Inchiostro Pavia 123 - febbraio 2013

Page 1

inchiostro.unipv.it

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia Febbraio 2013 Distribuzione gratuita Anno XVIII - Numero 123

ELEZIONI

REGIONALI E POLITICHE 2013

SPORT UNIVERSITARIO

INAUGURAZIONE A.A. SPORTIVO

SCOPERTA IN FUGA

INTERVISTA A GIULIA BIFFI

“VI RESTITUIRÒ LA COPERTINA”

SPECIALE SESSIONE INVERNALE ESAMI


Sommario

Il giornale degli studenti dell’Università di Pavia

EDITORIALE Claudio Cesarano IL FEBBRAIO ELETTORALE Simone Marchesi

pag.3 pag.4-5

IO SONO MENO ITALIANO Giuseppe Enrico Battaglia

pag.6

NATURA, AMORE E DEMOCRAZIA Giorgio Intropido

pag.7

PER AMORE DI SAPERE Camilla Rossini InChiostro Veritas:AVERE MEMORIA Matteo Merogno

pag.8 pag.9

EYE TO THE FUTURE Irene Doda NON C’È DUE SENZA QUATTRO Alessio Labanca

pag.10-11

SPECIALE SESSIONE INVERNALE

pag.13-16

pag.12

IL MITO NON MORTO Erica Gazzoldi

pag.17

GIRLFRIEND IN A COMA Andrea Viola TUTTI PAZZI PER GLI OSCAR Maria Grazia Bozzo

pag.18 pag.20 pag.21

IL CALCIO D’OLTREMANICA Stefano Sette INAUGURAZIONE A.A. SPORTIVO Simone Lo Giudice Giuseppe Enrico Battaglia

pag.22-23

COME FARSI RUBARE LA BICICLETTA Stefano Sfondrini

pag.24

Anno XVIII- Numero 123 Sede legale: Via Mentana, 4 - Pavia Tel. 346/7053520 (Simone), 338/1311837 (Giuseppe), 338/7606483 (Maria Grazia) 338/2334933 (Claudio) E-mail: redazione@inchiostro.unipv.it Internet: http://inchiostro.unipv.it DIRETTORE RESPONSABILE: Matteo Miglietta COMITATO EDITORIALE: Simone Lo Giudice, Giuseppe Enrico Battaglia, Maria Grazia Bozzo, Claudio Cesarano DIRETTORE BLOG: Stefano Sfondrini TESORIERE: Camilla Rossini IMPAGINATORI: Matteo Conca, Chiara Pertusati, Stefano Sfondrini VIGNETTE: Chiara Vassena CORRETTORI DI BOZZE: Veronica Di Pietrantonio, Erica Gazzoldi, Stefano Sfondrini. Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti Fondi 2012: 6368 Euro. Stampa: Industria Grafica Pavese s.a.s. Registrazione n. 481 del Registro della Stampa Periodica Autorizzazione del Tribunale di Pavia del 23 Febbraio 1998. Tiratura: 1000 copie Questo giornale è distribuito con licenza Creative Commons Attribution Share Alike 2.5 Italy Questo giornale è andato in stampa in data 13-02-2013 IN QUESTO NUMERO HANNO COLLABORATO: Giuseppe Enrico Battaglia, Maria Grazia Bozzo, Irene Brusa, Claudio Cesarano, Matteo Conca, Irene Doda, Giulia Gallotti, Erica Gazzoldi, Giorgio Intropido, Alessio Labanca, Simone Lo Giudice, Simone Marchesi Matteo Merogno, Chiara Pertusati, Erica Maria Rinaldi, Camilla Rossini, Stefano Sette, Stefano Sfondrini, Chiara Vassena, Andrea Viola.

seguici anche sul WEB: http://inchiostro.unipv.it/ facebook/

Inchiostro

twitter/InchiostroPavia

Contattaci a: redazione@inchiostro.unipv.it


Editoriale di Claudio Cesarano

NIENT’AFFATTO SCONTATO Eccoci al mio primo editoriale nel primo numero di Inchiostro del 2013, l'Anno Domini che non avrebbe dovuto esserci. Come? Avete già dimenticato che il mondo avrebbe dovuto congedarsi col 2012? Fino a nemmeno due mesi fa la stampa più o meno seriamente si interrogava su calendari Maya e sull'Apocalisse-definintivache-stavolta-è-quella-giusta. Ora i Maya sono di nuovo relegati ai programmi di storia, trattati frettolosamente insieme ai cugini AztechIncas (troppo poco tempo per distinguerli), i calendari tornano ad essere scosciati e lo scetticismo da fine del mondo è stato archiviato con buona pace di tutti. Anzi, probabilmente non ci pensate più a quella demenza collettiva. Certo, siamo tutti contenti di esserci ancora (o almeno lo spero), ma nemmeno il tempo di smaltire cenoni e buoni propositi che subito abbiamo ripreso a lamentarci degli esami e a metterli al centro di tanti/troppi pomeriggi. E di questo numero. Poi ci sono le elezioni a breve, ma invece di portare la speranza di un cambiamento trascinano con loro le solite promesse impossibili, presenze impresentabili e sicure delusioni. Niente, davvero niente di nuovo. Poi una mattina la prima pagina di un giornale locale ti sorprende, con la notizia di una ragazza che fino a pochi anni fa studiava a Pavia e ora collabora a una scoperta scientifica importante: un giorno ha scelto di trasferirsi a Cambridge e così le cose sono cambiate. Tornando a quella data di fine dicembre, conosco davvero gente che ha preso decisioni importanti o da troppo tempo rimandate solo perché preso da quegli attimi di follia a cui professava di non credere. Alla voce di Wikipedia “Profezie sul 21 dicembre 2012” leggo che ci si attendeva un evento capace di produrre una “significativa discontinuità col passato” oppure “la fine del mondo”. In questo mi sembra ci sia una grande coerenza: quando è il momento di cambiare si può scegliere che presto ci sarà qualcosa di nuovo o che è la fine di tutto. Per quanto assurdo, ogni apocalisse preannunciata non dovrebbe essere liquidata così in fretta: si tratta sempre di una buona occasione per reinventarsi. Piuttosto che avere paura della fine del mondo dovremmo aver paura di un mondo che, certo di andare avanti, non si preoccupa di dove finirà. Per questo vi auguro di avere presto il vostro personalissimo 21 Dicembre. Perché esserci non diventi affatto scontato.

Il “vecchio” comitato editoriale accoglie il nuovo co-direttore Claudio

INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013 3


POLITICA

IL FEBBRAIO ELETTORALE di Simone Marchesi

I giorni 24 e 25 febbraio saranno molto importanti per la vita pubblica italiana, perché si svolgeranno le elezioni politiche, in concomitanza con le regionali in Lombardia e Lazio. In seguito alle dimissioni, in data 26 ottobre 2012, del Governatore della Lombardia Roberto Formigoni (PdL), sono state convocate le elezioni per il 10° Consiglio Regionale. Saranno le prime elezioni regionali anticipate nella storia della Lombardia, una particolarità non di poco conto. Per la guida della Lombardia, il centro-sinistra candida l’avvocato penalista Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, liquidatore della Banca Privata Italiana assassinato nel 1979 su ordine di Michele Sindona, che si dovrà confrontare con il candidato dell’alleanza di centro-destra, l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, appoggiato da alcuni settori dell’area cattolica. Nella contesa per il Pirellone sarà impegnato anche Roberto Maroni, candidato della Lega Nord, cui è stato dato il compito di guidare il partito nell’era post-bossiana: incarico tra i più difficili, perché il carisma del Senatùr è posseduto da pochi. Candidati di altri schieramenti sono: Silvana Carcano del Movimento 5 Stelle e la docente della Bocconi Carla Maria Pinardi, come esponente del Fare per Fermare il Declino. La crisi economica ha portato tutti, in modo quasi uguale, a fare sacrifici in termini economici, con riflessi anche sul piano sociale: la necessità di risparmiare ha portato alla riscoperta dei beni artigianali, che, oltre a consentire un risparmio monetario, garantiscono una maggiore affidabilità nel consumo. Federico Rampini, nel suo ultimo libro “Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo” (Mondadori), ha spiegato come questa crisi abbia indicato i lavori del futuro, l’idraulico e simile; ha invitato gli studenti di Giurisprudenza a scegliersi una professione tecnica, non considerando i codici come strumento utile per l’avvenire. Tralasciando i pareri personali, che possono sorgere leggendo i consigli di questo autore, bisogna essere concordi nel dire che questa crisi ha fatto rivalutare certi lavori a danno di altri, ha portato a riconsiderare certi mestieri ricordati solo dai nonni, o raccontati e descritti nelle fiabe. Occorre indagare, in tempo di campagna elettorale, sulla la fiducia e, in particolare, sulle attese che si ripongono nella politica. L’attenzione si pone principalmente sulla crisi economica e sulle offerte di rilancio industriale, il cui fine è, ovviamente, intraprendere un’uscita dal periodo di recessione economica, che, secondo i dati, si prolunga da circa venti anni. Il problema, però, è: come uscire dalla crisi? L’Italia ha un assetto industriale non paragonabile a quello greco; per esempio, il peso italiano nella zona europea è superiore rispetto a quello del paese ellenico. Questo è un motivo per cui l’Unione Europea è molto attenta allo svolgersi delle elezioni politiche nel nostro paese, riempiendo di complimenti ed elogi un candidato e di risatine l’altro. Il risultato delle politiche avrà una prova decisiva lunedì 26 febbraio 2013, all’apertura delle borse. I mercati azionari registreranno, sotto forma di percentuali e numeri, la fiducia e l’affidabilità del nuovo governo in Europa.

4 INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013


POLITICA La capacità industriale italiana, negli ultimi anni, si è notevolmente indebolita, a cause di un sistema politicoindustriale incapace di progettare un piano di crescita economica, una burocrazia farraginosa, una giustizia lenta, in cui un processo civile dura mediamente dieci anni e le università e la ricerca in particolare sono le vittime preferite, quando bisogna compiere tagli. Ricerca, giustizia e sviluppo economico sono punti da tenere presente in campagna elettorale, da parte di tutti gli schieramenti. Vi è la necessità di riformare un Paese fermo da troppo tempo; o si prenderà il treno della crescita, o saremo il Paese ricordato solo per “pizza e mandolino”. Il tema per me più importante, che è poi alla base di uno sviluppo della società intera, è la ricerca. Le ultime statistiche registrano una diminuzione di 58.000 matricole universitarie. Questo comporta meno stdenti preparati, meno cultura, meno sapere, meno specializzazione. La colpa sarà da attribuirsi alla crisi, al taglio dei fondi che dilania le casse universitarie da trenta anni, alla poca volontà dei giovani di intraprendere un percorso difficile come quello universitario, tutti fattori che portano a un default del comparto ricerca e sviluppo. Deficienze che, inevitabilmente si proiettano sulla nostra economia. Nonostante questi elementi poco incoraggianti, le Università italiane sono tra le migliori al mondo, come didattica e preparazione. Purtroppo, il Paese che ha chiuso la bocca a Galileo non permette ricerca sulle cellule staminali (consiglio di leggere, a tal proposito, “Cristianesimo” di U. Galimberti). Una volta dato il giusto peso alla ricerca e allo sviluppo, il nostro paese sarà pronto a diventare una potenza Occidentale.

Un altro problema da risolvere è il forte grado di corruzione che divampa nei vari strati della società, dalla politica all’industria, passando per l’amministrazione pubblica e privata. La legge “anti-corruzione” approvata in extremis dal governo Monti, sebbene non risolva tutti i problemi italiani, è riuscita ad avvicinare parzialmente gli investitori stranieri, i quali avevano rinunciato a investire risorse nel nostro Paese, a causa del forte grado d’illegalità che caratterizza la nostra penisola. Ovviamente, per combattere l’illegalità serve una giustizia efficiente, non un sistema giudiziario in cui un processo, per arrivare alla sentenza definitiva, richiede tempi biblici. Candidato alla Presidenza della Regione Lombardia, Umberto Ambrosoli incarna l’ideale di chi lotta contro l’ingiustizia in questo Paese. La sua storia privata è da raccontare, come quella di suo padre. La vittoria di Ambrosoli darebbe attendibilità a una ragione che è stata troppo spesso teatro del malaffare politico-mafioso: basti pensare che, a Pavia, sono state rilevate infiltrazioni della criminalità organizzata negli abusi edilizi che hanno coinvolto personaggi vicini al primo cittadino, Cattaneo Alessandro. Tutti fatti raccontati in un articolo pubblicato sull’”Espresso”, che, ovviamente, rovinano l’immagine di una città a tradizione universitaria come Pavia. Ho citato la figura di Ambrosoli, perché ci riguarda più da vicino, essendo candidato alla presidenza della Lombardia, per la quale concorre anche Daniele Bosone, l’ex presidente della Provincia di Pavia. Lombardia a parte, si svolgeranno elezioni a livello nazionale, dove non ci sono candidati di una certa rilevanza. Personaggi già noti, già conosciuti, già visti all’opera, della quale sono stati vissuti i risultati. Il PD è un partito che è stato più bravo a perdere le elezioni (la vicenda “Monte Paschi” insegna) piuttosto che a vincerle. Il PdL , invece, riesce a resuscitare, purtroppo o no, quando sembrava già dato per spacciato. La figura di Monti è legata a personaggi come Casini o Fini, eterni alleati-nemici. Per non parlare del populismo di Grillo, simbolo di come la crisi porti la gente ad avvicinarsi a personaggi che hanno il solo pregio di animare la folla, con sparate da Bar Sport. Il mio articolo ha il solo intento di illustrare come l’Italia si avvicini alla fatidica data del 24 febbraio: in altre parole, il clima che si respira, arido e secco. Speriamo che chiunque vinca (destra, sinistra o centro) riesca a farci respirare nel clima secco che ci opprime.

INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013 5


POLITICA

IO SONO MENO ITALIANO Erasmus e fuorisede esclusi dal diritto di voto di Giuseppe Enrico Battaglia Io non posso, io non devo, io non voglio. L'Italia dei non rappresentati e dei vecchi si avvicina alle urne con pronostici mai tanto incerti. L'età media delle tre principali forze politiche in gioco si aggira sui 68,6 periodico anni. Se da una parte c'è la disaffezione di chi non andrà a votare poiché non si sente rappresentato, dall'altra c'è chi vorrebbe votare, ma si trova di fronte un muro costruito dalla impervia burocrazia italiana. Chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane. Studenti Erasmus e fuori sede non potranno esercitare il loro diritto di voto, a patto che non tornino nel loro comune di residenza per votare presso il seggio a loro attribuito. La sensazione di amaro in bocca lasciata da candidati premier che “si candidano per i giovani”, viene acuita dalla consapevolezza che non c'è nessuno che si stia impegnando concretamente, a livello istituzionale, per garantirci il diritto di voto. Secondo il famoso detto “aiutati che il ciel t'aiuta”, vengono tuttavia in soccorso dell'italiano lontano dal Bel Paese due siti interessanti, che sicuramente non cambieranno le cose, ma quantomeno danno un segnale forte di un'Italia che vuole progredire. Quanto c'è di istituzionale in questa Italia? Assolutamente niente purtroppo: le principali compagnie di trasporti nazionali propongono riduzioni e tariffe vantaggiose, ma nulla che sia regolato dal governo. Per chi preferisse l'approccio vecchia scuola, è possibile tornare nel proprio comune a votare con riduzioni che vanno dal 40% di chi sceglie l'aereo (rigorosamente Alitalia), al 70% di chi opta per il treno (seconda classe). La domanda che tuttavia sorge spontanea è: per quale motivo devo spendere oltre 100€ per far valere un mio diritto di nascita? Da queste premesse nascono i siti vogliovotare.org e votoestero.altervista.org, che si propongono di raggiungere 5000 iscritti per poter, successivamente, fare affidamento sulla piattaforma web e-ligo e permettere a chi è lontano da casa di votare senza sobbarcarsi lunghe e costose trasferte. Momento dietrologia: siamo sicuri che il non-voto di Erasmus e fuori sede sia un fatto esclusivamente burocratico? Alla vigilia del weekend di elezioni si prevede un astensionismo senza precedenti, che metterebbe ovviamente in luce lo scarso assenso degli italiani a fronte della conduzione politica del Paese. Che si stiano cercando degli alibi per giustificare

6 INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013

una più che eventuale scarsa affluenza? Al termine di questa pappardella fatta di statistiche e domande viene spontaneo chiedersi: è possibile che nel 2013 non si sia ancora studiata una soluzione in merito? Riempirsi la bocca d'aria è molto semplice, come ci dimostrano le centinaia di affabulatori che occupano i seggi parlamentari, ma siamo sicuri che puntino sui giovani? Per quale motivo allora si escludono dal voto coloro i quali, sulla carta, potrebbero rilanciare il nostro Paese sotto il profilo di idee e ricerca? Tutte queste domande rimarranno insolute ancora per lungo tempo, e la sensazione che l'Italia abbia ancora bisogno di tempo, per cambiare marcia, si fa sempre più opprimente.


POLITICA

NATURA, AMORE E DEMOCRAZIA Simboli elettorali e fantasia made in Italy di Giorgio Intropido Con questo articolo non si vuole di certo offendere quelle persone che, sicuramente in buona fede e con una forte volontà di cambiare le cose, si trovano dietro ad ognuno dei 150 e oltre contrassegni di lista accettati dal Viminale, ma… Il buon senso, dai, un minimo. A parte i simboli dei partiti ormai classici e di quelli che si presenteranno per la prima volta alle politiche e che tutti più o meno conosciamo, è di quei movimenti/partiti sconosciuti (grazie al cielo) ai più che vi vorrei parlare, quelli che quando se ne legge il nome ci si chiede “PERCHÉ???”. Dopo aver scaricato il pdf dal sito del Ministero dell’ Interno, procediamo con ordine e vediamo cosa ci riserva quella illimitata risorsa che è la fantasia di un italiano. Sfogliando le 10 pagine del documento il primo movimento da notare è quello che ha come nome lo slogan: “FermiamoLeBanche&LeTasse”, il cui capolista avv. Alfonso Luigi Marra fa parte ormai da tempo, insieme agli intramontabili Scilipoti, Borghezio e tanti altri, di quella gustosa insalata trash che se non ci fosse, diciamocelo, saremmo tutti un po’ più tristi. Come dimenticare gli spot anti-signoraggio della signorina nonché ex compagna di Marra, Sara Tommasi? C’è chi la ricorda per L’Isola dei Famosi, chi perché a causa sua ha perso diverse diottrie (sapete di cosa parlo, e dovreste ammetterlo: è inguardabile, ma fa ridere) e chi per le ardue lotte (sempre senza veli) contro gli interessi delle banche. Continuiamo passando sopra velocemente ad un inquietante “Movimentu Europeu rinaschida Sadra” per arrivare a quello che da molti (?) è stato indicato come il faro del risveglio monarchico in Italia ovvero il “Sacro Romano Impero Liberale Cattolico”. L’invito è quello di farsi un giro sul sito internet, impagabile la presentazione in cui la “La Primavera” di Vivaldi fa da sottofondo ad una scarna animazione raffigurante la cotonatissima fondatrice dott.essa rag. Mirella Cece. Vedere per credere. Cercando e scremando l’occhio non può che cadere su altri tre simboli tra i tanti. In primis la lista D.N.A., ovvero “Democrazia, Natura e Amore”. La nuova avventura politica di Ilona Staller non poteva che essere accompagnata da un simbolo che rappresenta la proverbiale sobrietà della prima pornostar al mondo mai entrata in un parlamento: una gamma cromatica al limite di un videoclip uscito dritto dagli anni ’80, che fa male agli occhi e al cuore solo a guardarlo, fa da contorno ad un bel primo piano di Cicciolina. Un disastro estetico. Detto questo, non poteva di certo mancare il “Movimento Bunga Bunga”, i cui intenti non sono ben chiari: forse denunciare, magari promuovere le celebri “cene eleganti”, allargandole a metalmeccanici, cassintegrati ed esodati. E poi ci sono loro. I “Gay di destra – La rosa nera”. A voi i commenti. Per il resto ci sarebbero molti altri tra le decine di simboli ammessi sui quali sarebbe troppo bello potersi soffermare, cercando di carpire il significato di “Democrazia Atea” piuttosto che di “Lista civica nazionale IO NON VOTO”, o ancora di “Recupero maltolto”, “Partito Internettiano”, “Mondo anziani”, “Forza Roma”, “Valentino Presidente” (???) o sul più che mai romantico “Movimento poeti d’azione”. Ma le righe a disposizione sono poche, gli esami incombono e il fegato comincia a far male già adesso. E c’è ancora la campagna elettorale.

INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013 7


CULTURA

PER AMORE DI SAPERE

di Camilla Rossini

Il trenta gennaio scorso, nel Salone Teresiano dell’Università di Pavia, ha avuto luogo la conferenza inaugurale della mostra “Il sapere negato. Le leggi razziali e l’Università di Pavia”, curata dalla professoressa Elisa Signori. La magnifica Sala Teresiana è gremita di sedie e di persone. Vedo qualche studente qua e là (certo l’orario mattutino, in periodo d’esame, non giova), tanti capelli bianchi, signore in pelliccia, perfino un’autorità ecclesiastica, laggiù, in prima fila. Una compagine da metter soggezione. Per un attimo temo, nel mio immediato futuro, una lunga serie di interventi ufficiali di autorità accademiche, tonanti pomposa indignazione e retorica volontà di memoria. Per fortuna mi ricredo: il Rettore, dopo un breve intervento, cede la parola a Klaus Voigt, professore all’ Università Tecnica di Berlino, il quale prende a fare nomi di persone, ebrei stranieri che, giunti in Italia (considerata immune dall’antisemitismo) nel corso degli anni Trenta, furono costretti a fuggire, darsi alla latitanza o ingrandire le fila della resistenza. Esperienze singole e, se la Storia non si fosse così brutalmente intromessa, perlopiù banali, non eroiche. Elemento comune all’intento della mostra: ricostruire l’estromissione di normali studenti, professori e assistenti che, da un giorno all’altro, normali non furono più. E ricostruire questa storia sulla base di documenti, di fatti puntuali. “A volte, assistiamo a una ritualizzazione della memoria. Abbiamo necessità di conoscere la storia, perché la maggior parte di noi non ha più memoria dei fatti. Dobbiamo conoscere e memorizzare”. Così afferma Michele Sarfatti, direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano. Tra i molti spunti interessanti, due colpiscono in particolare. Il primo è una frase: “Dopo la crisi del ‘29, si sentiva il grande bisogno di un capro espiatorio, e gli ebrei erano lì, bell’e pronti”. C’è silenzio nella sala: molti di noi, credo, pensano a tutte le categorie di “bell’e pronti” odierni. L’inquietante parallelismo aumenta: “Bisogna capire che l’antisemitismo era diventato banale: non si pensava ad Auschwitz! Era divenuto una forma di leggera avversione, di affermazione della propria superiorità, anche negli ambienti universitari ”. Il secondo dato è una riflessione sulle leggi razziali in sé: “furono pensate come una riforma di struttura, destinata a durare. Poi, per fortuna in questo caso, la guerra interruppe il processo. Ma le maestre d’asilo, nei loro manuali, avevano studiato il capitolo sulla razza. A loro, dopo la guerra, non venne ripulito il cervello”. Dopo un intervento della professoressa Vita Finzi, che attinge alle sue memorie di bambina per raccontare la vitalità della classe intellettuale ebraica, chiude la conferenza la professoressa Elisa Signori, denunciando quella “sorta di buco nero” che assorbe gli studi sull’antisemitismo, la facile indignazione che impedisce la ricerca storica su “uomini e donne come noi, che compirono liberamente delle scelte, giorno per giorno”. La mostra, informa, tenta proprio di “ricostruire il complesso iter burocratico della spoliazione dei diritti, della lenta mitridatizzazione della società, allenata già da tempo, all’epoca dell’emanazione delle leggi razziali, a individuare, contare, escludere e, infine, punire.” Visitare la mostra non è un dovere morale, etico, civile e non impedirà che questo accada di nuovo, come spesso si dice. Anzi, nulla esclude che ciò stia già accadendo. Le minoranze esistono ancora, il bisogno di un capro espiatorio è più che mai presente. Il minimizzante revisionismo berlusconiano del 27 gennaio non è isolato, intercetta una tendenza. Forse se smettessimo di celebrare la Memoria con frasi vuote, e ci basassimo più sui fatti, non si susciterebbe l’insofferenza popolare su questo tema. Per questo l’approccio della mostra (e della conferenza inaugurale) può risultare decisamente interessante. La mostra è allestita fino al 1° marzo (da lunedì a venerdì, dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18) nella sala delle Sibille di Palazzo S. Tommaso (ingresso da via Cavallotti).

8 INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013


InChiostroVeritas

CULTURA

AVERE MEMORIA di Matteo Merogno

Per un’occasione di vitale importanza, InChiostroVeritas, la voce filosofica di Inchiostro, si sposta sul cartaceo. Il 27 gennaio è passato, il Giorno della Memoria è finito da un po’ e, ora, sembra aver senso soltanto aspettare il prossimo. Come si fa sempre. L’1 gennaio aspettiamo il prossimo Capodanno, il primo giorno di scuola l’ultimo e, anche se non ce ne accorgiamo e ci sentiamo poetici perché noi seguiamo la regola del Carpe Diem, in realtà stiamo dimenticando. Perché noi dobbiamo fare cose importanti, perché noi siamo giovani e “se non fai le cose quando sei giovane, quando le fai?”. Ecco, perfino in queste poche righe già il Giorno della Memoria è passato in secondo piano. Perché è così facile dimenticare. Perché è così facile far finta di capire. È così facile dire: “Capitano cose orribili tutti i giorni nel mondo, perché bisogna solo ricordare l’Olocausto? Non è giusto”. Io dissento totalmente. Con la scusa che bisogna commemorare sempre e per tutti, non lo si fa mai e per nessuno. Perché Avere Memoria non significa vedere “Schindler’s List”, non significa andare in gita in un campo di concentramento, non significa piangere davanti al discorso di un sopravvissuto. Avere Memoria significa tutto questo, con l’aggiunta di aver compreso ciò che si sta guardando, ciò che si sta visitando, ciò per cui si sta piangendo. Che cosa si sta facendo! Questa è retorica? No, questa è la realtà. La vita vera. E credo che tutti possano capire la differenza. Di questo giorno, bene o male, si parla ormai da anni, in svariati modi e, come una parola detta troppe volte, sembra aver perso il proprio significato. Non per colpa della ricorrenza, ma per colpa nostra. Per le scuse che ci raccontiamo per vivere tranquilli. Quelle, appunto, secondo cui: “Tanto, le persone muoiono tutti i giorni… Devo dare quell’esame importantissimo, devo andare a restituire il libro alla biblioteca, pagare la bolletta, passare a prendere mio figlio a scuola. Perché la vita non può fermarsi, bisogna ‘andare avanti’ ”. Va benissimo, ci sto! Però, tra “andare avanti” con o senza Memoria, c’è una bella differenza e, quando arriverà il famoso giorno in cui si dirà “te l’avevo detto”, sarà troppo tardi. E le riflessioni che questa rubrica vuole fare si prefiggono come obiettivo proprio quello di impedire che quel giorno arrivi. Riflettere sulla Shoah significa riflettere sulla finitezza dell’uomo. Per dirla con brutale sincerità… non giriamoci intorno, non c’è altro modo per dirlo: sulla morte. E non nel senso del “ricordati che devi morire”, come usa dire il prete di paese durante l’omelia della Domenica, ma in quello del: “ricordati che non basta essere vivi per vivere”.

In poche parole, il come della nostra vita è in mano nostra. Siamo noi, ma ci siamo dimenticati e, invece di occupare il nostro tempo a cercare di ritrovarlo, lo sprechiamo spostando l’accento su “roba inutile”. Diamo la colpa agli altri. Agli altri. Agli altri. I politici mandano in rovina il paese, i professori mandano in rovina i figli, i videogame mandano in rovina i bambini. Scuse, solo scuse. Perché cercare un’alternativa nuova è troppo difficile, costa troppa fatica. E, allora, ecco il “teatrino sociale” di cui spesso sentiamo parlare. Arriva il momento di rivedere le priorità, prima o poi … Direi che è arrivato. Perché, se non urliamo a squarciagola, se non scrivessimo articoli dicendo che il Giorno della Memoria è di vitale importanza per comprendere fino a che punto un uomo, uno come tutti gli altri, che beve il latte, compra il giornale e pulisce il piatto con il pane è stato in grado di spingersi, il giorno del “te l’avevo detto” potrebbe essere molto più vicino di quanto pensiamo. Perché è tutto collegato. Prima, dimentica un singolo individuo, poi due, poi tre e così via. Infine, tutta la Società dimentica! Noi siamo arrivati a questo, all’ultimo stadio. È innegabile. Noi siamo veramente quelli che dicono: “Tanto, la vita va avanti”. E, con ciò, non voglio dire che bisogni disperarsi e drammatizzare ogni cosa. Io pretendo di rendere reale ogni cosa. Perché l’Olocausto non sono fotografie, libri e film. Sono morti che, fino a poco tempo prima, andavano al mercato, litigavano con la persona che amavano, pensavano al futuro. Con tutto questo discorso, io voglio (non vorrei, voglio) Avere Memoria. Lo faccio scrivendo articoli, bramando un’Etica, interrogandomi su cosa possa veramente cambiare le cose. E mi piace pensare che questo significhi aver già cominciato a farlo. Non ridere, non piangere, ma comprendi!

inchiostroveritas@gmail.com INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013 9


PAVIA

EYE TO THE FUTURE Fotografia e cooperazione internazionale in mostra al Broletto di Irene Doda “Ho fatto delle foto. Ho fotografato invece di parlare. Ho fotografato per non dimenticare. Per non smettere di guardare”. Questa frase di Daniel Pennac riassume il senso della fotografia come documento e racconto della realtà. Non solo trasposizione orale o scritta, sterile descrizione, ma portale verso una comprensione più diretta delle situazioni, degli uomini, dei paesaggi interiori ed esteriori. La fotografia come arte di approccio a situazioni difficili e canale di contatto umano. Ne discutiamo con la studentessa e fotografa americana Kathleen Marie Sullivan. Di situazioni difficili Kathleen e i suoi colleghi sanno qualcosa: nel corso di un Master in Cooperazione allo Sviluppo dello IUSS, hanno compiuto un viaggio in Palestina e nella Striscia di Gaza, per indagare sulle ragioni del conflitto che attanaglia da decenni le regioni e conoscere più da vicino il lavoro di organizzazioni non governative. Hanno raccontato la loro esperienza con gli scatti, allestendo, grazie all’aiuto del fotografo professionista Riccardo Nosvelli, la mostra “Uno sguardo al futuro”, allo Spazio Arti Contemporanee del Broletto, che è stata visitabile dal 18 al 26 gennaio. Kathleen è in compagnia di altre due reporter; una di loro, Lyra, è autrice di alcuni scatti da Zanzibar. Chiedo loro di raccontare dell’esperienza in Medio Oriente. “ In America, non avevo mai sentito molto parlare della situazione a Gaza; per questo, all’inizio, sono rimasta piuttosto scioccata” ci spiega Kathleen. Nella realtà palestinese, i ragazzi sono entrati in contatto con Care, un’organizzazione a favore dei bambini e giovani di Gaza, a cui verrà devoluto il ricavato della vendita delle foto. Il viaggio a Gaza, per molti aspetti, non è stato semplice: le studentesse ci raccontano di problemi organizzativi legati ai visti per gli studenti stranieri.

10 INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013

Nonostante le difficoltà, l’esperienza ha portato i suoi frutti. Ne è nata un’opera culturale e, insieme, benefica, che avvicina una piccola provincia lombarda a uno dei più sanguinosi, magmatici, incomprensibili conflitti del pianeta. La mostra mescola empatia umana, interesse per l’attualità geopolitica e alta qualità tecnica delle fotografie. Le mani ruvide di un intagliatore, la silhouette di un bambino in bicicletta proiettata su un muro scrostato, un uomo che legge placido con la luce che filtra dalla finestra.


PAVIA

Non sono scene di guerra quelle appese alle pareti del Broletto: compaiono anche molti volti sorridenti, scene di giochi e momenti rubati alla semplicità di ogni giorno. “Non abbiamo voluto mostrare la sofferenza, che appartiene alla sfera strettamente privata e non va mai sbandierata. Abbiamo voluto far conoscere la quotidianità, gli aspetti più vicini e familiari di quei luoghi lontani.” Kathleen ci spiega che fotografare è qualcosa di più che raccontare. “Si possono descrivere un grande muro e piccole persone; ma solo attraverso un’immagine si coglie quanto sia grande il muro e quanto piccole le persone”. Quale atteggiamento tenere in situazioni così dure da conoscere e accettare? Distacco o ricerca di un contatto con queste realtà? “ Non abbiamo mai rinunciato al contatto umano. È necessario che le persone si riconoscano tra di loro, che capiscano quanto sono simili nonostante le distanze geografiche e culturali. È un altro intento del nostro viaggio e della nostra esposizione.”

INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013 11


SCIENZA

NON C’È DUE SENZA QUATTRO

Incontro con Giulia Biffi, erede di Rosalind Franklin di Alessio Labanca La notizia è di qualche settimana fa, apparsa sulle prestigiose pagine della rivista anglosassone Nature Chemistry. Un team di ricerca a Cambridge è riuscito ad isolare, per la prima volta in cellule umane, una forma particolare del DNA costituita da quattro eliche, un po’ lontana dalla canonica “doppia elica” cui siamo abituati. In questo team trova spazio anche la dottoressa Giulia Biffi, una ex studentessa del nostro ateneo, giunta a Pavia dopo aver conseguito il diploma scientifico a Bergamo. Si iscrive a Biologia con l’intento di diventare, un giorno, etologa. La svolta arriva durante il secondo anno: decide di dedicarsi alla lotta contro il cancro, sperando di dare un piccolo contributo nella ricerca che porti a terapie più efficaci per combattere «questa piaga che ha afflitto e sta affliggendo amici e conoscenti, e più in generale un terzo della popolazione». Tra il primo e il secondo anno della specialistica (in Biologia Molecolare) ha la possibilità di partecipare, grazie ad una borsa di studio messa in palio dal Collegio Ghislieri, ad un laboratorio della durata di due mesi al St. John’s College di Cambridge. Quest’esperienza l’ha convinta a ritornare a Cambridge: ora lavora nello stesso laboratorio per il dottorato, affiancata da una ventina di persone tra dottorandi e post-doc (compresi altri due italiani), all’incirca metà uomini e metà donne. Quando le abbiamo chiesto, infatti, come vedesse il ruolo della donna in questo particolare settore del lavoro (facendo il nome di Rosalind Franklin, che lavorò a lungo sulle due eliche del DNA) ci ha risposto: «Una cosa evidente è che anche se le donne rappresentano un buon numero tra dottorandi e post-doc (forse anche maggiore rispetto agli uomini), rappresentano ancora una bassa percentuale rispetto ai capi di laboratorio». La scoperta compiuta da questo team, ci dice Giulia, per il momento non ha delle vere e proprie applicazioni in campo medico/terapeutico, affermando inoltre che la notizia è stata un po’ gonfiata dai giornali: «La verità è che questo lavoro è solo l’inizio

12 INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013

di una serie di studi, che saranno necessari per verificare se queste strutture abbiano o meno una funzione, e come la loro esistenza possa portare a nuovi progressi nella battaglia contro il cancro». Le ricerche in questa direzione sono quindi appena all’inizio Com’è (quasi) d’obbligo in questi casi, la domanda-rito è sempre la stessa: pensa di poter tornare in Italia, in futuro? Ci risponde con un perentorio «Non contemplo questa possibilità al momento». Una risposta un po’ scontata: perchè spostarsi da un Paese dove la ricerca è non solo finanziata ma anche supportata, in uno dove può contare poco sul supporto e ancora meno sui finanziamenti? Il punto centrale della questione è sempre lo stesso, dunque: senza capitali da investire nel mondo della ricerca per dare fiducia e motivazione, i giovani talentuosi preferiscono far le valigie e infoltire la schiera dei “cervelli in fuga”. Senza i mezzi adeguati anche le menti più brillanti non possono fare altro che scegliere mete migliori e abbandonare l’Italia. In realtà la situazione a Londra e dintorni non è delle migliori: è di qualche settimana fa la notizia de Il Fatto Quotidiano che riporta l’inequivocabile titolo “Cervelli in fuga dal Regno Unito”. Pare infatti che tra il 2001 e il 2011 poco meno di un milione di persone, tra i 22 e i 44 anni e laureate, abbiano preferito spostarsi verso Stati Uniti, Brasile, Australia e Sud Africa. Il deputato conservatore Nick de Bois, a capo di un comitato parlamentare, ha affermato che ridurre le tasse potrebbe essere un primo passo verso la riduzione di questo vero e proprio “flusso” di cervelli che scappano a causa del “cuneo fiscale”. Il problema quindi non attanaglia solo l’Italia (da troppi anni oramai vittima del fenomeno) ma si sta purtroppo allargando ad altre zone del mondo – e la causa principale, indovinate un po’, è sempre la stessa: il denaro. Anche in questi settori del lavoro non c’è filantropia che tenga: tutto ruota intorno alle motivazioni di natura puramente pecuniaria. Da una parte si preferisce spostare ingenti investimenti in campi diametralmente opposti (l’acquisto di 90 aerei militari F35, “per ammodernare la dotazione dell’Aeronautica militare italiana”, per citarne uno), dall’altro invece delle politiche finanziarie che riescono poco (e male) nel tenere inalterati delicati equilibri. Riusciamo a vedere la luce alla fine di questo tunnel? Con molta difficoltà, indubbiamente. Complice anche la crisi economica internazionale, il mondo della ricerca sta vivendo un brutto periodo (come tanti altri settori del lavoro, d’altronde) un po’ ovunque. In questi casi, non possiamo che augurarci che tutto vada per il meglio. Per Giulia, i suoi collaboratori e la ricerca tutta.


SPECIALE SI SALVI CHI PUÒ (ma noi non può)

di Erica Maria Rinaldi

Sguardi allucinati, chiome arruffate, volti scavati: sintomi inconfondibili che tutti noi ormai abbiamo imparato a riconoscere. C’è una sola diagnosi possibile: sessione d’esame. Pavia è diventata una città fantasma. Nella fredda nebbia mattutina galleggiano poche facce smunte in attesa dell’autobus e i famosi mercoledì sera non esistono più, nemmeno nei ricordi. Gli studenti universitari, solitamente così socievoli e gaudenti, in questo drammatico periodo dell’anno diventano selvatici e solitari, vittime innocenti del “ma perché diavolo anche quest’anno non ho iniziato a studiare un po’ prima?”. Da un giorno all’altro si ritrovano sepolti vivi nelle loro stanze, dove vagano come anime in pena declamando ad alta voce formule matematiche, poesie francesi, leggi finanziarie, oppure borbottando in modo indistinto vocaboli cinesi, articoli della Costituzione, paradigmi greci… Ogni superficie piana disponibile è occupata da libri: i loro, quelli che si sono fatti prestare, quelli della biblioteca, quelli che hanno fotocopiato (ovviamente mantenendosi sotto la soglia del 15%, siamo tutti persone oneste). Poi ci sono gli appunti, suddivisi in modo “logico e ordinato” fra quaderni, block notes, computer e quei dannati foglietti volanti che sono sempre dovunque ma che non si trovano mai quando servono davvero. E le fotocopie degli appunti altrui. E le slide online. E le schede distribuite a lezione, gli schemi, i riassunti, le tabelle e mille altri strumenti di tortura, insieme all’indicibile quantità di evidenziatori multicolor, penne, matite, gomme, righelli eccetera eccetera. Che poi svaligiare le cartolerie è del tutto inutile, perché tanto la penna si scarica immancabilmente a metà dell’esame. Ma anche lo studente più paranoico e scontroso non può sopportare la solitudine assoluta, e c’è sempre qualcuno, o meglio qualcosa, che lo sostiene. Sul tavolo infatti c’è sempre, sempre, un’enorme tazza di caffè, divina sostanza senza la quale ogni veglia

notturna sarebbe impossibile. Gli orari degli studenti universitari in sessione hanno ben poco a che fare con quelli dei comuni mortali: levatacce al mattino presto, tirate fino a notte fonda, pause sempre più brevi mano a mano che la data dell’esame si avvicina. Il termine “sonno” è un tabù, una maledizione che cercano di scacciare in tutti i modi, anche con i metodi meno ortodossi: la leggenda metropolitana del “caffè dell'universitario” ormai è più famosa dei coccodrilli di New York. Quando poi arriva il fatidico giorno, allora si assiste a un’impressionante varietà di tic nervosi, piccole manie, veri e propri rituali scaramantici che farebbero invidia a una setta satanica. La colazione (o il pranzo) prima dell’esame vanno consumati rigorosamente fuori; l’abbigliamento deve essere scelto in modo meticoloso. L’outfit perfetto è il frutto di un sapiente dosaggio fra abiti eleganti, comodi e soprattutto portafortuna (in particolare la biancheria intima: c’è gente che senza le sue “mutande da esame” neanche si iscrive all’appello). Ognuno col passare del tempo si costruisce la sua piccola collezione privata di ninnoli e oggettini vari con cui riempirsi le tasche per rendersi propizia la sorte; arrivati all’ultimo istante infatti non resta che affidarsi al Fato. Riconoscendo negli occhi dei compagni di sventura lo stesso sentimento, quella sorta di rassegnazione fiera, l’unico pensiero ormai è “o la va o la spacca”. Il destino però è di due generi: benevolo, se le domande vertono sulla parte di programma che si conosce meglio, o infame e traditore se vengono richieste le uniche cose che si ricordano meno. Ma non si finisce mai di studiare, perché dopo aver fatto un esame bisogna subito preparare il successivo: è un ciclo continuo, un eterno ritorno. C’è giusto il tempo per una fugace e trasgressiva serata tra amici, per festeggiare (o dimenticare, a seconda dei casi) l’esito di quest’altra immane fatica con abbondanti quantità di alcolici. Credete che siano solo banali luoghi comuni, che non abbiano alcun riscontro con la realtà? Mi spiace ragazzi ma, purtroppo, siamo tutti sulla stessa barca. Potrete negare, minimizzare, girarvi dall’altra parte facendo finta di nulla, ma è questa la dura verità. L’inizio di marzo è un miraggio lontano, apparentemente irraggiungibile… Ce la faranno i nostri eroi? In bocca al lupo a tutti!

SPECIALEINCHIOSTRO INCHIOSTROFEBBRAIO MESE ANNO SPECIALE 20131313


SPECIALE

MA A TE COS’HA CHIESTO?

iPassaEsame Unipv: l’app per sapere cosa aspettarsi all’esame di Claudio Cesarano Studiare. Certo. Quello è il modo per superare gli esami. Ma a volte non basta o non c'è tempo o, ammettiamolo, la voglia di farlo per bene. E allora un aiuto non fa male. IpassaEsame Unipv è un app per sistemi iOS(Apple) e Android che si propone come sostegno alla preparazione degli esami indicando le domande più frequenti e giudicando il grado di severità dei professori dell'Università di Pavia. È stata realizzata da tre ragazzi di Giurisprudenza dell '88 che preferiscono rimanere anonimi “per non compromettere il progetto legandolo a simpatie ed antipatie personali”. Inchiostro - Come nasce l'idea? Ideatori - A noi piace “fare”. Tutti e tre abbiamo un iPhone e l'idea di creare un app del genere ci c'era balenata in testa molto tempo fa, poi abbiamo conosciuto un programmatore, ci siamo informati su come realizzarla ed allora abbiamo visto la possibilità di fare qualcosa che mancava, non solo a livello pavese, ma anche a livello nazionale: poche università, infatti, hanno un'applicazione dedicata. Perché gratis? Proporre qualcosa di nuovo a pagamento ci sembrava esagerato, anche perché molti sono ancora restii a comprare app. Dato che i costi di realizzazione e mantenimento del server non sono indifferenti abbiamo cercato fin da subito degli sponsor che credessero nella nostra idea e che, piuttosto che cercare una pubblicità casuale su un giornale locale, volessero più visibilità nel pubblico universitario. Di guadagnare per ora non se ne parla. L'app permette agli studenti di aggiungere domande e giudizi: non rischia di diventare un servizio inutile se lasciato in mano a chiunque? Inizialmente ci siamo basati sulla nostra esperienza a Giurisprudenza e su quella di amici di altre facoltà per i contenuti. L'idea base, però, è sempre stata quella di creare uno spazio in cui gli utenti interagiscano. Proprio per evitare che si scada a livello contenutistico, le domande che gli utenti sottopongono devono essere prima autorizzate attraverso un pannello di controllo sul nostro server che gestiamo noi a turno. Chiediamo anche conferma ai nostri amici nelle varie facoltà per controllare che i giudizi siano quanto più possibile veritieri. Certo, rimangono sempre dei consigli soggettivi. Ma alla fine facciamo quello che fanno normalmente gli studenti per preparare l'esame andando agli appelli precedenti, raccogliendo le domande, chiedono a chi ha già sostenuto quell'esame. A quanto ammonta la spesa complessiva per la realizzazione di iPassa Esame? Per dare un servizio adeguato abbiamo preferito prendere il meglio scegliendo un server che ha molte funzionalità automatiche, in modo da non avere problemi di gestione ed essere sicuri di non perdere il lavoro fatto. Per l'applicazione iOS ci sono dei costi aggiuntivi di iscrizione al programma di sviluppo Apple di circa 150 € all'anno che ti permettono sia di sviluppare il programma che di mantenerlo sullo Store. Android è molto più aperto e meno costoso: gli aggiornamenti sono più facili perché non richiede controlli o autorizzazioni particolari. Il vero sbarramento in questi casi sono i costi di sviluppo: abbiamo provato a parlare con delle agenzie prima di contattare il nostro attuale sviluppatore ma i costi sono altissimi. Per un'applicazione semplice come la nostra si va dai 6000€ in su.

14 INCHIOSTRO FEBBRAIO FEBBRAIO 2013 SPECIALE INCHIOSTRO 2013

Cosa serve per realizzare un app? Per i giovani il mercato delle App può diventare un vero e proprio lavoro? Bisogna partire da una buona idea, pianificare con cura lo sviluppo, registrarsi e vedere se funziona. Il resto dipende molto dalle abilità di ciascuno: di certo chi ha già alte competenze informatiche può trasformarlo in un lavoro ma se vuole vivere di quello deve considerarlo a tempo pieno. Ideare e realizzare questa app, ad esempio, ci ha richiesto un anno di lavoro nonostante fossimo in quattro. Nel vostro caso le competenze acquisite all'università non vi sono servite, dunque? Ci sono servite per regolamentare i rapporti tra di noi: nonostante ci fosse un rapporto di amicizia, anzi, soprattutto per preservare questo rapporto abbiamo deciso di mettere tutto per iscritto. Le nostre conoscenze sono servite anche per sapere come muoverci a livello di finanziamento e regolamentarlo a livello contrattuale. Cosa prevederanno i prossimi aggiornamenti? Innanzitutto ottimizzeremo l'app per iPhone 5 ed in futuro vorremmo farla sbarcare anche su RIM (Blackberry) e Windows 8: per ora ci siamo limitati alle due piattaforme principali, anche perché ogni aggiornamento ha dei costi, ed adattare l'app ad ogni sistema è quasi un reiniziare da capo . Vorremmo sviluppare la bacheca alloggi permettendo dei collegamenti diretti alle agenzie mobiliari: queste però in un momento di crisi sono molto restie a collaborare e ad investire in un progetto come il nostro. L'obiettivo è quello di rendere quest'app utile a 360 gradi con bacheche eventi e per passarsi appunti. Qual è stato il riscontro? È stato buono: più di 2000 download su iOS e 500 su Android. Speriamo in ulteriori finanziamenti che ci permettano di migliorare il nostro progetto. Secondo te, oltre alla preparazione qual è l'aspetto più importante nel preparare un esame? Sicuramente la fortuna. È vero però che uno deve sapersela creare ed usare qualche trucco: io, ad esampio, mi metto il maglione da bravo ragazzo, mi porto sempre una penna in tasca e preparo sempre un argomento a scelta. Piccoli trucchi. Sapere già le domande più chieste in un esame aiuta molto a cavarsela Continuerete a realizzare app? Sì, abbiamo già un progetto in mente ma per ora è un segreto. L'ambito sarà sempre quello universitario: sarà un utility per tutti gli studenti dell'Università di Pavia che aiuterà molto a livello di utilizzo dei servizi. Ti assicuro che tutti correranno a scaricarla.


È INTELLIGENTE MA NON SI APP-LICA!

SPECIALE di Claudio Cesarano

Tutte le App più utili per gestire la tua vita universitaria

Mentre ti sforzi di convincere tutti che Ruzzle sia un'app istruttiva e che, quindi, quell'oretta passata a sfidare amici e sconosciuti a colpi di “are-ere-ore” sia di fatto parte del programma intensissimo di studio, c'è un universo di app davvero utili per la tua preparazione universitaria. Ne segnaliamo alcune dando la precedenza a quelle gratuite e con più funzioni. Nell'attesa che prima o poi Siri possa sostenere l'esame orale al posto nostro.

- iTunes U [iOS] Se non avete mai sfruttato quest'app state perdendo un universo di informazioni: podcast, video e appunti di seminari e lezioni da tutte le università del mondo. Tra le università italiane, particolarmente ricco è il catalogo della Federico II

- iMindMap [iOS – Android - Windows Phone] Se per voi creare mappe concettuali è una parte indispensabile nello studio, quest'app vi permetterà di crearne di originali, graficamente accattivati e facilmente condivisibili con altri smartphone

- Flashcards+ [iOS] Questa app vi permetterà di creare delle flashcards ovvero brevi elenchi tematici che possono essere utili per memorizzare o per fare un ripasso dell'ultimo secondo.

- Libretto Universitario [Android] Nostalgia per il libretto cartaceo? Un app può sostituirlo e fare anche di più: questa, oltre a tenere il conto dei tuoi esami, permette di calcolare immediatamente la media (ponderata o semplice), sapere quanto il voto del prossimo esame influenzerà il tuo rendimento e calcolare il voto di laurea.

- Orario Scolastico Deluxe [Android] La tua vita universitaria in una sola app. Puoi creare il tuo calendario delle lezioni, scandendo vacanze, compiti ed esami Da notare qualche errore di ortografia qua e là (la versione originale è tedesca), ma per il resto è molto funzionale.

- Prezi [iOS] Slide dopo slide le presentazioni Powerpoint sembrano tutte uguali. Prezi usa un canovaccio nel quale si può fare zoom in avanti e indietro sui diversi elementi. È semplice, efficace e aiuta a rappresentare e mantenere il quadro d’insieme. Si lavora sul sito prezi.com e si usa l'app per vedere la presentazione

- Appunti di Diritto dell'Economia [iOS] Di appunti di ogni genere ne è pieno Internet: segnaliamo qui un ebook scritto da Iacopo Bolzoni, studente di Economia della nostra università

INCHIOSTROFEBBRAIO FEBBRAIO2013 20131515 SPECIALE INCHIOSTRO


SPECIALE

TIMES ARE @-CHANGIN’ La digitalizzazione universitaria: tempo di confronti di Giulia Gallotti Ce ne siamo accorti tutti, ma forse ancora di più chi è in università da qualche anno in più di me: la tecnologia sta prendendo il sopravvento. L'immagine, che dovrebbe essere tutto sommato positiva, ha in sé un che di temibile. La digitalizzazione dovrebbe infatti rendere le cose, se non più semplici, almeno più rapide, e non sempre questa promessa viene mantenuta dalle nostre strutture/uffici universitari. Sono abbastanza convinta che, a questo punto, il vostro pensiero è volato a quello che è un po' l'emblema della digitalizzazione universitaria: l'area riservata. Ebbene si, è proprio qui che si concentra tutta la nostra fatica di studenti che vogliono stare al passo coi tempi: vogliono, certo, ma non sempre ci riescono. I motivi sono plurimi ma, evitando di far menzione della sconcertante negazione di alcuni di noi per la tecnologia, il vero problema andrebbe scovato negli uffici di chi gestisce il tutto. E, a quanto si vede, lo fa con non poca fatica. Ci sono le difficoltà di iscrizione agli esami, voti non registrati, piani di studio che suscitano più problemi degli esami stessi (dopo che il mio piano è stato approvato dopo lunghe peripezie, mi sono arrivate all'incirca un centinaio di e-mail per portarmi a conoscenza della bella notizia). Ed è proprio sul terreno degli esami che l'informatizzazione ha apportato le modifiche più sentite. Chi si è iscritto, come me, nell'anno accademico 2011/2012 avrà notato la scarsa presenza dei tanto nominati libretti universitari. Questo è infatti il secondo anno in cui i risultati degli esami non vengono più trascritti a livello cartaceo, ma registrati direttamente on-line nella propria area riservata (un po' il nuovo libretto digitale). Durante i miei primi appelli vedevo una luce di panico negli occhi delle altre matricole, dovuta al pensiero "dove verrà registrato il mio voto" o, ancora peggio, al dubbio "e se NON viene registrato?". Il professore impiegava una buona prima mezz'ora nella spiegazione del funzionamento di questa nuova procedura, che dopo qualche incertezza iniziale veniva seguita senza intoppi. Mi è parso che l'elemento causante il più del disturbo fosse l'ormai nota ateneo card: altra occhiata di panico tra chi si accorge di averla dimenticata, subito seguita da un sospiro di sollievo dopo aver capito che non serve a nulla per dare l'esame. In tanti si sono chiesti se servisse questa sorta di carta di credito per registrare i voti, forse pensando di comportarsi come in una boutique (per registrare "striscio" la carta): la risposta è no, anche se l'idea poteva essere divertente (e forse appagante per i malati di shopping). Siamo quindi di fronte ad un sistema universitario sempre più al passo con la tecnologia, in cui i risultati degli esami sostenuti arrivano in pochi giorni per e-mail e, in caso si volesse rifiutare il voto, basta rispondere e mettere a conoscenza il docente.

16 SPECIALE INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013

In realtà, l'ultima parola non è ancora detta. Per qualche strana spiegazione che faccio fatica a comprendere, la tecnologia prospera solo in alcune (forse la maggior parte) delle facoltà, ma non in tutte. Nonostante gli immatricolati dell'anno 2010/2011 dovrebbero essere gli ultimi detentori del libretto universitario, non sempre questo corrisponde a verità. Faccio un esempio: io mi sono iscritta a Giurisprudenza nell'anno 2011/2012 e non ho mai visto i miei voti scritti da nessuna parte, se non on-line; una mia coetanea iscritta lo stesso anno a Geologia non ha mai visto i suoi voti da un computer. Strano, direte voi: ho pensato la stessa cosa, eppure forse così strano non è. Spesso questi cambiamenti avvengono in due modi: o la tecnologia si sostituisce in ogni campo nel giro di un battito di ciglia, lasciando gli utenti un po' stupiti e costringendoli in qualche modo ad adattarsi; oppure si inserisce a passi lenti, lasciando molte zone scoperte che dovranno essere riempite più avanti. Questo è il nostro caso. Un problema che sorge spesso quando si fa i conti con l'innovazione (qualsiasi tipo di innovazione) è il dovervi fare l'abitudine, e gli studenti se ne sono accorti. La digitalizzazione è da preferire in quanto è reso tutto più immediato e semplice, dice qualcuno, ma nello stesso tempo mette in mostra le poche capacità dell'università di starvi dietro: ogni due per tre c'è qualcosa che non funziona. E allora si arriva all'inevitabile domanda: è da preferire questo nuovo lato tecnologico, o il classico "si stava meglio quando si stava peggio"? È meglio avere i propri voti registrati sulla propria pagina internet, protetti da una buona dose di privacy, o vederli raccolti in un libretto accettando però di doverci fare i conti di fronte ai docenti? In fondo, la distinzione più grande è proprio questa ed è anche quella più sentita dagli studenti. I sostenitori delle pratiche on line ne esaltano proprio la "segretezza" e la spinta all'innovazione: finalmente anche le università italiane guardano avanti, e passi di questo tipo si stanno muovendo anche nella scuola elementare e superiore. La digitalizzazione degli esami ne è una piccola, e a parer mio apprezzabile, parte. I detentori del libretto non sembra notino una particolare differenza: anche riguardo ai voti che non possono essere "nascosti", che potrebbero considerarsi come l'unica nota negativa, c'è chi dice potrebbero essere una motivazione per prendere voti migliori. In fondo, non è difficile che siano proprio i voti alti degli esami precedenti a salvare alcuni studenti in quei casi in cui non si riesce a dare il meglio di sé. Come ho detto, io appoggio comunque l'innovazione. Veloce o lenta che ne sia l'effettiva applicazione, servirà a costruire la società di domani, in tutti i campi. L'ambito universitario (così come quello scolastico) è fatto per preparare gli italiani di domani: ed è meglio per tutti se saranno (e saremo) italiani al passo coi tempi. Nel frattempo, abituiamoci alla parola on line e ad usare Twitter (anche l'Università ha un suo account, come molti sapranno) per tenerci in contatto: insieme è più facile, soprattutto in tempi di cambiamento.


CULTURA

IL MITO NON-MORTO di Erica Gazzoldi

Il “fenomeno Twilight” ci ha abituati a vederli come un sogno adolescenziale, ma i vampiri hanno una storia assai meno rassicurante e che travalica la fiction. Essa è in mostra alla Triennale di Milano, sotto il titolo “Dracula e il mito dei vampiri” (23 novembre 2012 – 24 marzo 2013). L’anno scorso è caduto il centenario della morte di Bram Stoker, il “padre” del noto personaggio. Da qui probabilmente l’idea dell’iniziativa, organizzata in collaborazione, oltre che con La Triennale, con il Kunsthistorisches Museum di Vienna. L’allestimento è stato curato da Alef, lo stesso staff che ha lavorato a Pavia per la mostra di opere di P.A. Renoir. L’esposizione è articolata in nove sezioni, che tracciano un percorso dalle origini alla modernità, dalle tenebre alla luce. In apertura il trailer di “Bram Stoker’s Dracula”, diretto da Francis Ford Coppola (1992), un film che fece “tabula rasa” dei cliché già affermati, rintracciando l’ispirazione storica del protagonista e puntando sulla qualità dei costumi. Per l’appunto, la mostra ospita un omaggio a Ishioka Eiko, la costume designer che rivestì i personaggi, ispirandosi alla natura e a Gustav Klimt. Subito dopo, i ritratti secenteschi di Vlad III Dracula, voivoda [titolo attribuito nell’Europa centro-orientale ai capi o governatori di determinati territori, con estesi poteri civili e militari] della Valacchia (1431? – 1476?). Stoker si ispirò a questa guerriera e controversa figura per creare il proprio vampiro, da cui la convinzione che la creatura sia tipicamente transilvanica; “vampir” in realtà è un termine serbo-croato. La credenza è tanto radicata nei Balcani da suscitare tuttora psicosi collettive: del 29 novembre 2012 è l’articolo “Vampiri terrorizzano la Serbia”, sul sito “La Voce della Russia” . Ma alla malefica figura sono state attribuite anche origini scandinave, tedesche, egizie. La documentazione esposta a Milano porta il visitatore in epoche e mondi in cui s’incrociavano il raccapriccio per fenomeni legati alla decomposizione, allucinazioni dovute a malattie,

convinzioni religiose (si pensi al “Diavolo sotto vetro”, proveniente dall’Austria). Poi, i “morti viventi” o i “Nachzehrer” (“mangiatori di sudario”). La sezione “La realtà dietro il mito” è stata curata da Margot Rauch. Dalla storia e dall’antropologia si passa ai precedenti letterari di “Dracula” (1897): sono esposte le prime edizioni di “The Vampyre” di J. W. Polidori (1819) e “Carmilla” di Sheridan Le Fanu (1872), nonché locandine di spettacoli teatrali a tema. Sono offerti al pubblico gli appunti e il “diario perduto” di Stoker, oltre alla prima edizione del suo romanzo, con dedica manoscritta alla madre. La sala successiva ospita “Le casse di Dracula”: box in legno contenenti altrettante minisezioni. In una, l’opera e la voce dell’arch. Italo Rota si calano nei panni d’un vampiro che arreda la propria dimora; un’altra invita a spiare dal buco della serratura “Il bacio del vampiro”, antologia di scene cinematografiche. Il critico Gianni Canova ha allestito “Morire di luce”, serie di tre schermi su cui sono proiettati brani filmici, intercalati da citazioni eloquenti; anche le pareti ostendono frasi d’autore. Una linea del tempo traccia le diverse percezioni del vampiro nelle varie epoche: materializzazione dell’inconscio, flaneur metropolitano,

emblema dell’eros, rilettore della Storia o uomo fra gli uomini. Sono una sequenza storica anche i costumi della “donna vamp”, creazione del cinema e della fotografia (fine XIX – inizio XX sec.). Giulia Mafai spazia fra teatro e mondanità, approdando al burqa come polemica verso una cultura che “risucchia” la personalità; “La moda e i vampiri” propone un contributo fotografico de “L’Uomo Vogue”. Il percorso si chiude con un omaggio a Guido Crepax, il fumettista che “succhiava” la vita altrui, per rifonderla nelle tavole. Alla Triennale, si terranno perfino cinque giornate dedicate alla promozione delle donazioni di sangue (iniziativa AVIS). Tutte tappe d’un percorso in cui il Vampiro, nelle sue varie declinazioni, si rinnova come pretesto per parlare dell’Uomo. www.draculamilano.com Catalogo: “Dracula e il mito dei vampiri”, Milano, 2012, Skira.

INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013 17


GIRLFRIEND IN A COMA: L’ITALIA NON SI SMENTISCE Il MaXXI rimanda il documentario sull’Italia addormentata di Andrea Viola Una sensazione di annebbiamento, di stasi, di impotenza. Un Paese avvolto in una specie di bambagia che filtra ed attutisce pensieri, azioni e tendenze che vogliano in qualche modo liberarsi dalle catene di un inesorabile immobilismo. Una nazione incapace di strapparsi di dosso una camicia di forza che le impedisce di rialzarsi e camminare a testa alta. È la nostra povera e malconcia Italia la protagonista di Girlfriend in a coma, documentario realizzato a quattro mani da Bill Emmot (ex direttore de The Economist di Londra) e Annalisa Piras (filmmaker e corrispondente da Londra per l’Espresso): un’opera che si interroga sul processo di declino che da vent’anni ad oggi continua ad avanzare sull’onda di una politica scellerata e finalizzata solo all’interesse ed al tornaconto personale, ignorando concetti come “lungo termine” e “benessere collettivo”. Un documentario che evidenzia come tutto ciò abbia prodotto effetti anestetici su cultura, costume e società di un Paese ormai addormentato, in coma, proprio come la fidanzata del titolo. Realizzato nel 2012, e presentato per la prima volta lo scorso 26 novembre presso l’Istituto d’Arte Contemporanea di Londra, il documentario verrà proiettato nei principali festival internazionali nel corso di quest’anno ed era atteso in Italia il 13 febbraio, per una proiezione in anteprima nazionale al MaXXI di Roma (il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo). Nel pieno della campagna elettorale nazionale il museo (o chiunque l’abbia spinto ad effettuare tale scelta) ha tuttavia deciso di posticipare la proiezione a dopo le elezioni, per tutelare la par condicio e non scadere in una politicizzazione che, evidentemente, non è consona ad un contesto come quello del MaXXI. Giovanna Melandri, neo presidente del museo ed ex sottosegretario alla cultura, afferma infatti: «Mi dispiace per Emmott e per le proteste ma non cambio idea: ho detto no all’anteprima di Girlfriend in a coma il 13 febbraio perché sono convinta che sia mio dovere tenere fuori la campagna elettorale dal Maxxi, che è un museo pubblico, finanziato dai contribuenti». Un vero peccato perché allora, come afferma Stefano Corradino, direttore del sito Articolo21 che denuncia e combatte ogni

forma di censura, dovrebbero essere cancellate, o quantomeno rimandate, le programmazioni di innumerevoli film che in maniera diretta o meno affrontano temi scottanti, come quelli del documentario di Piras ed Emmot. Ed è proprio quest’ultimo ad aver lanciato un indignato appello su Twitter, chiedendosi se un simile atteggiamento sia il risultato di censura o stupidità. L’indagine del fenomeno della “mala Italia” è condotta con il potente e diretto strumento dell’intervista, che nel caso di Girlfriend in a coma coinvolge diversi esponenti di economia, cultura e politica italiana, tra cui Umberto Eco, Emma Bonino, Lorella Zanardo, Roberto Saviano, Susanna Camusso, Mario Monti, Sergio Marchionne e Nanni Moretti; il tutto, affondando sul tema del berlusconismo, attorno al quale emergono aspri toni di critica ed accusa. Una pellicola scomoda insomma, non solo per il contenuto in sé ma soprattutto per il momento storico in cui viene proposta. Nulla di nuovo all’orizzonte, se vogliamo, sia per quanto riguarda la tematica, sia per la scelta di intervistare alcune personalità che, in un modo o nell’altro, non potrebbero comunque dichiararsi “pulite” e libere da ogni responsabilità al 100%. Ciò che conta è che si continui a parlare di un Paese che, da troppi anni, aspetta speranzoso colui che lo risvegli da un coma all’apparenza senza fine, e che sia in grado di ridare alla gente la capacità e la coscienza di reagire prendendo finalmente in mano le redini di una nazione che le appartiene. In attesa di ulteriori novità sarà comunque possibile vedere Girlfriend in a coma, in streaming sul sito de L’Espresso dal 14 febbraio e in prima visione su Sky Cinema Cult venerdì 15 febbraio. Da Milano arriva inoltre un’ulteriore risposta alla censura romana: lunedì 18 febbraio la pellicola sarà presentata a Palazzo Mezzanotte, cuore finanziario della città, proiezione alla quale si potrà partecipare su invito, previa registrazione all’evento.

18 INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013

UNO, NESSUNO E... 100.000 NO di Irene Brusa

Mentre scrivo il numero cambia velocemente. Ecco: più di 100.000 “no”, che appartengono alle firme di cittadini che sostengono la campagna “Riparte il futuro”. Firmare è totalmente gratuito, si richiede solo di condividere un ideale: il rifiuto della corruzione nel nostro Paese. “Riparte il futuro” è una campagna apartitica, lanciata da LIBERA e da Gruppo Abele in occasione delle elezioni del 24-25 febbraio 2013. L’obiettivo di breve periodo è infatti quello di chiedere ai candidati politici di sottoscrivere questi precisi impegni: 1. Inserire nella propria campagna elettorale la promessa di continuare il rafforzamento della legge anticorruzione iniziato con la riforma del novembre 2012. Concretamente, modificare la norma sullo scambio elettorale politico-mafioso (416 ter) entro i primi cento giorni di attività parlamentare, con l’aggiunta della voce “altra utilità”. 2. Pubblicare il proprio Curriculum Vitae con indicati tutti gli incarichi professionali ricoperti. 3. Dichiarare la propria situazione giudiziaria e quindi eventuali procedimenti penali e civili in corso e/o passati in giudicato. 4. Pubblicare la propria condizione patrimoniale e reddituale. 5. Dichiarare potenziali conflitti di interesse personali e mediati, ovvero riguardanti congiunti e familiari. Gli elettori potranno così conoscere il percorso professionale dei candidati “trasparenti” e dare un voto più consapevole. È una battaglia civile che non vuole scontri né urlate di piazza, è portata avanti in modo innovativo, a partire dai mezzi con i quali si propaga – web e social media – rivolgendosi a tutti indiscriminatamente, con l’obiettivo di creare nuova coesione sociale su un problema che condiziona il prestigio del Paese. Ci vuole un cambiamento importante, e non è certo raggiungibile nel medio termine La forza di questa petizione sta nel pretendere obiettivi di lungo periodo, per instaurare una storia politica nuova. Io “ci ho messo la faccia”, ho letto termini e motivazioni della petizione: credo sia giusto lasciare un segno concreto. Il sito è www.riparteilfuturo.it . Non importa in chi credi, ma la direzione che vorresti dare all’Italia, e a chi ha in mano poteri decisionali. Ripartiamo?


INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013 19


CULTURA

TUTTI PAZZI PER LE STATUETTE Gli Oscar e la notte in cui le stelle non dormono Febbraio: tempo di premi Oscar e tutti diventano cinefili. Ma quale smacco migliore alla continua gara alle nomination che si ripete di anno in anno (con pagine e pagine di articoli a riguardo) che realizzare il 23 febbraio i Razzie Awards? Sono le candidature dei film giudicati i peggiori dell’anno, e contemplano le categorie che si possono poi ritrovare nella serata più seria degli Oscar (migliore regia, migliore attore protagonista e non, ecc..), solo con la sostituzione con “peggiore” che precede. È esattamente il giorno prima della cerimonia degli Oscar ufficiali, solo che qui il red carpet non accoglie onori, speranze e glorie ma forse un po’ più di delusioni e vergogna. Passando invece da una serata in cui Breaking Dawn: parte seconda si candida con ben 11 nomination a diventare il peggior film dell’anno (e secondo alcune voci, di sempre), C’è invece chi si è guadagnato meritatamente 12 nomination main ben altra serata, quella del giorno dopo. Lincoln si promette di essere uno dei grandi successi dell’evento, e già con queste numerosissime candidature si è aggiudicato quantomeno grande interesse e curiosità dal pubblico. Il creatore de I Griffin Seth McFarlane sarà colui che guiderà gli eventi e i giochi nella “notte delle stelle”, e chissà mai che renda la serata un po’ più graffiante e politicamente scorretta, come i personaggi da lui inventati. E dopo 36 anni dalla vittoria dell’Oscar come migliore canzone originale, si esibirà sul palco degli Academy Awards Barbra Streisand. Si unirà a quest’ultima anche Adele, fresca di nomination per quest’edizione. Le premesse ci sono tutte. I soliti rumours anche. Perciò se può deludere un’assenza come quella di Leonardo Di Caprio per la sua interpretazione del “cattivo” in Django Unchained, e se forse lo stesso Tarantino sperava che fossero accreditate maggiori candidature alla sua ultima fatica, di certo si “rumoreggia” a proposito di Argo di Ben Affleck, una vera e propria rivelazione dell’anno che ha già stravinto ai Golden Globes del 13 gennaio. Infatti nel testa a testa tra due film drammatici americani altamente patriottici, alla fine sul favorito ultimo film di Steven Spielberg ha avuto la meglio proprio l’outsider. Aggiungendo anche che la pellicola di Ben Affleck ha convinto il Sindacato Produttori, ed è noto che negli ultimi cinque anni la scelta del miglior film per questo particolare premio ha sempre poi rispecchiato fedelmente anche l’esito successivo della notte degli Oscar. Le aspettative si alzano ancora di più sapendo che il 28 gennaio si è aggiudicato anche i Sag Awards, i premi assegnati dal Sindacato Attori, battendo sempre lo stesso rivale nella categoria miglior film. Argo si sta rivelando un mostro “divorapremi” in tutte le serate di questa stagione del cinema. Film già visto dunque, con identica sceneggiatura nella notte degli Oscar? Di sicuro non si può parlare di spreco di pellicola per loro. E che dire delle altre “voci di corridoio”che vedono una matura Anne Hathaway come possibile rivelazione con la sua interpretazione magistrale canora e non ne “Les miserables”, musical con sceneggiatura direttamente tratta da anni e anni di repliche per questo spettacolo nei teatri di Broadway? Impossibile sapere come andrà: come ogni anno, ci accontentiamo dei rumours e di stilare nostre personali classifiche, aspettando il 24 febbraio. Certo è che questa stagione di premi non se ne va mai senza parlare di sé. Occhi puntati sul red carpet e sui risultati, ma anche per tutto lo spettacolo in mezzo. Tempo di Oscar e tutti sono cinefili, diventano cinefili, si improvvisano cinefili. Ma anche questo articolo è sugli Oscar. Dannazione.

20 INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013

di Maria Grazia Bozzo


IL CALCIO D’OLTREMANICA

INTRVISTA

Italia e Inghilterra a confronto di Stefano Sette Con la pausa invernale delle competizioni europee le capoliste dei principali campionati europei – Bundesliga, Liga e Premier League – hanno aumentato il divario tra loro e le dirette inseguitrici. Fanno eccezione la Ligue 1 e la Serie A: quello francese è il torneo più equilibrato, dal momento che tre squadre si giocano il primato nell’arco di pochi punti, mentre nel campionato italiano la Juventus ha avuto un calo di risultati che hanno riportato in corsa Napoli e Lazio. Inchiostro ha intervistato Nicola Roggero, telecronista di Sky Sport esperto di calcio inglese, per scoprire quali differenze regolamentari e culturali separano il calcio d’oltremanica e quello italiano. Inchiostro – Quanto possono influire le gare europee sulla corsa Scudetto visto che, oltre alla Juventus, sono impegnate anche Lazio e Napoli? Nicola Roggero – L’impegno in Europa in genere influisce, ma non credo che quest’anno sarà decisivo per il campionato italiano, la Juventus è troppo superiore a Napoli e Lazio.

Dal 2014-15 in Lega Pro parteciperanno 60 squadre: solo tre anni fa ce n’erano 90. È un primo passo verso la riduzione degli organici anche in Serie A e B? Spero di sì, anche perchè nelle attuali condizioni anche la B non è in grado di sopravvivere a livello professionistico. Oggi la dimensione del calcio italiano è un solo campionato professionistico con non più di 20 squadre (se pensiamo che l’NFL o l’NBA in un Paese come gli Stati Uniti hanno una trentina di club mi sembra chiaro il concetto). Inoltre le squadre in Italia vivono quasi esclusivamente con i soldi delle Tv, con un contratto decisamente superiore alle dimensioni del nostro campionato. E al prossimo rinnovo le cifre che verranno spuntate saranno assai inferiori. Con l’ultimo scandalo scommesse si è molto discusso sulla responsabilità oggettiva. Questo principio esiste anche in Inghilterra oppure funziona diversamente? In Inghilterra non hanno il problema delle scommesse (almeno non nella dimensione del nostro Paese). La responsabilità oggettiva grava sulla squadra di casa per il regolare svolgimento di un match, ma eliminata la violenza da stadio ormai da 25 anni problemi di quel tipo non si sono più verificati. Nel 2002 è stato fondato l’AFC Wimbledon dai tifosi della vecchia società, e in pochi anni la squadra ha raggiunto il livello professionistico. Una cosa del genere può avvenire anche in Italia o è più complicato? In Inghilterra i club minori hanno un numero di appassionati superiore ai loro “confratelli” italiani. Uno di Reading, per farti un esempio, è molto facile tifi per il Reading. Uno di Sassuolo, invece, è probabile tifi per Juve, Inter o Milan ed eventualmente ha simpatia per la sua squadra. Per questo è più facile organizzare il salvataggio di un club in Inghilterra: quando ci sono da tirare fuori dei quattrini è più agevole che il tentativo abbia successo se si è in tanti.

INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013 21


SPORT

IL MATTINO HA L’ORO IN BOCCA Cerimonia di Inaugurazione dell’Anno Accademico Sportivo 2012/2013

di Simone Lo Giudice e Giuseppe Enrico Battaglia

Aula Magna gremita e atleti olimpici in prima fila. Una cerimonia d’apertura che suggestiona come farebbe un film d’interesse culturale. “ Il mattino ha l’oro in bocca”; l’alba del nuovo Anno Accademico Sportivo ha i riflessi metallici delle medaglie olimpiche conquistate dai quattro atleti iscritti all’Università di Pavia: Mauro Nespoli (medaglia d’oro nella gara a squadre di tiro con l’arco), Niccolò Mornati (4° nel “due senza” di canottaggio), Gabriele Ferrandi (9° nel tiro con l’arco ai giochi paralimpici) e Claudia Wurzel (decima nel “due senza” di canottaggio). “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” diceva Shakespeare nell’atto IV de “La tempesta”, nella ferma convinzione che la realtà altro non sia che la continua attualizzazione di un sogno interiore. Niente come lo sport olimpico può esemplificare questa filosofia di vita. Nella tradizionale cerimonia sono stati premiati gli atleti che hanno ottenuto i risultati più brillanti nell’anno sportivo 2011-12 con i colori dell’Ateneo pavese. Tante le benemerenze fioccate nella serata più sportiva dell’Anno Accademico: dall’atletica alla canoa fino al canotaggio, dalla pallavolo femminile a quella maschile, dal rugby alla scherma fino al tiro con l’arco. A chiudere la premiazione ci hanno pensato Fraccaro e Nuovo, collegi per l’ennesima volta vincitori dei rispettivi tornei maschili e femminili. Ad aprire le danze è stato il consueto intervento del Magnifico Rettore prof. Angiolino Stella che, rifacendosi alle parole pronunciate dal tennista Andrè Agassi nella sua autobiografia “Open”, ha ricordato agli atleti presenti i capisaldi dello sportivo modello: tanta dedizione, molta passione, infinito lavoro. A dirigere le operazioni ci ha pensato il Presidente del CUS Pavia prof. Cesare Dacarro che, scomodando endecasillabi danteschi e sfagiolando chicche bibliche, ha relazionato sulle recenti attività del CUS Pavia prima di interloquire coi campionissimi di Londra 2012. Mauro ha raccontato la sua dorata esperienza olimpica, nella quale ha impiegato l’arco più duro al mondo in questo momento (pertanto dotato di una maggiore velocità di freccia). Niccolò, divenuto ormai un atleta prestigioso del canottaggio italiano, ha ricordato le sue precedenti Olimpiadi (Atene 2004 e Pechino 2008) con tutto il carico di delusioni trasformate unicamente in carica positiva a Londra 2012. Poi è toccato a Claudia, rispolverare i suoi lunghi anni di formazione sportiva a metà tra gli Stati Uniti e l’Italia.

22 INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013

Infine ha preso parola Gabriele, partito da Chignolo Po e passato per Pavia prima di sbarcare a Londra, dove ha disputato la sua prima Para Olimpiade tra molto stupore e tanta gioia. Non è stata la prima volta del Fraccaro e del Nuovo invece. L’ultima edizione del “Trofeo dei Collegi” ha confermato la tradizione dei due sportivamente più meritevoli. Entrambi guidano l’albo d’oro, rispettivamente maschile e femminile, con ben sette successi in quattordici anni di gare. E adesso sotto con un nuovo Anno Accademico Sportivo per la gioia dei vincitori e la voglia di riscatto dei vinti. Come monologava il tifosissimo Paul Ashworth (per i cinefili Colin Firth) nel film Febbre a 90°: “…e la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c’è sempre un’altra stagione…”. L’elenco completo delle benemerenze sul sito: http://inchiostro.unipv.it/


INTRVISTA

Intervista a: Mauro Nespoli, Niccolò Mornati, Gabriele Ferrandi Inchiostro – Durante la conferenza hai parlato del fatto che, prima delle gare, vi piace cenare con salame e vino per rilassarvi. Anche dopo l'oro olimpico vi siete limitati al salame e al vino? Nespoli – Sì, certo, ovviamente a Casa Italia abbiamo festeggiato il risultato ottenuto, ma dovevamo stare concentrati anche sulla gara del giorno dopo. A casa, con amici e soprattutto parenti che ti tengono sotto controllo, non puoi esagerare. Dunque sì, ci siamo limitati a salame e vino. Quando hai acquisito la consapevolezza che potevate farcela, a conquistare questo oro? C'è stato un momento anche durante la gara, o solo all'ultimo tiro lo avete realizzato? Il fatto che gli USA abbiamo battuto la Corea in semifinale ci ha dato una grossa mano, sia in termini di risultato finale che di convinzione. Durante la finale è stato molto importante partire meglio di loro. Certo è poi stato importante non abbassare assolutamente la guardia, avevamo messo in preventivo la loro rimonta. È stata anche una questione di millimetri: se Michele non avesse fatto 10 punti, ma 9, saremmo stati lì a spareggiare. Per fortuna non è capitato.

Niccolò, tu hai disputato tre olimpiadi. A questo punto ti chiedo un ricordo di ognuna di esse. Mornati – Atene l'inesperienza e la gioia della prima olimpiade. Pechino la voglia di vincere dopo l'argento al mondiale. Londra la possibilità di ottenere una medaglia a coronamento della carriera, con un quarto posto conquistato. Questa sera hai detto che senza le esperienze precedenti, non ci sarebbe stata la grande vittoria di Londra. Bisogna sempre partire dal basso per ottenere grandi risultati? È sempre importante fare un bagno di umiltà. Nelle finali olimpiche, vince chi si è allenato maggiormente per colmare le proprie lacune. Lo sportivo vero è colui che sa riconoscere i propri limiti. Gabriele, un ricordo di questa paralimpiade, di quei giorni? Ferrandi - In una parola: indimenticabile! Era tutto bellissimo: dal villaggio olimpico, che era una piccola città, alla gara stessa, in cui c'era un pubblico che non avevo mai visto. Hai detto che questa esperienza ti ha forgiato e che, partendo da qui, potrai costruirti delle soddisfazioni future. Sono ancora una matricola, dunque inesperto. Sfrutterò questa prima esperienza per proseguire bene in futuro.

Mauro Nespoli

INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013 23


COME FARSI RUBARE LA BICICLETTA di Stefano Sfondrini

Avete letto bene il titolo: con questo articolo vi insegno come far sì che la "vostra" bicicletta non sia più tale. È ovviamente una provocazione, ma se guardate i velocipedi posteggiati nelle rastrelliere o legati a un palo, vi renderete conto di come in realtà vi importi poco del vostro mezzo a pedali. Vediamo dunque come fare per disfarci (in) volontariamente della nostra bici. Il metodo più ovvio: scendete dalla bici e allontanatevi. Il ladro non avrà nemmeno bisogno di pensarci due volte né di utilizzare arnesi. Ma possibile essere così scemi? Beh, a chi non è capitato di pensare: «Tanto torno subito...!». Ecco, non pensatelo mai più. Compriamo dunque un antifurto per la nostra bicicletta. Ma quale scegliere? Se volete farvi rubare la bici, c'è un'ampia gamma di catenine e lucchetti che si aprono con pinze più o meno grandi, in un tempo che va tra i 5 e i 30 secondi. È questo il caso per cui "chi più spende, meno spende": se mettiamo qualche euro in più per l'acquisto di un antifurto che sia davvero tale, eviteremo di spendere soldi per comprarci una bicicletta nuova. In tal senso, il top della gamma è costituito da catene e lucchetti di marca Kryptonite, specialmente i cosiddetti "U-lock". Ora abbiamo speso un po' di più del previsto, ma abbiamo un antifurto ad hoc. Se però legate ruota e telaio senza assicurarli a un elemento fisso, non sarà difficile per il vile prendere su di peso la vostra bici, di modo da aprire anche il lucchetto più robusto con un flessibile. Avete assicurato la bicicletta legando il telaio al palo, per esempio, e via avviate verso le lezioni o il posto di lavoro, sicuri del vostro metodo antifurto. In effetti quando tornate il telaio c'è ancora, ma le ruote no. E magari anche la sella è ormai un ricordo. Cambiamo strategia: leghiamo allora la ruota anteriore al palo o alla rastrelliera, così nessuno ce la porterà via. Di fatti sarà l'unica cosa che ritroveremo al nostro ritorno. La storia non cambia in caso decidiate di assicurare la ruota posteriore, anche se sarà minimamente più difficile per il ladro compiere la propria malefatta. Anche questo dunque è un ottimo metodo per diventare ex-proprietari del proprio ecologico mezzo a due ruote. Andiamo dunque a puntualizzare la cosa importante: servono almeno due antifurti. Anzitutto si scoraggiano eventuali infami, da che dovranno fare il doppio della fatica. Non solo: con due antifurti potremo legare entrambe le ruote – ma ricordiamoci di assicurare insieme anche il telaio. Ho detto "almeno" due: con un altra catena possiamo legare anche la sella, così da pedalare comodi sulla strada verso casa. Oppure se avete lo sgancio rapido alla sella, potete portarla con voi – così come luci, borse ed altri accessori facili da rimuovere/rubare. Nondimeno, altra cosa importante è legare la bici in luoghi frequentati, dove passino molte persone. Certo, ne basterebbero poche e altruiste, nel caso del "fattaccio", al posto di centinaia egoiste alle quali non fa né caldo né freddo se quel tale sta segando la vostra catena - ma avete visto mai che tra la folla ce ne sia almeno una che non si fa solo gli affaracci propri. Riassumendo: comprando ottimi antifurti e legando sia ruote che telaio a un elemento fisso, possiamo stare sicuri di ritrovare la nostra bicicletta dove e come l'abbiamo lasciata – anche se non esime quei poco simpatici teppisti dal piegarci i cerchioni.

24 INCHIOSTRO FEBBRAIO 2013

ANTIFURTO E SICUREZZA Se pedalo con un ferrovecchio tutto arrugginito, chi mai mi ruberà la bici? Ergo, inutile spendere soldi in antifurti costosi per un mezzo per nulla appetibile. Ma che magari mi manderà con il mento ad accarezzare l'asfalto, con conseguenti esborsi dall'ortopedico. Che ne dite dunque di spendere qualche soldino in più per l'antifurto, per proteggere una bici a norma, sicura e (perché no?) anche bellina? Possiamo avere luci e campanello per segnalare la nostra presenza, giubbino ad alta visibilità e catarifrangenti affinché ci si renda visibili agli utenti della strada più veloci (e spesso più distratti), ma il primo pericolo siamo proprio noi, a volte. La "scusa" che si sente talvolta è proprio il rischio del furto, percui non ha senso investire denaro in qualcosa che immancabilmente ci verrà sottratto. Ma l'avverbio precedente non avrebbe praticamente motivo di esistere, se oltre che in una buona bicicletta investissimo i nostri risparmi in metodi di antifurto all'altezza del nostro mezzo, e soprattutto della zona nella quale siamo costretti a lasciare temporaneamente la nostra amica a pedali.


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.