16 Venerdì 12 Dicembre 2008 il Domani
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CALABRIA CONSUMA E SPENDI
Nel bel centro storico di Tiriolo, terrazza sui Due Mari, un’originale bottega per salvare le tradizioni
Bambole con gli abiti di una volta CALABRESE «Consuma e spendi calabrese dovrebbe essere insegnata nelle scuole!». Ne è convinto Antonio Mazzei, il giovane appassionato di storia e cultura locale, titolare di una piccola azienda di artigianato, che siamo andati a visitare a Tiriolo. «I giovani potrebbero conoscere la storia dei luoghi in cui vivono, discutere delle nostre tradizioni e dell’importanza di custodirle, farsi venire idee creative per creare economia e sviluppo». Tutto questo e molto di più si potrebbe fare, secondo Mazzei, se i contenuti di un progetto culturale come ”Consuma e spendi calabrese“ entrassero nelle scuole. Per esempio la storia ed il territorio di Tiriolo a lui hanno ispirato la sua attività odierna e lo hanno richiamato a casa dopo una breve parentesi al nord. Una storia lunga e particolarmente avvincente quella di questo piccolo centro alto collinare, abitato fin dall’Età del ferro che, ancora oggi, si presenta con il suo tipico impianto medievale, fatto di stradine che si inerpicano fino alla cima, dove sorgono i ruderi del castello normanno e la chiesa Matrice. Un centro piccolo con un panorama dall’enorme bellezza: dallo stesso punto si possono vedere il mare Jonio ed il mare Tirreno, separati all’orizzonte dalle Serre Vibonesi e dall’Aspromonte, e dove si toccano cielo e mare appaiono lo Stromboli, l’arcipelago delle Isole Eolie, e talvolta, sull’estremità orientale, si riesce a vedere anche l’Etna. Se il tutto si ha la fortuna di ammirarlo al tramonto si rischia, come davanti ad una vera opera d’arte, la sindrome di Stendhal. Per la cronaca, solo da un altro punto della regione è possibile ammirare lo stesso quadro, leggermente ridimensionato: sull’altro versante, quello Tirrenico, riscendendo il Monte Condrò, verso Lamezia Terme. E’ con questa bellezza sullo sfondo che abbiamo compiuto un nuovo e insolito viaggio di “Consuma e spendi calabrese”, il progetto culturale che unisce comunicazione, informazione e tesori del territorio per promuovere lo sviluppo locale, anche e, forse, soprattutto al tempo della crisi della grande industria e dell’alta finanza. Non solo gastronomia, agricoltura, prodotti tipici della nostra terra, abbiamo detto fin dall’inizio, vi avremmo raccontato. Ma anche storia, cultura, territori che grazie alla testimonianza dei prodotti della tavola e di artigianato artistico, vengono evocati. Tanti piccoli protagonisti, reperti archeologici sui generis, che possono ridisegnare l’economia di un territorio, grazie alla passione, alla determinazione, alla volontà di chi pazientemente se ne prende cura. E’ quanto fa, nel suo piccolo appunto, “La mia arte – artigianato”, la bottega di Antonio Mazzei che ha scelto un modo singolare per tenere viva la storia di Tiriolo, “crocevia” di popoli, osservatorio privilegiato dei traffici commerciali fra i Due Mari nei secoli. Terra dei Bruzi, prima, alleati con i cartaginesi contro Roma al tempo della II Guerra Punica, poi sottomessi all’Impero che lasciò un importante segno della sua imponenza con l’emanazione del Senatus Consultum de Baccanalibus nel 168 a. c., editto che vietò i riti in onore di Bacco di derivazione pagana (una copia della tavoletta incisa è custodita nell’Antiquarium Civico, mentre l’originale è a Vienna!). Poi ancora luogo di riparo all’epoca bizantina dalle incursioni saracene, come ricordano le mura di cinta di un antico centro abitato ancora visibili. Una storia lunga che secondo Antonio Mazzei, confortato da studi e ricerche, ha lasciato traccia nei costumi ricchi di
Dal tipico “vancale” ai ricami al tombolo tutto è curato nei dettagli
Antonio Mazzei nel suo laboratorio con una bambola di porcellana vestita da pacchiana
colore, di oro e di pizzi della pacchiana. Riprendendo e ampliando un’attività, che ha visto in passato all’attivo ben tre botteghe a Tiriolo (di cui oggi solo una resiste ai segni del tempo), Antonio realizza così bambole con vestiti tradizionali tiriolesi e, da qualche tempo, anche di molte altre località calabresi. E li fa curandoli nel dettaglio: con tanto di tradizionale “vancale”, scialle tessuto in lana e seta al telaio, di copricapo e grembiuli in seta o pizzo, ghirigori dorati, gioielli e panni ricamati al tombolo. Tutto con l’aiuto di quella che definisce sua “maestra artigiana”, la signora Anna Ferragina, che poi è anche sua madre. Lui è un giovane dalle tante passioni: suona il clarinetto, è il presidente della locale banda musicale, appassionato di storia e tradizioni popolari. E ha fatto di questo suo hobby un’attività professionale. Ormai quattro anni fa ha aperto la bottega, in un antico locale con classiche travi a vista il legno, nel centro storico tiriolese. Ed in questa stanzetta espone bambole in ceramica agghindate con gli abiti tradizionali cosiddetti “a pannu russu”, che sopra alla lunga sottana bianca vedevano cioè abbinato un panno rosso avente la funzione di coprirla quasi completamente. Andando nei campi, in pas-
sato, infatti, la lunga gonna, quasi sempre pieghettata, veniva tirata sopra il sedere (in gergo “arriculata”, appunto) e se non ci fosse stato il panno occhi indiscreti avrebbero potuto vedere quella che equivale all’odier-
na sottana, e cioè un indumento intimo, per quanto molto poco hosè per i nostri canoni! I vestiti realizzati ed in parte anche esposti sono quasi tutti dei paesi della zona dell’istmo dei Due Mari o limitrofi: da Settingiano, a Marcellinara, a Caraffa, a Serrastretta, a Nicastro, a Gimigliano, a Miglierina e via dicendo. «Dapprima - spiega Mazzei - realizzavamo solo l’abito della pacchiana locale, ma poi ci siamo resi conto che il costume rappresenta un pezzo di ricordo intatto nella memoria di molti emigrati, non solo di quelli partiti da Tiriolo, e abbiamo ampliato la produzione, mantenendo sempre fede alla tradizione e approfondendo le ricerche». I modelli vengono realizzati su ordinazione e variano sia per grandezza, sia per abito. Come spiega lo stesso Mazzei: «Ci arrivano ordini dal Canada, dalla Svizzera, dalla Germania, paesi dove i calabresi sono andati in cerca di fortuna. Quello della pacchiana è un regalo molto in uso nelle occasioni come il Natale, soprattutto nelle comunità di calabresi all’estero o fuori regione e a seconda delle richieste realizziamo miniature, o bambole che sembrano bambine, anche accompagnate dalla figura dell’uomo con il cervone, il cappello di feltro nero a punta. In questi giorni, ad esempio, saremo della provincia di Milano, nella tradizionale festa dei “Calabresi in Lombardia” per le festività natalizie, ed allora ci sarà una hostess in costume tradizionale tiriolese ad accogliere le personalità presenti, ma anche le nostre
miniature per omaggiare i presenti. E’ un dono gradito perché chi ha lasciato questa terra da bambino custodisce intatto nella memoria il ricordo della pacchiana». E’ anche la fattura delle bambole a riempire di orgoglio Antonio: «Ogni pezzo della bambola viene realizzato interamente in Calabria, con materia prima calabrese, dalla seta di Mirto Crosia e Cortale, agli scialli di Tiriolo, con ricami al tombolo e pizzi della tradizione locale. E’ questo che rende ogni pezzo unico, di grande valore non solo per quello che rappresenta, ma per come viene realizzato da chi ancora oggi sa usare le mani per ottenere preziosi ornamenti». Solo qualche giorno fa il quotidiano La Repubblica dedicava uno dei suoi ampi reportage al valore dell’artigianato che salverà il mondo dalla crisi economica. Spiegata in un libro che si intitola “L’uomo artigiano”, questa teoria sostiene, dall’alto del prestigio del filosofo e sociologo americano Richard Sennett che ne è l’autore, ciò che giorno dopo giorno nella sua bottega fa un giovane come Antonio, o come la signora Anna, come le signore che lavorano i “vancali”, come quelle che lavorano il tombolo e l’uncinetto, come tutti coloro che operano, in tutta la Calabria e oltre, con le mani usando la testa, per usare una semplice, quanto efficace definizione del vero artigiano. «Non sono moltissime le botteghe ancora aperte qui a Tiriolo, soprattutto rispetto al passato, ma alcune tradizioni sono assolutamente intatte, come ad esempio quella della tessitura e della lavorazione manuale dei ricami al tombolo. Nella mia bottega - spiega ancora Mazzei ospito anche creazioni manuali realizzate nel vicino centro di San Pietro Apostolo, dove ugualmente resiste la tipica lavorazione al telaio, come pure di altri artigiani tiriolesi, e vorrei che accanto alle mie bambole, sempre più numerosi fossero gli oggetti di artigianato artistico locale in esposizione e in vendita. Credo che sempre più dobbiamo trovare la forza di cooperare, di fare rete, come il progetto culturale “Consuma e spendi calabrese” fa da più di un anno. Per questo dico che bisognerebbe portarlo nelle scuole, per insegnare la storia della nostra terra a noi che ci viviamo e ne siamo così poco consapevoli, e suggerire ai tanti giovani come noi idee sane e originali per coltivare le proprie passioni e trasformarle magari in occasioni di lavoro, di sviluppo e promozione del territorio». Rosalba Paletta
Di nuovo Mazzei con la signora Anna Ferragina, maestra artigiana di tombolo e altro
Realizzati i costumi di numerose pacchiane calabresi: di Caraffa, Settingiano, Serrastretta...
Abito tradizionale anche per le spose Quando è nata, ormai quattro anni fa, la bottega “La mia arte – artigianato” di Antonio Mazzei produceva, grazie all’abilità della signora Anna Ferragina e di alcune aiutanti, bambole con il tipico costume della pacchiana di Tiriolo: con la stola tradizionale detta “vancale”, tessuta con il telaio manuale con lana e seta caratterizzata dall’uso di colori scuri; la sciallina, triangolo generalmente in seta di più recente introduzione usato per coprire il collo o la testa per andare in chiesa; la gonna; la sottana bianca, odierna sottoveste; il panno rosso, “u pannu” che alcuni studi fanno risalire al flamnem dell’antica Roma, ed aveva la funzione di coprire l’indumento
intimo bianco; il corpetto, “jppune” allacciato sul petto; le maniche staccate dal busto e decorate a mano con il tombolo o l’uncinetto; il riccio, ampio collo arricciato, anch’esso staccato dal cor-
I costi vanno da 30 a 500 euro per gli abiti nuziali petto, realizzato in oro oppure in pizzo raffinatissimo al tombolo o all’uncinetto; il grembiule, “mantisinu” o “dubriettu”; il copricapo, detto “mandile” o “tuvaglia”, dal nome del pezzo di stoffa finemen-
te ricamata che veniva usata per realizzarlo. Oggi, oltre ai pezzi del costume tiriolese, vengono realizzati anche quelli che compongono gli abiti tradizionali di molti altri centri calabresi. Addirittura la bottega “La mia Arte – artigianato” ha lanciato una nuova sfida: quella dell’abito da sposa tradizionale, finemente ricamato a mano, come avveniva un tempo. I costi delle bambole variano, ma il prezzo medio si aggira intorno alle trenta euro, mentre quello dell’abito bianco si aggira intorno alle cinquecento euro. E c’è già chi a Milano ha detto il fatidico “sì” in costume tradizionale calabrese. RP
Una bambola in costume calabrese