#1 Controcorrente

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Le realtà celate fra i libri

La famosa invasione in Sicilia

Il racconto di Alice

La regina dei tabù

Amélie nel paese delle meraviglie

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Editoriale

Nolite te bastardes carborundorum

6-7

Gli orsi ci insegnano il rispetto per la vita

4-5

La rivincita degli scacchisti

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CORSO

Design della comunicazione visiva a.a. 20/21

MATERIA

Grafica editoriale

DOCENTE

Marco Lo Curzio

PROGETTO GRAFICO

Alessia Cavallaro, Federica Alparone, Giorgia Bonanno, Federica Castro

CASA EDITRICE

Panzine Edizioni

ILLUSTRAZIONE COPERTINA

Ofra Amit

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Vent’anni di Liccamuciula

EDITORIALE

Il nostro progetto nasce dalla volontà di affrontare e approfondire alcuni temi, trattati all’interno di una selezione di libri, a volte un po’ scomodi ed insoliti, con il rischio di risultare una voce fuori dal coro, appunto Controcorrente

AIWS La sindrome di Alice
10-11
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Collana Panzine Edizioni
12-13
3 CONTROCORRENTE

GLI ORSI CI INSEGNANO IL RISPETTO PER LA VITA

Cosa l’ha colpita di più del libro di Buzzati?

La sua capacità di raccontare, il modo di lavorare con le metafore, le fiabe, la fantasia e il mistero. L’atmosfera di attesa, di tensione. Si tratta di un racconto per bambini ma si percepisce subito che si parla della guerra, della dittatura e sullo sfondo c’è una Sicilia con la voglia di rivalsa, i suoi paesaggi straordinari, la capacità della gente di ricostruire una nuova identità sociale. Con la sua capacità di raccontare la realtà evocandola, come accade nelle fiabe. Buzzati mi ha evidentemente influenzato con le sue forme pittoriche, i paesaggi metafisici, mi ha dato la possibilità di creare un racconto filmico universale”.

Nel suo film dà parecchio spazio all’espressionismo.

“Diciamo che la mia natura è espressionista, ma col tempo sono divenuto molto più simbolista, metafisico. In ogni caso, molte sono le opere che mi hanno influenzato una di queste è il libro di Buzzati, nei suoi disegni si percepisce la capacità di far sviluppare nel lettore l’immaginazione. Inventa, cerca, crea, è questo che ha colpito la mia attenzione. Al pubblico voglio dare la possibilità di evocare e arricchire il proprio immaginario, la propria visione personale”.

Quali sono i suoi riferimenti cinematografici?

“Il cinema indipendente americano, Fellini, Pasolini. Quando ho visto “Amarcord” ho ritrovato la mia cultura, la mia famiglia viene dalla pianura e tutto quello che accade in Amarcord ce l’abbiamo nella pelle. In fondo amo tutto il grande cinema visionario ma anche Coppola di Apocalypse Now ma anche Wong Kar-wai, che ho conosciuto e con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Di lui amo molto “In The Mood For Love”, un film contemplativo, quasi ipnotico”.

Come mai ha ritenuto necessaria la presenza di un narratore?

“C’era bisogno di un filo conduttore, abbiamo inventato noi i personaggi di Gedeone ed anche quello del Vecchio Orso. Sono molto orgoglioso del ruolo di Andrea Camilleri, mi piaceva molto l’idea del “cantastorie” siciliano, ci ha permesso di riassumere alcuni punti e fare dei salti nella narrazione, i disegni di Buzzati mi hanno aiutato molto, il libro contiene delle bellissime idee grafiche che ho poi utilizzato nel film. Lo abbiamo realizzato in 2D cercando di rendere l’effetto del 3D negli sfondi, nelle atmosfere, in maniera grafica e poetica, a me interessava soprattutto evocare una grande sensazione di profondità”.

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“La famosa invasione degli orsi in Sicilia”, quando la Sicilia è lo sfondo di una fiaba
L’intervista al regista Lorenzo Mattotti.
#CONTROracconto CONTROCORRENTE scena tratta dal film La famosa invasione degli orsi in Sicilia
“Buzzati risulta sempre pieno di magia, di mistero e a volte di un’atmosfera cupa”

La famosa invasione in Sicilia

Migranti: Unhcr, 500 vittime nel 2021 (+200%) Oltre 10.400 gli arrivi (+170%)

Finora nel 2021 almeno 500 persone hanno perso la vita cercando di compiere la pericolosa traversata in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale, rispetto alle 150 dello stesso periodo del 2020, un aumento di oltre il 200%. L’incidente più grave finora di quest’anno è avvenuto il 22 aprile, quando un naufragio ha causato la morte di 130 persone. Mentre gli arrivi totali in Europa sono in calo dal 2015, gli ultimi sbarchi portano il numero di arrivi via mare in Italia nel 2021 a oltre 10.400, un aumento di oltre il 170% rispetto allo stesso periodo del 2020. Sono i dati riferiti oggi da Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), parlando dal porto di Trapani, in Sicilia, mentre stanno assistendo allo sbarco di oltre 450 persone, tra cui 180 bambini, salvati dalla nave della Ong Sea Watch. “Questa tragica perdita di vite umane sottolinea ancora una volta la necessità di ristabilire un sistema di operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale coordinato dagli Stati”, afferma Sami. Dalle prime ore di sabato 1° maggio sono sbarcate in Italia circa 1.500 persone soccorse dalla Guardia Costiera ita-

liana e dalla Guardia di Finanza o da Ong internazionali nel Mediterraneo centrale. La maggior parte delle persone arrivate è partita dalla Libia a bordo di imbarcazioni fragili e non sicure e ha lanciato ripetute richieste di soccorso. La maggior parte delle persone arrivate proviene dal Mali e dal Sahel/Africa occidentale, dall’Eritrea e dal Nord Africa. L’Unchr ricorda che i movimenti verso l’Europa rappresentano solo la punta dell’iceberg. La maggior parte rimane vicino a casa, come gli oltre 5,4 milioni di rifugiati e sfollati interni nei Paesi del Sahel. Secondo le statistiche globali dell’Unhcr, l’80% delle persone che sono costrette a fuggire rimangono nella loro regione d’origine. Unhcr sollecita la comunità internazionale a “fare di più per rafforzare la protezione delle persone che viaggiano lungo questa rotta e per fornire alternative sicure a questi viaggi pericolosi e disperati. I percorsi legali come i corridoi umanitari, le evacuazioni, il reinsediamento e il ricongiungimento familiare devono essere ampliati”. (P.C.)

Lo sapevi che…

Dino Buzzati non ha mai trascurato la sua forte passione per la scrittura tanto che sin dalla sua gioventù tiene sempre con sé un’agenda dove è solito appuntare le riflessioni ed episodi della sua vita. Anche il giornalismo rientra tra le sue passioni. Infatti, nel 1928, prima ancora di portare a termine gli studi in legge, entra a far parte del “Corriere della Sera” nel ruolo di praticante. Una volta laureato, inizia a collaborare con il settimanale “Il popolo di Lombardia”. Negli anni seguenti diventa sostituto per un breve periodo di Leonardo Borgese, svolgendo il ruolo di critico d’arte del “Corriere”. Successivamente collabora anche con “Domenica del Corriere”, dove si dedica prevalentemente ai titoli e alle didascalie. Tuttavia, Dino Buzzati si è sempre interessato anche alla pittura e all’illustrazione, tanto che i suoi disegni vengono sin da subito apprezzati dal pubblico in alcune esposizioni.

Dino Buzzati La famosa invasione degli orsi in Sicilia Panzine Edizioni
#BUZZATI
Dino Buzzati La famosa invasione degli orsi in Sicilia Panzine Edizioni pagg. 136 € 9,00 ©The Spectator

NOLITE TE BASTARDES

CARBORUNDORUM

“Non lasciare che i bastardi ti schiaccino”

Margaret Atwood: come è arrivata a scrivere il racconto dell’ancella. La storia di origine di un romanzo iconico

Pubblicato in italiano da Ponte alle Grazie col titolo “Il racconto dell’ancella”, vanta trasposizioni a teatro, al cinema e, più recentemente, televisive: la serie di Hulu, “The Handmaid’s Tale”, è stata una delle più discusse lo scorso anno e, proprio in occasione dell’uscita della seconda stagione, la scrittrice canadese ha raccontato come ha scritto il suo capolavoro. Atwood racconta di avere iniziato a lavorare al libro nella primavera del 1984, quando viveva a Berlino Ovest. In un primo momento il titolo di lavorazione era Offred (cioè “Di Fred”, il nome della protagonista, una schiava chiamata così perché il suo padrone si chiama Fred). L’autrice dice di avere pensato al titolo The Handmaid’s Tale dopo avere scritto le prime 150 pagine, nel gennaio del 1985. In quegli anni Atwood teneva un diario: «Ricordo che scrivevo a mano, poi trascrivevo a macchina, e dopo ancora scarabocchiavo sulle pagine stampate, a questo punto le passavo a un dattilografo professionista: nel 1985 i personal computer erano ancora una novità». All’inizio del 1985 si trasferisce in Alabama, dove dirige un Master di scrittura. È stato in quel periodo che Atwood ha concluso il romanzo. Il libro è uscito in Canada nell’autunno dell’85, poi negli Usa e in Gran Bretagna nel febbraio dell’anno successivo. Nel pezzo l’autrice non racconta esattamente dove abbia preso l’ispirazione per la Repubblica di Gilead, la teocrazia cristiana fondamentalista che nel suo romanzo sorge sulle ceneri degli Stati Uniti. Però Atwood spiega che l’idea di Gilead nasceva anche dalla constatazione che «le nazioni

non costruiscono mai governi totalitari su fondamenta che non esistono già». A differenza delle repubbliche europee nate dagli ideali dell’Illuminismo, prosegue Atwood, gli Usa trovano le loro radici storiche nel puritanesimo del diciassettesimo secolo ed è per questo che un regime totalitario lì prenderebbe la forma di una teocrazia, almeno secondo lei. La scrittrice poi ribadisce un concetto già noto, cioè la sua determinazione a non inventare nulla gratuitamente: «Mi sono data una regola, non includere nulla che gli esseri umani non abbiano già fatto in qualche luogo e in qualche epoca storica. Non volevo essere accusata di inventarmi cose al di là del potenziale umano per fare cose orribili, che già esistono». Inoltre Atwood respinge, anche se con toni pacati, l’idea di definire il suo romanzo «una distopia femminista». Non si tratta, spiega, «di una definizione strettamente accurata» perché «in una vera distopia femminista tutti gli uomini hanno più diritti delle donne». Gilead è invece «una tipica dittatura» dove i potenti di ambo i sessi dominano sugli oppressi, anche se all’interno delle singole classi gli uomini dominano sulle donne.

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1 #CONTROracconto CONTROCORRENTE
Ha iniziato la scuola solo a 11 anni.
Lo sapevi che…
©Eleni Kalorkoti

Il racconto di Alice

È lo slogan della campagna nazionale promossa dall’Uaar in favore della RU486, la pillola abortiva che evita il ricovero ospedaliero e l’operazione chirurgica. E a questa, Alice Merlo, la testimonial della pillola abortiva, ha prestato molto più di una firma e un volto: ha dato una storia, la sua storia.

Chi gliel’ha fatto fare?

«È stata una decisione facile. Già mentre stavo abortendo sentivo che avrei voluto trovare tempi e modi per parlare dell’interruzione volontaria di gravidanza, delle problematiche logistiche riscontrate e dello stigma intorno al tema».

Così a dicembre ha raccontato la sua storia con un post su Facebook.

«Dire “io ho abortito e sto benissimo” è un fatto rivoluzionario in una società che dopo più di quarant’anni continua a non garantire l’accesso a questo servizio sanitario. Sradica pregiudizi e stereotipi, combatte l’obiezione di coscienza. Da quel post ho ricevuto solo affetto e messaggi di supporto, liberatori».

Ma c’è chi «non l’ha presa proprio bene». Possibile che ci sia tanta violenza nel voler decidere per la vita degli altri?

«Credo che siano più violenti perché noi che chiediamo diritti non arretriamo di un passo. I nostri movimenti si coordinano e comunicano bene, anche sui social, perciò l’altra parte, quella che vive nel Medioevo, non può che rispondere con la violenza verbale e la disinformazione».

Quali commenti la feriscono di più?

«In realtà, quelli che vorrebbero essere dalla mia parte ma mi giudicano, mi spiegano come dovrei sentirmi e cercano di impormi il senso di colpa e di vergogna. Sono spesso cause perse, bigottismi che non puoi sanare con una risposta sui social».

Provocazione classica: possibile che una ragazza di ventisette anni non sappia evitare una gravidanza indesiderata?

«Questo è uno dei commenti moraleggianti che mi sento rivolgere più spesso. È evidente che dobbiamo portare avanti anche altre battaglie fondamentali come l’introduzione di percorsi seri e continuativi di educazione alla sessualità, a partire dalle scuole elementari, e la distribuzione gratuita dei contrac-

cettivi. Ma anche in questo caso ci sarebbero gravidanze indesiderate, perché gli errori si fanno e le sfighe capitano».

Quanto ci ha messo a decidere di abortire?

«Meno di quanto ci metto a decidere come vestirmi la mattina. Ho preso la RU486 e 48 ore dopo sono andata in day hospital per prendere le altre due pastiglie che facilitano l’espulsione dell’embrione. Subito dopo mi sono sentita sollevata, felice e grata».

E il suo lui?

«Non avevo una relazione con la persona in questione. Non l’ho semplicemente interpellato».

La famiglia? Gli amici?

«Ne ho parlato sempre con serenità in famiglia, con amici e colleghi. Quante persone, purtroppo, non possono fare lo stesso? Se ti trovi in una posizione di privilegio, e te la senti, devi usare la tua posizione per migliorare le cose, per abbattere stereotipi, per ottenere nuovi diritti». Cosa direbbe a una giovane ragazza spaventata, che scopre di essere incinta?

«Di non essere impaurita. Che non sarà mai sola perché la sorellanza di noi femministe la raggiungerà sempre, prima o poi. E di cercare la comunità Facebook di “IVG, ho abortito e sto benissimo”, una rete di persone che mi ha aiutata moltissimo nella mia formazione personale di attivista. Le cose non saranno così difficili per sempre, tra quarant’anni guarderemo all’obiezione di coscienza e agli anti-scelta come oggi guardiamo al matrimonio riparatore: una barbarie inconcepibile».

È stata fra le prime scrittrici a parlare di parità di diritti.

È una scrittrice prolifica e pluripremiata, ed innamorata dei fratelli Grimm.

È una donna attenta ai temi green.

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Margaret Atwood Il racconto dell’ancella Panzine Edizioni
“Aborto farmacologico, una conquista da difendere”
#ATWOOD
Ha trovato il suo vero amore solo in seconde nozze.
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Margaret Atwood Il racconto dell’ancella Panzine Edizioni pagg. 398 € 16,80 ©Eleni Kalorkoti

LA RIVINCITA DEGLI SCACCHISTI

Gli scacchi: un gioco tutt’altro che noioso

Correva l’anno 1983 quando uscì la penultima opera di Walter Tevis. Lo scrittore statunitense aveva infatti già all’attivo quattro apprezzati romanzi quando pubblicò “The queen’s gambit”, che ha conosciuto una nuova ondata di notorietà con il lancio su Netflix dell’omonima serie televisiva, facendolo rientrare addirittura nella classifica dei bestseller, dopo ben 37 anni dalla sua prima pubblicazione. Il titolo, tradotto in italiano con un più generico “La regina degli scacchi”, in realtà letteralmente si rifà all’apertura scacchistica del “Gambetto di donna”. La storia, al contrario di quanto si possa credere, è indubbiamente realistica: per questo Beth Harmon è un personaggio che non si dimentica facilmente. Non la si può scordare dopo avere affrontato insieme a lei, tra le pagine, le sue debolezze e ad avere tifato (ma in rigoroso silenzio) durante i suoi tornei più difficili. Il romanzo, così come la serie tv, dimostrano definitivamente (nel caso ce ne fosse ancora bisogno) che gli

Lo sapevi che…

scacchi rappresentano un gioco tutt’altro che noioso, circondando la scacchiera di un incredibile fascino anche agli occhi di chi non ne sa nulla, a chi si ferma all’arrocco e non ha mai ottenuto più di una patta e anche a chi non distingue gli alfieri dalle torri. Ad oggi si registra un boom di vendite per quanto riguarda scacchiere e pezzi e un aumento degli accessi ai portali telematici di scacchi, anche se sul mercato transalpino (uno dei più importanti per questa specifica disciplina sportiva), a sorpresa, cala il numero dei tesserati. Su scala globale il sito, però, ha visto addirittura passare i suoi utenti giornalieri da 30.000 a più di 110.000 al ritmo di 95.000 nuovi iscritti al giorno. Su chess.com è inoltre attiva la modalità “Gioca con Beth Harmon” che consente all’utente di mettersi alla prova sfidando un computer che replica le abilità della protagonista della serie Netflix a 8, 15, 17 e 20 anni.

La sua è una lettura che intrattiene ma anche di qualità. Scorre piacevolmente ma è in grado di soffermare la mente del lettore su questioni importanti. Come ogni vero autore, Tevis trasferì la sua esperienza di vita nei romanzi. Molti suoi personaggi, incluso quello di Elizabeth Harmon, la scacchista geniale, si comprendono del tutto solo conoscendo la vita di chi li ha creati. Si trattò di una vita segnata dalla malattia, dalla solitudine e dall’alcol. La solitudine e gli esami dolorosi sono tematiche ricorrenti nel suo romanzo più celebre, anche per via della versione cinematografica che vede nel ruolo del protagonista David Bowie, L’uomo che cadde sulla Terra. Storia di un alieno simile agli esseri umani pure se più alto, sottile e fragile e circondato da un’aura di solitudine. Crescendo, il senso di diversità non si attenuò e Tevis cercò rimedio nel bere, vizio che lo accomuna al suo alieno e al personaggio di Beth.

#TEVIS #CONTROracconto 8 CONTROCORRENTE
©Tatiana Trikoz

La regina dei tabù

Salute mentale nel 2021: ancora un tabù

Parlare di salute mentale, nel 2021, è ancora un tabù. Abbiamo chiesto un parere alla dottoressa Giovanna Schittino, psicologa e psicoterapeuta relazionale attiva a Palermo. Sui social “Wondertherapist”, lavora anche come formatrice e si occupa di temi legati all’adolescenza, alla legalità, alla prevenzione della violenza e del femminicidio.

La salute mentale è un diritto di tutti “Ci sono situazioni in cui le proprie difficoltà se non riconosciute si cristallizzano dando un senso di rigidità e rendendo più profondo il disagio. Alle volte resta deficitaria la nostra capacità di comprensione ma, con una lente adeguata e magari con le persone significative della nostra vita che ci fanno notare alcuni segni e sintomi, gli avvenimenti possono essere riletti in modo diverso e, rispetto ad essi, ci si può ritrovare ad intervenire più efficacemente con le proprie risorse rivolgendosi ad un clinico. Negare le difficoltà e non affrontarle può alla lunga compromettere il benessere soggettivo e la capacità di portare a compimento i propri obiettivi personali, sia in ambito relazionale che lavorativo e sociale. L’aiuto di uno psicologo psicoterapeuta può essere determinante in questo processo: può offrire uno spazio per narrarsi in maniera autentica, facilitando l’emergere di nuovi nessi e la valorizzazione delle proprie capacità, sperimentandone un’applicazione più efficace e funzionale. Quando andiamo da uno specialista medico non è inusuale pagare cifre che si aggirano intorno ai 200 euro per una singola visita. È vero che si tratta di un costo stabile nel tempo, perché c’è bisogno di un numero non pronosticabile in anticipo di sedute per lavorare sulle dinamiche intrapsichiche di un soggetto, ma è anche vero che i benefici a lungo termine sono tangibili e nella maggior parte dei casi stabili. Ci si può rivolgere anche ai servizi pubblici. Basta recarsi presso il centro di salute mentale della propria città per avere tutte le informazioni utili per avviare un percorso terapeutico con dei costi più contenuti”.

Il ruolo dei social Sono moltissimi i professionisti del settore che, negli ultimi anni, hanno saputo cogliere e sfruttare le potenzialità dei social in termini di sensibilizzazione e di divulgazione. Anche la dottoressa Schittino è molto attiva su Instagram e su Facebook con un progetto chiamato “Wonder therapist” che – attraverso video, foto e dirette – si ripropone di smantellare i tabù sulla salute mentale e di fare informazione con parole semplici e alla portata di tutti.

“Lo scopo è quello di fare sensibilizzazione sui temi della salute mentale e della psicologia – spiega la psicologa –. Credo fortemente nelle potenzialità della comunicazione con lo scopo di divulgare, educare, fare prevenzione, rispondere a dubbi e domande. Per questo ad esempio ho fatto un video in cui parlo del valore della psicoterapia

cercando di spiegare in maniera semplice ed esaustiva cosa significa andare da una psicoterapeuta. Parlo, inoltre, di temi legati all’accettazione del proprio corpo, di autostima, di cyberbullismo, di diritti umani perché credo che i social network utilizzati con intelligenza siano un mezzo efficacissimo per parlare con i giovani e con persone di ogni estrazione sociale, genere e provenienza”. Oggi, recarsi da uno psicoterapeuta – conclude la dott.ssa con un invito rivolto a tutti –, significa saper essere, vivere nel mondo con consapevolezza e affermando il proprio diritto alla salute in quanto uomini e donne che devono e possono godere di aiuto e supporto mirati. Salute mentale e salute fisica sono semplicemente due facce della stessa medaglia. Non può sussistere ancora la dicotomia mente-corpo, sarebbe irragionevole e aggiungerei inutile”.

Walter Tevis La regina degli scacchi Panzine Edizioni Walter Tevis La regina degli scacchi Panzine Edizioni pagg. 324 € 14,00 ©Anna Godeassi

AIWS

LA SINDROME DI ALICE

La sindrome di alice nel paese delle meraviglie: quando le dimensioni degli oggetti cambiano

Ispirata al famoso romanzo scritto da Lewis Carroll, la sindrome di Alice nel Paese delle Meraviglie è una importante patologia. Si tratta di una particolare malattia neuropsicologica che determina una distorsione della percezione della grandezza degli oggetti, ma anche della loro vicinanza rispetto all’osservatore.

Alice in Wonderland Syndrom

La sindrome di Alice nel paese delle meraviglie, detta anche AIWS, colpisce la vista, la sensazione, il tatto e l’udito, comportando spesso l’insorgenza di mal di testa, nausea, agitazione. Dei sintomi più rari includono perdita del controllo delle braccia, errata coordinazione, perdita di memoria e acufeni, con instabilità emotiva. La caratteristica più importante di questa patologia è la distorsione visuale, visto che gli individui riferiscono una grave microsomatognosia o macrosomatognosia (percepiscono che il loro corpo sia rispettivamente più piccolo o grande del normale). Spesso ci si riferisce a questa sensazione con il termine di allucinazioni lillipuziane. Assieme a queste allucinazioni, si accompagnano poi la micropsia (condizione visiva anormale che si verifica solitamente nel contesto delle allucinazioni visive, per cui le persone affette vedono gli oggetti come se fossero più piccoli di come sono in realtà) e la macropsia (una condizione per cui invece le persone vedono tutto come se fosse più grande e largo del normale). Talvolta, si potrebbe addirit-

tura accompagnare a zoopsia, ossia a delle allucinazioni aggiuntive per cui la persona afferma di vedere piccoli o grandi animali, come topi e cani. Questa percezione è spesso condivisa con altre patologie come il delirium tremens.

Le cause della AIWS: chi è il responsabile?

Ancora oggi non è chiara la causa dell’insorgenza della patologia di Alice in Wonderland. Secondo alcuni scienziati, la AIWS potrebbe essere causata da una quantità anormale di attività elettrica cerebrale con risultante alterazione del flusso ematico nel cervello. Delle tecniche di imaging nucleare a base di tecnezio hanno dimostrato che l’AIWS si associa a una ridotta perfusione cerebrale in differenti regioni cerebrali. Un altro elemento fondamentale sembrerebbe essere l’emicrania, visto che potrebbero esserci delle distorsioni visive come risultato di un’ischemia localizzata e temporanea nelle aree del pathway visivo durante gli attacchi di emicrania.

#CARROLL Lo sapevi che…

La fotografia permise a Lewis Carroll, di coltivare una passione ben più controversa: quella per i bambini. Di fronte alle immagini delle ragazzine discinte che amava ritrarre, furono in molti a farsi l’idea che fosse un pedofilo represso. Ma riuscì a destreggiarsi abilmente senza mai oltrepassare la linea dello scandalo. La sua vera ossessione fu Alice Liddell, figlia del rettore del Christ Church College di Oxford. Le sue immagini mostrano un’Alice dai capelli scuri, corti, e occhi azzurri espressivi, che presto diventò la sua musa. Fu così che un pomeriggio, nel 1862, inventò una storia fantastica per divertire lei e le sue sorelle.

10 CONTROCORRENTE
#CONTROracconto
©Anastasia Lobova

Amélie nel paese delle meraviglie

“Il favoloso mondo di Amélie” compie 20 anni: i motivi per cui rimane un’indimenticabile fiaba moderna

Il 25 aprile del 2001 esce nelle sale francesi (arriverà in Italia solo a gennaio dell’anno successivo) “Il favoloso mondo di Amélie”. “Le Fabuleux destin d’Amélie Poulain” è il titolo originale, una fiaba moderna, gentile e visionaria, figlia tanto del cinema francese “classico” quanto della voglia di integrarsi nella complessità della rappresentazione dell’era digitale, fondata sulla necessità di percepire il destino come elemento “modificabile” in meglio.

Protagonista per caso

Incredibile a dirsi, Audrey Tautou non è stata la “prima scelta” di Jeunet per il personaggio femminile, in quanto la sceneggiatura era stata infatti scritta su misura per l’attrice inglese Emily Watson nominata all’Oscar quattro anni prima per “Le onde del destino” di Lars von Trier. Ed è stato solo per la difficoltà incontrata da quest’ultima a recitare in francese che il regista decise, fortunatamente, di riscrivere l’intero film per un’interprete connazionale, aprendo la strada all’affermazione planetaria della Tautou (classe 1976), che pur essendo già al suo settimo film aveva sino ad allora collezionato solo ruoli minori.

La trama

Parigi, 1997. Cameriera in un caffè di Montmartre, la ventenne sognatrice Amélie Poulain rompe la sua quotidianità di piccole cose la sera della morte della principessa Diana quando ritrova una scatola presumibilmente nascosta molti anni prima da un bambino che abitava nel suo stesso appartamento. La ricerca del proprietario (tale Bretodeau, a sua insaputa cliente del bar in cui lavora) la porta a incontrare il suo vicino di casa Dufayel, pittore appartato, affetto da una rara malattia che gli rende le ossa fragilissime, e a decidere di dover dedicare la sua vita a “correggere” quelle degli altri: dal padre vedovo alla portinaia del palazzo, dal garzone tartassato di un fruttivendolo a una collega infelicemente single, fino a uno scrittore fallito. Ma l’abnegazione con cui ricerca la felicità altrui rischia di farle perdere di vista la sua: riuscirà a innamorarsi del “collezionatore di fototessere” Nino Quincampoix, incontrato per caso e che le ha fatto scattare un colpo di fulmine a prima vista?

Una fiaba anticomoderna

“Il favoloso mondo di Amélie” è il quarto film dell’eclettico Jean-Pierre Jeunet. Scritto con la collaborazione di Guillaume Laurant, è un film di svolta nella sua carriera e nella storia recente del cinema francese: una fiaba apparentemente moderna ma in realtà tradizionale e “antica”, che ha saputo intercettare un bisogno di positività e ottimistica “fuga” degli spettatori di tutto il mondo, coniugandola a una forma cinematografica il cui processo “multimediale” di ricomposizione eccentrica della narrazione è stato salutato come una fresca novità.

Tiersen, successo e pentimento

Allo straordinario successo di “Il favoloso mondo di Amélie” ha contribuito in modo determinante anche la sua colonna sonora, composta dal polistrumentista minimalista d’origine belga Yann Tiersen. Ben venti brani, interamente strumentali: alcuni composti appositamente per il film, altri provenienti, e a volte parzialmente rielaborati, dalla già vasta produzione dell’autore. In armonia con il microcosmo messo in scena da Jeunet, sono brevi “brani-giocattolo”: sonorizzazioni da filastrocca, abbozzi di ballate sghembe, aperture per archi e tastiere, ma anche schizzi giocosi in cui a farla da padrone sono sovente strumenti insoliti utilizzati sull’onda di una nostalgia fanciullesca per suoni “semplici” e ninnenanne rassicuranti. Una dimensione magica e impalpabile, ma fortemente evocativa, che ha proiettato il nome di Tiersen a livello internazionale: anche se, in una celebre intervista all’Independent di molti anni dopo, l’autore ne ha sorprendentemente preso le distanze, pentendosi di aver accettato l’incarico.

LEWIS CARROLL Lewis Carroll Alice nel paese delle meraviglie Panzine Edizioni pagg. 224 € 18,00 ©Ise Ananphada
CONTROCORRENTE ©Liccamuciula

VENT’ANNI DI LICCAMUCIULA #storiaCORRENTE

La fondatrice Barbara Fronterrè ci racconta la sua storia

Vent’anni fa ero una ragazza siciliana con un vestito rosso, senza un soldo. Dunque ero nelle condizioni peggiori per fare quasi tutto: donna, meridionale e senza niente tranne i miei libri. Così l’11 giugno 1999 (dopo una deludente esperienza fuori dalla Sicilia), decido di aprire le porte di un palazzo abbandonato sulla piazza del mio paese, di inventarmi un lavoro. Avvio un’aziendina, con idee confuse, zero soldi e nessuna competenza. Quella piazza che oggi tanti ammirano e raggiungono, per una pausa di bellezza o per celebrare le nozze, per girare un film o solo per dire: “Anch’io ci sono stato” era semplicemente un parcheggio, coperto di asfalto sbreccato ed erbacce; l’intensa bellezza della sua storia di pescatori (tra cui i miei avi) era offuscata dal disuso e dall’abuso.

Ho smesso di indossare minigonne e ho tolto il rosso dal mio guardaroba: in compenso, ho cercato di dare a questa meravigliosa fimmina spesso umiliata che è la mia terra, la consapevolezza, la gentilezza, l’aiuto di cui aveva bisogno, per smettere di essere un relitto e tornare ad avere un senso per la comunità, qui e ora. Ho abbandonato un percorso di ricerca che amavo (sono laureata in lettere classiche e dottore di ricerca in Storia Religiosa), che mi avrebbe condotta lontano dalla mia isola. Non sapevo cosa sarebbe stato di me, e nonostante i miei studi e la mia voglia di fare, non vedevo il mio posto nel mondo. Avevo la testa piena di libri e un intenso senso di sofferenza ed umiliazione nel vedere il mio paese ridotto così, e un po’ anche la mia vita. In più, fin da bambina soffrivo di ansia e depressione, il cibo era per me un calmante facilmente a portata di mano. Ciò che è accaduto, è che ho curato me stessa curando la mia terra. E così, ci siamo cambiate il destino a vicenda. Nella mia testa lavoravano gli alti ideali sfoderati nella mia vita già dagli anni del liceo: idee sulla nobiltà umana, le connessioni tra uomini e il significato della cittadinanza. Tutto ciò ha corroborato ogni mia azione come impresa e ogni mia parola pubblica in questo luogo. E così tutto si è trasformato, il cibo, da “droga” calmante, è diventato piacere, responsabilità e amore.

Ho aperto agli altri la mia libreria curativa, ho recuperato mobili e oggetti per creare un’atmosfera di gioia e poesia. Ho creato un marchio, Liccamuciula, che viaggia (e fa viaggiare) per la Sicilia. Nell’antico dialetto di Marzamemi, “liccamuciula” significa bambina golosa. Una golosità che non riguarda solo il buon cibo, ma la gioia di vivere la vita, per intero. In questi anni, non sono rimasta chiusa nel mio retrobottega: ho posto questioni a chi governa i territori, argomentato visioni del luogo, lavorato a reti di impresa e sinergie. Penso che ogni imprenditore debba occuparsi dei luoghi in cui opera, delle condizioni di vita e di lavoro, della cultura e dell’ambiente. Anche se esporsi civicamente, in Sicilia, non è facile, è un rischio che dobbiamo correre. Resta ancora tanto da fare e spero di avere altri vent’anni per dare un contributo più generoso e intenso al mio paese. Spero, soprattutto, nei prossimi vent’anni, di realizzare un mio sogno: un progetto a lungo termine contro le povertà culturali, a sostegno dei bambini e delle donne della mia terra. Sono stata una ragazza interrotta e fragile sotto tanti punti di vista: ne porto i segni e non lo dimenticherò mai. So che potrò contare su ciascuno di voi, sull’amorevole cura e attenzione con cui mi avete condotta fin qui. Con riconoscenza, grazie.

“Avevo due sole certezze: volevo vivere nella mia Sicilia e vivere delle mie passioni… libri, cibo e vino buoni, erbe e fiori, la mia terra e le sue tradizioni”

©Liccamuciula

La famosa invasione degli orsi in Sicilia

«Dunque ascoltiamo senza batter ciglia la famosa invasione degli orsi in Sicilia.» Così comincia questa fiaba straordinaria, in cui si racconta della guerra tra il Granduca di Sicilia e Re Leonzio, sovrano degli orsi insediati sulle montagne. Una guerra in cui saranno via via coinvolti il sanguinario Gatto Mammone, gli spettri di Rocca Demona e i cinghiali volanti di Molfetta, fino alla vittoria che insedierà Leonzio sul trono di una Sicilia remotissima e fantastica. E tutto potrebbe finire bene, se gli orsi non si lasciassero corrompere dai vizi degli uomini, e se Leonzio non dovesse affrontare il mostruoso serpente marino che fa strage di pescatori…

La regina degli scacchi

Finita in orfanotrofio all’età di otto anni, Beth Harmon sembra destinata a una vita grigia come le sottane che è costretta a indossare. Ma scopre presto due vie di fuga: le pillole verdi, distribuite a lei e alle altre ragazzine dell’orfanotrofio, e gli scacchi. Il suo talento prodigioso è subito lampante; una nuova famiglia e tornei sempre più glamour e avvincenti le permettono di intravedere una nuova vita. Se solo riuscisse a resistere alla tentazione di autodistruggersi… Perdere, vincere, cedere, resistere: imparare, grazie al gioco più solitario che ci sia, a chiedere aiuto, e a lasciarselo dare.

14 #uscitaCORRENTE

Il racconto dell’ancella

In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, gli Stati Uniti sono divenuti uno Stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. Offred, la donna che appartiene a Fred, ha solo un compito nella Repubblica di Gilead: garantire una discendenza all’élite dominante. Il regime monoteocratico di questa società del futuro è fondato sullo sfruttamento delle Ancelle, le uniche donne che dopo la catastrofe sono ancora in grado di procreare. Ma anche lo Stato più repressivo non riesce a schiacciare i desideri e da questo dipenderà la possibilità e il successo di una ribellione.

Ilprossimomese…

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