Il Giornale dei Ragazzi - Firenze, Festival degli Scrittori-Premio Gregor von Rezzori 2016

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Il Giornale dei Ragazzi un progetto di Isabella Di Nolfo I RAGAZZI DELLA TERZA E DEL LICEO CLASSICO “GALILEO” DI FIRENZE RACCONTANO IL X FESTIVAL DEGLI SCRITTORI - PREMIO GREGOR VON REZZORI

LE NOSTRE RUBRICHE COS’E’ IL PREMIO GREGOR VON REZZORI Breve storia del premio e del suo fondatore. I FINALISTI DEL PREMIO Interviste e approfondimenti con i cinque scrittori finalisti e il traduttore vincitore del premio LA CINQUINA I libri in gara raccontati dai loro autori LA GIURIA E GLI OSPITI Tutto ciò che non sapevate dei membri della giuria e degli ospiti del premio raccontato attraverso approfondimenti e interviste LA LECTIO MAGISTRALIS La Lectio Magistralis di Etgar Keret alla Cappella dei Pazzi di Santa Croce

IL “ROMANZO” SECONDO OSPITI E FINALISTI Gli approfondimenti sul tema del “romanzo” tenuti dai cinque finalisti e dagli ospiti del premio durante le tre giornate.

RECENSIONI IN CONCORSO

ilgiornaledeiragazzivonrezzori@gmail.com

Le recensioni in gara scritte dai giovani lettori.

Il Giornale dei Ragazzi del Von Rezzori

Le interviste agli autori delle recensioni vincitrici.

@ilgiornaledeiragazzi2016


INDICE

LA REDAZIONE………………………………………………………….………………………………………………..…....pag. 3

PRESENTAZIONE…………………………………………………………….………………………………………..……….pag.4

CHI E’ GREGOR VON REZZORI? Da cosa nasce l’idea di un premio letterario a suo nome?........pag. 5

DANY LAFERRIÈRE: uomo di grande carisma……………………..………………………………………….……pag. 6

TUTTO SI MUOVE ATTORNO A ME: racconto di un autore oggettivo………………………………...…..pag. 7

L’HAI LETTO MA NON L’HAI LETTO: impressioni sul libro ‘Tutto si muove attorno a me’......…pag. 8

CONFERENZACON LORRIE MOORE sul suo libro ‘Bark’………………………………….……………...….pag. 9

BARK: una parola due mondi………………………………………………………………………………………....….pag. 10

ANDREW SEAN GREER: un ospite affezionato……………………………………...………………………..…..pag.11

INTERVISTA AD ALESSANDRA BALDINI…………………………………………………..………………..…...pag. 12

UNO SCRITTORE CON LE ALI…………………………………………………...……………………………….…….pag. 13

IL DIVULGATORE DI CĂRTĂRESCU……………………………………………………………………….……...pag. 14

IL PASSATO COME CENTRALITA’………………………..…………………………………………….….………....pag. 15

UNA NUOVA PRESIDENTE………………………………………………………………………………..…………pag. 16-17

INTERVISTA A LORRIE MOORE………………………………………………………………………….……….…..pag. 18

ETGAR KERET: lo scrittore che fa smettere di piangere i bambini……—…………….…………………..pag. 19

CRISTINA GIACHI: ‘Grandi aspettative, i giovani non deluderanno’……………..……………….…...pag. 20

BEATRICE MONTI DELLA CORTE: Ambasciatrice della cultura………………………..…………....pag. 21-22

UNA SCRITTRICE NATA…………………………..…………………………………………………………………..….pag. 23

UNO SCRITTORE CONTRO UN MURO…………………………………………………………….……….……...pag. 24

SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA: bisogna imparare a condividere………….………….………..pag. 25

INTERVISTA A DINAW MENGESTU…………………………………………………………………………...……pag. 26

UN LIBRO ‘SOTTO MENTITE SPOGLIE’…………………………………………………………………..……..…pag. 27

‘NON PUOI SIA VIVERE CHE AVER VISSUTO’……………………………………………………....…..……..pag. 28

LA PERDITA DEL PENSIERO CRITICO………………………………………………………………………..…...pag. 29

ISABELLA DI NOLFO: pensando alle nuove generazioni………………………………….………...pag. 30-31-32

I GIOVANI: attori nel mondo della letteratura……………………………………………………………..……...pag. 33

“GLI ORRORI DEI SECOLI BUI DEL NOVECENTO”:

intervista al miglior recensore del libro Trieste…………………………………………………….….………....pag. 34 

STORIE DI REALTA’ AMERICANA……………………………………………………………………….…….……..pag. 35

RINGRAZIAMENTI…………………………………………………………………………………………………….…….pag. 36

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LA REDAZIONE

IL GIORNALE DEI RAGAZZI DEL VON REZZORI, 2016 Ideazione e coordinamento: Isabella Di Nolfo Capiredazione: Andrea Albini (fotografie), Carlotta Baglivi (recensioni), Youness Mattia Loutfi (social), Lorenzo Paciotti (cronostoria), Redazione: Federico Balzani, Tommaso Becattini, Vittoria Cima, Sara Ciulli, Giulia Cozzi, Giulia Di Giorgio, Elena Gensini, Giannotti Gezabel (assistente), Cosimo Iacopozzi, Francesco Moschettini, Selene Murittu, Cosimo Savelli, Luca Savoca Fotografie: Tommaso Becattini, Alessandro Kortz , Youness Mattia Loutfi, Edoardo Mazzanti, Lorenzo Posarelli, Virginia Pruneti, Edoardo Rossi, Davide Vitali Social: Camilla Evangelisti, Asia Pesci, Eleonora Proietti

Progetto grafico e impaginazione: Youness Mattia Loutfi

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Firenze, 6 giugno 2016. A Palazzo Strozzi si apre la X edizione del Premio letterario Gregor von Rezzori, organizzato dalla Fondazione Santa Maddalena, con il contributo del Comune di Firenze e dell’Ente Cassa di Risparmio. Noi ragazzi della terza E del Liceo classico Galileo di Firenze partecipiamo con il progetto Il Giornale dei Ragazzi, a cura di Isabella Di Nolfo. In veste di giornalisti vi racconteremo da queste pagine gli eventi che per tre giorni animeranno la città. La nostra redazione è proprio nel cuore della manifestazione, a Palazzo Strozzi , nella sala dedicata a Fosco Maraini del Gabinetto Vieusseux, il più importante gabinetto scientifico letterario d’Europa, luogo nel quale hanno studiato grandi scrittori del calibro di Alessandro Manzoni e Fedor Dostoevskij . In quest’aura di magia letteraria ci muoviamo emozionati. Alle 10 siamo tutti pronti. La tensione e l’emozione sono altissime. Lo scrittore Dany Lafferière, il primo a incontrare il pubblico, è arrivato, insieme al suo traduttore. Entrambi si preparano per la conferenza. Il francese del maestro risuona nella Balconata, dove hanno luogo gli incontri con gli scrittori. “Buongiorno a tutti, sono felice di essere qui oggi per il Festival degli Scrittori”. Così comincia una delle manifestazioni più importanti per il mondo della letteratura a livello internazionale. I ticchettii delle nostre tastiere saranno all’ordine del giorno, fino alla premiazione non abbandoneremo la concentrazione e l’impegno. Buona lettura!

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CHI È GREGOR VON REZZORI? DA COSA NASCE UN PREMIO LETTERARIO A SUO NOME? di Giulia Di Giorgio e Youness Mattia Loutfi Gregor von Rezzori, pseudonimo di Gregor Arnulph Hilarius d'Arezzo, nasce il 13 maggio 1914 a Czernowitz, cittadina ucraina al tempo capoluogo di una regione dell'impero austro-ungarico. La famiglia aveva lontane origini italiane, si trasferì nella mitteleuropa durante la metà del XVIII secolo e rimase in questa zona anche dopo l'annessione della regione da parte della Romania, cosicché Gregor ottenne anche la cittadinanza romena. Instancabile viaggiatore, Gregor visse, tra le varie città visitate, a Vienna, a Bucarest e a Berlino. Pubblicava regolarmente racconti o romanzi, ma non fu solo scrittore: ebbe anche esperienze di attore e regista. Nel 1964 conosce Beatrice Monti della Corte, baronessa. I due hanno molti interessi in comune, tra i primi il collezionismo d'arte, e presto si sposano. Nel 1967 comprano villa Santa Maddalena, località Donnini (frazione di Reggello). Grisha, che dopo i numerosi trasferimenti e viaggi era diventato apolide, “aveva bisogno di mettere radici” e di fermarsi in un luogo da poter chiamare “casa”. Inizia così il mito della villa Santa Maddalena, che, dopo la morte di Gregor avvenuta il 23 aprile 1998, viene trasformata in Fondazione, luogo di ritiro per scrittori e non solo (da alcuni anni vengono ospitati anche botanici). Non solo le pareti di questa casa sono tappezzate di opere d'arte, ognuna testimonianza di un incontro, di un viaggio, di un regalo da parte di amici artisti; ogni stanza contiene un numero incalcolabile di oggetti che spaziano dall'alto design all'archeologia etrusca passando per manufatti africani. Totalmente immersa nel verde e nel silenzio è dunque un luogo perfetto per stimolare la creatività degli scrittori e, essendoci la possibilità di ospitare un massimo di 4 personaggi alla volta, un'ottima occasione di incontro e scambio culturale: gli invitati, perché solo su invito si può trascorrere del tempo in questo “paradiso”, provengono da ogni parte del mondo. L'idea di un rifugio del genere nasce da Gregor: grande amico di Bruce Charles Chatwin, scrittore di viaggio britannico, decide di invitarlo spesso a scrivere presso la villa. La torre citata in alcuni dei suoi romanzi altro non è che il luogo dove veniva ospitato mentre risiedeva dai coniugi von Rezzori. Così Beatrice decide di continuare a invitare scrittori per mantenere quel clima di ospitalità tanto caro al marito: nasce così la Fondazione Santa Maddalena. Anche il premio letterario venne istituito in omaggio e in memoria dello scrittore apolide. La sua prima edizione risale al 2007. Allora veniva tenuto nell'abbazia di Vallombrosa ed era preceduto esclusivamente dalla lectio Magistralis. Col passare degli anni però si sono aggiunte sempre più novità: il Premio è divenuto parte centrale del Festival degli Scrittori, unico nel suo genere in tutta Italia, così iniziarono ad essere preparati dei dibattiti su temi d'attualità ripresi dai romanzi finalisti; dall'anno scorso è iniziato il Premio von Rezzori Giovani Lettori, dedicato alle migliori cinque recensioni per i cinque libri finalisti scritte dai ragazzi delle quarte degli istituti superiori fiorentini. fonti: premiovnrezzori.org/repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/07/27/beatrice-monti-von-rezzori -ho-creato-un.html santamaddalena.org/

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Dany Laferrière: uomo di grande carisma di Cosimo Iacopozzi, Vittoria Cima, Selene Murittu e Youness Mattia Loutfi “Il cemento degli edifici più importanti, che non vibra, è quello che crolla prima”. Con questa frase Simone Fortuna apre la presentazione del libro Tutto si muove intorno a me di Dany Laferrière e continua dicendo che il ruolo dello scrittore è di raccontare i fatti, sperando che dietro il libro si pongano interrogativi. Laferrière in base a ciò che viene detto precedentemente, afferma che non sta allo scrittore dire se c'è o meno una causa universale ma spetta al lettore. L'obbiettivo di Laferrière è quello di dare una testimonianza diretta, infatti per lui era importante essere considerato come l'unico a scrivere nel momento esatto del terremoto. In seguito il nipote chiede a Laferrière di non scrivere il libro, poiché è la generazione del giovane quella più colpita dal terremoto. Laferrière però si sente chiamato in causa, e citando Omero: “Dio manda sventure perché gli scrittori possano scrivere i canti” decide di continuare. Alla domanda: “perché ha diviso il libro in cosi tanti capitoli?” lo scrittore risponde mettendo sullo stesso piano le esplosioni del terremoto con i capitoli, quindi un’esplosione di capitoli, considerando anche che il terremoto non riguarda solo lo scrittore ma tutte le persone coinvolte, da qui tante storie quante quelle delle persone. Inoltre “ironizzando”, tende a sottolineare l’ “effervescenza” della città, che anche se apparentemente morta ancora trema, quindi è viva. La presentazione si conclude con una bellissima considerazione su Haiti. Laferrière spiega che in seguito al terremoto il suo rapporto con la madre terra non sarebbe assolutamente potuto cambiare, perché quello rimarrà per sempre, ma non sa se ama Haiti di più o di meno anche perché dopo il verbo amare non si deve aggiungere altro. Amare “di più” o “di meno” non è vero amore. Inoltre ci tiene a sottolineare che negli anni successivi sono stati destinati ad Haiti miliardi per una ricostruzione “fisica” della città, quando la vera ricostruzione sarebbe dovuta essere quella “umana”, infatti i massmedia si sono scordati di quello che è successo alla sua terra. La città e gli abitanti hanno resistito da soli, nessuno si aspettava o si aspetta soldi dall’esterno.

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TUTTO SI MUOVE INTORNO A ME: RACCONTI DI UN AUTORE OGGETTIVO Intervista a Dany Laferrière, finalista al premio Gregor von Rezzori 2016 di Elena Gensini

Nel suo libro Tutto si muove intorno a me racconta la tragica esperienza del terremoto che ha colpito Haiti nel 2010. Come è cambiato il suo rapporto con l’isola dopo il terremoto? E’ complicato definire il rapporto con il mio paese. Penso che per definire un rapporto con qualcosa sia necessario prendere le giuste distanze da essa e in questo momento non riesco ad allontanarmi da Haiti. Anzi mi risulta impossibile farlo. Il mio paese è insito in me, come mia madre. Non posso descrivere il rapporto che mi lega a mia madre, io sono carne della sua carne, non posso prenderne le distanze per mettere a fuoco il tipo di relazione che ho instaurato con lei. Dico lo stesso della scrittura, anch’essa è insita in me, non riesco a separarmene. L’unica cosa di cui sono certo è che amo Haiti. Sono solito non aggiungere emozioni alle emozioni. Se aggiungo amore all’amore ottengo compassione e la compassione non è più amore. Se si ama una persona le si dice solo “ti amo”, non “ti amo di più” o “ti amo di meno”. Quando si ama, si ama e basta.

Ha detto di non poter descrivere il suo rapporto con Haiti, ma quando, da giovane, è stato costretto a lasciare l’isola come ha vissuto la lontananza fisica dal suo paese? La lontananza fisica non ha alcun peso rispetto alla lontananza affettiva. E soprattutto lo spazio che ha diviso me da Haiti non ha quasi importanza se paragonato al tempo che ci ha 7


separati. L’esilio è più terribile per il tempo che per lo spazio. La mia infanzia mi manca molto più del mio paese: in fondo è un sentimento che tutti gli adulti provano, in quanto tutti gli esseri umani sono esiliati dalla loro infanzia. Il suo libro regala piccole immagini, flash, di un’Haiti distrutta dal terremoto raccontate in capitoli molto brevi. Perché ha optato per questa divisione così netta della sua opera? Nel mio libro descrivo una città esplosa e frantumata e ho voluto che anche questo “esplodesse” in una miriade di capitoli. I miei capitoli sono il risultato della caduta di una lastra di vetro su una piattaforma di marmo. In essi sono raccontati tanti frammenti di vita che mostrano l’effervescenza degli abitanti di Haiti. Se analizziamo la parola “effervescenza” notiamo che in essa è racchiusa l’idea di “vita” e non di “morte”, che è la parola che più frequentemente associamo ad eventi come il terremoto. Dopo il 12 gennaio 2010 non il senso di morte, ma bensì un surplus di vita ha accompagnato i sopravvissuti. Ricordo ancora che qualche giorno dopo la seconda scossa un uomo è sceso dalla sua macchina gridando:” Salutiamo i vivi”. E’ stato bello vedere qualcuno che si stava preoccupando per noi sopravvissuti. Come ha vissuto i mesi e gli anni successivi al terremoto l’isola di Haiti? Il paese è riuscito a risollevarsi dopo il tragico evento? Dopo il terremoto si è parlato molto di denaro e di ricostruzione. Nessuno però ha parlato di una ricostruzione ben più diversa da quella che intendiamo comunemente, ossia la ricostruzione umana. E questa ricostruzione è avvenuta davvero. Dopo il disastro non c’è stata guerra civile e neppure un’ondata di suicidi. I ricchi sono rimasti nelle loro case, avendo accumulato molti risparmi, invece i più poveri si sono riversati sulle strade di Port-auPrince per sopravvivere e per garantire i viveri necessari alle proprie famiglie. Nonostante le gravi perdite c’è stata una grande reazione del popolo. I fondi che tutti hanno promesso alla Stato di Haiti non sono mai arrivati al popolo. E nessuno sull’isola si è mai aspettato di riceverne. A differenza degli abitanti di paesi europei, la gente ad Haiti è abituata a non aspettarsi nulla dallo Stato. In Italia se comincia a piovere, i cittadini iniziano a chiedere allo Stato di far qualcosa per far smettere di piovere… Ad Haiti la popolazione conta solo sui propri mezzi. Lei è membro dell’Académie Française e siede sul seggio di Montesquieu, cosa si prova a rappresentare un’istituzione così importante? Sono molto felice, per Montesquieu (ridendo). No, seriamente, è davvero un enorme privilegio essere stato scelto come custode della lingua francese e quindi avere il compito di preservare questa tradizione. Ci chiamano gli “Immortali”, ma è la lingua ad essere immortale.

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“L’HAI LETTO MA NON L’HAI LETTO”

Laferrière visto dai giovani lettori: a colloquio con le ragazze che lo hanno recensito di Carlotta Baglivi, Giulia di Giorgio e Sara Ciulli

“Le cose più leggere hanno resistito, mentre quelle più pesanti si sono fracassate: le case di cemento si sono distrutte, invece i fiori sono rimasti in piedi.” Così esordisce Dany Laferrière, durante la presentazione del suo libro e di quelli degli altri finalisti del Premio von Rezzori alla Balconata di Palazzo Strozzi. E’ questo il fulcro del suo scritto Tutto si muove intorno a me, che tratta della catastrofe sismica che ha colpito Haiti nel 2010. Il Giornale dei Ragazzi ha sentito il parere di alcuni recensori partecipanti al contest dedicato ai Giovani Lettori. “L’hai letto ma non l’hai letto. E’ come una sintesi di ciò che è successo, ma non ti spiega niente.” Lapidaria ma incisiva, commenta una delle ragazze intervistate del Liceo Capponi. E su questo si trovano tutte d’accordo; la narrazione a tratti risulta sterile. D’altronde, in questo si riflette quella che è la volontà dell’autore: non aggiungere emozioni alle emozioni. Il libro si presenta più come una raccolta di testimonianze che non come un racconto romanzato. E’ scritto a caldo, durante la tragicità cocente degli avvenimenti del 12 gennaio 2010. Infatti, è Laferrière stesso a definirsi uno scrittore descrittivo piuttosto che un romanziere, le sventure per lui accadono così da essere scritte per come sono, senza dettagli eccessivamente prolissi. Così, per l’appunto, egli descrive la morte: poche righe e nessuno spargimento inutile di sentimentalismi. Cosa che le nostre lettrici non hanno, alle volte, apprezzato, ritenendo che fosse anche in disaccordo con ciò che egli ha affermato durante la confe9


renza: “ogni morte conta.” Nonostante lo scenario di morte, nel raccontare le vicende, l’autore non smette mai di sottolineare “l’effervescenza” della città di Port-Au-Prince, mai arresasi all’avversità della natura: con questo spirito è narrata la breve storia della “venditrice di manghi”, che il mattino del 13 gennaio, in mezzo alle macerie, era già tornata al proprio lavoro con l’urgenza fisica di procurarsi del denaro. Questo ha colpito le nostre commentatrici, che pensavano alle nostre città italiane colpite da simili sventure: tra le più recenti, l’Aquila. Luogo che psicologicamente non si è mai ripreso, persone alle quali, dopo anni, ancora scende una lacrima pensando a ciò che è successo. Tutti si aspettano aiuti dallo Stato, cosa che, riferisce Laferrière, non è mai accaduta al popolo haitiano, il quale, avendo vissuto per anni sotto una dittatura ereditaria, ha imparato a “cavarsela” da solo. In parte, questo giudizio così positivo pare essere riconducibile al forte senso patriottico dell’autore che, come ci fanno prontamente notare le nostri ospiti, traspare ampiamente dalla lettura. Quest’ultima, comunque, ha creato non pochi problemi ai recensori. La narrazione a singhiozzo e lo smisurato numero di capitoli, forse giocavano a discapito della fluidità del testo, ma hanno, in ogni caso, il loro perché. Lo scrittore si giustifica – con il suo francese ricercato ma al contempo alla mano - con una metafora: “La mia scrittura è come un pezzo di vetro che si infrange su una lastra di marmo; esplosa la città, esplosi i capitoli.” Il caos che regnava nelle vie affollate della capitale haitiana sembra riflettersi inesorabilmente nella struttura del libro, così come anche nello stile di Dany Laferrière.

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Lorrie Moore presenta Bark di Vittoria Cima, Giulia Cozzi e Lorenzo Paciotti In inglese vuol dire sia “corteccia” sia “abbaiare”: l’autrice rimarca subito il doppio significato del titolo del suo libro, Bark (Bompiani), che con ritmo rapido e approccio diretto parla di rapporti malati o sghembi, tuttavia non lontani dalla realtà. Una raccolta di racconti, difatti, che non hanno “happy ending” ma soltanto “ending”: un finale aperto che spinge spesso il lettore a immaginarsi una conclusione e talvolta a tentare di allontanarsene. Talvolta definita come una scrittrice “dark”, Moore considera la definizione esagerata ma con un fondo di verità. Ama infatti scoprire il lato oscuro dell’uomo e della speranza anche tramite un utilizzo dell’umorismo con battute pronte, spirito originale e capacità dissacratoria che permettono di ridere di se stessi e degli altri. L’umanità è così terribile? Del resto, è forse una coincidenza che “bark” faccia rima con “dark”? Alla domanda esplicita, Moore replica che è difficile dire se la vita sia “dark”, così la percepiamo ma ci sono delle “luci”, e leggendo un racconto dopo l’altro, che esaminano sfaccettature diverse della vita umana, si ha una consapevolezza sempre maggiore della realtà umana. Ogni scrittore ha un “territorio”, ovvero la realtà da cui parte. Poi comincia a romanzare e intraprende quella che Moore definisce “un’avventura”, impossibile da incominciare senza partire dal territorio. Le chiedono “Quando scrive un racconto e quando un romanzo?”. Risponde che un racconto è come una foto, un romanzo è come un film. Per quanto riguarda i personaggi, il romanzo è per quelli che hanno bisogno di un grande arco di tempo. I grandi soggetti invece sono per i romanzieri.

La tragedia è per i romanzi, i racconti sono più melanconici. Non c'è tempo per il finale. Nel romanzo sai cosa succede ai personaggi dopo la fine, nei racconti i personaggi sono “intrappolati”. Ci dice, ironica, che per decidere se scrivere un racconto o un romanzo si basa su cosa vuole l'editore. Confessa che ama scrivere romanzi, perché mantiene una relazione con i suoi personaggi; nei racconti i personaggi sono come le persone alle feste, le incontri una volta e poi non le vedi più. Quando le chiedono se le sue storie sono ispirate alla realtà, perché molto spesso nel libro si ha questa impressione, Moore risponde che le fa piacere che sembrino reali. “Ogni scrittore attinge da ciò che sa o che trova”, le cose non accadono a lei, nella maggior parte dei casi, ma sono ispirate ad avvenimenti reali riguardanti la sua famiglia o i suoi amici. Ovviamente i fatti vengono romanzati, ma essendo una sorta di testimoni della vita reale si tende sempre a trasformarla e comprimerla, in modo da trasformarla per renderla più divertente e funzionale. Un po’ l’equivalente letterario di quello che in campo cinematografico è il “metodo Stanislavskij”.

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LA POTENZA DEL RACCONTO

Intervista a Lorrie Moore, finalista al Premio Gregor Von Rezzori 2016 di Vittoria Cima

Lei ha scritto sia romanzi che racconti: quale stile di scrittura crede che abbia più potere, che lasci un segno più profondo nel lettore? Oh, penso che ciascuno dei due abbia il suo “potere”. Credo che ci sia potere nella lunghezza. Credo che alcune delle più belle cose scritte siano stati dei racconti, ma racconti lunghi. Penso che a volte un racconto lungo sia lo stile di scrittura che ha più potere. Ma, ovviamente, ci sono romanzi che trasmettono forti emozioni e i racconti in generale hanno un grande potere. Se un racconto è troppo breve, potrebbe trasmettere qualcosa di diverso dal “potere”, potrebbe trasmettere saggezza, luce, potrebbe riservare un paio di sorprese. Ma il potere di solito nei racconti... Di solito è associato a storie più lunghe. E questo è il motivo per cui Alice Munro scrive storie fantastiche. Quando scrive come si organizza? Ha dei rituali particolari che compie prima di scrivere? Sinceramente, non ho idea di cosa sto facendo. A volte, quando scrivo sembra che le cose accadano “per caso”. Non è facile scrivere un libro. Quasi tutti gli scrittori scrivono il primo libro, ne sono soddisfatti e si dicono che il secondo sarà più facile. Ma non è quasi mai così. Per iniziare a scrivere è necessario entrare in un “tunnel oscuro”. Molti scrittori fumano quando scrivono. A me piaceva fumare, ma non l'ho mai fatto mentre scrivevo. Il mio trucco per scrivere (sorride) è probabilmente il caffè. Una delle sue storie si ispira a Nabokov...

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C'è una storia che si chiama “Referencial” (“Riferimenti”), che riprende “Segni e simboli” di Vladimir Nabokov. Nabokov racconta di un ragazzo affetto dalla cosiddetta “referential mania”, un disturbo psichico. La prima parola del racconto è infatti “Mania” (“Delirio”). Nel racconto di Nabokov “referential mania” è allo stesso tempo la malattia diagnosticata a uno dei personaggi e una “condizione letteraria”, quando si legge e quando si affronta la vita da scrittori. “Segni e simboli” è in effetti un racconto molto breve, per tornare alla prima domanda, e allo stesso tempo ha un grande potere, quindi direi che costituisce un'eccezione al fatto che le storie più lunghe abbiano generalmente un potere maggiore. Quando vuole leggere un libro, preferisce i racconti o i romanzi? Dipende, a volte mi piace essere profondamente coinvolta in un romanzo, per avere lo stesso punto di vista dei personaggi, la stessa voce delle persone nella storia. A volte mi piace rimanere immersa nella lettura a lungo, altre volte invece preferisco qualcosa di “completo”, un'esperienza completa che non sia frammentata nell'arco di una o due settimane, o di quanto tempo sia richiesto per leggere un romanzo. Se cerco la completezza dell'esperienza è più appagante un racconto, se invece desidero immergermi più profondamente nella lettura, preferisco un romanzo. Come decide quanto tempo dare ai suoi personaggi? Come decide che il tempo è finito e i personaggi non possono più “crescere”? Il finale dà ai racconti il loro significato, tanto che i racconti finiscono per esserne influenzati. Il finale è cruciale per il senso di tutto il racconto. Spesso, trovo il finale prima ancora di aver finito di scrivere il racconto. Arrivata a metà dell'opera, mi fermo e scrivo la conclusione, il paragrafo finale. Ed è a partire da questo che gioco il mio racconto. Come quando si parcheggia: prima si trova il posto dove parcheggiare e poi si fanno le manovre. Credo che un finale non debba essere ambiguo, credo che debba definire il racconto a livello psicologico più ancora che letterario.

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Bark: una parola, due mondi

Conversazione amichevole coi recensori di Bark: prime impressioni a caldo e successiva riflessione di Giulia Di Giorgio, Sara Ciulli e Carlotta Baglivi

Coppie con lieto fine, litigi, divorzi, famiglie allargate... tutto questo racchiuso in una parola: “Bark”. Come ha spiegato l'autrice durante la conferenza di ieri mattina, la parola racchiude due significati: “abbaiare” e “corteccia”. E così i suoi personaggi si identificano in due categorie, quelli “arrabbiati, che si ribellano alla situazione e quelli che, invece, si chiudono con una corteccia in loro stessi... insomma, hanno un diverso modo di affrontare le situazioni”, come racconta una delle ragazze del liceo Gramsci, che insieme ai compagni recensori ci ha concesso una stimolante intervista. Fin da subito abbiamo potuto notare quante diverse opinioni avevano i giovani lettori riguardo al titolo... Alcuni pensavano si riferisse esclusivamente al comportamento “a corteccia”, la maggior parte all'“abbaiare”, che però viene visto dai nostri interlocutori in sfaccettature diverse: come chi abbaiando non compie alcuna azione significativa per il proprio futuro (“can che abbaia non morde”, si spiega la nostra coetanea), ma anche come chi vuol far sentire la sua voce. Tutto questo sviluppato in otto racconti, del resto: “scrivere un racconto è come scattare una fotografia, scrivere un romanzo è come girare un film”, sostiene la scrittrice Lorrie Moore, e ciò che voleva offrire ai suoi lettori era questo: poter assaporare diverse storie lette sotto diversi punti di vista, come scorrendo le pagine di un

album di ricordi di qualcun altro. Eppure agli intervistati questo stile non è andato del tutto a genio: “le storie si troncano ad un certo punto, e noi non sapremo mai come si concludono!” Se dunque la lettura si è dimostrata scorrevole ma non particolarmente accattivante -i ragazzi hanno comunque ammesso di averne tratto alcuni spunti di riflessione- la redazione delle recensioni è risultata più facile: “l'unico problema era la lunghezza: 3000 battute erano così poche che ho dovuto tagliare gran parte del mio scritto!”, ha una commentato una ragazza, mentre un'altra ha riscontrato la situazione opposta: la sua recensione rientrava in poco meno della metà dello spazio necessario. A quanto pare l'organizzazione della sezione dedicata ai Giovani Lettori ,aggiunta solo l'anno scorso, non è stata delle migliori: i ragazzi non sapevano esattamente per quando consegnare la recensione e i libri sono arrivati solo a inizio maggio. L'esperienza però è da ripetere, concordano i ragazzi: non capita spesso di leggere un libro e avere l'occasione di porre tutte le domande possibili all'autore in persona.

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ANDREW SEAN GREER UN OSPITE AFFEZIONATO di Elena Gensini Già finalista nella III edizione, Andrew Sean Greer racconta il premio Gregor von Rezzori come socio della Santa Maddalena Foundation. Lei è stato invitato dalla fondazione di Beatrice Monti della Corte a trascorrere del tempo nella villa a Santa Maddalena, come ha vissuto questa esperienza? Sì, è stato un grande onore aver avuto la possibilità di lavorare a stretto contatto con grandi scrittori e riuscire a confrontarmi con loro durante la mia permanenza a Santa Maddalena. Ogni anno la fondazione offre un’enorme opportunità a scrittori come me e a tutti i finalisti, sia di quest’anno che delle ultime edizioni del premio. Credo che lavorare in un luogo nuovo e così accogliente e prestigioso come la villa a Santa Maddalena sia assolutamente produttivo ed edificante. Insomma scrivere a casa propria molto spesso può essere noioso! Nel 2009 ha anche partecipato anche lei al premio von Rezzori come finalista… Essere finalista è davvero un grande privilegio e partecipando a questo evento mi sono sentito “a casa”. Quando ho saputo di essere stato incluso nella short list ero davvero onorato di essere stato preso in considerazione da una giuria così prestigiosa come quella del premio von Rezzori. Vedevo i giurati e gli altri scrittori (in quell’edizione Jhumpa Lahiri era finalista insieme a me) come personaggi del mondo della letteratura irraggiungibili, come superstar, e quando ho realizzato di poter stare accanto a loro e di essere posto al loro livello è stata una grande emozione. Era presente alla conferenza stampa della settimana scorsa, ora è qui e seguirà tutto il premio. Perché ha scelto di assistere così appassionatamente a questo evento? Innanzitutto faccio parte dell’associazione Santa Maddalena, come moltissimi altri miei colleghi. Sto aiutando Beatrice Monti della Corte a proseguire la gestione e le iniziative della Fondazione. E’ un nuovo ruolo che sono felice di ricoprire e la prima esperienza di questo genere che decido di fare: sono davvero entusiasta perché amo questo premio e sono contento di promuovere questi fantastici progetti. 15


Intervista ad Alessandra Baldini Colloquio con la rappresentante dell’Ente cassa di Risparmio di Firenze. di Youness Mattia Loutfi e Carlotta Baglivi Per capire l’intervento di questa istituzione in un premio così importante per la letteratura internazionale, abbiamo fatto alcune domande ad Alessandra Baldini, responsabile del settore arte e attività culturali dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, per farci spiegare meglio come è gestita l’iniziativa a livello economico. GdR: “Cosa vi ha spinto a decidere di investire in quest’iniziativa culturale piuttosto che in un’altra?” AB: “Nello statuto dell’Ente Cassa di Risparmio è presente l’obbligazione da parte della fondazione di sostenere la cultura, sia a livello locale sia esterno, a 360 gradi. Cultura, dove il termine in sé non si esaurisce nel concetto, ma si riferisce ad una attività produttiva a livello economico così come anche a livello umanitario. Una cultura che si offre a beneficio del singolo, per migliorare la qualità della vita in generale. Noi reputiamo che nel Premio von Rezzori ci sia un modo di fare cultura particolarmente intelligente e interessante, in quanto inno alla cultura in sé: esso crea legami internazionali con gli scrittori ed elogia l’uso della parola in sé. Inoltre, abbiamo ritenuto che fosse importante poiché valorizza la letteratura e il modo di fare letteratura che è non fine a se stesso ma vive come ricerca delle cose e di nuovi mondi. Ci ha molto convinto l’iniziativa di includere i ragazzi in questo bellissimo progetto.” GdR: “Perché date così tanto peso al coinvolgimento dei giovani?” AB: “ Pensiamo che sia ottimo che, in un’epoca dedicata al digitale, nella quale la carta è meno di moda e libri cadono in disuso, ci sia un tentativo di spingere le nuove generazioni a rivalutare il pezzo di carta e la cultura che esso contiene, creando un nuovo metodo di approccio verso la letteratura, attraverso un ponte di collegamento col passato.” GdR: “ L’Ente Cassa interviene praticamente in questa iniziativa o elargisce solamente il denaro per poi occuparsi di altro?” AB: “L’Ente ha due modi di intervenire: il primo sostenendo l’iniziativa solamente a livello economico; il secondo entrando anche materialmente nel progetto. In questo caso abbiamo fatto un po’ e un po’: il contributo concesso in parte è servito per finanziare il premio materiale che viene dato agli scrittori; d’altra parte invece sono state dedicate delle risorse 16


all’organizzazione e alla gestione del premio e, più in generale, all’attività. Non siamo entrati nella parte scientifica, perché chiaramente scegliere gli scrittori finalisti e poi i vincitori spetta agli esperti, però abbiamo contribuito alla cura dell’organizzazione. GdR: “ Il vostro intervento dal punto di vista economico si ferma al Premio von Rezzori o si estende anche alla fondazione Santa Maddalena?” AB: “Si estende alla fondazione Santa Maddalena in quanto organizzatrice del Premio von Rezzori, poiché lo gestisce fisicamente. Ovviamente, abbiamo bisogno di documenti e riscontri cartacei per giustificare le spese, per poter concedere i fondi, ma, alla fine, è la fondazione che li gestisce praticamente.

GdR: “ E vi siete offerti volontariamente di elargire questo contributo o è la Baronessa Monti dalla Corte ad averlo richiesto?” AB: “ Ormai sono parecchi anni che l’Ente finanzia questo progetto, quasi dieci, ma in questo caso è un contributo che nasce dalla richiesta di terzi e non nasce da un progetto spontaneo proprio della fondazione. Ci è stato presentato il programma e abbiamo aderito siccome pensavamo che fosse un’iniziativa meritevole e perfettamente in sintonia con i nostri scopi statutari.” GdR: “Pensate di appoggiare ancora questo Premio in futuro?” AB: “ Sì, compatibilmente con la nostra disponibilità economica, delle richieste e i bisogni a livello territoriale.”

Come giovani, ci troviamo oggi in una società che scoraggia vivamente l’intraprendere studi umanistici. Ci troviamo irreparabilmente ad avanzare nella direzione di un universo fatto di numeri, cifre, euro e centesimi. E’ per questo motivo che vedendo un Ente che, pur occupandosi di denaro in un periodo dove esso effettivamente scarseggia (soprattutto per quanto riguarda il campo culturale), si impegna affinché un progetto di fondamentale importanza a livello letterario, come il Premio von Rezzori, possa ogni anno prendere parte. Speriamo che l’Ente Cassa di Risparmio continui ancora questo impegno negli anni avvenire, perché avrà sicuramente effetti a lungo termine su tutti noi.

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UNO SCRITTORE CON LE ALI Presentazione del libro “Abbacinante. Il corpo” di Mircea Cartarescu. di Selene Murit

Alle ore 11:00 del 7 giugno, seconda giornata del Festival degli Scrittori per il premio Gregor von Rezzori, si è tenuta la presentazione di uno dei libri finalisti “Abbacinante. Il corpo” di Mircea Cartarescu, introdotta dallo scrittore Vanni Santoni con l’aiuto del traduttore Bruno Mazzoni. Poco prima dell’inizio, ci siamo avvicinati a Mircea presentandoci e chiedendo l’onore di potergli fare qualche domanda, richiesta che lo scrittore ha accettato cordialmente. Vanni Santoni ha iniziato con una sua descrizione generale del libro: “Abbacinante è un libro formato da un flusso continuo e in continuo cambiamento di visioni; può essere definito fantastico, ma ha una concezione allegorica che sgorga direttamente dal subconscio”. 18


Entrambi gli scrittori si sono soffermati sul simbolo della farfalla, emblema che viene presentato in diverse forme in tutti e tre i libri: “L’ala sinistra”, “Il corpo”, “L’ala destra”. Questa ripartizione può essere interpretata sia come divisione di passato, presente e futuro ma anche come divisione del nucleo familiare. La figura predominante della farfalla è stata scelta dallo scrittore non solo per la sua infinita bellezza e simmetria, ma anche perché essa è il simbolo più eloquente della condizione umana, simboleggiandone l’immortalità. La stesura dell’opera ha impegnato Cartarescu per 14 anni durante i quali ha scritto anche altri libri. Le due idee di partenza dell’autore erano quella del titolo e quella di scrivere un’opera che fosse formata da almeno mille pagine; Cartarescu, infatti, riprendendo una frase di Borges:” Scrivere opere abbastanza cospicue è inutile, perché farlo quando possono essere riassunte in sole due pagine?” ritiene che esistono libri che non possono essere riassunti con l’uso di meno parole. Nel corso dei tre libri si possono notare delle somiglianze con “La Divina Commedia” di Dante Alighieri; questa corrispondenza, però, è all’inverso poiché Cartarescu inizia con il Paradiso per poi passare al Purgatorio e all’Inferno, che corrispondono in ordine alla madre, al bimbo, in quanto filone principale del romanzo centrale, e al padre. All’interno della trilogia si intrecciano circa quaranta racconti aperti e sviluppati nei primi due libri che poi l’autore conclude nel libro finale. Nel corso della presentazione Cartarescu ha esposto una metafora molto esplicativa: “ Immaginate lo scrittore come un tatuatore e l’atto di scrivere come il tatuarsi le parti del corpo. Uno scrittore cercherà di tatuarsi più parti del corpo possibile ma, una volta finita la pelle disponibile, solo un poeta può riuscire a tatuarsi anche gli organi interni che, una volta tatuati completamente, sono fonte di una crisi che solo chi è un visionario può superare riuscendo a tatuare anche il suo stesso animo”.

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Il divulgatore di Cărtărescu Incontro con Vanni Santoni di Andrea Albini, Federico Balzani, Giulia Di Giorgi

Dopo la conferenza di Mircea Cărtărescu, abbiamo avuto l’occasione di intervistare Vanni Santoni, scrittore e presentatore di questo evento. Gli abbiamo chiesto come aveva conosciuto l’autore, e ha risposto che il primo vero e proprio contatto con lo scrittore rumeno avvenne al “Pisa Book Festival”, dove riuscì ad intervistarlo dopo aver letto i primi due romanzi della trilogia “Abbacinante”. Il secondo volume “Il Corpo” gli era stato regalato, ma non lo colpì finché non ebbe letto il primo. In seguito gli abbiamo chiesto qual è stata l’influenza di Cărtărescu sul suo stile narrativo. La risposta è stata precisa: attualmente la lettura dell’autore rumeno non sta cambiando il modo di scrivere di Santoni, ma bisogna dire che Cărtărescu gli ha comunque aperto nuove frontiere e in futuro molto probabilmente lo influenzerà. Grazie a due interviste, una a Berlino e una a Firenze, Santoni ci he descritto il carattere di Cărtărescu: un uomo calmo e pacato, ma consapevole della sua importanza all’interno del mondo letterario. A differenza di come è realmente, spiega Santoni, Cărtărescu scrive i suoi romanzi in tono alto e delirante. 20


Il fatto che Santoni sia uno dei pochi scrittori a conoscere il poeta-scrittore rumeno in Italia, poi, lo porta a presentarlo nella maggior parte degli eventi così da renderlo noto nel Bel Paese. La domanda successiva riguardava il motivo che ha spinto Santoni ad avvicinarsi al mondo della letteratura. In realtà lui aveva frequentato la facoltà di scienze politiche però, imbattendosi un giorno nella rivista “Mostro”, periodico autogestito e di qualità, ha deciso, dopo essersi laureato, di frequentare incontri settimanali dove si scrivevano racconti e si discuteva di testi classici e dei racconti scritti dai membri del gruppo. Ascoltando i racconti altrui, ha capito che il livello è molto alto così che, per spirito di competizione, portò il suo stile di narrazione ad un calibro più alto. Infatti il primo romanzo che scrive vince un concorso, ma non viene pubblicato solo perché la casa editrice fallisce. Il secondo però ha più fortuna e viene stampato e reso pubblico da Feltrinelli. Così ha inizio la carriera letteraria di Vanni Santoni che diventa uno scrittore che collabora con le più importanti case editrici italiane.

Il passato come centralità Intervista a Mircea Cărtărescu, sul suo libro finalista “Abbacinante. Il corpo” di Giulia Cozzi

Ritornando al confronto con la Divina Commedia, oltre al paragone dell’ordine “invertito”, un’altra analogia potrebbe interessare il tratto stilistico: come Dante scriveva in modo pluristilistico, alternando un registro basso a uno stile a tratti sublime, in tutte le tre cantiche, così fa lei. E’ un’osservazione molto buona. Molti libri della grande letteratura europea cominciano in 21


cielo, come ad esempio il Faust di Goethe e poi mano a mano scendono sulla Terra e nell’Inferno; la stessa cosa può avvenire con i registri della scrittura. Per essere uno scrittore di talento devi essere in grado di percorrere l’intero arcobaleno che parte dall’abiezione e arriva al sublime. Molto spesso nel suo libro lei crea delle immagini astratte che sono difficilmente traducibili in immagini concrete, ma al tempo stesso descrive minuziosamente il visibile. Che rapporto c’è tra queste due visioni? Riguardo alle arti, io credo che un eccesso di astrazione o un eccesso di concretezza portano a uno scacco. Quindi una dote che deve avere uno scrittore è quella di rendere il più possibile concrete le cose astratte e il più astratte le cose concrete. C’è un punto interessante nel suo libro, nel quale lei scrive di Maria, la donna-farfalla, e dice che invecchia di 10 anni quando suo figlio brucia le sue ali. Volevo sapere, cosa significa per lei avere le ali? Significa potersi sollevare dal mondo? Non hanno un valore particolare, esse rappresentano il valore del sogno. Se tu togli ad un uomo la capacità di sognare, e dunque di elevarsi, implicitamente gli sottrai degli anni di vita e quindi lo fai invecchiare. All’inizio del libro, lei scrive che non potrebbe vedere né percepire qualcosa se non lo ritrovasse già vissuto nella sua mente. Lei scrive “ il passato è tutto, il futuro è niente”. Ma il presente? E’ solo una rivisitazione di qualcosa già accaduto, una visione che si risveglia nella memoria? Che ruolo hanno per lei il presente e la memoria? Tutta la tesi del libro è centrata sul passato, perché ciascuno di noi è sicuro solo del proprio passato. Noi vediamo il passato ma non vediamo il futuro. È uno strano accidente del nostro destino. L’istante presente quasi non esiste, come sostengono alcuni filosofi, perché trapassiamo immediatamente nel futuro, che è sempre inevitabilmente incerto. Quindi il centro di gravità del mio libro, e forse del mondo, rimane il passato.

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ALBA DONATI: LA NUOVA PRESIDENTE DEL GABINETTO G.P. VIEUSSEUX Di Youness Mattia Loutfi

Il Giornale dei Ragazzi intervista la nuova presidente del Gabinetto scientifico e letterario G.P. Vieusseux, in carica dal 27 febbraio 2016. Come è stato diventare Presidente del Gabinetto scientifico e letterario G.P. Vieusseux più prestigioso d’Europa? È stato molto bello, no… molto emozionante, non ci credevo fino alla fine, e per me che sono nata e cresciuta nei libri, non perché io sia nata nei libri perché la mia era una famiglia abbastanza povera, però mi raccontavano i miei genitori che mia mamma andava con le sue sorelle a fare l’erba nei campi e mi davano un ‘aggeggino’, nel quale io mettevo dentro un libro (ride) e dopo un po’ mi trovavano sotto un albero a leggere e non fare niente. Quindi per me arrivare qui è stato molto bello, e veramente c’è sedimentata la cultura dei più grandi scrittori d’Europa, non solo d’Italia, e poi ci sono stati a dirigerlo Eugenio Montale, è anche un posto un po’ mitico. Prima di diventare presidente del Gabinetto G. P. Vieusseux ricopriva qualche altra carica? No, cariche no. Io scrivo, diciamo, se quella è una cosa di cui ci si occupa, scrivo poesie, non narrativa, e saggistica. Ho fondato venti anni fa una società che si chiama ‘Davis e Franceschini’ dove ci occupiamo di promozioni di eventi culturali, quindi stare in mezzo a convegni, case editrici, mostre è sempre stato il mio lavoro. Come si impegna il Gabinetto G. P. Vieusseux ad aiutare e sostenere il Premio Gregor von Rezzori e la Fondazione Santa Maddalena di Beatrice Monti della Corte? Mah, cerchiamo di trovare un accordo perché ci teniamo moltissimo a questo premio, che tra l’altro io sono proprio una doppia veste perché ho sempre lavorato per il premio e per il Festival degli Scrittori, poi mi sono ritrovata con questo ruolo del Vieusseux ma non ho un conflitto di interessi 23


anzi è opportuno,che si riuscisse a fare questo matrimonio con il premio ed il Festival che tutti gli anni rischia di morire a causa dei fondi sempre minori. Quindi se troviamo un accordo con Beatrice Monti della Corte, come spero, riusciremo sicuramente, grazie al Vieusseux che non è una fondazione di una persona privata ma un’istituzione culturale, si spera di riuscire a trovare più soldi proprio per poterlo fare, avere una certezza, che non sia da rinnovarsi ogni anno, poiché il premio è stata una condizione ogni anno, cioè fare una fatica a trovare i soldi per fare l’edizione dell’anno dopo e ricominciare da capo, con il Vieusseux alle spalle forse questo potrebbe non accadere, ecco. Come pensa con il Comune di Firenze, che collabora con voi, a far estendere e conoscere ancora di più il premio, visto che nonostante la prestigiosità non è tanto conosciuto? Forse non è tanto conosciuto perché come avrete notato, ci sono scrittori non palesemente conosciuti, abbiamo sempre puntato a scrittori importanti ma emergenti, quindi naturalmente è più difficile (farlo conoscere), che invitare scrittori come David Grossman che riempiono un teatro, forse bisognerebbe trovare una via di mezzo, quindi forse per il futuro sarei per trovare un’integrazione con qualche autore più popolare; poi la via è quella come abbiamo fatto e cerchiamo di farla da un paio d’anni, e come vi ha detto il Sindaco di Firenze Dario Nardella ‘la risposta siete voi’, cioè attraverso le scuole, e l’ho presa come una ‘human mission’, e con il Gabinetto G. P. Vieusseux ho in mente altri progetti che possano mettere insieme la contemporaneità e la storia della Letteratura che rappresenta il Vieusseux, e bisogna farlo con voi studenti che avete bisogno delle basi e a me piace molto l’idea di contaminare, dico sempre una metafora assurda ‘Se un giorno J-Ax mi fa un pezzo dei Doors mia figlia, che ha tredici anni, scopre chi sono i Doors, che magari non li avrebbe mai scoperti’. Credo molto che la letteratura del passato riletta da nuovi scrittori possa anche per voi essere più significativa. Dunque il Gabinetto G. P. Vieusseux si impegna anche in altre attività culturali estese ai ragazzi? Io lo vorrei molto, fare solo questo qui. Io credo di essere stata invitata qui a lavorare proprio per questo, e credo che il mio compito sia quello di promuovere ancora la letteratura, di ieri e di oggi, alle nuove generazioni quindi penso di fare altre cose oltre al Von Rezzori. Gli ospiti del Festival vengono scelti dal Gabinetto G. P. Vieusseux? Gli ospiti italiani li scelgo io, in genere, visto che sono sempre stata la curatrice del Festival, poi può capitare che ci siano altri ospiti internazionali che possono venire da me o da Beatrice… Siamo comunque noi due, che invitiamo e che decidiamo gli ospiti. I finalisti sicuramente li sceglie la giuria con Beatrice Monti della Corte. Ci può dire due parole sul Gabinetto e sulla nomina della Presidente? Il Gabinetto Vieusseux nasce come un’istituzione privata, poi, nel corso del tempo è stata assorbita dal Comune di Firenze e dunque è un ente morale che fa capo proprio al Comune. Infatti, io, come presidente sono nominata dal Sindaco, e quindi credo che starò in carica quanto starà lui. Sono in carica dal 25 febbraio, su nomina di Nardella, dopo le dimissioni di un altro presidente perché non stava più in Italia ed era Giuliano da Empoli. 24


ETGAR KERET: LO SCRITTORE CHE FA SMETTERE DI PIANGERE I BAMBINI di Vittoria Cima e Elena Gensini

Il Giornale dei Ragazzi intervista lo scrittore già finalista del premio Von Rezzori e protagonista della Lectio Magistralis di questa edizione. Nella conferenza appena conclusa avete parlato dell’umorismo nel racconto e nel romanzo. A scuola si studia che una delle più famose definizioni di umorismo è stata data da Luigi Pirandello. Condivide la sua definizione? Beh, credo che non si possa essere d’accordo o non essere d’accordo con la definizione di umorismo. E’ come condividere o meno una definizione di bellezza. Penso che ogni scrittore abbia una propria definizione di umorismo, spetta a lui riuscire a trasmetterla utilizzando una diversa enfasi nelle sue opere. Spesso lei nomina suo figlio durante interviste e conferenze. Sembra che nel vostro rapporto siate sullo stesso livello nonostante la differenza d’età. Si può dire che suo figlio sia per lei come una fonte d’ispirazione? Scrivo anche libri per bambini e spesso le case editrici e la critica mi rimproverano il fatto che ciò scrivo non sempre sia adatto a dei piccoli lettori. Molti sostengono che le capacità intellettive dei bambini siano inferiori rispetto a quelle degli adulti. In realtà nonostante ab25


biano meno competenze, siano più bassi, non abbiano la patente… (ridendo), credo che la loro intelligenza non sia in alcun modo inferiore a quella degli adulti e che non sia confinata in alcune abitudini che invece sono proprie degli adulti. Se la vita fosse paragonata a un’automobile, gli adulti sarebbero alla guida della vettura, mentre i bambini sarebbero in procinto di entrare nella macchina. Di conseguenza la visuale degli adulti risulta avere molti punti ciechi che invece quella dei bambini non ha. Il dialogo che intrattengo con mio figlio è utile sia per me che per lui. E’ una sorta di dialogo socratico. Se non dai fiducia alle persone non riuscirai mai a ricevere ciò che vorresti da loro. Se invece dai loro attenzione e dimostri interesse nei loro confronti, sicuramente otterrai in cambio la stessa fiducia e lo stesso rispetto concessi. Nella mia famiglia è risaputo che io abbia lo strano potere di riuscire a far smettere di piangere i bambini. Quando un bambino piange, sono solito parlargli seriamente, dicendogli: “Ti capisco, a volte pensi di essere ignorato, ma è solo una cosa temporanea, non ti preoccupare. Ci sono cose positive nella tua vita…”. Non credo che sempre comprendano fino in fondo le mie parole, ma c’è qualcosa nel mio modo di pormi con loro, che li fa smettere di piangere. Sarò ingenuo, ma cerco di dare la maggior fiducia possibile a tutto ciò che mi circonda: le persone, i bambini e persino gli animali. E loro grazie a questa fiducia riescono a compiere passi avanti. Lei scrive racconti, ma quando si tratta di leggere, preferisce i racconti o i romanzi? Mi piacciono entrambi. Sono forme di scrittura completamente diverse, è come paragonare la poesia alla prosa. Credo che abbiano funzioni diverse all’interno della mia vita. Ciò che amo del romanzo è il fatto di potermi immergere in esso per un lungo periodo di tempo. Invece mi piacciono i racconti perché possono essere letti in una sola seduta. Amo la musica classica e allo stesso tempo amo il rock’n’roll. Non credo che il racconto escluda il romanzo e viceversa, e non penso nemmeno di riuscire a fare una classifica fra i due.

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CRISTINA GIACHI: “GRANDI ASPETTATIVE. I GIOVANI NON DELUDERANNO” di Elena Gensini

Cristina Giachi, vicesindaco del comune di Fi- Sicuramente ci impegneremo per veicolare magrenze, parla con grande entusiasmo delle giormente le prossime edizioni del premio von “giovani” novità al premio von Rezzori 2016. Rezzori, ma si tratta pur sempre di una tre giorni Cosa pensa dell’iniziativa “Il Giornale dei ricca di letteratura straniera tradotta. Sappiamo purtroppo che l’Italia non è un paese di grandi Ragazzi” ideata da Isabella Di Nolfo? lettori, anche per questo motivo ci sarà molto da Io e Alba Donati, direttrice del Gabinetto Vieus- lavorare. Sono però fortemente convinta che seux, abbiamo pensato che uno dei modi per coinvolgere i più giovani sia uno dei modi per promuovere questo premio all’interno della città radicare un’abitudine alla lettura tale da far saldi Firenze fosse quello di lavorare con i lettori tare queste percentuali piuttosto scoraggianti al più giovani, soprattutto con gli studenti di scuo- momento. Ancora la letteratura straniera tradotta le superiori e licei fiorentini. Dalla collaborazio- è quasi un fenomeno di nicchia e appannaggio ne fra il Gabinetto Vieusseux e il comune di Fi- di un numero ristretto di lettori. Ci siamo accorti renze è nato prima il premio per la miglior re- che questo numero sta crescendo e possiamo censione scritta dagli studenti e poi l’idea de “Il felicemente constatare che il premio von RezzoGiornale dei Ragazzi”, che è la novità di que- ri non è più un evento esclusivamente legato alla st’anno. Credo molto in questi progetti, come è cultura di Firenze, ma sta entrando a far parte già stato notato le recensioni dell’anno scorso del costume di questa meravigliosa città. erano davvero splendide. Abbiamo grandi aspettative anche per questa edizione del premio, sono certa che i ragazzi non ci deluderanno. Guardando al futuro, state già pensando ad altre iniziative per riuscire a allargare gli orizzonti del premio coinvolgendo maggiormente Firenze e i suoi cittadini? 27


BEATRICE MONTI DELLA CORTE: Ambasciatrice della Cultura. Di Youness Mattia Loutfi

Come ha incontrato Gregor Von Rezzori? Beh ho incontrato i suoi libri prima di incontrare lui, perché lui aveva pubblicato in una bellissima collana della Medusa, che è una prestigiosa collana editoriale della Arnoldo Mondadori Editore, Un Ermellino a Cernopol, che era un po’ la storia del suo paese in una chiave surreale, il libro era affascinante, ha avuto un grandissimo successo in Italia ed era anche comparso in televisione. Lui già mi conosceva un pochino attraverso il mio lavoro, perché avevo una grande galleria d’arte a Milano e mi occupavo di pittura d’avanguardia, giravo molto e quindi ero molto conosciuta (sorridendo). Mi ha cercato due o tre volte, poi finalmente mi ha trovato da I Feltrinelli. Come è nata l’idea della Fondazione Santa Maddalena? Beh, la fondazione è avvenuta quasi in maniera naturale, perché mio marito è morto nel ’98, ed quando è morto mi han detto ‘Non diventare una vedova noiosa, piangente, non seguire le donne che alle volte di soldi o anche di attitudine si ritirano in due stanzette, che non fanno più niente se non occuparsi dei nipotini’, io nipotini non ne avevo, però avevo molte passioni come l’arte e la letteratura in quella casa lì, dove io vi invito, venite Giovedì a colazione, mi farebbe piacere, vi dirò come si fa, è nel Valdarno. Abbiamo trovato questo rudero, dopo esserci sposati, ma poco dopo, ci avevamo pensato 28


anche prima; ci incontravamo di nascosto nel Valdarno, nella casa che ora è di Sting, (che è un mio amico), perché lui veniva da Roma, io da Milano e volevamo starcene per i fatti nostri (sogghignando) e ci trovavamo in quella casa, e poi siamo diventati seri anche se non eravamo troppo giovani, eravamo giovanili. Abbiamo pensato di comprare questa casa in Toscana, dove si comprava un bel rudero a pochi soldi, e quello l’abbiamo fatto. Era una casa piena di galline, erano cinquant’anni che non ci abitava più nessuno, piena di guai, niente luce e soprattutto, eravamo talmente innamorati di questo posto, che non ci siamo interessati di sapere che non c’era acqua, e questo è un dramma che abbiamo ancora adesso. Abbiamo avuto una vita felice, vicino c’era un gruppo di case, e una volta restaurate abbiamo invitato i nostri amici (che erano artisti), lui scriveva tutto il giorno e non voleva essere scocciato. Allora la casa è nata con tanti tavoli, ogni stanza aveva almeno un tavolo, quindi è stato normale invitare anche degli scrittori e così ho continuato a fare, dopo che lui è morto, ho pensato che fosse una buona idea creando una specie di istituzione, per quanto lì la libertà è totale, fanno quello che vogliono, devono solo lavorare e poi mangiare la sera, tutti insieme, per il resto non chiedo niente, non chiedo la pubblicazione, però viene fuori questa cosa in realtà (riferendosi al Festival degli Scrittori e al Premio Von Rezzori), perché le radici sono lì, per questo io conosco tanti bravi scrittori. (segue a pag. 22) Riguardo al Premio Gregor Von Rezzori, gli scrittori da chi vengono scelti? Vengono scelti da una giuria, quest’anno straordinariamente siamo in sei, di solito in cinque, ed è composta da Ernesto Ferrero, che è presidente della Giuria, nella sua carriera è stato anche capo di Einaudi, ed era amico di Calvino, è un vecchio signore come d’altronde lo sono anch’io (ridacchiando), è anche il curatore della Fiera del libro di Torino. Poi c’è

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Edmund White che è il più cosmopolita, perché l’idea era di avere l’occasione di mettere insieme scrittori di culture molto diverse, vedete, abbiamo una Cinese, un Haitiano… perché ognuno, anche se la cultura è una specie di ombrello che ci copre tutti, ognuno ha le sue radici e arricchisce gli altri con quello che ha, succede così anche a casa mia… cerco sempre di avere autori di diverse nazionalità, perché anche se c’è una piccola barriera di linguaggio, oramai la lingua franca è l’inglese, è più interessante, sono uno più curioso dell’altro. L’Ente e il Comune l’aiutano solo sul piano finanziario o anche in altri campi per il Premio Von Rezzori? Poco anche così, diciamo la verità (sorridendo), molto poco. Lo sapete, ho qualche donazione dalla Cassa di Risparmio ma non coprano tutte le spese, assolutamente no, quindi adesso bisognerà trovare un’altra soluzione, perché quella che mancava ce lo mettevo io, ma è un sistema che non posso continuare più anche perché quelle poche risorse che ho devono servire per la mia fondazione. La fondazione si autofinanzia o riceve contributi? All’inizio ero ottimista, avevo anche autori di altri paesi, editori di mio marito che mi hanno aiutato un po’, poi ero molto conosciuta nel settore dell’arte, grazie alla mia galleria d’arte moderna, che mi ha dato dei soldi anche se si parlava di letteratura, e piano piano i donatori, per i tempi difficili in cui riversiamo, sono molti meno. ‘Adesso poi, se voi tre volete venire a pranzo da me giovedì vi divertite anche, tanto mi vedete ancora qua domani, vi faccio avere tutti gli indirizzi per venire. Non posso invitarne cinquanta (con aria divertita)’.

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VIOLA DI GRADO UNA SCRITTRICE NATA di Selene Murittu

Lei ha pubblicato il suo primo libro “Settanta acrilico trenta lana” a 23 anni ed è stata la più giovane vincitrice del Premio Campiello Opera Prima; da dove è nata l’idea della stesura di questo primo romanzo? Ho sempre scritto da quando avevo cinque anni, non mi sono mai detta “voglio fare la scrittrice” perché era parte di me, sarebbe stato come dire “voglio fare l’essere umano”. Si ispira a qualche grande scrittore che ha ispirato il suo stile? Io credo che non bisogna avere modelli perché creatività è invenzione da zero dunque se scrivi ispirandoti a qualcuno già il punto di partenza secondo me è sbagliato perché non ne vale la pena. Lei ha deciso di rompere il contratto che aveva appena firmato con la Bompiani e ha deciso di seguire il nuovo marchio editoriale La nave di Teseo, può spiegare come mai ha deciso di intraprendere questa strada? Dopo che si è creato questo monopolio pazzesco all’interno del mondo editoriale che non ha precedenti ed è potenzialmente pericoloso per la letteratura perché ne minaccia la pluralità, ho deciso di lottare per questo ideale di letteratura con altri scrittori come Umberto Eco e per me è stata una cosa molto bella e importante perché io ho sempre creduto tantissimo nella letteratura. Lei scrive direttamente su un pezzo di carta o, più modernamente, riesce a trarre ispirazione anche con l’utilizzo del computer? Io scrivo al computer e mi porto sempre dietro un quaderno ma l’ispirazione non è tanto legata al mezzo per me è il filtro tramite il quale vivo le mie esperienze di vita.

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DINAW MENGESTU: UNO SCRITTORE CONTRO UN MURO di Vittoria Cima

8 Giugno 2016, ore 11:00 – Balconata di Palazzo Strozzi. Ha inizio il primo evento di oggi al Festival degli Scrittori. Raffaele Palumbo apre la presentazione del libro Tutti i nostri nomi (Frassinelli, 2015) di Dinaw Mengestu. Dopo una breve introduzione del libro, Palumbo lascia la parola all'autore. Mengestu decide di raccontare una storia, la sua storia, ciò che l'ha spinto a scrivere il libro. Nel 2007 si trovava in Sudan insieme a un gruppo di giovani rivoluzionari. Alla domanda “cosa vorreste diventare?”, molti dei giovani rispondevano dicendo di essere dei rivoluzionari e basta. Qualche giorno dopo, alla stessa domanda, qualcuno rispose che in quanto rivoluzionario non poteva aspirare a essere nient'altro, ma che se non si fosse trovato in Sudan gli sarebbe piaciuto frequentare una scuola. Mengestu dice che queste sono “storie tragiche, ma di coraggio. Sono queste storie che, decantandosi nella mia mente, mi hanno dato l'idea per il libro.” Aggiunge di aver ambientato Tutti i nostri nomi negli anni '70 per far capire come la situazione sociopolitica non sia mai davvero cambiata negli ultimi anni. Il razzismo oggi è più nascosto, risiede in una retorica diversa, ma altrettanto violenta. Porta l'esempio dei politici che vogliono costruire muri o rafforzare le frontiere, commentando che nessuna barriera è opportuna in quanto “chiudere le porte è come rinchiudersi in una prigione”. Gli viene chiesto cosa voglia dire per lui cambiare il mondo, se crede che sia possibile farlo. La risposta lascia atterriti: “Ho visto così tanto male nel mondo che tendo a essere scettico.” Sostiene che i conflitti si ripetano e che non finiscano mai davvero. A volte, gli sembra quasi di tornare agli anni '60. “È facile parlare con il linguaggio della rivoluzione, ma la rivoluzione non è sempre la strada migliore per apportare un cambiamento. Il cambiamento si ottiene combattendo per i propri ideali e per ciò che sappiamo essere giusto.” Mengestu continua il suo discorso profondo, quasi commosso, sostenendo che forse non giungeremo mai a un mondo perfetto ma che dobbiamo combattere per il miglior mondo possibile. Abbiamo bisogno di guardiani del progresso che impediscano la recessione in ambito sociale. La rivoluzione reale non è una grande battaglia, è l'insieme dei piccoli progressi quotidiani. Il vero pericolo non viene dall'esterno, viene dalla propria interiorità. Allo stesso modo non bisogna guardare solo agli altri, è necessario concentrarsi soprattutto su noi stessi. 32


SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA: bisogna imparare a condividere Intervista a Raffaele Palumbo di Carlotta Baglivi, Federico Balzani

Stamattina, dopo la breve conferenza in onore del libro di Dinaw Mengestu, dove egli stesso è intervenuto, abbiamo chiesto al giornalista Raffaele Palumbo di poterci rilasciare un’intervista. GdR: Che cosa le ha lasciato questo libro a livello personale e come si è sentito una volta terminata la lettura? RP: La cosa più bella è questo necessario incontro tra persone che noi amiamo chiamare ‘diversi’, dimenticando che siamo tutti un evento unico nella storia dell’umanità e che siamo tutti diversi per definizione. E anche la difficoltà di costruire una storia come dire d’ “amore” tra persone di diversa provenienza, diversa cultura, diverso status economico, diverso modo di stare al mondo, diverse religioni, diverso modo di mangiare, di vestire, ecc… E anche attraverso quella storia d’amore noi per certi versi –come dire- ci rendiamo conto della inevitabilità [scandisce ampiamente] dello stare insieme. Noi cerchiamo la separazione, i muri, gli inni nazionali, i passaporti, i fili spinati e non ci rendiamo conto; immaginiamoci su una barca e su questa barca c’è quello del ponte superiore che esibisce il passaporto per passare al ponte inferiore: allora se la vedete così vi rendete conto e tutto ciò vi fa sorridere poiché ci accorgiamo di quanto sia ridicolo. Noi non abbiamo un’altra scelta che non sia condividere questo pianeta, perché non ne abbiamo altri e questa in realtà è una grande fortuna; e questo libro ci ricorda che il mescolarsi, il muoversi è ciò che fa girare il mondo. Paradossalmente, potremmo dire che se le persone smettessero di muoversi il mondo smetterebbe di girare e questo è una delle cose meravigliose che questo libro ci racconta. 33


GdR: Come si è avvicinato al mondo del giornalismo? RP: La cosa che ci salva è raccontarci le storie. Ciò che affossa il giornalismo è il non raccontarle. Noi non raccontiamo più le storie, raccontiamo i numeri: “morte 32 persone nel canale di Sicilia…” abbiamo tolto l’umanità alle persone. Questo romanzo ci dà la possibilità di raccontare delle storie, narrando di persone, mentre noi trattiamo di numeri, stereotipi, cose astratte. Un grande narratore, un grande giornalista che si chiamava Capuceschi diceva –parlando di giornalisti- che “il buon giornalista non può essere cinico, perché non è adatto a questo mestiere, perché non è possibile raccontare la vicenda di qualcuno senza aver vissuto un pezzetto della sua storia”. Allora il raccontare le storie della gente, delle persone, belle, brutte, è l’unica strada di salvezza ed è l’unica strada per cercare di stare insieme, di generare comunità e per questo comunicare nel senso etimologico, cioè mettere in comune e non vivere accoltellandosi alle spalle. GdR: Nel singolo, nessuno direbbe mai ‘io discrimino, io sono razzista’, però quanto ognuno di noi, vedendo l’Africa disegnata così drasticamente ridotta sulla cartina, coi suoi stati tracciati col righello, può davvero considerarsi ‘pulito’? RP: Puliti poco. Nel senso che nessuno di noi è pulito finché non ci guardiamo allo specchio. Vediamo una tragedia e continuiamo la nostra vita voltandogli le spalle, finché non rinunciamo a qualcosa, perché vogliamo la macchina da tremila di cilindrata, il petrolio, mangiare otto volte al giorno, vogliamo tutto in sostanza. Così non si può sentire pulito colui che disegna la cartina ‘gerarchica’ né possiamo noi che andiamo a fare la spesa comprando le banane ad un prezzo ignominiosamente basso, perché vogliamo mangiare cinquanta banane al giorno, non ce ne basta una e poi muoiono tutti di infarto a cinquant’anni per le cosiddette ‘malattie del benessere’. Tutto torna lì: ognuno deve portare avanti la propria rivoluzione individuale, lì sta il cambiamento. Terzani diceva: “Il guru è dentro di te. La rivoluzione è dentro di te.” Se impariamo a stare al mondo in modo tale da essere ogni giorno consapevoli del fatto che abbiamo rispettato questo pianeta, che abbiamo vissuto in modo sostenibile, rispettando i nostri simili –vicini o lontani che siano- allora abbiamo fatto la rivoluzione dentro di noi. Se invece hai inquinato, iperconsumato, il Pianeta alla fine ne risentirà: perché è un sistema chiuso. Niente si crea, niente si distrugge. E’ un gioco a somma zero, se io mangio dieci, qualcun altro mangerà uno. E ciò avviene non perché non ci siano risorse, ma perché abbiamo creato un sistema iniquo. Abbiamo la possibilità di produrre genere alimentari per il doppio della popolazione mondiale, ma al contempo un miliardo di persone muore di fame. Per cui ciascuno faccia la propria parte.”

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INTERVISTA A DINAW MENGESTU

Intervista al finalista autore di Tutti i nostri nomi (Frassinelli, 2015). di Vittoria Cima

Si parla spesso dell'idea di “libertà”. Crede che gli uomini siano davvero liberi, o la libertà è soltanto qualcosa di cui si parla ma che non si ha davvero? Beh, per prima cosa bisogna definire “libertà”. Se si intende la possibilità di fare tutto ciò che si vuole allora no, ovviamente non siamo liberi. Quello che dovremmo cercare di fare è rendere la nostra società meno restrittiva possibile, per permettere alle persone di sfruttare appieno il loro potenziale. Credo che la libertà di esprimersi liberamente in quanto esseri umani sia fondamentale, così come la libertà di amare chi si vuole amare, di parlare quando si vuole parlare. Questo ovviamente senza privare gli altri della loro libertà. La mia libertà non deve invadere la tua. Credo che il vero limite da superare sia l'attuale impossibilità di esprimersi liberamente. Ancora oggi, un omosessuale non può camminare per strada con il proprio compagno senza essere giudicato e in molti casi non può sposarsi. Allo stesso modo, non puoi viaggiare dove vuoi. Ad esempio, io non potrei visitare l'Italia se non avessi il passaporto americano, quindi non siamo assolutamente liberi in quel senso. Lei ha visitato molti paesi. Secondo la sua esperienza, il razzismo è più radicato in determinate aree geografiche o è diffuso ovunque con la stessa intensità? Credo che ciascuno possa discriminare un altro per qualcosa. Potrei dire che non mi piace la tua camicia (indicando A lessandro Kortz), potrei dire di odiare tutti coloro che indossano una camicia a quadretti. Penso che tutti tendano a dividere la società secondo alcuni criteri. Ci sono molte forme per quanto riguarda la discriminazione. La vera domanda è: quanto tolleriamo le nostre leggi e il nostro sistema statale? Questo è il vero razzismo. Il vero razzismo è ciò che priva alcune persone del loro potere in base a chi sono: in base al colore della pelle, al sesso, all'orientamento sessuale. E quello è il “razzismo istituzionale”, il più profondo e il più difficile da estirpare. È come se dicessi che non mi piace il colore della tua maglietta e ti impedissi per questo di votare, sostenendo che non lo meriti. 35


Lei è stato sia giornalista che scrittore. Perché ha deciso di diventare scrittore? Solo per amore della letteratura o perché ha sentito la necessita di dire ciò che stava accadendo? In realtà ho cominciato a scrivere romanzi prima di diventare giornalista, anche se so che di solito è il contrario. Ho sempre “romanzato” le mie storie, mi piaceva scrivere storie d'invenzione. In seguito ho cominciato a scrivere storie ambientate nella realtà, storie che descrivevano fatti accaduti davvero, pur non vissuti di persona. Quando scrivevo storie inventate mi rendevo conto che mi piaceva e mi riusciva, ma in seguito ho sentito una sorta di responsabilità. Mi sono reso conto di avere il dovere di raccontare la realtà, di esprimere ciò che ritengo giusto. Anche per questo ho cominciato a lavorare come giornalista, per poter dire ciò che penso con un'intensità che il romanzo non mi avrebbe permesso.

UN LIBRO ‘SOTTO MENTITE SPOGLIE’ Tutti i nostri nomi raccontato dai recensori del Liceo Capponi di Carlotta Baglivi, Giulia di Giorgio, Federico Balzani e Tommaso Becattini

In questo mattino di Giugno, il giorno del canto del cigno del ‘Premio von Rezzori’, abbiamo avuto un’amabile conversazione con delle ragazze del Liceo Capponi, che sono state selezionate per recensire il libro Tutti i nostri nomi di Dinaw Mengestu. Il romanzo è un 36


abilissimo intreccio tra due storie, inconciliabili temporalmente ma inevitabilmente connesse: all’inizio della vicenda, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, si vedono due giovani ugandesi – Isaac e Langston- che si battono per il cambiamento nel loro paese, poi, durante la narrazione, abbiamo un’ellissi temporale (finemente inserita tra un capitolo e l’altro, cambiando repentinamente i punti di vista), alla fine della quale ritroviamo Langston che, separandosi dalla causa di Isaac, si è trasferito negli USA ed ha intrapreso una relazione con Helen, narratrice degli eventi. Questa relazione, che stordisce leggermente per la repentinità con la quale avviene, risulta a tratti vuota –racconta una delle ragazze- tratta di una donna che ha scelto Langston più per paura della solitudine che non per purezza di sentimento. Così Helen si renderà conto che il muro invalicabile formato dai segreti di Langston le rende impossibile continuare ad amarlo come vorrebbe; questo passaggio è stato sottolineato molto dai lettori in quanto, in esso stesso, quasi si riesce a percepire il dolore e l’ansia che traspaiono da questa tormentosa, quanto anche tormentata, relazione. Segno di ineluttabile maestria dell’autore. Il libro però si presenta ‘sotto mentite spoglie’, perifrasi scelta da una delle recensitrici, la quale ci fa notare che esso si introduce al recensore come una lettura tranquilla, ma è un abisso di temi profondissimi, una nassa che ti cattura e risucchia in un vortice di parole e concetti, intrigante quanto anche spiazzante e sincero. Inoltre, molti dei lettori avevano immaginato che lo scrittore avesse vissuto in prima persona gli eventi narrati, che avesse provato quelle emozioni potentissime e che fosse, in qualche modo, un po’ all’interno di Isaac stesso.- Invece, come egli stesso ci ha rivelato durante la conferenza di questa mattina, il romanzo è basato su eventi che egli ha appreso durante la sua straordinaria carriera di giornalista da dei rivoluzionari quindicenni nel Darfur. Ovviamente, si è preso delle licenze poetiche. Nonostante le tematiche fortemente delicate, lo scrittore (attraverso Langston) “cerca sempre di trovare una tranquillità, anche nel caos” sentenzia una delle ospiti, descrivendo le tipiche azioni del personaggio: egli legge continuamente anche quando la situazione sembra precipitare, o anche solo nei momenti di noia. E così che ‘Dickens’ diventa uno dei numerosi appellativi affibbiati al giovane, data la sua parlata ottocentesca, derivatagli dalla lettura continua di questi romanzi. Un’altra caratteristica di Mengestu, spiega complimentandosi una delle ragazze, è che “si sa concentrare sugli spetti fondamentali dei personaggi”, nel senso che non si dilunga in inutili e pedanti descrizioni fisiche ma omaggia i singoli personaggi con ampie disgressioni psicologiche, come per esempio nel personaggio di Helen della quale non conosciamo le caratteristiche fisiche, ma di cui certamente conosciamo ogni pensiero. Unica nota dolente, che come un filo conduttore si è profilata durante tutto il premio, pare essere l’organizzazione del premio ‘Giovani Lettori’ che, non poche volte, a quasi portato i recensori a rinunciare per via delle continue difficoltà amministrative. Ci auguriamo che in futuro questi problemi siano risolti, così da far in modo che questo arduo compito risulti più facile per i recensori del domani.

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“NON PUOI SIA VIVERE CHE AVER VISSUTO”

Intervista a Yiyun Li sul suo libro “Più gentile della solitudine” di Elena Gensini e Lorenzo Paciotti

Nel suo romanzo sono raccontate le vicende di quattro personaggi molto complessi e particolari. Quanto la sua esperienza di vita ha condizionato la rappresentazione dei loro tratti salienti e le loro sfaccettature? In tutti i personaggi c’è un qualcosa di me: l’unica eccezione è la figura di Shaoai, l’attivista. Ai telegiornali vediamo le immagini di piazza Tienanmen colma di tutti gli attivisti che protestano, ma in realtà noi da dietro gli schermi non riusciamo a comprendere quale fosse la loro reale vita. Shaoai era una rivoluzionaria, un’attivista, ma aveva anche molti altri desideri e aspirazioni. Mi sono concentrata proprio nel descrivere il suo lato “umano”. Ci sono poi gli altri tre personaggi e francamente mi rivedo in ciascuno di loro. Boyang è il ragazzo che è nato e cresciuto in Cina e che, una volta diventato adulto, è riuscito a condurre una vita soddisfacente. Lui è una sorta di espediente che ho scelto di utilizzare come risposta ad una domanda che spesso mi sono posta: “Come sarebbe la mia vita se fossi rimasta in Cina?”. Boyang mi permette di esplorare questa possibilità. Le due ragazze, invece, Ruyu e Moran, sono più vicine alla mia esperienza di vita. Si sono trasferite negli Stati Uniti, però finiscono per sentirsi sole in un paese visto come la terra promessa, cha alla fine si rivela non esserlo. Quando attraversiamo un confine portiamo sempre dentro di noi anche il nostro passato, la nostra storia, e rimaniamo la stessa persona. Dobbiamo quindi ritrovarci e riambientarci in un paese. Nel mio libro ho pensato proprio di fare questo: provare a riconciliare il passato e la storia di Ruyu e Moran facendoli rivivere in un nuovo paese. 38


Il profilo di quale personaggio è stato il più difficile da creare? Non saprei, probabilmente Shaoai è il personaggio più lontano dal mio mondo. Non che non conosca Shaoai, certo, ma forse non sono ancora del tutto consapevole del suo mondo e della sua esperienza. È molto più complessa rispetto agli altri personaggi: è molto aperta ed estroversa, è un’attivista. Danneggiare un personaggio è piuttosto semplice, perciò ho passato molto tempo a cercare di creare la giusta immagine di Shaoai. Nel 1996 lei si è trasferita in America dopo aver vissuto tutta la sua giovinezza in Cina. Qual è stata la prima differenza lampante che ha notato fra la Cina e l’America subito dopo il suo arrivo negli Stati Uniti?

Beh, quando ho lasciato la Cina mi sono resa conto che fino ad allora ero stata seduta in una macchina privata solamente una volta in tutta la mia vita. È stato piuttosto strano notare che negli Stati Uniti ognuno aveva la propria automobile. Ero sorpresa, anzi più che sorpresa, ho veramente realizzato che cosa significa possedere una macchina. Anche in “Più gentile della solitudine” i miei personaggi che vivono nella Pechino di fine anni Ottanta si spostano sempre in bicicletta, non salgono mai su una vettura. Lei, oltre ad essere una scrittrice di grande prestigio, ha anche conseguito una laurea in medicina. In che misura i suoi studi scientifici influenzano il suo modo di scrivere? Credo che la scienza ti renda meno sentimentale. Non sono una scrittrice sentimentale, e credo che questo aspetto della mia personalità provenga proprio dal mio rapporto con la scienza. Da scienziata faccio spesso molte ricerche, mi documento sempre prima di scrivere qualcosa. Anche durante la stesura del mio ultimo romanzo mi sono informata accuratamente per riuscire a descrivere minuziosamente gli effetti dell’avvelenamento. La scienza mi ha aiutato ad ampliare le mie prospettive.

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LA PERDITA DEL PENSIERO CRITICO: ERNESTO FERRERO E LA CRISI CULTURALE di Giulia Cozzi

Il Giornale dei Ragazzi intervista Ernesto Ferrero, direttore editoriale del Salone Internazionale del Libro di Torino. In un momento come questo e all’interno della società attuale, nella quale meno si pensa meglio è, ritiene che la promozione della letteratura e della cultura possa essere funzionale a preservare e ad incentivare il pensiero critico? Questo è proprio il discorso che farò tra poco alla Premiazione in Palazzo Vecchio. Il problema è esattamente questo: mi sembra che viviamo in un’epoca in cui l’esercizio del pensiero critico e in generale della conoscenza non è molto pregiato. Siamo appiattiti in un presente precario, confuso e affannato, prigioniero di se stesso. Anche l’esercizio della memoria, non nostalgica ma critica, funzionale a cavar fuori dal passato elementi che servono alle generazioni di oggi, non è intrapreso neanche nelle scuole. Il passato è tutto messo sullo stesso piano, la Prima Guerra Mondiale così come i Faraoni… questo è uno dei tanti aspetti del problema. La stessa narrativa ci propone dei modelli di intrattenimento, spesso anche molto buoni. Per carità, questo va benissimo, ma come tutte le diete non possiamo solo nutrirci di intrattenimento.

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È ovvio che la lettura di un certo genere richieda un minimo di fatica, ma poco tempo fa riflettevo che nel campo della nostra corporalità siamo tutti disposti a sforzarci, facendo sacrifici per il nostro fisico, andando in palestra, facendo jogging, fatica che è considerata sana e produttiva. La stessa fatica applicata alla lettura invece no. Ci sono ricerche che dimostrano che la lettura è fondamentale nello sviluppo dei circuiti neuronali dei bambini e nel ritardo del degrado neuronale degli anziani. La lettura dovrebbe essere gestita dal Ministero della Sanità! La cosa curiosa è appunto questo rifiuto di una lettura critica preferendo generi che confermano quello che già sappiamo. Quindi iniziative come questa vanno nella direzione giusta, ma purtroppo non bastano. Noi, al Salone Internazionale del Libro di Torino, abbiamo investito molto sui bambini. C’è un bellissimo progetto che si chiama “Nati per leggere” che mette insieme bibliotecari e pediatri proprio per incentivare le famiglie e dire “Leggete ai vostri figli!”. Per quanto riguarda i genitori siamo sempre intorno al problema “Chi educherà gli educatori?”. Chi educherà i genitori ad essere genitori consapevoli che non possono cavarsela solo regalando telefonini e dando una paghetta? Poi ci lamentiamo se i ragazzi, non tutti ovviamente, sono quello che sono.. certo, se non investiamo niente su di loro! Lei è Direttore editoriale del Salone Internazionale del Libro di Torino dal 1998: in questi anni ha potuto notare cambiamenti nella risposta del pubblico, in particolare nel periodo di crisi economica? Come succede spesso in situazioni storiche come quella che stiamo vivendo si è creata una forbice: da una parte c’è un’elite sempre più preparata e avvertita, dall’altra c’è una massa brancolante nel nulla. A Torino c’è invece una specie di mistero gaudioso perché ogni anno noi registriamo un numero incredibile di affluenze, come duecentosettantamila passaggi, un pubblico di una competenza e di una sensibilità pazzesche! Le cito l'ultimo caso: il lunedì pomeriggio di quest'anno erano presenti trecentocinquanta persone ad ascoltare una lezione sulla matematica degli Arabi. Il paradosso italiano è che i lettori “forti” italiani sono più forti dei lettori “forti” degli altri paesi. Bisogna allargare questo cerchio di eventi perché il pubblico risponde, ma manca un segnale forte dal paese. Secondo lei quale innovazioni si potrebbero applicare al Premio Gregor Von Rezzori, che già è molto prestigioso, per renderlo ancor più conosciuto e partecipato?

Quello che ha fatto quest'anno, cioè coinvolgere i giovani. E per fare questo la giuria deve stare attenta a scegliere dei libri che siano capaci di coinvolgere ed interessare. È un discorso difficile da fare perché si tratta di unire la sensibilità di chi sceglie e la sensibilità dei ragazzi, che la maggior parte delle volte è molto diversa, come è ovvio che sia. A proposito di questo c'è molto da riflettere.

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ISABELLA DI NOLFO: PENSANDO ALLE NUOVE GENERAZIONI. di Youness Mattia Loutfi

Il Giornale dei Ragazzi intervista Isabella Di Nolfo, giornalista, ideatrice e coordinatrice del nostro progetto. Cosa l’ha spinta a lavorare con i ragazzi, e di conseguenza a creare il progetto de ‘Il Giornale dei Ragazzi’? A lavorare con i ragazzi mi ha spinto innanzitutto una grande passione per il mio lavoro. Io lavoro da tanti anni nei libri, nella cultura e con gli editori; so che l’Italia è un paese che fa fatica, perché tutti scrivono e pochi leggono, e per cercare di risolvere questo problema partendo dall’inizio bisogna lavorare con i ragazzi. Quando ho iniziato a lavorare con voi, l’ho fatto perché mi piaceva il vostro entusiasmo, la “purezza” dei vostri interessi, e soprattutto mi piace vedere che una persona pianta un seme e questo germoglia, e l’età in cui farlo, per quanto riguarda cultura e libri, è la vostra, terza e quarta liceo. Perché come dicevo oggi ai vostri compagni, in prima e in seconda siete impegnati a fare il salto, a diventare adulti e rinnovarvi come persone, in quinta giustamente avete l’esame di maturità in testa, mentre in terza e in quarta siete più sensibili, più recettivi, ciascuno di voi ha un germoglio interiore che si vede, basta gettare dei semi e ciascuno trova la sua strada. Infatti questa vostra esperienza me lo ha mostrato ancora di più, perché vi ho visto molto scettici all’inizio e poi un bel gruppone di dieci, quindici si è invece appassionato all’iniziativa. (segue a pag. 31 e 32) A che età ha avuto l’“illuminazione” di diventare giornalista? In realtà non sono diventata subito giornalista, io sono diventata prima ufficio stampa, che è un 42


altro mestiere, è l’altra faccia della medaglia, è la persona che fa da tramite con i giornalisti, è presente in tutti i mestieri ma è particolarmente bello nel campo della cultura, perché sei la persona che da un autore, da un libro o da una casa editrice cerca di tirare fuori il senso, lo trasmette ai giornalisti che poi lo trasmettono, a loro volta, ai lettori. È la figura intermedia, per farlo al meglio ho deciso di sostenere un esame, e di iscrivermi all’ordine dei giornalisti, perché così sono alla pari con i miei colleghi, anche se in teoria non c’è nessuna legge che ti obbliga, se non nella pubblica amministrazione. Ho sempre avuto l’idea di lavorare nella cultura. Sono una persona estroversa e mi piace chiacchierare con la gente, perciò avrei voluto fare un lavoro di contatto con le persone, e poi perché mi piacciono i libri, le mostre e la musica. Non avevo ben chiaro che lavoro fare, per esempio l’ufficio stampa è un lavoro che in pochi conoscono, è un lavoro dietro le quinte e in tantissimi mi chiedono cosa sia, cosa significhi e si scopre solamente facendolo. A me è capitato per caso, perché una piccola casa editrice di Firenze, la Nardini, cercava un ufficio stampa, io ho preso contatto e da lì siamo cresciuti insieme, visto che non lo avevano mai avuto. Da lì è cominciata la mia carriera prima in Giunti, poi in Mondadori e in Electa. La sua carriera ha inizio a Firenze, per poi spostarsi a Milano, sede delle grandi case editrici, giusto? Esatto. In realtà avevo fatto un’incursione in un altro campo più imprenditoriale, quello del manager, e dopo un anno, anche meno, ho capito subito che non sarebbe stato il mio lavoro. Bisogna assolutamente fare le prove, così poi si scopre cosa si vuole fare veramente. Cosa l’ha spinta a tornare a Firenze per collaborare con il premio G. von Rezzori? Il premio von Rezzori lo conosco da tanti anni, è un premio che va avanti da dieci anni e alla seconda edizione avevo già collaborato con la Davis e Franceschini per fare l’ufficio stampa, lo seguo da tantissimi anni, conosco la Baronessa, spesso conosco gli scrittori, e quasi tutti i giurati, anche se ogni tanto cambiano, è un’iniziativa che seguo anche perché è a livello altissimo. Questo progetto de Il Giornale dei Ragazzi è iniziato a Milano, dove c’è una grandissima manifestazione che si chiama Bookcity, che coinvolge tutta la città per quattro giorni e gli eventi che ruotano intorno ai libri sono quasi mille. Ogni luogo della città, ogni palazzo, le scuole, le librerie e i monumenti storici sono invasi da scrittori e da presentazioni di libri o comunque discorsi intorno ad essi. Mi era venuta l’idea di coinvolgere i ragazzi, rendendoli proprio protagonisti, e la cosa ha avuto subito successo,. I ragazzi di Milano fanno delle scelte, visto che ci sono centinaia di eventi da coprire, e quella è la cosa più interessante, vedere proprio cosa piace a voi, anche perché chi lavora nel settore va ormai avanti con il pilota automatico, e quindi ognuno racconta sempre le stesse cose, gli stessi eventi, invece prendere una classe nuova che magari non conosce il premio e vedere cosa piace loro, è un esperimento anche per i “grandi”. Questa cosa a Milano ha avuto abbastanza successo, è piaciuta a tutti; i ragazzi si sono sempre guadagnati tanti complimenti, tante stime esattamente come voi, di conseguenza Alba Donati, presidente del gabinetto G. P. Vieusseux, mi ha chiamato per chiedermi se potevo fare anche con voi questo progetto. Risposi entusiasta di sì, anche perché Firenze è una delle mie tre città. Una di queste tre città è Firenze, come ha appena detto, l’altra è Milano e l’ultima? L’altra è Padova, dove ho fatto quasi tutto il liceo scientifico. L’ultimo anno lo feci 43


al Castelnuovo di Firenze, che tra l’altro è stato anche traumatico visto che mi ci hanno trasferito i genitori a dicembre, quindi a quinta inoltrata, già ero triste per il fatto che lasciavo i miei compagni di Liceo. Crede che il premio, nei prossimi anni riuscirà a farsi conoscere ancora di più? Te pensi che non sia tanto conosciuto? Per certe cerchie di persone sì, ma non è esteso a tutte. Hai ragione, per questo hai ragione, e la dimostrazione è data dal pubblico che avete visto, alla Cappella de’ Pazzi c’era tanta gente, stasera ci sarà tanta gente, però agli incontri minori, la risposta del pubblico non è stata tantissima. Non so se dipende dal Comune o da che cosa, perché i giornali, tutti, ne hanno parlato tantissimo; anche sui social se ne è parlato, ciò nonostante, riflettevamo ieri con Alba Donati, la notte bianca è piena di gente e a questo premio con degli scrittori MOLTO più importanti, no. Come mai? È colpa del Comune? No, in parte ha finanziato, sostiene comunque la fondazione Santa Maddalena, ha coinvolto le scuole con il premio dei giovani lettori, che è partito l’anno scorso e coinvolge cento ragazzi, ha reso partecipe le scuole anche con il progetto del giornale, con voi, che comunque siete ventisei. Non so se funzionerebbe, come dicevi te, di fare anche manifesti, guarda un po’ voi, vi siete incuriositi solo quando avete avuto l’opportunità di chiacchierare direttamente con gli autori, quella è stata la molla, perché avete incontrato persone che avevano qualcosa da dire, soprattutto se si è pubblicati in trenta paesi, non si diventa conosciuti in tutto il mondo se davvero non si ha un minimo di spessore. Quando ci sono queste persone tu la senti l’energia che ti passa, ed è quello il momento in cui ti incuriosisci, non solo degli scrittori ma anche di altri. La molla che fa scattare l’interesse, è l’esperienza. Anche voi avete trovato difficoltà, tra la vostra ricchezza interiori, la vostra curiosità a fare domande e la difficoltà a metterle su un foglio scritto. Quindi incontrare qualcuno che questa difficoltà ha imparato a superarla, e sa usare la parola per comunicare le infinite sfumature di esperienze di vita, è quello che fa scattare il meccanismo. Ripeterà il prossimo anno l’esperienza all’interno del Premio? Certo, siete stati bravissimo quindi sì. Sono esperienze che vanno condivise, voi l’avete già fatta e secondo me l’anno prossimo può fare un’altra classe, come è successo a Milano quelli che l’hanno fatta l’anno precedente sono poi tornati lo stesso l’anno successivo. Prima di Milano l’avevo fatto in piccolo anche a Verona, forse con una classe troppo “piccola”, sempre quasi tutti molto scettici all’inizio, non tutti perché la media non è assoluta, e poi tutti, invece, trovate qualcosa che vi illumina, che vi fa scattare. All’inizio molti mi chiedono quanto si debba stare, se si può andare via prima e poi sempre si forma un gruppo di fedelissimi che copre tutto il periodo, molto più a lungo di quanto imponga la scuola, c’è un gruppo che è stato qui dalle nove e mezzo di mattina, siete ancora qui, venite stasera e addirittura venite anche domani, che è un giorno fuori dalla programmazione. Questo qualcosa vuol dire, che vi mettete in gioco, e quando vi mettete in gioco, il gioco si fa più interessante, però se uno non lo fa non diventa interessante. L’idea di darvi un ruolo, che è banale in sé, ho visto che è quello che vi fa superare alcune timidezze, anche perché siete osservati da tutti quindi vi sentite più coinvolti e di conseguenza date del vostro meglio che alla vostra età è sempre moltissimo.

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IL SINDACO DARIO NARDELLA SUI GIOVANI: ATTORI NEL MONDO DELLA LETTERATURA. di Elena Gensini e Youness Mattia Loutfi

Brevie intervista al sindaco di Firenze, Dario Nardella, presente alla cerimonia di premiazione del X Festival degli Scrittori-Premio Gregor von Rezzori. Cosa pensa delle due iniziative volte al coinvolgimento dei ragazzi nell’ambito del premio Gregor von Rezzori e della letteratura straniera contemporanea? Trovo che entrambe le iniziative siano molto interessanti, ma soprattutto utili. Il coinvolgimento dei ragazzi in questo contesto internazionale è un modo per permettere loro di confrontarsi con i grandi autori, di conoscerli, di amarli e ovviamente di misurarsi ad un livello più sofisticato. In questo modo i giovani non si limitano ad essere spettatori passivi, ma bensì assumono il ruolo di attori in un progetto che si rivolge specialmente alle nuove generazioni. Il coinvolgimento delle scuole e dei licei fiorentini permette infatti di invitare un numero di ragazzi sempre maggiore alla lettura. Credo che proprio la lettura sia l’esercizio più affascinante che si possa praticare ad ogni età, a cominciare da quando si è piccoli. In vista della prossima edizione del premio, il comune ha già pensato a nuove iniziative che potrebbero permettere di estendere la visibilità dell’evento all’interno della città di Firenze? Sicuramente ci sono moltissimi aspetti che saranno oggetto di miglioramento. Prima di tutto ci impegneremo affinché la partecipazione a questo evento possa coinvolgere molte più scuole. Cercheremo inoltre di invitare una fascia sempre più vasta di popolazione a prendere parte a incontri culturali e letterari come il “Festival degli Scrittori”. Uno dei nostri obiettivi più grandi è quello di permettere al premio von Rezzori di diventare un’occasione “popolare” per i cittadini di Firenze, evitando dunque che rimanga un evento di nicchia, destinato solamente ad un’élite di lettori colti. 45


“GLI ORRORI DEI SECOLI BUI DEL NOVECENTO”: intervista al miglior recensore del libro Trieste Il “Premio von Rezzori Giovani Lettori” è alla seconda edizione. Per cominciare abbiamo intervistato il vincitore della prima, Leonardo Mori. di Carlotta Baglivi, Giulia di Giorgio, Sara Ciulli, Federico Balzani e Tommaso Becattini

Leonardo Mori, alunno della 5D della nostra scuola, il Liceo Classico Galileo, è stato tra i cinque vincitori della “Prima edizione del Premio Gregor von Rezzori Giovani Lettori” con la sua recensione sul libro Trieste, di Dasa Drndic. Il libro tratta di alcune vicende avvenute nel lasso di tempo tra la prima e la seconda guerra Mondiale. GdR: La sezione dedicata alle recensioni dei ragazzi è stata inserita nel Premio Gregor von Rezzori solamente l’anno scorso. Come sei stato coinvolto nel progetto? Com’è stato essere il vincitore dei primi partecipanti? L.M.: E’ stata una bella sensazione e francamente non me l’aspettavo. Nella mia recensione

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ho voluto raccontare le mie impressioni e ciò che il libro mi aveva trasmesso e comunicato. In realtà il progetto me lo ha “imposto” la professoressa di italiano dandomi il libro da leggere e facendomi partecipare, ma è un’esperienza che mi è piaciuta. GdR: Il libro tratta di avvenimenti accaduti più di ottant’anni fa. Qual è la connessione personale che senti tra te e il romanzo? Ti senti in sintonia o in contrasto con ciò che hai letto? L.M. La connessione che percepisco dalle pagine del libro viene più che altro dal coinvolgimento emotivo per l’orrore della Seconda Guerra Mondiale e il Nazismo, negli anni più neri del genere umano. Leggendo il libro si apprende il vero valore della memoria, anche se la cultura Mitteleuropea la sento un po’ distante dalla mia. GdR: Sappiamo che hai avuto la possibilità di incontrare l’autore: hai trovato che fosse, dal vivo, esattamente come lo si percepiva nel romanzo o si è rivelato diametralmente opposto? L.M.: Esattamente come si percepiva nel libro. GdR: E che idea ti sei fatto dell’autore? L.M.: E’ una persona sicuramente molto acculturata ed empatica. Mi ha anche abbracciato. GdR: Un’ultima domanda. Secondo il tuo parere personale, cosa distingue una recensione ben strutturata da una che sia invece scadente? L.M.: L’emotività che si riesce a trasmettere al lettore dopo aver avuto la fortuna o la “seccatura” di aver letto il libro per intero. Sicuramente bisogna anche sapersi “vendere” e rendere il testo accattivante.

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STORIE DI REALTÀ AMERICANA Intervista lampo a una delle vincitrici di Carlotta Baglivi, Federico Balzani, Giulia Di Giorgio

Alla fine della cerimonia di premiazione, siamo risusciti, nonostante la ressa, ad intervistare Carolina Mischi, vincitrice del Premio Gregor von Rezzori Giovani Lettori per la recensione di Bark, di Lorrie Moore. Alba Donati, presidente del gabinetto Vieusseux, nel conferirle il premio, l’ha elogiata esclamando che la sua recensione era così ben fatta che leggerne un piccolo estratto, come era stato fatto per gli altri vincitori, non le avrebbe per niente reso giustizia. GdR: Dal momento che sei riuscita ad ottenere l’onorificenza di essere ritenuta la migliore recensitrice di questa edizione, quanto ti sei fatta prendere dal libro e cosa ti ha lasciato a livello introspettivo?

CM: All’inizio è stato difficile immergersi nel libro, perché è appunto una raccolta di racconti e non fai in tempo ad immedesimarti in un personaggio che già il racconto è finito, senza una vera conclusione, però poi, rileggendoli, poiché a primo impatto non riuscivo a ricavarne molto, riesci a vederli da una prospettiva diversa e sono riuscita a captare un realismo molto più approfondito: il romanzo rispecchia la realtà americana molto più di 48


quanto ci viene mostrato dai film, che non sono assolutamente realistici. Da una parte, ha un lato ironico, però da un altro è totalmente terrificante. È decisamente controverso. GdR: Come ti sei sentita a vincere? CM: Beh, innanzitutto, è stato molto imbarazzante, ma alla fine è stato bello ed emozionante. Non me l’aspettavo proprio! GdR: Per concludere, quale elemento di originalità, anche stilistica, può aver distinto la tua recensione dalle altre? CM: Io non ho letto le altre recensioni, se dovessi dire qualcosa attribuirei la sua originalità al fatto che l’ho scritta di getto, senza rileggerla troppe volte. Una sera mi sono messa lì e mi sono detta che dovevo scrivere la recensione, quindi l’ho fatto. In più mi sono soffermata sulle emozioni che mi ha trasmesso. Purtroppo non abbiamo potuto intervistare gli altri vincitori perché non li abbiamo reperiti.

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Si ringraziano Isabella di Nolfo, per aver cr eato il pr ogetto e per averci aiutato. Alba Donati, pr esidente del Gabinetto scientifico e letterario G.P. Vieusseux . I dipendenti del Gabinetto G.P. Vieusseux, per aver pubblicato i nostri articoli sul loro sito. Il Comune di Firenze, per aver r eso possibile il Premio G. von Rezzori. Liliana Gilli, dir igente scolastico del Liceo Classico ‘Galileo’. Fulvio Infante, collabo r ator e del dir igente e r eferente. Fulvio Paloscia per aver ci r accontato i segr eti del mestiere Tutti qu elli che ci hanno concesso l’intervista. Beatrice Monti della Corte, per l’invito presso la sua residenza.

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