Gente di Bracciano Marzo 2020

Page 1

marzo 2020 - numero 26

Nessuno tocchi questo pino Albero in via della Sposetta Nuova - Bracciano


Josèphine Baker, artista di lotta

Gente diBracciano Marzo 2020 - Numero 26 Dedicato A Gabriela e Giuseppe

Editore: Associazione Gente di Bracciano Presidente: Claudio Calcaterra Direttore responsabile: Graziarosa Villani Redazione: Mena Maisano, Biancamaria Alberi, Luigi Di Giampaolo. Collaboratori: Elena Felluca, Fabercross. Registrato al Tribunale di Civitavecchia n. 1388/2014 Stampa e impaginazione: FEDE 2011 srl Via dei Vignali, 60 - Anguillara Sabazia su carta riciclata al 100%

Se vuoi aderire alla nostra Associazione contatta la Redazione: gentedibracciano@tiscali.it

cell. 349 1359720

La “Venere d’Ebano” che conquistò Parigi pioniera contro il razzismo stelleastrisce dell’epoca

mettere ogni lusso o stravaganza, come possedere un giaguaro che portava a spasso per la città, sfoggiare vestiti e gioielli di stilisti più ricercati dell’epoca e vivere in un vero e proprio castello. Quando, dopo dieci anni, tornò negli Stati Uniti, sperimentò di nuovo sulla propria pelle la vergogna del razzismo. Mentre in Europa ovunque, Joséphine, veniva accolta come una diva, a New York non poteva mangiare negli stessi ristoranti dei bianchi, né frequentare i teatri a loro riservati. Tutto questo le provocò delusione, tristezza e soprattutto rabbia. La società americana dell’epoca non era ancora pronta all’uguaglianza, viveva chiusa in un conservatorismo feroce di paura ed ignoranza, coltivando l’odio razziale. La Seconda Guerra Mondiale la colse in Francia, che Joséphine considerava ormai la propria patria. Disposta a mettersi in gioco per contrastare la minaccia del razzismo, divenne agente segreto della Resistenza francese. Per la sua attività di spionaggio fu insignita della Legion d’Onore. La medaglia per la prima volta venne consegnata a una persona non di origini francese. Joséphine fu dirompente anche nel suo ruolo di madre. Non desiderò soltanto avere una casa piena di figli e d’amore, ma volle anche dimostrare al mondo intero che il colore della pelle o il luogo in cui si nasce non è importante per amarsi e formare una famiglia. Con questa filosofia di vita adottò dodici bambini, di diverse nazionalità. Li chiamò” “la tribù dell’arcobaleno” dando l’esempio di come fosse possibile la convivenza tra persone di diversa origine ed etnia. Nonostante l’infanzia infelice, la sua capacità di amare si rilevò immensa. Joséphine entrava in empatia con coloro che soffrivano e non poteva tollerare la discriminazione. Per lei le persone venivano prima di tutto e questo era il messaggio che provò a trasmettere. Molti la dileggiavano dicendo che sapesse solo danzare, mostrare i seni, pavoneggiarsi nel lusso. Ma ciò che è certo è che in questa “Venere d’ebano”, come venne chiamata, fremevano una personalità unica, un carisma inarrestabile e una lottatrice infaticabile. Fu molto più di un bel corpo che danzava in modo sensuale o che si scatenava a ritmi indiavolati. Fu un’artista che lottò con coraggio per tutta la vita per i suoi diritti di donna, di nera. Fu una pioniera nella lotta per l’uguaglianza, una donna che non si lasciò mai calpestare perché credeva fermamente nella legittimità dei propri diritti. Quando morì a Parigi, il 12 aprile 1975, la Francia in lutto la pianse come una sua figlia. La Francia le conferì i massimi onori di Stato e più di ventimila persone si riversarono nelle strade della “ville lumiere” per dare l’utimo saluto. Onore per tutto ciò che fece per il suo Paese d’adozione. A cura di Claudio Calcaterra

É

La danza

Bracciano: Qualcosa a sinistra si muove

P

artecipazione, inclusione, tutela dell’ambiente, democrazia, salvaguardia sociale. Concetti di sinistra sui quali si torna a ridiscutere a Bracciano in vista, e non solo, delle prossime elezioni amministrative, mentre spira sul paese un preoccupante vento di destra e di disgregazione del tessuto sociale. Vari i “laboratori” in campo tra i quali quello della “Costituente per Bracciano” che il 18 gennaio scorso ha chiamato a raccolta i cittadini attorno ad un progetto rifondativo della politica a Bracciano avviando una serie di coordinamenti tematici aperti a chiunque voglia partecipare. Appare evidente che chi ha cuore il bene di Bracciano, voglia tornare a confrontarsi sul futuro che verrà, al di là di ogni personalismo, immaginando un progetto complessivo di rinascita. Molta fiducia è riposta nei giovani. Si torna a guardarsi negli occhi per un sano e costruttivo dibattito, uscendo dal ristretto circuito dei social mediante i quali ogni confronto avviene per lo più per slogan. A farne le spese il dialogo, nella sua più alta accezione. Una voglia di ripensare a una Bracciano del terzo millennio, tra beni comuni da difendere e diritti da far rispettare, alla quale fa da contraltare il venir meno del ruolo di coordinamento della istituzione di rappresentanza più prossima ai cittadini. Molti spazi di partecipazione sono stati decimati. Ma Bracciano, nonostante tutto, torna a incontrarsi. Qualcosa a sinistra si muove. La Redazione

stata di origine creola afroamericana la più acclamata vedette degli anni Trenta di Parigi. Freda Joséphine Baker era nata a St. Louis nello stato del Missori il 3 giugno 1906, in un periodo caratterizzato da profonda ostilità verso la popolazione nera. A soli 15 anni si era già sposata due volte. Aveva vissuto con sua nonna, con sua madre e i compagni di lei e in casa di persone che l’avevano maltrattata. L’abbandono del padre, Eddie Carson, fu un peso che si trascinò per tutta la vita senza impedirle di guardare sempre avanti e non fermarsi mai. A sedici anni debuttò in uno spettacolo a Broadway. Quando e si presentò l’opportunità di andare a Parigi, nel 1925, non ebbe alcuna esitazione. La ragazza che aveva imparato a danzare in strada, che vedeva nello spettacolo un rifugio, attraversò il mondo da un capo all’atro. L’Europa l’accolse con grande entusiasmo. In poco tempo Joséphine divenne la regina dello spettacolo parigino, la donna più fotografa e desiderata, la più richiesta nei club e nei teatri non solo in Francia ma anche in altri capitali europee. In poco tempo fu all’apice del successo. Guadagnò così tanto denaro da potersi per-

Marzo 2020

Improvvisavo. Lasciandomi trasportare dalla musica…mi brillavano gli occhi…a ogni salto sentivo che stavo per toccare il cielo e quando atterravo era come se appartenesse solo a me.

La Regina umiliata La Torre Eiffel era molto diversa dalla Statua della Libertà. Ma a che serviva avere una statua senza la libertà.

La lotta per l’uguaglianza Arriverà sicuramente il giorno in cui il colore non significherà nulla, in cui sarà soltanto una tonalità della pelle. Il giorno in cui il luogo di nascita avrà la stessa importanza che giocare a dadi e tutti gli uomini nasceranno liberi. Il giorno in cui la comprensione insegnerà l’amore e la fratellanza.

L’ultima canzone Le cose che amiamo veramente restano sempre con noi. Rinchiuse nel cuore per tutta la vita.

3

Gente di Bracciano


Margherita Hack: l’amica delle stelle Astrofisica di fama internazionale fino a tarda età impegnata in battaglie di civiltà e di uguaglianza

M

argherita, nacque a Firenze, il 12 giugno 1922, sei mesi prima che Benito Mussolini salisse al potere. Nella prima gioventù per lei era già più importante essere una persona che diventare una personalità illustre. Voleva più il benessere degli uomini e la responsabilità sociale che i titoli e le onorificenze. Doveva questi principi all’educazione ricevuta in famiglia, da genitori straordinari, per l’epoca in cui vissero. La mamma, Maria Luisa, diplomata all’Accademia di Belle Arti, parlava inglese e il francese e lavorava come miniaturista nella Galleria degli Uffizi. Il babbo, Roberto, era un contabile di origine svizzera dotato di curiosità intellettuale, che lo portò ad abbandonare la propria religione per abbracciare una corrente filosofica che era uno stile di vita e un modo diverso di guardate il mondo: la Teosofia. Questo movimento sosteneva la ricerca della saggezza e il rispetto di qualunque credenza e di stile di vita. Il linea con questa filosofia, gli Hack, si dichiararono vegetariani e pacifisti (oggi li avrebbero chiamati buonisti) in un’epoca convulsa che vedeva l’ascesa al potere di Mussolini. Fu in questo clima che venne educata Margherita, inculcandole l’amore per la natura e per la libertà e soprattutto a pensare con la propria testa. Crescendo, si abituò a vedere la realtà con i propri occhi, senza distinzione di razza, di sesso o di

“Nella vita non c’è nulla da temere, solo da capire”. classe sociale. Non era facile pensarla così nell’Italia degli anni Venti e Trenta con il Fascismo al potere che stava spodestando con la dittatura la democrazia e costringendo i cittadini a schierarsi con o contro il Duce. Margherita trascorse i suoi primi anni in un clima di felicità - in campagna con suo padre - tra natura e libri. In quelle piccole cose c’era tutto il suo futuro. La difesa dell’ambiente, la libertà di pensiero, la pratica sportiva e, soprattutto, la coscienza sociale. Crescendo, cominciò a rendersi conto che il suo Paese in cui lei era stata felice non era più libero. Cominciò allora, nel 1938, a fare i conti con la dura

Marzo 2020

riceveva cruciali, come la difesa dei diritti delle donne, dei bambini, degli animali, degli omosessuali, delle comunità LGBT, e degli immigrati…Suo marito Aldo De Rosa l’appoggiò e la incoraggiò sempre. Nonostante avessero origini politiche contrapposte, Lui era un uomo di lettere e un cattolico conservatore, mentre lei era una donna di scienza e un’atea liberale. Vissero insieme una vita intera, circondati di gatti e di amici. Li univa un obiettivo comune: rendere il mondo, e il loro Paese, un luogo migliore. Margherita fu consapevole fino alla fine di quanto fossero importanti e incisivi i

corsa inarrestabile verso la conoscenza. Sebbene, dovette scontrarsi, lungo il cammino, con ambienti maschilisti e ostili, ebbe la meglio grazie alla fiducia in se stessa, alla determinazione e al sostegno di grandi professori che seppero vedere ed apprezzare il suo incredibile talento al di là di qualunque distinzione di genere. Mentori che le insegnarono a fare ricerca e le offrirono le sue prime opportunità e le mostrarono come gestire un osservatorio astronomico in modo aperto, generoso ed inclusivo. Cominciò così una carriera brillante che portò Margherita a viaggiare per il mondo e a collaborare a grandiosi progetti sia negli stati Uniti sia in Europa. Pubblicò articoli e volumi scientifici che ancora oggi sono considerati capolavori in materia. Ma non si limitò a questo e fece un passo insolito per i tempi: oltre alle riviste specializzate, accettò infatti di scrivere su pubblicazioni divulgative accessibili a tutti. La sua idea era metter la scienza alla porta di chiunque, unendo al suo zelo divulgativo a un contenuto sociale. Al di là degli innumerevoli libri ed articoli di astrofisica pubblicati, fece di tutto per condividere il proprio sapere con la gente comune

Margherita Hack

realtà e a confrontarsi con il mondo in cui era cresciuta, quando Mussolini promulgò le famigerate leggi razziali, che portarono, alla persecuzione e allo sterminio del popolo ebraico e non solo. Per Margherita tutto ciò la portò a cambiare radicalmente la sua visione del mondo: non poteva limitarsi ai fanatismi. Margherita studiò fisica e si distinse per la sua curiosità e il suo impegno nell’imparare a superarsi, la sua fu una

“Cerchiamo di vivere in pace, qualunque sia la nostra origine, la nostra fede, il colore della nostra pelle, la nostra lingua e le nostre tradizioni. Rigettiamo con forza ogni forma di violenza, di sopraffazione, la peggiore delle quali è la guerra”.

Margherita con il marito Aldo De Rosa

4

“Tutti noi abbiamo un’origine comune, siamo tutti figli dell’evoluzione dell’universo, dell’evoluzione delle stelle, e quindi siamo davvero tutti fratelli”.

e trasmettere le sue posizioni in fatto di uguaglianza, diritti civili, ecologia e solidarietà a chiunque volesse leggerla. Grazie alla frequente partecipazione a programmi televisivi, negli anni Ottanta divenne enormemente popolare in Italia e approfittò della sua fama per denunciare quei ciarlata-

Gente di Bracciano

L'astrofisica in un momento di osservazione delle stelle

ni sostenitori di teorie pseudoscientifiche prive di alcuna base razionale. Intraprese un’opera di enorme portata sociale che cominciò innanzitutto col raccontare senza mezzi termini come lei, vegetariana, pacifista, comunista dichiarata, decenni prima avesse giurato fedeltà a Mussolini. Fu un atto di straordinario coraggio e schiettezza, di cui i suoi genitori sarebbero stati orgogliosi. Nel pieno della maturità, quando era

Marzo 2020

ormai una delle astrofisiche più famose al mondo, Margherita si sentì in dovere di mettere in guardia le nuove generazioni che non avevano conosciuto né la guerra, né il Fascismo, né il Nazismo - sui pericoli legati a qualunque forma di totalitarismo. La società gliene fu grata e la sua divenne una figura di enorme valore simbolico. Consapevole della sua influenza, non esitò a battersi per innumerevoli cause che

5

suoi interventi, tanto che a 87 anni, ebbe l’ardire di scrivere una lettera all’allora presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, esortandolo a rispettare la Costituzione le leggi del suo Paese. Alla sua età chiunque si sarebbe tirato indietro, avrebbe rinunciato ad intraprendere una battaglia del genere, a partecipare alle manifestazioni o a presentarsi come candidata per innumerevoli partiti (ecologisti, egualitari e democratici) per dare visibilità alle loro cause. Simpatica, vitale, spontanea, polemica, non smise mai di vivere la vita, approfittando di ogni minuto. Non smise mai di sognare un mondo migliore, né di spendersi anima e corpo per ottenerlo. La schiettezza e il coraggio di Margherita si spensero il 29 giugno 2013 a Trieste. Da poco aveva compiuto 91 anni. Voleva morire con un sorriso sulle labbra, andarsene serena e tranquilla, con la certezza che sopra tutti noi le stelle avrebbero continuato a brillare. A cura di Claudio Calcaterra Foto tratte dal libro Margherita Hack (Edizioni R.B.A. Italia)

Gente di Bracciano


Dalla Teti alla Sip: tecnici riuniti a Bracciano ricordando la fatica e l’azienda

Non conformismo

Lo Stato di diritto L’Italia dove il diritto è nato, è fra i paesi più incivili del mondo: vi manca cioè il senso del diritto.

Non potrei incasellarmi secondo le concezioni del mondo che sogliono chiamare di “sinistra”, di “destra”: socialismo, nazionalismo, statalismo, clericalismo, collettivismo, fascismo, comunismo, sottoproletariato. Quanto piace al gregge, io l’ho in odio Tommaso Landolfi (Pico Farnese 9 agosto 1908 – Ronciglione 8 luglio 1979)

Curzio Malaparte

Morto il 19 luglio 1957 a Roma Il profetico passaggio nel suo romanzo “La Rivolta dei santi maledetti” rispecchia esattamente lo stato delle cose di oggi dove manca la dignità e il senso della tolleranza e della solidarietà, da parte della maggioranza degli Italiani. Claudio Calcaterra

A La noia In principio, dunque, era la noia. Volgarmente chiamata caos. Iddio, annoiatosi della noia, creò la terra, il cielo, l’acqua, gli animali, le piante, Adamo e Eva: i quali ultimi, annoiandosi a loro volta del paradiso, mangiarono il frutto proibito. Iddio si annoiò di loro e li cacciò dall’Eden. Alberto Moravia

Ad ogni morte di uomo

L’invenzione della stampa La stampa, patron Rocco, fu inventata da un certo Guttersburge Maganzese e fu propio 'na bella aritrovata che presto prese piede p'er paese.

Scende su di noi il vuoto della vita. Il mondo muore a ogni morte di un essere umano. Quando scivoliamo nell’oblio di continuo e nell’odio e nell’invidia c’è, come sempre, da pensare al riposo della mente per riguardo di me stesso.

Poi doppo un po' de tempo fu mannata in antri siti, e quasi a capo un mese se vedeva la carta già stampata ne la lingua tajana e in der francese. Così successe, caro patron Rocco, che quanno annavi ne le libbrerie, te portavi via un libbro co' un baiocco.

Scende sulla terra il vuoto, o su di noi si spalanca la vita?

Mentre mó ce sò tante porcherie de libbri e de giornali che pe' un sordo dicheno un frego de minchionerie.

Quando il mondo muore lentamente ad ogni morte di uomo. Claudio Calcaterra

Trilussa

Marzo 2020

l tempo della connessione di quinta generazione appare preistoria la comunicazione telefonica via cavo. Eppure c’è stato un tempo dei duplex, delle cabine telefoniche, della distribuzione della rete telefonica in tutta Italia quando i prefissi allontanavano famiglie ed amori. Squadre di uomini e donne hanno permesso tutto questo. Tecnici, per lo più, per i quali la comunicazione via telefono non avevano segreti, che prontamente intervenivano ad ogni guasto, in grado di allestire postazioni e quanto fosse necessario per eventi speciali. Sono i tecnici della TeTi (Società telefonica tirrena) prima, della Sip - Società Italiana per l'esercizio telefonico poi fino alla miriade di sigle odierne di compagnie telefoniche. Negli anni Sessanta, dopo un accordo con la RAI, la SIP gestiva Il servizio aggiuntivo della filodiffusione, Negli anni Settanta la SIP installò oltre 30.000 cabine telefoniche in tutta Italia. Ed ancora nel 1976 la SIP introdusse sperimentalmente la prima scheda telefonica a banda magnetica che via via sostituì i gettoni telefonici. Un lavoro in costante aggiornamento, all’avanguardia, un tempo, che ha visto impegnato anche il presidente dell’Associazione Culturale Gente di Bracciano, che edita questa rivista. E la squadra di allora è tornata a riunirsi di recente al ristorante Alfredo sulle rive del lago di Bracciano per rinnovare solide amicizie, per scambiare opinioni sui tempi di oggi e per ricordare le giornate di lavoro di allora consumate tra direttive aziendali, riunioni sindacali, svaghi da dopolavoro ed altro. Una riunione tra colleghi, sempre felici di vedersi, di abbracciarsi, di stringersi la mano, di ricordare con ironia i fatti anche divertenti di allora in una fraterna condivisione davanti ad un buon pranzo. A fare gli onori di casa Claudio Calcaterra e Mena Maisano. Certo all’epoca sarebbe stato difficile per loro pensare al discusso 5G odierno, senza fili ed ultraveloce. Ma provate a metterli alla prova. Nessuno di loro si tirerà indietro. Graziarosa Villani

6

Gente di Bracciano

Marzo 2020

7

Gente di Bracciano


Quando anche Bracciano era fascista. Il documento dell’Istituto Luce 50 secondi che di fotogramma in fotogramma raccontano con la precisione certosina dei cineasti della propaganda dell’epoca “Le manifestazioni del regime fascista in varie cittadine italiane”. Un racconto per immagini di una comunità che convintamente scende in piazza, sfila nelle strade con i propri ragazzi, si presta a parate cavalleresche, per rendere onore allo stato mussoliniano. È uno spezzone del cinegiornale datato maggio 1931 dell’Istituto Luce, il Fascismo è ormai un fatto consolidato per tutti gli Italiani. Bracciano, mutadis mutandum, non è cambiata molto. Dal punto di vista architettonico il centro urbano appare lo stesso di allora. Il servizio firmato da tre direttori artistici (Mario Craveri, Ernesto Sottile

Marzo 2020

8

e Giulio Ruffini) fa una narrazione probabilmente di un’adunata fascista. Si apre con una sfilata di ragazzine vestite da giovani fasciste accompagnate dalla loro educatrice che in piazza I Maggio (che probabilmente all’epoca si chiamava Mariano Catena) si incrociano con una miniparata di Balilla nella loro divisa, con loro un gerarca che non manca di fare un saluto fascista alla telecamera. L’immagine si sposta poi all’altezza del passaggio a livello filmando una travolgente cavalcata che risale al galoppo via Principe di Napoli. È impressionante il numero di cavalieri impegnati. Probabilmente un centinaio. I cavalieri indossano una camicia bianca. Una cavalcata che si ascolta, pur mancando il sonoro. Il filmato è infatti muto e sarà stato accompagnato nel corso delle proiezioni pro-

Gente di Bracciano

pagandistiche lungo tutta la penisola da musica o cartelli esplicativi. I cinquanta secondi scorrono veloci. Ed ecco che al regista si offre una piazza IV Novembre gremita di braccianesi in camicia nera che inneggiano agli stendardi fascisti e al tricolore. Svettano sullo sfondo il campanile di Santa Maria Novella ed il castello Orsini-Odescalchi. Quindi il discorso in pur stile mussoliniano dell’autorità di turno che parla ad una platea attenta. La telecamera poi fa un primo piano su due giovani fascisti al Monumento ai Caduti, quelli della Grande Guerra. Dietro i volti dei fascisti locali lungo via XX Settembre. Il filmato si chiude con una piazza osannante che inneggia al Regime. Nello stesso cinegiornale dell’epoca gli altri servizi erano “A Venezia un concorso per aeromodellisti” e “A

Marzo 2020

Monza si corre il premio delle Nazioni di motociclismo”. Il virus fascista è stato installato nelle giovani generazioni di Braccianesi. Il regime cadrà il 25 luglio del 1943. Arriveranno l’8 settembre, i bombardamenti su Bracciano, la Repubbica di Salò. La Resistenza e la Liberazione. A distanza di anni rigurgiti nostalgici tornano a manifestarsi. Non è storia ma cronaca la notizia del 20 febbraio scorso di striscioni fascisti messi nottetempo sui muri del liceo Vian e prontamente cancellati dagli studenti. “I ragazzi della Rete degli Studenti Medi e del Liceo Vian toglieranno regolarmente questi striscioni. Perché l’odio che si sta diffondendo in questi giorni nel resto d’Italia non si estenda anche qui a Bracciano. Noi ragazzi diciamo NO all’odio!”. Graziarosa Villani

9

Gente di Bracciano


Ospedale Civile di San Sebastiano: gratuito per i poveri di Bracciano e Pisciarelli. Ma non per i cronici Nel 1593 la fusione con l’ospedale di San Giovanni Decollato

una lettera del 10 aprile 1858, scrisse al priore di Bracciano approvando di apporre una iscrizione in marmo nel pubblico ospedale […] onde eternare, in segno di gratitudine, la memoria dei dispendiosi benefici fattivi dalla sig.ra Principessa Odescalchi, in vantaggio dei poveri infermi […]. La lapide è ancora oggi nell’ospedale a memoria dell’attività benefica di Sofia. In un avviso datato il 13 giugno 1858 venne dichiarata la fine dei lavori di risanamento dei debiti e la nuova apertura: il 23 maggio dello stesso anno, il Vescovo Diocesano benedì l’ospedale sotto l’auspicio dell’Immacolata Concezione e venne stabilita l’apertura per il primo luglio. Le cure erano riservate, a titolo gratuito, ai malati poveri residenti con domicilio stabile a Bracciano e nel Contado di Pisciarelli, sia uomini che donne, esclusi i cronici, previo, sempre, l’esibizione del certificato dei Professori Sanitari Locali, dell’attestato di povertà e della dichiarazione di domicilio stabile da parte dei due parroci di Bracciano e di Pisciarelli. Per tutti gli altri malati, sempre esclusi i cronici, provenienti dal medesimo territorio, ma non di stabile domicilio, o dalle tenute e luoghi limitrofi, per essere curati nell’ospedale, veniva fissato il pagamento di baj 25 al giorno per ciascun individuo. Pertanto, essi sarebbero dovuti essere accompagnati con biglietto del proprio padrone, o di altre persone cognite ed idonee, che garantisse il suddetto pagamento. Diversamente, non sarebbero stati ricevuti. Dietro l’ospedale vi era l’orto e, a pochi metri di distanza, la Fonte dell’Ospedale che proprio in quel periodo subì dei restauri, come testimonia la lapide al centro della

Il vecchio ospedale

D

a come riporta il Nardini nelle sue trascrizioni redatte tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX, nel corso del XVI secolo a Bracciano esistevano due ospedali: l’Ospedale di San Sebastiano e l’Ospedale di San Giovanni Decollato. In un documento del 23 maggio 1593, da lui riportato, risulta l’unione dei due ospedali in uno solo, il primo coincide con l’ospedale civile in oggetto. Accanto vi è una chiesa dedicata a San Sebastiano e, all’epoca, tutto era sotto la giurisdizione dei padri Agostiniani. In realtà, non sappiamo esattamente l’anno di costruzione della chiesa, ma l’affresco absidale ci permette di stabilire una data anteriore al 1491: vi sono rappresentati la Madonna tra i Santi Stefano, Pietro, Paolo e Sebastiano, il Padre Eterno tra due angeli nella calotta. Sopra la Madonna compare la scritta

Marzo 2020

…MARIAE STEPHANUS PAGNOTTA…ANNO DOMINI MCCLXXXXV… quindi una data verosimile tra il 1495 e il 1499. L’opera è attribuita ad Antoniazzo Romano e/o collaboratori. Nella prima metà dell’Ottocento, l’Ospedale Civile di San Sebastiano era amministrato dalla rappresentanza municipale del Comune di Bracciano. Non appena il vescovo di Sutri e di Nepi, insieme a due convisitatori, esaminò i libri contabili, si rese conto di uno sbilanciamento dei conti e dell’impossibilità di liquidare i debiti con le sue risorse. Con atto del 17 novembre 1856, la magistratura della contabilità del Comune di Bracciano, a seguito della risoluzione consiliare del primo giugno dello stesso anno, e dopo l’approvazione della presidenza di Roma e Comarca, assegnò l’amministrazione dell’ospedale a Livio Odescalchi e a

10

sua moglie Sofia Branicka, tramite Camillo de Leo, ministro generale degli Odescalchi, con la certezza che, stante la sperimentata carità della nobile famiglia, tale luogo pio sarebbe stato migliorato e dotato di maggiori rendite a vantaggio della indigenza, inoltre, si auspicava un risanamento dei debiti. Nel 1856 l’ospedale possedeva vari appezzamenti di terreno, cantine, case, botteghe sparse a Bracciano, tutte in affitto, esso era titolare di canoni, censi e frutti. Inoltre godeva di una pensione annua di 167 scudi e 12 baj versata dal Comune di Bracciano. Venne, quindi, ceduta l’amministrazione agli Odescalchi per far quadrare i conti e riscuotere i crediti. Già i primi mesi del 1858, dopo un estenuante lavoro certosino, i conti cominciarono a quadrare, al punto che la presidenza di Roma e Comarca, in

Gente di Bracciano

Lapide in memoria dell’attività benefica di Sofia

Marzo 2020

Lunetta, decorazione apposta sopra il portone d’ingresso

facciata: “RESTAURATA DAL MUNICIPIO L’ANNO MDCCCLXI”. All’epoca non c’era acqua corrente negli edifici, quindi il fontanile era indispensabile. La sua struttura venne realizzata nel 1511 per volere di Giangiordano Orsini, o della moglie Felice della Rovere, figlia di papa Giulio II, a favore della comunità di Bracciano. L’iscrizione sul fontanile recita: “A FVNDAMENTIS PUBLICAE COMODITATI ANNO DOMINI MDXI”. Il restauro del 1861 coincide, quindi, con la fase di ristrutturazione e rinnovamento dell’ospedale stesso. Le rendite che formavano la dote dell’ospedale erano scarse ed insufficienti per provvedere alle spese necessarie per la cura dei malati e per il loro mantenimento e degli inservienti. Dopo averlo restaurato, migliorato e abbellito e, dopo averlo dotato di quanto fosse necessario per il buon rendimento e cura dei malati, tutto a sue spese, Sofia provvide ulteriormente alla spesa annualmente necessaria per mantenerlo nel modo da essa stabilito. Ella desiderava che l’ospedale mantenesse tutte quelle comodità e decoro ottenuto dalla sua amministrazione, quindi, a distanza di nove anni, decise di assegnare una rendita valida fin quando l’amministrazione fosse sotto di lei, o sotto i suoi successori. Negli anni di amministrazione Odescalchi-Branicka, la documentazione era ben ordinata. Spesso le spese superavano le entrate e Sofia compensava lo squilibrio di bilancio con sue somministrazioni. Tra il 1869 e il 1874 l’ospedale subì ulteriori grandi restauri e rifacimenti architettonici diretti dall’architetto Luca Carimini, oltre a riparazioni di mobili e infissi. Fu così realizzata la facciata ancora

11

oggi esistente che ingloba anche la chiesa: è ben distinto un avancorpo centrale su due livelli e due ali laterali. Al centro, sopra le tre finestre del piano superiore, vi sono in rilievo gli stemmi Branicka, al centro, e Odescalchi, su quelle laterali, ciascuno racchiuso in un cerchio. […] Sulla porta d’ingresso principale nel prospetto si è sistemato in opera il bassorilievo semicircolare di diametro m 2.3 con impalcatura ed inzeppatura in malta e scaglie, muratura di tre grappe e relativa assistenza del modellatore […], così venne descritta nel 1874 una decorazione apposta sopra il portone d’ingresso. Forse si tratta della lunetta presente ancora oggi, sulla quale è rappresentata una scena di vita quotidiana nell’ospedale: in una camera con tre letti si vedono due donne malate accudite da una donna elegante, della quale si notano le rifiniture dell’abito, con un parannanzi, dietro di lei due suore dell’ordine Figlie della Carità, riconoscibili dal copricapo a larghe tese. La donna elegante dovrebbe essere Sofia. Fino al 1893 l’amministrazione dell’ospedale civile di Bracciano rimase agli Odescalchi. A Sofia successe Baldassarre, il quale, per intesa con gli altri eredi, propose al consiglio comunale la restituzione dei beni dell’ospedale. I tre eredi, spogliandosi di ogni facoltà relativa all’amministrazione dell’ospedale, consegnarono al presidente della Congregazione di Carità di Bracciano, ed utile gestore della medesima, tutti i beni mobili ed immobili costituenti il patrimonio dell’ospedale. Essi dichiararono di voler rendere omaggio alla loro madre donando all’ospedale una rendita annua . Elena Felluca

Gente di Bracciano


La virile Bartolomea che difese Bracciano

Archivio Orsini: la Storia in pergamena

L’assedio dei Borgia. La narrazione di una donna valorosa. Lo sfottò a Juan dell’asino

B

artolomea la coraggiosa. Si conquistò la fama di donna valorosa Bartolomea Orsini, moglie di Bartolomeo d’Alviano, fu lei a resistere con determinazione all’assedio dei Borgia nell’inverno tra il 1496 e il 1497. Reggeva a quanto si apprende il governo di Bracciano e quando le truppe pontificie al comando di Giovanni Borgia, figlio di papa Alessandro VI Borgia, fratello di Cesare e Lucrezia, cercarono di impadronirsi di Bracciano sfoggiò competenze militari ed organizzative, anche con una certa ironia. Un’impresa che, malgrado si trattasse di una donna, indussero qualche cronista dell’epoca a citarla. A lei è dedicato un approfondito Volume scritto da Carlo Piola Caselli dal titolo “Il vero ruolo di Bartolomea Orsini a Bracciano” e pubblicato nel 2016. L’autore ne ricostruisce ampiamente la figura. “Di lei - come riporta Piola Caselli

- Gregorovius parlò di “donna di animo virile”. Pastor raccontò che “assecondato dalla sua eroica sposa Bartolomea, sorella di Virginio, il giovane Alviano dirigeva la difesa”. Bernardino Baldi nel 1821 ebbe a scrivere: “con esempio assai raro in quel sesso, vendè ed impegnò per sovvenirlo, collane, gioieli, perle e quanto aveva di buono e guastò di buona voglia molte delle sue vesti per farne cotte e sopravvesti nobili agli uomini d’arme”. Sull’episodio di recente Paola Carborana ha scritto “tutta l’Italia salutava il coraggio dell’insolente virago e si faceva delle grosse risate sull’incapacità di Giovanni, che si pavoneggiava tra i suoi uomini, faceva dichiarazioni pompose per incitare i soldati nemici alla diserzione e predisponeva un piano di offensiva più inefficace dell’altro”. Sul richiamo alla diserzione è senz’altro divertente emblematico l’episodio del-

l’asino con il cartello al collo “Lasciatemi andare per la mia via, che vado ambasciatore a duca di Candia”. “Et fo ditto, chome quelli di Brazano - ebbe a scrivere Marin Sanudo, contemporaneo, nei suoi Diari hessendo a campo inimici, tolseno uno aseno molto grande et bello et messeli al collo una scritta con lettere grande che diceva: lassatime andar per la mia via che vado ambassador al ducha di Candia. Et driedo la coda havia una lettera drizata al ditto ducha che dicrva assai mal. Questo fecer Orsini et quel domino Bartholomeo d’Alviano, perché esso ducha, credendo desviar la zente d’arme et fantarie erano in Brazano, fece uno edito che se le venia nel campo dil papa dovettero tutti esser conduti, et datoli la mità più di stipendio ed danari di quello havevano con Orsini. Tamen nihil valuit”. Graziarosa Villani

La famiglia Orsini Gli Orsini sono una delle più antiche e importanti famiglie italiane. Annoverano nella loro genealogia oltre a tre pontefici (Celestino III, Niccolò III, Benedetto XIII), una trentina di cardinali, vari elettori di Sassonia e di Brandeburgo, gran maestri dell’Ordine di Malta. La posizione eminente che gli Orsini hanno sempre ricoperto presso i pontefici e nella corte pontificia, l’ampiezza dei loro domini, le relazioni e le parentele da loro contratte con le più grandi famiglie italiane (Medici, Gonzaga, Este, della Rovere, Sforza) e con le grandi dinastie europee (Francia, Spagna, Inghilterra, Danimarca, Svezia, Norvegia e Polonia), rendono la documentazione da loro prodotta nel corso dei secoli una delle fonti più preziose per la storia medievale e moderna d’Italia e d’Europa. L’archivio di questa famiglia, la cui documentazione risale all’XI secolo, è conservato dal 1904 a Roma nell’Archivio Storico Capitolino. Un importante nucleo archivistico è conservato presso il Department of Special Collections, Charles E.Young Research Library University of California di Los Angeles (UCLA) che lo ha acquistato dalla famiglia nel 1963.

Tratto da archiviocapitolino.it

Creditis Responsabilità scientifica del progetto: Michele Franceschini, Vincenzo Frustaci, Elisabetta Mori. Il data base originario, prima delle modifiche che è stato necessario apportare in corso d’opera, è stato realizzato da Antonella Mazzon con una borsa di studio dell’Archivio Storico Capitolino in collaborazione con il CROMA. Revisione del data base: Elisabetta Mori, Piero Santoni.

Schede Pressutti Si tratta di 8.645 schede mobili manoscritte elaborate tra il 1874 e il 1877 dal sacerdote Pietro Pressutti, archivista di casa Orsini. Le schede, nel loro complesso, costituiscono una raccolta di regesti di documenti organizzata per toponimi e materie. Non si tratta di un vero inventario ma di uno strumento di ricerca approntato per trovare facilmente documenti in base alle esigenze pratiche della famiglia. Le schede non si riferiscono all’intero archivio, ma prevalentemente ad alcune serie: il fondo diplomatico, la miscellanea dal titolo “Cose storiche” (arbitrariamente costruita da Pressutti) e le copie di strumenti conservati attualmente presso il Department of Special Collections, Charles E.Young Research Library University of California di Los Angeles (UCLA) che nel 1963 ha acquistato dalla famiglia la parte residua dell’Archivio Orsini. Anche per quanto riguarda il fondo diplomatico le schede Pressutti non si riferiscono all’intero fondo ma a parte di esso, prevalentemente ai documenti dal XVI secolo in poi. Nel corso del lavoro si è constatato che le schede relative al fondo diplomatico sono 3673 ma si riferiscono a 777 documenti. Questo si spiega con il motivo che per ciascun atto vi sono più regesti a seconda delle materie e dei toponimi che vi compaiono. Si è ritenuto quindi opportuno inserire per ogni documento un unico regesto scegliendo il più completo e il più congruo con il testo del documento. Sono stati inoltre ignorati i toponimi e le materie con cui Pressutti ha organizzato le sue schede poiché lo studioso può svolgere la ricerca digitando qualsiasi parola o parte di parola nell’apposito campo.

L’Archivio Orsini nell’Archivio Storico Capitolino È costituito da circa 4.200 tra registri e faldoni e 2.462 pergamene e documenta i due maggiori rami della famiglia, quello di Bracciano e quello di Gravina. Nel 2004 l’Archivio Capitolino ha avviato un progetto generale di schedatura informatizzata, digitalizzazione delle immagini di alcune serie, studio e riordinamento. La prima fase è consistita nell’archiviazione elettronica del fondo diplomatico a cui seguirà quella delle altre serie.

Il fondo diplomatico dell’Archivio Orsini Consta di 2.462 documenti pubblici e privati (XI-XIX secc.) in gran parte su supporto pergamenaceo. Si tratta di bolle pontificie, brevi, diplomi e lettere regie, investiture feudali, sentenze, concordie, compravendite, inventari, catasti, capitoli matrimoniali, testamenti, statuti, riferibili in gran parte al principale ramo degli Orsini, quello di Bracciano. Vi si possono però individuare le confluenze consistenti di vari nuclei documentari appartenenti ad altri rami della famiglia: Tagliacozzo, Manoppello, Sangemini, Gravina.

L’archivio elettronico È stato creato un archivio elettronico consultabile via web contenente per ciascun pezzo: • la scheda di descrizione archivistica • la riproduzione digitale Le schede archivistiche sono state realizzate riversando in un unico database, i due vecchi repertori utilizzati fino ad ora per fare ricerche su questo fondo: i regesti di Cesare De Cupis e le schede di Pietro Pressutti. Su 2462 documenti, 1502 presentano solo il regesto De Cupis, 777 solo il regesto Pressutti, ventidue presentano entrambi i regesti. Le schede descrittive relative a 28 documenti sono state attribuite a Pressutti solo in via ipotetica e quindi sono state segnalate con un asterisco; non presentano regesto ma solo l’immagine digitale 133 documenti che riportano le segnature II.A.34(1-29); II.A.35(155); II.A.36(1-49).

Marzo 2020

12

Gente di Bracciano

Marzo 2020

Regesto De Cupis Cesare De Cupis nei primi decenni dell’Ottocento ha svolto un ampio lavoro sistematico di regestazione delle pergamene relative alla famiglia Orsini conservate in diversi archivi romani indicandone la segnatura. I regesti di De Cupis sono pubblicati con il titolo: Regesto dei documenti conservati nell’Archivio della famiglia Orsini. in “Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia patria”, Sulmona 1903-1938. Nel data base sono stati riversati solo i 1524 regesti riferentisi alle pergamene conservate dall’Archivio Storico Capitolino. De Cupis però si ferma cronologicamente al XVI secolo mentre nel fondo sono conservati documenti fino al XIX secolo. È stato quindi necessario integrare i regesti De Cupis con i regesti Pressutti.

13

Gente di Bracciano


Cultura e produzione vitivinicola locale tra passato e futuro

La luce, il lago, il castello...Bracciano

tano tutte a far risalire a tempi molto remoti la pratica di coltivazione dell’uva e della vinificazione. La vita frenetica odierna non ci permette più di osservare bene il nostro territorio, la maggior parte di noi passa e si guarda poco attorno, ma testimonianze di una importante produzione enologica nel nostro territorio risiedono nella toponomastica di alcune zone. Vigna di Valle, Vigna Orsini, Vigna Grande ed in particolare quest’ultima, dove sul finire dell’ottocento insistevano ben 44 ettari di vigne di proprietà Odescalchi, con una produzione importante di vino, di cui 2/3 di rosso (principalmente da uve Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Sangiovese) e 1/3 di bianco (da uve Pinot Blanc, Pinot Gris, Sauvignon Blanc e Traminer), denominati, dico io semplicemente per i canoni pubblicitari odierni, Castel di Bracciano Rosso e Castel di Bracciano Bianco. Sembra inoltre he la qualità di questi vini consentisse loro di ottenere riconoscimenti anche all’estero (le fonti citate riportano Inghilterra, Egitto, Argentina ed America). In tempi molto più recenti, nei miei ricordi di bambino, c’erano i profumi del mosto che caratterizzavano soprattutto la zona del rione Monti, nelle vie della Bracciano storica, dove erano presenti tantissime cantine e dove oggi solo in pochissimi mantengono la tradizione del “fare il vino” per berselo a casa o per regalarlo a parenti o amici. Per allargare l’orizzonte, la produzione di vino nella nostra zona risente dei problemi che ha il settore nell’intera regione, ovvero la difficoltà a fare sistema, a raggiungere una massa critica di produzione che diventi interessante per il sistema distributivo nazionale e internazionale, la difficoltà ad emergere con un prodotto distintivo, un prodotto bandiera, che spinga l’intero movimento verso un brand riconosciuto non solo nel nostro Paese. C’è infine da dire che sento che qualche tentativo in questo senso si sta facendo, anche dal basso, con produttori che si alleano per affrontare insieme i problemi comuni. Basterà, o sarà necessaria una ulteriore, e maggiore, presa di coscienza anche da parte delle autorità regionali? Marco La Posta

C

D

i luce e di vento, il lago. Se chiedessero a me, braccianese d’adozione, di cosa è fatta Bracciano, risponderei così. Che quando piove è un tradimento e, se non soffia il vento sorpresa e godimento. La cittadina è fatta di colori, di improvviso azzurro e inspiegabile rosa, colorando i muri dei vicoli del rione antico dei Monti che corrono verso il castello, dilatandosi, a sorpresa, verso il belvedere della Sentinella. Il verde profondo e silenzioso dell’ombra umida, i rosati dell’alba, e quelli della notte d’estate, dal volo luminoso dei gabbiani. Soprattutto è fatta di azzurro, di blu e turchese lo specchio del lago: origine di tutto ciò che vive e pervade, senza il quale Bracciano non avrebbe la morbidezza e il respiro tranquilli di cui sa possedere la vita, ma forse neanche il passo lento, che ha avuto per tanto tempo, ostaggio dell’isolamento e mal governo. La osservo mentre si affranca dall’immobilità del presente e dialoga in modi inaspettati con quel che c’è al di là di codesti signori poco illuminati governanti. Claudio Calcaterra

Al mercato...gente che va, gente che viene. Persone e personaggi

M

ercoledì passato, spinto dalla curiosità, ho pensato di fare un giretto al mercato. Cammino lentamente, ad un tratto mi fermo di fronte ad un bancone. Ad attirare la mia curiosità è una coppia, lei piuttosto robusta, lui mingherlino. Il bancone ha allineati e appesi pantaloni, gonne e gonnelline e vestiti o meglio abiti lunghi a righe piuttosto “accese”. La donnona rivolta al mingherlino: “Gennarì te piacesse stò abito lungo?”. Gennarino scuote la testa. La donnona evidentemente attratta dall'abito rivolta al bancarellaro: “o potesse provà?” “Prego. Faccia con comodo”. La donnona, dopo vari tentativi, trattenendo il respiro “Gennari sto vestito a righe, me sfinasse, sì o no?”. Gennarino esita “beh un poco”. “Comme ‘nu poco. Gennarì apri bene l’uocchi, scimunito”. L’invito è rafforzato da una botta sulla testa del povero Gennarino che mentre gira come una trottola, scandice “Te sfilasse, te sfilasse, te sfilasse…”. “Gennarì, aggio capito me sfila”. Rivolta al bancarellaro “Me ne desse duie de stì abiti luonghi”, “Gennarì paga!”. Mi allontano a passo svelto prima di scoppiare a ridere. Al mercato: persone e personaggi! Continuo a gironzolare: curiosi, compratori, affaccendati, sfaccendati, ragazzi e ragazzini. Eh! Sì. Al mercato…Mi fermo davanti al banco dei formaggi. “Prego Signori assaggiate formaggi di nostra produzione” e spingendosi ne offre uno spicchio. Una signora bionda, vestita in modo elegante non se lo fa ripetere, ne afferra un pezzetto “davvero buono, ma un po’ troppo dolce”, “Signora gliene faccio assaggiare un altro, meno dolce”, la Signora “grazie”, dopo averlo gustato, “buono ma un po’ trop-

Marzo 2020

po piccante”, “Assaggi questo”, “Questo è perfetto, esclama la signora”. “Gliene faccio un etto, due etti, mi dica”. “No grazie…il formaggio mi fa male, poi mi ingrassa. Buongiorno”. Il “formaggiaro” rimane a bocca aperta, mi guarda e allarga le braccia. Per consolarlo allargo le braccia anch’io”. Poi però “la possino ammazz…”, il ragazzino accanto a lui: “Zi’ nun se dicono le parolacce”. Lo zio “formaggiaro” “a nipò quanno ce vò, ce vò”. Il nipote: “La possino ammazz…”. “A nipò, nun se dicono le parolacce”, “A zì, quanno ce vò, ce vò”. Continuo a camminare. Davanti a me una coppia di anziani. Lei si appoggia a lui e lui a lei. Un venditore di aglio: “Signori, comprare aglio, mangiare aglio, rendere felici”. “Giusè, hai sentito?”, “A Renà, ma l’aglio puzza, sarai felice, ma puzzi”. Il venditore “Aglio puzzare, ma rendere felici, dare energia e risvegliare i sensi, ih, ih, ih!”, “Giusè tu l‘energia quanno l’hai persa e li sensi che da mo’ che te se so addormentati!”. “Daje Giusè, compra qualche spicchio”, “A Renà t’ho detto che l’aio puzzaa”, “Sì a me me fai felice e a te te torna l’energia e te se risvegliano i sensi”, “Allora... - rivolto al venditore - dammene due mazzetti”. “Tu essere bravo, ih, ih, ih!”. Si vede che l’aglio funziona: sarà la puzza, sarà l’impressione, ma Giuseppe inizia a saltellare e quasi corre. E Renata. “Giusè, Aspettame!”. Ormai sono arrivato alla fine, del mercato. Incontro i mio amico Bernardino “ci prendiamo un caffè?”. “Volentieri”. Mentre sorseggio il caffè, guardo la fila delle bancarelle. Eh, Sì. Il mercato…gente che va, gente che viene…persone e personaggi. Luigi Di Giampaolo

14

Gente di Bracciano

ome forse qualcuno già sa, la parte preponderante della mia vita professionale si è sviluppata nel mondo dell’informatica e solo negl’ultimi due anni è approdata ad un settore che mi ha sempre incuriosito ed attratto, quello enologico, interpretato alla mia maniera, cioè con una forte parte tecnologica concretizzatasi nello sviluppo ed esercizio di una piattaforma web di vendita on-line (www.unbuonvino.it). Entrando in punta di piedi in questo mondo ho naturalmente sentito la necessità di studiare e approfondire gli aspetti tecnici e culturali del vino, iniziando a novembre del 2018 un percorso completo di studio per sommelier (svolto dalla FISAR), completato positivamente 12 mesi dopo. Ho scelto un percorso professionale non tanto per avviare una bellissima nuova professione, l’età raggiunta non me lo consentirebbe, quanto per compiere un percorso di conoscenza molto ampio e profondo. Ma a parte questo, una delle curiosità naturali che mi ha sempre attratto, riguarda la produzione del vino nella nostra zona, per intenderci quella che va dai monti sabatini fino al mare. Cercando notizie prevalentemente nella rete, mi sono imbattuto in alcune belle pagine informative sul tema, principalmente redatte dall’Accademia Internazionale Epulae (www.epulae.it), dalla concittadina Elena Felluca (www.lagosabatino.com), dall’associazione Forum Clodii Archeologia, storia e arte nel Braccianese (rif. Facebook) che por-

CARLO EVANGELISTA

Vieni a trovarci, potrai trovare una vasta gamma di articoli rigorosamente di grandi marche. A pochi passi dal centro storico di Bracciano, Carlo Evangelista vi aspetta per illustrarvi la vasta gamma di capi ed aiutarvi al meglio per la vostra scelta migliore, per uno stile dinamico, raffinato mai banale!

Via Traversini, 13-15 - Tel. 06 99803008 - BRACCIANO (RM) Marzo 2020

15

Gente di Bracciano


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.