Globalscience N° 25 - ...20 ... 21 Lift off

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DICEMBRE 2020

20... 21‌ lift off Il 2020 ha posto le premesse di una nuova stagione dell’era spaziale che il 2021 potrebbe consegnare al futuro


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i amo entrati nel terzo decennio del terzo millennio e lo abbiamo fatto probabilmente tirando un sospiro di sollievo. Quello che ci siamo lasciati alle spalle, il 2020, è stato infatti un annus horribilis e probabilmente la storia lo considererà tale. Eppure il 2020 la storia ce lo consegnerà, molto probabilmente, anche come un anno di svolta per il genere umano. D’altronde nell’evoluzione del nostro pianeta e, poi, della nostra specie, non sono poche le circostanze a testimonianza che è sovente dalle crisi riemergere “più forti e più grandi che pria”. È il concetto dell’araba fenice, l’uccello di fuoco che risorgeva dalle ceneri della propria decadenza che si esauriva in una fiammata. Un processo catartico che donava a questo fantastico volatile la giovinezza, e con essa, la forza di ripartire. Con maggiore consapevolezza, aggiungiamo noi. Il 2020 ha, infatti, mostrato ad una umanità, forse troppo convinta dei propri mezzi, la caducità delle cose, l’ha messa di fronte alle proprie debolezze, ha reso concrete paure latenti, l’ha costretta a riflettere. E così il 2020 sarà ricordato come anche l’anno in cui le parole sinergia, impegno comune, collaborazione siano state le più visibili in una ipotetica palla delle parole. L’industria, l’economia, la scienza e la politica hanno rimodulato le proprie strategie, avviando processi di revisione delle scelte, marcando come prioritarie le esigenze del genere umano non solo per far fronte all’emergenza dovuta alla pandemia, ma guardando al futuro. Ecosostenibilità, green economy, blu economy, space economy, sono i paradigmi di un futuro possibile, reso tale proprio dalla debolezza mostrata di fronte alla natura. Perché la pandemia è frutto di un atto naturale. Un atto che potrebbe anche essere la risposta naturale allo scarso rispetto che la nostra specie ha mostrato del pianeta in cui ha avuto origine e vive. Rispetto dell’ambiente, decarbonizzazione, ecosostenibilità dello sviluppo sono termini oggi finalmente imprescindibili per garantire un futuro per il genere umano, che sia su questo pianeta o su altri corpi celesti. E se il 2020 potrà essere considerato

L’EDITORIALE

L’ARABA FENICE DELL’ERA SPAZIALE di Francesco Rea @francescorea

«Il 2020 la storia ce lo consegnerà come un anno di svolta per il genere umano»

come un anno terribile per l’umanità, sarà però considerato l’anno primo (o tra i primi) di una nuova era, l’era spaziale. Nel 2020 l’uomo ha festeggiato i venti anni del nuovo domicilio dell’umanità, la Iss; il ritorno al volo umano dal suolo statunitense con la crew dragon; l’anno che ha sancito il nuovo confine dell’umanità sulla Luna; l’anno in cui lo spazio commerciale è diventato realtà progettuale; l’anno in cui si è visto innalzarsi verso il cielo il maggior numero di razzi della storia dell’uomo, fino a quattro al giorno. L’anno della fenice spaziale, di una nuova realtà che ha avuto il pieno sviluppo nelle ceneri di un’umanità provata dai suoi limiti. Culturali non scientifici, né tecnologici. L’anno del razzo, le cui fiamme propulsive possono aver dato slancio ad un nuovo rinato genere umano.

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OMMARIO

N.25 - DICEMBRE 2020

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“L’editoriale” DI FRANCESCO REA

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“La lunga marcia nello spazio della Cina” DI MANUELA PROIETTI

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“Asteroidi sorvegliati speciali” DI GIULIA BONELLI

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“I robot marziani del futuro” DI GIULIA BONELLI

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“Una fabbrica di ossigeno per Luna e Marte” DI REDAZIONE

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“Cira, l'aerospazio coniugato al futuro” DI REDAZIONE

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“Domande al cielo” DI PAOLO DI REDA

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“Leggenda di un mare troppo lontano” DI LUIGI RINALDI

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“La Storia dello Spazio Italiano si fa documentario” DI FRANCESCO REA

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”Climate Change e fauna artica” DI FRANCESCA CHERUBINI

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“Esperienza e tecnologia per il clima” DI REDAZIONE

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“Innovazione e tecnologia per infrastrutture invisibili” DI REDAZIONE

TESTATA GIORNALISTICA GRUPPO GLOBALIST

Reg. Tribunale Roma 11.2017 del 02.02.2017 Stampato presso Tipografia Tiburtini Via delle Case Rosse 23, 00131 Roma RM 4 - global science

direttore editoriale Francesco Rea direttore responsabile Gianni Cipriani progetto grafico Paola Gaviraghi grafica Davide Coero Borga

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“Sentinel-6, guardiano del clima” DI SIMONE COLLINI

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“Pioniere del romanzo di fantascienza” DI FRANCESCO GRASSO

coordinamento redazionale Manuela Proietti redazione Asi - Globalist www.asi.it - globalscience.it pubblicità Paola Nardella adv.globalscience@gmail.com


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CHANG’È RACCOGLIE PEZZI DI LUNA

La lunga marcia nello spazio della Cina di Manuela Proietti @unamanus

Ormai possiamo darla come una certezza: la Luna è l’obiettivo dell’esplorazione umana degli anni ’20-‘30. Tra i più favoriti a contendersela, per il momento senza prospettive ufficiali di cooperazione, Usa e Cina. Con tempi e modalità diverse. Da un lato c’è la Nasa e il suo articolato programma Artemis, che prevede l’assemblaggio di una stazione in orbita lunare, lo sbarco del prossimo uomo e della prima donna nel 2024 e la costruzione di un base camp per utilizzi governativi e commerciali. Dall’altro lato c’è la Cina, che ha scelto la via dell’esplorazione robotica con recupero campioni – strada che sembra preludere a uno sfruttamento minerario - con costruzione negli anni ’30 di una stazione internazionale di ricerca, auspicando tra i partner del progetto Europa e Russia. Se da una parte l’Agenzia statunitense, negli ultimi mesi, ha dato struttura al programma, siglando una serie di accordi di cooperazione internazionale che vedono l’Italia in cima alla lista dei contributori, dall’altra si trova ad affrontare le prime incertezze: il taglio ai fondi per il lander del 2024 e i possibili cambi di rotta legati alla futura politica spaziale dell’amministrazione Biden. Pechino, dal canto suo, è già con un piede sul campo e procede a grandi passi nella sua lunga marcia verso lo spazio, in cui la Luna sembra rappresentare una tappa fondamentale, ma non l’unica. Dopo il successo nel 2019 della missione Chang’è 4 che, con il rover Yutu 2, ha visto il primo atterraggio di sempre sul lato a noi nascosto della Luna, Pechino ha raggiunto un nuovo, storico traguardo. Il 5 dicembre, la missione Chang’è-5, composta da un

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«La missione Chang’è-5, composta da un lander, un ascender e un orbiter, ha effettuato con successo il primo rendezvous cinese in orbita lunare»

lander, un ascender e un orbiter, ha effettuato con successo il primo rendezvous cinese in orbita lunare. Gli ultimi (e finora unici) docking orbitali attorno al nostro satellite risalgono alle missioni Apollo che riconducevano i moonwalker alle navicelle, una volta portate a termine le brevi ‘incursioni’ sulla superficie lunare. La missione, atterrata il 1° dicembre scorso, oltre ad aver registrato una serie di spettacolari immagini durante la discesa e poi a terra, è riuscita nel suo scopo primario: raccogliere ‘un pezzo’ di Luna, un obiettivo ‘dimenticato’ da oltre 40 anni: è infatti dal 1976 - anno dell’ultima missione sovietica Luna - che non si tentava il recupero di materiale lunare. Tramite un trapano, il lander Chang’è ha raccolto fino a due chilogrammi di polvere lunare che un mini veicolo, detto ascender, ha poi trasportato in orbita. In una sorta di staffetta spaziale il campione è stato trasferito a bordo dell’orbiter e di lì è iniziato il suo viaggio di ritorno verso la Terra. La prossima missione lunare cinese, Chang’è 6, anch’essa di sample return, fa parte della quarta fase del programma, quella dedicata allo studio delle risorse lunari. Prevista per il 2024, scenderà sul polo sud della Luna, luogo in cui Pechino intende avviare il suo piano di colonizzazione del nostro satellite. Monitoraggio dell’emergenza, comunicazione tra le istituzioni, programmi educativi e di supporto psicologico: ecco solo alcune delle applicazioni pratiche che arrivano dal settore spaziale. E mentre continua l’alleanza tra attori pubblici e privati per mettere la space economy al servizio dei cittadini, ecco che proprio dallo spazio arriva un’altra importante lezione. La crisi sanitaria del Covid-19 ha infatti acceso i riflettori sull’emergenza ambientale. Durante il lockdown per contenere la diffusione del virus in tutto il mondo, i dati satellitari ci hanno mostrato, settimana dopo settimana, una riduzione senza precedenti delle aree inquinate. Impressionanti sono le immagini satellitari della Cina diffuse già a febbraio da Nasa ed Esa. Il calo del livello dei gas nocivi inizialmente concentrato nella regione di Wuhan si è poi esteso a inizio anno in tutto il paese, con dati che non si vedevano dalla crisi economica del 2008. Lo stesso è accaduto poco dopo in Europa e negli Stati Uniti. Lo smog sopra alle grandi aree metropolitane nel nord-est degli Usa si è ridotto di circa il 30%. Mentre a inviare la radiografia del vecchio continente è stato ancora Sentinel-5P, che a fine marzo ha diffuso una mappa che mostra il crollo dell’inquinamento su molte capitali europee, comprese Roma, Parigi e Madrid. L’ultima osservata speciale dall’alto è stata l’India: i dati raccolti da Sentinel-5P, satellite del programma europeo Copernicus, mostrano ad aprile riduzioni tra il 40 e il 50% della concentrazione di diossido di azoto, uno dei gas inquinanti più dannosi per la salute. Per mettere a sistema tutti questi dati, a fine giugno è nato il nuovo strumento Earth Observation Dashboard, piattaforma interattiva nata dalla collaborazione tra la Nasa, l’Esa e la Jaxa. Che fornisce una chiara quanto impressionante immagine dell’impatto globale della pandemia. E così i dati satellitari statunitensi, europei e giapponesi sono stati integrati per la prima volta ad altissima definizione, con un dettaglio senza precedenti. Il risultato è una mappa del nostro pianeta che mostra i cambiamenti della qualità dell’aria e dell’acqua nel corso del tempo, mettendo in relazione questi dati con le informazioni sul cambiamento climatico e le attività economiche. Ma l’osservatorio virtuale è anche uno strumento a disposizione dei cittadini. Basta una connessione internet, e chiunque può tenere sotto controllo le condizioni del pianeta, approfondendo la situazione nel proprio paese. Una lezione importante, quella che ci giunge dalle osservazioni satellitari della Terra, che impone scelte di approccio all’uso delle risorse del pianeta diametralmente opposte a quelle che hanno guidato il genere umano almeno fino alla fine del secolo scorso. E lo spazio può essere una grande opportunità perché la nostra specie intraprenda questo nuovo percorso.

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RISCHI E OPPORTUNITÀ

ASTEROIDI SORVEGLIATI SPECIALI di Giulia Bonelli @giulia_bonelli

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Da minaccia per il nostro pianeta a prezioso materiale di studio: gli asteroidi sono tra gli oggetti più temuti e al tempo stesso più affascinanti del cosmo. Osservarli da vicino, addirittura tenerne qualche frammento tra le mani, oggi per gli scienziati è possibile. Lo ha dimostrato di recente il successo della sonda giapponese Hayabusa 2, che a inizio dicembre ha inviato sulla Terra campioni di materiale dell’asteroide Ryugu. Un vero e proprio pezzo di storia del Sistema solare, che ha viaggiato per 340 milioni di chilometri prima di giungere fino a noi. La capsula portacampioni si è distaccata dalla navicella madre circa 12 ore prima dell’atterraggio, depositando il prezioso carico nella remota area di Woomera, in Australia, dove è stata recuperata dal team giapponese. Ma l’avventura della sonda nipponica non finisce qui: dopo oltre 5 miliardi di chilometri già percorsi dall’inizio della sua missione, Hayabusa 2 continuerà a viaggiare nello spazio profondo verso l’asteroide 1998 KY26, che raggiungerà nel 2031. Nel frattempo, è atteso sul nostro pianeta un altro bottino proveniente dal deep space. Questa volta a raccoglierlo è stata la sonda della Nasa Osiris-Rex: arrivata nell’orbita dell’asteroide Bennu nel dicembre 2018, dopo due anni e centouno giorni di viaggio, la navicella a stelle e strisce ha studiato da tutte le angolature possibili questo piccolo oggetto celeste a circa 320 milioni di chilometri da noi e che a malapena raggiunge l’altezza di un grattacielo. I preziosi campioni di Bennu sono attesi sulla Terra nel 2023. Questo asteroide offre un potenziale scientifico unico, dato dalla sua storia passata e dalla sua composizione primordiale. Bennu è infatti una specie di finestra su come poteva essere il nostro Sistema solare miliardi di anni fa, mentre prendeva forma e produceva gli ingredienti che avrebbero un giorno aiutato a seminare la vita sulla Terra. Ma oltre ad aiutarci a comprendere meglio il nostro pianeta, studiare gli asteroidi serve anche a salvaguardarlo. «La possibilità di avere dei campioni di roccia asteroidale nei nostri laboratori terrestri - commenta Ettore Perozzi dell’Ufficio per la Sorveglianza Spaziale dell’Agenzia Spaziale Italiana - è fondamentale non solo per le implicazioni scientifiche ma anche per valutare l’efficacia delle tecniche di protezione del pianeta dall’eventualità di impatti cosmici. Ad esempio, grazie alle missioni Dart, Hera e LiciaCube, in avanzata fase di realizzazione, l’Asi parteciperà insieme alla Nasa e all’Esa al primo esperimento di deflessione ‘in volo’ di un piccolo asteroide». E qui arriviamo all’altra faccia della medaglia quando si parla di asteroidi, ovvero il potenziale pericolo per il nostro pianeta. Parliamo sempre di rischi molto bassi, che tradotti in numeri corrispondono circa a 1 su 100.000. Ovvero, la probabilità che un asteroide si trovi ad attraversare l’orbita della Terra proprio nello stesso momento in cui anche il nostro pianeta sta transitando ha una possibilità su centomila di realizzarsi. Eppure gli scienziati non possono ignorare quell’unica possibilità, perché le potenziali conseguenze sarebbero devastanti. Da qui nasce l’idea, a cui stanno lavorando diverse agenzie spaziali, di inviare nello spazio una sonda kamikaze per impattare un asteroide potenzialmente pericoloso. Fino a pochi anni fa, deviare un oggetto celeste in avvicinamento al nostro pianeta poteva sembrare fantascienza. Oggi


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invece abbiamo le tecnologie per farlo - tecnologie che presto saranno testate nel laboratorio spaziale di Dart, Hera e LiciaCube. Questa triplice missione, in programma per il 2024, andrà a studiare da una distanza ravvicinata l’asteroide binario Didymos e metterà alla prova per la prima volta la tecnica della deflessione asteroidale. «Si tratta di un esperimento cosmico, il primo di questo genere - sottolinea Perozzi - e chiaramente Didymos non sta davvero puntando verso la Terra. Inoltre, nel selezionarlo come candidato, gli scienziati si sono assicurati che anche in caso di fallimento della missione non ci sarebbe comunque il rischio di una deviazione accidentale dell’asteroide verso il nostro pianeta». Se invece tutto andrà come previsto, Dart, Hera e LiciaCube dimostreranno la fattibilità del ‘biliardo spaziale’ che, colpendo un asteroide con una sonda, imprima all’oggetto una forza tale da deviarne la traiettoria nel modo desiderato. Una tecnica che un giorno potrebbe salvare il nostro pianeta da un possibile impatto reale. A tal proposito, tra gli oggetti più chiacchierati negli ultimi anni c’è l’asteroide 99942 Apophis. Scoperto nel 2004, appartiene alla vasta famiglia dei near-Earth asteroid (Neo) e ha un diametro di circa 370 metri. «A questa dimensione - spiega Perozzi - corrisponde un possibile cratere molto grande e un danno a livello continentale. Per questo Apophis è stato tenuto sotto stretta sorveglianza. Le osservazioni hanno dimostrato che ci sarà un incontro ravvicinato con la Terra nel 2029, ma che sicuramente non ci sarà l’impatto. Quando un asteroide passa così vicino alla Terra una volta, però, non è detto che non ci ripassi: una configurazione in cui le orbite si incrociano è potenzialmente pericolosa non solo oggi ma anche in futuro. Sono state quindi calcolate altre date in cui Apophis potrebbe passare vicino alla Terra, e una di queste è il 2068». Parliamo anche in questo caso di una probabilità di impatto estremamente bassa, ma che ad oggi non si può escludere del tutto. Per questo sarà fondamentale proprio il passaggio ravvicinato del 2029, che permetterà agli astronomi di raccogliere una grande quantità di informazioni su questo oggetto. Muovendosi così con largo anticipo, nella remota ipotesi in cui sia necessario inviare una sonda per deviare l’asteroide e proteggere il nostro pianeta.

«Quando un asteroide passa così vicino alla Terra una volta, però, non è detto che non ci ripassi»

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L’arrivo su Marte del rover Nasa Perseverance, previsto il 18 Febbraio 2021. Crediti: Nasa.

ROSALIND E PERSEVERANCE

I 7 minuti che scandiscono la fase finale della discesa di una navicella su Marte sono tra i più temuti di un’intera missione spaziale. Ad oggi solo gli Stati Uniti sono riusciti a far atterrare sul suolo marziano con successo lander e rover pienamente operativi, superando la difficile sfida di trovare il punto di decelerazione. Operazione ancor più delicata se si pensa che tutto è affidato ad un sistema automatico di discesa, senza alcuna possibilità di intervento in tempo reale da parte del mission control. Ma se l’atterraggio su Marte è la difficoltà maggiore, non è certo l’unica. Una volta posato sulla superficie marziana, infatti, un rover deve svolgere una serie di operazioni complesse prima di potersi muovere in sicurezza sul suolo rosso. Ed è proprio a questo che sta lavorando adesso l’Esa, che punta ad affiancare la Nasa inviando su Marte il primo rover europeo, Rosalind Franklin. Chiamato così in omaggio alla grande scienziata che ha scoperto la doppia elica del Dna, il robottino europeo è il fiore all’occhiello della missione Esa-Roscosmos Exomars, il cui lancio è stato rimandato a settembre 2022. Obiettivo principale di Rosalind sarà cercare tracce di vita su Marte analizzando una serie di campioni, prelevati grazie a un trapano costruito in Italia che penetrerà fino a 2 metri sotto la superficie marziana. In questi mesi il team di ExoMars sta lavorando alacremente a tutte le tappe che dovrà affrontare Rosalind durante la sua avventura sul pianeta rosso, dai ‘7 minuti di terrore’ della discesa fino all’inizio delle sue attività scientifiche. Dopo il successo, lo scorso novembre, del primo test di caduta ad alta quota dei suoi paracadute, una tappa fondamentale in preparazione

I ROBOT MARZIANI DEL FUTURO di Giulia Bonelli @giulia_bonelli

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dell’atterraggio, l’agenzia europea si è concentrata sulle fasi di avvio della crociera marziana di Rosalind. I cosiddetti ground test, svolti su una replica del robottino al Rover Operations Control Centre (Rocc) di Torino, sono andati tutti a buon fine. Il centro europeo ospitato nel capoluogo piemontese, inaugurato nel maggio 2019 da Esa e Asi con Thales Alenia Space e Altec, ha ospitato le prove generali della sequenza di post landing, che copre circa 10 sol - il giorno marziano, corrispondente a 24 ore e 37 minuti terrestri. Tutto è andato come previsto, dal dispiegamento dei pannelli solari e dell’antenna di Rosalind, rispettivamente nel primo e nel terzo sol, fino al posizionamento delle ruote nel quarto sol e allo srotolamento del cavo per le telecomunicazioni nell’ottavo. Finalmente, nel decimo sol, il rover sarà pronto per scendere dalle rampe della piattaforma e toccare per la prima volta il suolo marziano. Iniziando così la grande avventura europea sul mondo rosso. Alla preparazione del soggiorno marziano sta lavorando anche la Nasa, veterana dell’esplorazione robotica di Marte ma che punta a battere i suoi stessi record con l’invio del robottino di ultima generazione Perseverance, attualmente in viaggio verso il pianeta rosso e il cui atterraggio è previsto il 18 febbraio 2021 nel cratere Jezero. Qui si trova un grosso bacino che, secondo gli scienziati, un tempo ospitava un lago marziano attraversato da un fiume: il luogo ideale per la formazione di antiche forme di vita. Scovarle sarà l’obiettivo di Perseverance, nuovo campione dell’astrobiologia marziana targata Nasa. Erede di Curiosity, il rover ha un intero set di strumenti scientifici nuovi. A bordo anche uno strumento italiano, il microriflettore Asi-Infn LaRA. Simile allo strumento che si trova sul lander della Nasa InSight, LaRA consentirà di aggiungere tasselli importanti alla conoscenza della struttura interna del pianeta rosso. L’avanzata tecnologia racchiusa nel rover statunitense comprende anche Moxie, strumento sperimentale per la produzione di ossigeno direttamente sul mondo rosso. E mentre l’Esa metteva alla prova al centro Rocc la strumentazione post landing di Rosalind, la Nasa nei laboratori del Jpl californiano svolgeva una serie di test sulle future applicazioni di Moxie. Quello trasportato da Perseverance è infatti una modello alfa, che ha il solo obiettivo di testare la funzionalità ingegneristica del sistema Moxie. L’agenzia statunitense ha annunciato che la buona riuscita dei test fa ben sperare in una possibile applicazione su larga scala di questa tecnologia, con l’obiettivo a lungo termine di produrre quantità di ossigeno sufficiente per rendere sostenibili le future missioni umane su Marte.

La superficie marziana vista dallo strumento HiRISE del Nasa Mars Reconnaisance Orbiter. Crediti: Nasa.

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COLONIE SPAZIALI

UNA FABBRICA DI OSSIGENO PER LUNA E MARTE di Redazione @ASI_spazio

L’interno dell’osservatorio Nasa Sofia. Crediti: Nasa.

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Colonie autosufficienti sulla Luna? Questo scenario, a cui le agenzie e le industrie spaziali stanno lavorando da tempo, sembra aver ricevuto una spinta sull’acceleratore. Prima la straordinaria scoperta, ottenuta grazie ai dati dell’osservatorio Nasa SOFIA, della cospicua presenza di acqua sul lato visibile del nostro satellite. Adesso al prezioso liquido si aggiunge un ingrediente altrettanto essenziale per i futuri coloni lunari: l’ossigeno. Non direttamente sulla Luna, ma da produrre in loco trasformando un materiale che sul nostro satellite si trova in abbondanza, la regolite. È la proposta messa a punto da un team internazionale guidato da Airbus, che ha inventato un sistema chiamato ROXY, capace appunto di trasformare la polvere lunare in ossigeno e metalli. L’azienda europea AIRBUS che si è recentemente aggiudicata l’Industry Award alla 71esima edizione dello Iac, il Congresso Astronautico Internazionale, sta lavorando da tempo alla progettazione di tecnologie per l’ossigeno lunare. Dopo due anni di sviluppo, un test svolto nei laboratori del Fraunhofer tedesco, partner del progetto, ha finalmente dimostrato tutte le potenzialità del sistema. ROXY è un macchinario piccolo e compatto, facile da trasportare e abbastanza economico. Le sue componenti essenziali sono un braccio robotico per raccogliere la regolite, un sistema per la sua lavorazione, un reattore e un serbatoio per lo stoccaggio dell’ossigeno prodotto. Il grosso del processo avviene nel reattore, responsabile dell’estrazione delle preziose molecole di osseigeno dalla regolite. Trasformare la polvere lunare in ossigeno, tecnica a cui sta lavorando anche l’Agenzia spaziale europea, apre la strada a una grande catena di possibilità per la produzione made on the Moon. A tal proposito, grandi alleati saranno il ghiaccio e i depositi di molecole d’acqua appena scoperti sulla superficie lunare. Ma la produzione di ossigeno non riguarda solo la colonizzazione della Luna ma anche di Marte. Alla preparazione del soggiorno sul mondo rosso sta lavorando anche la Nasa, veterana dell’esplorazione robotica di Marte ma che punta a battere i suoi stessi record con l’invio del robottino di ultima generazione Perseverance, attualmente in viaggio verso il pianeta rosso e il cui atterraggio è previsto il 18 febbraio 2021. L’avanzata tecnologia racchiusa nel rover statunitense comprende anche Moxie, uno strumento sperimentale per la produzione di ossigeno direttamente sul mondo rosso. Nei giorni in cui Esa metteva alla prova al centro Rocc di Torino la strumentazione post landing di Rosalind, la Nasa nei laboratori del Jpl californiano svolgeva una serie di test sulle future applicazioni di Moxie. Quello trasportato da Perseverance è infatti una modello alfa, che ha il solo obiettivo di testare la funzionalità ingegneristica del sistema Moxie. La buona riuscita dei test fa ben sperare in una possibile applicazione su larga scala di questa tecnologia, con l’obiettivo a lungo termine di produrre quantità di ossigeno sufficiente per rendere sostenibili le future missioni umane su Marte.


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Cira, l'aerospazio coniugato al futuro di Redazione @ASI_spazio

L’Assemblea dei Soci del Centro Italiano Ricerche Aerospaziali (CIRA), nella seduta del 3 dicembre, ha approvato all’unanimità dei presenti (94,55% del capitale sociale) il bilancio consuntivo 2019. All’Assemblea erano presenti i soci pubblici, rappresentati dall’Agenzia Spaziale Italiana (socio di controllo), dal Consorzio Area Sviluppo Industriale di Caserta e dal CNR, e i principali soci industriali, Leonardo, Thales ed Avio. L’esercizio 2019 si è chiuso con un utile di 5,2 milioni di Euro e il valore della produzione si è attestato sui 47 milioni di Euro con una crescita del 15% rispetto al 2018. Da sottolineare un importante incremento dei “ricavi da fonti terze”, generati cioè da contratti di ricerca e servizi di sperimentazione che il CIRA ha acquisito sul mercato mondiale, e il superamento della soglia del 30% della loro incidenza sui ricavi totali, con un netto miglioramento dei risultati conseguiti nel 2018. Anche i grandi impianti di prova, che caratterizzano il CIRA, hanno segnato un forte impulso positivo con il Plasma Wind Tunnel e l’Icing Wind Tunnel che hanno generato un incremento in termini di fatturato del 40% rispetto all’anno precedente. Nel corso dell’Assemblea il Presidente Giuseppe Morsillo ha sottolineato gli importanti obiettivi conseguiti, primo fra tutti la firma del Decreto Interministeriale (DM662/20), da parte del Ministero dell’Università e della Ricerca e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che segna l’avvio di un nuovo ciclo pluriennale costituito da progetti strategici di ricerca e sviluppo tecnologico e da nuovi laboratori e impianti sperimentali che contribuiranno a conferire competitività ed eccellenza al sistema paese. Tale importante risultato è rafforzato anche da quanto previsto nel Decreto 744/20 di riparto del Fondo Ordinario degli Enti di Ricerca, che assegna al CIRA 4 milioni di Euro annui, a partire già dal 2020, quale contributo alle spese di gestione del Centro. Per rendere il Piano quanto più aderente al nuovo scenario aerospaziale e garantire il sostegno all’intero comparto, i programmi strategici contenuti nel nuovo PRORA sono frutto di un’intensa attività di confronto con i principali stakeholder. In sintesi, la nuova offerta scientifica e

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tecnologica del CIRA, riguarderà importanti sviluppi nell’ambito del trasporto aereo sostenibile, resiliente e sicuro, dell’advanced air mobility con velivoli autonomi e/o pilotati da remoto, dell’accesso allo spazio e dell’esplorazione spaziale, dell’osservazione della Terra (con considerevoli ricadute in campo duale) e del volo suborbitale e stratosferico.

TRASPORTO AEREO SOSTENIBILE, RESILIENTE E SICURO

Dall'alto: uffici direzionali CIRA, Unmanned Space Vehicle, Plasma Wind Tunnel, Icing Wind Tunnel, prototipo interstadio VEGA, laboratorio volante FLARE.

Il settore aeronautico ha avviato un processo di profondo rinnovamento orientato, tra l’altro, alla riduzione delle emissioni attraverso l’introduzione di nuove tecnologie e approcci operativi, sia a terra che in volo. Recenti studi hanno dimostrato che a causa della continua crescita del traffico aereo, la produzione di CO2 continua ad aumentare nonostante i progressi tecnologici raggiunti. La Commissione Europea ha voluto, quindi, promuovere il programma Green Deal in una visione di progressiva decarbonizzazione. Il CIRA ha fatto propria l’esigenza di tale evoluzione, non solo includendo tra gli obiettivi prioritari del nuovo PRORA lo sviluppo di tecnologie del trasporto aereo in grado di soddisfare i sempre più stringenti requisiti richiesti dal programma Green Deal, ma anche sottoscrivendo, insieme ad enti di ricerca di altri 13 paesi, un accordo che ha portato alla costituzione del Gruppo ZEMA (Zero Emission Aviation) per l’impiego di fonti di energia alternative, nuovi sistemi di propulsione ed un’ottimizzazione delle rotte di volo. Il CIRA, quindi, è oggi profondamente impegnato nello sviluppo di tecnologie abilitanti al volo ad emissioni zero ed ha intrapreso la sfida di nuove configurazioni disegnate ed ottimizzate per il volo con propulsori elettrici; tra i diversi ambiti della ricerca c’è anche l’utilizzo dell’idrogeno come sorgente di energia sia attraverso l’utilizzo delle Fuel Cells che attraverso la diretta combustione. Le Fuel Cells ed i sistemi basati sull’idrogeno sono considerati, nel PRORA, tecnologie chiave, destinatarie quindi, di numerose sfide progettuali. Occorre pensare che le batterie hanno valori molto bassi di densità energetica e presentano problemi di raffreddamento, limiti di affidabilità e di vita utile. L’energia contenuta in un chilo delle migliori batterie disponibili sul mercato è di circa 50 volte inferiore a quello di un chilo di cherosene. Ne consegue che l’autonomia dei mezzi di trasporto basati su sistemi elettrici è molto bassa se paragonata a quella di sistemi basati sulla combustione di combustibili fossili. Le Fuel Cells permettono di trasformare energia chimica direttamente in energia elettrica, ma al momento sono utilizzabili dai soli velivoli dell’Aviazione Generale. Il loro impiego negli aerei commerciali richiede ulteriori sviluppi e sforzi tecnologici, come l’alloggiamento a bordo di idrogeno compresso ad altissima pressione o in forma liquida. Ma le sfide dell’aereo elettrico sono molteplici: dallo sviluppo di dispositivi elettrici ad alta densità di potenza, alla rete di distribuzione elettrica, dalla gestione del calore generato, agli effetti elettromagnetici, agli ingombri e ai pesi dei sistemi (e distribuzione degli stessi) nelle nuove configurazioni. L’uso di carburanti criogenici, come idrogeno e biometano, necessita di nuovi sistemi di propulsione e di serbatoi utilizzabili a bassis-

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sime temperature (-142 °C e -252 °C rispettivamente per metano e idrogeno) e, nel caso dell’idrogeno, anche ad altissime pressioni per poter essere trasportato allo stato liquido. La distribuzione di questi carburanti a bordo, la loro gestione dal punto di vista termico e della sicurezza, la trasformazione da liquido a gas richiedono lo sviluppo di nuovi materiali e nuove tecnologie nel rispetto delle rigide regole della certificazione al volo. L’utilizzo dell’idrogeno come carburante richiede, inoltre, un adeguamento dei motori, ma sembra essere l’unica strada capace di soddisfare entro il 2050 i requisiti stringenti del Green Deal per i voli intercontinentali. Non mancano, tra gli obiettivi della ricerca, anche vie alternative all’idrogeno, come quella rappresentata dall’ibrido elettrico dove la potenza elettrica è fornita dalla combinazione di batterie e di un generatore di corrente a combustibile fossile. Ovviamente i sopracitati obiettivi richiedono di essere coniugati con gli elevati standard di safety e security, con l’essenziale flessibilità operativa del sistema di gestione del traffico aereo e con l’aumento dell’intermodalità.

VELIVOLI PILOTATI IN REMOTO E/O AUTONOMI (ADVANCED AIR MOBILITY) Applicazioni civili e militari, quali il monitoraggio di infrastrutture critiche, la sicurezza urbana, la ricerca ed il soccorso, l’agricoltura di precisione, il monitoraggio ambientale, il trasporto e la sorveglianza del traffico stradale sono al centro di un’autentica rivoluzione chiamata “Advanced Air Mobility” (AAM). Questa prospettiva modifica in modo sostanziale la nostra immagine del futuro e la caratterizza con nuovi paradigmi della mobilità. Aerei senza pilota, governati da remoto o autonomi rappresentano un settore innovativo in grande crescita che, nei prossimi 20 anni, impiegherà più di 100.000 addetti con un impatto economico superiore a 10 miliardi di euro all’anno. L’obiettivo è di ridurre drasticamente i tempi e gli attuali problemi della mobilità, sviluppando soluzioni di trasporto e collegamento punto-punto innovative, ecosostenibili e sicure. Lo sviluppo dell’AAM, attraverso l’utilizzo di velivoli elettrici in grado di decollare e atterrare verticalmente (VTOL), richiederà però di affrontare molteplici sfide riguardanti, tra l’altro, l’aeronavigabilità con droni e velivoli pilotati all’interno dello stesso spazio aereo. Il CIRA, peraltro, possiede le competenze e le infrastrutture di ricerca necessarie allo sviluppo di questi sistemi innovativi fino alla sperimentazione e validazione. Per questo, nel nuovo programma PRORA, ampio spazio è dedicato all’AAM e alle sfide tecnologiche relative a: • sviluppo di nuovi sistemi di gestione del traffico aereo per assicurare da un lato standard di sicurezza e di affidabilità, dall’altro semplicità operativa, economicità, facilità di uso, autonomia per la realizzazione di missioni complesse; • sviluppo ed integrazione di sensori innovativi sia per la navigazione, sia per la raccolta di informazioni di varia natura in funzione della tipologia di missione. Anche l’utilizzo di sciami di velivoli autonomi così come l’interoperabilità di piattaforme eterogenee, per funzioni e dimensioni, costituisce un aspetto fondamentale degli obiettivi di ricerca. Su questa particolare tematica il CIRA si è di recente aggiudicato l’EDA Defense Innovation Prize 2020 con il progetto SWADAR (Swarm ADvanced Detection And TRacking) che prevede l’impiego di una squadra difensiva di droni cooperanti per proteggere infrastrutture e piattaforme dagli attacchi ostili di sciami di ve-

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Laboratorio di Qualifica Spaziale. Sopra: il flap di Space Rider.


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livoli aerei unmanned. Per i velivoli dell’AAM, è previsto, inoltre, lo studio di configurazioni aero-propulsive non convenzionali, che assicurino la necessaria flessibilità operativa, stabilità, sicurezza, efficienza energetica ed eco-compatibilità, di tecnologie elettriche, atte ad assicurare la distribuzione delle forze di spinta ascensionale e di trazione su più propulsori, ed avioniche per garantirne il pilotaggio da remoto o autonomo. L’adozione di un quadro normativo di concerto con le autorità nazionali e la valutazione dell’impatto sull’ambiente costituiscono ulteriori elementi del programma CIRA che intende contribuire allo sviluppo di un ecosistema di droni e di AAM, in sinergia con la comunità industriale e scientifica italiana e in attuazione della strategia dell’UE.

ACCESSO E RIENTRO DALLO SPAZIO

A fianco il flap di Space Rider pronto per i test per il Plasma Wind Tunnel. Sotto, test eseguiti nel laboratorio di Qualifica Spaziale su un satellite 6U

La lunga collaborazione tra AVIO e CIRA, iniziata nel 1997, continua oggi con lo sviluppo degli elementi di connessione tra i diversi stadi del nuovo lanciatore VEGA-C, progettati e costruiti con un materiale composito e una topologia particolare in grado di assicurare la stessa resistenza meccanica dei metalli, ma con un notevole risparmio di peso che, come noto, rappresenta uno dei fattori di successo in questo settore. Nell’ambito del nuovo programma PRORA, si punta ad ampliare l’utilizzo di queste strutture innovative con la realizzazione di intere sezioni di velivoli spaziali, quale la fusoliera, o del fairing di un lanciatore. Decollare e atterrare da un aeroporto sostanzialmente convenzionale per raggiungere una stazione spaziale orbitante intorno alla Terra o alla Luna, atterrare sul nostro satellite per recarsi in una base abitata nella quale sono state ricreate le condizioni di permanenza umana è la sfida che l’intera comunità aerospaziale si è data. Vincere tale sfida significa progettare veicoli spaziali con forme non convenzionali, dotati di strutture, realizzate con materiali innovativi, in grado di distribuire opportunamente il calore generato dall’attrito con l’aria e dotati di sistemi propulsivi altamente efficienti. Velivoli spaziali che declinano in concreto il paradigma della riutilizzabilità, quello che permetterà allo stesso veicolo, come un normale aereo di linea, di effettuare le proprie missioni in sicurezza più e più volte. L’Europa sta lavorando ad un sistema integrato unico ed altamente competitivo che, al nuovo lanciatore VEGA-C, unisce lo sviluppo di un veicolo spaziale riutilizzabile, “Space Rider”, in grado di andare in orbita trasportando fino a 800 kg di carichi utili per esperimenti, deorbitare e rientrare sulla Terra e prepararsi per la missione successiva. Il 9 dicembre, a Palazzo Chigi, è stato firmato il contratto tra l’ESA e i due capofila industriali, TaS-I e AVIO, per la realizzazione della navetta che si prevede faccia un totale di sei missioni a partire dal 2023. Grazie alla messa a punto di un nuovo materiale ceramico rinforzato a fibra lunga selezionato da ESA, il CIRA partecipa al programma “Space Rider” per la realizzazione delle protezioni termiche del veicolo. Il nuovo materiale, registrato con il nome di ISiComp®, è espressione del successo di una filiera tutta italiana che ha messo a fattor comune le attività di ricerca del CIRA nel campo delle tecnologie per il rientro spaziale e le capacità industriali nel settore dell’alta tecnologia per l’automotive di Petroceramics (spin-off dell’Università di Milano e della BREMBO). Tale tecnologia ha anche il vantaggio di avere un ciclo di produzione molto più veloce rispetto a quelli sinora utilizzati per la realizzazione di componenti analoghi. Nell’ottica di continuare a supportare il settore spaziale nazionale ed europeo nello sviluppo e nella messa a punto di nuove tecnologie

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abilitanti, il nuovo PRORA punta ad estendere le competenze e le capacità sperimentali del Centro (in particolare del Plasma Wind Tunnel) con l’obiettivo di creare un vero e proprio Centro di Eccellenza per lo studio, lo sviluppo e la qualifica delle tecnologie spaziali per l’accesso allo spazio ed il rientro. Un altro importante obiettivo riguarda lo sviluppo di nuovi sistemi di lancio a basso costo ed elevata flessibilità che, indipendentemente dalla presenza di una base di lancio, siano in grado di mandare in orbita nano / micro satelliti (6U o 12U), di massa inferiore ai 20 Kg. La maggiore disponibilità di sistemi di accesso allo spazio sempre più flessibili e performanti permetterà di accrescere le capacità di esplorazione robotica, ma anche umana dello spazio. Le missioni interplanetarie e le lunghe permanenze su piattaforme spaziali dipenderanno però dallo sviluppo di sistemi in grado di garantire la rigenerazione continua di risorse vitali, come acqua, ossigeno e cibo, e la sicurezza in ambiente estremo. Con il PRORA, il CIRA si propone di sviluppare, insieme ai principali player nazionali, alcune delle tecnologie necessarie all’esplorazione umana, offrendo anche la possibilità di sperimentarle in una nuova facility in grado di replicare molte delle condizioni ambientali lunari e marziane (pressione, temperatura, composizione dei gas, illuminazione solare, ecc) e di consentire i test su sistemi di dimensioni reali (sistemi robotici, tute spaziali, pannelli solari, piante e sistemi bio-rigenerativi, ecc.). Non mancano, nell’ambito del PRORA, le attività per lo sviluppo di velivoli ipersonici che, grazie a innovativi sistemi propulsivi a idrogeno, possano raggiungere velocità fino a Mach 8 (circa 9000 km/h), e quote di crociera intorno ai 30-35 km. La realizzazione di un dimostratore metterà a disposizione della comunità nazionale un sistema di riferimento per lo sviluppo di un veicolo ipersonico di interesse industriale e/o militare.

OSSERVAZIONE DELLA TERRA, MONITORAGGIO AMBIENTALE ED APPLICAZIONI

Primo modello tecnologico dell'interstadio di VEGA-C. Sopra: EDA Prize 2020 vinto dal CIRA per il progetto SWADAR.

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In tema di OT le attività di ricerca del CIRA seguono un approccio multidisciplinare che coniuga strumenti e tecniche innovative di Osservazione con le bioscienze. Una rilevante attività di ricerca è dedicata ai nuovi paradigmi di monitoraggio ambientale basati sulla capacità di alcune specie vegetali di funzionare come “sentinella” di molteplici fenomeni. Sono i cosiddetti bio-indicatori, capaci cioè di generare risposte sistematiche e misurabili rispetto a sollecitazioni di natura abiotica o biotica. Queste risposte possono essere identificate da sensori remoti (trasportati da droni, satelliti o piattaforme stratosferiche) attraverso tecniche basate su specifici indici vegetazionali. Tra le altre, la misurazione della fluorescenza è senza dubbio una delle metodologie con maggiori potenzialità, come peraltro confermato anche dai considerevoli investimenti realizzati dall’Esa in questo specifico segmento. Il CIRA, in quest’ambito, orienta le proprie attività di ricerca sia su piattaforme innovative in grado di coniugare la prossimità di osservazione e la persistenza su specifici target, sia sulle tecniche di osservazione con particolare focalizzazione sul monitoraggio ambientale. Peraltro, il CIRA ha creduto da anni nello sviluppo delle componenti per la realizzazione di Piattaforme Stratosferiche Ibride in grado di garantire la necessaria prossimità e persistenza per ottenere dati ad alta risoluzione spaziale e temporale ai quali applicare flussi di elaborazione dati ad alta automazione anche con l’ausilio di algoritmi di artificial intelligence.


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In particolare, il CIRA intende rispondere alle sfide ambientali attraverso il progetto Bioscienza: la sfida principale di questo progetto è quella di riuscire a determinare e catalogare le risposte che le piante scelte come bio-indicatori manifestano in relazione allo stress provocato da specifici inquinanti. Per ottenere ciò, verranno analizzate sperimentalmente le caratteristiche metaboliche dei bio-indicatori considerati al fine di determinarne alterazioni correlabili all’esposizione a determinate concentrazioni di contaminante. Un’ulteriore sfida riguarda l’individuazione di un legame analitico e/o statistico tra le variazioni dello spettro elettromagnetico della pianta e la presenza di contaminanti nel suolo in ambiente controllato (ovvero a parità di altre condizioni) e con sensori on-ground, in modo da controllare gli effetti di disturbo. L’affascinante obiettivo che guida questo specifico settore di ricerca è la valorizzazione di molte specie vegetali al fine di un capillare monitoraggio ambientale: leggere cioè i segnali che la stessa natura prova ad inviarci attraverso l’immenso e pervasivo mondo vegetale. Dal punto di vista infrastrutturale, di particolare interesse è la realizzazione di una facility di Plant Phenotyping per la sperimentazione in campo aperto, con funzioni di calibrazione e validazione dei sensori per il telerilevamento (in particolare da stratosfera). La facility sarà specializzata nello studio della bio-indicazione, accogliendo diverse specie vegetali appositamente selezionate, simulando alcune condizioni di stress e sperimentando e validando la capacità delle tecniche di proximal e remote sensing di fornire una classificazione delle risposte delle piante in una matrice specie/sostanza. L’infrastruttura realizzata potrà giocare un importante ruolo, anche dal punto di vista economico, per progetti di difesa e valorizzazione della preziosa filiera nazionale Agrifood e di tutela del patrimonio ambientale.

VOLO STRATOSFERICO La piattaforma stratosferica, uno dei programmi di punta del nuovo PRORA, rappresenta un innovativo sistema aerospaziale al servizio dell’osservazione della terra e delle telecomunicazioni con una copertura a scala regionale. Occorre ricordare che, ad oggi nessuna piattaforma permane in stratosfera per lunghi periodi e le sfide nello sviluppo di tale percorso riguardano molteplici ambiti disciplinari: aerodinamica, strutture e materiali (per condizioni particolarmente severe: -70 gradi, ossigeno monoatomico e ridotta convezione) oltre ad uno sfidante impegno nell’ambito del bilancio energetico. Le caratteristiche principali di tale sistema sono la prossimità rispetto alla superficie terrestre e la persistenza temporale sulla copertura di interesse. La quota di volo di circa 20 km permette di osservare la terra con una maggiore risoluzione spaziale e con camere a costi inferiori di quelle satellitari; essendo totalmente alimentate da energia solare, queste piattaforme possono rimanere in volo per diversi mesi persistendo sulla medesima area di osservazione. La possibilità di decollare e atterrare come un comune velivolo (anche sulle aviosuperfici) semplifica notevolmente le modalità operative anche in ambiti emergenziali. Tale caratteristica peraltro consente di effettuare cambi di payload con semplici operazioni di costo ridotto. Estremamente vario il panorama delle applicazioni e degli ambiti che potranno beneficiare della disponibilità di piattaforme stratosferiche, il cui impiego contribuisce anche a raggiungere molti degli obiettivi de-

High Altitude Hybrid Airship. Sopra: strutture di tipo grid per l'interstadio di VEGA-C.

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lineati dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Tra questi, ad esempio, la possibilità di portare una rete internet veloce in zone del mondo dove la realizzazione di un’infrastruttura terrestre dedicata risulterebbe troppo costosa; nell’ambito dell’agricoltura di precisione, rendere disponibili, in maniera continua, economica ed efficace, nuovi dati sullo stato della vegetazione, permettendo una migliore gestione ed una maggiore resa delle coltivazioni; la possibilità, in caso di disastri e calamità, di creare delle reti di comunicazione di emergenza, laddove quelle esistenti risultino danneggiate. Il CIRA è impegnato, oggi, nelle attività di progettazione di un dimostratore di piattaforma stratosferica ibrida tattica, basata cioè sull’uso combinato ed ottimizzato di forza aerostatica ed aerodinamica. Questa soluzione permetterà di realizzare una piattaforma di dimensioni contenute rispetto ad altre proposte in grado di accogliere payload che non sarebbe possibile imbarcare su piattaforme stratosferiche ad ala fissa e per i quali, i dirigibili stratosferici risulterebbero invece eccessivamente grandi. In tal modo la piattaforma stratosferica ibrida potrà essere dispiegata velocemente, anche da superfici non preparate, e trasferita utilizzando la rete viaria.

TECNOLOGIE PER VELIVOLI SUBORBITALI L’offerta scientifica del CIRA comprende lo sviluppo di tecnologie per velivoli suborbitali, in grado di viaggiare ad altissima velocità, arrivare nello Spazio superando i 100 km di quota (linea di Kármán) e rientrare sulla Terra, senza però raggiungere un’orbita ed effettuare una rivoluzione completa. I velivoli suborbitali si prestano a diverse applicazioni, le più tipiche riguardano, gli esperimenti scientifici in micro-gravità, il volo intercontinentale semi-balistico (dall’Europa al Nord America in tempi ridotti), il lancio di piccoli satelliti in orbita bassa terrestre (LEO), la sorveglianza dello spazio aereo e perfino il turismo spaziale. La sfida maggiore è quella di mettere a fattor comune (ed eventualmente adattare) le tecnologie abilitanti che il CIRA già sviluppa nell’ambito dei velivoli ipersonici, dei sistemi di lancio e dei veicoli di rientro. Per citare qualche esempio: il sistema avio-lanciato ed un propulsore a razzo per la salita a 100km di quota, la configurazione aerodinamica efficiente per ascesa e rientro, e lo studio per nuovi concetti di sicurezza dei passeggeri. Ovviamente, in questo caso particolare la sfida è anche convogliare l’interesse di stakeholders nazionali (Aeronautica Militare, ASI) verso la progettazione e realizzazione di un sistema e della relativa missione.

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Camera di combustione rigenerativa (progetto HYPROB-NEW).


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Telespazio opera in un mondo in continua evoluzione offrendo soluzioni, applicazioni e servizi innovativi per una vita migliore sulla Terra: comunicazioni, geoinformazione, navigazione.

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Rubrica su cinema e serie Tv di fantascienza a cura del Giornale dello Spettacolo

LA FANTASCIENZA CINESE SI AFFERMA NEL MONDO

DOMANDE AL CIELO di Paolo Di Reda @ASI_spazio

All’indomani del lancio della Tianwen-1 (letteralmente “Domande al cielo”) con destinazione Marte, la Cina sta vivendo un forte impulso creativo nel campo della fantascienza, come testimonia il titolo di un articolo pubblicato lo scorso 28 luglio dall’Agenzia di stampa ufficiale della Repubblica Popolare Cinese Nuova Cina (XINHUA): “La missione su Marte ispira scrittori e artisti”. Un altro indizio del risveglio della fantascienza in Cina è dato dal recente annuncio del lancio di una nuova serie tv di Netflix coprodotta con la società cinese Yoozoo Group, adattamento della saga di fantascienza “Il problema dei tre corpi” di Liu Cixin, già vincitrice del Premio Hugo nel 2015. “Remembrance of Earth’s Past”, questo il titolo originale della trilogia, racconta del rapporto tra la giovane fisica Ye Wenjie e una civiltà che vive in un sistema a tre soli. «Ho deciso di raccontare una storia che trascenda il tempo e i confini nazionali, culturali ed etnici», ha spiegato all’Agenzia Nuova Cina l’autore Liu Cixin. «Una storia che ci obbliga a considerare il destino dell’umanità nel suo insieme». A sancire le grandi ambizioni del progetto sono i produttori esecutivi della serie Netflix David Benioff e D.B. Weiss, ovvero gli artefici del grande successo de “Il trono di spade”, passati lo scorso anno in esclusiva al colosso statunitense dello streaming, dopo tanti anni trascorsi al servizio della HBO: «La trilogia di Liu Cixin è la serie fantascientifica più ambiziosa che abbiamo letto e accompagna i lettori in un viaggio dagli anni Sessanta fino alla fine dei tempi, dalla vita sul nostro pallido puntino blu fino ai lontani confini dell’universo», hanno dichiarato sempre a Nuova Cina i due produttori. Un altro romanzo di fantascienza di Liu Cixin, “The Wandering Earth”, è stato trasformato nel 2019 in un film campione d’incassi, che ha generato ricavi per 4,68 miliardi di yuan (circa 670 milioni di dollari statunitensi) soltanto nella Cina continentale. È il secondo incasso di sempre nella storia della cinematografia del paese più popoloso del mondo e, inoltre, è il film di fantascienza più costoso mai prodotto in Cina. Il film inizia dalla scoperta che il sole sta morendo e che è necessario trovare una soluzione per impedire la distruzione del pianeta. L’ipotesi che “The Wandering Earth” immagina è di costruire dei

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«Fa notizia la serie tv adattamento della saga di fantascienza cinese “Il problema dei tre corpi”»


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Un immagine di Shangai Fortress. Crediti: Netflix.

giganteschi propulsori planetari per spostare la Terra fuori dall’orbita solare e spostarla verso un nuovo sistema stellare. La pellicola è alla fine un disaster-movie sui cambiamenti climatici, che invita a una maggiore e sincera cooperazione internazionale. In Italia è stato lanciato sempre da Netflix, sulla cui piattaforma è ancora disponibile. Il 2019 si conferma essere un anno decisivo per il lancio definitivo della fantascienza in Cina, con l’uscita di “Last Sunrise” di Wen Ren, un’opera molto raffinata che ipotizza un futuro distopico in cui il sole scompare. Un bel problema in un mondo dove l’energia è solare al 100%. La cosa si complica quando anche l’ossigeno si esaurisce e la temperatura scende stabilmente sotto lo zero. Un astronomo e la sua vicina cercheranno una soluzione lontano dalla città. “Lust Sunrise” ha vinto il primo premo al Festival Fantasporto in Portogallo ed è stato presentato in Italia lo scorso anno al Trieste Science + Fiction Festival, in concorso. Nonostante le buone critiche al momento non è disponibile on line. Disponibile su Netflix, invece, “Shanghai Fortress”, sempre del 2019, film di genere basato sul classico scontro tra terrestri e alieni, quest’ultimi alla ricerca sul nostro pianeta di una fonte di energia per loro fondamentale. Una citazione a parte merita il film “Parapax” del 2007, non tanto per lo sperimentalismo della interessante storia, quanto per la sua autrice e protagonista, Xia Jia, scrittrice cinese e docente di letteratura cinese all’Università di Xi’an Jiaotong, personaggio molto influente nella nuova cultura cinese. Vincitrice di ben cinque Galaxy Award e di sei premi Nebula, da noi si può leggere il suo romanzo “Festa di Primavera”, del 2015, pubblicato da Future Fiction, così come i suoi racconti presenti in due antologie tradotte in italiano: “Storie dal domani 2: I migliori racconti Future Fiction 2015” e “Nebula: Fantascienza contemporanea cinese” del 2018 con racconti firmati anche da Liu Cixin e da un altro scrittore emergente come Chen Qiufan.

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Leggenda di un mare troppo lontano IL RACCONTO DI FANTASCIENZA di Luigi Rinaldi

MHassan ripete per la terza volta che non è stato facile convincerlo a farsi intervistare, che ci ha dovuto lavorare molto, che Mister Klein è un tipo schivo eccetera. Batte cassa. Gli dico che ho capito. Hassan sorride ancora quando ferma il Rover sulla strana battigia. Mister Klein è lì. Appena scendiamo, ci viene incontro con l’andatura tipica di chi si è abituato fin troppo bene alla bassa gravità. Hassan si perde con lui in convenevoli. Fuori dalla Terra si fa così. Oltre la visiera scorgo i tratti di un uomo vissuto, di settant’anni, con gli occhi che brillano come zaffiri. Il Kraken Mare, qui su Titano, è il suo teatro d’azione. E a contemplarlo dalle sue sponde si rimane senza fiato. Sembra di fronteggiare una distesa d’acqua placida che si stende fino all’orizzonte arancio e porpora dove, tra le nubi, ogni tanto appare Saturno, mentre le onde di metano, che si rifrangono sugli scogli deliquescenti in una schiuma d’azoto, generano un brusio simile a quello di una bevanda gassata. Intanto, terminato il monologo di Hassan, Mister Klein annuisce. Pare soddisfatto. Abbozza un sorriso finto e sorrido anch’io, di riflesso. Abbiamo rotto il ghiaccio e qui, con 180 gradi sotto zero, è più che una metafora. Poi, forse per valutare la mia pazienza, inizia a raccontarmi dei primi coloni, del porto, elencando nomi e cognomi persi nella nebbia della memoria.

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Ma come ogni mare, anche il Kraken ha la sua leggenda e Hassan, impaziente quanto ingenuo, la tira in ballo prima del tempo. Cita il mostro dei fondali, il mostro dagli occhi rosso fuoco. Il mostro, già. Il motivo per cui son giunta fin qui. Nonostante l’impossibilità oggettiva dell’esistenza di una simile creatura, la leggenda si è fatta persistente, si è diffusa come un virus in tutto il Sistema Solare, trascinata dal dio informatico del nostro millennio. Ma non riesco a reprimere un anelito di logica. “Qui non c’è vita. Come può viverci un mostro?”. Hassan non risponde. Alza le spalle. La sua ciotola di riso la guadagna mettendo a contatto il turista, in questo caso il giornalista, con l’oggetto del desiderio, il marinaio misterioso. La verità non gli interessa troppo. E Mister Klein? Mister Klein non risponde ma i suoi occhi blu, dietro il casco, si fanno fascinosi come le Pleiadi. Allacciati al ponticello con giunti in lega titanio-renio, saliamo sulla nave di Mister Klein. Non ha nome, perché su Titano non si usa. È enorme per i suoi scopi, che riguardano il portare turisti al largo e poco altro. Il vecchio marinaio, un pochino annoiato, snocciola dati tecnici, spiega che è così grande perché è stata progettata per galleggiare sul metano liquido, che è meno denso dell’acqua. Che si tiene a galla con un serie di grossi serbatoi pieni di idrogeno. Poi, giunti in plancia, come ogni capitano di vascello, prende a fissare l’orizzonte dietro il vetro, dove Saturno svetta tra le nubi nel suo perenne tramonto davanti a un gruppo di rocciose e desolate isole vergini. Un tirar di leve e si va.La sensazione del galleggiamento è centuplicata dalla bassa gravità, il sistema isolante a camere in doppio vuoto ci protegge dal gelo e dalla strana chimica aggressiva di Titano, che abbonda di sostanze riducenti. Il motore nucleare è pronto. Possiamo toglierci il casco, c’è aria. Si sta bene. Siamo in una pozza calda in mezzo al gelo più assoluto. Si suda, quasi.Mister Klein è silenzioso dietro al timone, Hassan senza neanche cercare scuse si defila sotto coperta per lasciarci soli.Dagli oblò si vedono le onde del mare, violato dalla nave, perdersi in una debole schiuma che genera riflessi oro e porpora. La bassa gravità crea ghirigori fantastici, quasi inesplicabili, ed è davvero difficile non rimanerne ipnotizzati.Scatto una foto e me ne pento. “Le emozioni si vivono, non si catturano”. A volte mi capita di parlare da sola, di dar voce ai miei pensieri, senza un motivo apparente. Mister Klein mi ha sentito ed è rimasto sorpreso dalle mie parole. Mi accorgo che forse, neanche volendo, seppure era quella la mia intenzione originaria, sottile paradosso, ho fatto breccia in quella sua

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ostinata Pangea interiore. Prende a fumare una pipa e in questo non è diverso da nessun marinaio terrestre. Poi, comincia a raccontarmi una storia. Che non è proprio la storia del mostro. Ma lo lascio fare perché ho la giusta dose di pazienza femminile e intuito. “Molti anni fa c’era un giovane che portava merci da un capo all’altro del Kraken Mare. Era entusiasta e spavaldo, amava il suo lavoro”. I suoi occhi diventano enormi mentre volge lo sguardo al cielo rosa, carico di toline. “Aveva una ragazza, Jodi, bella come una fata. Lui l’amava e lei lo amava. Sarebbe stato tutto perfetto se non fosse stato che era troppo geloso...”. Il rollio, amplificato dalla bassa gravità crea un effetto ipnotico e le sue parole rauche mi portano, come in un vortice, in un altro tempo. Storie di coppia. Storie d’amore perdute, come tante. Storie normali in un contesto assurdo, come quello del Kraken Mare. Storie di Titano. Che non dovrebbero entrarci con il mostro ma che stimolano il mio interesse femminile. Hassan sale in coperta e ci interrompe. Porta del caffè. Sorride in modo malizioso, come un sensale. Poi, dopo un po’, se ne va e Mister Klein riprende a parlare. “Mentre era imbarcato, la immaginava sempre con altri uomini. Era un’ossessione. Così la costrinse a stare con lui anche al lavoro. Ma il mare non è un luogo per tutti. Specie questo mare. E lei era una farfalla. Litigavano spesso. Lui aveva preso anche a bere”. Fisso le piccole onde che si rifrangono sullo scafo e immagino, con un certo realismo mentale, le scenate di gelosia che descrive.

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“E una notte, dopo l’ennesimo litigio, lui si svegliò e non la trovò accanto a sé. Uno dei due vani a tenuta di coperta era spalancato”. Con orrore vedo lei che cade. Il gelo terribile che l’avvolge all’istante. “Si è gettata? Si è uccisa?”. Prima di rispondermi, Mister Klein fissa per un momento un punto indistinto del mare, quasi si aspettasse di vederci qualcosa. O forse qualcuno. Chi lo sa. “La variazione di temperatura è tale che l’acqua, nelle cellule, non cristallizza in modo ordinato. La membrana non viene danneggiata. Hanno fatto esperimenti con delle cavie. Non è morta. È ancora là sotto, da qualche parte”. Rifletto un po’ e ci arrivo. “Ibernata?”. Una storia penosa quanto insolita. Ma qui siamo su Titano. Dovrei ricordarmelo.Mister Klein annuisce. “E il ragazzo, ormai diventato vecchio, ancora non si rassegna. Continua a cercarla. Il Kraken Mare è immenso, come la sua volontà. Appena può si immerge con un piccolo batiscafo dalle luci rosse, colore a cui il metano liquido non è opaco”. Ero venuta su Titano per scrivere un pezzo sul mostro del Kraken Mare e ho scoperto, invece, un’altra storia. Forse Mister Klein si è voluto togliere un peso dall’anima. O forse mi ha solo presa in giro. Non so davvero cosa pensare. Forse, dopo tutto, è solo un’altra leggenda come tante. Una leggenda di un mare troppo lontano.

Luigi Rinaldi Luigi Rinaldi è nato a Roma nel 1967. Insegnante di Chimica, scrive narrativa da anni, per lo più fantascienza. Nel 2006 è giunto terzo al Premio Alien col racconto “Sindrome 75” e finalista al Premio Galassia – Città di Piacenza. Nel 2010 ha vinto il Premio Robot col racconto “Hidden”, con il quale è giunto in finale anche al Premio Italia 2011. Il suo romanzo “Hakkakei” è stato finalista al Premio Urania nel 2012 e al Premio Odissea nel 2014. È stato finalista al Premio Rill nel 2012, 2013, 2014, 2015, 2016 e nel 2018. Nel 2018 ha pubblicato l’antologia “Oscuro prossimo venturo” (editore Wild Boar) curata da RILL e da Alberto Panicucci. Il suo racconto “Prova di Recupero” è presente nell’antologia “Altri Futuri” (Delos, 2019), finalista al Premio Italia e al Premio Vegetti. Altri suoi racconti sono presenti in antologie quali NASF, Short Stories e, sempre con Delos, in “365 racconti erotici per un anno”, “365 racconti horror per un anno”, “365 racconti sulla fine del mondo” e “Magazzini di Mondi”.

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LA STORIA DELLO SPAZIO ITALIANO SI FA DOCUMENTARIO di Redazione @ASI_spazio

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Al via le riprese per il documentario Storia dello spazio italiano. Il documentario promosso e patrocinato dall’Agenzia spaziale italiana, dal comune di Roma attraverso il VI municipio nell'ambito del progetto Susa (Smart Urban Sustainable Area) e dal Ministero dei beni e delle attività culturali, è prodotto dall’Istituto Luce, sceneggiato da Francesco Rea e Marco spagnoli e diretto da Marco Spagnoli, già vincitore di due Nastri d'argento e del prestigioso Festival Internazionale russo dedicato allo spazio, il Tiolkovsky Film Festival. Un premio ottenuto grazie alle riprese che hanno dato vita al documentario Luna italiana basato sulla vita di Rocco Petrone, figlio di immigrati della Basilicata che partecipò con un ruolo importante all’avventura della conquista umana della luna da parte della NASA con la missione Apollo 11. Non è l’unica opera documentaristica realizzata da Marco spagnoli che ha avuto come argomento la conquista dello spazio. Il documentario su Oriana Fallaci, nell'ambito di una serie della Rai dedicata ad alcune importanti figure femminili della storia, è stato infatti girato interamente nella sede dell'Agenzia spaziale italiana. Componente fondamentale della vita giornalistica di Oriana Fallaci furono le sue cronache della missione Apollo 11 e della conquista della Luna da parte degli Stati Uniti. Il settore spaziale negli ultimi anni ha avuto un notevole sviluppo raggiungendo quel grado di maturazione in molti settori, dai lanciatori alle strutture spaziali, che hanno indotto imprenditori privati entrare nel settore e fornire allo stesso una spinta allo sviluppo come forse solo negli anni della corsa alla Luna. L'Italia dello spazio ha una lunga storia che nasce nel 1964 con il primo satellite San Marco, risultato compiuto in piena autonomia da parte del nostro paese che ne ha fatto il terzo al mondo ad ottenere un tale risultato dopo i colossi spaziali Usa e Urss. Una storia che ha fatto dell'Italia una delle potenze spaziali al mondo e che però non ha trovato, se non raramente e parzialmente, documentazione visiva, e solo in parte letteraria se escludiamo la pregiata opera di Giovanni Caprara ispirata proprio dall'Agenzia spaziale italiana e la precedente Storia dello spazio italiano sempre promossa dall’ Asi e curata da Francesco Rea. Manca infatti una narrazione video che sottolinei lo sviluppo del settore spaziale italiano, il livello di eccellenza raggiunto, tale da rendere il nostro paese uno dei pochi al mondo a vantare l'intera filiera spaziale, dal lanciatore alla produzione del satellite o della sonda da mettere in orbita. L'opera, che sarà presentata al prossimo festival del cinema di Venezia, sarà non solo oggetto di visione per il grande pubblico, attraverso la televisione o altre piattaforme, ma anche disponibile per le scuole a partire dalla primavera del 2022 grazie all'accordo tra l’istituto luce e l’Agenzia spaziale italiana. Il progetto porta con sé anche un secondo risultato, la produzione di un cortometraggio sul progetto Susa, un progetto promosso dall'ex ministro dell'Istruzione università e ricerca Lorenzo Fioramonti, che ha prodotto un protocollo di intesa tra Università di Tor Vergata e gli istituti di ricerca dell’Infn, Inaf, CNR, Enea e il comune di Frascati. L’area che va tra Frascati e Tor Vergata insiste sul territorio del VI municipio, uno dei più difficili di Roma, con la presenza della più ampia gamma di istituti di ricerca, compresa l'agenzia spaziale italiana e quella europea, che la rende l'area scientifico-tecnologica più grande d'Europa. Obiettivo del progetto è che questa realtà così imponente incida sul territorio creando opportunità didattiche e occupazionali, oltre che imprenditoriali. Il cortometraggio sarà un prodotto di promozione del progetto, ma anche del territorio stesso, da proiettarsi nelle scuole e in altri ambiti scelti dalle istituzioni partecipanti già a partire dal prossimo febbraio.


Dal set di "Storia dello spazio italiano". Nella pagina precedente: Marco Spagnoli.

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NELLO STUDIO I DATI RACCOLTI DALLA NASA

CLIMATE CHANGE E FAUNA ARTICA di Francesca Cherubini @ASI_spazio

I cambiamenti climatici hanno importanti conseguenze per le condizioni del nostro pianeta arrivando anche a incidere sulla vita degli animali selvatici, scandita dal susseguirsi delle stagioni. I segnali stagionali, come il cambio delle temperature, dicono agli animali quando migrare, quando accoppiarsi e quando cercare cibo. Secondo un recente studio, pubblicato Science, finanziato dall’Arctic -boreal vulnerability experiment (Above) della Nasa e realizzato grazie ai dati raccolti dall’agenzia spaziale statunitense, i modelli di movimento degli animali artici stanno cambiando in modi diversi a causa dei cambiamenti climatici. E questo potrebbe avere impatti sconosciuti su interi ecosistemi. I ricercatori hanno analizzato i dati dell’Arctic animal movement archive (Aama), una raccolta di dati provenienti da oltre 200 studi di ricerca che hanno monitorato quasi un centinaio di specie dal 1991 a oggi. Queste informazioni sono state combinate con i dati climatici raccolti dalla Nasa su temperatura, precipitazioni e nevicate, oltre a una serie di dati topografici. Il team si è

La terraferma del Mar Glaciale Artico.

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concentrato su tre esempi: uno studio a lungo termine sulle migrazioni dell’aquila, uno sugli spostamenti delle popolazioni di caribù e una ricerca multi-specie incentrata su predatori e prede. L’analisi dello studio sulle aquile ha mostrato, nell’arco di tempo preso in esame, uno spostamento di quasi due settimane della migrazione stagionale, questo potrebbe comportare problemi per la stagione degli amori e per l’approvvigionamento del cibo. Lo studio sulle popolazioni dei caribù ha evidenziato che le popolazioni di questa specie si stanno adattando ai cambiamenti climatici modificando i loro cicli vitali, soprattutto quelle i che vivono nell’Artico settentrionale, dove il cambiamento climatico si fa più sentire. I ricercatori hanno poi analizzato i comportamenti di varie specie di predatori e prede, tra i quali orsi neri, grizzly, caribù, alci e lupi, per capire come le temperature più alte e l’aumento delle precipitazioni incidano sulle loro abitudini. è emerso che le specie predatrici sembrano rispondere al cambiamento climatico in modo differente dalle prede, ma ancora non si conoscono le implicazioni di tale discrepanza di comportamento. L’analisi dei tre scenari ha così messo in luce importanti cambiamenti nei modelli di movimento delle diverse specie, ma non è ancora possibile stabilire che tipo di conseguenze avranno tali cambiamenti. Per riuscire a determinare gli impatti a lungo termine occorrerà continuare a monitorare la situazione.

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THALES ALENIA SPACE

ESPERIENZA E TECNOLOGIA PER IL CLIMA

di Redazione @ASI_spazio

Crediti: Gerald Bruneau.

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Come proteggere l’ambiente? Come valutare le catastrofi naturali? Come comprendere e mitigare il complesso fenomeno del cambiamento climatico? Ad alcune delle più importanti domande dell’umanità riguardo il nostro pianeta e la relazione che ad esso ci lega risponde la tecnologia satellitare di Thales Alenia Space grazie al supporto e alla lungimiranza delle agenzie spaziali, europea ed italiana. La joint venture Thales (67%) e Leonardo (33%) ha, infatti, recentemente siglato con l’Agenzia Spaziale Europea ben tre contratti per il monitoraggio ambientale, nell’ambito del programma ESA Copernicus Space Component in partnership con la Commissione Europea. Sfruttando la consolidata esperienza derivante dalla partecipazione alle precedenti missioni Copernicus e ai più importanti Programmi per l’Osservazione della Terra, Thales Alenia Space realizzerà un Radiometro a microonde per imaging (CIMR - Copernicus Imaging Microwavve Radiometer), due satelliti della missione di imaging iperspettrale (CHIME) e un satellite in banda L (ROSE-L). Tutto questo per un valore di oltre 2 miliardi di Euro traducibili in lavori altamente qualificati e know-how industriale salvaguardato nei nostri territori europei. Per CIMR Thales Alenia Space è il primo contraente della missione, OHB Italia partner principale per lo strumento e HPS (High Performance Space Structure System GmbH) per il riflettore dell’antenna. Questa missione si impegna a fornire osservazioni della temperatura e della salinità della superficie marina, nonché della concentrazione dei ghiacci marini. In maniera unica, osserverà, inoltre, altri parametri come lo spessore dei ghiacci marini, i ghiacci marini galleggianti, il tipo/stadio del ghiaccio, lo spessore della neve sui ghiacci marini o la temperatura della superficie dei ghiacci. CIMR risponderà alle esigenze di alta priorità delle comunità Artiche e migliorerà la continuità delle missioni per il monitoraggio delle regioni polari, in modo particolare in termini di risoluzione spaziale (~5 km), risoluzione temporale (intervalli temporali inferiori al giorno) e accuratezza geofisica. Le prestazioni di misurazione di CIMR sono all’avanguardia a livello mondiale. Per quanto riguarda Rose-L, Thales Alenia Space sarà primo contraente con Airbus Defence and Space quale partner principale per lo strumento radar. ROSE-L, è un satellite stabilizzato su 3 assi basato sulla nuova Piattaforma multi-missione (MILA), prodotta da Thales Alenia Space e avrà a bordo lo strumento Radar ad Apertura Sintetica (SAR) in banda L dedicato al monitoraggio giorno-notte di territori, ghiacci e oceani con tempo di rivisitazione notevolmente migliorato, polarimetria completa, alta risoluzione spaziale, elevata sensibilità, bassi coefficienti di ambiguità e capacità di interferometria trasversale a passaggio ripetuto e a passaggio singolo; l’antenna planare Phased Array (PAA) altamente innovativa e in materiale leggero è realizzata in 5 pannelli dispiegabili


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ed ha una dimensione totale di 11 m x 3,6 m; un set di 3 telecamere (CAM) per monitorare il dispiegamento della antenna SAR e dei pannelli solari. ROSE-L fornirà capacità di imaging radar ben oltre quella fornita da Sentinel-1 e pertanto rappresenta un’opportunità per aumentare la copertura a livello europeo e mondiale, riducendo gli intervalli di tempo tra le immagini radar consecutive. Questa missione è in grado di rispondere sia alle esigenze espresse dai servizi di monitoraggio del territorio, sia dai servizi di gestione delle emergenze. Mappatura della copertura e dell’umidità del suolo, identificazione del tipo di coltivazione e discriminazione del suo stato, tipo di foresta / copertura forestale (a sostegno della valutazione della biomassa), sicurezza alimentare e supporto all’implementazione della agricoltura di precisione, sorveglianza marittima e individuazione di rischi naturali e antropici, queste le principali applicazioni previste. La missione contribuirà inoltre al monitoraggio operativo della criosfera e delle regioni polari includendo la mappatura dei ghiacci marini e dei ghiacci terrestri. Altre applicazioni emergenti saranno rese possibili dalle osservazioni sinergiche e complementari con i sistemi di ricerca e soccorso (SAR) in bandaC e in banda X. Per CHIME , Infine, Thales Alenia Space sarà prime contractor ed integratore insieme a OHB e Leonardo come partner principale per il payload. Questa missione avrà a bordo uno spettrometro a infrarossi operante nel visibile e a onde corte unico nel suo genere, per fornire osservazioni iperspettrali di routine a sostegno dei servizi nuovi e potenziati in ambito di sicurezza alimentare, gestione dell’agricoltura e della biodiversità, oltre che per la caratterizzazione delle proprietà del terreno, pratiche estrattive sostenibili e tutela dell’ambiente. Questa missione, la cui fascia istantanea di copertura è di 128 Km, andrà a integrare quella di Copernicus Sentinel-2 per applicazioni come la mappatura della copertura del suolo. Thales Alenia Space sarà anche responsabile dello sviluppo del payload per ulteriori due missioni: CO2M per misurare le emissioni antropiche globali di CO2 e svolgere così un ruolo chiave nello studio delle cause del cambiamento climatico e del suo monitoraggio, e dell’altimetro IRIS a bordo della missione CRISTAL. Le soluzioni innovative fornite da Thales Alenia Space, mix perfetto tra esperienza, competenza e tecnologia, contribuiscono in modo sostanziale all’incredibile sfida industriale rappresentata dall’espansione del Programma Copernicus per un pianeta sostenibile. L’integrazione di sensori ottici e radar spaziali è essenziale per monitorare la Terra, la sua evoluzione e il suo stato di salute. La tecnologia satellitare di Thales Alenia Space giocherà un ruolo chiave nel rendere possibile il monitoraggio accurato del cambiamento climatico e lo sfruttamento efficiente e sicuro delle risorse terrestri.

Il nostro pianeta visto dalla Stazione Spaziale Internazionale. Crediti: Nasa

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D-FLIGHT

INNOVAZIONE E TECNOLOGIA PER INFRASTRUTTURE INVISIBILI di Redazione @ASI_spazio

Crediti: Gerald Bruneau.

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D-Flight, Società del Gruppo ENAV in partnership con Leonardo e Telespazio, gestisce l’unica piattaforma in Italia, una delle prime in Europa, per l’erogazione dei servizi ai velivoli a pilotaggio remoto e di tutte le altre tipologie di aeromobili che rientrano nella categoria unmanned aerial vehicles. Mettiamo a disposizione degli utenti i servizi previsti dalla normativa ENAC per l’utilizzo dei droni in sicurezza, per favorire lo sviluppo del settore che stima entro il 2035 ben 7,4 milioni di droni nei cieli europei per un giro d’affari di circa 10 miliardi di euro. Per garantire che questo volano si sviluppi coerentemente con le regole di sicurezza ed economicità siamo in prima linea per la realizzazione dello U-Space in Italia, lo spazio aereo al di sotto dei 120 metri considerato come l’elemento chiave per l’impiego in sicurezza dei droni in ogni contesto e per tutti i tipi di missioni. I servizi U-Space si evolvono parallelamente al livello di automazione del drone e garantiscono forme avanzate di interazione con l’ambiente, lo scambio di informazioni e dati digitali per velivoli con o senza equipaggio. Innovazione e tecnologia per un’infrastruttura invisibile che generi soluzioni sicure, sostenibili e di alta qualità. Questo è l’obiettivo a cui puntiamo per garantire ed abilitare l’utilizzo di droni per attività di business e rilevanza sociale. Già oggi tali mezzi permettono di intervenire sulla gestione dell’ordine pubblico, della sicurezza urbana nonché consentono il monitoraggio di infrastrutture critiche, rilievi ambientali, trasporto di medicinali ed in futuro anche il trasporto di persone. Vogliamo integrare e far coesistere questa nuova esigenza di traffico con il traffico aereo tradizionale. Sviluppiamo quindi tecnologie abilitanti per il progressivo svolgimento delle operazioni in scenari operativi sempre più complessi. Vediamo un mondo in cui i droni siano oggetti comuni e pienamente accettati nella vita quotidiana di tutti i cittadini, utilizzati in sicurezza per rendere servizi efficienti, innovativi e in grado di garantire un’economia sostenibile.


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IL SATELLITE MONITORA IL LIVELLO DEI MARI Il render di Sentinel-6. Crediti: Esa.

SENTINEL-6, GUARDIANO DEL CLIMA di Simone Collini @simone_collini

Il Sentinel-6 ha iniziato a inviare i primi dati utili per monitorare i cambiamenti climatici. Il satellite della famiglia Copernicus dell’Unione europea è stato lanciato a fine novembre dalla base di Vandenberg, in California, e dopo aver raggiunto l’altitudine di 1336 chilometri dalla Terra ha iniziato a misurare il livello degli oceani. Recentemente ribattezzato Michael Freilich in onore del precedente direttore della divisione Scienze della Terra della Nasa, il Sentinel-6 è infatti l’ultimo di una serie di veicoli spaziali impegnati nella battaglia contro il riscaldamento globale. Il satellite europeo statunitense ogni 10 giorni mapperà fino al 95% delle superfici oceaniche libere da ghiacci e fornirà non solo dati atmosferici che miglioreranno le previsioni meteorologiche, i modelli climatici e il monitoraggio degli uragani, ma anche informazioni molto precise riguardanti il livello dei mari. E considerando che questo dato rappresenta un indicatore fondamentale per analizzare il cambiamento climatico, e in particolare l’innalzamento della temperatura terrestre e i pericoli legati allo scioglimento dei ghiacci, ora abbiamo a disposizione uno strumento quanto mai affidabile su cui potranno contare gli organi decisionali e i soggetti impegnati nella protezione delle popolazioni che vivono in aree basse e quindi potenzialmente a rischio. Anche nel campo dell’emergenza climatica non mancano infatti “negazionisti” di varia tipologia, professione e nazionalità. Ma di fronte alla sofisticata strumentazione a bordo del veicolo spaziale e ai dati che verranno inviati fino al 2030 (nel 2025 ci sarà un passaggio di testimone, con il lancio del gemello Sentinel-6B) negare che ci sia un problema clima da affrontare e risolvere sarà ancora più complicato. Il satellite, risultato di una collaborazione unica tra l’Agenzia spaziale europea (Esa), la statunitense Nasa, Eumetsat e Noaa, con il contributo della francese Cnes, potrà misurare con precisione millimetrica il livello degli oceani e registrare nel corso degli anni ogni minima variazione. Come? Semplificando, lo farà misurando la propria altezza

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«Il Sentinel-6 è l’ultimo arrivato di una famiglia che da anni monitora il nostro pianeta»


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rispetto al livello del mare mediante l’utilizzo di un altimetro radar per lo spazio chiamato Poseidon-4, fornito da Thales Alenia Space tramite Cnes. In pratica, dal satellite parte un impulso che poi viene riflesso, e dall’analisi del tempo impiegato per ritornare fino al veicolo stesso si calcola la distanza satellite-superficie dell’acqua. Prima possibile obiezione del “negazionista” di turno pronto a confutare i dati: da dove viene la certezza circa la posizione del satellite, e quindi circa il livello dei mari? Risposta: da Doris. Ovvero, dal Doppler Orbitography and Radioposition Integrated by Satellite, sistema già sperimentato con successo con gli altri componenti della famiglia Sentinel e che grazie alle oltre 50 stazioni distribuite uniformemente sulla superficie terrestre riesce a determinare costantemente la posizione esatta del satellite. Seconda possibile obiezione: i venti, il maggiore o minore tasso di umidità a ridosso delle superfici e più in generale il vapore acqueo presente nell’atmosfera possono interferire con le misurazioni e quindi dare risultati errati. Risposta: no, niente di tutto questo è possibile grazie alla presenza a bordo del Sentinel-6 di strumenti specifici progettati proprio per risolvere i problemi legati ad eventuali fenomeni di disturbo. In particolare, ce n’è uno chiamato Amr-C, acronimo di Advanced Microwave Radiometer for Climate, in grado di misurare con estrema precisione proprio la quantità di vapore acqueo presente tra il veicolo spaziale e la superficie degli oceani. Il Sentinel-6 è l’ultimo arrivato di una famiglia che da anni monitora il nostro pianeta. I dati in nostro possesso parlano di un innalzamento dei livelli dei mari che è stato di circa 20 cm, complessivamente, tra il 1900 e il 2010, e che è poi drammaticamente passato a circa 3,2 millimetri in più ogni anno nell’ultimo decennio. Le risposte che da oggi e fino al 2030 arriveranno dal Sentinel-6 e poi dal gemello Sentinel-6B ci diranno se questo pur incredibile, sconvolgente record è destinato ad essere superato. Ma, a quel punto, sarà probabilmente chiaro a tutti che le risposte per risolvere il problema non arriveranno dal cielo.

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RICORDANDO VITTORIO CATANI

PIONIERE DEL ROMANZO DI FANTASCIENZA di Francesco Grasso @ASI_spazio

Crediti: Gerald Bruneau.

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Il 2020, perfida annata foriera di sventure, ladra di tanti bravi compagni di strada, ha portato via, lunedì 23 novembre, uno dei padri della Science Fiction italiana, Vittorio Catani. Vittorio aveva 80 anni. Nato a Lecce ma barese d’adozione, lunga carriera da funzionario di banca, scriveva fantascienza sin dagli anni sessanta. Autore prolifico, intellettuale e pensatore eclettico, la sua penna si destreggiava nella narrativa ma anche nel giornalismo, nella critica e nella saggistica. Tra le sue molteplici opere, ricordiamo Gli universi di Moras (Mondadori, 1990, romanzo vincitore della prima edizione del premio Urania), Il quinto principio (Mondadori, 2009), L’uomo centenario (Mondadori, 1991), L’essenza del futuro (Perseo, 2007), Vengo solo se parlate di Ufi (DelosBooks, 2004), Chimere senza tempo (Kipple, 2005). Suoi scritti sono stati pubblicati in Francia, Svizzera, Germania, Ungheria, Finlandia, finanche in Giappone e Brasile. Vittorio, tuttavia, era più di una firma nota da entrambi i lati delle Alpi. Tra gli amanti della fantascienza era punto di riferimento, vate e istituzione. Era anche un viaggiatore instancabile. Per lunghi anni è stato presenza costante in quasi tutti gli eventi, convegni, premiazioni, conferenze, dibattiti della SF italiana. Finché la salute gliel’ha concesso, Vittorio non ha mai esitato a prendere un treno da Bari e a raggiungere, da un capo all’altro della Penisola, un palco e un microfono acceso per lui. Io lo conobbi in occasione di una Fancon a Courmayeur. Quanto tempo fa? Non so bene, era certamente il millennio scorso. All’epoca ero così piccolo che passavo sotto le porte. Lui invece era già un autorevole signore dai capelli d’argento che parlava a voce bassa e dispensava saggi consigli ai grati discepoli. Con me fu cortese e paziente, più di quanto mi aspettassi. Mi donò un paio di dritte, anche personali, che in seguito si rivelarono sagaci profezie. Mi capitò di incrociarlo di nuovo, poi, nel corso degli anni ’90, e mi onoro di aver ricevuto dalle sue mani uno o due premi letterari. Una volta andai a trovarlo a Bari. Lui fu ospitale, signorile e gentilissimo. Il bon ton, del resto, era la sua cifra. Nell’orticello della SF italiana, spesso litigioso, afflitto da ripicche e popolato da primedonne, Vittorio era un gentleman purissimo, garbato, serafico e impermeabile alle volgarità. Anche quando entrava in polemica, manteneva stile e contegno. Non fosse stato per l’accento pugliese, lo si sarebbe preso per un baronetto britannico. Il carattere di Vittorio si specchiava nella sua scrittura. Vittorio dialogava coi lettori con affabilità, cortesia e senso della misura. Non strapazzava mai nessuno, non offendeva e non sconvolgeva. Portava a riflettere. Suggeriva, alludeva, rappresentava le sue idee con garbo, e sovente poi si ritirava, lasciando che esse attecchissero. Senza forzare. Modi desueti, direbbe qualcuno, in tempi in cui si scrive e si vive col coltello tra i denti. Ma Vittorio era fatto così. E poi era colto. Potevi sfidarlo su qualsiasi argomento: ti avrebbe dimostrato che lo padroneggiava quanto e meglio di te. Senza apparire saccente, però, meno che mai borioso. Al contrario. Forse è proprio questo, ciò che di lui più ci mancherà. La sua conoscenza, meditata e mai superficiale, e il garbo con cui sapeva porgerla. Un dono non da tutti. Parafrasando il titolo di un suo saggio, Vittorio se n’è andato col cosmo tra le mani.


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SPACE FOR LIFE CREDIAMO NELLO SPAZIO COME NUOVO ORIZZONTE DELL’UMANITÀ PER COSTRUIRE UNA VITA SULLA TERRA MIGLIORE E SOSTENIBILE.

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