innovation officer di Bulgari

Il metaverso è un nuovo modo di interagire con i clienti: è evidente che va approcciato con attenzione, soprattutto nel nostro caso, avendo brand di fascia alta e prodotti con caratteristiche estetiche esclusive. Il tema è infatti essere in grado di misurare i ritorni, che non sono immediati sulle vendite: vanno identificati Kpi diversi. Smarcato questo tema, si possono pianificare molte iniziative: il metaverso, ad esempio, permette di ambientare i nostri prodotti in contesti digitali. Inoltre un elemento che è correlato al metaverso, la parte di blockchain, può essere molto rilevante, permettendo di lavorare sulla certezza dell’autenticità del prodotto. Unire la blockchain al metaverso regalando twin digitali da utilizzare online e garantendo che il prodotto è genuino rafforza l’elemento di autenticità e al contempo crea un’esperienza coinvolgente per il cliente. Un altro aspetto da considerare è il concetto di scarcity, su cui abbiamo sempre forte domanda, che è realizzabile nel mondo virtuale abbinando gli Nft a edizioni limitate dei nostri prodotti.

Matteo Bianchini,

group Cdo di Design Holding

Con il digitale è possibile far parlare tra loro sistemi e trasformare i dati in informazioni. E nel manifatturiero si hanno moltissimi dati. Noi abbiamo intrapreso da circa sette anni un approccio alla produzione snella basato su un’infrastruttura digitale, sensori, e vediamo che ogni giorno aumenta la possibilità di misurare processi, di trasportare velocemente informazioni. L’intelligenza artificiale già oggi ci aiuta, e lo farà sempre di più in futuro, ad analizzare una grande mole di dati ed elaborare tendenze, visioni e forecasting. Sarà quindi naturale passare a mondi simulati: i prodotti avranno i loro digital twin, per vedere in anticipo quello che può accadere. Portare infine questi modelli in mondi virtuali e piattaforme come il metaverso sarà fantastico, ma dovremo prima risolvere alcuni temi, ad esempio l’ownership sui dati che saranno condivisi. Corrado La Forgia, vicepresidente di Federmeccanica e Vp operation manager and managing director di Bosch Vhit

Il Web3 e i building block sottostanti sono un ambito che la nostra società ha seguito e valutato attentamente nell’ultimo anno. Con riferimento agli Nft, questo potrebbe rafforzare l’unicità, l’esclusività di un’esperienza, come ad esempio lo straordinario evento del lancio ufficiale di una nave. Dalla pandemia, l’interazione diretta tra un brand e i consumatori è diventata sempre più importante, spingendo molti clienti a prenotare attraverso i canali online: e l’esperienza è stata soddisfacente, per cui si prevede che sempre più ospiti continueranno a utilizzare questi canali diretti. Con riferimento al metaverso, studiando approfonditamente il tema abbiamo notato che gli attuali utenti di piattaforme, Nft e criptovalute sono un segmento di pubblico molto specifico. Al momento, investire in questa direzione potrebbe essere sì un’opportunità, ma che comporta anche dei rischi, soprattutto legati a tecnologie ancora immature e alla mancanza di standard che facilitino il ritorno degli investimenti. Inoltre, ça va sans dire che l’esperienza offerta oggi dal metaverso non può essere ancora confrontabile con quella di una crociera reale. Luca Pronzati, chief business innovation officer di Msc Cruises

Abbiamo annunciato lo spazio Rai Cinema nel metaverso The Nemesis nel 2022, in occasione del Festival del Cinema di

Cannes. Una sala cinematografica nel metaverso fa provare un’esperienza collettiva di visione, gli avatar possono parlare e interagire tra loro in sala come nel mondo fisico. Inoltre, abbiamo lanciato un’esperienza di gaming nel metaverso associata al film Diabolic, rivolta a una fascia particolare di utenti (i giovani tra i 15 e i 24 anni), mettendo a disposizione comunque un contesto protetto. Il tema degli Nft è anche interessante nel mondo cinematografico: le collezioni di token non fungibili sono oggetti unici, vicini al mondo dell’arte, che abbinate ai film possono offrire vantaggi di posizionamento, di marketing e promozione. Si può pensare anche di riproporre modelli di crowdfunding, attraverso Nft messi all’asta: al momento però pochi film italiani hanno brand così importanti da poter costruire importanti collezioni. Carlo Rodomonti, responsabile marketing strategico e digital di Rai Cinema

Nei prossimi anni non avremo un metaverso, ma piuttosto esperienze diverse in mondi virtuali interattivi, ognuno con le proprie regole, il proprio aspetto, la propria caratterizzazione. Quando, tra almeno dieci anni, questi mondi virtuali saranno collegati tra loro, interoperabili e con un'esperienza utente senza discontinuità, allora si potrà parlare di metaverso. Il salto rispetto ai social network è tuttavia già evidente: la comunicazione a cui questi ci hanno abituato è completamente asincrona (lasciamo un post e i nostri amici, quando entrano anche ore o giorni dopo, lo leggono e lo commentano), mentre il metaverso richiede la sincronicità (le persone che interagiscono devono essere contemporaneamente presenti nello spazio virtuale condiviso). Se questa è una caratteristica assodata, non altrettanto prevedibili sono le traiettorie di sviluppo. In particolare, non sappiamo ancora se il metaverso sarà pubblico o privato ovvero se sarà un gigantesco parco giochi che appartiene a qualcuno o un giardino pubblico a disposizione di tutti. La differenza, non solo tecnologica e normativa, è enorme. La strada verso un metaverso aperto, una sorta di Internet immersivo, passa anche attraverso accordi commerciali e modelli di governance e di business decentralizzati, ma soprattutto richiede la definizione di uno standard condiviso. L’esistenza e l’utilizzo di standard aperti mettono le aziende nella condizione di poter costruire, perché la tecnologia è stabile, solida, interoperabile; questo promuove lo sviluppo di un grande numero di soluzioni alternative ed è meno probabile che si crei un monopolio. Marina Geymonat, head of innovation lab di Sisl ed esperta di intelligenza artificiale presso il Ministero dello Sviluppo Economico

Foto di Tomáš Hustoles da Burst

Abbiamo già realizzato una soluzione di realtà virtuale dedicata alla formazione del personale, per far vivere con maggiore consapevolezza e sicurezza l’esperienza della prima scalata di un traliccio della rete elettrica. Per quanto riguarda il metaverso, stiamo progettando le prime iniziative in azienda e, per questo motivo, iniziamo a parlare di “TernaVerso”. Stiamo contestualmente verificando l’approccio delle persone a soluzioni di smart collaboration in mondi virtuali. Nello sviluppo del Web 3.0 dobbiamo, infatti, tenere conto anche di altri aspetti: da un lato quello generazionale, per i colleghi che hanno poca familiarità con queste nuove modalità di lavoro; dall’altro, è importante, nel metaverso, capire quale sia il corretto bilanciamento tra mondo fisico e virtuale. In ogni caso, anche in questo ambito, il giusto approccio consiste sempre nel sapersi mettere in gioco.

Marco Pietrucci,

head of innovation di Terna

Come tech company, abbiamo una buona conoscenza delle tecnologie Web3 e del metaverso. Con riferimento alle prime, abbiamo realizzato molte soluzioni basate su intelligenza artificiale e realtà aumentata, ad esempio un “sommelier digitale” che interagisce con i clienti dei nostri negozi fisici attraverso la voice recognition. Con riferimento invece al metaverso, quello che ci frena in questo momento è che non esista ancora uno standard riconosciuto a livello globale. Inoltre, la tecnologia infrastrutturale è immatura, non è supportata la presenza contemporanea di molti utenti e l’esperienza finale è ancora insoddisfacente. Con riferimento a Blockchain ed Nft, potrebbe essere uno sviluppo futuro per la nostra valuta digitale che utilizziamo all'interno dell'app (“Tappo”), anche se lo vediamo ancora prematuro.

Francesco Magro,

Ceo e founder di Winelivery

LA PROTEZIONE DEI DATI NELL’ERA DEL CLOUD

Le esigenze di business continuity e le criticità legate alla sicurezza (non sempre allineate) condizionano le aziende nella scelta delle tempistiche e dei partner a cui affidarsi.

Il percorso di migrazione al cloud oggi riguarda, in un modo o nell’altro, la maggioranza delle aziende. La situazione italiana, fotografata da The Innovation Group nell’indagine annuale “Digital Business Transformation Survey”, indica che oggi solo il 4% delle imprese ha completato la transizione verso il full-cloud, ma fra tre anni questa percentuale salirà al 25%, con una netta prevalenza di ambienti multi-vendor. Per contro, oggi il 15% si trova ancora in un universo integralmente on-premise, ma si tratta di una condizione destinata quasi a scomparire nel prossimo triennio (sarà confinata nel 2% delle aziende). In mezzo, c’è il grosso del panorama aziendale nazionale, che lavora con un’infrastruttura ibrida, presumibilmente per necessità e natura della propria realtà applicativa. Se il percorso di migrazione appare più o meno segnato per la maggioranza delle imprese italiane, permangono tuttavia elementi di criticità che turbano il sonno soprattutto di chi è responsabile della gestione dell’infrastruttura tecnologica e di chi deve proteggerla. Per il 59% delle organizzazioni, infatti, il tema della sicurezza di dati e applicazioni resta al centro dell’attenzione. Allo stesso modo, il 40% indica come fattore critico anche la necessità di garantire la continuità del servizio.

Tre livelli di adozione

Partendo da questi spunti di scenario, Technopolis e The Innovation Group hanno realizzato un’indagine qualitativa volta ad approfondire, in modo particolare, in quale misura quali workload e dati siano migrati in cloud, quali esigenze siano state soddisfatte, e quali siano i principali fattori di preoccupazione soprattutto sul fronte della sicurezza. Lo scenario generale vede realtà collocate in differenti fasi del cammino evolutivo. Un primo gruppo appare in qualche modo condizionato dalla storia tecnologica co-

struita nel tempo: il passaggio al cloud ha coinvolto applicazioni di base, ma non ancora i sistemi core. Un secondo insieme di organizzazioni si trova nella fase di transizione, avendo definito una strategia di migrazione, che però appare tuttora in corso e riguarda anche i sistemi core, per definizione i più delicati e bisognosi di tempi e modalità più meditati. Si tratta di realtà che lavorano con infrastrutture ibride, talvolta per scelta definita e altre volte per adeguarsi forzatamente alle proposte dei fornitori di riferimento o dei leader di mercato. Infine, ci sono imprese che hanno deciso di puntare in modo deciso sull’innovazione e utilizzare il cloud come leva, avendo per questo delineato una strategia complessiva o addirittura avendo già completato il processo di migrazione. Dal punto di vista applicativo, ci sono ambiti ormai sdoganati nel passaggio al cloud e associati a ciò che viene percepito come commodity, dalla posta elettronica alla produttività individuale, dagli strumenti di collaboration all’amministrazione. In tutte le realtà che ne fanno largo uso, anche gli ambienti di test & sviluppo si basano prevalentemente sul cloud e ormai lo stesso si può dire per l’archiviazione dei dati, dove si tende a non “appesantire” più l’infrastruttura interna con nuovi dispositivi.

La scelta di infrastrutture e provider

Le scelte fin qui effettuate, che riguardino sistemi strategici o applicazioni tattiche, tendono a orientarsi verso il cloud pubblico, con particolare predilezione per le piattaforme dei più noti player del mercato. Le ragioni spaziano dalla flessibilità del portafoglio d’offerta a una fiducia sull’affidabilità dei servizi sostanzialmente associata alla notorietà e al prestigio internazionale del brand. Non mancano, tuttavia, aziende che lavorano in ambienti dove si combinano workload affidati al cloud pubblico e a quello privato. Parliamo soprattutto di realtà con un respiro internazionale e che hanno la necessità di mantenere dati e processi ritenuti critici all’interno di un ambiente più controllato . Qui sono stati compiuti passi ben definiti verso l’utilizzo dell’Infrastructure-as-a-Service o del Platform-as-a-Service e in alcune occasioni la scelta è ricaduta su provider nazionali di sicuro affidamento. L’allocazione dei dati sul territorio nazionale è in qualche caso un elemento differenziante, anche se prevale l’idea di poter fare affidamento su realtà che dispongono di data center allocati all’interno dell’Unione Europea e a questo requisito viene associato il concetto di sovranità del dato. Resta, poi, uno zoccolo duro di aziende che su cloud ancora non ci sono andate, per ragioni che spaziano dal peso del legacy e dalla relativa difficoltà di migrare a limiti di budget, per arrivare a vincoli normativi in alcuni ambiti specifici. Anche in questi casi, comunque, sono in corso valutazioni che potrebbero cambiare lo scenario nel medio termine. Per quanto riguarda la protezione dei dati con procedure di backup e disaster recovery, si nota una certa divaricazione quantitativa fra chi ha scelto di mantenere un controllo più stringente, e quindi viaggia ancora on-premise o in cloud privato, e chi ha già fatto il salto verso il cloud pubblico. Per il backup, la ridondanza è garantita dalla replica su più sedi nel caso di data center interni, oppure dal contratto con i provider esterni prescelti. Le aziende già orientate verso il cloud pubblico tendono ad affidarsi al fornitore di riferimento, soprattutto per non doversi occupare troppo di applicare policy o soluzioni specifiche e accettando con fiducia quanto definito nei contratti. Un po’ meno marcata è la tendenza ad affidare all’esterno il disaster recovery: questo accade, da un lato, perché non tutti hanno delineato un piano di ripristino in seguito a incidenti, e dall’altro per una certa, radicata volontà di mantenere all’interno questa funzione.

Il nodo della sicurezza

Le problematiche di sicurezza sono da tempo in cima alle priorità delle aziende e la loro costante evoluzione costringe a mantenere altissima l’attenzione. In contesti dove la business continuity appare un elemento critico, il ruolo del backup & recovery è centrale e ha portato a un’adozione piuttosto diffusa. Anche nel campione analizzato per la ricerca qualitativa, il tema è stato indicato come fattore di prioritaria attenzione. A preoccupare maggiormente – fatto che non sorprende troppo – sono soprattutto le minacce esterne, in particolare i ransomware e le forme di malware in grado di aggirare i sistemi di protezione installati. Quasi allo stesso livello, tuttavia, troviamo anche le minacce interne, che possono derivare da disattenzioni del personale e, in casi più estremi, da una volontà dolosa di qualche dipendente o collaboratore con accesso alle risorse aziendali. In tutti questi casi, il cloud non viene considerato, in linea di massima, come un fattore di moltiplicazione dei rischi già esistenti, ma si concorda sulla necessità di disporre di un monitoraggio interno esteso anche a risorse e dati portati all’esterno. Dei provider ci si fida e, soprattutto per gli hyperscaler, si fa leva su una capacità di investimento drasticamente superiore a quella della singola azienda-utente, ma le figure IT tendono a voler mantenere un controllo complessivo sull’infrastruttura della quale devono rispondere al management e ai colleghi. Al di là degli aspetti tecnologici, infine, la stragrande maggioranza delle società ritiene che, per migliorare il livello di protezione di workload e dati, occorra lavorare per rafforzare il mindset aziendale nel suo complesso.

Roberto Bonino

PERCORSI DIFFERENZIATI

D’INNOVAZIONE

Dedichiamo un’attenzione particolare alla continuità del servizio, essendo la nostra un’infrastruttura che non può permettersi interruzioni. Per questo preferiamo mantenere il controllo sui processi critici e in questa categoria rientra anche il disaster recovery. In quanto realtà del settore aeroportuale, sfruttiamo la possibilità di avere a disposizione più di una palazzina ed eroghiamo la quasi totalità dei servizi all'interno del nostro perimetro. Francesco Saia, information & operation technology manager di Aeroporto di Genova

Siamo una realtà particolare, specializzata negli sviluppi sull’intelligenza artificiale, ma anche legati da un lato alla ricerca interna e dall’altro a un rapporto stretto e personalizzato con la clientela. Motivi economici e di ottimizzazione dei costi ci hanno spinto a mantenere in casa la parte di infrastruttura legata al training degli algoritmi o al lavoro dei data scientist, mentre il cloud è largamente sfruttato nelle applicazioni sviluppate per i clienti. Giovanni Anceschi, head of innovation di Ammagamma

Nella nostra visione, oggi c’è il dato al centro dei processi e tutto ruota attorno a questo concetto. La trasformazione delle architetture e il loro conseguente passaggio nel cloud, con orientamento ai microservizi e alle architetture a eventi, serve a valorizzare i nostri asset, i dati aziendali e i processi rivisti in ottica moderna. A livello infrastrutturale, il nostro obiettivo di riferimento è la business continuity, estesa anche alle soluzioni di produzione oltre che agli ambienti di test & sviluppo. Francesco Fiaschi, Cto di Autostrade per l’Italia

Il cloud richiede lo stesso livello di attenzione delle risorse tradizionali: spostare un dato non significa di per sé metterlo in sicurezza. Parliamo di un fattore abilitante e di velocizzazione del go-to-market, ma le attività di protezione e contorno devono essere comunque ragionate e implementate con cura. Da noi sono state messe in atto diverse misure per la sicurezza di dati e risorse, non solo tecnologiche ma anche legate alle persone. Siamo molto attenti anche alla parte di reputazione e protezione dei siti aziendali. Marco Montesanto, Cio di Fondazione Telethon

Alcuni fattori chiave ci hanno fin qui spinto a mantenere sotto controllo la nostra infrastruttura, senza troppe concessioni al cloud. Da un lato, la sicurezza resta un tema aperto e preferiamo mantenere la responsabilità totale su questo fronte, mentre dall’altro la Sardegna ha scontato, e maggiormente nell’area in cui operiamo, un ritardo nella disponibilità della banda larga. Questo per noi è stato rilevante, essendo l’aeroporto un’infrastruttura critica che deve garantire la massima affidabilità nei servizi erogati. Stefano Nieddu, Cio di Geasar

Abbiamo la particolarità di operare all’interno delle stazioni ferroviarie, 14 in tutto. Questo ci ha portato verso una logica infrastrutturale ibrida, dato che abbiamo la necessità di gestire direttamente informazioni e potenza computazionale, ma dovendo anche prevenire problematiche (per esempio di alimentazione elettrica) che agiscono sulla disponibilità dei sistemi. Quindi, il cloud diventa un supporto importante quale complemento e area di allocazione di attività come quelle legate all’analisi dei dati o di scalabilità. Marco Gatto, IT manager di Grandi Stazioni Retail

Per noi ormai il cloud è diventato un elemento di trasformazione e non viene utilizzato solo per ragioni di ottimizzazione dei costi. Oggi lavoriamo con un modello ibrido, per dribblare i rischi di vendor lock-in, almeno per la componente infrastrutturale. La scelta del provider è importante e per noi dipende dalla capacità di saper interpretare le nostre esigenze e aiutarci a raggiungere gli obiettivi di resilienza che ci siamo posti.

Francesco Mastrandrea,

Cio di Groupama

Per noi il processo di migrazione è iniziato già da qualche anno e ha coinvolto gradualmente anche sistemi core, come la gestione degli ordini dei veicoli o la preventivazione dei veicoli da parte dei concessionari. La pandemia ha avvalorato le scelte che avevamo effettuato solo poco tempo prima. Questo passaggi, tuttavia, ha fatto sorgere qualche riflessione sul livello di maturità digitale degli utenti nell’impiego degli strumenti a loro disposizione. Roberto Colucci, IT manager di Jaguar Italia

Diversi sono i fattori che hanno concorso a portarci verso il cloud. Abbiamo migra-

to soluzioni applicative che non eravamo in grado o non volevamo gestire in-house, abbiamo adottato applicativi Software as-a-Service e siamo andati in questa direzione anche per il disaster recovery, per ragioni di data integrity e continuità operativa. Delicata è la scelta dei provider, per avere garanzie dal punto di vista della sicurezza e della compliance. Noi facciamo attente valutazioni a monte. Gionni Bernardini, Cio di Kedrion Biopharma

Siamo in una fase di transizione, ancora da valutare nei suoi tempi ed effetti. Sistemi e dati aziendali core si trovano prevalentemente on-premise, ma oggi siamo un gruppo internazionale, con stabilimenti in Turchia e Inghilterra e sedi logistiche in Germania, Corea e Nord America. E questo rende sempre più necessario sfruttare anche il cloud, più adatto a un contesto mondiale, con necessità di condivisione e uniformità di definizioni e prassi. Michele Di Gregorio, Cio di Laminazione Sottile

Liguria Digitale è un’azienda a capitale totalmente pubblico e lavora principalmente per i suoi azionisti, ovvero enti, agenzie, Comuni e simili. Incoraggiamo la migrazione al cloud dei nostri soci, essendo a nostra volta un provider. Tuttavia, siamo consci che le scelte debbano essere fatte in modo oculato e funzionale alle reali necessità, come, nel nostro caso, la gestione di picchi nei carichi di lavoro. Vanno valutati anche rischi come l’accesso aperto a persone non sempre consapevoli delle proprie azioni e la presenza di competenze adeguate. Maurizio Pastore, Ciso di Liguria Digitale

Ormai abbiamo adottato una strategia cloud-first, ma ovviamente questo riguarda soprattutto i nuovi sviluppi. In realtà continuiamo a lavorare in un contesto ibrido e non c’è una strategia di migrazione a tappe forzate. Abbiamo provveduto a una fortissima attività di digitalizzazione, anche grazie alla spinta generata dal Covid. Un percorso ormai avviato è quello verso la logica paperless, che ormai riguarda circa il 90% dei nostri processi. Siamo la filiale che più di tutte indirizza il resto delle attività globali su questi fronti. Tony Melchiorri, strategy program director di Merck Group Italia

Fino a qualche anno fa era opinione diffusa in azienda, e anche nell’IT, che il cloud fosse molto costoso. Di fatto lo è ancora e il paragone con l’infrastruttura interna tutto sommato mette le due scelte più o meno sullo stesso piano. Però oggi si può misurare con maggior concretezza il vantaggio della reperibilità delle informazioni di qualunque strumento venga messo sul cloud e questo porta con sé una maggior resilienza, poiché è molto più raro che si verifichi un blocco totale o un failover. Paolo Badii, IT security director & partner di Pqe Group

La nostra è una società che nasce per erogare servizi in cloud e per questo motivo non abbiamo mai utilizzato una nostra infrastruttura interna. L’aumento della mole di dati è certamente un tema rilevante per noi, visto che ci occupiamo di gestione delle infrazioni del codice della strada, che sono sempre accompagnate da prove fotografiche. Oggi abbiamo circa 25 terabyte di informazioni transitorie su provider esterni e si tratta di una scelta sostanzialmente obbligata perché le economie di scala di uno storage in cloud hanno una rilevante valenza anche economica. Marco Gallucci, responsabile IT di Safety21

Sul cloud non si può fare una scelta unidirezionale, perché dipende dal tipo di soluzione, dai dati sottesi, dai vincoli del vendor e da altri fattori. Per questo, lavoriamo su cloud privato per ottimizzare risorse e processi mantenendo un certo controllo, ma anche con servizi di cloud pubblico, mentre l’attenzione sul tema della protezione dei dati ci porta, in alcuni ambiti, a mantenere rigidamente i dati in casa, demandando al cloud solo l’implementazione delle policy. Maria Teresa Basile, head of IT di Telespazio

Per noi il 2022 è l’anno del cloud, con un processo di migrazione di tutte le applicazioni legacy in corso. I motivi fondamentali che ci hanno spinto in questa direzione riguardano da un lato la cybersecurity, soprattutto dal punto di vista dell'automazione degli aggiornamenti, e dall’daltro la sostenibilità. Ora stiamo valutando il potenziale di un approccio esteso all’edge computing, per soddisfare le esigenze di performance dell’area della produzione, che ancora vede nel cloud una possibile fonte di interruzione del servizio. Angelo Ruggiero, Cio di Unilever Italia

Attualmente è in sviluppo un progetto di business continuity e la parte di cybersecurity è totalmente coinvolta e allineata. Nella nostra struttura ci occupiamo di tutti gli aspetti della sicurezza, non solo di quella cyber e IT, ma anche quella degli impianti produttivi e di tipo fisico. Nel nostro sito di disaster recovery ci sono le stesse procedure di sicurezza che ci sono sugli impianti di produzione. Il coordinamento appare importante anche per superare qualche problematica di natura culturale, più tipica del mondo della produzione, che vive con disagio rallentamenti o interruzioni per ragioni di aggiornamento tecnologico. Il dialogo aiuta anche a minimizzare l’impatto del fattore umano sui rischi di attacco. Gian Fabio Palmerini, Ciso di Webuild

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