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12 Venerdì 9 Gennaio 2009 il Domani

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APPROFONDIMENTI

Quattro secoli fa, tre calabresi alla conquista di Roma In mostra a Catanzaro fino a marzo, la Calabria riscopre la pittura di Francesco Cozza e dei fratelli Preti di Ludovico Casaburi ROMA - Quattrocento anni fa, tre nostri conterranei divennero celebri nella Città Eterna per i loro dipinti. Nella Roma dei Papi e delle grandi committenze, Francesco Cozza, Gregorio Preti e suo fratello minore Mattia, si ritagliarono uno spicchio importante di notorietà presso religiosi e grandi famiglie. Oggi, nel Complesso Monumentale del San Giovanni a Catanzaro, e a seguitodell’esposizione dedicata ai lavori di Francesco Cozza tenutasi a Roma, nella prestigiosa sede di Palazzo Venezia, i calabresi hanno l’opportunità di riscoprire la produzione di questi tre grandi maestri del classicismo italiano, prima d’ora scarsamente celebrati in patria, grazie alla mostra curata da Rossella Vodret e Giorgio Leone dal titolo “Francesco Cozza, Gregorio e Mattia Preti. Dalla Calabria a Roma”, che resterà a disposizione (l’ingresso è gratuito) del pubblico fino al 15 marzo 2009. L’esposizione, voluta dalla Regione Calabria e dalla Città di Catanzaro, con il contributo del Comitato Nazionale per le celebrazioni del III centenario della morte di Mattia Preti, presieduto dall’On. Vittorio Sgarbi, è organizzata dalla Soprintendenza per i Beni Storico Artistici ed Etnoantropologici del Lazio, diretta da Rossella Vodret. Vero protagonista della mostra pittorica è Francesco Cozza, con i lavori dei fratelli Preti, suoi compagni di viaggio e di avventura dalla Calabria a Roma, a fare da prestigiosa e originale cornice. Ignota la sua formazione artistica, altrettanto sconosciuta la sua attività giovanile, fino all’esperienza nella città Pontificia infatti, di questo nostro illustre conterraneo si sa poco o nulla. Nato at-

torno all’anno 1605 a Reggio Calabria (nella cittadina di Stilo secondo alcuni storici dell’arte, a Stignano secondo altri), Cozza si trasferì poco più che ventenne a Roma - la sua presenza è ufficialmente qui documentata a partire dal 1630 - per frequentare la fiorente bottega del Dome-

Nella Roma papale e delle grandi committenze, Cozza e i Preti si ritagliarono una importante fetta di notorietà presso religiosi e famiglie nobili nichino, pittore del quale fu allievo e collaboratore, dal quale assimilò i caratteri stilistici del classicismo bolognese, e che seguì anche a Napoli per una breve esperienza tra il 1637 e il 1641. Inizialmente ospite dei Padri Minimi di San Francesco di Paola, che secondo tradizione offrivano accoglienza ai corregionali del Santo fondatore del loro ordine, nel 1648 Cozza viene invece accettato nella Congregazione dei Virtuosi De Pantheon grazie ai buoni rapporti con gli altri artisti calabresi membri della stessa istituzione, tra i quali - appunto Gregorio Preti. Nel 1651, a seguito della nomina di “Virtuoso di Merito” nella Congregazione, e dopo aver già portato a termine capolavori quali la “Madonna del Riscatto” nella Basilica di Santa Francesca Romana (straordinaria opera oggi apprezzabile proprio nella mos-

tra di Catanzaro), Cozza ottenne una delle commissioni più importanti della sua carriera, quella degli affreschi (oggi andati distrutti) della chiesa romana di S. Maria della Pace. A seguito dell’incontro avvenuto al tempo della permanenza dai Padri Minimi con la famiglia dei Cesarini, signori fra l’altro di Genzano di Roma e Valmontone, tra il 1658 e il 1659 France-

sco Cozza realizzò l’affresco nella “Stanza del Fuoco” proprio a Palazzo Doria Pamphilij a Valmontone. Del 1667 invece, sono i bellissimi affreschi del Collegio Innocenziano di Piazza Navona a Roma. A Valmontone Cozza conobbe Gaspard Dughet e il minore dei fratelli Preti, Mattia (altro maestro il cui lavoro è presente nella mostra del Complesso Monumentale

del San Giovanni), due artisti che ebbero una notevole influenza nel proseguo della sua opera pittorica. Dopo aver vissuto brevemente a Frascati, Cozza rimase nella città che gli aveva dato la notorietà, Roma, per i restanti anni della sua vita. Pochi giorni dopo aver redatto il suo testamento - in data 9 gennaio 1682 - l’artista morì, il 13 gennaio dello stesso anno.

La “Madonna del Riscatto” e il ritratto di Tommaso Campanella, capolavori assoluti del classicismo

Tutta la genialità di Cozza in due dipinti straordinari Richiestissimo dalla committenza romana, Francesco Cozza era considerato anche dagli stessi colleghi - su tutti, Mattia Preti - tra i pittori più capaci e geniali di Roma. Tutta la sua incredibile capacità rappresentativa, si palesa in particolare in due delle opere presenti e visibili nella mostra di Catanzaro. Innanzitutto ci riferiamo alla grande pala raffigurante la “Madonna del Riscatto”, vera protagonista dell’esposizione a disposizione del pubblico al Complesso Monumentale del San Giovanni fino al prossimo marzo, e capolavoro per antonomasia di Francesco Cozza. Realizzata nel 1650 a Roma per l’ordine dei Padri del Riscatto, l’opera venne destinata inizialmente alla chiesa di Santa Francesca Romana, in via Sistina, dove rimase, collocata nel primo altare a sinistra, fino al 1929. Demolito in quell’anno l’edificio religioso, la Madonna del maestro calabrese fu trasfe-

rita nella sede del Pontificio Collegio Boero, a San Giovanni Laterano. Geniale esempio di gioco d’ombre e di colori, “l’impianto compositivo della tela, strutturato in quattro diagonali che incorniciano il gruppo centrale, denota una forte componente barocca - ci fa notare Rossella Vodret, curatrice della mostra di Catanzaro - legata

probabilmente all’influenza che su Cozza in quegli anni ebbero Lanfranco e Pietro da Cortona”. L’altra magistrale opera di Francesco Cozza - unica nel suo genere - presente a Catanzaro è il ritratto del concittadino e parente del maestro, il filosofo Tommaso Campanella. Carica d’inquietudine, questa notissima raffigurazione è la più antica del sacerdote-filosofo calabrese: realizzata tra il 1623 e il 1634 a Roma, l’opera fu dipinta “dal vivo”, e dunque indirizzata verso un naturalismo estremo, “caravaggesco”, come molti critici l’hanno definito. Lo sguardo profondo e sofferente di Campanella, perfettamente riprodotto dalla maestria di Cozza, ci suggerisce tutto il tormento e il risentimento del pensatore, reduce da ben ventisette anni di prigionia dovuta alle varie condanne comminate dall’Inquisizione. Il celebre ritratto del filosofo-sacerdote Tommaso Campanella (Cozza, 1636 ca.)

Lu.Cas.


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