Inchiostro Pavia 124 - aprile 2013

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inchiostro.unipv.it

Aprile 2013 Distribuzione gratuita

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia

Anno XVIII - Numero 124

SPECIALE IL GIOCO D’AZZARDO A PAVIA

POLITICHE 2013

I TEATRINI POST-ELETTORALI

CASO BALDRY

UN’ALTRA VITTORIA PER L’UDU

DACIA MARAINI

L’AMORE RUBATO

GIRLFRIEND IN A COMA

RISVEGLIAMOCI!

A.A.ATTENTI allo SPOTTED IL NUOVO CUPIDO?


Sommario

EDITORIALE Giuseppe Enrico Battaglia TUTTI AL CIRCO Giorgio Intropido CHE DUE MARONI Giuseppe Enrico Battaglia NON TUTTO CIÒ CHE HA 5 STELLE È DI LUSSO Matteo Merogno LA CROCE E LE STELLE Camilla Rossini RICERCA E UNIVERSITÀ IN ITALIA Irene Doda CASO BALDRY Matteo Conca, UDU

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia

pag.3 pag.4 pag.5 pag.6 pag.7 pag.8 pag.9

L’AMORE RUBATO Simone Lo Giudice

pag.10-11

SPECIALE GIOCO D’AZZARDO IO NON HO PAURA Maria Grazia Bozzo

pag.13-16 pag.17

UNA PASSIONE SENZA CRISI Erica Gazzoldi

pag.18

50 ANNI DI BEATLES Sara Ferrari

pag.19

GIRLFRIEND IN A COMA Irene Doda

pag.20

CHILDREN IN A COMA Stefano Sfondrini

pag.21

MENO QUANTITÀ, PIÙ QUALITÀ Stefano Sette A.A.ATTENTI ALLO SPOTTED Veronica Di Pietrantonio

Anno XVIII- Numero 124 Sede legale: Via Mentana, 4 - Pavia Tel. 346/7053520 (Simone), 338/1311837 (Giuseppe), 338/7606483 (Maria Grazia) 338/2334933 (Claudio) E-mail: redazione@inchiostro.unipv.it Internet: http://inchiostro.unipv.it DIRETTORE RESPONSABILE: Matteo Miglietta COMITATO EDITORIALE: Simone Lo Giudice, Giuseppe Enrico Battaglia, Maria Grazia Bozzo, Claudio Cesarano DIRETTORE BLOG: Stefano Sfondrini TESORIERE: Camilla Rossini IMPAGINATORI: Chiara Pertusati, Stefano Sfondrini VIGNETTE: Chiara Vassena CORRETTORI DI BOZZE: Matteo Conca, Alessio Labanca, Erica Gazzoldi, Erica Maria Rinaldi, Stefano Sfondrini. Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti Fondi 2012: 6368 Euro. Stampa: Industria Grafica Pavese s.a.s. Registrazione n. 481 del Registro della Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Pavia del 23 Febbraio 1998. Tiratura: 1000 copie Questo giornale è distribuito con licenza Creative Commons Attribution Share Alike 2.5 Italy Questo giornale è andato in stampa in data 13-02-2013 IN QUESTO NUMERO HANNO COLLABORATO: Giuseppe Enrico Battaglia, Maria Grazia Bozzo, Irene Brusa, Veronica Di Pietrantonio, Claudio Cesarano, Matteo Conca, Irene Doda, Sara Ferrari, Erica Gazzoldi, Giorgio Intropido, Alessio Labanca, Simone Lo Giudice, Matteo Merogno, Chiara Pertusati, Erica Maria Rinaldi, Camilla Rossini, Stefano Sette, Stefano Sfondrini, Chiara Vassena.

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Editoriale di Giuseppe Enrico Battaglia

ELOGIO AI PIRLA CON LE PALLE

Tante cose da dire, poco spazio per farlo. L’Italia ha voltato pagina, rimanendo vittima dei suoi soliti limiti: non è così che si cresce. Il precariato, che attanaglia la maggior parte di noi studenti universitari, colpisce anche un governo che mai come in questo momento avrebbe avuto bisogno di credibilità e stabilità. E invece si trova alle prese con tanti punti interrogativi. Quando si tornerà alle urne? Come cambieranno le cose? Bersani è l’uomo giusto? Abbiamo fatto jackpot: da qui la nostra copertina, che si riallaccia sia al tema dei punti interrogativi cagionati dall’insolita situazione del nostro governo, sia al nostro speciale dedicato ad una bella iniziativa contro le slot nella nostra città. Basterà? È ancora presto per dirlo, ma intanto è già un segnale che una volontà di cambiamento, nel nostro piccolo, la nutriamo. Dovremmo avere un Presidente del Consiglio, habemus Papam, abbiamo una “Ragazza in coma” e alcune interviste molto interessanti, come quelle a Dacia Maraini e a Giuseppe Brocchetta, che spaziano attraverso ambiti completamente diversi tra loro. Il tutto per dirvi che, sì, almeno noi dobbiamo continuare a mettercela tutta e a fare del nostro entusiasmo una virtù, perché qualcosa di buono lo possiamo ancora costruire. Sarebbe ipocrita dire che noi siamo il futuro. Il futuro sono quegli studentelli delle superiori, i quali urlano per strada tanto che, se ci mettessimo al loro livello, verrebbe voglia di prenderli a pedate nelle gengive. Esattamente la stessa reazione che suscitavamo noi nelle persone che si sono laureate ormai un lustro fa. Tuttavia è vero che il futuro ci appartiene: è nelle nostre mani e dobbiamo decidere cosa farcene. Peccato non poterlo decidere autonomamente, peccato che il voto di una mela marcia valga tanto quanto il mio, e quello di tutte le persone con la testa sulle spalle. Statisticamente, una persona su tre tra coloro che conosco dovrebbe aver perso tutto il mio rispetto. Ma è difficile individuare chi ha fatto cosa: si imparano da piccoli le regole delle tre scimmiette, che fanno tanto Mezzogiorno ma che non sono così rare nemmeno al Nord . Si inizia col rubare la marmellata da bambini dando la colpa al fratello grande (che per punizione viene “ramato” col battipanni) e

gente con diritto di voto

si finisce col votare chi ci ha portati nel baratro più totale. Tanto fuori dal seggio posso dire quel pube che ne ho voglia. Non metto in discussione la segretezza del voto, anche perché a farlo ci pensano i bomber che fotografano la scheda elettorale dentro il seggio e la postano su Facebook. Metto in discussione l’incapacità dell’italiano di assumersi le proprie responsabilità. Essendo il voto segreto, non posso dire cosa ho votato, ma è il caso di fare una disamina di chi si è candidato. Pierluigi Bersani, aplomb regale, carisma di un sasso, si è bruciato una quindicina di punti percentuali di vantaggio, regalati alle altre forze politiche. Tra queste figura anche Giuseppe Piero Grillo, cui va rivolto un plauso perché un dizionario monolingua grillino può essere edito su una sola pagina, comprensiva di copertina, controcopertina, contenuto e trascrizioni fonetiche. Se ha preso tutti sti voti, significa che la gente ne ha pieni gli zebedei. E, personalmente, ritengo che non ci fosse via più sbagliata per dimostrarlo, de gustibus. Berlusconi, redivivo, ha preso quasi il 30%: la frittata è fatta. È perché ti ha tolto l’IMU? È perché ti manda la Minettona in tv? È perché ha preso Balotelli e Mediaset ritrasmette la Champions con Piccinini a commentare? Mi sta bene. Certo, non posso dire cosa penso di te poiché si finirebbe in tribunale. Ma mi sta bene, hai il coraggio di ammetterlo e certo chi si assume le proprie responsabilità potrà anche farci la figura del pirla (chi vi scrive ieri ha allagato il bagno di casa di una cara amica, dichiarandosi colpevole del misfatto involontario). Ma, se proprio la volete, eccovi la morale di questo editoriale: è meglio un pirla con le palle che uno scaltro cagasotto.

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POLITICA

TUTTI AL CIRCO!

Patetici teatrini post-elettorali di Giorgio Intropido Ingovernabilità. Questa la parola chiave di una legislatura che tarda ad arrivare. Le percentuali uscite dall’ultima tornata elettorale di fine febbraio 2013 dipingono una situazione di impasse totale: un PD che ha vinto ma anche no, un PDL resuscitato (nei sondaggi prima e alle elezioni poi) dagli incredibili poteri dell’imbattibile Cavaliere e poi lui, Grillo e il “suo” (di fatto) Movimento 5 Stelle, ago della bilancia nei giochi di palazzo di queste settimane. Prima denigrato, considerato alla stregua di un’accozzaglia raffazzonata di utopisti armati di web e “democrazia diretta”, tutti raccolti attorno ai guru Grillo e Casaleggio; poi corteggiati e riconsiderati al fine di portare a compimento la gestazione di un esecutivo che, tutti sappiamo, morirà giovane I parlamentari del non-partito di Grillo hanno mostrato alla prima occasione di voto segni di noncompattezza, con lacune di disciplina che a quanto pare non verranno punite: la seduta elettiva del presidente del Senato infatti ha visto un’insubordinazione di neanche una decina di senatori M5S che, invocando la propria libertà di coscienza, hanno votato il candidato PD Pietro Grasso, sancendone l’elezione. C’è chi parla di ostracismo - l’espulsione tramite votazione diretta per quei parlamentari che hanno osato tradire la linea del non-partito dettata dal non-Stalin con i capelli bianchi - ma Grillo tuttalpiù li riprende con un buffetto sulla guancia. Prima chiede ai “traditori” di assumersi la responsabilità e valutare le conseguenze del voto, poi parla di “una trappola” in cui qualcuno è caduto, in buonafede ovviamente. Mentre in questi giorni partiranno le consultazioni per la formazione dell’esecutivo (deciderà Napolitano se sarà un mandato pieno oppure esplorativo), sul fronte PDL Berlusconi inforca gli occhiali scuri del tipico finalista delle World Series of Poker e, neanche a dirlo, fa il suo solito all-in di dichiarazioni che lo vedranno in ogni caso uscire vincente. Scordandosi della rivoluzione liberale che vent’anni fa ha promesso agli italiani e che, tra un magistrato rosso e l’altro, non è mai riuscito a portare a compimento, ci ricorda i comunisti che si ostinano a porre la priorità alla legge sul conflitto d’interessi o a quella sulla corruzione, invece che sulle riforme economiche. Promette, consapevole dello spirito combattivo dei suoi fedelissimi (riconfermato dopo il “golpe” al Palazzo di Giustizia di Milano) battaglia in Parlamento e in piazza nel caso in cui il PD “occupi” anche il Quirinale. E a proposito di tribunali, non poteva mancare il rilancio sulla “dittatura dei magistrati” e sull’ “associazione a delinquere” che vorrebbe ingabbiarlo. Ma tornando alla politica, il Cavaliere è consapevole della morsa in cui il PDL verrebbe schiacciato da PD e M5S e dalla quale è possibile svincolarsi grazie ad una “rivoluzione per la libertà” - rivoluzione che consista in una riproposizione di un “sogno” di centrodestra sulla scia di quello “rivoluzionario” di Grillo, che ha saputo catalizzare il malessere di un’Italia stuprata.

E il PD? Bersani, nonostante l’incertezza sui numeri, si dice pronto alla formazione dell’esecutivo. Intanto Grillo è imperterrito nel rifiutare un governo che non sia guidato esclusivamente dal M5S, mentre Berlusconi, in rimonta (a quanto pare) nei sondaggi sulle intenzioni di voto si ostina sulle richieste di un “governissimo”. Il PD al solito è rinchiuso nella bolla autocelebrativa, dove vale la regola del “noi sopra tutti”, non volendo da una parte prendere coscienza del reale peso dei grillini, prima forza politica nel Paese per numero di voti, sul futuro scenario legislativo e dall’altra restando ancorati a quell’antiberlusconismo ideologico che ha regalato al Cavaliere punti percentuali come se piovesse se non addirittura la quasivittoria del centrodestra alle ultime elezioni.

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POLITICA

CHE DUE MARONI I Roberto vanno sempre in coppia di Giuseppe Enrico Battaglia

Mentre l'Italia tutta si divide tra governissimo e urne di Ferragosto, la Lombardia ha effettivamente un nuovo Presidente della Regione. Ci sarebbero anche Lazio e Molise, ma Voltaire mi ha insegnato a guardare nel mio giardino. Analizziamo dunque il quadro storico di queste complesse elezioni: la Lombardia, messa in una seria crisi finanziaria e di credibilità da scandali immobiliari e FORmaglioni, si dà rendez-vous alle urne in un momento cruciale anche per l'Italia tutta – la quale per il dopo-Monti avrebbe bisogno di un governo quanto mai coeso e unitario per dare stabilità al nostro quadro politico (oggi tanto rassomigliante un Picasso). Due sono le forze in gioco: da una parte l'avvocato Umberto Ambrosoli si erge a emblema della coalizione dei vari movimenti civici, in primis SeL e PD. Dall'altra c'è l'erede di Umberto Bossi alle prese con la sua prima grande sfida alle urne in qualità di leader. Confrontando le logiche delle campagne elettorali si capiscono subito tante cose. Ambrosoli investe molto su gioventù e social network: le forze su cui punta l'avvocato sono fresche e, nella figura di Giulia Cometti, si dimostrano anche molto disponibili al dialogo con noi giovani. Dall'altra parte Maroni punta sul classico, gioca d'attacco senza scoprirsi: fa presa sull'amor “patrio” dei cittadini e sulle loro tasche – “Il 70% delle tasse resterà in Lombardia” è stato uno dei leit-motiv della sua campagna elettorale. Come a dire “prima a noi, poi penseremo anche agli alti”. Interessante è stato comunque il modus operandi dei due partiti usciti sconfitti da queste elezioni. Sia il PD che il MoVimento 5 Stelle infatti han-

no giocato la carta delle primarie, seppur con modalità diverse, per eleggere il proprio candidato presidente alla regione Lombardia. Il centrosinistra ha optato per una classica votazione al seggio, proponendo tre candidati tra i quali Ambrosoli è risultato il preferito con il 57,7% dei voti. Un bottino che avrebbe potuto rappresentare una certa sicurezza una volta che il gioco si fosse fatto duro. Cavalcando l'onda del cambiamento propugnata dal suo portavoce, invece, il M5S ha optato per delle primarie online, dalle quali la più votata è risultata Silvana Carcano: con un 13% ha avuto sicuramente un peso importante in queste elezioni, ma non è riuscita a raggiungere gli stessi standard comunicativi ottenuti dai colleghi in lizza per le politiche. Il dato allarmante tuttavia è il seguente: Formigoni, col proprio carico di scandali e capi d'abbigliamento di dubbio gusto, era comunque in lista insieme a Maroni e precisamente candidato al Senato per la regione Lombardia. Inutile dire che, considerando le circostanze che hanno portato l'ex governatore della Lombardia alle dimissioni, è necessario chiedersi come mai abbia vinto proprio la Lega. La sensazione è che nella regione viga una sorta di reticenza nei confronti del cambiamento: si prendano ad esempio le vicissitudini che hanno prolungato di qualche mese la vita del mandato di Formigoni, giunto alla frutta già durante lo scandalo Maugeri. Alla luce delle quattro elezioni consecutive dell'ormai ex presidente, la nuova vittoria

del centrodestra indica dunque un consenso dei lombardi a quanto le coalizioni precedenti hanno costruito in questi anni. Nel Lazio abbiamo avuto un esito differente: con un margine di vantaggio superiore al 10% Nicola Zingaretti è diventato presidente della regione, lasciandosi alle spalle Francesco Storace che si attesta sul 29% circa. Bene anche Davide Barillari che col suo 20% di assensi è riuscito a ritagliarsi un discreto numero di seggi per il MoVimento 5 Stelle. In Molise Paolo Frattura (PD) conquista una vittoria con un margine ancora più ampio: col 44% dei voti lascia il suo diretto avversario Angelo Michele Iorio (PdL) al 25%. Il grillino Antonio Federico si ferma invece a un 16% che gli consente di ottenere due seggi nel consiglio regionale. Considerazione d'uopo: il M5S, col suo modo completamente nuovo di proporre (più che fare) politica, è diventato una forza molto importante. Se non si tratta di un fuoco di paglia, alle prossime politiche non si dovrà più parlar di loro come di antipolitica o outsider, poiché la sensazione è quella di trovarsi davanti a un partito con margini di crescita di grande livello. È importante fare queste considerazioni, perché anche se è troppo presto per pensare alle prossime elezioni non è mai troppo presto per pensare al futuro.

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POLITICA

InChiostroVeritas NON TUTTO CIÒ CHE HA 5 STELLE È DI LUSSO di Matteo Merogno

Il filosofo osserva la realtà e coglie particolari che “ai molti”, come usava dire un certo Eraclito, rimangono totalmente oscuri. Ai molti giornalisti, ai molti opinionisti, ai molti che si travestono da tuttologi, ai molti in generale oggi la filosofia vuole cercare di dire qualcosa e di batterli sul loro campo: la politica.

I risultati delle ultime elezioni, lo abbiamo visto tutti, sono stati sconvolgenti. C’è chi ha ricevuto molti meno voti del previsto, chi è riuscito a cancellare il disgusto delle persone e a farsi ancora una volta votare e poi chi, come un coniglio che salta fuori dal cilindro, come l’assassino di un buon giallo di Agatha Christie, è riuscito perfino a rubare la scena al colpevole per eccellenza, il maggiordomo. Sui primi due casi si potrebbe correre il rischio di dire sempre le stesse cose: per questo la nostra attenzione va dritta verso il terzo caso, la news dell’ultima ora. Parlo del MoVimento 5 stelle, nei confronti del quale la Filosofia, che studia sui libri di Storia già da parecchi anni e ascolta teorie e analizza comportamenti, dovrà essere molto critica. E qui non ci si riferisce alla politica di cui si chiacchiera al bar sotto casa davanti a un aperitivo, di quella dei video su Youtube o della satira. Qui si tratta della Politica che grazie alla democrazia sottoforma di diritto di voto è in qualche modo la voce del demos, del popolo. È la scelta delle persone. Una scelta che è ricaduta non su un Partito, ma su un Movimento. Una scelta che si è fatta manipolare dall’emotività strabordante delle urla nelle piazze, da falsi idoli come quello di “raccogliere lo

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scontento”, da uomini che hanno vestito i panni di ciò che non erano. Uomini che si sono sentiti dei grandi chef giusto per essere stati accaniti spettatori de La prova del Cuoco, e per questo hanno deciso di intraprendere la strada della ristorazione a 5 stelle. Ma come con acume ci fa notare Kant, non mi basta immaginare una banconota da 500 euro per ritrovarmela in tasca. La metafora era un po’ diversa, ma il senso è questo! Inoltre durante la campagna elettorale anche i grillini, come gli altri, hanno fatto appello alla memoria storica: hanno chiesto di riflettere sul passato per non commettere i medesimi errori in futuro. Loro stessi però avrebbero dovuto seguire questo prezioso consiglio. Avrebbero dovuto notare a cosa hanno portato in passato i Movimenti e le personalità carismatiche: infatti l’ultimo caso di Movimento nella storia del nostro Paese è stato quello dei Fasci Italiani di combattimento che con a capo un certo Mussolini e con l’eclatante episodio della Marcia su Roma, in seguito, diventò il Partito Nazionale Fascista. E lo scalpore che fece la Marcia su Roma come gesto ribelle, non è quello che ha fatto più recentemente qual-

cosa come il Vaffa Day? Lo stile non è il medesimo? La fisionomia del protagonista non è la stessa? La risposta è sì. Certo partire da questa analisi per diagnosticare il germe totalitario nel Movimento 5 Stelle sarebbe veramente eccessivo, quantomeno inutile. Perché sarebbe come predire il futuro e, essendo il futuro il nulla, sarebbe come fare dei pronostici sul nulla. Inutile appunto. È necessario però basarci su ciò che è già successo, su questa scelta “trasgressiva” che è stata fatta. Un movimento è qualcosa che, non essendo definito e regolamentato, potenzialmente può trasformarsi in qualsiasi cosa. Noi dobbiamo impedire che degeneri perché ora c’è un’altra verità storica in ballo: il 28 Ottobre 1922, giorno della Marcia su Roma, non esisteva la Costituzione. Ora noi ce l’abbiamo. Facciamo in modo di non tradirla! Non ridere, non piangere, ma comprendi! inchiostroveritas@gmail.com


CULTURA

LA CROCE E LE STELLE di Camilla Rossini

E, pian piano, i seggi si riempiono. Era suggestiva quest'idea di Roma completamente vacante, priva di guide. Anche per chi non è solito amare l'anarchia, pareva un simbolo della condizione di spossatezza delle istituzioni del Paese, di incertezza sul futuro spirituale e politico dell'Italia. Ma almeno un posto è stato assegnato di sicuro, e in maniera trionfale. È inutile relegare l'elezione del papa alla sfera spirituale: conosciamo tutti benissimo l'influenza del Vaticano sulla nostra vita politica e civile. Ciò risulta quasi confermato se si osservano i parallelismi tra le due diversissime elezioni tenutesi in Italia nell'ultimo mese. Torniamo con la mente a poco tempo fa. Era il 12 febbraio: il Vescovo di Roma, ancora per un giorno, era uno solo (e nemmeno troppo amato) e sembrava quasi che le elezioni potesse vincerle il Pd. Aleggiavano sfiducia e crisi, l'Italia non riusciva a colmare il vuoto tra cittadini e Politica, tra parrocchie e Chiesa. Erano due universi ormai distinti e inconciliabili, i primi sempre più poveri e demotivati e i secondi opulenti e avulsi dalla realtà. Oggi, non molto più di un mese dopo, non si può dire che sia lo stesso. In politica uno tsunami (che ci piaccia o meno, è così) ha travolto gli equilibri prospettati, causando qua esultanza, là preoccupazione. Mentre il papa... Ah, il papa piace a tutti, da subito.

È simpatico, alla mano, seguace di Madonna Povertà fin dal nome che si è scelto. In entrambi i mondi, un segnale inequivocabile: la risposta ad una richiesta di normalità. Peraltro, le direzioni intraprese nei due grandi centri di potere nella Capitale appaiono, in qualche modo, parallele: da una parte un papa dolce, dall’umiltà ostentata (non si capisce se da lui o dagli organi di informazione) e dall’altra una folla di parlamentari che sfoggia sul palcoscenico della rete il proprio rendiconto, dagli scontrini del caffè al figlio nel passeggino. È populismo? Probabilmente sì. Perché la Chiesa non si rinnova con un papa che indossa braccialetti gialli, e la politica con un’invasione di nuovi volti capitanati da un (ennesimo) guitto urlatore. Anzi, abbiamo esempi recenti di papi molto empatici ma fortemente reazionari, di politici simpatici e alla mano, nuovi e “proprio come noi”, che hanno usato questa facciata per continuare i propri loschi traffici. Di certo c'è stato un solo cambiamento: ed è nel nostro sguardo sul futuro. Da una insipida sfiducia generale, le posizioni di molti sono mutate, in parecchi casi divergendo tra loro. Alcuni (e beati loro, che si fanno trasportare da un sogno bellis-

simo) si immaginano l'inizio di un trionfale avvenire: il nuovo papa che si svincola dall'establishment corrotto, i grillini che “scaricano” Grillo e si fanno portavoci di idee fresche e inascoltate. Altri si figurano invece una sorta di film apocalittico: i buoni progressivamente corrotti dal potere, in una sorta di riproposizione di Animal Farm. Addirittura un regime protonazista da una parte e un papa ex-connivente-con-la-dittatura dall'altro. La verità è che nessuno di noi, cittadini da bar o autorità informate sui fatti, ha idea di cosa possa succedere: perché le novità sono arrivate tutte insieme, e tutte più o meno inaspettate; perché il nuovo assetto del Vaticano, così come quello del parlamento, per ora sfugge in molti punti alle categorie di analisi usuali. Però forse per una volta possiamo augurarci che gli eclatanti gesti di questi giorni, forse di per sé demagogici, finiscano con il tempo per riempirsi di contenuti. Che il rifiutare una croce d'oro o metà dello stipendio si evolva ad abbracciare l'intera figura dell'istituzione. Ma queste, per ora, sono solo speranze.

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INTERVISTA

RICERCA E UNIVERSITÀ IN ITALIA Conversazione con la Prof. Enrica Chiappero Martinetti, docente di Economia Politica e Preside del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali. di Irene Doda Inchiostro – Lei ha avuto modo di svolgere lavoro di ricerca in più Università all’estero. Ha notato qualche differenza rispetto a come la ricerca viene svolta in Italia? Sotto quali punti di vista? Prof. Martinetti – Naturalmente molto dipende dalle sedi: credo che sia necessario da parte nostra evitare troppe semplificazioni immaginando che “all’estero” tutto sia, per definizione, meglio rispetto a quanto avviene nel nostro Paese. Certo il confronto è perso in partenza se avviene con università di altissimo prestigio (e grandi risorse umane e finanziarie) come Harvard o Cambridge. Ma il mondo della ricerca non si limita a queste istituzioni: è assai più vasto e composito e all’interno di questo spazio molte università, laboratori e centri di ricerca italiani hanno un ruolo di prestigio e giocano un ruolo di punta, tanto più apprezzabile se si tiene conto della scarsità di risorse con cui devono fare i conti. Detto questo, devo ammettere che per quelle che sono state le mie esperienze di visiting all’estero, ho trovato certamente un contesto organizzativo e un ambiente accademico molto favorevole allo studio e alla ricerca: biblioteche a scaffale aperto con orari molto estesi (serali e festivi), dipartimenti molto attivi e ben organizzati, elevata frequenza di seminari e incontri di studio che favoriscono il confronto e lo scambio di idee anche tra discipline diverse, una comunità accademica mediamente più giovane e più impegnata a sviluppare idee e progetti.

Italia e fuga dei cervelli: è solo colpa della crisi economica? Dove sbaglia l’Università italiana? È già stato sottolineato più volte e da voci certamente più autorevoli della mia. Il fatto che giovani ricercatori cerchino o sfruttino l’opportunità di fare un’esperienza all’estero, è del tutto positivo e salutare. Si apprende molto dal confronto con realtà diverse dalla nostra ed è un’esperienza personale e professionale irrinunciabile. Questo è un fenomeno ormai presente da tempo anche se non dubito si stia aggravando a causa della crisi economica. Il problema è semmai che per questi stessi ricercatori è in genere difficile un rientro in Italia, se lo desiderano, e che non sono molti i ricercatori stranieri che vengono presso di noi. La ragione è come sempre la carenza di risorse. È di pochi giorni fa, l’allarme lanciato dal CUN in merito al crollo dei finanziamenti all’università italiana negli ultimi tre anni (-20%) e al calo di docenti (-22% ) nel periodo 2006-2012. È difficile in queste circostanze chiedere a un giovane, italiano o straniero che sia, di prendere in considerazione l’Università italiana per svolgere il suo lavoro di ricerca. Anche per questo, però, credo sia molto importante riconoscere il valore di chi, nonostante le difficoltà, decide per differenti ragioni (vincoli economici o familiari ma anche scommessa sulla ricerca italiana) di restare. Evitiamo di pensare che quelli che se ne vanno sono tutti geni e quelli che restano tutti somari. Non è proprio così.

I dati sull’investimento italiano di denaro pubblico in ricerca ed istruzione sono desolanti: da dove nasce, dal suo punto di vista, questa disattenzione, e quali effetti ha sul benessere culturale ed economico del paese? Come ho appena ricordato i dati sulla ricerca in Italia, da qualunque fonte provengano, sono in genere disarmanti. In questo momento di crisi la

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situazione è particolarmente preoccupante, ma il nostro Paese sconta decenni di mancate promesse e risorse progressivamente ridotte. Tutti a parole riconoscono il valore strategico della ricerca e dell’innovazione ma a conti fatti non sembra esserci capacità o volontà di invertire il trend e individuare una nuova linea di azione. Detto questo, credo però che sia poco utile continuare a piangersi addosso e sia onesto riconoscere che, accanto alla mancanza di risorse, vi sono altri fattori che hanno contribuito a mettere in ginocchio le università italiane, a partire dalla mancanza di una visione globale, dalle molte inefficienze e da alcuni scandali certo non edificanti. A maggior ragione in un momento di difficoltà come questo che stiamo attraversando, credo sia doveroso assumersi anche individualmente le proprie responsabilità e cercare di fare la nostra parte. Che cosa si sente di consigliare agli studenti di oggi? Restare o andarsene? Restare se lo desiderano, andare se questo è ciò che ritengono utile per loro. Credo che l’impegno che il Paese e l’università devono assumersi sia quello di creare eguali opportunità per i giovani, lasciando a loro la possibilità reale di scelta. Questo significa però anche richiedere ai giovani un impegno serio rispetto alle scelte che compiono: iscriversi all’università comporta un costo rilevante, non solo per gli studenti e per le famiglie ma anche per la collettività. È un investimento in capitale umano che tutti devono poter fare ma non possiamo più permetterci di sprecare risorse investendo su giovani non motivati o non disposti ad impegnarsi. È importante cercare di tenere elevata la qualità degli studi e della ricerca, tanto più quando le risorse a disposizione sono scarse. Se vogliamo sperare in una rinascita del nostro Paese dobbiamo tutti assumerci la nostra parte di impegno e di responsabilità.


IL “CASO BALDRY”

PAVIA

Vittoria storica del Coordinamento per il Diritto allo Studio Il Coordinamento per il Diritto allo Studio e il Gruppo KOS hanno ottenuto la vittoria in una battaglia portata avanti dal mese di ottobre (come visibile nell'articolo al link http://laprovinciapavese.gelocal.it/cronaca/2012/10/25/ news/gli-studenti-cacciate-il-prof-di-inglese-1.5923962 de la Provincia Pavese). Come rappresentanti degli studenti avevamo denunciato alle istituzioni universitarie il comportamento scorretto del docente di lingua inglese Anthony Peter Baldry. La problematica era stata portata all'attenzione del Comitato Unico di Garanzia grazie a una raccolta firme degli studenti dei corsi di laurea in cui il docente teneva lezioni, osteggiata anche da una componente studentesca che predicava il rischio di bocciature per l'impegno in questa azione. Il Senato Accademico ha riconosciuto la violazione da parte del Prof. Baldry dell'articolo 3, paragrafo dei Doveri Fondamentali del Codice Etico dell'Università degli Studi di Pavia (http://www.unipv.eu/site/home/ateneo/statuto-eregolamenti/codice-etico.html). Nei confronti del docente è stato emesso provvedimento di "biasimo comportamentale". Il Senato Accademico ha inoltre, grazie alla perseveranza dei nostri senatori, approvato all'unanimità la rimozione del docente da tutti gli incarichi assegnatigli. Ci teniamo inoltre a specificare che oggi, 5 marzo, è uscita la notizia della sospensione di Baldry sul sito ScuolaZoo. com, sito che si attribuisce, almeno nel titolo dell'articolo, il merito di aver fatto partire la denuncia. Questa cosa è ovviamente falsa, nonostante sia stata riportata da altri siti internet, pari pari rispetto al testo del sito di ScuolaZoo. L'azione del Coordinamento va avanti da ottobre, la fantomatica denuncia di ScuolaZoo.com è uscita oggi, addirittura due settimane dopo la delibera del Senato Accademico. Non si vuole mettere in dubbio la buona fede del sito internet, ma va sottolineato il fatto che la vittoria sia avvenuta grazie a un'azione portata avanti dalla rappresentanza studentesca nelle sedi istituzionali, e non per qualche altro strano motivo. Va inoltre sottolineato che la campagna portata avanti dal Coordinamento per il Diritto allo Studio era, come di consueto, rivolta alla protezione dei diritti degli studenti e non alla creazione di un'operazione da macchina del fango nei confronti del docente in questione, visto che il Coordinamento non si sarebbe mai permesso di pubblicare una foto come quella presente nell'articolo, accompagnata dall'utilizzo di epiteti che esulano dall'ambito dell'informazione. Comunque sia, questa è una vittoria storica per la rappresentanza studentesca, visto che è la prima volta che un provvedimento simile viene adottato dall'Università di Pavia. Vorremmo sottolineare il fatto che il "caso Baldry" è una spia della necessità di istituire la figura del Garante degli Studenti: siamo contenti che si sia riusciti, con una procedura istituzionale e trasparente, a risolvere la situazione. Ma non è un caso isolato. Lo Statuto prevede la figura del Garante degli Studenti, per questo speriamo che questo fatto possa far comprendere all'Ateneo l'importanza dell'istituzione di questo organo. Coordinamento Udu per il Diritto allo Studio – 5 marzo 2013

GAME OVER PER BALDRY Il contestato docente di inglese allontanato dallʼateneo pavese di Matteo Conca Ora è finita. Dopo anni l’avventura del professor Baldry presso l’ateneo pavese è terminata. I primi segnali premonitori si erano già avvertiti, ora erò è arrivata l’ufficialità. Il professor Baldry, docente di Inglese nei corsi di laurea in Scienze della Comunicazione – già cacciato dalla facoltà di Medicina – è stato allontanato dall’Università di Pavia. Questa è stata la decisione presa dal Senato Accademico, al termine di una seduta nella quale all’ordine del giorno c’era la risoluzione di questo difficile problema. Alla riunione ha preso parte anche Gianni Francioni, prorettore alla didattica dell’ateneo. Nei mesi scorsi erano pervenute numerose segnalazioni in merito a questa situazione da parte degli studenti. Per segnalare i vari episodi negativi che vedevano protagonista il docente gli studenti innanzitutto hanno organizzato una petizione fuori dal cortile di Scienze Politiche, con un cartello che già diceva tutto: “Raccolta firme per Baldry”. In seguito hanno inviato una lettera aperta indirizzata agli organi accademici, per riportare i comportamenti scorretti del docente. Gli episodi segnalati sono tra i più vari: si passa dall’acquisto obbligatorio del libro del professore, pena la bocciatura all’esame, agli insulti che spesso il docente rivolgeva agli alunni durante le sessioni di esame, per arrivare addirittura a rimproverare e allontanare dall’aula la professoressa Berri e la studentessa che con lei stava sostenendo l’esame. Il motivo? Le aveva scambiate per due studentesse che continuavano a parlare, nonostante i suoi rimproveri. Concetti questi ribaditi da Bernardo Caldarola, segretario del Coordinamento per il Diritto allo Studio, in una sua recente intervista al TG2. Con questa decisione il professor Baldry, che era un docente a contratto, non potrà più presentarsi al concorso per l’assegnazione dell’incarico. Inoltre la speranza di Caldarola è che questo fatto sia da monito – lo statuto dell'università infatti prevede la figura del garante degli studenti: il suo auspicio (come quello di molti altri ragazzi) è che questa figura prima o poi venga eletta.

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PAVIA

LʼAMORE RUBATO

Intervista alla scrittrice Dacia Maraini di Simone Lo Giudice Se un incontro può essere ancora battezzato “Dalla parte delle donne”, significa che qualcosa non funziona. Permane una pianta sempreverde a distanziare i due giardini dell’essere umano: da una parte l’uomo, dall’altra la donna. Sta in piedi una barriera culturale a rimarcare disuguaglianze di per sé illegittime. Ne ha parlato la scrittrice Dacia Maraini lo scorso 14 febbraio al Collegio Nuovo, in occasione della presentazione della sua ultima fatica letteraria: L’amore rubato (Rizzoli, 2012). Otto nomi che alludono ad altrettante storie: mogli giovani che non denunciano il marito padrone, tredicenni violentate da coetanei poi assolti facilmente, donne che decidono di abortire il frutto delle brutalità subite. L’uomo ribassa brutalmente il genere femminile a feticcio sessuale, un oggetto da esecrare il più possibile pur di appagare la smania di possesso. Dacia Maraini prende tra le mani la pietra miliare del femminicidio e ne studia le molte sfaccettature, proponendo strategie di redenzione nell’immaginario contemporaneo. Partiamo dal dato pubblicato dalla Casa Internazionale delle Donne: nel 2012 in Italia sono state registrate ben 73 vittime. Il problema non è la nostra legislazione (di per sé buona anche se raramente risolutrice) ma il fatto culturale che vede, in prima linea, la mancata denuncia: il genere femminile ripiega illusoriamente sul silenzio. Difficile valutare dall’esterno situazioni tragicamente complicate, se ristudiate da un punto di vista più direttamente interessato. Dacia Marini compie un ritratto esemplare dell’uomo moderno, che all’indebolimento pronunciato della propria virilità risponde con lo sviluppo di una

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doppia personalità. Socialmente gentile e premuroso, l’animo maschile riversa tra le mura domestiche le proprie insicurezze e frustrazioni quotidiane, rivelandosi un aguzzino votato al solo possesso. Alla base c’è il rifiuto di un cambiamento comunque in atto, quello che ha visto la donna svestirsi del ruolo secolare ed esclusivo di madre e domestica: l’emancipazione femminile ha messo in crisi le certezze maschili. Passione e possesso si confondono tra di loro, fino all’assurdo paradosso che spesso sentiamo ripetere: “L’ha uccisa perché la amava troppo”. Nella via all’emancipazione femminile è il Nord Italia a fare da apripista, rispetto a un Sud ancora troppo legato all’immagine della donna perlopiù casalinga o comunque sottoposta alle norme vigenti della rispettabilità sociale. Un deficit culturale che, all’opposto, il sistema televisivo non fa altro che ingigantire, favorendo un’idea sbagliata della donna emancipata (qui il riferimento va al soubrettismo perseguito dagli esponenti più arrivisti del genti sesso). In un’epoca che disconosce il rispetto dell’altro, Dacia Maraini ci invita a riflettere sul valore dell’amore come sentimento ancora condivisibile tra i generi. In quest’ottica il participio passato “perduto” stride con un futuro che vorremmo naturalmente diverso, un avvenire in cui alla donna auguriamo di riconciliarsi con il bene smarrito. E magari un giorno Dacia potrà scrivere un sequel risolutore dal titolo L’amore ritrovato. Noi ci speriamo. Intanto le abbiamo posto alcune domande per capire quanto sia difficile essere donna in questa società, che scambia troppo spesso l’amore per possesso.


INTERVISTA

Inchiostro - Durante il fascismo il ruolo femminile era quello di massaia, custode del focolare domestico. In Italia qualcosa è cambiato da allora, o è rimasta questa idea di fondo? Dacia Maraini - Ovviamente qualcosa è cambiato, ma è rimasto un sottofondo di cultura patriarcale e tradizionale che fa fatica a dissolversi, e ogni tanto viene fuori. Dal punto di vista giuridico e dei diritti civili la situazione della donna è cambiata moltissimo dall’epoca fascista, tuttavia occorrono ancora cambiamenti più radicali. I tedeschi hanno Angela Merkel. E noi? Come vede in prospettiva il rapporto tra politica italiana e donne? Basta guardare i giornali per vedere che i vertici del potere sono sempre vertici maschili. Anche la Chiesa Cattolica frena sull’evoluzione dei diritti civili. Un Paese si giudica anche dalla sua capacità di adeguarsi ai cambiamenti, e noi come italiani siamo sempre un po’ frenati. Ovviamente non sto parlando della Chiesa di base ma delle alte gerarchie, quelle in grado di interferire anche con la politica.

Foto di: Irene Doda e Simone Lo Giudice

A proposito di educazione, lei ha parlato di un sentimento di colpa ancestrale inculcato nelle donne. A livello scolastico, cosa si può fare? Occorre aiutare le ragazze a sviluppare l’orgoglio di sé. Il senso del femminismo era proprio questo: stimolare l’orgoglio di essere donna. Ma non basta: bisogna insegnarlo alle bambine piccole. Insegnare a farsi rispettare. La società multiculturale ci mette di fronte a molti interrogativi, anche di tipo giuridico: nella tradizione musulmana più ferrea, ad esempio, la donna è considerata alla stregua di una proprietà dell’uomo. La nostra società dove deve fermarsi? Qual è il limite tra rispetto di una cultura e rispetto della dignità? Il rispetto va prima di tutto alle persone. Chi chiede di stare da noi, di vivere nel nostro Paese deve rispettare le nostre conquiste. E noi, queste conquiste, dobbiamo sempre difenderle.

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SPECIALE LA VITA NON È UN GIOCO di Simone Lo Giudice

Ludopatia, compulsività, alienazione. Slot, poker, sport. Nella mente del giocatore di professione i pensieri sono affastellati come i termini di questi brevissimi elenchi – a mancare è l’ordine usuale delle cose. Quote giustapposte e probabilità di uscita, vincite euforiche e cadute rovinose. Con la certezza che la volta dopo andrà meglio comunque. Partiamo da un dato diffuso dalla rivista Valori (mensile di economia sociale e finanza etica e sostenibilità), che lo scorso febbraio ha pubblicato il dossier “Gioco pericoloso – La terza economia italiana”. Ne emerge una realtà preoccupante: l’Italia è il primo fruitore al mondo di scommesse on-line, fatturando ben 23% del mercato globale pur avendo solo l’1% della popolazione mondiale. Risvolti fiscali a parte, non servono altre prove per inchiodare la scelleratezza di quei politici che pensano a restituire l’IMU anziché arginare una piaga sociale (ben più dispendiosa!) come il gioco d’azzardo. Pensate che nel 2012 gli italiani hanno speso in media 194 euro d’imposta sugli immobili, a confronto dei 1450 euro destinati alle varie tipologie di gioco d'azzardo. Il gioco pericoloso flagella il nostro Paese trovando, come da copione, il bacino di utenza privilegiato soprattutto nelle fasce sociali più povere. Ma la crisi economica non può assurgere ad alibi scagionante di fronte alla manifesta ignoranza dell’italiano medio, che punta sulla fortuna anziché darsi nella vita di tutti i giorni. È dello scorso novembre la richiesta d’interdizione avanzata al Tribunale di Pavia da alcune mogli alle prese coi rispettivi congiunti, uomini caduti in rovina per colpa del gioco. Pavia si palesa come la Las Vegas italiana, la città in cui c’è una slot machine

«Gioca responsabilmente è come dire: annega con cautela, sparati con prudenza, buttati dalla finestra ma copriti che fa freddo» [M. Crozza] ogni 136 abitanti (la più alta densità nel nostro Paese) e il denaro sperperato corrisponde quasi all’8% del prodotto lordo locale (per intenderci, circa 3000 euro all’anno pro capite). Una situazione allarmante che ha spinto la gente comune a boicottare i locali dotati di macchinette mangiasoldi. Alla Casa del Giovane di Pavia spetta la promulgazione dell’iniziativa “No Slot”, una campagna riabilitativa del modus vivendi cittadino, che ha visto nello psicologo Simone Feder uno dei maggiori fautori. Adolescenti scommettitori, mariti giocatori, anziani slottisti: soggetti che non possiamo rin-

negare perché figli della stessa società cui sentiamo di appartenere. Queste persone vanno aiutate nella ferma convinzione che esistano un under e un over non solo tra le modalità di scommessa, ma anche per la compulsività da gioco. Un limite oltrepassato il quale al divertimento occasionale subentra la patologia, il male che affligge tanti uomini che se non sono già soli rischiano di diventarlo. “No Slot” è un punto di partenza per riabilitare questa gente alla quotidianità dei propri doveri, per ribadire alcuni concetti fondamentali. Su tutti quello fondamentale: la vita non è un gioco.

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SPECIALE

CʼÈ CHI HA DETTO NO di Giuseppe Enrico Battaglia A qualche giorno dal 6 al SuperEnalotto che ha cambiato la vita di un perfetto sconosciuto dalle parti di Udine, ho avuto modo di fare una piacevole chiacchierata con Claudio Landolfi, gestore del bar Swing, il quale aderisce all’iniziativa “No Slot”. Questo reportage non è solo importante perché parla di una vera e propria piaga sociale, quanto perché il respiro ampio del fenomeno coinvolge molti più settori di quelli che normalmente ascriveremmo alla categoria dei giochi d’azzardo, diventando sintomo e specchio di un’Italia, quella odierna, in cui il desiderio di un guadagno facile, immediato e poco faticoso fa passare in secondo piano culture come quella del lavoro e dell’etica. Passando casualmente davanti ad un bar, mi sono imbattuto in un adesivo che recita chiaramente “No Slot”. Sono rimasto colpito e incuriosito da questa iniziativa, che ho voluto approfondire in compagnia di Claudio Landolfi, gestore del bar Swing. Appena gli chiedo se sia membro dell’associazione “No Slot”, si affretta a correggermi: «L’associazione “No Slot” è stata creata dalla Casa del Giovane, in cui hanno attivato anche un giorno d’ascolto per tutti coloro che soffrono della patologia del gioco d’azzardo. Si stanno impegnando a girare di bar in bar, e quelli che aderiscono in realtà non sono parte dell’associazione». “No Slot quindi cos’è?” è la domanda che mi è sorta spontanea. Stringando molto il concetto «è una lista di locali in cui si possa bere un caffè senza vedere delle slot». Senza voler sforare nella banalità dei discorsi sulla crisi economica, va detto che scegliere di non mettere slot all’interno del proprio locale, oggi, ha un retrogusto che fa trapelare un certo valore etico di chi opera questa scelta, giacché queste macchinette sono fonte d’introiti più che discreti, che sono ripartiti in percentuale tra chi le fornisce e chi gestisce il locale. Claudio non ha mai avuto slot nel proprio bar, ci tiene a precisare questo fatto e anche un altro, che pone l'accento sul discorso riguardante l'eticità introdotto in precedenza: «Ho sempre rifiutato di avere delle slot. Non ho idea di come siano ripartiti gli introiti da macchinette. Per sentito dire, credo che ogni mese due o tre slot siano in grado di pagare un affitto. Se conti che un affitto, in media, sta sui 800-1000€ variabili in base alla zona, con un paio di slot sei molto agevolato». La chiacchierata non si limita però soltanto ai fenomeni da bar. Claudio mostra una visione molto più articolata del quadro d’insieme, che comprende anche gratta&vinci, casinò online e giochi come Lotto e SuperEnalotto. «I controlli sui giochi online sono efficaci solo relativamente: un minore che abbia le credenziali del fratello maggiore o del padre può giocare senza problemi. Questo problema non è però di competenza dello Stato: è una questione di sensibilità familiare». Riconoscere i malati patologici, poi, non è sempre semplicissimo; quante volte vi è capitato di vedere qualcuno ammettere candidamente la propria dipendenza? Di fatto si creano delle cerchie, al di fuori delle quali si tende a minimizzare sulle somme giocate anche con parenti e amici stretti. «Tra loro si riconoscono, e sanno di avere un problema», sostiene Claudio. In questo caso, aggiungo io, riconoscerlo non equivale comunque a essere a metà dell’opera.

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SPECIALE

Va detto tuttavia che il gioco d’azzardo è fonte di grossi introiti per lo Stato. La qual cosa, in un periodo difficile come questo, sposta l’accento su un altro punto chiave: dove finiscono questi soldi? «Un tempo si diceva che il Lotto finanziasse i beni culturali. Hai visto che fine ha fatto Pompei? […] È un costo in più anche per lo Stato, che non tutela il cittadino. Da una parte realizza degli introiti altissimi attraverso la legalizzazione di tutta una serie di giochi. Dall’altra, la patologia del gioco d’azzardo è riconosciuta dall’ASL, che quindi ti deve curare. Si tratta per tutti di una doppia perdita: da una parte è vero che lo stato incassa, ma poi deve reinvestire quei soldi per curare le persone che cadono nel vizio patologico. In un sistema virtuoso, questi soldi sarebbero reinvestiti nel sociale: famiglie in difficoltà, disoccupazione e altre problematiche». Le slot sono quindi una vera e propria piaga, questo non soltanto per gli effetti che possono avere sul giocatore accanito, quanto per le conseguenze che ha anche il gestore di un locale che ne è in possesso. Claudio, confessandomi di avere dei cani, mi spiega che li porta spesso a passeggiare in campagna. Ciò che si trova davanti, spesso, è uno scenario in cui le slot sono «divelte e abbandonate per i campi. Ogni giorno sul giornale si vedono dei trafiletti riguardanti locali svaligiati delle slot, che diventano così anche incentivo per la criminalità». Ci sarebbe bisogno di un approfondimento anche sotto questo punto di vista, perché sfogliando la Provincia Pavese si scopre che Claudio ha centrato un punto cruciale. Viene da chiedersi come si potrebbero impiegare le risorse, a livello di forze dell’ordine, in una cittadina utopica che dicesse basta a slot e giochi d’azzardo di varia natura.

Un’ultima chiosa infine va fatta anche sul tasso culturale di chi gioca regolarmente grosse somme. Claudio sottolinea giustamente che «chi pensa che possa cambiare la vita ha un tasso basso d’istruzione. Si gioca per sbarcare il lunario. Si cerca un guadagno facile in grado di sistemare la vita». Senza voler fare moralismi di sorta, la cultura dominante era un tempo quella del lavoro. Ma vuoi per disillusione o per pigrizia, per certe categorie di italiani sembra che sia diventato più importante calcolare le probabilità che esca il dato numero ritardatario.

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SPECIALE

AZZARDOPATIA: il primo male da curare è lʼINDIFFERENZA Intervista a Simone Feder, psicologo

di Chiara Pertusati e Stefano Sfondrini Inchiostro – Qual è il nome di questa patologia? Feder – Indubbiamente il termine ludopatia è un termine molto inflazionato, e oggi noi psicologi non ci sentiamo di condividerlo. Preferiamo chiamarlo azzardopatia: difficilmente il gioco ammala, mentre l’azzardo purtroppo sì. 30 milioni di persone ogni giorno buttano 2 € in azzardo. Il problema non è inizialmente di tipo sanitario, lo diventa poi: l’azzardo è una questione soprattutto etica, morale e culturale. I costi sociali sono incalcolabili. In un mio articolo ho parlato della situazione di un bambino, il cui padre è malato da azzardopatia, che si chiede: «Se fa male al mio papà, perché non tirano via le macchinette?». Coinvolge solo il gioco compulsivo alle slot machine o anche gratta e vinci e altre forme di gioco d’azzardo? In primis sono molto gettonate le macchinette, ma anche i gratta e vinci. Monitorando Pavia si stima che il biglietto più venduto dei gratta e vinci è quello da 20 €: si cerca sempre di azzardare di più, di sperare di sistemarsi per tutta la vita. Certamente è un pensiero disperato dovuto anche a questo momento di crisi – ma il fatto è che il banco vince. Sempre. Quali sono le motivazioni e gli stimoli che portano molte persone ad attaccarsi alle macchinette? Come mai si inizia? Si inizia giocando così, senza pensarci. Poi si arriva a giocare per star bene, quindi a depauperare tutte le ricchezze, creando disagi economici, ma anche snaturando e distruggendo tutti i legami affettivi a livello famigliare. Il fatto preoccupante che alimenta l’azzardopatia è che oggi si può giocare ovunque: ci sono circa 400 mila slot in Italia, 60 mila sono presenti nella sola Lombardia – e proprio Pavia detiene questo triste primato, poiché la strategia di diffusione è stata meglio pianificata e sono state allocate più slot machine nel territorio. Ci sono diversi tipi di giochi, per ogni genere di pubblico: tra quelli diffusi in rete e le macchinette almeno 1400. Insomma, per tutti i gusti. Anche la tecnologia può essere nociva, e non va sottovalutata: il nostro Paese è il primo al mondo per gioco on-line. C'è una martellante pubblicità, anche nelle reti di servizio pubblico, che sponsorizza il gioco on-line: siamo letteralmente bannerati dal gioco. In più oggi con gli smartphone possiamo giocare ovunque.

Ci sono stime che indicano che una persona su quattro scommette anche dal cellulare. Come aiutare direttamente un malato affetto da azzardopatia? È possibile guarire? Sicuramente standogli vicino: ognuno di noi può fare molto. L’aiuto dei cari è necessario,soprattutto nelle cose pratiche: il controllo dei soldi, la richiesta di render conto delle spese e il monitoraggio continuo aiutano positivamente il soggetto. Inoltre la costante partecipazione ai gruppi di sostegno settimanali contribuisce a formare una coscienza collettiva che fortifica sia il gruppo che il singolo. Fra i soggetti si costruisce una rete, si tengono in contatto e si cercano nei momenti difficili. Sono possibili ricadute? Come evitarle? Come in tutte le malattie sono possibili ricadute, ma noi ne vediamo poche. Abbiamo notato che le persone ci tengono a guarire, dopo un certo periodo il malato gusta la chiarezza e la trasparenza che prima, pur di raggiungere il proprio scopo malsano, sostituiva con la menzogna (la malattia si palesa anche in questo). Come è nata e come avete realizzato l'idea di formare un'associazione? Allora, noi ci siamo formati lo scorso gennaio, prendendo esempio da un’associazione di Bergamo che organizza incontri di gruppo tra giocatori d’azzardo e famigliari. Reputando valido questo tipo di modello inizialmente mandavamo molti dei pavesi in quella struttura, ma ciò implicava non poche difficoltà. Così abbiamo deciso di aiutare i giocatori che volevano uscirne formando un gruppo anche qui a Pavia: ci ritroviamo ogni venerdì sera in viale Libertà, nella sede storica della Casa del Giovane, dalle 20,30. Rispetto all'aiuto, comunque importante, dei famigliari diamo una risposta specialistica a livello clinico e psicologico con attività di tipo psicoterapeutico, consulenze specifiche sul problema. Lavoriamo andando un po’ più in profondità sulla vulnerabilità personologica dell’individuo preso in considerazione. Da quando abbiamo iniziato la gente ne sta uscendo davvero. Come è nata la manifestazione No Slot ? È nata da un bisogno percepito tra le associazioni del territorio. Molte persone hanno bussato alle porte dei nostri centri in cerca di aiuto, quindi abbiamo deciso di metterci insieme e abbiamo

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Simone Feder, psicologo, si è laureato all'Università di Pavia. Lavora da anni nelle strutture della comunità Casa del Giovane, dove è coordinatore dell'Area Giovani e dipendenze, ed è giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Milano. Twitter: @simonefeder email: simone.feder@cdg.it

voluto scendere in piazza con molti giovani e persone che vivono il problema sia direttamente che indirettamente. Continuiamo a parlarne per alzare l’attenzione, fornire informazioni e per cercare di fare sempre di più: stiamo intervenendo anche nelle scuole elementari collaborando con le maestre, 33 bar pavesi (riconoscibili dal particolare adesivo) hanno scelto di non mettere le slot sottoscrivendo una carta etica. Come mai alcuni baristi decidono di mettere le slot? Sono a conoscenza del dramma? Sicuramente le slot alimentano gli introiti e il facile guadagno di questi locali. Ma c’è da tener presente che oltre all’azzardopatia un’altra “malattia” da combattere è l’indifferenza. Va bandita.Stiamo facendo una ricerca-intervista ai gestori dei bar che hanno le macchinette, con domande di questo tipo – e risposte spesso disarmanti: ha mai avuto clienti che gli hanno richiesto prestiti per continuare a giocare? Sì, spesso; ha mai fatto presente ad un giocatore che stava esagerando? sì qualche volta; desidera ricevere info su come essere aiutato a toglierle? No; se le proponessero incentivi sarebbe disposto a toglierle? No. Il problema è proprio quell’indifferenza di cui parlavamo e che per prima dobbiamo combattere, oltre a un certo egoismo. Pavia non deve sentirsi calpestata nella dignità ed essere riconosciuta come la pecora nera dell’azzardo, “la Las Vegas lombarda”.Pavia è una città medioevale, la città delle 100 torri, ha le sue bellezze: gli stessi pavesi devono farsi sentire!


IO NON HO PAURA

CULTURA

XVIII Giornata della Memoria e dellʼImpegno a Firenze di Maria Grazia Bozzo Le stime fatte dicono oltre 150.000 giunti a Firenze da ogni parte d’Italia, di ogni età e orientamento. L’aggettivo più calzante è di Don Ciotti: “trasversali”. Come ogni anno l’associazione Libera. Associazioni, nomi e numeri contro la mafia, insieme al suo fondatore Don Luigi Ciotti, vuole lanciare un chiaro e preciso messaggio: noi stiamo dalla parte della legalità. Il primo giorno di primavera è la canonica tradizionale data, spostata all’occorrenza al sabato più vicino per permettere a tutti di convenire al luogo prescelto per quell’anno. E infatti grande trait-d’union con Genova, teatro di questo evento l’anno precedente, che lascia il testimone a Firenze. Di anno in anno si scelgono mete significative,che si alternino tra il nord,il sud e il centro del nostro Paese e che siano significative (come nel caso specifico della Liguria che è stata recentemente sotto i riflettori a causa dello scioglimento forzato di alcuni Comuni dovuti ad infiltrazioni mafiose – triste realtà per quanti affermano ancora che la mafia al Nord è inesistente o inconsistente). La primavera tarda ad arrivare ma è un tiepido sole quello che accoglie tutti i convenuti, pronti a sfilare per le vie cittadine: i loro piedi, le loro voci, le loro bandiere messe al servizio della legalità, facendosi essi stessi memoria attiva di un passato che magari non conoscono appieno, ma che si dicono pronti a non voler ricreare nel presente o futuro. Passato fatto di nomi, un elenco molto fitto, serrato, senza nessuna altra indicazione; solo nomi, per ricordare che prima erano persone diverse una dall’altra ma ora sono accomunate dalla tragica sorte che li ha visti vittime di mafia. Come un consueto rituale che si ripete ogni anno, dopo il corteo colorato i piedi si fermano nel piazzale accanto allo stadio “Artemio Franchi” dove al camminare si sostituiscono le voci, quelle che si

alternano nel leggere il lungo elenco di vittime; poi sopra tutte una voce, quella di Don Ciotti che ogni anno cerca di esortare a continuare la lotta alla mafia, perché di lotta si tratta. «Indignarsi non basta! L’indignazione si cura dando dignità ai familiari delle vittime attraverso il riconoscimento del loro diritto alla pietà per i loro morti e alla verità, perché non esiste giustizia senza di essa; si cura attraverso il riconoscimento e la riconoscenza per il lavoro svolto dai tanti uomini e dalle tante donne di Stato che scelgono ogni giorno di non girarsi dall’altra parte; si cura attraverso l’esercizio della democrazia, che è passione e ragione e genera coscienza critica. Infine, l’indignazione si cura dando valore alla cultura, che è il termometro dello stato di salute di un Paese». Perché è proprio dove regna sovrana l’ignoranza che la mafia trova terreno fertile per poter attecchire con maggiore facilità. Ha concluso la giornata il concerto di Fiorella Mannoia, la quale ha auspicato che figure come quella di Don Ciotti possano moltiplicarsi all’interno dello Stato italiano e ha intonato la canzone Io non ho paura – frase che da sola basterebbe a riassumere la ferma posizione di chi ci crede, di chi crede ancora nella legalità. “Voi li avete ammazzati, noi non li dimenticheremo” è il messaggio che i famigliari delle vittime sperano di trasmettere contro i responsabili, spesso tuttora ignoti, che hanno colpito persone a loro care. In queste occasioni è facile cadere nel banale ricordo o nella celebrazione di una ricorrenza. Ma in verità è sempre un bene parlarne e avere motivi per cui farlo, come attraverso questa giornata. Non è mai abbastanza parlare di mafia e soprattutto parlare di legalità, che deve essere la base di tutto. È nostro dovere continuare a parlarne. “Io non ho paura”.

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CULTURA

UNA PASSIONE SENZA CRISI di Erica Gazzoldi

Foto: © Antonio La Valle La casa editrice Salani è cresciuta con l’Italia: una mostra ha festeggiato i suoi 150 anni di vita. Da essa è stato mutuato il titolo della lectio magistralis della direttrice editoriale Mariagrazia Mazzitelli: Da Pinocchio a Harry Potter: la cucina dei best seller. La lectio ha inaugurato la 6^ edizione del Master di I livello Professioni e prodotti dell’editoria – organizzato dal Collegio Universitario S. Caterina da Siena in collaborazione con l’Università degli Studi di Pavia. Sarebbe seguita la presentazione del libro realizzato dai masteristi, come consueto compito di fine corso: Inchiostro proibito. Libri censurati nell’Italia contemporanea (Edizioni Santa Caterina). Nella sala conferenze “Enrico Magenes”, il 14 febbraio 2013 la rettrice Maria Pia Sacchi Mussini ha annunciato che le classi del master sarebbero state due (anziché una) causa aumento di iscrizioni. Fra i masteristi, spesso, si ritrovano laureati di campo umanistico: per questo era presente la prof.ssa Carla Riccardi (dipartimento di Studi Umanistici, sez. di Scienza della Letteratura e dell’Arte Medievale e Moderna). L’offerta di una preparazione professionale specialistica fa parte dell’impegno dell’ateneo pavese per orientare gli studenti nel mondo del lavoro. La dott.ssa Mazzitelli si è presentata come uno di quei giovani che, “dal Sud”, guardavano alla Lombardia: per l’appunto, si laureò a Milano (Lingua e letteratura russa) ed entrò subito nel mondo dell’editoria. Erano gli anni ’80 e la situazione economica era quasi l’opposto dell’attuale. Del suo mestiere ha sottolineato la natura cooperativa: a decidere durevolezza e qualità di una casa editrice è l’équipe che la compone – ne è esempio l’Einaudi primonovecentesca dei coniugi Ginzburg, di Norberto Bobbio, Massimo Mila, Cesare Pavese, Giaime Pintor. La cultura umanistica e l’intelligenza sono applicate agli obiettivi concreti dell’imprenditoria: soprattutto alla necessità di vendere i prodotti: si richiede dunque un lavoro di interpretazione del presente.

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L’équipe editoriale deve fiutare il clima storico e sociologico, capire di cosa il pubblico senta il bisogno, deve arrivare al cuore dei lettori in modo semplice e diretto, come lo è la comunicazione efficace. Laddove ciò avviene, l’editore riesce a far recepire al vasto pubblico anche romanzi di qualità finissima. In caso di traduzioni, si aggiunge la sfida di indovinare se un best seller straniero potrebbe essere tale anche in un altro Paese, ovvero se esista un ponte fra due mentalità e situazioni storico-sociali. È successo sicuramente con la saga di Harry Potter, successo intercontinentale che ha fatto uscire la letteratura per ragazzi dal limbo dei sottogeneri. Le children’s stories, molto curate nei Paesi anglosassoni, sono state anche l’asso nella manica della collana “Gl’Istrici”: pubblicata da Salani, ha denominato una generazione. Si aprì nel 1987 con Il GGG di Roald Dahl e Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgren. Le traduzioni mediocri e il formato tascabile inizialmente allontanarono il pubblico, abituato a libri per bambini in edizioni “da regalo”. Le edizioni posteriori invece videro il successo di questa collana pungente, critica e “dalla parte dei più piccoli”.

Nulla a che vedere con gli “alti sentimenti” deamicisiani o il didascalismo di Collodi: piuttosto un mondo alla rovescia in cui i bambini realizzano scherzi surreali, fanno un uso magico della propria intelligenza e trasportano gli amici sulle “isole deserte” dell’immaginazione. La mostra per i 150 anni dalla fondazione della casa editrice Salani ha visto una gran partecipazione di pubblico: famiglie con bimbi al seguito e vecchi lettori a caccia di pagine della propria infanzia. Contrariamente ad altri prodotti in commercio il libro s’incunea nell’uomo, e a volte getta il seme di passioni durevoli: “Sono diventato astrofisico, perché quel romanzo mi ha incuriosito sulle stelle, da bambino…”. Fra queste passioni anche l’editoria stessa: un invito a saper inventare e reinventarsi, a dispetto d’ogni crisi.


MUSICA

50 ANNI DI BEATLES

Un viaggio fotografico nei ricordi di una band leggendaria di Sara Ferrari

Il 5 febbraio 2013 presso il Collegio Nuovo di Pavia si è tenuto un incontro in memoria dei 50 anni dei Beatles con il giornalista e fotoreporter pavese Giuseppe, detto “Beppe”, Brocchetta, grande amante della musica e direttore della rivista on-line The Beatles: fans italiani. Durante la conferenza Brocchetta ha presentato il suo libro Liverpool e il mito dei Beatles: viaggio fotografico (Edizioni del Faro, 2012). Con il supporto di slides riassuntive, video e foto abbiamo ripercorso i momenti fondamentali della grande carriera musicale dei Fab Four dal primo 45 giri Love me Do uscito nel ’62 allo sgretolamento della band. L’opera di Brocchetta però non è, come ci potremmo aspettare, uno dei tanti libri biografici in circolazione: è piuttosto il frutto della passione e della curiosità del giornalista, che lo hanno spinto fino a Liverpool e portato a ripercorrere in prima persona le vie, i locali, le case in cui i Beatles hanno vissuto, le scuole che hanno frequentato da bambini, i luoghi di ritrovo serali, gli studi musicali che hanno visto la nascita e la crescita della band, dagli esordi al Cavern Club in poi. Un libro che ci mostra scatti semplici ma impregnati di ricordi e che messi insieme creano un suggestivo collage della vita quotidiana di quattro ragazzi, apparentemente normali, ma destinati a passare alla storia. Inchiostro: - Come è nata l’idea del libro? Semplicemente per passione o vi è qualche altra motivazione? Beppe Brocchetta: «I libri sui Beatles sono più di 1800 e anche io, come giornalista, volevo pubblicare qualcosa. In particolare mi ha appassionato la visione del film Nowhere boy, soprattutto la parte dedicata alla carriera di John Lennon all’inizio. Così ho deciso di concentrarmi proprio sulle origini dei componenti dei Beatles. All’inizio l’idea era quella di un libro più descrittivo, poi durante le ricerche e la raccolta di informazioni ho deciso di utilizzare anche lo strumento fotografico per testimoniare l’avvenimento. Allora mi sono detto: faccio una fotografia e, con qualche parola di inglese, scrivo una descrizione. Sono contentissimo perché ho descritto i luoghi dove i Beatles hanno vissuto, sono cresciuti ed è questa la cosa che mi ha interessato maggiormente.»

hanno iniziato Twist and shout che, ovviamente, è trascinante. Per il resto nessun altro ricordo particolare. Quaranta minuti di follia. Pazzia però diversa da quella delle ragazze che gridavano e si strappavano i capelli. Noi eravamo molto contenti ed internamente emozionati.»

Lei è stato al concerto dei Beatles del ’65 a Milano. Ha qualche ricordo particolare di quell’evento? Un momento? Un’immagine? «Premetto che noi avevamo già prenotato i biglietti un mese prima. Eravamo in quattro ed era tanto che aspettavamo quel giorno. Siamo andati a Milano ed avevamo tanta voglia di sentirli. Tutto quello che mi è rimasto impresso è il cappellino di John Lennon, quando sono entrati è stata la prima cosa che abbiamo notato (non lo avrebbe mai più indossato), e la canzone con la quale

Dal punto di vista strettamente musicale cos’hanno lasciato nel mondo d’oggi a parte la discografia? «Dal punto di vista musicale hanno lasciato sicuramente la trasformazione del rock’n’roll americano, nel loro modo diverso, piacevole: all’inizio cantavano solo in due, non capivi mai se cantava George o Paul. Poi sono passati al loro genere. Pensate che ho sentito per la prima volta Love me do perché un mio amico mi ha detto: «Guarda che a Radio Luxemburg ho sentito una canzone

Ha un Beatle preferito? «Per me i Beatles sono i quattro. Prima ho parlato poco di Ringo ma lui è bravo nel suo genere. Non parliamo di George e tutti gli assoli che faceva. Quindi io li ho sempre visti come quartetto, poi, se volete, John è colui che ha iniziato tutto. Paul invece completa tutto, canta bene ed è il “bravo ragazzo” del gruppo. George era un ribelle, forse più di John ma non lo dava a vedere. Quindi ognuno ha il suo genere, la sua caratteristica ma per noi i Beatles sono sempre stati loro quattro, insieme.»

strana, nuova, diversa.»; non capivamo chi fossero e che genere suonassero. Poi arriviamo al ’66, in questa parte musicale unica, quando emerge la loro vena “pop”, ricca di “ye ye” e nella quale la parola “love” compare quasi sempre. Una musica bella, piacevole e spensierata. Invece dal ’66 in avanti hanno perfezionato e migliorato il loro genere. Quello che facevano era proprio questo: prendere generi diversi, perfezionarli e riadattarli a modo loro. Il loro stile era inconfondibile. Non dimentichiamo che i Beatles fecero più di 200 canzoni, sempre una diversa dall’altra e ogni volta che ne usciva una nuova si piazzava al primo posto in classifica.» Qual è la sua canzone preferita? «È difficile perché ci sono diversi generi. Io venivo dal rock’n’roll di Elvis Presley, quindi il genere iniziale che mi piaceva era quello di I saw her standing there del primissimo album: una canzone fenomenale, che tra l’altro non era una cover ma era proprio la loro. Dopo di che, un’altra che mi viene in mente è In my life, nella quale volevano ricordare i tempi passati e rappresenta il passaggio dalle prime canzoni, i primi concerti, agli ultimi anni. Poi ce ne sono tantissime altre. Ve ne dico una che non conoscono in tanti, l’ultima che ha fatto Paul: The long and winding road che è sinonimo della fine dei Beatles. Quando l’ho ascoltata mi sono detto: Qua è proprio terminato tutto. Ovviamente non vi ho detto le mie canzoni preferite, perché altrimenti non finiremmo più, piuttosto vi ho segnalato alcune tra quelle più significative.»

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CINEMA

GIRLFRIEND IN A COMA: LʼITALIA IN PILLOLE (AMARE) di Irene Doda Su Girlfriend in a coma, il docu-film sull’Italia di Annalisa Piras e Bill Emmott, molte cose sono state dette, molte polemiche sono sorte, e non mi addentrerò in una recensione del film. In fondo Emmott e Piras hanno voluto offrire una fotografia del nostro Paese, un lavoro di sintesi per rendere chiari – soprattutto agli occhi stranieri – i mali più radicali che ci affliggono. Che gli italiani conoscono bene, ma il più delle volte tacciono. Mi limiterò a una breve rassegna dei contenuti: cosa c’è da cambiare in Italia? Su quali forze fare perno per salvare dal coma la bella ragazza adagiata sul Mediterraneo? Ecco alcune pillole (amare): per tutto il resto c’è ovviamente il film da guardare. Corruzione: in Italia è assai diffusa la pratica del voto di scambio. Il costo di un voto va da 50 a 100 euro alle elezioni politiche, e dal 25 a 50 alle elezioni comunali. Quanto sono trasparenti i risultati elettorali, se un pacchetto di voti comprati può spostare incisivamente gli equilibri dei Consigli o del Parlamento? “Libertà” di stampa: secondo Reporters sans frontieres, l’Italia è al 57° posto nel mondo come grado di libertà di stampa e informazione, dopo Burkina Faso e Sud Africa. Complice anche l’assenza di una legge sul conflitto di interessi, che ha permesso a leader politici di possedere emittenti di TV e giornali. Perché non è mai stato fatto nulla? Una storia inquinata: ben poche verità accertate esistono sugli anni del terrorismo e dello stragismo. Una parte degli apparati statali ha alimentato la tensione, per evitare uno scivolamento a sinistra della politica italiana. 428 morti per cause politiche tra il 1969 e il 1988. Uno Stato che uccide deliberatamente i propri cittadini?

Criminalità organizzata: il 10% del PIL ha come fonte la mafia. 160 miliardi di euro all’anno, 60 miliardi di liquidità. Un’economia prospera, uno “Stato nello Stato”: quale dei due detta davvero le regole? Condizione femminile: siamo al 74° posto nelle classifiche mondiali sulla parità di genere. Solo il 47% delle donne italiane lavora. Generalmente non ci si può sottrarre alla fatidica scelta: professione o famiglia? Merito anche del “metodo anticoncezionale minatorio”, le cosiddette dimissioni in bianco. Ambiente: caso emblematico, l’Ilva di Taranto. Vite umane in cambio di posti di lavoro: 386 morti dirette e un aumento medio di mortalità del 12%. I tumori diagnosticati a minori sono stati fino ad adesso 1282. Girlfriend in a coma è solo un cahier de doleances sulla disperata situazione italiana? Certo che no. C’è anche il dulcis in fundo, la speranza in fondo al tunnel. Quella del nostro Paese è soprattutto una storia di possibilità sprecate. Come negarlo? Già, ma non è mai troppo tardi.

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OPINIONE

CHILDREN IN A COMA I primi a risvegliarsi dobbiamo essere noi di Stefano Sfondrini

Chiariamolo subito: onore al merito. A Bill Emmott e ad Annalisa Piras per aver prodotto un'opera che può piacere o non piacere, ma che comunque è in grado di farci riflettere, nel bene e nel male. E onore ai ragazzi bocconiani del B-Lab che hanno sovvenzionato la visione di questo documentario, quando altrimenti è stato letteralmente censurato in nome della par condicio elettorale e delle tasche dei contribuenti – i quali, forse, non sarebbero stati così contrari alla premiere capitolina del 13 febbraio, anche se a spese loro. Vengo a conoscenza di Girlfriend in a coma grazie a una collega di redazione. Leggo con rammarico che al MaXXI di Roma non verrà proiettato, anche se con tutta probabilità non sarei riuscito a recarmi nell'Urbe per vederlo. La censura fa presto notizia, soprattutto in seguito a un tweet dell'ex direttore dell'Economist: in breve da più parti d'Italia ci si organizza per permettere la visione della pellicola a quanti siano interessati (in casi simili, comunque, sempre troppo pochi ça va sans dire). Tra le iniziative, anche quella milanese dell'Università Bocconi: occasione ghiotta per assistere a quello che si preannuncia come più che un film – un evento da non perdere. Le prenotazioni sono addirittura così tante che si prepara una proiezione supplementare nel pomeriggio, dopo quella mattutina alla quale sono presenti anche Emmott e Piras. Siamo in tre di Inchiostro a partecipare: regionale per Rogoredo, poi metro linea gialla e fermata a Porta Romana; facciamo quattro passi e in breve arriviamo in via Sarfatti. Entrati nell'università commerciale verso le 16 circa (non è stato possibile assistere alla "prima" per via del tutto esaurito) prendiamo posto in Aula Maggiore e attendiamo il buio in sala – e inizia il film. Dai troppi, pessimi esempi dell'atto I Mala Italia, si passa agli esigui esempi positivi citati nel II Buona Italia, per concludere con il III sull'Ignavia (il male più diffuso nel nostro Paese) e la schermata conclusiva che inizialmente reca la scritta The End, ma che si "corregge" poco dopo aggiungendo Questa non è sopra il titolo di coda, per indicare che non tutto è perduto. Ma ne siamo davvero convinti? E soprattutto, da dove parte il contributo che ogni singolo cittadino può dare personalmente per risvegliare la fidanzata di Bill Emmott – vale a dire la nostra mamma Italia – da questo coma profondo (che ha tuttavia radici ben più lontane rispetto all'arco di tempo documentato dal lungometraggio)? Personalmente, credo che il contributo di ognuno di noi parta proprio da quelle piccole cose tanto citate, da essere ormai più un modo di dire che non un gesto umile ma efficace. Non chiedono a noi, italiani minuscoli di fronte agli enormi problemi che attanagliano da anni la Penisola intera, di sanare il debito pubblico o azzerare la disoccupazione. Basterebbe capire che davvero è sufficiente un gesto semplice per rimettere in moto – o addirittura creare? – una coscienza collettiva che riporti in vita la nostra Italia, anziché lasciarla agonizzare nella bruttura attuale. E proprio la classica, "italiana" bruttura i tre inviati di Inchiostro hanno avuto modo di notare dopo la visione del film, con la sala ormai vuota. Già, italiana: cosa c'è di più italiano della spazzatura pigramente lasciata con noncuranza al di fuori degli appositi cestini? Fogliettini, cartacce e bottigliette, consueti rifiuti degli studenti consumatori, i quali in questo evento avranno certamente visto la proiezione dall'inizio alla fine, ma con

questo semplice gesto mancato di civiltà hanno dato prova di aver capito ben poco. E se non fosse meramente questione di pigrizia e menefreghismo? Proviamo a richiamare alla mente la Poetica di Aristotele, e in particolare il processo di catarsi nella tragedia. Chi assiste alla rappresentazione (intesa come imitazione della realtà) vive allo stato sentimentale – e non reale – le forti passioni inscenate; l'effetto catartico della visione purifica e rasserena l'animo dello spettatore, che si libera delle passioni. E, nel nostro caso, permette di farlo sentire con la coscienza pulita. Ma quale "imitazione della realtà", quella di Girlfriend in a coma è la tragedia nazionale, la cruda realtà dei fatti! Vero, molto vero. Ma un vero ripreso con la telecamera – ergo mai vero come la realtà. Non sono uno specialista e non posso descrivervi esattamente cosa abbia fatto sì che praticamente nemmeno una persona, che avesse assistito alla proiezione, si sia data la pena di depositare nell'apposito cestino il proprio foglietto, la propria cartaccia o la propria bottiglietta. Certo è che la teoria aristotelica parrebbe calzare a pennello per la situazione descritta. Vedere – e non vivere – le immagini della realtà – e non la realtà stessa; vedere i responsabili dello sfacelo del nostro Paese in questi ultimi vent'anni di storia italiana indicati col dito, anche da chi non ti aspetteresti ("Quel comunista di Travaglio che dà contro alla sinistra? Impensabile!"). Eccoli lì, belli chiari, rei e reati. Ed eccola qui, la catarsi, l'Aristotele di cui parlavamo: perché anche tramite il riconoscimento dei colpevoli ci liberiamo dal peso che questo do-

cumentario dovrebbe instillare e far permanere in ogni spettatore – che invece automaticamente si tira fuori dai condannati. Non l'ho certo creato io, il debito pubblico! Non sono certo io la causa di una disoccupazione alle stelle! Ma sei tu, semplice e onesto cittadino, ad aver dimenticato il piccolo gesto di lasciare pulito un luogo dopo che ne hai usufruito. Una piccola inciviltà che unita a tante altre piccole inciviltà ha permesso che un'intera aula rimanesse sporca. Perché no, piccolo non significa innocuo: anche una piccola dose di veleno, entrando nella circolazione di un ben più grande sistema, può portare alla morte di un organismo. Perché una piccola dose di inciviltà, entrando nel circolo vizioso di questa società già colma di altre inciviltà più o meno grandi e gravi, può portare alla morte definitiva di questo Paese.

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SPORT

MENO QUANTITÀ, PIÙ QUALITÀ Uno sguardo alla Lega Pro del futuro di Stefano Sette

Il 21 novembre 2012 il Consiglio federale della FIGC ha approvato la riforma dei campionati in Lega Pro, in vigore dalla stagione 2014-15. Dopo aver ridotto il numero delle società affiliate – dalle 90 del 2009-10 alle attuali 69 – riducendo il numero dei ripescaggi, la Lega Italiana Calcio Professionistico ha stabilito di unire Prima e Seconda Divisione in un’unica categoria con 60 squadre divise in 3 gironi da 20. Una decisione che riguarda da vicino il Pavia Calcio, inserito nel Girone A di Prima Divisione, dal momento che la società biancazzurra ha militato per diverso tempo tra il terzo e la quarto livello professionistico, ottenendo nell’ultimo biennio due salvezze consecutive (una diretta e una attraverso lo spareggio contro la SPAL). Ciascun girone terrà conto della posizione geografica: il primo sarà composto dalle squadre dell’Italia settentrionale, il secondo da quelle dell’Italia centrale e il terzo rappresenterà l’Italia meridionale, tornando così alla suddivisione della Serie C in vigore fino al 1978 (anno in cui ci fu la suddivisione in Serie C1 e C2). Una scelta per garantire più pubblico allo stadio – quindi dovuta anche a logiche economiche – visto che negli ultimi anni la suddivisione dei gironi è stata attuata secondo una logica sì macroregionale ma "Ovest-Est" o senza alcun criterio geografico: per questo poche persone erano disposte a seguire la propria squadra attraversando tutta Italia. Per passare da 69 a 60 squadre saranno necessarie alcune modifiche nel meccanismo promozioni-retrocessioni per la stagione 2013-14: in Serie B saliranno le vincitrici di ciascun girone, mentre parteciperanno ai playoff non solo le squadre classificate dal 2° al 5° posto, ma anche quelle che concluderanno la stagione tra il 6° e il 9°. I quarti di finale si giocheranno in gara unica in casa della miglior classificata – in caso di parità al 90° verranno disputati i tempi supplementari e, in caso di ulteriore pareggio, i calci di rigore – mentre semifinali e finali verranno disputate con incontri di andata e ritorno. In caso di parità di punteggio, dopo la gara di ritorno, si terrà conto della differenza reti, e in caso di ulteriore parità verranno disputati i tempi supplementari con eventuali rigori. Il numero di promozioni rimarrà invariato, mentre non ci saranno retrocessioni in Seconda Divisione; una scelta discutibile, visto che nell’ultima inchiesta sul calcio-scommesse sono state sanzionate 13 società dell’ex Serie C

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(la quattordicesima, l’Esperia Viareggio, fu penalizzata di un punto dalla Corte di Giustizia Federale e successivamente prosciolta al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport). Ma proprio per evitare casi di illecito sportivo si è deciso di introdurre incentivi economici a seconda del piazzamento in classifica al termine del campionato (attualmente il Consiglio di Lega non ha ancora stabilito le cifre a cui ammonteranno le polizze anticombine). Se in Prima Divisione ci sarà il blocco delle retrocessioni, in Seconda raddoppierà il numero di squadre che scenderà in Serie D: attualmente retrocedono le ultime tre di ciascun girone, le due squadre sconfitte negli spareggi tra la quart’ultima e la quint’ultima classificata e la perdente dello spareggio finale tra le vincitrici dei playout. Nella prossima stagione retrocederanno direttamente le squadre classificate dal 13° al 18° posto, mentre quelle che concluderanno la stagione regolare tra la nona e la dodicesima

posizione disputeranno i playout: per ciascun raggruppamento la nona affronterà la dodicesima e la decima sfiderà l’undicesima. Chi perde retrocederà, mentre le due vincitrici delle semifinali per ciascuno dei due gironi giocheranno un ulteriore spareggio. La squadra sconfitta andrà nei dilettanti e l’organico, sceso a quota 51, verrà completato dalle prime classificate di ciascun gruppo della Serie D.


SPORT

La nuova categoria unita manterrà lo stesso numero di promozioni e retrocessioni: retrocessione diretta per le ultime classificate, mentre per gli altri due posti si giocheranno i playout le squadre che concluderanno la stagione regolare tra il 16° e il 19° posto con incontri di andata e ritorno. Al termine del doppio confronto, in caso di parità di punteggio, per determinare la squadra vincente si tiene conto della differenza reti, e in caso di ulteriore parità viene considerata vincente la squadra con la migliore posizione in classifica. La vincente di ciascun girone sarà promossa in Serie B, mentre sarà più complesso il meccanismo per stabilire la quarta società che salirà nel campionato

cadetto. Verranno disputati i playoff tra le seconde, le terze e le due migliori quarte classificate per un totale di otto squadre, con i seguenti accoppiamenti: la miglior seconda sfiderà la peggior quarta (A), la seconda miglior seconda affronterà l’altra quarta (B), la peggior seconda incontra la peggior terza (C), la miglior terza giocherà contro l’altra terza classificata (D). In semifinale la vincente del match A sfiderà la società D, la squadra B incontrerà la C, e infine ci sarà la finale. Nei quarti di finale è prevista una gara secca in casa della miglior classificata, mentre i turni successivi prevedono incontri di andata e ritorno (il primo disputato in casa della peggiore).

Ci saranno anche nuovi parametri per garantire l’iscrizione al campionato: le società dovranno presentare una fideiussione di 600.000 euro, la capienza degli stadi dovrà essere di almeno 3000 posti, il budget finanziario sarà controllato trimestralmente e ogni irregolarità dovrà essere risanata entro 30 giorni dall'accertamento. Con gli organici ridotti il livello tecnico della nuova Lega Pro dovrebbe essere superiore rispetto al passato, ma questo lo verificheremo sul campo. Con meno quantità ci sarà, forse, più qualità.

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A.A.Attenti TITOLO allo SPOTTED di Veronica Sottotitolo

Di Pietrantonio

di Autore

«Non più amore e amicizia, romantici chiari di luna, fiori, lettere e inchiostri: situazioni non adatte ai pavidi, ma ai coraggiosi che amano l'idea di esporsi, di dichiararsi, di guardarsi negli occhi. Oggi bastano una tastiera e qualche clic per accedere al supermarket virtuale, i sentimenti corrono sul web che promette tutto al riparo di uno schermo. Impulsi, istinti, pensieri vengono affidati alla gigantesca omissione che garantisce anonimato e travestimento» . Parole severe, quelle di Paolo Crepet, ma quanto mai vere. Che il web avesse inibito la creatività e il desiderio di vivere on the road, spingendo i giovani ad intraprendere una vita telematica così intensa da sostituirsi a quella reale, non è mai stato un segreto (purtroppo). In una società in cui l’immagine ha un ruolo dominante, i deboli sono sempre più spesso costretti a nascondersi e a prediligere l’anonimato rispetto a mostrarsi per quello che si è; il timore che questo non possa bastare per essere accettati spinge i meno impavidi a mantenere l’incognito. E benché ciò sia più che mai accertato, invece di correre ai ripari forniamo l’ennesimo strumento per perpetuarlo. Tardi (per fortuna) ma “finalmente” (almeno per qualcuno), anche noi italiani – “popolo di poeti, artisti, pensatori, scienziati” – siamo stati colpiti dalle frecce del cyber-cupido: Spotted (dove di coraggio ce ne vuole davvero poco). In un mondo che corre, segnato da un mutamento continuo di situazioni e sentimenti, non abbiamo tempo per aspettare: tutto e subito, anche sapere se un amore è corrisposto. Il 76% degli italiani dichiara di aver sperimentato il “colpo di fulmine” almeno una volta nella vita. Ma in quanti sanno davvero approfittarne? Dando una rapida occhiata alle pagine Spotted, in pochissimi. Per poco coraggio, tanta timidezza e (in qualche caso) un pizzico di sfortuna, oggi per porre rimedio basta essere iscritti alla pagina di avvistamenti della propria università, inviare l’ SOS in posta privata, confidare nella discrezione degli sconosciuti (e tanto pazienti) amministratori delle pagine che lo

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pubblicheranno in bacheca e aspettare. Sì perché, se sei fortunata/o, il tuo Romeo o la tua Giulietta si riconosceranno nella descrizione e “se son rose fioriranno” . Tra i post di avvistamenti, poeti mancati e tanto romanticismo, dichiarazioni più o meno “d’amore” e descrizioni dettagliatissime dell’adocchiato di turno (dal look, al colore degli occhi, alle doppie punte dei capelli). Con le pagine Spotted lo “stalker” che è in ognuno di noi ha carta bianca: si puoi scrivere tutto (o quasi), si ama, si ride, si deride, si chiede il silenzio in aula, si auspica ad un aumento dell’igiene personale da parte del vicino di banco. Come per ogni cosa, c’è chi all’avvistamento da condividere in rete ci ha pensato per primo. Anche se il fenomeno nasce ufficialmente negli States, a proporre l'idea originale è Rich Martell, studente di informatica londinese che nel 2010 fonda il microblog FitFinder con un solo obiettivo che vi stupirà: conoscere ragazze della biblioteca frequentata. Una vera e propria epidemia che ha colpito in pochissimo tempo il resto d’Europa arrivando (con calma) anche nel Bel Paese: ora basta digitare Spotted su un qualsiasi motore di ricerca per rendersi conto in breve della portata del fenomeno. Non c’è università che non abbia la sua pagina (e in alcuni casi più di una) e non è escluso che presto ci saranno pagine Spotted di biblioteche, palestre, locali, linee

dei bus. Eccessivo? Ne riparleremo. Nonostante il successo confermato dal numero di “mi piace”, messaggi e ovazioni da chi il lavoro “sporco” preferisce farlo fare a qualcun altro, tante le critiche: l’ennesimo danno ad una bit-generation, fatta di giovani timidi ed introversi che si nascondono tra le chat e i socialnetwork con false identità? Covo di “codardi” incapaci di cogliere l’attimo? Per non cadere in un eccessivo cinismo e trovare del buono in quella che (si spera) sia solo una moda passeggera, e non un nuovo modus operandi per trovare con poco sforzo l’anima gemella, guardiamo ai benefici dell’avvistamento anonimo. Una seconda occasione per il mancato carpe diem? Moderni rapporti epistolari che farebbero invidia a Jacopo Ortis? Insomma, c’è poco da fidarsi di amici messaggeri (guardate come è andata finire per i piccioncini di Verona). Se le lettere, le email, gli sms, i messaggi istantanei di Whatsapp non bastano più (nonostante fossero un valido aiuto per scrivere quello che non avreste mai confessato di persona) per voi dall’innamoramento facile Spotted è in fondo la seconda occasione. Ma attenti a cogliere i giusti segnali: magari l’ “avvistato”, guardandovi per più di cinque secondi, voleva solo avvisarvi del cibo tra i denti.


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