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UNA VOGLIA MATTA DI CINEMA
RICKY TOGNAZZI, COME IL PADRE UGO, HABITUÉ DEL SET SIA COME ATTORE CHE REGISTA (PH. COURTESY AZZURRA PRIMAVERA)
RICKY TOGNAZZI, LA SUA PASSIONE PER IL SET E I RICORDI DEL PADRE UGO, CHE QUEST’ANNO AVREBBE COMPIUTO 100 ANNI
DI VIRGINIA MAMMOLI
Figlio dell’indimenticabile Ugo, Ricky Tognazzi è nato e cresciuto tra set e ciak. A soli otto anni i primi due film a fianco del padre: Il pollo ruspante, episodio di Ro.Go.Pa.G., di Ugo Gregoretti e L’educazione sentimentale, episodio de I mostri, di Dino Risi. Da qui, l’inizio di una lunga e importante carriera durante la quale rincontra Ugo sia da attore che da regista, ma anche tanti altri grandi nomi del cinema. Nell’anno in cui ricorrono i 100 anni dalla nascita di Ugo Tognazzi, ha ricordato il padre con un documentario che ha portato con sé a Prato, durante una delle masterclass che hanno preceduto il Prato Film Festival.
Tutta Italia ha celebrato i 100 anni dalla nascita di suo padre, che lei ha ricordato con un documentario, Tognazzi. La voglia matta di vivere, e già prima, nel 2020, con un libro, Ugo - La vita, gli amori e gli scherzi di un papà di salvataggio, scritto insieme ai suoi fratelli Gianmarco, Thomas e Maria Sole. Che padre è stato Ugo Tognazzi e che tipo di rapporto c’è stato tra voi?
Ho avuto un rapporto privilegiato, se non altro perché l’ho vissuto di più, essendo il primogenito. Nei primi anni della mia vita vivevo a Milano e lui faceva su e giù tra Roma e Milano, a parte d’estate, quando di solito ero io a raggiungerlo a Roma. È durante quelle estati che ho cominciato a vivere l’esperienza del cinema. Per stare con lui, spesso e volentieri lo seguivo sul set, anche quando girava fuori Roma. Passavo le giornate con i capomacchinisti, a guardare dentro la macchina da presa… era come un grande gioco nel quale mio padre si vestiva nei modi più strani. Finché da ragazzo non mi sono trasferito da lui e iscritto alla scuola di cinema. Era un appassionato, per questo ho intitolato il documentario La voglia matta di vivere,prendendo ispirazione da uno dei suoi film (La voglia matta, del 1962, che lanciò anche la carriera di Catherine Spaak, ndr). Ma non si tratta solo della passione per il suo lavoro, che pur amava alla follia: la voglia matta di vivere rappresenta perfettamente papà. Aveva un’energia straordinaria che portava ovunque e che si traduceva in convivialità, serate con gli amici e divertimento.
Da bambinoè stato suo figlio anche sul set. Com’è stato?
Sì, insieme abbiamo fatto Ro.Go.Pa.G. e I mostri. Era difficile tracciare una linea tra il suo lavoro e la sua affettività. Una cosa però è certa: è da lui che ho ereditato la passione per questo mestiere. Si dice “Beato colui che scambia il suo tempo libero con il proprio lavoro”. Io, come mio padre, sono tra questi fortunati.
Da suo padre ha ereditato anche la passione per la cucina…
Diciamo che sono un ghiottone e che è un argomento che mi diverte molto. A volte mi cimento anche ai fornelli. Ma non posso dire di avere la sua stessa passione. La cucina per lui era molto più di un hobby, quasi un secondo lavoro. Ha diretto una rivista, passato anni a collezionare libri, ha fatto anche trasmissioni televisive, ben prima che andassero di moda. Nei ristoranti spesso andava ‘dietro le quinte’ a chiedere in-

IL FILM TUTTA COLPA DELLA MUSICA, DI E CON RICKY TOGNAZZI
formazioni e a divulgarne altre, perché anche in cucina è stato un innovatore. Un abbinamento come le fragole con l’aceto, che a lui piaceva molto e che ora è quasi un classico, ai tempi era rivoluzionario. Amava l’avanguardia, sorprendere, e questo valeva nella cucina, come nel lavoro e nella vita.
Come suo padre, anche lei, oltre a essere attore è anche regista. Con i suoi primi tre film in questa veste ha ricevuto tre David di Donatello, con Ultrà anche il premio come miglior regista al Festival internazionale del cinema di Berlino. Cosa ama di più di questi due ruoli? Preferisce stare davanti o dietro la macchina presa?
Sono ruoli molto diversi e danno soddisfazioni molto diverse, ma mi piacciono entrambi. Quello dell’attore sembra un lavoro più leggero, ma lo è solo fino a un centro punto, perché è vero che sei trattato con i guanti di velluto, ma è un mestiere in cui metti in gioco te stesso, i tuoi sentimenti, la tua psiche. Il lavoro del regista, invece, dà un certo potere, tutto ruota intorno al volere del regista, ma è estremamente faticoso, sia dal punto di vista fisico, perché fai orari pazzeschi, con anche 14 ore di riprese al giorno, che dal punto di vista psicologico, perché devi continuamente prendere decisioni, dalla più piccole alle più importanti, e soprattutto devi fare in modo che le visioni che ognuno dei professionisti con cui lavori, dal direttore della fotografia allo scenografo passando il costumista, converga nella tua, pur mettendoli nelle condizioni di dare libero sfogo alla propria creatività. Vero è, che proprio per quanto è difficile, vedere un film che hai diretto dà più soddisfazione di vederti sullo schermo.
In Toscana tutti conosciamo Ugo Tognazzi come il conte Mascetti, suo ruolo iconico nei film di Amici Miei, che lo portarono a passare diverso tempo a Firenze e dove si cita il nostro “Cecchi di Prato”. Un suo ricordo legato a questa saga?
Non sono tra i film che ho vissuto di più, perché in quel periodo, prima per la scuola poi per l’università, non ho potuto frequentare molto il set. Sono film che ho goduto più da spettatore. Ho però vissuto tanto Monicelli (regista della saga di Amici Miei, ndr), perché, oltre ad aver diretto film storici di mio padre, era anche un suo grande amico, così come Benvenuti e De Bernardi, gli sceneggiatori: sono praticamente cresciuto con questi due zii, uno fiorentino e uno pratese, e con loro nei racconti e nella mitologia di questi film che sono rimasti nel cuore di tutti e nella storia del costume.



