SPAZIO 2050 N.12 - Lancio e raddoppio

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Lancio e raddoppio

Accesso allo Spazio, una partita sul tavolo globale

Rivista dell’Agenzia Spaziale Italiana | Marzo 2025

4

2025: l'anno dei lanciatori di Emilio Cozzi

10

I 'taxi' di satelliti, sonde e astronauti di Valeria Guarnieri

14

infografica

Viaggiare nello spazio di Manuela Proietti

16

Il ruolo dell’Italia nel settore dell’accesso allo spazio. La voce dell'Agenzia Spaziale Italiana di Marta Albano e Silvia Martone

20

Vega C: il ‘jolly’ per l’accesso autonomo allo spazio dell’Europa di Giuseppe Nucera

24

Oltre il cielo con i colori italiani: dalle idee del passato ai progetti del futuro di Giovanni Caprara

28

Le frontiere della scienza per l’accesso allo spazio. Intervista a Francesco Nasuti di Giuseppina Pulcrano

Rivista dell'Agenzia Spaziale Italiana

Supplemento di Global Science

Testata giornalistica gruppo Globalist Reg. Tribunale Roma 11.2017 del 02.02.2017

Stampato presso Peristegraf srl Via Giacomo Peroni 130, Roma

30

Thales Alenia Space verso le stazioni spaziali in orbita bassa nell’era post-ISS di Redazione 32

Oltre la Terra di Gloria Nobile 36

Il ritorno sulla Luna: tra superpotenze e nuovi attori emergenti di Fulvia Croci

39

zoom sulle pmi

Sidereus Space Dynamics: l'Italia che vola nello spazio di Silvia Ciccarelli

40

Dai processori ottici ai rover lunari modulari: il futuro passa per il #T-TeC di Leonardo e Telespazio di Redazione

A cura di Ufcio Comunicazione ASI

Responsabile Giuseppina Pulcrano

Direttore responsabile Giuseppina Pulcrano

Coordinamento editoriale

Manuela Proietti, responsabile settore Comunicazione Digitale ASI

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Orbita bassa: le vie per uno spazio sostenibile di Gianluca Liorni

46

La nuova frontiera del trasporto spaziale: i riutilizzabili di Barbara Ranghelli

50

Whakaputa: lanciare razzi nello spazio (in lingua maori) di Giuseppina Pulcrano

52

Novaeka: costruzioni e servizi un Outlook per il 2025 appena iniziato di Redazione

54 in vetrina

Il viaggio di Michael Collins verso la conquista della Luna di Paolo D’Angelo

Coordinamento redazionale

Giuseppe Nucera

Consulenza scientifca

Enrico Cavallini responsabile ASI Ufcio accesso allo spazio e servizi in orbita

Progetto grafco

Paola Gaviraghi

Questo numero della rivista è dedicato alla memoria di Marcello Onofri

In copertina creatività di Manuela Proietti realizzata con ChatGPT. Crediti: ChatGPT

2025: l’anno dei lanciatori

“Durante la guerra di Secessione americana fu istituito nella città di Baltimora, nel cuore del Maryland, un nuovo circolo grandemente influente.

È risaputo quanto l’istinto militare fosse forte presso quel popolo di armatori, di mercanti e di meccanici. Umili bottegai abbandonarono i loro sgabelli per improvvisarsi capitani, colonnelli, generali, pur non avendo mai frequentato i corsi di West Point, diventando ben presto ugualmente abili nell’ ‘arte della guerra’ dei colleghi del vecchio continente […].

Ma la cosa in cui gli americani superarono di gran lunga gli europei fu la scienza della balistica”.

di Emilio Cozzi

Il razzo Falcon 9 prima del volo dello scorso 21 gennaio con il quale SpaceX ha tagliato il traguardo dei 400 atterraggi riusciti del primo stadio.

Crediti: SpaceX

È sorprendente che Jules Verne, nel 1865, inauguri con queste righe il suo romanzo Dalla Terra alla Luna. Non solo perché la celebre visionarietà del romanziere gli permise di anticipare di un secolo il “gigantesco balzo” che, nel 1969, l’umanità fece sul suolo lunare; in particolare, perché a Verne bastò un incipit per raccontare quale sarebbe stato il fattore “abilitante” per qualsiasi traguardo cosmico: la capacità di accederci, allo spazio. Per di più ottenuta grazie a sistemi di lancio, e da “armatori ” provenienti da “altre botteghe ”, in grado di declinare la potenza tout-court in possibilità tecnico-scientifche.

Verne non poteva avere più ragione: se lo spazio, inteso come convergenza di capacità tecnologiche e industriali, ma anche di volontà politica, è il centro della Terra, accedervi rende centrali.

Detto altrimenti, sono la capacità e la frequenza di lancio a distinguere, oggi, i protagonisti di domani. Un’afermazione confermata da cifre e previsioni: lo Space Launch Services Global Market Report 2025 della Business Research Company stima che il mercato dei lanciatori continuerà il rapido incremento registrato negli anni recenti e nel 2029 varrà più di 22 miliardi di dollari con un tasso di crescita annuale composto del 16,8% (nel 2024 il segmento ha mosso fra i 10 e i 12 miliardi).

La crescita, sostiene il rapporto, sarà legata all’aumento delle attività spaziali commerciali, dei lanci di piccoli satelliti, all'utilizzo dell’orbita terrestre per il monitoraggio climatico e per i servizi on-demand Tutto sarà facilitato dalla diversifcazione dei vettori, che progressivamente diverranno riutilizzabili e in grado di lanciare rapidamente. Avranno un ruolo determinante le politiche di investimento nazionali, che attraverso i programmi di esplorazione planetaria e lunare stimolano la crescita con i rapporti di partenariato pubblico-privato.

Tutti ingredienti di una pietanza che, a livello globale, si è già iniziato a cucinare.

L’Elon-fante nella stanza

Una panoramica sui lanciatori che non partisse da SpaceX sarebbe bizzarra, se non altro per la perentorietà dei risultati ottenuti dall’azienda di Elon Musk – a proposito di “armatori da altre botteghe ”, direbbe Verne. Oggi SpaceX è prima al mondo per numero di lanci e avanguardia tecnologica: nel solo 2024, sui 145 lanci statunitensi (5 di Ula, 1 di Rocket Lab e 1 di FireFly), ne ha efettuati 138; la Cina 68, la Russia 19, l’India 5 e l’Europa 3.

Il record di SpaceX è quasi del tutto accreditabile al Falcon 9 (132 lanci, da aggiungere ai 2 con Falcon Heavy e ai 4 test di Starship), forte di un primo stadio riutilizzabile di comprovata afdabilità. Se non bastasse ricordare che, il 21 gennaio scorso, l’azienda ha tagliato il traguardo dei 400 atterraggi riusciti del primo stadio, il prezzo per chilo trasportato in orbita direb-

be molto del predominio del suo vettore di punta: si va dai 3170 dollari con un F9 Block 5 in orbita bassa ai circa 6mila dollari per trasporti in rideshare in orbita eliosincrona.

Una superiorità che Blue Origin ambisce a insidiare il prima possibile: sebbene senza recuperare il primo stadio, al suo debutto, il 16 gennaio 2024, il New Glenn dell’azienda di Jef Bezos ha dimostrato di poter arrivare in orbita. Alto 98 metri, New Glenn è in grado di trasportare 45 tonnellate di carico utile nell'orbita terrestre bassa e 13 in orbita di trasferimento geostazionaria. Per fare un confronto, il Falcon Heavy di SpaceX, che dispone di booster riutilizzabili del primo stadio, può portare fno a 64 tonnellate in orbita bassa. Tuttavia la caratteristica straordinaria del New Glenn non è la potenza (per capacità batte il Falcon 9, ma non la versione Heavy), ma il volume di carico: l’ogiva che contiene il payload, alta 22 metri e larga 7, è seconda solo a Starship, che ha un diametro utile di circa 8, 9 metri.

Signifca che l’azienda di Bezos mira a un mercato vario, che può andare dalle piccole sonde ai grandi satelliti governativi. Ancora più rilevante sarà il prezzo per i suoi utilizzatori: sebbene non siano stati annunciati costi ufciali, Arianespace ha stimato “siano di circa 68 milioni di dollari ”. Equivarrebbe a un rapporto prezzo per chilogrammo di poco superiore ai 1.500 dollari, cosa che paleserebbe il primo vero concorrente del Falcon 9 di SpaceX.

Anche perché, mentre di United Launch Alliance –joint venture di Lockheed Martin e Boeing – da agosto 2024 si rincorrono voci di una possibile acquisizione da parte di Sierra Space, la vera “seconda potenza di lancio” statunitense sembra sempre di più Rocket Lab. L’azienda, di origini neozelandesi ma con accesso alla rampa di Wallops Island, a febbraio ha annunciato un contratto con l'Institute for Q-shu Pioneers of Space, una società giapponese che sta sviluppando una costellazione per immagini radar, per il lancio dei suoi satelliti sui razzi Electron. Il contratto porta il numero totale di lanci Electron per iQPS a otto, sei programmati per il 2025 e due nel 2026. Sebbene i ritardi stiano accumulandosi, non è da escludere che entro la fne dell’anno Rocket Lab battezzi anche il nuovo Neutron: capace di portare 13 tonnellate in orbita bassa e una tonnellata e mezzo “su Marte o Venere ” – dice il sito uffciale – sarà il primo vettore parzialmente riutilizzabile di Rocket Lab e quello con cui l’azienda promette anche il trasporto di equipaggi. Difcile ipotizzare se sarà utilizzato per i primi pellegrini marziani. È più probabile che, nel frattempo, la NASA e la Defense Advanced Research Projects Agency testino il motore a razzo termonucleare cui stanno lavorando dal 2023 (il programma si chiama “DRACO”) e dopo il test di successo di un possibile propellente efettuato dall’ente spaziale con General Atomics. Un orizzonte, quello della cosiddetta Nuclear Thermal Propulsion, su cui anche il Rosatom Research Institute di Troitsk ha annunciato di avere raggiunto tra-

Immagine artistica della famiglia di lanciatori europei. Da sinistra a destra: Ariane 5, Vega, Ariane 6 a due booster (A62), Vega-C, Ariane 6 a quattro booster (A64).

Crediti: ESA - D. Ducros

guardi signifcativi. Su tutto, come evocato fno a qui, aleggia ancora una volta SpaceX: con Starship, l’azienda promette di realizzare il primo sistema di lancio completamente riutilizzabile. Con un’altezza di 120 metri - 150 per le versioni future – e un diametro di 9, Starship potrà trasportare 100 tonnellate in orbita bassa (o 250 in caso non sia previsto il suo ritorno a Terra) e, a detta di Musk, fno a 100 persone. Quando a regime, potrebbe ridurre i costi di lancio fno a poche centinaia di dollari al chilo. Sarebbe l’ennesimo “game changer” by Musk

E non è un caso che il suo progetto ispiri i nuovi vettori cinesi.

I lanciatori del Dragone

Al quindicesimo China Air show di Zhuhai, la China aerospace science and technology corporation (CASC) ha svelato il design più recente del vettore Lunga Marcia 9, il razzo super pesante che, presentato la prima volta nel 2021, veicolerà lo slancio di Pechino verso la Luna e oltre.

Progettato inizialmente come una risposta allo Space Launch System americano, il sistema a tre stadi ha subìto frequenti modifche al suo design fno a replicare il tandem Super Heavy-Ship forgiato a Boca

Chica da SpaceX. È rivelatorio che punti a garantire prestazioni paragonabili a Starship: sebbene i dettagli scarseggino, il Lunga Marcia 9 dovrebbe arrivare a un'altezza massima di 114 metri, avere una massa di 4400 tonnellate e una spinta al decollo di 6100 tonnellate. Il diametro sarà di quasi 11 metri e la capacità di carico varierà fra le 100 tonnellate (o 150) in orbita terrestre bassa e oltre le 50 in orbita di trasferimento lunare.

Il vettore con cui il Dragone proverà a concretizzare le sue più alte ambizioni extraterrestri sarà però il Lunga Marcia 10A. Composto da un unico stadio, nel febbraio del 2026 dovrebbe trasportare equipaggi sulla stazione nazionale Tiangong. Soprattutto però, entro il 2030, una sua versione a tre stadi, il Lunga Marcia 10, sarà impiegata per portare i takonauti sulla Luna e farli rientrare.

Nonostante, come già scritto, per numero di lanci la Cina sia seconda al mondo, fra le cifre andrebbero scovate alcune rivelazioni: nel 2024 Galactic Energy ha messo a segno cinque lanci, Cas Space quattro (fnanziata dallo Stato, ma per iniziative commerciali) e Landspace, i-Space e Orienspace uno. Sono tutte realtà private o comunque a scopo commerciale. E rappresentano più di un sesto delle attività in rampa di Pechino. È il segno di un'inedita apertura ai priva-

ti che il Paese non si preclude più, men che meno nel settore spaziale, ritenuto dal presidente Xi Jinping un tassello fondamentale per diventare la “potenza tecnologica numero uno entro il 2049”, anno del centenario della Repubblica popolare.

European Launch!

In un contesto competitivo come mai prima, e mentre anche l’India ha inaugurato il 2025 con il 100esimo lancio dal centro spaziale Satish Dhawan sull'isola Sriharikota, rimane da capire quale ruolo voglia costruirsi l’Europa, che con i primi due lanci di successo del nuovo Ariane 6 e il felice ritorno in rampa di Vega C di fne 2024 è reduce da una crisi che per oltre un anno l’ha vista orfana di vettori propri.

«Il 2024 è stato un anno in salita – conferma Stefano Bianchi, responsabile dei programmi di volo all’interno del dipartimento di Trasporto Spaziale dell'Agenzia spaziale europea - alla fne però abbiamo chiuso in ripresa la carriera di Vega e siamo tornati nello spazio con Vega C, a dicembre, con una missione importante, capace di inserire in orbita un nuovo componente del programma Copernicus di osservazione della Terra fnanziato dalla Commissione Europea. Adesso abbiamo diverse priorità: la prima sarà confermare l’afdabilità dei nostri sistemi e aumentare la cadenza dei lanci, arrivando con Vega C a cinque o sei liftof all’anno. Vale lo stesso per Ariane 6: nel 2025 sono previsti cinque lanci del nostro vettore pesante. L'anno prossimo si salirà ancora per arrivare alla piena capacità operativa nel 2027, fra i nove e gli undici lanci annuali. La seconda priorità sarà favorire l’entrata di attori nuovi nel settore, in modo da svicolarsi dal duopolio Ariane-Vega e, per Vega, l’afdamento delle attività di commercializzazione del lanciatore, da Arianespace, direttamente ad Avio».

Le parole di Bianchi rimandano alla sessione di pitching organizzata a gennaio dalla Commissione europea, per supportare l'ecosistema di accesso allo spazio. Un’iniziativa fglia della “European Launcher Challenge”, con cui l’ESA si è prefssata di selezionare e fnanziare fno a 150 milioni di euro i nuovi vettori commerciali.

L'evento, tenutosi durante la 17esima European Space Conference a Bruxelles, ha riunito i fornitori di servizi di lancio dell'Unione e i potenziali clienti, promuovendone connessioni e futura collaborazione. Rappresentanti di Isar Aerospace, Rocket Factory Augsburg, HyImpulse, PLD Space, Maiaspace e Latitude hanno presentato le loro soluzioni di lancio, molte delle quali, attualmente ancora in fase di sviluppo, dovrebbero diventare operative nell’imminente futuro. «L'idea –spiega Bianchi - è di aprire il mercato a nuove aziende in cui hanno investito anche i privati, per dare loro la possibilità di entrare nel settore dell’accesso allo Spazio Europeo».

Soprattutto per questo motivo, considerato l’altro tassello fondamentale dell’autonomia di lancio – la velo-

Mockup del razzo cinese Long March 9 esposto nel 2022 al quindicesimo Airshow China di Zhuhai.
Crediti: Shujianyang

cità con la quale un vettore è disponibile – lo spazioporto di Kourou, in Guyana francese, sarà sottoposto a corposi aggiornamenti per minimizzare i tempi tra i liftof dei due vettori dell’ESA (Ariane 6 e Vega C) e, nell’ambito di un’iniziativa del CNES, le infrastrutture saranno adattate ai futuri vettori leggeri. Nel mentre sono stati inaugurati nuovi siti di lancio sul territorio continentale e a latitudini elevate: l’Esrange Spaceport, nei pressi di Kiruna, in Svezia, il SaxaVord Spaceport nelle Isole Shetland, al largo della costa settentrionale della Scozia, e sull’isola norvegese di Andøya, all’interno del Circolo Polare Artico.

Molto dipenderà da quanto l’Europa deciderà di spendere nello spazio. «Sono ottimista – dice Bianchi – e per questo il nostro obiettivo dev’esser lo sviluppo di prodotti che guardino il futuro, un futuro da organizzare in funzione di investimenti che, a loro volta, espandano il mercato spaziale. È tutto correlato». Non andrebbe peraltro dimenticato come oggi, nonostante il ritardo Europeo nel settore sia in termini di cadenza dei lanci che di tecnologie, per esempio nello sviluppo di vettori riutilizzabili, l’Europa rimanga all’avanguardia su tematiche che, parlando di futuro, si riveleranno cruciali: «Vantiamo una consapevolezza e un’attenzione importante per quanto riguarda la sostenibilità dei nostri lanciatori. Le proposte europee implicano sempre una valutazione stringente della sustainability: in modo molto serio stiamo cercando di ridurre l’utilizzo di propellenti tossici, come l’idrazina». Un approccio che un team industriale guidato dall’italiana Avio sta perseguendo con lo sviluppo di MR10, un propulsore a metano e ossigeno liquidi.

Il New Glenn decolla per il suo primo volo il 16 gennaio 2025.

Crediti: Blue Origin

Il razzo Falcon 9 sulla rampa di lancio per il primo volo di prova con equipaggio della capsula

Crew Dragon

Resilience di SpaceX avvenuto il 30 maggio 2020.

Crediti: SpaceX

Sempre l’azienda di Colleferro, a fne febbraio, ha effettuato con successo anche le prime accensioni in modalità bipropellente del primo prototipo di MPGE. Acronimo di Multi Purpose Green Engine, è un motore che usa come propellenti acqua ossigenata e kerosene. Il progetto, sviluppato nell’ambito del PNRR, è realizzato da Avio e coordinato dall’Agenzia spaziale italiana, con il contributo di PMI, università e startup. Altrettanto rilevante è la politica europea di riduzione dei detriti spaziali. Nell'ambito dell'approccio “Zero Debris”, l'ESA ha aggiornato i requisiti e gli standard per la riduzione della spazzatura spaziale. Tali requisiti regoleranno il modo in cui le missioni dell'Agenzia europea saranno progettate, costruite, realizzate e smaltite. Insieme, stabiliranno l’approccio di qualsiasi azienda o istituzione partner che ha aderito a tale policy. È di gennaio, per esempio, il Memorandum of Understanding tra Avio e BULL, società giapponese, per avviare uno studio di fattibilità fnalizzato all'installazione del dispositivo Post Mission Disposal (si chiama "Horn") sul dispenser Vespa del razzo Vega C, consentendo di accelerarne il rientro atmosferico dopo la fne delle operazioni di lancio. «Siamo stati tra i primi a garantire sistematicamente il rientro degli stadi superiori – chiosa Bianchi – una parte della performance di Vega, per esempio, è dedicata alla deorbitazione dell'ultimo stadio. Lo spazio ne è pieno, perché in molti casi, una volta in orbita, i primi stadi rimangono lì. Rimuoverli è questione di responsabilità e consapevolezza per un ambiente che sarà sempre più centrale nella vita di ognuno di noi ». E forse, questo, nemmeno Jules Verne l’avrebbe descritto meglio.

I ‘taxI’ di satelliti, sonde

e astronauti

Il ruolo fondamentale dei lanciatori nelle missioni spaziali: una panoramica internazionale

Una nutrita schiera di satelliti e sonde popola lo spazio, in alcuni casi per fornire servizi fondamentali per la collettività, in altri per esplorare le pieghe profonde del cosmo. Equipaggi di astronauti si susseguono sulle stazioni spaziali ISS e Tiangong per efettuare esperimenti scientifci e documentare le condizioni di vita in microgravità. Per svolgere le loro missioni, satelliti e astronauti devono essere ‘accompagnati’ nello Spazio da veicoli in grado di vincere la forza di gravità della Terra: i lanciatori, appunto. Questi veicoli, di cui esistono diverse tipologie, hanno una signifcativa valenza strategica per i Paesi che li detengono, perché garantiscono a determinati soggetti/nazioni l’accesso autonomo allo spazio. Non sono

Lo Space Launch System (SLS) della NASA con a bordo la navicella spaziale Orion alla rampa di lancio 39B l’11 novembre 2022, presso il Kennedy Space Center della NASA in Florida.

Crediti: NASA/ Joel Kowsky

molti i Paesi che possono vantare questa capacità, durante la Space Race dello scorso secolo, appannaggio di Stati Uniti e Russia: tuttavia, la platea degli attori si sta gradualmente allargando e coinvolge oggi anche iniziative guidate dal settore privato, al posto delle canoniche iniziative a guida e fnanziamento pubblico. Questi fattori stanno rendendo il mercato dei lanciatori sempre più ambito, sia nell’ambito dell’innovazione tecnologica, sia per quanto riguarda il fattore di competitività attraverso logiche di contenimento dei costi.

Ma chi sono efettivamente i detentori dell’accesso indipendente allo spazio? Alle grandi potenze della ‘corsa’ che ha caratterizzato la prima era spaziale ne-

Il Falcon Heavy di SpaceX durante il lancio del 6 febbraio 2018 al Kennedy Space Center in Florida. Si è trattato del lancio inaugurale.

Il Falcon 9 di SpaceX in rampa di lancio.

Crediti: NASA

gli anni ’50-’60 del Novecento, si sono aggiunti successivamente l’Europa in primis, poi la Cina, l’India, il Giappone e infne ‘matricole’ che sono entrate in scena di recente, come la Nuova Zelanda. La ‘famiglia’ globale degli attuali lanciatori, quindi, è molto articolata e comprende anche iniziative a guida privata con veicoli per la maggior parte ancora in fase di sviluppo o test preliminare. Cominciamo il nostro tour dagli Stati Uniti, dove il programma di esplorazione lunare Artemis sta dando slancio anche all’ambito del trasporto spaziale. La NASA, infatti, ha progettato lo Space Launch System (SLS), un sistema di lancio di tipo super heavy non riutilizzabile che sarà impiegato principalmente per Artemis. SLS, il cui svi-

Il New Shepard di Blue Origin.

Crediti: Blue Origin

Il primo stadio dell’Atlas V a Cape Canaveral.

Crediti: NASA/ Cory Houston

Il Soyuz MS-18 in fase di lancio dal cosmodromo di Baikonur il 9 aprile 2021.

Crediti: NASA/ Bill Ingalls

luppo è iniziato nel 2011, al momento ha efettuato un solo viaggio: il suo lancio inaugurale, nella confgurazione Block 1, si è tenuto con successo a novembre 2022 e ha portato in orbita lunare la capsula Orion per un volo di test senza equipaggio.

Grandi protagonisti di numerosi lanci recenti di satelliti, telescopi spaziali e astronauti sono i vettori della ‘famiglia’ Falcon, sviluppati dall’azienda privata SpaceX e dotati di componenti riutilizzabili: Falcon Heavy, che ha debuttato nel 2018, e Falcon 9, attivo sin dal 2010. Il primo è un lanciatore super pesante ed è secondo solo a SLS per la capacità di carico, ma non è abilitato per il trasporto degli astronauti. Il secondo, invece, è un lanciatore medio ed è utilizzato sia per il

trasporto di astronauti e cargo verso la Stazione Spaziale, sia per collocare satelliti in orbita bassa e geostazionaria. La scuderia di SpaceX comprende anche un altro sistema di lancio, lo Starship: si tratta di un veicolo riutilizzabile super pesante che è ancora in fase di test. Starship, il vettore più alto mai costruito (121,3 metri), è stato fnora protagonista di 8 voli di test di cui alcuni parzialmente riusciti. Quando il sistema sarà completamente operativo, entrambi i suoi stadi verranno recuperati dopo ogni lancio per essere riutilizzati successivamente.

Sempre rimanendo nel settore privato, incontriamo altri due lanciatori: New Glenn e New Shepard, ambedue dell’azienda Blue Origin. New Glenn, primo vettore riutilizzabile di questa società, ha debuttato positivamente a gennaio di quest’anno ed è stato scelto dalla NASA per portare sulla Luna alcuni lander nell’ambito del programma Artemis. New Shepard, invece, è attivo dal 2015 ed è caratterizzato da decollo e atterraggio verticali; il suo ultimo volo, durante il quale sono stati svolti con successo alcuni test con gravità lunare simulata per conto della NASA, risale allo scorso febbraio.

Il lanciatore statunitense più longevo è l’Atlas V, veicolo non riutilizzabile prodotto originariamente dalla Lockheed Martin e, dal 2006, dalla United Launch Alliance (ULA, una joint venture tra Lockheed Martin e Boeing); il vettore fa parte della storica ‘famiglia’ degli Atlas, il cui debutto risale al 1957. La versione V, che nei piani dell’ULA andrà in pensione al completamento della lista dei voli già programmati, è stata protagonista di numerosi lanci importanti e ha trasportato nello spazio gli astronauti per la prima volta lo scorso anno: si è trattato del volo di test con equipaggio della capsula Starliner, con a bordo i due astronauti della NASA Suni Williams e Butch Wilmore.

L’altra grande potenza della corsa allo spazio, la Russia, ha una lunga tradizione nell’ambito dei lanciatori: il suo Soyuz, che ha debuttato nel 1966, ha totalizzato oltre 1700 voli e detiene il primato di lanciatore più utilizzato. Dopo il ritiro dello Space Shuttle nel 2011, per qualche anno - fno al 2020 - il vettore russo è stato l’unico sistema di trasporto degli astronauti verso la ISS; attualmente è in uso il Soyuz 2 che ha debuttato nel 2004 ed è realizzato in 3 varianti.

L’Europa non poteva mancare nel ‘club’ di chi accede direttamente allo spazio, con i lanciatori Ariane e Vega, la cui base di lancio è lo spazioporto di Kourou in Guyana francese. Progettati dall’attuale Arianegroup (che nel tempo ha più volte cambiato nome e compagine sociale), gli Ariane sono stati realizzati in 6 versioni e hanno iniziato la loro attività nel 1979 con Ariane 1. Ariane 6, l’ultima versione operativa, realizzato in due diverse confgurazioni, è il più recente esemplare di questa ‘famiglia’ e presenta un design modulare e versatile che gli permetterà di portare in orbita una vasta gamma di missioni; ai primi di marzo di quest’anno

Ariane 6 durante

il lancio del 9 luglio 2024.

Crediti: ESA/S. Corvaja

Il Lunga Marcia 12 in partenza il 30 novembre 2024.

Crediti: Ouspace/ CNSA

L’H3. Crediti: JAXA

Elaborazione

artistica del Vega-C. Crediti: ESA/P. Carril

Il PSLV durante un lancio del 2022.

Crediti: ISRO

ha svolto con successo il suo primo volo commerciale, dopo il positivo debutto del 2024.

Vega, vettore europeo a guida italiana per il lancio di piccoli satelliti in orbite basse o polari, ha debuttato con successo nel 2012 ed è stato operativo fno a settembre 2024, quando ha passato il testimone alla sua versione più aggiornata e potenziata, Vega C. Questo lanciatore, realizzato dall’azienda italiana Avio, ha debuttato con successo a luglio 2022 portando in orbita vari payload, tra cui Lares2, satellite dell’ASI per studi geodetici. Vega C è stato protagonista di un altro lancio di successo, che ha aggiunto un tassello importante alla capacità europea di accesso autonomo allo spazio: ai primi di dicembre 2024, il vettore ha accompagnato in orbita la missione Sentinel-1C della Commissione Europea e dell’ESA.

Diverse iniziative private di micro-mini lanciatori sono in corso in ambito Europeo. Tra questi,

vale la pena menzionare il recente test del vettore Spectrum, progettato dall’azienda tedesca Isar Aerospace che ha scelto come base di lancio lo spazioporto europeo di Andøya, nel nord della Norvegia. Spectrum è un veicolo suddiviso in due stadi, ideato specifcamente per satelliti piccoli e medi ed è stato completamente realizzato in-house per rispondere alle esigenze del mercato in maniera fessibile. Lo scorso marzo 2025 ha efettuato il primo test di lancio, staccandosi dalla rampa dello Spazioporto norgevese per circa 30 secondi, per poi ritornare a terra ed esplodere a seguito della perdita di controllo e spegnimento del veicolo.

Spostandoci verso l’Estremo Oriente anche la Cina, che si sta afermando sempre più come uno dei principali protagonisti del settore spaziale, vanta una lunga tradizione nel campo dei lanciatori: la ‘fami-

glia’ dei Lunga Marcia, gestita dalla China aerospace science and technology corporation (la principale impresa statale per il programma spaziale cinese), ha iniziato la sua attività con la versione n. 1 nel 1970 e da allora ha efettuato oltre 500 lanci. Successivamente, il lanciatore si è evoluto in numerose varianti di cui alcune ancora in fase di sviluppo come la versione 9 e la 10. Uno dei più utilizzati è il Lunga Marcia 11, vettore a propellente solido attivo sin dal 2015; la versione 12, un lanciatore medio, ha debuttato con successo lo scorso novembre. Per il Lunga Marcia 12 è in fase di studio una versione riutilizzabile, con lancio e rientro verticali, che consentirà alla Cina di compiere un passo importante verso una maggiore sostenibilità. Dal 2020 i Lunga Marcia hanno un ‘collega’ privato: si tratta di Ceres-1, lanciatore a quattro stadi sviluppato dalla Galactic Energy, la seconda azienda privata cinese a portare in orbita un satellite. Il vettore sinora ha efettuato 17 lanci di successo e presto dovrebbe avere un compagno: la Galactic Energy, infatti, sta lavorando allo sviluppo di Pallas-1, un lanciatore medio con il primo stadio riutilizzabile che dovrebbe debuttare nel corso di quest’anno.

Anche il Giappone vanta una tradizione ultradecennale nel campo dei lanciatori, iniziata nel 1963 con il Lambda 2, il primo rappresentante di un’ampia ‘famiglia’ utilizzata sino al 1979. Attualmente, il paese del Sol Levante può contare sul lanciatore non riutilizzabile H-IIA, il cui primo esemplare ha spiccato il volo nel 2001, e sul più recente H3, vettore a propellente liquido che nell’ultimo anno ha efettuato 4 lanci di successo. Ancora in salita, invece, la strada per Kairos, vettore a propellente solido ideato per portare in orbita piccoli satelliti, che nei due lanci del 2024 non è riuscito a portare a termine i compiti assegnati.

Il GSLV durante un lancio del 2018. Crediti: ISRO

L’Electron durante un lancio del 2018. Crediti: Rocket Lab

Lo Spectrum allo spazioporto di Andøya in Norvegia, marzo 2025. Crediti: Isar Aerospace

Il Ceres-1. Rendering –Crediti: Galactic Energy

Rimanendo sempre in Oriente, l’India, nell’ampio ventaglio di attività spaziali perseguite dalla sua agenzia ISRO, dispone di un proprio accesso allo spazio. I suoi lanciatori attivi sono il Polar Satellite Launch Vehicle (PSLV, primo volo nel 1993) e il Geosynchronous Satellite Launch Vehicle (GSLV, primo volo nel 2001). In entrambi i casi si tratta di lanciatori non riutilizzabili. Il debutto del PSLV è stato di fondamentale importanza strategica per l’India, che fno a quel momento si era servita di lanciatori russi.

Nuovi attori, infne, si afacciano sul palcoscenico del trasporto spaziale, rendendo il settore ancor più competitivo. È il caso della Nuova Zelanda: l’azienda statunitense Rocket Lab, che ha una sussidiaria nello stato insulare dell’Oceania, ha realizzato il lanciatore Electron, progettato per il lancio di piccoli satelliti. Dopo un debutto tumultuoso nel 2017, la carriera del lanciatore ha letteralmente preso quota e ad oggi i suoi voli di successo sono 58. Tra i lanci di maggiore rilievo fgura quello di CAPSTONE, cubesat lunare della NASA, avvenuto nel 2022.

VIAGGIARE NELLO SPAZIO

Dall’orbita terrestre a quella lunare: tutte le capsule e i progetti, operativi e in via di sviluppo, per il trasporto e la permanenza di esseri umani nello spazio.

Le destinazioni in orbita terrestre, attuali e del prossimo futuro

ISS

Stazione Spaziale

Internazionale

Una collaborazione tra USA, Russia, Europa, Giappone e Canada, costantemente abitata dal 2000, con operatività prevista fino al 2030

di Manuela Proietti

Operative: Capsule

Capsula

Lanciatore

Nazione Passeggeri

Volo inaugurale

Numero di voli

Autonomia

Crew Dragon

• Falcon 9

• USA 4 nominali, 7 emergenza

• 30/05/2020

• 19

Tiangong

Stazione spaziale cinese

Operativa dal 2021

• Soyuz 2

• Russia

• 3

Produttore Soyuz

• 10 giorni in volo libero, 210 agganciata alla ISS

• Space X

• Atlas V

T 100 Starliner

• USA

• 23/04/1967

• 151

• Fino a 6 mesiagganciata alla ISS

• Energia

• Fino a 7

Shenzhou

• 1

• 05/06/2024

• 60 ore in volo libero, 7 mesiattraccata

• Boeing Defense, Space & Security

• Cina

• Long March 2F

• 3

• 15/10/2003

• 14

• Fino a 183 giorniaagganciata lla Tiangong

• China Academy of of Space Technology

La Luna è la prossima destinazione in cui l'umanità stabilirà una presenza fissa nello spazio.

A B

Il programma Artemis della NASA prevede una vasta collaborazione internazionale con partner pubblici e privati e comprende:

la stazione orbitale Lunar Gateway, servizi di navigazione e tlc

lander e rover per spostamenti degli equipaggi

la base permanente

Artemis Base Camp (ABC)

missioni robotiche per sperimentare tecnologie e operatività.

Capsula Lanciatore

PasseggeriNazione

Stato

Produttore

L’International Lunar Research Station (ILRS), base lunare a guida cinese e russa, prevede:

2021-2028 missioni robotiche preparatorie

2028-2035 costruzione ILRS e facilities orbitali

2036 utilizzo ILRS da parte degli astronauti

Lunar Gateway

Stazione orbitale a guida USA NASA, ESA, JAXA, CSA, UAE Space Agency

• 4

Orion

• SystemSpaceLaunch (SLS)

• USA/Europa

• 2022equipaggioPrimovolosenzadicembre Primo(ArtemisI). perequipaggiovoloconprevisto (Artemisaprile2026 II

• NASA,Lockheed DefenceMartin-ESMAirbus andSpace

Starship

• Starship

• USA

• Circa100*

• SpaceX *versoLuna eMarte

Stazioni future in orbita bassa:

Il Multi-Purpose Habitation module (MPH) dell’Agenzia Spaziale Italiana sarà il primo elemento permanente che accoglierà gli astronauti sulla Luna.

• Infasedisviluppo

•10LongMarch

Mengzhou

Basi lunari

ILRS a guida cinese e russa

ABC Artemis a guida USA

Prime missioni con equipaggio in orbita lunare: Artemis II 2026

Capsule che raggiungeranno la

Capsule future:

Capsula Nazione Passeggeri

Lanciatore

Produttore

Stato

• Cina

Orel

• 7

• Infasedisviluppo

• SpaceChinaAcademyof Technology

Axiom Station (USA)

Axiom Space

Orbital Reef (USA)

Blue Origin e Sierra

Nevada Corporation

• Soyuz-5

• 6

• Russia

• RKKEnergia

• Infasedisviluppo

Starlab Space Station (USA)

Voyager Space e Airbus

Russian Orbital Service Station ROSS (Russia)

Haven-1 e Haven-2 (USA) - Vast Bharatiya Antariksh Station BAS (India)

Gaganyaan

• GSLV Mark III India 3 ISRO

Demo-flight previsto per 2026

Dream Chaser

• Vulcan Centaur USA 7 Sierra Nevada Corporation

• Demo-flight previsto per maggio 2025

Nazionali

The Exploration Company/ESA

• In fase di sviluppo

• In fase di sviluppo

Luna
sulla superficie lunare: Artemis III 2027

Il trasporto spaziale rappresenta uno dei principali settori dello spazio sui quali l’Italia investe attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana, in linea con le priorità fornite dal Governo.

L’ASI, forte del know-how maturato nel tempo avendo supportato e preso parte allo sviluppo e alla gestione operativa dei lanciatori europei, con un ruolo chiave nel Vega e nelle sue evoluzioni, Vega C e Vega E, riveste oggi un ruolo fondamentale nel settore dell’accesso allo spazio in Europa.

Ne è un esempio la missione Vega C dello scorso dicembre che, oltre a sancire il ritorno al volo dei lanciatori Vega, ha portato in orbita il satellite per l’osservazione della Terra Sentinel-1C del programma Copernicus della Commissione Europea. Per Vega C l’ASI è stata parte integrante dello sviluppo e dell’operatività del lanciatore, sia nella propria funzione di agenzia tecnica, sia come delegazione nazionale presso l’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

di Marta Albano e Silvia Martone

Nell’ambito di questa ultima funzione, l’ASI, grazie a una delegazione guidata dal Presidente Teodoro Valente, ha confermato il suo ruolo centrale nei processi decisionali, essendo tra l’altro il maggiore contributore sin dal 2014, quando è stato deciso di rinnovare la famiglia dei lanciatori europei con Vega C, successore di Vega, e Ariane 6, successore di Ariane 5. Nel ruolo tecnico, gli ingegneri di ASI hanno avuto la duplice veste di supportare lo sviluppo del programma all’interno del team integrato

dell’ESA e quello di revisori indipendenti alle review tecniche, come richiedono gli standard previsti dalla normativa di settore.

Parallelamente allo sviluppo di Vega in tutte le sue declinazioni, l’ASI e le autorità governative coinvolte hanno ideato il programma PNRR italiano per la componente spaziale, che include il PNRR-STS, dedicato allo sviluppo delle tecnologie dell’ossigeno-metano attraverso dimostratori di volo, e il programma High-Thrust Engine, oggetto di fnanziamento nell’ambito dei programmi dell’ESA. Gli ingegneri dell’ASI partecipano sia all’interno del team integrato ESA-ASI che alla gestione del programma PNRR-STS in qualità di esperti.

Nello specifco, i progetti hanno lo scopo di sviluppare e verifcare sia a terra che in volo il comportamento della propulsione criogenica ossigeno-metano, con riferimento al motore MR10 e MR60, al fne di accelerarne lo sviluppo nell’ambito delle evoluzioni dei lanciatori europei. Il motore M10 rappresenta infatti l’innovazione principale di Vega E, in corso di sviluppo a partire dal lanciatore Vega C, attraverso la sosti-

tuzione del terzo e quarto stadio con un solo stadio criogenico, propulso attraverso l’utilizzo accoppiato di ossigeno e metano liquidi.

«Da questo punto di vista, oltre a sostenere la realizzazione dei programmi in corso nel settore, come l’evoluzione del lanciatore Vega C in Vega E - ha commentato Enrico Cavallini, Responsabile dell’Ufcio Accesso allo Spazio e Servizi in Orbita di ASI - abbiamo anche delineato una roadmap comprensiva di attività di ricerca e sviluppo e di raforzamento della posizione nazionale nel settore. Tale percorso è incentrato sulla messa a punto della propulsione “verde”, includendo elementi tecnologici mirati alla riutilizzabilità degli stadi propulsivi, ma anche attraverso l’implementazione di una logica ingegneristica basata su attività di test e di dimostrazione rapida, volta ad acquisire fn dalla fase iniziale degli sviluppi tecnologici maggiore conoscenza e know-how e accorciare così il tempo di realizzazione».

Nell’ambito della propulsione “verde”, oltre all’utilizzo della propulsione ossigeno-metano criogenica, la tabella di marcia prevede lo sviluppo e la realizzazione

Sito Avio per la costruzione dei lanciatori Vega. Crediti: AvioMichele D'Ottavio

del cosiddetto Multi Purpose Green Engine (MPGE), un prototipo di motore per veicoli spaziali per applicazioni di trasporto, logistica spaziale e servizi in orbita, che ha superato con successo il suo primo test di accensione in modalità bipropellente presso gli impianti di Avio. Il progetto, fnanziato con fondi del PNRR, è coordinato dall’ASI e realizzato da Avio in collaborazione con le piccole e medie imprese, le Università e le start-up nazionali. Il motore, che utilizza acqua ossigenata e kerosene come propellenti, rappresenta un esempio innovativo di tecnologia “green” interamente progettata, prodotta, assemblata e testata in Italia.

Oggi viviamo un periodo di grande competizione a livello internazionale per il settore dell’accesso allo spazio. Tale scenario è stato accompagnato in Europa dal difondersi di una serie di iniziative di micro-mini lanciatori che si afacciano sul mercato attraverso iniziative private.

«In un contesto di maggiore competitività – ha afermato Cavallini - la sfda è rappresentata dal posizionare sempre meglio i lanciatori nel proprio segmento di riferimento in maniera fessibile, garantendone la capacità di assorbire le evoluzioni del mercato e renderli competitivi a livello di prezzo. Questo è l’obiettivo che si vuole raggiungere per il lanciatore Vega, in tutte le sue linee di sviluppo. Inoltre, l’ASI e l’Italia nell’ambito dei programmi dell’ESA stanno anche investendo per supportare l’industria verso una più alta cadenza e fessibilità di lancio, così come richiede il mercato, riducendo i tempi tra un lancio e l’altro, ottimizzando le tecnologie e i processi di manifattura e assemblaggio, al fne di ridurre i costi operativi».

A ciò si aggiunga l’allargamento del mercato del trasporto spaziale, verso sistemi riutilizzabili di rientro a terra dallo spazio, obiettivo del programma dell’ESA Space Rider guidato dall’Italia, cui partecipano Thales Alenia Space Italia, Avio, Telespazio e Altec, che sarà la prima navetta europea riutilizzabile in grado di andare e tornare dallo spazio.

Crediti: ASI

Per mantenere il posizionamento nazionale nel settore è essenziale prevedere in anticipo le sfde derivanti dalla crescente concorrenza degli attori privati, che stanno entrando sempre più nel settore spaziale, incluso l'accesso allo spazio. Le cosiddette Spacefaring Nations, cioè i Paesi autonomi nella costruzione e nel lancio di razzi, si trovano ora, in modo diverso a seconda del contesto, ad afrontare un aumento di investimenti e iniziative private, dopo molti anni dominati dai fnanziamenti pubblici. Questo ha portato a un aumento della competitività e della concorrenza nel settore.

«Tale cambiamento è certamente dovuto al progresso tecnologico nel settore spaziale – ha aggiunto Cavallini - ma anche alla dimensione dello spazio come fornitore di servizi a largo spettro e a ricaduta diretta

per il cittadino, come quelli di telecomunicazioni e navigazione e quelli derivanti dall’osservazione della Terra. Per quel che riguarda il settore dell’accesso allo spazio, l’ingresso delle aziende private sta determinando la necessità di prevedere la creazione di tecnologie sempre più fessibili all’evoluzione dell’applicazione target nel tempo e il cui sviluppo deve essere ben allineato rispetto alle esigenze di operatori istituzionali (si pensi ai satelliti dell’ESA e della Commissione Europea), ma anche di quelli commerciali».

In questo contesto, rimane fondamentale per l’Agenzia Spaziale Italiana e per il comparto nazionale continuare a investire, oltre che in progetti di peso come quelli dell’ESA e i maggiori programmi a guida nazionale, recentemente fnanziati con il PNRR, anche in attività di ricerca e sviluppo applicative nel progresso tecnologico nel settore dell’accesso allo spazio e del trasporto spaziale.

Per i sistemi di trasporto ipersonici, l’ASI sta efettuando in collaborazione con il CIRA la progettazione di un dimostratore propulso ipersonico su piccola scala e delle relative tecnologie abilitanti.

Nell’ambito della propulsione innovativa, è stato recentemente concluso il programma PHAEDRA (Parafnic Hybrid Advanced Engine Demonstrator for Rocket Application) che ha sviluppato un propulsore ibrido a base di parafna solida e perossido di ossigeno, come ossidante liquido.

Infne, funzionali alla competitività del trasporto spaziale sono le attività di ricerca e sviluppo nel settore dei sistemi avionici che rappresentano il ‘sistema nervoso’ dei sistemi di trasporto spaziale e comprendono apparati di navigazione e comunicazione, autopiloti e strumenti di gestione del volo. Tali dispositivi rappresentano circa il 20-25% del costo del lanciatore e sono un elemento fondamentale di innovazione per la gestione dei dati di bordo, per la sicurezza del lanciatore e il recupero degli stadi.

Test di accensione in modalità bipropellente MPGE.
Costruzione di lanciatori Vega. Crediti: AvioMichele D'Ottavio

telespazio.com

Vega C: il ‘jolly’ per l’accesso autonomo allo spazio dell’europa

Il 2024 si è chiuso con il ritorno al volo del Vega C, il lanciatore europeo sviluppato dall’azienda italiana Avio come evoluzione del predecessore Vega. Un lancio che ha siglato un passo importante sia per l’Italia sia per l’Europa. Con il suo terzo volo, il vettore made in Italy ha immesso in orbita Sentinel-1C, satellite del programma europeo Copernicus di Osservazione della Terra realizzato nei laboratori torinesi di Thales Alenia Space. Si è così riconfermato il connubio positivo sistema di lancio e satelliti italiani già visto al suo volo inaugurale a luglio 2022, quando Vega C ha portato in orbita il satellite Lares2 dell’Agenzia Spaziale Italiana.

Ma la missione VV25 di fne 2024 ha anche chiuso defnitivamente il lungo stallo che ha visto i lanciatori europei, Vega C e Ariane 6, rimanere per molto tempo a terra, riportando così l’Europa a garantirsi il proprio accesso autonomo ed indipendente allo spazio.

«Vega C si inserisce insieme ad Ariane 6 nella famiglia dei lanciatori europei. - aferma Marco Biagioni, direttore Programmi Avio - Sono due veicoli di taglia diversa e con diferente capacità di carichi utili, quindi si completano nel panorama della fornitura europea di accesso allo spazio. Vega C ha una capacità di

Illustrazione artistica del lanciatore di nuova

generazione Vega E di Avio.

Crediti: ESA-Jacky Huart, 2017

carico superiore a quella di Vega: permette non solo la messa in orbita di satelliti più grandi, ma anche accoppiamenti di satelliti e rilasci di carichi utili multipli, ofrendo così una vasta gamma di possibilità ai nostri clienti».

Il successo della missione VV25, decollata lo scorso 5 dicembre, è arrivato esattamente due anni dopo l’anomalia riscontrata dal Vega C durante il volo VV22, quando un problema riscontrato sul motore Zefro 40, il secondo stadio del razzo, ha portato alla fne prematura della missione e alla perdita del carico utile. Il problema al motore Zefro 40 è stato oggetto di un’attenta analisi, attività di riprogettazione e campagna di ritorno al volo, volta ad irrobustire tutte le analisi ed i controlli sul lanciatore ed è stato risolto, come dimostrato, prima dai due test a terra del motore di maggio e ottobre 2024, poi dal successo del terzo volo di Vega C di dicembre 2024.

«Durante il volo VV22, l’ugello del motore Zefro 40 aveva avuto un problema nella zona sonica, quella che si chiama gola dell'ugello. - aferma Marco Biagioni - Abbiamo sostituito il materiale con un materiale di provenienza francese più resistente e più perfor-

mante, quindi abbiamo anche ridefnito il progetto di questo componente del motore, introducendo un’architettura più robusta e in grado di resistere meglio ai carichi termomeccanici».

Vettore con una confgurazione basata sul Vega, Vega C è composto da tre stadi con motori a propellente solido e uno stadio con motore a propellente liquido. Il nuovo lanciatore ha tuttavia una carenatura più ampia, raddoppiando così il volume di carico utile rispetto a Vega. Più fessibile e versatile del suo predecessore, Vega C accoglie a bordo carichi utili con un peso maggiore di oltre il 60% rispetto a quelli trasportabili dal Vega.

«Vega C è un prodotto che sul mercato si posiziona in maniera molto competitiva. - aferma Marco Biagioni – È un lanciatore estremamente versatile perché può arrivare a orbite da 400 a 2000 km, con carichi utili che si aggirano tra i 2000 e i 2500 kg in base all'orbita».

Alto 34,8 m, quasi 5 m di più rispetto a Vega, Vega C è in grado di trasportare il 90% dei satelliti del mercato dell’orbita terrestre bassa, rispetto al 50% del Vega. Grazie al motore AVUM+ del quarto stadio, capace

di riaccendersi molteplici volte, il nuovo vettore può inoltre immettere in un solo lancio satelliti fno a tre orbite diverse, rispetto alle due di Vega, o fno a 20 carichi utili sulla stessa orbita.

Capacità che rappresentano per l’Europa la nuova chiave d’accesso allo spazio.

«Ad oggi abbiamo il manifesto dei voli pieno fno al 2028: già quest’anno, prevediamo di arrivare a una cadenza di quattro lanci l'anno, così come per il 2026. - aferma Marco Biagioni - progressivamente il nostro obiettivo è arrivare possibilmente a cadenza di 5 voli nel 2027 e poi fno a 6 nel 2028.

Vega C è capace di rilasciare sulla stessa orbita fno a 20 payload diferenti. Quest’anno abbiamo previsto almeno una missione con lanci multipli e successivamente anche nel 2026. Vogliamo sfruttare appieno questa capacità, già posseduta da Vega e ancora più forte con Vega C, di servire diferenti richieste e, in futuro, numerosissimi clienti soprattutto se si resta nella stessa orbita».

Mentre la realizzazione del lanciatore è afdata ad Avio, il programma Vega C è di respiro europeo, vedendo la partecipazione di tredici Stati Membri dell'ESA. L’azienda francese Arianespace ne fornisce, invece, il servizio di lancio, fno al lancio del volo VV29, quando subentrerà Avio.

Vega C è un lanciatore estremamente versatile perché può arrivare a orbite da 400 a 2000 km, con carichi utili che si aggirano tra i 2000 e i 2500 chili in base all'orbita.

«Laddove l'industria procede allo sviluppo di un veicolo, l'Agenzia Spaziale Europea svolge un ruolo di autorità di qualifca: un ruolo simile a quello che le agenzie aeronautiche fanno per certifcare la navigabilità degli aerei. - aferma Marco Biagioni - L'ESA ha svolto questo ruolo anche nella fase di ritorno al volo, cioè tra l’anomalia riscontrata a fne 2022 e l’ultimo successo di fne 2024, seguendo costantemente l'attività di Avio nella riqualifca del motore Zefro 40 e più in generale nella riqualifca del lanciatore. Oltre a ESA ci sono poi le istituzioni nazionali ed europee che fnanziano lo sviluppo dei veicoli. Il programma Vega è nato, infatti grazie al sostegno fondamentale dell’Agenzia Spaziale Italiana. La realizzazione di nuovi vettori è un’attività talmente spinta per cui fnora il supporto istituzionale risulta imprescindibile; soprattutto per tutte quelle attività di ricerca applicata che consentono di mettere sul mercato prodotti sempre più innovativi, come Vega C o il suo successore Vega E, che possono sostenere la competizione internazionale e quindi garantire all'Europa un accesso indipendente allo spazio».

La prossima evoluzione della famiglia Vega sarà il Vega E, razzo che, a diferenza dei suoi predecessori, utilizzerà per l’ultimo stadio propellenti ‘green’. Con una nuova confgurazione a tre stadi, a diferenza dei quattro delle precedenti versioni, Vega E manterrà i primi due stadi, P120 C e Zefro 40, di Vega C, ma con un cambiamento sulla parte alta del vettore.

«Vega E si inserisce esattamente nel proflo di sviluppo dei lanciatori Vega che è cominciato con Vega e proseguito con Vega C, - aferma Marco Biagioni - aumentando leggermente la capacità di carico ma introducendo un risparmio in termini di numero di stadi: il terzo stadio a propellente solido e il quarto stadio a propellente liquido del Vega C vengono, infatti, sostituiti con un unico stadio a propellente liquido, metano liquido e ossigeno liquido. Riducendo il numero dei componenti si interviene quindi sul costo ricorrente, semplifcando il veicolo e allo stesso tempo aumentando la sua capacità di carico».

Il terzo stadio del Vega E sarà dotato di un nuovo motore, chiamato MR10, a ridotto impatto ambientale alimentato a ossigeno e metano liquidi.  Attualmente ancora in fase di sviluppo, la nuova confgurazione del Vega E permetterà, inoltre, al lanciatore di trasportare carichi utili fno a 3 tonnellate rispetto alle attuali 2,3 del Vega C. Il suo debutto è previsto ad oggi nel 2028.

«Il programma Vega E è già iniziato ed è andato in parallelo con i primi voli del Vega C. Ora ci stiamo concentrando sullo sviluppo e la qualifca del motore green a ossigeno e metano liquidi, che deve equipaggiare il terzo stadio del Vega E. Abbiamo fatto già due prove di questo motore, con due motori di sviluppo DM1 e di DM2. Quest’anno, dopo una terza e ultima prova, costruiremo i motori QM1 e QM2 che dovranno fare la qualifca. Un mattoncino essenziale per passare da Vega C a Vega E».

Il lift off della missione VV25 con cui Vega C è tornata in volo il 5 dicembre 2024, portando in orbita con successo il satellite Sentinel-1C del programma europeo Copernicus di Osservazione della Terra.

Crediti: ESA-CNESARIANESPACE/ CSG–S. Martin

L’ultima spinta verso l’implementazione del Vega E è arrivata a fne 2024: lo scorso 18 dicembre Avio ed ESA hanno, infatti, frmato diversi accordi dal valore di 350 milioni di euro per proseguire nello sviluppo del futuro Vega E e aumentare il numero di voli annuali del razzo Vega C.

L’accordo, con un orizzonte di tre anni, prevede la copertura dello sviluppo di Vega E fno alla fase di qualifca a terra, ultimo passo prima del suo debutto. Per Vega C, invece, è prevista la costruzione di un nuovo edifcio di integrazione presso lo spazioporto europeo di Kourou, in Guyana francese, da cui il vettore decolla.

Questo permetterà di lavorare contemporaneamente su due razzi in fase di assemblaggio – uno sulla rampa di lancio e l’altro nel nuovo edifcio di integrazione – e di condurre così due campagne di lancio in parallelo, garantendo una maggiore fessibilità di lancio e maggiore cadenza.

Infne, a febbraio 2025 sono stati superati i test di accensione del Multi-Purpose Green Engine (MPGE), motore green per un ampio spettro di applicazioni dei futuri servizi in orbita e di logistica spaziale, realizzato in Italia da Avio con il coordinamento di ASI, grazie ai fnanziamenti del PNRR (Piano di Ripresa e Resilienza).

Evoluzioni e strategie a supporto di un accesso allo spazio che dovrà essere sempre più concreto, solido e costante per l’Europa del futuro.

APPLICATIONS FOR AEROSPACE & DEFENSE

L’idea di conquistare le tecnologie necessarie per volare nello spazio è sempre stata uno degli obiettivi da raggiungere nel panorama degli interessi cosmici italiani. Da una parte c’era l’impegno a realizzare veicoli con i quali indagare la nuova frontiera, ma nello stesso tempo ci si rendeva conto che era anche necessario padroneggiare conoscenze per superare la barriera dell’atmosfera e navigare nel ‘quarto ambiente’. Perché qui si sarebbe sviluppato il futuro dell’attività umana.  Così scienziati, ingegneri e industriali accendevano un’evoluzione tecnologica che, sostenuta da piani nazionali prima e poi dall’Agenzia Spaziale Italiana, favoriva nel nostro Paese la crescita dell’arduo mondo della propulsione, sino ad arrivare alla costruzione di un vettore spaziale come Vega prospettando poi inediti orizzonti ancora più afascinanti. Ciò garantiva al Paese un ruolo signifcativo e determinante completando capacità e opportunità economiche sulla scena sempre più ampia dell’esplorazione.

Quanto forte e presente fosse questa prospettiva lo testimoniano già le idee di due pionieri agli inizi del Novecento che si cimentavano in studi rivolti alla propulsione spaziale con la quale immaginavano progetti e viaggi dal forte sapore fantascientifco. Nel 1914 Giulio Costanzi, ufciale della nascente aviazione, elaborava a Roma un progetto per ‘uscire dal pianeta’ ipotizzando addirittura il ricorso alla propulsione nucleare per navigare tra Venere e Marte con astronavi abitate. Intanto a Brescia, il facoltoso ingegnere Luigi Gussalli disegnava, costruiva e provava in

laboratorio un “propulsore a doppia reazione”, come lo battezzava, cercando di materializzare un’intuizione che si sarebbe rivelata dubbia sul piano scientifco e impraticabile nell’applicazione pratica. Pubblicava i risultati nel 1923 e, successivamente, andava oltre progettando astronavi propulse dalla pressione della radiazione solare. Mandai questo suo studio (pubblicato in italiano e in inglese) nel 1969 a Wernher von Braun che mi rispose con una lunga lettera in cui valutava l’idea e i suoi limiti e raccontava ciò che la NASA stava compiendo proprio nell’ambito di quel genere di ricerche afni all’idea di Gussalli.  E in un successivo incontro al salone aerospaziale di Le Bourget del 1975 ho avuto modo di approfondire ulteriormente. Quindi sin dagli inizi delle indagini sulla propulsione spaziale in Russia, in Germania e negli Stati Uniti con i primi pionieri Konstantin Tsiolkovsky, Hermann Oberth e Robert Goddard tra il 1903 e il 1926, anche in Italia alcuni visionari cercavano di afrontare la grande sfda.

Saranno comunque Gaetano Arturo Crocco, illustre pioniere dell’Aeronautica, e il fglio Luigi a progettare e sperimentare assieme nel 1939 all’Università di Roma La Sapienza la prima camera di combustione a propellenti liquidi concepita in Italia alimentata da benzina e perossido di azoto. Gli anni Trenta erano segnati da grandi entusiasmi internazionali su questo fronte, stimolando nella Penisola rischiosi voli di aeroplani a razzo a Milano e Torino da parte di Ettore Cattaneo e Alberto Fenoglio. E la cronaca registrava pure la prima vittima quando l’ufciale di Marina Giorgio Cicogna era ucciso dai frammenti della camera di combustione scoppiata durante un test a Torino. Bisognerà aspettare gli anni della rinascita del Paese, una volta chiusa la drammatica parentesi della seconda guerra mondiale, per essere testimoni anche della ripresa degli interessi verso lo spazio guardando alla propulsione dei razzi. Ciò avviene in ambito militare riprendendo l’interesse in cui aveva avuto origine addirittura nel 1380 quando i veneziani per vincere la guerra contro i genovesi facevano ricorso a dei razzi battezzati ‘rocchette’ perché assomigliavano all’affusolata rocca per flare la lana. Così la parola razzo nasceva in Italia e da allora diventata rocket in inglese, rakete in tedesco e raketa in russo. Sarà poi re Carlo Alberto nella prima metà dell’Ottocento, come accadeva negli altri eserciti, a fnanziare le prime vere ricerche sui razzi da adottare nell’esercito sabaudo. Arrivando al dopo secondo confitto mondiale, saranno la Marina Militare e l’Aeronautica Militare a ingaggiare due specialisti tedeschi (Hermann Oberth e Rolf Engel) impegnandoli in progetti mai trasformati in realtà.

Il passo storico del primo razzo a propellenti liquidi nato nella Penisola sarà compiuto da Aurelio Robotti, professore al Politecnico di Torino: il 9 maggio 1952 farà volare per alcune centinaia di metri dal Pian della

Mussa, nell’alta Val di Lanzo, il suo AR-3 alimentato da acido nitrico e anilina.

Il vero inizio che ci porta ai giorni nostri prende invece vita con il professore e generale dell’Aeronautica Luigi Broglio, allievo e successore di Gaetano Arturo Crocco. Ideatore del primo programma spaziale italiano, guardando alla prospettiva di un’autonomia di lancio proponeva anche il piano di un vettore nazionale. Broglio era stato incaricato da parte dell’Aeronautica di occuparsi di missili nel 1956 e in questo modo la forza armata manifestava una concreta decisione a essere protagonista sulla nuova frontiera. Negli anni Cinquanta nascono infatti anche le prime iniziative industriali al fne di cogliere l’opportunità di una innovativa attività da sviluppare. Nel 1953 Finmeccanica (Gruppo IRI) e Fiat fondavano SISPRE (Società italiana sviluppo propulsione a reazione, poi diventata CESPRE, Centro studi della propulsione a reazione) e successivamente era trasformata in Società Generale Missilistica con l’ingresso di Bombrini Parodi-Delfno impegnata nei propellenti. È in questo ambito che nascevano le prime sperimentazioni per produrre missili per l’Aeronautica e razzi sonda a propellente solido. Intanto si apriva una collaborazione anche con la svizzera Oerlikon-Contraves con la quale poi veniva progettato un razzo sonda a propellenti liquidi con il coordinamento del professor Carlo Buongiorno dell’Università La Sapienza, diventato poi direttore generale dell’Agenzia Spaziale Italiana. Il progetto si chiuse dopo il fallimento del primo lancio dalla Sardegna, ma intanto si costituiva intorno a Broglio un gruppo di esperti, come Buongiorno, diventati i protagonisti del Programma San Marco. Approvato dal governo nel 1961 e sottoscritto l’anno successivo dal governo americano, prevedeva la fornitura gratuita da parte della NASA del vettore Scout per lanciare i satelliti San Marco dedicati allo studio dell’atmosfera terrestre e lanciati dal poligono mobile costruito all’equatore in acque internazionali davanti alle coste del Kenya. Così accadrà dal 1967 dopo un primo lancio di prova dalla base di Wallops Island nel 1964.  Ma nei piani di Broglio l’evoluzione verso satelliti sempre più pesanti richiedeva la necessità di disporre di un vettore più potente. A tal fne lo scienziato elaborava un piano di potenziamento dello Scout con acquisizione di due o quattro booster che erano repliche del primo stadio dello stesso vettore americano. Il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) lo approvava iniziando anche fnanziamenti. Però l’orientamento della politica, sostenitrice di uno sviluppo industriale nel frattempo emerso grazie alla partecipazione ai programmi spaziali europei dell’ESA, determinava presto la cancellazione dell’idea di Broglio perché il coinvolgimento delle aziende rimaneva quasi inesistente.

Nel frattempo, anche la gestione delle attività spaziali italiane era mutata e, dopo l’iniziale Commissione Ricerche spaziali nata grazie a Edoardo Amaldi e

Il lancio del satellite San Marco 1 con un vettore Scout della NASA da Wallops Island, in Virginia.
Crediti: NASA
Il decollo del satellite San Marco 2, il primo a essere lanciato dalla base italiana in Kenya, nel 1967. Crediti: Archivio Fausti

il Piano Spaziale Nazionale gestito dal CNR, nel 1988 veniva costituita l’Agenzia Spaziale Italiana ASI che riuniva tutti i programmi del settore, ampliandoli, garantendo una prospettiva più solida.

Negli Anni Settanta due iniziative avevano segnato la frontiera della propulsione nel nostro Paese. Nel 1972 si chiudeva il Centro nazionale di ricerca sulla tecnologia della propulsione e dei materiali nato per iniziativa del Politecnico di Milano e del CNR e nel cui ambito si stava collaudando un propulsore a propellenti liquidi. La scelta politica andava in una direzione diversa. In quel periodo, inoltre, sotto la guida della Marina Militare si costruiva il vettore Alfa che, in prospettiva, doveva essere utilizzato sui sommergibili. I test dalla Sardegna erano positivi ma anche questo progetto si chiudeva per scelte diverse nella strategia della difesa. Tuttavia, la sua realizzazione, coinvolgendo soprattutto la Bombrini Parodi-Delfno (BPD) e l’Aeritalia (oggi Thales Alenia Space), si rivelava preziosa perché consentiva di maturare un know-how con il quale la BPD vinceva la gara per la fornitura dei booster dei vettori europei Ariane 3 e 4. Nel frattempo, sempre BPD, sviluppava anche i propulsori a propellente solido Mage installati come motori d’apogeo su numerosi satelliti europei. Un analogo motore era utilizzato nel 1976 sul satellite italiano Sirio per telecomunicazioni sperimentali ad alta frequenza all’epoca gestito dal CNR, mentre gli esperimenti erano sotto la guida del professor Francesco Carassa del Politecnico di Milano. L’esperienza con i booster consentiva poi a BPD, diventata Fiat Avio, di ottenere la commessa per i booster ancora più grandi e potenti di Ariane 5 che iniziava le missioni nel 1996, mentre in parallelo estendeva la sua attività anche nella propulsione liquida installata sui satelliti come l’europeo Olympus.

materializzando un sogno coltivato da un secolo. Alla guida in ESA dei sistemi di lancio, e quindi anche del programma Vega, c’era Antonio Fabrizi, protagonista dei primi studi quando ancora era ingegnere in BPD. Non solo. Il vettore cresceva diventando una famiglia sempre più potente con Vega C (primo lancio nel luglio 2022) il cui primo stadio P120 diventerà anche il booster del nuovo Ariane 6 europeo che inizierà i voli nel 2024. In cantiere, intanto, l’ASI e l’ESA sostenevano la crescita verso Vega E ancora più capace, il quale, oltre ai primi due stadi uguali a Vega C, introduceva un terzo stadio innovativo con il motore a metano MR-10 nel frattempo concepito in Avio e sperimentato nel nuovo impianto in Sardegna.

Con il nuovo corso delle attività le idee di Broglio sul vettore San Marco Scout volgevano al tramonto e nel 1993 il ministro della Ricerca Umberto Colombo chiudeva il progetto orientando l’interesse di un lanciatore italiano in ambito europeo in seno all’ESA. E con l’efcace operazione governata dal presidente dell’ASI

Sergio De Julio, nel 2000 si concretizzava il piano battezzato Vega. Il nuovo vettore aveva tre stadi a propellenti solidi e un quarto stadio a propellenti liquidi (di origini ucraine) per le manovre fnali portando un carico utile di 1500 chilogrammi a 700 chilometri d’altezza. Base di lancio Kourou, in Guyana francese, dove era prodotta anche parte dei booster di Ariane 5. Il primo lancio avveniva con successo il 13 febbraio 2012

Crediti ASI

Un nuovo balzo si preparava nel frattempo con le risorse garantite dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Con esso Avio sviluppava su contratto dell’ASI un propulsore ‘green’ utile per vari tipi di operazioni in orbita (come stadio orbitale di Vega o nel veicolo riutilizzabile Space Rider). Battezzato Multi-Purpose Green Engine, compiva il primo test al banco nel febbraio 2025. Intanto, sempre con i fnanziamenti del PNRR, si disegnava un nuovo lanciatore dimostrativo monostadio (IFD1) dotato del propulsore MR-10 e in grado di sperimentare la tecnologia del recupero e del riutilizzo. L’obiettivo, in tal caso, sarà il passaggio verso il lanciatore a due stadi Vega-Next previsto disponibile nel 2032.

Importante è ricordare che nel 2024 Avio ha conquistato sia la gestione commerciale della famiglia dei vettori Vega prima sotto il controllo di Arianespace francese, sia l’autonomia delle operazioni di lancio dalla base di Kourou.  L’idea dei pionieri raggiungeva la sua ambita meta.

Luigi Broglio e la piattaforma di lancio Santa Rita della base italiana di Malindi in Kenya.

Le frontiere deLL a scienza per L’accesso aLLo spazio. IntervIsta a Francesco nasutI

L’uomo ha da sempre cercato di superare limiti e barriere. Conquistare lo spazio lo ha messo di fronte a uno dei compiti più difcili: studiare una tecnologia che consentisse di superare l'accelerazione di gravità. Circa settant’anni fa abbiamo sentito il febile «Bip… bip… bip» del satellite Sputnik 1, lanciato il 4 ottobre 1957 grazie all'ingegno di Sergej Pavlovič Korolëv, capo progettista del programma Sputnik dell'Unione Sovietica, che riesce nella difcile impresa umana di raggiungere con un razzo l’orbita terrestre. Oggi come allora la tecnologia abilitante per l’accesso allo spazio è sfdante e crea un vantaggio competitivo e strategico. Afnché un razzo si alzi in volo è necessaria una tecnologia che gli consenta di superare l'accelerazione di gravità e raggiungere la velocità orbitale

di circa 8 km/s per entrare in un'orbita bassa attorno alla Terra. Le caratteristiche del nostro pianeta, con la spessa atmosfera e la sua gravità superfciale, rendono necessario sviluppare sistemi propulsivi ad alta spinta limitando la possibilità di impiegare soluzioni più efcienti in termini di consumo di propellente.

Le valutazioni in questo contesto sono molteplici e di diversa natura. Conoscere una tecnologia abilitante non basta: bisogna tenere conto degli investimenti e della tipologia di mercato.

Il professore Francesco Nasuti, ordinario di Propulsione Aerospaziale all’Università Sapienza di Roma, ci dice che – ad oggi – sono due le tipologie di propulsione: quella chimica, che viene utilizzata correntemente, e quella nucleare termica. Altri sistemi propulsivi, come quello della propulsione elettrica, sono impiegati già oggi nello spazio, ma purtroppo non sono impiegabili per l’accesso allo spazio dalla superfcie terrestre.

«Tra le due, quella con prestazioni migliori è quella nucleare termica ma, per ragioni di diversa natura, tra cui quelle politiche e sociali, oggi la propulsione che viene utilizzata è quella chimica. - aferma Nasuti -Nell’opzione tra le due, la ricerca e l’industria si sono orientate di più sulla standardizzazione, sulla produzione e sull’afdabilità dei sistemi di lancio che non sulla massima prestazione.

La macchina più evoluta è stata quella dello Space Shuttle - l’ultimo Shuttle è stato ritirato nel 2011, ndr-. Il propellente utilizzato è la coppia idrogeno e ossigeno liquidi, i quali permettono di ottenere elevate prestazioni in termini di impulso specifco, la grandezza che misura il consumo di massa di propellente e che rappresenta la velocità di efusso dei gas combusti relativa al veicolo di lancio.

Space Rider: Il primo sistema di trasporto spaziale europeo automatizzato e riutilizzabile per il rientro senza equipaggio. Programma dell’ESA fnanziato principalmente dall’Italia.

Oggi, sulle spalle dello Space Shuttle, la NASA ha passato il testimone al sistema di lancio orbitale Space Launch System (SLS): sistema super-pesante non riutilizzabile derivato dallo Space Shuttle e progettato dalla NASA per portare l’uomo sulla Luna con il progetto Artemis. Nei recenti sviluppi i vantaggi idealmente forniti dalla scelta dell’idrogeno come combustibile sono stati sostituiti da altre combinazioni di propellenti, caratterizzati da temperature di stivaggio meno basse e che permettono una maggiore facilità di impiego e riutilizzo e quindi economicità. È il caso del sistema metano-ossigeno che è diventato popolare, ed è quello che utilizza la SpaceX di Elon Musk nel sistema di lancio Starship destinato alla colonizzazione della Luna e di Marte. Incidentalmente, da noi lo studio del sistema metano-ossigeno fu avviato dall’Agenzia Spaziale Italiana nella prima decade del 2000 insieme all’industria di settore Avio, con la collaborazione di un’azienda russa, ed ha aperto la nuova fliera industriale sulla propulsione liquida che porterà alla introduzione di un propulsore ossigeno metano nello stadio superiore della prossima evoluzione del lanciatore europeo

Vega denominata Vega E. Oggi il sistema Starship ha l’obiettivo di essere totalmente riutilizzabile ma con il recupero degli stadi ottenuto in maniera diversa rispetto a quanto si faceva con lo Space Shuttle. La questione della riutilizzabilità, di cui si discute molto dopo l’avvento di SpaceX nel mercato dei lanciatori, è stata in realtà sempre considerata un po’ come un punto di arrivo.

Per esempio, alla fne degli anni 90 del secolo scorso si pensava a un sistema di accesso allo spazio con un mezzo alato e che fosse la sostituzione e prosecuzione dello Space Shuttle, pensando a sistemi propulsivi di massima efcienza in grado di raggiungere l’orbita con un solo stadio e poi di recuperarlo con rientro planato.

In quegli anni, Il professor Carlo Buongiorno mi chiese di insegnare agli studenti la convenienza tra lanciatori a perdere e lanciatori riutilizzabili. Le mie lezioni chiudevano sempre dicendo che il veicolo riutilizzabile è vantaggioso solo in presenza di un elevato numero di lanci e quindi che non si trattava di capire se potesse mai essere conveniente passare a sistemi riutilizzabili ma semplicemente quando ciò sarebbe accaduto».

Oggi, dopo che Musk ci ha messo di fronte a un sistema di lancio Falcon 9 che raggiunge l’orbita e il cui primo stadio rientra a Terra per essere nuovamente utilizzato, come rispondiamo?

«A mio avviso, la tecnologia di Musk la dobbiamo conoscere e dobbiamo essere in grado anche di realizzarla, ma poi bisogna vedere se è conveniente. Se in Europa facciamo dieci lanci l’anno, non recuperiamo l’investimento necessario per il riutilizzo del mezzo di rientro. Due sono gli aspetti da valu tare in questa fase: una è la capacità tecnologica e l’altra è il vantaggio nell’utilizzarla. Ad esempio, oltre a sviluppare capacità tecnologiche comparabili a quelle del recupero del primo stadio del Falcon 9, altri sviluppi, come quelli su IXV -Intermediate eXperimental Vehicle- e la sua evoluzione nello Space Rider, progetto europeo con molto investimento italiano, rappresentano una risposta alternativa alla tecnologia di SpaceX, puntando a fare qualcosa di diverso».

ne dal rafreddamento di un reattore nucleare che quindi riscalda una sostanza, un fuido che potrà essere scelto in base alle sue proprietà fsiche per raggiungere la massima prestazione. Altre soluzioni che si cerca d’immaginare, ma fnora mai sviluppate, sono quelle di utilizzare l’atmosfera per bruciare il combustibile e avvicinarsi alla velocità orbitale, lasciando solo l’ultima fase ai sistemi di lancio tradizionali. Aspetti ambientali hanno riguardato più la propulsione nello spazio che i sistemi di lancio. È qui che ci sono stati i principali investimenti a salvaguardia del nostro ambiente terrestre nel campo della propulsione spaziale. Sono stati sviluppati e provati in orbita nuovi propellenti green sostitutivi dell’idrazina, monopropellente altamente inquinante il cui utilizzo è stato limitato con la direttiva del Consiglio europeo del 31 luglio 2014.

Nello spazio, i propulsori elettrici sono considerati una valida alternativa, ma non è detto che siano vantaggiosi per tutte le applicazioni.

Potrebbero essere una soluzione per i lunghi viaggi verso Marte?

Resta aperta la questione dell’impatto sull’ambiente e l’Europa studia nuove tecnologie anche per i sistemi di lancio.

«Le nuove frontiere della scienza per l’accesso allo spazio devono tener conto di soluzioni dove si possano trovare maggiori vantaggi: il problema è la densità di energia che occorre. La densità di energia riusciamo ad averla o nelle reazioni chimiche o nella fssione nucleare. Si può anche immaginare la fusione, ma la stessa fssione come possibile propulsore è stata vietata per ragioni di sicurezza non ancora risolte. Nel caso della propulsione nucleare termica l’energia vie-

Illustrazione di un razzo a propulsione termica nucleare (Ntp)

Crediti: General Atomics

«Se l’obiettivo è accorciare i tempi di attesa per un viaggio verso Marte, e quindi non essere costretti ad attendere la fnestra della meccanica celeste, i sistemi a propulsione elettrica possono consentire di accorciare i tempi di durata del viaggio, ma ancora non ci consentono di svincolarci dai tempi della meccanica celeste. La spinta creata nei propulsori ionici è molto piccola in confronto ai razzi chimici convenzionali, ma si ottiene un impulso specifco, o efcienza propulsiva, molto elevata. Il collo di bottiglia è la densità di energia, ovvero la massa dei sistemi di generazione dell’elevata potenza elettrica necessaria. Si torna quindi di nuovo al nucleare, necessario per poter generare elevate potenze per unità di massa. A oggi l’unica alternativa realistica di riduzione dei tempi di viaggio verso Marte richiede quindi l’impiego dell’energia nucleare, sia nel campo della produzione di potenza elettrica, nella propulsione elettrica, sia come fonte di riscaldamento del propellente nella propulsione nucleare termica, fermo restando la necessità di garantire l’adeguata sicurezza e afdabilità di tali sistemi, di nuovo, per garantire la sostenibilità e salvaguardia ambientale del loro utilizzo».

Non esiste una soluzione tecnologica per tutte le missioni spaziali. Se la sfda dell’uomo di superare la gravità terrestre è stata conquistata, le nuove frontiere di accesso allo spazio devono tenere conto di nuove esigenze come quella di portare equipaggi umani nello spazio e renderli autonomi nella loro capacità di spostarsi, rientrare a Terra e ripartire. Sarà necessario continuare a investire in ricerca per governare le migliori soluzioni di capacità tecnologica avanzata e combinarle con valutazioni di tipo economico.

Thales alenia space verso le stazioni spaziali in orbita bassa nell’ era post-Iss

di Redazione

In un momento in cui il panorama dell'esplorazione spaziale è in rapida evoluzione, caratterizzato da un insieme di attori istituzionali e commerciali che si avventurano in missioni in orbita bassa, verso la Luna e Marte, Thales Alenia Space, la joint venture tra Thales (67%) e Leonardo (33%), è protagonista di una lungimirante iniziativa che mira a sviluppare un servizio end-to-end di trasporto commerciale competitivo e fessibile, compiendo un gande passo in avanti in termini di innovazione ed efcienza e raforzando il suo ruolo di attore principale dell’ economia spaziale del prossimo futuro.

L’azienda, infatti, è stata scelta dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per lo sviluppo di un servizio di rientro cargo in orbita bassa LEO per dimostrare la possibilità di un servizio completo di consegna del carico da e verso le stazioni spaziali in orbita terrestre bassa entro il 2028.

Thales Alenia Space ha avuto un ruolo chiave nel rendere possibili le ambizioni dell'umanità in orbita bassa ed oggi, facendo leva sulla sua esperienza nelle infrastrutture e nei veicoli per l'esplorazione dello spazio, in piena sintonia con la visione e lo spirito delle agenzie, europea e italiana, sceglie di competere e di investire nello sviluppo di soluzioni tecnologiche per potenziare l’utilizzo dell'orbita terrestre bassa in Europa. Nel corso di questa fase 1, della durata di due anni (da giugno 2024 a giugno 2026), Thales Alenia Space in qualità di prime contractor, con la partecipazione di Altec, parte del core team del progetto, sta sviluppando il servizio mediante il consolidamento del piano economico-fnanziario e il coinvolgimento

preliminare di investitori e potenziali clienti, con lo sviluppo di un primo veicolo spaziale, con particolare attenzione ai requisiti, alle architetture, alla maturazione tecnologica e alle attività di eliminazione dei rischi. La Fase 2 riguarderà il proseguimento dello sviluppo del servizio e del veicolo spaziale e la realizzazione della missione dimostrativa. Tale missione, che include la consegna di un carico pressurizzato alla ISS e il rientro sicuro del carico sulla Terra, è prevista per la fne del 2028.

Thales Alenia Space vanta un’esperienza ultra quarantennale nell'esplorazione e nel trasporto spaziale, essendo protagonista di imprese uniche come la

costruzione della Stazione Spaziale Internazionale, svolgendo un ruolo indiscutibile nella missione Artemis, nel Gateway e nella colonna portante del modulo di servizio di Orion, nonché partecipando a programmi di trasporto di punta come IXV e Space Rider.

Ben 10 anni fa, a febbraio 2015, avveniva proprio il lancio di IXV, il veicolo che ha dimostrato tecnologie cruciali per il rientro atmosferico in condizioni di volo reale, con le sue avanzate prestazioni aerodinamiche e aerotermodinamiche, attraverso i sistemi di protezione termica, navigazione e controllo.

Il suo impeccabile volo suborbitale di 100 minuti ha coperto 25.000 chilometri, ha attraversato l'atmosfera a una velocità orbitale di 8 chilometri al secondo, culminando in un preciso ammaraggio nell'Oceano Pacifco. Gli esperti europei di aerotermodinamica stanno ancora acquisendo preziose informazioni mentre analizzano i dati di volo di IXV, per assicurarsi che i loro modelli al computer siano in linea con la realtà, aprendo la strada alle future missioni di rientro atmosferico.

L'IXV ha confermato molte ipotesi e fornito nuove informazioni: temperature esterne inferiori al previsto, consumo di carburante maggiore, compensato da prestazioni aerodinamiche superiori, e un blackout più breve durante il rientro, che migliora le comunicazioni con la stazione di controllo. Questi incredibili risultati sono fondamentali per i futuri veicoli di rientro europei.

Il prossimo emozionante capitolo è Space Rider, un innovativo sistema di trasporto spaziale riutilizzabile per missioni senza equipaggio e accesso all'orbita bassa terrestre. Space Rider aprirà la strada all’Europa per un uso più accessibile, agile e indipendente dello Spazio in orbita bassa e Thales Alenia Space conferma il suo ruolo guida nell’ambito dei sistemi di rientro atmosferico, combinando le capacità di piattaforme satellitari orbitali con la possibilità di riutilizzo.

Dimostratore tecnologico del veicolo di rientro a terra, base di R&S per la futura evoluzione del LEO Cargo Return Service.

Crediti: Thales Alenia Space

Thales Alenia Space possiede, dunque, tutte le tecnologie necessarie per esplorare ulteriormente la Luna, Marte e oltre nell'Universo. Il futuro ecosistema spaziale richiede nuove soluzioni dedicate al trasporto e al rientro di carico dall’orbita terrestre bassa e dall'orbita lunare, nonché al trasporto di equipaggi verso l’orbita bassa.

Thales Alenia Space è pronta a mettere in atto tutto quanto è necessario per preparare la futura vita e presenza dell'umanità nello spazio, ponendo le basi per l'era post-ISS e rispondendo alle nuove esigenze economiche per la ricerca e la scienza.

Oltre la Terra

L'era

dell'accesso commerciale allo spazio

Nel corso degli ultimi decenni, l’esplorazione spaziale ha conosciuto un'evoluzione straordinaria. Dalla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) fno ad arri vare sulla Luna e, in futuro, su Marte, il panorama delle missioni - sempre più ricco di sfde e opportunità - è più dinamico che mai: le ambizioni crescono e con loro le competizioni. Lo sguardo è già rivolto a mete più lontane per portare l’uomo oltre l’orbita terrestre, verso nuovi mondi da osservare e, un giorno, da abitare.

Il nuovo volto dei voli spaziali

Tradizionalmente, Stati Uniti e Russia hanno dominato i voli spaziali con equipaggio. La NASA ha sviluppato storici programmi spaziali come Apollo, Space Shuttle e oggi Artemis, mentre Roscosmos ha garantito per decenni l’accesso umano allo spazio con il razzo e la capsula Soyuz, per molti anni l'unico sistema disponibile per il trasporto umano in orbita bassa (LEO) dopo la dismissione dello Space Shuttle nel 2011, e ancora oggi utilizzato per raggiungere la ISS.

Ma l’ingresso di attori privati e l’intensifcarsi della competizione tra le principali potenze spaziali ha in-

Il lanciatore suborbitale completamente riutilizzabile New Shepard.

Crediti: Blue Origin

nescato un cambiamento radicale, di cui il trasporto umano in orbita bassa è diventato protagonista. A partire dal 2014, nell’ambito del Commercial Crew Program della NASA, si afacciano sulla scena SpaceX e Boeing. Le due aziende si mettono subito al lavoro per la costruzione di navicelle destinate al trasporto umano nello spazio, con sistemi sempre più sofsticati volti a ridurre i costi, aumentare la frequenza delle missioni e preparare il terreno a nuove e più lontane destinazioni.

La corsa dei privati prende il volo

Nel giro di pochi anni, l’azienda di Elon Musk ha superato la rivale Boeing; se con il suo razzo Falcon 9 ha ridotto notevolmente i costi di lancio, rivoluzionando il modo in cui i satelliti e le navette spaziali vengono trasportati in orbita, è con la navetta Crew Dragoncon una capacità di trasporto fno a sette astronauti - che SpaceX ha davvero cambiato le regole del gioco. Nel 2019, con la missione senza equipaggio Demo-1, la Crew Dragon si è agganciata con successo alla ISS e, con il trionfo della successiva missione Demo-2 con equipaggio, ha ottenuto la certifcazione della Nasa, diventando ufcialmente il primo veicolo spa-

di Gloria Nobile

ziale commerciale a trasportare astronauti alla ISS e inaugurando una nuova era di voli spaziali privati. L’obiettivo fnale di SpaceX è quello di realizzare un sistema di lancio completamente riutilizzabile, capace di ridurre drasticamente i costi e supportare missioni ambiziose come il ritorno sulla Luna e l’esplorazione di Marte. Ed è proprio con la possibilità di efettuare voli regolari e riutilizzare i razzi che è nato il concetto di trasporto spaziale come una risorsa sostenibile e meno costosa. Il veicolo destinato a questo scopo è Starship, un sistema di lancio alto 120 metri composto da due elementi completamente riutilizzabili: il booster Super Heavy e lo stadio superiore Ship. La NASA crede fortemente in questo progetto e ha selezionato Starship come veicolo per fare atterrare gli astronauti sul suolo lunare con la missione Artemis III.

Le diffcoltà di Boeing

Mentre SpaceX collezionava successi, Boeing faceva i conti con una serie di ritardi e problemi che hanno costretto la sua CST-100 Starliner a rientrare se non a restare a Terra. Progettata per trasportare astronauti alla ISS con una capacità simile a quella della

La capsula spaziale Starliner di Boeing.

Crediti: Boeing

Crew Dragon, Starliner ha soferto numerosi problemi tecnici fn dal primo volo di test senza equipaggio nel 2019, quando un malfunzionamento del software ne impedì l’aggancio alla ISS. Il debutto della sua prima missione con equipaggio, avvenuto nell'estate del 2024, ha evidenziato ulteriori problemi, tra cui cinque perdite di elio: una prima del lancio, due poche ore dopo il decollo e altre due dopo l’attracco alla ISS. A seguito di queste anomalie, la NASA ha avviato una lunga fase di test, analisi e valutazioni. Il verdetto, giunto a fne agosto, ha sancito che la Starliner non fosse ancora abbastanza sicura, costringendola a tornare sulla Terra senza equipaggio e lasciando ancora una volta SpaceX in netto vantaggio

L’ambizione di Richard Branson e Jeff Bezos

Se da un lato  SpaceX  e Boeing gareggiano per mandare gli astronauti sulla ISS, dall’altro Virgin  Galactic e Blue Origin puntano invece al turismo spaziale su larga scala, che hanno inaugurato nel 2021 con i voli suborbitali rispettivamente dell’11 e del 20 luglio, il giorno del 52esimo anniversario del primo sbarco sulla Luna. A bordo, i due facoltosi fondatori

delle aziende: Richard Branson sulla VSS Unity, una delle navette spaziali del programma SpaceShipTwo, e Jef Bezos sulla navetta New Shepard, entrambi desiderosi di vivere in prima persona l’esperienza della microgravità.

Dopo New Shepard, il sistema a razzo verticale completamente riutilizzabile, Blue Origin ha sviluppato il New Glenn, alto 98 metri. Selezionato dalla Nasa per portare sulla Luna i lander Blue Moon Mark 1 e Mark 2 nell’ambito del programma Artemis, la sua avventura è iniziata lo scorso 16 gennaio con il decollo del volo di test NG-1.

Le stazioni spaziali dopo la ISS

Oggi la Stazione Spaziale Internazionale è l'emblema della cooperazione internazionale, con la partecipazione di NASA, Roscosmos, ESA, JAXA e CSA. Teatro di innumerevoli esperimenti scientifci, sarà operativa fno al 2030, quando passerà il testimone ad altri laboratori orbitanti.

La Cina ha risposto con la Tiangong Space Station, che ha visto il lancio del modulo centrale Tianhe nel 2021 e l'aggiunta dei moduli Wentian e Mengtian nel 2022, creando di fatto un laboratorio spaziale indipendente. Sebbene la Cina abbia dichiarato di essere aperta alla cooperazione internazionale, a diferenza della ISS che ospita equipaggi internazionali, al momento la Tiangong è utilizzata principalmente da astronauti cinesi. Anche la Russia, nel frattempo, ha iniziato a pianifcare la creazione di una propria stazione spaziale permanente. Si chiamerà ROSS (Stazione di Servizio Orbitale Russa) e dovrebbe afancarsi a quella cinese e a varie stazioni spaziali private di piccole dimensioni, anch’esse da realizzare nei prossimi anni. In vista dello smantellamento della ISS, la NASA ha deciso di coinvolgere aziende private nella costruzione di nuove stazioni spaziali commerciali per garantire la continuità delle attività scientifche in orbita bassa. Dopo gli Space Act Agreements del 2021 e un ulteriore fnanziamento nel 2024, l’agenzia statunitense supporta attualmente due progetti principali di future stazioni: Orbital Reef, sviluppata da Blue Origin e Sierra Space, fnanziata dalla Nasa con 172 milioni di dollari, e Starlab, con un sostegno di 217,5 milioni di dollari, guidata da Voyager Space. Oltre a questi due progetti, un terzo partner commerciale è Axiom Space, con cui l’agenzia ha frmato nel 2020 un contratto a prezzo fsso per la costruzione della Axiom Station. Questa stazione verrà inizialmente collegata alla ISS agganciando nel 2026 il modulo energetico e termico AxPPTM, primo dei quattro moduli che comporranno l’Axiom Station, attualmente in costruzione nei laboratori di Thales Alenia Space a Torino. Nel 2028, ancor prima che venga dismessa la ISS, il segmento Axiom si separerà per diventare una stazione spaziale autonoma ed essere poi integrato con altri tre moduli.

Operazione di attracco della capsula Dragon alla ISS. Crediti: NASA/ SpaceX

Dimostratore tecnologico del veicolo di rientro a terra, base di R&S per la futura evoluzione del LEO Cargo Return Service. Crediti: Thales Alenia Space

L’Europa verso l'orbita terrestre bassa

Anche l’Europa ha recentemente compiuto un passo signifcativo per garantire un accesso sostenibile all’orbita terrestre bassa, consolidando la competitività dell’industria europea e il suo ruolo come attore principale nell’economia spaziale globale.

Durante la 75esima edizione dello IAC 2024, l’astronauta Samantha Cristoforetti ha presentato il progetto al quale l’Agenzia spaziale europea (ESA) sta lavorando: il LEO Cargo Return Service, un servizio commerciale per il trasporto di cargo da e per la ISS entro il 2030. Per svilupparlo, l’ESA ha frmato due contratti con aziende europee che lavorano in parallelo: Thales Alenia Space Italia e la start up franco-tedesca The Exploration Company.

Questo programma prepara il terreno all'era post-ISS, con l’obiettivo di garantire continuità nelle operazioni in orbita terrestre bassa, servendo anche le future stazioni spaziali private che sostituiranno la ISS dopo il suo smantellamento nel 2030.

La vera novità per l’Europa è che i veicoli saranno carichi sia nel viaggio di andata, portando risorse sulle stazioni, ma anche al ritorno, riportando i rifornimenti a Terra. La prima missione dimostrativa è programmata per la fne del 2028 e avrà l’obiettivo di consegnare cargo pressurizzato alla ISS e garantirne il rientro controllato.

La Stazione Spaziale Internazionale. Crediti: NASA

L’ESA punta a trasportare in futuro anche equipaggi, mettendo il LEO Cargo Return Service a disposizione di clienti internazionali e rendendolo così un prodotto competitivo a livello mondiale.

Il rItorno sulla luna: tra superpotenze e nuovi attori emergenti

Negli ultimi decenni l’esplorazione spaziale ha vissuto una nuova era di innovazione e crescita in cui i protagonisti storici sono stati afancati da nuovi attori emergenti, pubblici e privati che stanno ridefnendo il futuro del settore. Agli USA si aggiungono nazioni emergenti come la Cina, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, l’India, il Giappone, paesi dotati di ingenti risorse economiche da dedicare a programmi spaziali di breve e lungo periodo, impegnati a sviluppare missioni per trasportare esseri umani sulla Luna e su Marte e a stabilire una presenza permanente.

Gli Accordi Artemis, lanciati nel 2020 dagli Stati Uniti attraverso la NASA, rappresentano un elemento chiave nella geopolitica spaziale contemporanea. Si tratta di una serie di accordi multilaterali non vincolanti tra il governo degli Stati Uniti e altri governi mondiali - a gennaio i paesi aderenti hanno raggiunto quota 53 con l’adesione della Finlandia - che stabiliscono principi per l’esplorazione e l’uso pacifco dello spazio, mirando a creare un quadro di cooperazione internazionale per le future missioni lunari.

Tra le principali fgure di spicco di questa nuova era, emergono gli Stati Uniti con il sistema NASA Space Launch System (SLS) e Starship, il veicolo di lancio super pesante e riutilizzabile di SpaceX ad oggi in fase di test. Il programma Artemis mira a riportare astronauti sulla superfcie lunare e prevede la costruzione del Gateway, un avamposto in orbita cislunare, elemento chiave del progetto. Frutto di una collaborazione internazionale guidata dalla NASA con ESA, CSA, JAXA e UAE Space Agency, il Gateway rappresenta un passo cruciale verso un’infrastruttura spaziale sostenibile e raforza la cooperazione tra agenzie spaziali. L’Italia ha un ruolo di primo piano: Thales Alenia Space a Torino ha costruito la struttura del modulo HALO, destinato ad accogliere astronauti, supportare ricerche scientifche e fungere da base per le missioni lunari. L’industria italiana realizzerà anche i moduli Lunar I-Hab, Lunar View e Lunar Link per l’ESA, e l’Airlock per gli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, l’Agenzia Spaziale Italiana, in collaborazione con la NASA, sta sviluppando il modulo di superfcie MPH (Multi-Purpose Habitation Module), che sarà la prima struttura ad ospitare astronauti sulla Luna.

Due sistemi di trasporto spaziale statunitensi sono in via di sviluppo per l’esplorazione lunare: lo Space Launch System (SLS) con la navicella Orion della NASA, il cui modulo di servizio è costruito per l’ESA a Torino, e lo Starship, il lanciatore super pesante e riutilizzabile di SpaceX. SLS, Orion e lo Human Landing System (anch’esso targato SpaceX) costituiscono l’infrastruttura principale del programma Artemis. Il Gateway fornisce supporto agli astronauti in orbita lunare e le altre infrastrutture di supporto includono i servizi commerciali per carichi lunari (CLPS), lo sviluppo di infrastrutture a terra l’Artemis Base Camp, i lander e i rover.

La NASA prevede di usare sia SLS che Starship per riportare gli astronauti sulla Luna con Artemis III, prevista per il 2027. Tuttavia, è in corso un dibattito sui costi elevati del mantenimento di entrambi i sistemi. Starship, più potente e riutilizzabile, può trasportare carichi maggiori con lanci più frequenti, mentre SLS è monouso. Secondo un rapporto dell’Ispettore generale della NASA del 2023, ogni lancio dell’SLS costa almeno 4,2 miliardi di dollari, più 1 miliardo per Orion, per un totale di 5,2 miliardi di dollari a missione.

SpaceX ha dichiarato che il costo di un lancio di Starship potrebbe ammontare a 10 milioni di dollari o meno, che potrebbero ridursi a 2-3 milioni per lancio nel lungo periodo. Musk non ha dichiarato il costo dei voli commerciali con Starship, ma una stima ragionevole potrebbe essere

40 milioni di dollari per lancio. Questo signifca che con lo stesso budget necessario per un singolo lancio di SLS si potrebbero efettuare fno a 130 lanci di Starship.

Mentre gli Stati Uniti sono impegnati nella valutazione dei costi di entrambi i programmi, la Cina sta intensifcando gli sforzi per dare una svolta decisiva al proprio settore spaziale. Nel 2021, Pechino e Mosca hanno concordato di costruire l’International Lunar Research Station (ILRS), una stazione internazionale di ricerca lunare. La base dell’ILRS sarà costruita attraverso cinque missioni pianifcate entro il 2036. Le fasi di realizzazioni prevedono la costruzione di infrastrutture ad hoc per le comunicazioni e le osservazioni astronomiche. Inizialmente, la stazione ospiterà missioni robotiche, per poi diventare operativa per gli astronauti. Uno degli obiettivi principali sarà anche mettere alla prova le tecnologie per future missioni su Marte.

L'importanza strategica dell’ILRS all’interno della più ampia strategia spaziale cinese è confermata dalla decisione di istituire, nell’aprile 2023, l’ILRS Coopera-

Rappresentazione artistica del Gateway in orbita cislunare.

Crediti: NASA

Nella pagina accanto l’accensione dei motori di Starship durante il fight test numero 5 effettuato il 13 ottobre 2024. Crediti: Steve Jurvetson - Flickr

tion Organisation, un’organizzazione internazionale creata per istituzionalizzare il programma e attrarre nuovi partner.

La Cina sta anche compiendo passi da gigante per portare avanti il programma di esplorazione lunare con equipaggio: l’ambizioso obiettivo è far atterrare astronauti sulla Luna entro il 2030. Secondo quanto afermato dalla China Manned Space Agency il piano procede secondo i tempi previsti e attualmente sono in fase di sviluppo preliminare i componenti chiave della missione: il lanciatore Long March 10, la navicella per equipaggio Mengzhou, il lander lunare Lanyue, la tuta spaziale Wangyu e il rover Tansuo.

Parallelamente proseguono anche i lavori sulle infrastrutture per il controllo della missione a terra. Il Centro spaziale di Wenchang, situato nella provincia di Hainan, si sta espandendo per ospitare nuove infrastrutture di test e di lancio. I piani di realizzazione dei sistemi di terra, che includono il monitoraggio, la telemetria, il comando e le strutture per l’atterraggio, sono già stati fnalizzati e i lavori di costruzione partiranno a breve.

Il piano dell’agenzia cinese prevede il lancio di due razzi Long March 10 da Wenchang: uno trasporterà la navicella Mengzhou, mentre l’altro porterà il lander Lanyue. Una volta giunti in orbita lunare, i due moduli si agganceranno, permettendo a due astronauti di trasferirsi nel lander, che poi procederà con la discesa controllata sulla superfcie della Luna.

Durante la permanenza sul suolo lunare, gli astronauti si muoveranno a bordo del rover Tansuo, conducendo esperimenti scientifci e raccogliendo campioni. Dopo aver completato la loro missione, torneranno a bordo del lander Lanyue, che li riporterà alla navicella Mengzhou in orbita. Da lì, il modulo si sgancerà e farà ritorno sulla Terra.

Per afrontare questa sfda, la Cina ha già selezionato un nuovo gruppo di astronauti, che sono ora in fase di addestramento.

La fase di assemblaggio dell’European Service Module della navicella Orion presso il Kennedy Space Center della NASA in Florida.

Crediti: NASA

Contemporaneamente nel Golfo Persico, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti stanno emergendo come potenze spaziali di primo piano. Riyadh ha istituito la Commissione Spaziale Saudita nel 2018, per stimolare la ricerca e le attività industriali legate allo spazio, e ha stanziato 2,1 miliardi di dollari entro il 2030 per sostenere il proprio settore spaziale, nell'ambito della Visione Saudita 2030. Nel 2019, il paese ha pubblicato la sua Strategia Spaziale Nazionale 2030 e, da allora, ha aperto diversi centri di ricerca e sviluppo spaziale, istituito leggi e regolamenti nazionali sullo spazio. Nel maggio 2024, Bill Nelson, ha annunciato l'istitu-

Il satellite Sentinel-2C della costellazione Copernicus ha realizzato uno scatto della Luna lo scorso 20 settembre. Crediti: contains modifed Copernicus Sentinel data (2024), processed by ESA

zione del Center for Space Futures, che sarà ospitato dall'Agenzia Spaziale Saudita. Questo centro avrà l'obiettivo di riunire le principali aziende del settore per sostenere le missioni lunari e favorire lo sviluppo di un'economia spaziale globale, il cui valore è previsto raggiungere i 2 trilioni di dollari entro il 2035. La collaborazione include la partecipazione dell'Arabia Saudita a future missioni lunari.

Nel gennaio 2024, gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato che svilupperanno, come accennato sopra, il modulo Airlock per il Gateway, con la collaborazione dell’Italia, contribuendo così al completamento del design della stazione spaziale lunare e raforzando il ruolo del paese nel programma Artemis. Questo accordo, inoltre, darà al paese la possibilità di inviare un astronauta nelle prossime missioni in orbita lunare. L’annuncio bilancia in parte la decisione degli Emirati Arabi Uniti di frmare, nel novembre precedente, un memorandum d’intesa con l’International Lunar Research Station Programme, volto a promuovere la cooperazione nell'ambito dell'ILRS.

Nei prossimi decenni, lo spazio diventerà un elemento sempre più centrale nell’equilibrio geopolitico globale e le decisioni prese in questi anni determineranno non solo chi sarà il prossimo astronauta a camminare sulla Luna, ma anche chi stabilirà il primo avamposto umano sul nostro satellite. Per poter afrontare al meglio questa fase cruciale sarà necessario afnare la capacità di collaborazione e puntare su programmi innovativi e all’insegna della sostenibilità.

Una vetrina per le piccole e medie imprese e start-up nazionali con l’obiettivo di evidenziare percorsi unici di crescita, modelli di business in evoluzione e strategie di adattamento e anticipazione dei più avanzati trend del New Space, affnché siano di ispirazione per tutto il comparto.

Il team di Sidereus Space Dynamics con dietro il lanciatore e so. Crediti: Sidereus Space Dynamics / Italian Space Industry Online Catalogue

SidereuS Space dynamicS:

l'ItalIa

che

vola nello spazIo

Sidereus Space Dynamics è una delle realtà italiane più innovative. Creata nel 2019 da un giovanissimo e ambizioso talento, l’azienda mira a introdurre una soluzione disruptive per il volo spaziale.

L’iniziativa è nata a valle della competizione in ternazionale Space Exploration Master, mentre l’i spirazione arriva dal Sidereus Nuncius di Galileo Ga lilei, simbolo di cambiamento epocale. Il lanciatore EOS propone una nuova soluzione miniaturizzata e di estrema semplicità operativa. Trasportabile in un container standard e utilizzabile da una semplice piattaforma di cemento, EOS è gestibile da un team ridotto e non necessita di infrastrutture permanen ti. La propulsione a singolo stadio elimina l’esigenza di aree di caduta lungo la traiettoria, permettendo, a diferenza delle soluzioni tradizionali, operazioni rapide e fessibili. Se la soluzione si dimostrerà afdabile, i tempi, la logistica, i costi e la geografa delle aree di lancio subiranno profondi cambiamenti. Sidereus ha ricevuto nel 2021 un primo fnanziamento di 1,5 milioni di euro da parte di Primo Ventures e CDP, per realizzare il primo test statico del motore.

Altri 5,1 milioni sono stati raccolti nel 2023, oltre a un contributo della Regione Campania. Attraverso un approccio fail fast, learn fast, il vettore fa afdamento su tecnologie già esistenti ma riadattate in un modello volto a garantire la massima fessibilità e rapidità di accesso allo spazio. Il carico utile ridotto rende il vettore ideale per le attività tipiche della New Space Economy, che richiedono velocità dalla concezione alla produzione, al lancio, ofrendo fessibilità sia su parametri orbitali che data di lancio. La soluzione è adatta per la qualifca spaziale di nuovi componenti, per la ricerca e la dimostrazione in orbita e per applicazioni di difesa. Inizialmente il vettore verrà operato attraverso servizi di lancio rideshare e custom; successivamente, dimostrata l'afdabilità, sarà possibile operare in totale autonomia. L’obiettivo di breve termine include il primo volo a bassa quota, possibilmente dall’Italia, mentre il target principale rimane il primo volo orbitale. Per raggiungerli, sarà fondamentale avere anche il supporto delle agenzie spaziali e delle istituzioni, anzitutto nazionali ed europee. Sidereus si sta anche muovendo per aprire ad alleanze strategiche con partner industriali e di ricerca: i bacini di riferimento sono quello nazionale, europeo e statunitense.

In pochi anni il fondatore è stato afancato da 2 partner e il team è cresciuto a 25 persone. Per raggiungere i suoi obiettivi Sidereus è in cerca di nuovi talenti, da impiegare per costruire un campo prove per test di pre-lancio a Torino e per ampliare la sede di Salerno con focus sull'avionica.

A luglio 2024 è stato condotto il primo test integrato dei sistemi di EOS, seguiremo con grande interesse il percorso di questi giovani talenti.

Dai processori ottici ai rover lunari moDulari: il futuro passa per il #T-TeC di leonardo e telespazio

Il settore spaziale non è mai stato così afascinante e ricco di sfde come oggi. Giovani menti brillanti da ogni angolo del pianeta stanno ridisegnando il futuro delle tecnologie spaziali con idee audaci e soluzioni fuori dagli schemi. Un esempio perfetto di questo fermento creativo è il #T-TeC 2024, il prestigioso concorso tecnologico organizzato da Leonardo e Telespazio, giunto quest’anno alla sua sesta edizione.

La premiazione si è tenuta nella suggestiva cornice della diciassettesima European Space Conference a Bruxelles. L’evento ha visto la partecipazione record di 29 team provenienti da 26 università di 10 Paesi diversi, tra cui Italia, Regno Unito, Francia, Spagna, Argentina, Perù, Cina e India. Due le categorie principali del concorso: Idea e Prototipo, destinate rispettivamente a concetti visionari e progetti già in fase avanzata di sviluppo.

I vincitori si sono distinti per innovazione e sostenibilità, confermando quanto il futuro dello spazio sia legato a doppio flo con le tecnologie verdi. Nella categoria Idea, il primo premio è andato all’Optoelectronics Laboratory del Politecnico di Bari per il progetto “LiNbO3-based Photonic FFT Processor”: un proces-

sore ottico che sfrutta la tecnologia al niobato di litio, potenzialmente rivoluzionario nell’elaborazione dei dati satellitari. Per loro, oltre al premio in denaro di 5.000 euro, anche un programma di pre-incubazione con cesah GmbH.

Sempre nella categoria Idea, un altro progetto ha attirato l’attenzione della giuria: “GHOST” dell’Università di Southampton, un innovativo sistema per il tracciamento di oggetti in orbita geostazionaria che non richiede manovre da parte del satellite ospitante. Anche per questo team si apre l’opportunità di un programma di pre-incubazione.

Passando alla categoria Prototipo, il primo premio è stato assegnato al Politecnico di Torino per “ASTRO”, un sistema di formazione satellitare ottimizzato per radar ad apertura sintetica. Il team ha ricevuto 10.000 euro e l'accesso a un programma di accelerazione con Seraphim Space Camp Accelerator. Al secondo posto, con un premio di 6.000 euro, si è classifcato “P³ANDA”, un innovativo sistema per l'acquisizione di immagini pancromatiche, frutto della collaborazione tra l’Università di Napoli Federico II, l’Università della Campania Luigi Vanvitelli e il Politecnico di Milano. Il terzo premio è stato assegnato al progetto “ARDITO” del Politecnico di Torino, che ha presentato un rover modulare e sostenibile per future missioni lunari e planetarie. Il team ha portato a casa un premio di 4.000 euro.

Un riconoscimento speciale, il Test-It Award, è andato al progetto “RAYSILIENCE” delle Università Sapienza e LUISS Guido Carli, entrambe di Roma. Il sistema sviluppato permette la navigazione autonoma dei droni in assenza di segnale GNSS. Per loro, un fnanziamento da Leonardo per lo sviluppo di un Proof of Concept.

Tra le menzioni speciali spiccano due progetti focalizzati sulla sostenibilità: “Making the future of Space Exploration sustainable with a circular economy system”, presentato da studenti della Universidad de la Sabana (Colombia), e “NO2ACID”, ideato da un team internazionale di studenti provenienti da Università di Polonia e India, che propone un pallone troposferico per ridurre la concentrazione di biossido di azoto nell’atmosfera.

Il #T-TeC è il prestigioso concorso tecnologico organizzato da Leonardo e Telespazio. La premiazione alla European Space Conference a Bruxelles.

Durante la cerimonia di premiazione, Gabriele Pieralli, Amministratore Delegato di Telespazio, ha sottolineato l'importanza del concorso come occasione per valorizzare la creatività e la visione dei giovani talenti. Massimo Claudio Comparini, Managing Director della Space Division di Leonardo, ha evidenziato come il #T-TeC contribuisca a creare un ponte tra le idee innovative dei giovani e le grandi sfde del settore spaziale. «Non vediamo l’ora di conoscere non solo i progetti, ma anche le menti brillanti che li hanno ideati», ha dichiarato.

Il #T-TeC 2024 conferma, dunque, il suo ruolo come catalizzatore di innovazione nel settore spaziale. Sostenuto da agenzie come ESA, ASI, UKSA ed AEE (l’Agenzia spaziale spagnola), e da associazioni aerospaziali come AIDAA, SGAC e CEAS, il concorso rappresenta un punto di riferimento per i giovani innovatori e un trampolino di lancio verso un futuro sempre più sostenibile e tecnologicamente avanzato. L'appuntamento, come sottolineato da Pieralli a chiusura della cerimonia di premiazione, è già fssato per la settima edizione, con la promessa di nuove idee pronte a rivoluzionare il panorama spaziale.

Orbita bassa: le vie per uno spazio sostenibile

Con l’aumento vertiginoso delle attività nello Spazio da parte di un numero crescente di operatori governativi e privati di tutto il mondo, l’argomento sostenibilità diventa sempre più centrale. Alcuni numeri fanno immediatamente capire quanto lo scenario stia cambiando in questi anni, in modo drastico e veloce. All’alba del millennio si lanciavano circa un centinaio di satelliti l’anno, ma nel 2013, di colpo, il numero è raddoppiato ed è continuato a salire fino a superare i mille nel 2019. Il 2024, come i tre anni precedenti, ha visto un nuovo record di lanci, la media è stata di un lancio ogni 34 ore. La massa totale portata in orbita è il 40% in più di quella del 2023 (dati di Space Report). L’84% dei nuovi satelliti è finito in orbita bassa, quella più esposta alla Sindrome di Kessler, una proiezione matematica che prevede l’impossibilità in futuro di usare determinate orbite perché affollate da detriti che si scontrano e frantumano, in un pericoloso effetto a cascata. L’orbita LEO è oggetto di attenzione da parte delle istituzioni internazionali. Per evitare rischi, vari organismi, a partire dalla Commissione delle Nazioni Unite sull'Uso Pacifico dello Spazio Extra-atmosferico, hanno indicato numerose linee guida per mitigare il progressivo congestionamento delle orbite, ottenendo l’adesione delle agenzie spaziali. Queste ultime sono anche impegnate in programmi individuali per minimizzare l’impatto ambientale dei voli spaziali e mantenere le orbite pulite e sicure.

di Gianluca Liorni

Uno dei primi test dello Zhuque-3 Vltl-1, della cinese LandSpace. La Cina ha intenzione di dotarsi di una nuova classe di lanciatori interamente riutilizzabili entro il 2030, data prefssata per la spedizione dei primi taikonauti sulla Luna Crediti: LandSpace

La questione più urgente: i detriti

Attualmente, il sistema più praticato per evitare che l’orbita bassa si afolli di space debris è quello di far ricadere in atmosfera, in maniera del tutto controllata e sicura, i satelliti dismessi e i serbatoi scarichi dei razzi. Senza un’ulteriore azione, i satelliti, una volta consumato tutto il propellente a bordo e spenti, restano in balìa del naturale freno atmosferico. In orbita bassa, più l’oggetto è lontano, più è lento a scendere: dieci anni per un satellite posto a quattrocento chilometri dalla Terra, due secoli se la distanza è doppia, mille anni se si trova a mille chilometri. Tempi lunghissimi che NASA, ESA, JAXA, ISRO e altri partner hanno deciso di ridurre siglando nel 2023 un accordo che le impegna a deorbitare qualsiasi satellite entro venticinque anni dalla fne delle attività. Se si trova oltre i quattrocento chilometri, deve conservare carburante per scendere di quota e dimezzare i tempi di rientro. Lo stesso accordo prevede anche l’adozione di sistemi per limitare l’attraversamento incontrollato degli strati bassi dell’atmosfera, ad esempio montando appendici o ali mobili per correggere la traiettoria verso zone sicure.

Si stanno anche testando velivoli in grado di recuperare i rottami direttamente in orbita, usando reti o

bracci robotici. Già nel 2017, NASA ed ESA ritenevano urgente il recupero in orbita di almeno 5-10 grandi rottami l’anno, per riportare lo Spazio a livelli sostenibili.

La soluzione migliore

Il recupero e riutilizzo dell’intero razzo, inaugurato in modo rivoluzionario da Starship di SpaceX, ha dimostrato che per evitare la generazione di debris, la migliore via per aggirare il problema dei detriti è quello di non crearli afatto. Un modello ecologico ed economicamente vantaggioso su cui stanno lavorando tutti i costruttori del mondo, fnanziati con fondi pubblici e privati.

Si può fare lo stesso con i satelliti, come ambisce l’ESA con la Zero Debris Charter, importante iniziativa che mira all’azzeramento della produzione di detriti entro il 2030. Per riuscirci, l’agenzia ha stilato un programma di regole da osservare che riguarda la non tossicità dei materiali usati, la protezione dalle collisioni, la gestione planetaria del trafco orbitale, il rientro controllato.

L’accordo è stato siglato da 160 aziende del settore Spazio, tra cui colossi come Thàles Alenia Space

e Airbus Defence and Space. Un altro metodo per evitare di creare nuovi detriti è la manutenzione e l’assistenza dei satelliti attivi, intervenendo mentre sono in orbita. Riparare i guasti, fornire carburante, aggiornare la strumentazione a bordo: è il cosiddetto In-Orbit Servicing che punta ad allungare la vita operativa di un satellite, poterli ricollocare in orbita secondo necessità, rifornirli di propellente, de-orbitarli, e potenzialmente fno a fornirgli capacità aggiuntive, manutenerli e assemblarli in orbita. Le agenzie spaziali sono al lavoro anche in questa direzione. La NASA nel 2026 lancerà l’OSAM-1, nel tentativo di rifornire di carburante il vecchio Landsat 7, lanciato nel 1999.

L’ESA invece, oltre alla missione ClearSpace, sta sviluppando in un programma a guida italiana con D-Orbit capofla, cofnanziato dall’industria, la prima missione di servizio commerciale ad un satellite in orbita geostazionaria.

L’Agenzia Spaziale Italiana invece sta sviluppando nell’ambito del PNRR con un consorzio industriale capitanato da Thales Alenia Space Italia, con AVIO, D-Orbit, Leonardo e Telespazio la prima missione dimostrativa nazionale di in-orbit servicing, volta a sviluppare un ampio portfolio di servizi in orbita bassa e le relative tecnologie di interoperabilità

Una ricostruzione artistica della missione dimostrativa nazionale di In-Orbit Servicing, in corso di sviluppo nell’ambito del PNRR italiano. Crediti: ASI / Thales Alenia Space Italia, Avio, D-Orbit, Leonardo, Telespazio

spaziale autonome. Al contempo, l’ASI ha da tempo avviato una roadmap di sviluppo di cubesat, fnanziando, tra gli altri, lo sviluppo di Iperdrone.0, un agile cubesat lanciato ad agosto del 2024, di supporto e capace di avvicinarsi ai velivoli in orbita e di ispezionarli, permettendo agli operatori a Terra di verifcarne visivamente lo stato.

Dalle linee guida alle leggi

È opinione difusa che le regole di condotta esistenti, per quanto ben accolte e rispettate, non siano suffcienti a garantire un futuro sostenibile di utilizzo dello Spazio. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha suggerito di implementarle con politiche nazionali, tese a incentivare gli operatori del settore satellitare che adottano pratiche ecocompatibili, e scoraggiare, fno a sanzionare o vietare il lancio, chi non rispetta gli standard ambientali.

Gli Stati sono stati quindi invitati a dotarsi quanto prima di queste normative, ma l’obiettivo ultimo è la cooperazione internazionale con la frma di trattati che stabiliscano regole condivise, diritti e obblighi comuni all’interno di un quadro legislativo internazionale.

La nuova frontiera deL trasporto spaziaLe: i riutilizzabili

In molti ricorderanno le immagini dei Falcon che si schiantavano a terra durante i ripetuti tentativi di compiere un atterraggio morbido. Non erano in molti a credere, allora, che la via intrapresa da Musk potesse avere un futuro nel breve periodo e che nel giro di un decennio scarso il recupero e il riutilizzo dei vettori (o almeno parte di essi) sarebbe divenuto una consuetudine.

Inaugurato nel 2010, il razzo targato SpaceX nel 2015 è diventato il primo razzo riutilizzabile, con all’attivo più lanci di qualunque altro competitor e un alto livello di afdabilità.

E proprio in questi mesi assistiamo a immagini simili, con test in cui a disintegrarsi è il più potente veicolo spaziale mai costruito, Starship di SpaceX, e con un nuovo obiettivo: Marte. Starship è un lanciatore super pesante a due stadi completamente riutilizzabili. Attendiamo gli sviluppi.

La riusabilità dei razzi era già stata adottata nel 1981 per lo Space Shuttle. Due Solid Rocket Booster (SRB) fornivano la spinta principale al noto sistema di lancio

Starship. Crediti: SpaceX

della NASA, insieme con il grande serbatoio agganciato alla carlinga della navetta, i quali una volta esauriti, venivano rilasciati come parte non riutilizzabile del sistema. Lo spazioplano invece era riutilizzabile e ospitava a bordo gli astronauti consentendogli di uscire dall’atmosfera e rientrare a terra. Il programma, tuttavia, era troppo oneroso sia in termini di costi che di sicurezza e quindi si concluse nel 2011. Dagli albori della corsa allo spazio a oggi, gli obiettivi sono cambiati. Da scenario di sperimentazioni, lo spazio è ora un luogo sempre più necessario ed elemento tangibile della vita e dei servizi forniti giornalmente al cittadino, ai privati, alle istituzioni e non più solo scenario di esplorazione e sperimentazione. Un punto cardine per le Telecomunicazioni e l’Osservazione della Terra, un luogo in cui efettuare scienza di frontiera, ma anche una meta per turisti spaziali e futuri coloni.

Più che alla mera competizione, come accadeva all’inizio dell’era spaziale, le diverse agenzie mirano oggi a un proprio accesso autonomo allo spazio. In

un’epoca in cui i lanci sono ormai all’ordine del giorno, il traguardo è, oltre al primato tecnologico e di autonomia strategica, anche una maggiore sostenibilità sia economica che ambientale. Agli obiettivi segue la tecnologia. Per ridurre il costo delle missioni e prevenire per quanto possibile la formazione di detriti, le agenzie spaziali e le aziende private si stanno organizzando per il riutilizzo, in tutto o in parte, dei lanciatori.

Negli Stati Uniti SpaceX domina la scena nell’ambito della riusabilità e non solo. La famiglia dei vettori Falcon 9 ha all’attivo oltre 450 lanci con soli tre fallimenti; oltre a essere stato selezionato come lanciatore dalla NASA per i collegamenti con la Stazione Spaziale Internazionale per voli con a bordo gli astronauti e voli cargo, viene impiegato per mettere in orbita anche satelliti di aziende competitor. Dal 2015, con la terza versione del razzo, il Full Thrust, l’azienda ha dato il via al recupero del primo stadio. Con l’aggiunta di due booster e una capacità di carico circa tre volte il tra-

dizionale Falcon 9, tre anni dopo la stessa tecnologia è stata applicata al Falcon Heavy. A questi si afancherà in futuro Starship, un vettore spaziale super pesante a due stadi completamente riutilizzabili che SpaceX ha iniziato a testare dal 2023. I vettori di Musk utilizzano una tecnologia di rientro propulso: i motori frenano la discesa del razzo fno a eseguire un atterraggio verticale a terra o su piattaforma in mare. Nel 2015 è stata costruita appositamente una chiatta marina chiamata Autonomous spaceport drone ship

L’altra compagnia statunitense pronta con dei vettori riutilizzabili è Blue Origin di Jef Bezos, fondatore di Amazon. Il veicolo di lancio New Glenn è stato inaugurato con successo a gennaio 2025. Con una discesa controllata su una piattaforma mobile, il progetto prevede che il primo stadio possa essere riutilizzato fno a 25 volte. L’azienda Rocket Lab, di origine neozelandese e che dal 2013 opera negli Stati Uniti, è specializzata anch’essa nella produzione di razzi. Il suo lanciatore di punta, inaugurato nel 2017, si chiama Electron, monta propulsori Rutherford e trasporta satelliti di

Recupero di Electron con elicottero Sikorsky S-92.
Crediti: Rocket Lab

piccole dimensioni in orbita eliosincrona. Sviluppato prevedendo il riutilizzo del primo stadio, il recupero in mare tramite una nave è andato a buon fne in sette missioni programmate per il rientro su 62 lanci. Il primo successo è avvenuto nel 2020 con il 16esimo lancio: la missione si chiamava Return to Sender Rocket Lab ha messo in cantiere anche un nuovo lanciatore pesante, il Neutron, il lanciatore riutilizzabile, assemblato con motori Archimede, in grado di mettere in orbita carichi utili capaci di raggiungere anche il pianeta Venere. In futuro l’azienda punta a non far cadere il razzo in acqua, cercando di agganciarlo tramite un elicottero poco prima dell’atterraggio in mare. Nel 2022 è stato fatto il primo tentativo: dopo aver lanciato 34 satelliti, il primo stadio Electron della missione Tere and Back Again è stato agganciato correttamente dall’elicottero Sikorsky S-92. Tuttavia, un problema nella gestione del carico non rilevato nella fase dei test ha costretto i piloti a sganciare il vettore che è stato poi recuperato dopo l’ammaraggio.

Anche l’Europa si sta preparando per sviluppare le tecnologie dei sistemi di lancio riutilizzabili. Tra le principali industrie per lo sviluppo di razzi di tale classe si distingue la compagnia francese ArianeGroup. L’azienda, che già produce il vettore Ariane 6 ed è impegnata su diversi progetti, sta sviluppando, per conto dell’Agenzia Spaziale Europea, Themis, un dimostratore di stadio riutilizzabile che monterà i nuovi propulsori Prometheus. Questi motori di ultima generazione hanno la stessa potenza dei Vulcain, utilizzati fnora su Ariane 5 e Ariane 6, ma, oltre a puntare obiettivi di maggiore economicità, hanno la caratteristica di essere riutilizzabili e riaccendibili un numero rilevante di volte e modulabili in spinta, potendo così gestire un miglior rientro a Terra. Themis è fnanziato anche attraverso fondi della Commissione Europea nell’ambito del programma Horizon Europe con due programmi ancillari allo sviluppo di Themis e Prometheus (SALTO - reuSable strAtegic space Launcher Technologies & Operations e ENLIGHTENEuropean iNitiative for Low cost, Innovative & Green High Thrust Engine).

Costituita da ArianeGroup come sussidiaria, nel 2021 è entrata in gioco anche MaiaSpace, una società francese che ha lo scopo di realizzare piccoli lanciatori riutilizzabili. Il vettore Maia monterà i motori Prometheus che, nella versione riutilizzabile, saranno in grado di trasportare carichi utili fno in orbita eliosincrona (SSO).

Anche l’Italia, attraverso le attività nazionali e quelle fnanziate nell’ambito dei programmi dell’ESA, ha in corso una tabella di marcia per lo sviluppo di tecnologie di accesso e rientro dallo Spazio, sia attraverso sistemi di lancio che navette spaziali che sono in grado di rientrare a terra ed essere riutilizzate nuovamente. Tale piano vede lo sviluppo di lunga data delle tecnologie della propulsione ossigeno-metano, verso la riutilizzabilità del lanciatore, con lo sviluppo del mo-

Miura 5.

Crediti: PLD Space

Miura nex super heavy.

Crediti: PLD Space

Themis.

Crediti: ESA

tore High-Thrust Engine, che attraverso la capacità di accensione multipla e quella di modulazione della spinta, contempla applicazioni per lanciatori riutilizzabili di nuova generazione. A tale attività a livello di sistema propulsivo, si afancano le attività fnanziate con il PNRR, che prevedono la realizzazione di dimostratori di volo, con sperimentazione verso i sistemi di lancio riutilizzabili e lo sviluppo di alcune tecnologie chiave per la propulsione ossigeno metano. Entrambi i progetti vedono l’italiana Avio a capo di una fliera per la maggior parte italiana di aziende, la stessa Avio che è il primo contraente della famiglia di lanciatori Vega. A rendere l’Europa più competitiva c’è anche l’impegno di Germania e Spagna: l’azienda tedesca Rocket Factory Augsburg (RFA) sta sviluppando dal 2019 un razzo progettato per essere parzialmente riutilizzabile, l’RFA One. Il vettore, in grado di trasportare carichi utili in orbita terrestre media (MEO), riceve la spinta da nove motori (con una confgurazione simile al Falcon 9). Dopo l’esplosione e la perdita del primo stadio durante la prova di accensione nell’agosto del 2024, il

volo inaugurale è stato riprogrammato per il 2025. Un’ulteriore risposta europea al Falcon 9 viene dalla Spagna. Entro l’anno è previsto il debutto di Miura 5 dell’azienda PLD Space. Sospinto da cinque motori Teprel-C, invierà carichi utili in orbita eliosincrona. Per il rientro è previsto l’utilizzo di paracaduti per frenare la discesa in mare dove sarà poi recuperato. Il primo test di lancio della serie Miura è avvenuto con successo a ottobre 2023; tuttavia, il primo stadio non è stato recuperato ed è afondato dopo l’ammaraggio nell’oceano Atlantico.

I progetti per il futuro di PLD Space sono ambiziosi: oltre a voler sviluppare una capsula per astronauti al pari dell’antagonista europea ArianeGroup, la compagnia spagnola ha già in fase di progettazione razzi riutilizzabili in grado di lanciare carichi utili sulla Luna, ma anche su Marte. Miura Next, Miura Next Heavy e Miura Next Super Heavy saranno lanciatori con rientro propulsivo riutilizzabili fno a 20 volte. A seconda del carico avranno confgurazioni sia riutilizzabili che a perdere. Il Miura Next sarà pronto

entro il 2030. Il Miura Next Heavy, più potente, sarà corredato da tre booster. Il Miura Next Super Heavy, con quattro booster, sarà in grado di sostenere carichi che potranno raggiungere anche Marte seppur nella versione non riutilizzabile.

Anche India, Russia e Cina puntano a ridurre il costo dei lanci sviluppando nuovi vettori da riutilizzare. Il veicolo di lancio Amur è la versione evoluta della Soyuz-7. Presentato nel 2020, la Russia punta a un razzo parzialmente riutilizzabile entro il 2030. Il primo stadio potrà essere lanciato dalle 50 alle 100 volte con un rientro a terra su piazzole appositamente realizzate; non è previsto l’ammaraggio. I test sono programmati tra il 2025 e il 2028.

L’agenzia spaziale indiana ISRO mira invece a un razzo completamente riutilizzabile. Nel 2016 sono iniziati i test sul dimostratore RLV-TD (Reusable Launch Vehicle - Technology Demonstrator). Con una confgurazione simile a quella di un aereo, l’intento è quello di combinare sia la tecnologia dei veicoli di lancio che degli aerei: la navigazione autonoma, la guida e il controllo, il sistema riutilizzabile di protezione termica e la gestione del rientro.

In Cina, molte sono le aziende private impegnate sul fronte dei riutilizzabili. Galactic Energy ha in cantiere Pallas-1 e Pallas-2. Il primo, per cui è prevista l’inaugurazione entro il 2025, trasporterà carichi utili in orbita LEO; il secondo, più potente, è ancora in fase di assemblaggio, ma entro l’anno sono previsti i primi test. Zhuque-3 di LandSpace dovrebbe entrare in attività entro l’anno. i-Space (da non confondere con l’azienda giapponese iSpace che realizza lander lunari) ha completato nel 2023 i test sul razzo commerciale riutilizzabile SQX-2Y, i cui risultati hanno contribuito alla progettazione di SQX-3, un veicolo di lancio più potente da testare anch’esso entro l’anno. Nel 2027 entrerà in gioco anche Nebula-1 di Deep Blue Aerospace. Infne, Space Pioneer riproverà nuovamente a maggio a lanciare il razzo Tianlong-3, dopo il fallito tentativo dello scorso anno.

RLV-TD

Crediti: ISRO

Maia.

Crediti: MaiaSpace

Falcon 9.

Crediti: SpaceX

Intanto, mentre continua lo sviluppo del Lunga Marcia 9, un lanciatore potente almeno quanto Starship, la Cina combatte con i costi eccessivi. La versione 21 del super razzo, presentata appunto nel 2021, punta alla riusabilità in termini di motori montati in parallelo e sostituibili in caso di guasto per i lanci successivi. La tecnologia del secondo e terzo stadio è ancora in fase di sviluppo, ma in vista del piano congiunto con la Russia per la costruzione di una stazione lunare (ILRS) tra il 2031 e il 2035, la Cina prevede di far volare il potente Lunga Marcia 9 entro il 2030. Proprio dalla Cina arriva uno studio sull’ottimizzazione del rientro propulsivo di razzi riutilizzabili; pubblicato il 14 dicembre 2024 sul Chinese Journal of Aeronautics, gli ingegneri dell’Università di Pechino si sono concentrati sulla guida dei vettori in condizioni atmosferiche avverse durante la discesa a Terra.

WhakaPuta: lanciare razzi nello spazio (in lingua maori)

La Nuova Zelanda, grazie a Sir Peter Joseph Beck, conquista l’attenzione del mercato mondiale per l’accesso allo spazio.

Poco meno di due decadi sono bastate per trasformare l’economia neozelandese da agricola a tecnolo gicamente avanzata.

Il salto di qualità lo immagina Sir Peter Joseph Beck, 47 anni, ingegnere autodidatta che fonda nel 2006 la Rocket Lab, partner di spicco (e fertilizzante) per la nascita dell’Agenzia spaziale neozelandese, con la quale la compagnia statunitense, con diverse sedi nel mondo, tra cui in terra maori, stringe accordi determinando la svolta inattesa per il paese.

Sessantadue i lanci di successo di cui quattro nei primi mesi di questo anno; il razzo Electron di Rocket Lab è alto 18 metri, spinto da nove motori Rutherford con alcuni componenti stampati in 3D. Le piccole dimensioni del motore mettono insieme capacità di spinta, costi bassi e tempi di produzione veloci: uno in circa 24 ore. Electron, razzo di classe orbitale riutilizzabile, lancia carichi utili in orbita bassa fno a 300 chilogrammi e non resterà fglio unico: negli stabilimenti della Rocket Lab si sta sviluppando anche Neutron, razzo alto 43 metri e con capacità di lancio pari

Electron, piccolo razzo di classe orbitale riutilizzabile. Catturare e rilanciare il primo stadio di Electron consente una maggiore frequenza di lancio senza espandere la produzione e riduce i costi di lancio.

Crediti: Rocket Lab

a 13.000 chilogrammi, pensato per lo spiegamento di mega costellazioni, missioni nello spazio profondo e voli spaziali con equipaggio umano.

La sfda è la riutilizzabilità efciente con ritorno al sito di lancio. A novembre del 2024 Rocket Lab USA vince un contratto federale per la difesa da parte della US Air Force Research Laboratory (AFRL) per un valore fno a 8 milioni di dollari per presentare i processi di ingegneria e supportare lo sviluppo del nuovo motore a razzo riutilizzabile Archimedes per Neutron. La miscela di propellente criogenico di ossigeno liquido e metano è pensata per consentire una riutilizzabilità e prestazioni maggiori, dove molti dei suoi componenti critici, anche in questo caso, sono stampati in 3D, tra cui gli alloggiamenti della pompa turbo di Archimedes, i componenti del pre-bruciatore e della camera principale, gli alloggiamenti delle valvole e i componenti strutturali del motore.

Questo non è il solo contratto che la società di Beck ha sottoscritto. Con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per lo sviluppo di Neutron sono entrati

nelle casse dell’ingegnere autodidatta un contratto da 24,35 milioni di dollari con lo Space Systems Command (SSC) della US Space Force per lo stadio superiore del razzo, e un accordo di ricerca con lo United States Transportation Command (USTRANSCOM) che sta attualmente esplorando casi di utilizzo per il trasporto merci utilizzando il lanciatore Neutron.

Rocket Lab dispone di tre rampe di lancio in due siti diferenti: due rampe in un sito di lancio orbitale privato situato in Nuova Zelanda e una in Virginia. Il principale sito di lancio è il Launch Complex 1, presso la penisola di Mahia, nell’Isola del Nord della Nuova Zelanda, ma non resterà il solo sito di lancio. Nella fliera della produzione di razzi anche Haste, test elettronico suborbitale dell'acceleratore ipersonico che impiega la stessa innovativa struttura in composito di carbonio e gli stessi motori Rutherford dell'Electron. A diferenza di quest’ultimo ha però un terzo stadio modifcato per l'impiego del carico utile suborbitale, una maggiore capacità di carico utile fno a 700 kg e opzioni per carenature su misura per ospitare carichi utili più grandi.

Haste verrà lanciato dal Launch Complex 2 presso il Mid-Atlantic Regional Spaceport all'interno della Wallops Flight Facility della NASA in Virginia.

Il mercato lo premia: il patrimonio di Peter Beck, fondatore e ceo neozelandese della società, tocca per la prima volta in assoluto la cifra di 1 miliardo di dollari, secondo le stime di Forbes 2024. Nell’ultimo anno, la società, che sviluppa e lancia razzi, satelliti e altri veicoli spaziali per clienti governativi e commerciali, ha visto le sue azioni salire di oltre il 300%. La quota del 10% di Beck vale ora quasi 970 milioni di dollari. Il trimestre di quest'anno è stato quello con i ricavi più alti nella storia della Rocket Lab, con 106 milioni di dollari. «Questo aumento del fatturato del 71% anno su anno dimostra la forte e crescente domanda per i nostri servizi di lancio e prodotti per sistemi spaziali e, soprattutto, la capacità della nostra squadra di eseguirli», aferma Beck.

Una crescita sensazionale certamente sostenuta da molti contratti, compresa una proposta con la NASA per recuperare campioni da Marte e riportarli sulla Terra.

Peter Beck è ormai nella lista dei paperoni mondiali e la sua scelta vincente mescola capacità, intuizione, tanta ricerca e un’oferta chiavi in mano per servizi custom-made per chiunque voglia lanciare.

Sul sito della società anche una simulazione d’investimento: le azioni della Rocket dal 2021 al 2025 avrebbero avuto un rendimento totale pari a 93,77 %, dove l’investimento iniziale di 10mila dollari avrebbe reso fno a oltre 19mila dollari.

Electron negli stabilimenti della

Rocket Lab. La società sceglie di non usare la vernice bianca.

Crediti: Rocket Lab

Pur non avendo mai conseguito una laurea, Beck è un ingegnere pluripremiato. Ha ricevuto la medaglia d'oro dalla Royal Aeronautical Society, la medaglia al merito dalla divisione neozelandese della Royal Aeronautical Society, la medaglia Cooper e la medaglia Pickering dalla Royal Society of New Zealand. Inoltre, in riconoscimento degli eccezionali contributi di Sir Peter all'industria aerospaziale, all'imprenditorialità e all'innovazione tecnica, è stato nominato professore associato di ingegneria aerospaziale dall'Università di Auckland. È stato nominato Cavaliere Compagno dell'Ordine al merito della Nuova Zelanda per i servizi resi all'industria aerospaziale, alle imprese e all'istruzione nel 2024.

Ciascun individuo fa la diferenza nel mondo. Per la Nuova Zelanda Sir Peter Joseph Beck è la risposta che la terra dei maori aspettava da tempo.

«Il coinvolgimento della Nuova Zelanda nello spazio è cresciuto in modo signifcativo negli ultimi dieci anni, passando da una nazione senza capacità di lancio orbitale a terza nel mondo nel 2024 per numero di lanci annuali fno ad oggi» dichiara Judith Collins, ministro per lo spazio, per il New Zealand Space and Advanced Aviation Strategy 2024–2030.

Novaeka: costruzioni e servizi un outlook per il 2025 appena iniziato

di Redazione

Gli obiettivi che Novaeka si è prefssata nel 2024 sono stati raggiunti e superati.

Ci presentiamo quest’anno al meglio, dopo aver lavorato molto sui nostri processi.

Gli obiettivi che la nostra azienda si prefgge per il 2025 sono:

• essere progettisti e costruttori di componenti di volo

• realizzare e consegnare, come system integrator, sistemi e sottosistemi per le basi di test dei motori a razzo

• partire con un progetto di costruzione di “qualcosa di proprio”

• partecipare a commesse importanti e strategiche per il nostro paese

• essere più internazionali

Lo scorso anno Novaeka ha stretto rapporti con le istituzioni e con le nostre corporate per il settore aerospaziale, facendo conoscere le nostre potenzialità. Di fatto abbiamo creato un’identità che ad oggi è

riconosciuta non solo nel nostro paese, ma in Europa. I primi mesi di quest’anno saranno densi di incontri e pianifcazioni.

Essere stati selezionati al challenge indetto da Innovit a San Francisco, ci ha permesso di fare un secondo passo in US, un territorio molto dinamico. Ce ne stiamo accorgendo in questo periodo.

Dinamico e anche confuso nel breve termine. Non si capiscono ancora le politiche che verranno adottate. Mentre il morale europeo è basso, quello statunitense viaggia a forte velocità.

Sono in corso collaborazioni e incontri importanti e l’Italia sta facendo un ottimo lavoro. In Europa c’è molto stress a riguardo. Lo si evince dalla lettera aperta che società importanti europee (aerospaziali) hanno inviato ad ESA, perché sentono un gap importante da colmare rispetto all’oriente e all’occidente sia come investimenti sia in termini di tempo per creare tecnologie già utili oggi.

Novaeka si propone di collaborare per snellire dei processi e costruire ciò che richiederebbe anni e costi importanti. Lo stiamo facendo in Italia, costruendo dei sistemi per la prova di turbopompe e serbatoi

utili ai prossimi motori a razzo. Lo stiamo facendo in Francia con una test facility “moderna”, ed in Spagna con l’avvio di un nuovo progetto sfdante, proprio in termini di costi e un po' anche di tempi.

In questa occasione, con Spazio 2050, vi raccontiamo un'altra parte di Novaeka.

Nel nostro contesto specifco (progettazione di impianti) i progetti coinvolgono una grande quantità di dati disseminati in una moltitudine di documenti sempre in evoluzione, con requisiti che cambiano molto velocemente.

Il nostro team scientifco lavora per far sì che gli ingegneri progettisti si occupino solo del lavoro ad alto valore aggiunto, automatizzando le parti ripetitive, time-consuming ed error-prone.

Questo viene fatto sia attraverso l’utilizzo di tool sviluppati in casa, sia attraverso l’utilizzo di strumenti largamente difusi nel mondo dello sviluppo software ma poco applicati in quello dell’ingegneria. Abbiamo sviluppato un tool per la gestione automatica delle revisioni e delle versioni dei documenti rilasciati a clienti e fornitori, così da evitare il tracciamento manuale. Lo strumento gestisce anche la pipeline di

rilascio della documentazione di progetto, automatizzando alcuni passaggi (come la generazione di pdf a partire dai fle editabili) e generando automaticamente indici, registri revisione ed altri documenti accessori utili alla consultazione del progetto.

Abbiamo sviluppato un tool per generare in automatico tech spec di componenti commerciali (nei nostri progetti ne abbiamo tantissime) a partire da una base dati strutturata ma molto fessibile, che gli ingegneri possono produrre attraverso script python o semplicemente con calcoli su Excel.

L’idea è eliminare il procedimento tedioso e privo di valore aggiunto di ricopiare dati tecnici provenienti da simulazioni e calcoli all'interno di fogli di tech spec dal layout poco fruibile.

Sempre legato alla gestione delle tech spec, abbiamo introdotto il versionamento automatico dei dati, in modo da tracciare in automatico i cambiamenti nella documentazione.

Negli impianti che progettiamo un elemento fondamentale è la logica di automazione: valvole, pompe ed altri elementi attivi devono essere azionati automaticamente da processi implementati nel sistema di supervisione dell’impianto, non possono essere lasciati al comando manuale di un operatore perché richiedono tempi di attuazione molto veloci e molto precisi, oltre a loop di controllo su letture di sensori che devono essere attivati o disattivati in base alla procedura operativa che si sta eseguendo.

Abbiamo sviluppato un tool grafco che consente agli ingegneri di programmare le sequenze di controllo direttamente sul P&ID dell’impianto, verifcando in modo visuale la correttezza dell’algoritmo di controllo.

Tutti i dettagli necessari all’implementazione vera e propria del software di controllo sono generati in automatico senza bisogno di intervento da parte dell’ingegnere.

Stiamo pensando di sviluppare una piattaforma web nella quale clienti e fornitori avranno accesso alla documentazione di progetto, sempre aggiornata, con piena tracciabilità della storia di ogni singolo documento.

Stiamo pensando di sviluppare un tool per la gestione dei requisiti e la tracciabilità delle conseguenze che ciascun requisito ha sui dati di progetto: lo scopo è rendere quanto più veloce possibile l’identifcazione delle informazioni di progetto impattate da un eventuale cambio di un requisito.

IN VETRINA

Il lIbro

Il vIaggIo dI MIchael collIns verso la conquIsta della luna

Viene considerata la miglior autobiografa mai scritta da un astronauta. Se l’autore poi ha partecipato alla missione Apollo 11, quella che portò nel 1969 i primi uomini a camminare sul suolo selenico, il libro è da considerarsi davvero un cult. Esce fnalmente in italiano per l’editrice Cartabianca “Carrying the Fire”, il libro scritto nel 1974 da Michael Collins, astronauta della NASA famoso nel nostro Paese, oltre che per aver viaggiato verso la Luna con l’Apollo 11, per essere nato a Roma nell’ottobre del 1930 quando suo padre era addetto militare presso l’Ambasciata americana. In questa sua opera prima Collins racconta, in maniera ironica e molto spesso divertente, la sua vita avventurosa vissuta indossando dapprima la divisa di ufciale dell’Aviazione militare americana, come pilota collaudatore, per poi passare alla tuta spaziale per le missioni Gemini X e Apollo 11, arrivando infne agli abiti civili dapprima come Assistente del Segretario di Stato per gli Afari Pubblici e infne come primo direttore del Museo dell’Aria e dello Spazio di Washington. Selezionato dalla NASA nel 1963, Mike Collins si è trovato a diventare astronauta negli anni d’oro dello spazio, ossia quando era in pieno svolgimento la “guerra fredda” contro l’Unione Sovietica per la conquista della Luna e ogni missione aveva un alto rischio di fallimento. Piena di curiosità la parte del libro dedicata alla prima missione, la Gemini X, quando Collins racconta le difcoltà della sua attività extraveicolare, ossia la passeggiata fuori della capsula, e del profondo rammarico per aver perso la macchina fotografca con la quale aveva immortalato la sua uscita. Profonde anche le rifessioni personali che l’astronauta fa quando i suoi due compagni di Apollo 11, Neil Armstrong e Buzz Aldrin, si sganciano dal modulo Columbia per dirigersi verso la Luna a bordo del modulo lunare

L'appassionata autobiografa dell'astronauta di origini italiane, pilota del modulo di comando apollo 11, scomparso nel 2021 all'età di 90 anni

titolo:

Carrying the Fire

Il mio viaggio verso la Luna

autore: Michael Collins

editore: Cartabianca Publishing anno edizione: 2023

Pagine: 462

Prezzo: 25 euro

In versione ePub/ Mac: 11,99 euro

Eagle. Nelle sue frasi c’è l’angoscia provata nel volare intorno alla Luna non per la solitudine che avrebbe incontrato, ma per la paura di dover tornare solo verso la Terra qualora fosse successo qualcosa ai suoi colleghi. Fortunatamente tutto andò secondo i piani previsti e, una volta ammarati nell’Oceano Pacifco e recuperati dalla portaerei Hornet, l’astronauta tornò nella capsula mezza bruciacchiata per ispezionarla e una volta dentro scrisse su una parete: “Veicolo spaziale 107, alias Apollo 11, alias Columbia. La nave migliore della serie. Dio la benedica. Michael Collins CMP ” dove CMP sta per Command Module Pilot. Quasi una forma di gratitudine verso una capsula spaziale che per otto giorni l’aveva portato lontano, fn oltre la Luna, ospitandolo insieme ai suoi pensieri e alle sue rifessioni. Un volume di quasi 500 pagine suddiviso in 14 capitoli che si leggono con passione e dove traspare un lavoro di traduzione molto complesso e certosino, considerando che la casa editrice americana nel concedere l’autorizzazione ha imposto che il libro in italiano fosse il più fedele possibile all’originale per non far perdere il profondo signifcato personale che l’autore ha dato alla sua scrittura. Un testo immancabile per ogni appassionato della conquista spaziale perché si tratta di una diretta testimonianza che arriva da colui che la Storia l’ha realizzata in prima persona.

SPACE FOR LIFE

CREDIAMO NELLO SPAZIO COME NUOVO ORIZZONTE DELL’UMANITÀ PER COSTRUIRE UNA VITA SULLA TERRA MIGLIORE E SOSTENIBILE.

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