Rookie - F1 Magazine project

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Aprile 2017

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Indice

Aprile 2017

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Gallery 2016 Highlights

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Capitolo 1 Un nuovo inizio

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Capitolo 2 Promessa tricolore

Questo numero di Rookie rappresenta la fase di sviluppo del prototipo di un periodico a tema Formula Uno, nonchè progetto di tesi di laurea in Grafica Editoriale di Gianpio Predoti, presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. I testi e le immagini sono liberamente tratti dal Web, non rappresentano, per questo prototipo, scopo commerciale o pubblicitario.

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Capitolo 3 Andare oltre i propri limiti

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Capitolo 4 Il futuro campione

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Capitolo 5 Figli d’arte

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Immagini: Getty Images, Pinterest, Flickr, Autosport, Motorsport-F1 Photos, F1grandprix, F1 Fanatic, Reddit, F1 History.

Capitolo 6 Versus

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Capitolo 7 Rivali col sorriso

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Capitolo 8 Pronti a morire

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Capitolo 9 Ayrton Senna

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Capitolo 10 Più forte del destino

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Capitolo 11 Fino all’ultima bandiera a scacchi

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Epilogo

2016 Highlights 2

La stagione passata si aprì nel peggiore dei modi per il due volte campione del mondo Fernando Alonso, vittima di uno spaventoso incidente all’Albert Park di Melbourne, durante il Gran Premio d’Australia.

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Lewis Hamilton, ancora una volta favorito per la corsa al titolo mondiale per la stagione 2016, aspetta la partenza del GP del Messico davanti al collega-rivale Nico Rosberg.

2016 Highlights 4

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Barcellona, Gran Premio di Spagna.

Durante il primo giro, in un tentativo di sorpasso, Lewis Hamilton perde il controllo della vettura andando a sbattere contro il compagno di scuderia Nico Rosberg che lo precedeva in prima posizione.

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Un soddisfatto Max Verstappen risponde alle domande dei giornalisti dopo la straordinaria vittoria nel GP di Spagna, quando prese il comando della gara già dal primo giro, dopo l’incidente delle Mercedes, vincendo davanti ai piloti Ferrari.

2016 Highlights 8

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2016 Highlights 10

L’ex pilota Red Bull Mark Webber beve champagne dalla scarpa di Daniel Ricciardo dopo il Gran Premio del Belgio, rispettando la personale tradizione del pilota australiano che “costringe� i presenti sul podio al curioso festeggiamento.

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2016 Highlights 12

Lo spettacolo unico che si presenta sotto gli occhi dei piloti che salgono sul podio di Monza, quello offerto dalle migliaia di tifosi (in maggioranza ferraristi) che, dopo la fine del GP d’Italia, invadono la pista per festeggiare ed esultare insieme ai piloti.

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2016 Highlights 14

Austin, GP degli Stati Uniti. Nico Rosberg percorre a tutta velocitĂ uno dei curvoni del circuito americano, caratterizzato dalle tradizionali stelle e strisce che rimandano alla bandiera degli Stati Uniti.

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Gran Premio della Malesia, improvvisamente la Renault di Kevin Magnussen si incendia proprio in corrispondenza con la testa del pilota, che fortunatamente riesce ad uscire illeso anche grazie all’intervento dei meccanici.

2016 Highlights 16

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2016 Highlights 18

Gran Premio della Malesia, un incredulo Lewis Hamilton esce dalla sua vettura, consapevole che quel guasto al motore gli sarebbe costato, di lĂŹ a poco, il mondiale a favore del rivale Nico Rosberg che riesce a mantenere la testa della classifica.

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2016 Highlights 20

La rivalità tra i due compagni di scuderia Lewis Hamilton e Nico Rosberg terminò al GP di Abu Dhabi quando Nico Rosberg riuscÏ a conquistare i punti necessari a laurearsi campione del mondo, per poi annunciare il ritiro dal mondo delle corse automobilistiche.

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Bernie Ecclestone, ex CEO della Formula 1.

Capitolo 1

Un nuovo inizio Finita l’era Ecclestone, si respira aria nuova nel Circus, aria di cambiamenti.

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I

l deus ex machina della Formula 1 è stato spodestato dalla sua leadership indiscussa a cavallo di quattro decenni. Bernie Ecclestone, il più famoso “self made man” dello sport in-

glese, l’uomo che ha trattato con i politici e regnanti di tutto il mondo - compiacendoli o deludendoli a volte con successi o flop epocali - sembra quindi giunto al capolinea della sua lunga carriera nello sport motoristico più

ricco e visto dell’intero pianeta.

Una gestione lunghissima, che ha visto trasformare questo sport da un fenomeno per gentleman, dove sono passati molti costruttori famosi - ma era possibile “far da sé” anche con piccoli team clienti- a una gigantesca organizzazione dove le scuderie devono avere budget multimilionari per affrontare le sfide tecniche nella costruzione delle auto, pagare cachet stellari ai piloti e affrontare stagioni lunghissime in quattro continenti perchè, nel frattempo, la F1 è salita all’apice del motorsport, confermandosi la disciplina su quattro ruote più globale, conosciuta, vista e “venduta” ai media e network.

Dall’annuncio del passaggio di proprietà, la creazione di Formula One Group e il controlo totalmente nelle mani di Liberty Media, si sono registrate le reazioni e i commenti della nuova compagine, dei team con le loro attese,

i cambiamenti dei quali discutere per migliorare la categoria. Mancava una voce, quella di chi ha creato il giocattolo da 8 miliardi di dollari che ha generato profitti e distribuiti tra i protagonisti in pista - ripartizione sulla cui parità di diritti e trattamento si potrebbe a lungo discutere -, è mancato il commento di Bernie Ecclestone.

Ha affidato il suo pensiero a poche

«Ho costruito il campionato nell’arco di quasi 50 anni, ne vado fiero e l’ultima cosa che vorrei è vederlo danneggiato. La nuova proprietà sarà in grado di amministrare la società in modo diverso da come ho fatto io, un modo che ha generato risultati finanziari per gli azionisti, quel che di norma è l’agire di un amministratore delegato», ha specificato Ecclestone.

Bernie Ecclestone (86 anni) ha lasciato il comando della gigantesca nave che è oggi la Formula 1, comando che ha tenuto per 40 anni, costruendo un campionato motoristico multimilionario. righe, rilanciate dalla Reuters. E sono parole arrivate per smentire le voci che volevano un Ecclestone pronto a lanciare un serie alternativa alla Formula 1, ipotesi prontamente esclusa dal diretto interessato, che resterà “padre nobile” del campionato e consigliere di Formula One Group.

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È

Bernie Ecclestone GP del Sudafrica 1972

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quello che ho fatto per i diversi azionisti nel corso degli ultimi anni, anche quando detenevo il 100% della proprietà.

Spero che i tifosi apprezzeranno l’intenzione di Chase Carey di rimettere i soldi sullo sport». Abbiamo già delineato la diversità di approccio nella gestione del business Formula 1 che si prospetta tra l’era Ecclestone e l’era Carey.

Su un passaggio, tuttavia, il nuovo amministratore delegato vuole essere chiaro e passa dal rispetto degli accordi in essere. Ross Brawn ha anticipato la necessità di creare un business più equilibrato e sostenibile finanziariamente, per le squadre così come per gli organizzatori. Sul tema, c’è il capitolo Silverstone da definire. Il BRDC

confida nella gestione Carey per trovare una soluzione ai costi fuori controllo che si porta dietro l’organizzazione del Gran Premio di Gran Bretagna, oberato dalla clausola del 5% di incremento annuo del contratto sottoscritto con Ecclestone, che mette a repentaglio le finanze del Club, nonostante una partecipazione dei tifosi ai massimi livelli (140 mila presenze nel 2016).

Carey, a tal proposito, ha commentato al Daily Mail: «Non rinegozieremo il contratto con Silverstone, ma lavoreremo insieme a loro per essere buoni partner. Il Gran Premio di Gran Bretagna è una gara importante in calendario. Sebbene vogliamo ospitare nuove gare in città come Londra, New York, Miami e Los Angeles, riconosciamo le fondamenta europee dello sport e vogliamo proseguire questa tradizione.

Con Silverstone, vogliamo aiutarli a promuovere la gara. Quando c’è una partita di NFL

In 40 anni Bernie Ecclestone ha visto crescere il campionato motoristico più seguito al mondo. Ha trattato con i più grandi potenti del pianeta ed ha avuto a che fare con personaggi storici.

In alto con Niki Lauda. a Londra, i negozi di Regent Street sono pieni di materiale della categoria.

Vogliamo creare questa sorta di cose per il Gran Premio di Gran Bretagna e ampliare la portata dell’evento, mettere la gara al centro di

un intero week end di spettacolo».

Con l’arrivo di Chase Carey tantissime sono le novità già in programma per il futuro del circus.

Molti, infatti, i progetti per far crescere ancora questo sport.

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Chase Carey, il nuovo boss della Formula 1, oltre ai folti baffi bianchi, può vantare un ottimo curriculum nel campo dei media. Sotto la sua presidenza, Carey proverà a rendere la Formula Uno più interessante per i giovani e per il mercato americano, dove ancora non è lo sport motoristico più seguito.

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opportunità dal punto di vista della manifestazione è quello di rendere i nostri eventi più ampi, più grandi. Ho già detto che vorremmo avere 21 gare come 21 Super Bowl.

Abbiamo un Gran Premio per nazione, e dovremmo rendere questi appuntamenti degli eventi che riempiano un’intera settimana, con animazioni, musica, e altre iniziative per cercare di coinvolgere tutta la città, e non solo il pubblico che assiste alla gara in pista.

Lavorando nel tempo, vorremmo crescere in questa direzione”, ha detto Carey a NBC Sports. Per Carey, un altro elemento chiave è quello di sfruttare appieno le “stelle” che si trovano in Formula 1, come Lewis Hamilton e Max Verstappen, due dei più importanti: “Abbiamo grandi stelle come Lewis Hamilton e Max Verstappen”, ma ho sottolineato che bisogna lavorare nel marketing. “Se non si è connessi al mondo dei digital media vuol dire che ci sarà del lavoro da fare”, ha detto. “Abbiamo stelle meravigliose e sorprendenti nelle auto”.

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Oltre a portare nuove idee per far crescere la Formula Uno, Chase Carey (a sinistra) vuole valorizzare i giovani piloti e investire sulle nuove frontiere del marketing come i social network. In alto con Ron Dennis, CEO McLaren.

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Capitolo 2

Promessa tricolore

Antonio Giovinazzi è la più giovane speranza di un grande ritorno di un pilota italiano in F1.

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na volta c’erano Riccardo Patrese, Michele Alboreto, Elio De Angelis, Andrea De Cesaris ed Alessandro Nannini.

Quanto sono lontani i fasti degli anni ’80 quando in pista il tricolore era rappresentato qualitativamente e quantitativamente. Un dato significativo se raffrontato al nulla delle ultime cinque stagioni del Mondiale di F1. E’ infatti dal 2012 che non ci sono driver del nostro Paese nel gotha dell’automobilismo mondiale. Una penuria da imputare alla mancanza di sponsor ma anche alla scarsa fiducia

data ai nostri giovani piloti italiani.

Nino Farina su Alfa Romeo (1950) e Alberto Ascari su Ferrari (1952-53) sono stati gli unici eroi italici al volante a scrivere il proprio nome nell’albo d’oro dei vincitori del Circus. Poi il nulla assoluto o quasi. Rare eccezioni, campioni ad un soffio dall’iride, come Alboreto, De Angelis e Patrese. In tempi più recenti, qualche “successo di tappa”, con Jarno Trulli e Giancarlo Fisichella (parliamo di più di dieci anni fa). Gli ultimi reduci sono il citato Trulli su Caterham (Lotus in quel periodo) e Vitantonio Liuzzi (Hrt), nel 2011. Nell’ultimo quinquennio gli italiani hanno trovato spazio solo come

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Classe ‘93, si dedica completamente alle corse concludendo la stagione GP2 2016 in seconda posizione dietro Pierre Gasly a soli 8 punti di distacco. collaudatori: Davide Rigon e Fisichella in Ferrari, Davide Valsecchi in Lotus e Raffaelle Marciello in Sauber. Nessuna chance nella massima categoria, specie guardando agli ultimi due, con Valsecchi, ormai commentatore di Sky Sport e lontano da una forma fisica accettabile, e Marciello ancora a caccia del Mondiale di GP2.

Ora, l’ultima speranza sembra essere Antonio Giovinazzi, nominato ufficialmente terzo pilota della Rossa per l’anno venturo e secondo, da rookie, nel campionato del mondo 2016 di GP2.

Una piccola luce in fondo al tunnel? Lo si spera però di fatto anche nel 2017 il tricolore non sarà protagonista nel Mondiale più prestigioso delle quattro ruote.

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Antonio Giovinazzi sarà il terzo pilota del team Ferrari in F1 nel Mondiale 2017.

Diverse ore al simulatore aspettano il giovane Antonio, classe 1993, con tanta voglia di sfondare ed imporsi.

La stagione passata è stata quella del sogno e del grande incubo per il ragazzo di Martina Franca (TA). 3 vittorie e sette podi erano valsi la vetta del Mondiale di GP2, categoria propedeutica alla Formula1, con la monoposto del Team PREMA ad una gara dal termine. I 7 punti di vantaggio sul compagno di squadra Pierre Gasly sembravano essere un buon tesoretto sul tracciato di Abu Dhabi ma la corsa finale non è stata così fortunata per il driver pugliese. Un secondo posto irida-

to amaro ma da accettare essendo esordiente nella classe menzionata.

Tuttavia la decisione nei sorpassi e la grande capacità di lettura della gara sono qualità che non sono sfuggite alla Scuderia di Maranello, spesso accusata di eccessiva esterofilia. Di fatto, Giovinazzi, con il ruolo attuale potrà provare la vettura 2017 nel corso dei test privati autorizzati dalla FIA nonché per lo sviluppo degli pneumatici Pirelli, dalla prossima annata assai più larghi.

Che sia solo l’anticamera per rivedere un italiano in F1 nel 2018? La scadenza dei contratti di Sebastian Vettel e di Kimi Raikkonen invita a fantasticare, specialmente guardando all’età del finlandese (37 anni) non più di primissimo pelo. Di fatto anche l’anno prossimo non avremo al via alcun nostro rappresentante nella massima espressione della competizione su quattro ruote. Gli ultimi italiani in pista furono Jarno Trulli e Vitantonio Liuzzi nel 2011.

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Il 19 dicembre 2016 il presidente della Ferrari Sergio Marchionne annuncia con orgoglio l’ingaggio di Giovinazzi come terzo pilota della scuderia di Maranello a partire dalla stagione 2017.

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on è un caso che usi la parola “orgoglio”. Tutta la carriera di Antonio Giovinazzi è stata una corsa a ostacoli.

E adesso che ha realizzato il suo sogno, diventare pilota della Ferrari, sente che i sacrifici suoi e della sua famiglia sono finalmente ripagati. Nel 2017 il migliore debuttante della GP2 sarà terza guida del Cavallino, facendo un altro passo verso la F.1.

Ma, se non fosse stato per la rossa di Marchionne, che gli ha offerto la grande occasione, la storia da eroe per caso del 23enne pugliese probabilmente si sarebbe fermata qui, visto il disinteresse all’estero per i giova-

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ni talenti italiani.

L’anno prossimo servirà soprattutto a questo: guadagnare esperienza sulla F.1, cogliere ogni dettaglio e crescere come pilota. Sarà un anno da passare ai box. Però il team principal Arrivabene ha spiegato che sono in corso discussioni con i team satellite (la Sauber; ndr) per farla guidare in qualche venerdì dei Gran Premi.

“Non ho esperienza di F.1. Ma, da quello che ho capito provando al simulatore, è difficilissima, molto diversa dalla GP2. Io quest’anno ho imparato a gestire le gomme e credo che mi sarà utile”.

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Capitolo 3

Andare oltre i propri limiti Daniel Ricciardo ci ricorda che dare il massimo non è mai abbastanza, si può sempre dare di più.

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rrivare a gareggiare in Formula 1 è certamente già una realizzazione per ogni giovane che intraprende la carriera da pilota fin da piccolo. Gareggiare in Formula 1 significa praticamente rinunciare a tantissime cose: le abitudini personali, gli amici fino alla famiglia. Proprio per questo, di recente, Nico Rosberg ha dichiarato di voler porre fine alla propria carriera da pilota automobilistico per stare più vicino alla famiglia, che finora aveva messo in secondo piano proprio per dedicarsi alle corse e perseguire il suo obiettivo, che ha raggiunto al culmine della stagione 2016 incoronandosi campione del mondo.

Una vita interamente dedicata allo sport automobilistico è quella di Daniel Ricciardo, australiano classe 1989, che comincia con i kart all’età di nove anni, supportato dal padre Joe (anch’egli pilota in passato); dopo aver ottenuto buoni risultati, decide nel 2005 di passare alle monoposto, cor34

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“

Tra i migliori piloti in circolazione, si distingue per il talento e per il sorriso, suo segno distintivo. rendo il campionato australiano occidentale di Formula Ford. Nel gennaio 2008 viene selezionato dalla Red Bull per il suo programma Junior Team; partecipa così al campionato di Formula Renault 2.0, vincendo la serie dell’Europa occidentale e giungendo secondo in quella continentale alle spalle di Valtteri Bottas. Durante l’anno, debutta in Formula 3 al Nürburgring con il team SG Formula. Nel 2009 corre sempre in Formula Renault 3.5 con il team Tech 1 Racing, terminando il campionato in seconda posizione. Nello stesso anno, Ricciardo fa il suo esordio al volante di una vettura di Formula 1, quando partecipa con la Red Bull Racing al test per giovani piloti tenutosi quell’anno sul Circuito di Jerez.

L’anno seguente prosegue la sua avventura nel medesimo campionato con il team ISR Racing, ma non riesce a partecipare a tutti gli eventi stagionali poiché impegnato in Formula 1 dapprima come collaudatore per la Toro Rosso e poi in qualità di pilota titolare alla HRT; riesce comunque a vincere a Montecarlo e ad ottenere cinque secondi posti. Dal Gran Premio di Gran Bretagna debutta come pilota titolare alla HRT in Formula 1, facendo esperienza al fianco di Vitantonio Liuzzi. Nel 2012 sostituisce Sebastian Buemi alla Toro Rosso e trova compagno di scuderia il francese Vergne. Conclude 18° in campionato con dieci punti.

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Daniel Ricciardo sorride in ogni occasione. Sorridere è la soluzione giusta ad ogni problema e lui ne è l’esempio.

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ella stagione 2013, Ricciardo entra per la prima volta in zona punti nel Gran Premio di Cina con il settimo posto, per poi ottenere un punto in Spagna e l’ottavo posto in Inghilterra. Nel Gran Premio del Belgio ottiene il 10° posto dopo aver rimontato dalla 19° posizione. Il 2 settembre Helmut Marko annuncia l’ingaggio di Ricciardo da parte della Red Bull Racing per sostituire Mark Webber, che a fine stagione si ritira dalla Formula 1 per correre con la Porsche nel Mondiale Endurance.

Il resto è storia recente: passato alla Red Bull al fianco del campione in carica Sebastian Vettel, nella prima gara della stagione 2104 conclude al secondo posto la gara di casa, ma viene squalificato per irregolarità riscontrate nel flusso di carburante. Dopo il ritiro in Malesia, ottiene i primi punti con la nuova squadra in Bahrain con il quarto posto in Bahrain e in Cina. In Spagna ottiene il suo primo podio salendo sul terzo gradino per poi ripetersi a Montecarlo. Infine arriva la gara in Canada dove Ricciardo ottiene la sua prima vittoria in carriera. Buona anche l’annata 2015, conclusa con un ottavo posto e un totale di 92 punti. La stagione successiva avvenne il clamoroso “scambio” di piloti tra Toro Rosso e Red Bull, quindi Ricciardo si trovò Max Verstappen (diciottenne figlio di Jos) come nuovo compagno di scuderia, che si rivelò un talento puro. Nonostante tutto Daniel non ha mai abbassato il tiro, rivelandosi un grande uomo oltre che un gran pilota.

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“Quando durante una gara mi trovo in testa al gruppo penso: non puoi perdere questa occasione, quindi fai quello che devi fare!”

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cco cosa risponde Daniel Ricciardo, riflettendo anche in base alle proprie esperienze, con uno sguardo al futuro.

La cosa più frustrante è non essere in grado di lottare per la vittoria con regolarità o perdere grandi opportunità ad un passo dal traguardo?

“Probabilmente le occasioni mancate, soprattutto quando non capitano molto spesso. Se succede al più forte, probabilmente potrà riprovare a vincere nello spazio di una settimana, quindi è più facile metterselo alle spalle”.

Quindi hai imparato che ogni chance deve essere sfruttata, perché le opportunità non arrivano così spesso...

“Si, sicuramente. Quando durante una gara mi trovo in testa al gruppo penso: non puoi perdere questa occasione, quindi fai quello che devi fare! Alla fine di alcune gare mi sento di aver fatto tutto quello che potevo, ma non è bastato. Così passo alla gara successiva convinto di avere un’altra possibilità”.

Ti senti messo in ombra dopo i buoni risultati di Max Verstappen?

“Ho guidato bene dall’inizio della stagione passata, ma non è servito e ora tutti parlano di Max. Ma sappiamo che questo sport 41

“Sapevo che fino a quel momento non avevo dato proprio il massimo. A volte si pensa di essere già al limite, ma non lo si è ancora.” è così: è uno sport di squadra in cui devi contare anche su altri fattori. Non voglio apparire come un bambino viziato, ma c’è voluto un po’ a digerire questa situazione”.

Il pubblico è abituato a vederti come una persona sorridente, ma ti capita di sbattere i pugni sul tavolo dietro alle quinte?

“Direi che lo faccio abbastanza, ma senza esagerare. Non ho mai lanciato una sedia o fatto qualcosa del genere, perché non voglio creare un clima di conflitto, ma non penso neanche che urlare contro gli ingegneri possa dare troppi frutti. Dopo la sconfitta di Monaco (2016) sentivo che se fossi andato dagli ingegneri sarebbe morto qualcuno, ma non sarebbe stato produttivo e non sarebbe servito, quindi non sono andato. Ho solo lasciato la pista. Preferisco fare così”.

Ti senti di aver fatto un salto di qualità da quando sei arrivato in casa Red Bull? Con l’arrivo di Max, come vedi la tua posizione all’interno del team?

“E’ interessante, perché sapevo che fino a quel momento non avevo dato proprio il massimo. A volte si pensa di essere già al limite, ma non lo si è ancora. Credevo che Daniil Kvyat mi stesse mettendo pressione, poi è arrivato Max. E probabilmente dalla scorsa stagione abbiamo raggiunto un altro livello entrambi, crescendo insieme.

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Ho fatto le mie scelte, questa è la mia vita e la amo.

Il tempo passa inesorabile e ormai hai un centinaio di GP alle spalle. Sei più impaziente ora?

“Ho fatto alcuni commenti dicendo che ho 27 anni e non ho ancora vinto nulla. Ma questo credo che sia solo il desiderio di farcela che viene fuori. Allo stesso tempo, vedo tanti ragazzi che non ne hanno... Alonso ha vinto due titoli di fila e poi nulla per 10 anni, quindi non sono l’unico in quella posizione. Ma penso che sia una questione di fede in ciò di cui sono capace”.

Ti capita di ripensare alle scelte che hai fatto e cos’altro ti sarebbe piaciuto fare?

“Una parte di me a volte vorrebbe aver scelto uno sport diverso, nel quale puoi sempre mostrare le tue vere capacità: nel tennis, per esempio, non c’è nessuna scusa. Si tratta di una racchetta e di una palla, quindi è tutto molto semplice. Il nostro invece è uno sport molto complesso. Però ho scelto questo sport, ho fatto le mie scelte, questa è la mia vita e la amo.”

Cosa ti spinge a dare sempre di più?

“Un giorno potrei finire quinto, ma sentire di aver guidato meglio di chiunque altro.

Ma questo non lo può notare nessuno. Può capitare di dover affrontare delle tempeste lungo il percorso, ma tenendo gli occhi sul 44

Tra i migliori piloti in circolazione, fa coppia con Max Verstappen in Red Bull. Si distingue per il talento e la tenacia, oltre che per l’ottimismo, caratteristica che lo ha fatto presto entrare nel cuore dei fan.

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premio, credo che lo otterrò; questo mi spinge sempre oltre: sapere che ho un obiettivo da raggiungere” L’obiettivo di quest anno sarà battere la Mercedes che sembra ancora la favorita?

“Penso che sia un buon obiettivo per noi, anche se vorrei vincere qualche gara quest anno. Ci proveremo, ma non è una garanzia.

Se posso essere il primo dietro alle Mercedes, sarebbe come una vittoria. Ovviamente, se saremo davanti alla Ferrari, sarà un bene per il mondiale Costruttori e questo è importante a livello finanziario. Inoltre motiverebbe molto anche la squadra”.

Ti stai godendo la sfida con Max? “Si, certo. Come ho detto, penso che Max mi abbia spinto ad un altro livello. Credo di poter essere campione del mondo un giorno e questo è il mio obiettivo, ma se non ci riuscissi, almeno potrò dire: bene, ci ho provato, ma forse c’è qualcuno migliore di me.

Quella con Max è davvero una bella sfida. E’ un po’ come quando c’era Vettel, se riuscissi ad avere la meglio su Max, penso che possa essere solo di buon auspicio per il proseguimento della mia carriera”.

Pensi che la tanta attenzione su Max possa essere fastidiosa a volte?

“Sono contento di non essere io in quella situazione, perché è piuttosto frenetica, anche se lui è più maturo della sua giovane età. Sicuramente è giusto che venga lodato quando se lo merita, ma voglio ricevere anche io le mie lodi quando ho fatto il mio dovere”.

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Capitolo 4

Il futuro campione Max Verstappen è il talento più cristallino della Formula 1, ma anche il più controverso.

M

ax Verstappen si è presentato in Formula 1 nelle prove libere del Gran Premio del Giappone 2014 all’età di 17 anni e 3 giorni. In quel momento correva in Formula 3, ma non avrebbe dovuto passare attraverso campionati più competitivi per fare gavetta: circa un anno dopo la Toro Rosso lo chiamava già come pilota titolare in Formula 1. Come tutti i giovani talenti che bruciano le tappe, Verstappen ha diviso il pubblico tra chi sostiene la necessità che un indiscutibile talento debba subito essere messo nelle condizioni di esprimere il proprio potenziale, e chi, con un po’ di invidia, guarda sempre con diffidenza a chi salta i passaggi intermedi.

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Max Verstappen, a soli 18 anni, è il più giovane vincitore di un Gran Premio di F1 di tutti i tempi.

Carlos Sainz, compagno di Verstappen nel 2015 e nelle prime 4 gare del 2016, in un’intervista dello scorso anno ribadiva infatti con orgoglio il fatto che Helmut Marko – il talent scout della famiglia Red Bull – lo avesse costretto a vincere il campionato di Formula Renault 3.5 per debuttare in Formula 1 nel 2015, sottolineando indirettamente la diversità di trattamento riservata a Verstappen. Esteban Ocon invece, senza invidia, alla domanda su quali siano i migliori talenti del futuro della Formula 1 ha recentemente risposto: «Verstappen e Vandoorne», mentre il giovane olandese era ancora in Toro Rosso, segno che ritenesse probabilmente già pronti

entrambi per il salto nella massima categoria. Se da un lato un salto di qualità così ampio come quello di Verstappen può caricare ancor di più di autostima un pilota, dall’altro la mancanza della gavetta può far mancare la necessaria consaDato il suo grande talento pevolezza per gestire i delicatissimi equiviene messo alla guida della libri della Formula 1.

Red Bull in sostituzione di Verstappen è stato Daniil Kwiat a metà 2016. spostato dalla Toro Rosso alla Red Bull alla quinta gara del 2016, promosso dalla squadra satellite alla casa madre. Ha vinto il primo Gran Premio in Red Bull, in Spagna, risultando il più giovane vincitore di sempre, ma ha poi commesso tre clamorosi errori nel

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Jos Verstappen e il figlio Max.

weekend di gara successivo a Montecarlo, di cui uno in Q1 e uno in gara, molto pesanti e che gli hanno causato il ritiro.

Il passaggio in Red Bull, la vittoria in Spagna e le successive gare capolavoro – Canada, Austria e soprattutto Silverstone – hanno però instillato nella testa di Verstappen

un altrettanto straordinario manager. E chi meglio dello stesso padre di Max, Jos? Suo padre, Jos Verstappen, iniziò fin dall’età di otto anni a correre nei kart, vincendo a dodici il titolo nazionale juniores. Dopo questo successo continuò a gareggiare nella categoria fino al 1989 contando due titoli europei e vari successi conquistati. A fine 1991 l’olandese passò poi alla Formula Opel, vincendo il titolo al primo tentativo.

Dopo questo successo gli venne offerta la possibilità di gareggiare in Formula 3 e nel 1993 divenne campione della F3 tedesca.

Durante la stagione non ebbe molte occasioni in cui mettersi in mostra, se non per alcuni spettacolari incidenti, come quello accaduto durante il rifornimento ai box nel Gran Premio di Germania, in cui, a causa della benzina fuoriuscita dal bocchettone, la sua vettura prese fuoco e il pilota olandese riportò alcune ustioni sul viso. Riuscì comunque a salire sul podio, con due terzi posti, in Ungheria e Belgio e a concludere il campionato in decima posizione.

L’anno successivo si ritrovò a correre alcune

Jos Verstappen ha un discreto passato in Formula 1, lo accompagna sempre, oltre a fare il padre è anche il suo manager. la convinzione che il potere contrattuale che detiene nell’ambiente Formula 1 si sia ampliato, sentendosi in qualche modo legittimato a compiere manovre che molti piloti, tra cui l’ex Martin Brundle, hanno definito “da formule minori”.

Un talento straordinario ha bisogno di 52

gare con la poco competitiva Simtek e nonostante discreti risultati in qualifica l’olandese finì solo uno dei cinque GP disputati.

Nel 1996 passò alla Arrows, con la quale ottiene un sesto posto in Argentina. Negli anni successivi guidò poi per Tyrrell e Stewart, senza mai ottenere punti, penalizzato dalla scarsa competitività del mezzo. Nel 2000, tornò alla Arrows. La vettura che aveva a disposizione, la A21, soffriva però di problemi di affidabilità. Nonostante ciò il pilota olandese

La prima vittoria di Max Verstappen arriva nel GP di Spagna 2016.

Max Verstappen con il padre Jos dopo la vittoria del GP di Spagna 2016.

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fu fautore di grandi prove di spettacolo, come quelle offerte in Brasile o in Canada. Riuscì a finire per 2 volte a punti, ottenendo un quarto posto come miglior risultato al gran premio d’Italia. Corse fino al 2003, anno del suo ritiro.

Helmut Marko ha frettolosamente spostato Verstappen sulla casa madre Red Bull dopo un anno e 4 gare in Toro Rosso per evitare che sul suo pupillo si scatenasse un’asta tra Ferrari e Mercedes. Esattamente come quando lui vinse quella contro la stella a tre punte mettendo sul piatto il suo debutto in Formula Uno da minorenne, che diventerà un caso unico dopo il successivo cambio dei regolamenti.

I metodi sbrigativi e crudeli con cui Marko maneggia i propri piloti hanno fatto un’altra probabile vittima (Kvyat) e ne fecero una (Vergne) assolta a furor di popolo. Per fare spazio al giovane talento olandese era però necessario che il veloce pilota francese si facesse da parte: a 24 anni compiuti la fase di “lancio” di un pilota della cerchia Red Bull era decisamente finita. Ma non sarebbe giusto dipingere Max

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Verstappen come un qualunque adolescente presuntuoso, se non fosse che quella sua boria sia probabilmente funzionale al suo talento. La stessa che gli permette di staccare con molta confidenza più lungo degli altri e che gli ha consentito di compiere sorpassi in punti in cui di spazio non ce n’era.

Molti elementi hanno contribuito a far scemare l’interesse del pubblico di massa verso la categoria e Verstappen sembra fatto su misura per creare appeal mediatico.

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Capitolo 5

Figli d’arte

Quando la velocità fa parte del codice genetico

A

vvocati, farmacisti, giornalisti o commercialisti. Ci sono mestieri e professioni che si tramandano di padre in figlio.

Ora anche la F.1 segue questo andazzo, come se fosse una professione normale alla portata di tutti. E invece no, perché oltre a tanti soldi ci vuole anche talento e non è detto che fra padri e figli il legame sia diretto. Nico Rosberg è figlio di Keke Rosberg, campione del mondo nel 56

1982. Dopo aver vinto il titolo l’anno scorso, ha eguagliato Damon Hill, figlio di Graham, unico papà mondiale fra i figli da corsa. Fra padre e figlio c’è un rapporto strano: «Anche quando vinco e faccio tutto bene, mi chiama e mi dice che ho sbagliato qualcosa, io magari lo chiamo e gli dico che ho vinto più di lui. Non si intromette, mi dà consigli se glieli chiedo, più che un padre è un amico consigliere» dice Nico. Keke Rosberg esordisce in F1 nel 1978 al volante di una Theodore nel

Nico Rosberg (a sinistra) si è laureato campione del mondo 2016, dopo 11 anni e 206 GP disputati.

Ma 34 anni prima, nel 1982, fu proprio suo padre Keke Rosberg (a destra) a conquistare il titolo iridato, con una sola vittoria in stagione.

GP del Sudafrica. Nello stesso anno corre in Svezia, Francia e Gran Bretagna con la ATS, gareggia in Germania, Austria e Olanda con la Wolf e torna con la ATS nelle ultime due prove stagionali (USA Est e Canada).

L’anno successivo porta a casa due successi nella serie nordamericana Can-Am e viene richiamato nel Circus dalla Wolf per rimpiazzare James Hunt nella seconda parte del Mondiale.

Nel 1980 Keke Rosberg disputa la sua prima stagione completa in F1 al volante della

Fittipaldi, scuderia fondata dal pilota brasiliano Emerson Fittipaldi (all’ultimo anno di carriera come driver), e stupisce tutti con un terzo posto nella prima gara in Argentina.

Keke Rosberg passa alla Williams nel 1982 e diventa a sorpresa campione del mondo portando a casa un solo GP (quello della Svizzera). Il suo merito? Aver ottenuto piazzamenti importanti in una stagione funestata da due morti (Gilles Villeneuve e Riccardo Paletti) e dall’incidente di Didier Pironi.

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I

l cognome Hill ha rapresentato molto per il mondo della Formula 1. Graham Hill (in alto) fu uno dei pionieri dell’avvento della Formula 1, correndo dal 1958 al 1975, anno della sua scomparsa in un tragico incidente aereo. Si aggiudicò il Campionato

di F1 per due volte, nel 1962 con la BRM e nel 1968, quando venne chiamato a sostituire Jim Clark, vittima di un incidente, alla Lotus.

Graham fu il padre di Damon (in alto a sinistra), anch’egli cresciuto con la grande passione per i motori e le corse, che lo portò a gareggiare nella massima serie dal 1992 al 1999 e coronare la carriera con la vittoria del mondiale nel 1996 alla guida della Williams-Renault.

Graham e Damon sono i primi “padre e figlio” ad essere diventati campioni del mondo.

Graham Hill fu uno dei pionieri della Formula 1 anni 60, due volte campione del mondo, noto per la sua intelligenza nella condotta di gara. Suo figlio Damon raccolse l’eredità del padre e si laureò campione del mondo nel 1996.

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G

illes Villeneuve arriva nel 1977 alla Ferrari a sostituire un personaggio di spessore, Niki Lauda, che ha rotto malamente con l’ingegner Ferrari. Molti non scommetteranno un soldo sul canadese, anche perchè inizialmente sono più gli incidenti procurati che i giri effettuati. Viene accusato di essere un pazzo, spericolato, che rischia di mettere a repentaglio la vita dei piloti oltre che la sua. All’inizio del 1978 si spera che possa essere un anno diverso: Gilles Villeneuve ha più esperienza, da lui ora ci si attende un pò più di continuità, gli si chiede soprattutto di essere più concreto. Ma lui è Villeneuve. La carriera di Gilles Villeneuve in Formula 1 fu semplicmente spettacolare, fino al Gran Premio del Belgio del 1982, quando Villeneuve riporta delle gravissi-

me ferite nel corso delle prove ufficiali: la sua monoposto urta a 260 km/h la ruota posteriore della March di Joachen Mass (Germania Est) e si impenna. Durante la lunga carambola di oltre 200 metri il corpo di Villeneuve viene proiettato fuori dell’abitacolo finendo addosso a uno dei paletti che sostengono la rete di protezione. Dall’ospedale della vicina Louvain arriva il responso: niente da fare. Lasciò al mondo il giovane Jacques, che seguì le orme del padre, approdando in Formula Uno con l’obiettivo di portare a termine l’opera del padre: vincere il campionato del mondo. Incredibilmente riuscì nell’impresa al termine della stagione 1997 a bordo della Williams.

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M

ax Verstappen è probabilmente il pilota più talentuoso presente nel Circus al momento, soprattutto se si considera la sua giovanissima età: appena 19 anni. Ha iniziato a gareggiare nella massima serie già dal 2015 come pilota della Toro Rosso, scuderia satellite della Red Bull.

Proprio la Red Bull decise, a metà stagione 2016, di farlo salire a bordo scambiandolo con Daniil Kwiat. Come si può vedere nell’immagine sotto, ha dimostrato subito il suo straordinario talento, vincendo la prima gara su Red Bull, in Spagna.

Ma non è tutto, il giovane talento olandese è più volte salito sul podio, accumulando in totale 214 punti che gli valsero il quinto posto nella classifica finale.

Max è figlio di Jos Verstappen, che gareggiò a cavallo tra gli anni ‘90 e i primi duemila su scuderie tra le quali Benetton e Arrows.

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Max Verstappen (in basso) festeggia dopo il GP di Spagna a Valencia diventando il più giovane pilota di sempre a vincere un GP in Formula 1.

Il giovane Mick Schumacker segue con successo le orme del padre: “Voglio diventare campione in Formula 1, come lo desidera diventare ogni pilota”.

B

asta il suo cognome per far sussultare il cuore degli appassionati e non solo: Mick Schumacher. Il figlio delle sette volte campione del mondo di F1 Michael, infatti, sta cercando di ripercorrere la strada del papà, dal 2013 costretto a vivere come un vegetale dopo il grave incidente sciistico in cui ha battuto drammaticamente la testa. Sul Buddh International Circuit di Dehli, in India, ha vinto gara 1 (ha fatto anche la pole e il giro veloce), precedendo Drugovich, Harrison e Newey ed è arrivato terzo in gara 2 (primo Mawson, secondo Aron) della MRF 2000 Challenge. Per Mick Schumacher, 17 anni, è la stagione della svolta, per capire se potrà approdare in F1, il sogno di sempre. Un altro Schumacher nel Mondiale sarebbe fantastico, sotto tutti i punti di vista. E i tifosi della Ferrari lo immaginano vestito di rosso, data la straordinaria esperienza che suo padre ha avuto in Ferrari, portando a Maranello 5 titoli mondiali consecutivi tra il 2000 e il 2004, imponendosi sulla concorrenza per anni e diventando una leggenda.

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U Versus Capitolo 6

Non c’è peggior rivale del proprio compagno di squadra.

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n’amicizia nata ai tempi delle corse di kart disputate con lo stesso team, trasformatasi nel corso delle ultime stagioni in una dura rivalità senza esclusioni di colpi.

Non c’è dubbio su come nel corso degli ultimi anni sia cambiato profondamente il rapporto tra Lewis Hamilton e Nico Rosberg. Se quando erano ragazzini i due piloti erano veri e propri amici, pronti a sfidarsi in pista per poi tornare a essere amici a fine gara, ora non era più così. Una rivalità che, come scopriremo, fino al 2013 (anno dell’arrivo di Lewis in Mercedes) non era particolarmente presente, e che scoppierà solamente

Una carriera condivisa fin da piccoli, quella di Nico Rosberg e Lewis Hamilton. A lato possiamo vederli in amicizia da piccoli (in alto), all’inizio del periodo Mercedes (al centro) e rivali nella stessa squadra (in basso), ma in fondo vecchi amici. l’anno successivo, con l’avvio della nuova fase turbo-ibrida in Formula 1 con la Mercedes W05 che non solo dominerà l’intera stagione, ma che per la prima volta metterà a duro confronto i due ex amici, fedele al mantra presente nel Circus che vede il primo rivale di ogni pilota nel proprio compagno di squadra.

Prima però di ripercorrere le varie tappe che hanno portato alla rivalità odierna tra i due piloti, facciamo un passo indietro.

Siamo nel 2000 e nel campionato europeo di Kart Formula A fa il suo esordio il team MBM.com (Mercedes Benz-McLaren) che vede come piloti proprio Lewis Hamilton e Nico Rosberg, che vediamo raffigurati in alto a sinistra in una foto dell’epoca.

I due gareggeranno poi nella Formula Super A World Championship del 2001 ma con risultati piuttosto deludenti.

Nel frattempo però i due piloti passano dai kart alle monoposto, e le loro carriere 63

sembrano perdersi di vista, fino alla stagione 2006, quando Hamilton, all’esordio in GP2, si aggiudica a Monza il mondiale con l’ART Team, dove aveva sostituito a inizio stagione il campione uscente, che proprio quell’anno aveva fatto a bordo della Williams il suo esordio in Formula 1. Indovinate un po’ di chi si tratta? Proprio lui, Nico Rosberg.

Dopo alcuni anni il destino vuole che i due tornino a correre nella stessa squadra. Nelle ultime fasi della stagione 2012, infatti, la Mercedes ufficializza il nome del pilota che sostituirà l’anno venturo Michael Schumacher (al ritiro definitvo dalla Formula 1) al fianco di Nico Rosberg: si tratta proprio di 64

Lewis Hamilton, che decide di lasciare la McLaren desideroso di provare una nuova avventura. Ai due piloti, rimasti amici nel corso degli anni, non sembra vero di poter tornare a correre insieme come ai vecchi tempi. La stagione 2013 vedrà una decisa crescita della monoposto tedesca (Mercedes W04), inizialmente penalizzata dall’usura delle gomme, e poi, grazie a un test effettuato dopo il GP di Spagna in segreto con la Pirelli, risolvere i propri problemi. Hamilton e Rosberg concluderanno la stagione 2013 rispettivamente al terzo e al sesto posto con Lewis vincitore in Ungheria, e Nico vincitore a Monaco e a Silverstone. Nonostante

La Mercedes era in grado di assicurare il titolo mondiale a chi si sarebbe rivelato più competitivo in pista.

Fu guerra aperta tra i due piloti, che non si risparmiarono nemmeno un colpo.

la decisione di Ross Brawn di abbandonare a fine stagione, c’è grande attesa per una monoposto 2014 rifatta in extremis all’ultimo minuto dal team di tecnici guidato dall’ex Direttore tecnico Ferrari, Aldo Costa, e che fin da subito aveva fortemente impressionato lo stesso Brawn. Al comando della scuderia arriva il duo austriaco costituito da Toto Wolff e dall’ex campione di Formula 1, Niki Lauda. La Mercedes W05 (questo il nome della nuova monoposto) fin da subito dimostra di essere nata davvero molto bene, e di poter seriamente puntare con entrambi i piloti al titolo mondiale 2014. Il GP inaugurale in Australia viene vinto dalla mono65

posto di Rosberg. In Malesia, però, è subito doppietta Mercedes con Lewis davanti a Nico. In Bahrein, però, qualcosa tra i due piloti comincia a cambiare.

Entrambi capiscono che la W05 è una macchina da titolo, Ferrari e Red Bull sono troppo indietro, la Williams non li può impensierire, per cui il titolo già dopo due gare è una cosa che riguarderà solo loro due. E, come spesso avviene in questi casi, l’amicizia comincia a diventare rivalità. All’inizio sana, e poi sempre più aspra. Alla fine della stagione 2014 il campione sarà Lewis Hamilton, che si ripeterà anche l’anno successivo, con Rosberg che si vede passare il titolo sotto il naso in diverse occasioni. L’anno della svolta arriva nel 2016 quando, a causa di un ritiro di Hamilton al GP della Malesia, Rosberg riesce a salire in testa alla classifica che riuscirà a mantenere fino all’appuntamento finale ad Abu Dhabi, conquistando finalmente il titolo mondiale, ritirandosi dopo dalle scene.

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Alla fine della stagione 2016 Nico Rosberg, dopo aver conquistato il titolo mondiale tanto ambito, annuncia il ritiro dalle scene: si interrompe così definitivamente la rivalità tra i due vecchi amici.

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Capitolo 7

Rivali col sorriso

Niki Lauda ricorda la sua rivalitĂ e amicizia con James Hunt, un rapporto particolare di amore e odio, mantenendo uno straordinario rispetto reciproco.

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iki Lauda ha un atteggiamento abbastanza supponente nei confronti della vita. Forse perché sa di essere stato molto fortunato a sopravvivere al terribile incidente nel circuito del Nürburgring nel 1976. Quel fatidico giorno la sua Ferrari sbatté contro la roccia a lato del circuito, roteò su se stessa e venne investita da un’altra vettura, trasformandosi in una pira metallica. Lauda perse i sensi, le fiamme avvolsero l’abitacolo dove rimase

svenuto per quella che sembrò un’eternità, finché un altro pilota, Arturo Merzario, non lo estrasse dal rottame. “Altri 10 secondi in quell’auto in fiamme e ora non sarei qui”, ricorda Lauda, sorseggiando un café crème affondato in un morbido divano della sua suite d’albergo di Vienna.

Lauda e Hunt erano star del circuito: due assoluti professionisti nell’olimpo dell’automobilismo. Erano i tempi in cui il sesso era sicuro, correre in auto era pericoloso e non 69

Due rivali, pronti a sfidarsi al limite delle possibilità umane, ma sempre buoni amici fuori dalla pista e dalle macchine ce n’era per nessuno. I due piloti erano diventati buoni amici nelle stagioni precedenti, pur essendo agli antipodi quanto a carattere e stile di guida. Lauda era pragmatico, disciplinato e rigoroso, mentre Hunt era un forte bevitore, sessualmente insaziabile e talvolta un corridore spericolato.

A quei tempi la morte era uno spettro costante, nonché un rischio professionale per i piloti. La Formula 1 era lo sport più pericoloso del mondo e ogni anno alcuni dei piloti più 70

dotati perdevano la vita al volante di auto da corsa notoriamente fragili. A metà della stagione 1976 Lauda andò come detto vicinissimo alla morte al Nürburgring, ma riuscì a sopravvivere grazie alla sua forza d’animo.

Niki Lauda racconta come il suo incontro ravvicinato con la morte non gli abbia comunque impedito di continuare a correre e andare avanti nella vita e ricorda il rapporto particolare che aveva con il suo diretto rivale James Hunt in Formula 1.

Niki, che sensazioni ha provato nel tornare in pista dopo aver quasi perso la vita solo sei settimane prima?

“Quando, dopo l’incidente, sono nuovamente uscito in pubblico, la gente mi guardava scioccata e questo mi turbava. Pensavo che fossero scortesi a non cercare di nascondere le loro emozioni negative di fronte al mio aspetto. Ma mi sono messo nei panni degli altri e ho capito il punto di vista della gente che mi vedeva e questo mi ha aiutato a capire perché restavano sconvolti”.

E lei come ha reagito davanti al suo volto sfigurato dall’incendio?

“In quel momento ho accettato il mio aspetto. Non ci pensavo, semplicemente andavo avanti… Ma mia moglie è svenuta quando 71

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mi ha visto per la prima volta, così mi sono reso conto che non facevo senz’altro una bella impressione. Mi sono chiesto: ma sono davvero così terribile? Ora, invecchiando, le cicatrici si confondono con le rughe e... beh (alza le spalle) ci si fa l’abitudine”.

Con quale spirito affrontò la gara finale sul circuito del Fuji in Giappone nel 1976?

“Quando abbiamo corso in Giappone, io ero ancora primo. Quella settimana ha piovuto all’inverosimile e, a mio avviso, quando abbiamo iniziato la corsa era troppo pericoloso guidare. Così mi sono ritirato dopo il primo giro. James è arrivato terzo e ha vinto il titolo per un punto: un buon risultato per lui. Io ho avuto la fortuna di sopravvivere a quel terribile incidente e ho scelto di non mettere nuovamente a repentaglio la mia vita”.

Che rapporto aveva con James Hunt?

“Eravamo amici. Lo conoscevo già prima di incontrarlo in Formula 1. Le nostre vite si sono sempre incrociate. Era molto competitivo e anche molto veloce. Per tanti aspetti eravamo uguali. Quando lo guardavo negli occhi, capivo esattamente quello che provava. Ho sempre nutrito un grande rispetto per lui in gara. Potevi guidare a due centimetri dalle ruote della sua auto ed essere certo che non avrebbe mai fatto una cazzata.

Era un grande pilota”.

Lei è molto serio e pragmatico . E Hunt era davvero il suo opposto, sfrenato, donnaiolo e amante degli eccessi?

“Mi piaceva il suo stile di vita. Tutti e due abbiamo avuto molte donne. Io non ero così 73

Niki Lauda è attualmente a capo della Mercedes che negli ultimi anni domina la scena.

Ricorda con piacere James Hunt, scomparso nel 1993 a causa di un attacco cardiaco. intemperante come James, però eravamo simili e ho condiviso una parte delle sue esperienze. Non ero così rigoroso nel mio atteggiamento, anche se ero senz’altro più disciplinato di lui. Non ho mai bevuto o fumato prima di una corsa, James come anche altri piloti lo facevano, ma certamente dopo non potevo esimermi”.

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Era a causa della pressione della guida?

“Ogni corsa avrebbe potuto essere l’ultima.

Ogni volta che uscivamo indenni da una gara facevamo una festa per celebrare il fatto di essere ancora vivi. Erano tempi diversi. Con altri piloti andavo magari a bere una birra dopo la corsa e finiva lì, non era un’amicizia.

Con James era diverso, lui era diverso”.

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Capitolo 8

Pronti a morire La Formula Uno è uno sport tanto spettacolare quanto pericoloso. Negli anni sono decine i piloti che hanno perso la vita.

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er definizione l’automobilismo è uno sport pericoloso, dai primi anni fino ai giorni nostri sono stati tantissimi i piloti che hanno rischiato o addirittura perso la vita in pista: da Lauda a Senna, senza dimenticare Villeneuve e Peterson, fino al più recente Jules Bianchi. Nonostante le norme di sicurezza più avanzate ed efficaci applicate negli ultimi anni (in modo particolare dopo l’incidente mortale di Ayrton Senna a Imola nel 1994) alle monoposto e ai piloti, la Formula Uno continua ad essere uno spettacolo pericoloso: a velocità molto elevate, in caso di incidenti, le vetture diventano incontrollabili e con il pilota all’interno, come successo nell’incidente a Fernando Alonso al GP d’Australia 2016 (a destra) dal quale ne uscì sano e salvo.

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Il rogo della Ferrari di Lauda al Nurburgring, 1976

uella di Niki Lauda è una delle più incredibili tra le storie della Formula 1. Nel 1976 battagliava testa a testa con il rivale James Hunt per la conquista del suo secondo titolo iridato. Al GP della Germania, sul circuito del Nurburgring, cercando di recuperare posizioni, sbanda con la sua Ferrari finendo in un gigantesco rogo (a sinistra). Lauda dopo aver perso il controllo della propria vettura, colpì una roccia a lato del circuito e terminò la sua corsa in mezzo alla pista, privo del casco scalzatosi nell’urto. La monoposto prese fuoco per la fuoriuscita di benzina e il pilota rimase intrappolato nella vettura in fiamme, alcuni colleghi

Niki Lauda alla conferenza stampa del GP d’Italia 1976, appena 40 giorni dopo l’incidente.

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Niki Lauda, GP della Germania 1975

sopraggiunti cercarono coraggiosamente di aiutarlo: Harald Ertl, Guy Edwards e Brett Lunger ma fu soprattutto grazie ad Arturo Merzario, che lo estrasse dall’abitacolo in fiamme, che riuscì a salvarsi, anche se le sue condizioni rimasero molto gravi, non tanto per le pur gravi ustioni subite dal pilota, quanto per aver inalato i velenosi fumi della benzina che potevano danneggiare i polmoni e poi il sangue, con conseguenze letali.

Mentre l’austriaco era lontano dalle piste, James Hunt fu in grado di recuperare gran parte dello svantaggio accumulato in campionato, proponendosi come principale avversario del pilota Ferrari. Lauda, mostrando grande coraggio, decise di tornare al volante dopo soli 42 giorni dall’incidente,

al Gran Premio d’Italia, arrivando quarto in gara, nonostante i dolori provenienti dalle ferite alla testa ancora non rimarginate e problemi alla vista derivanti sempre dall’incidente. Ricominciò, quindi, la corsa altitolo, fino all’ultimo appuntamento previsto in Giappone, sul circuito del Fuji. Qui un diluvio rese le condizioni di gara inaccettabili da alcuni piloti, uno tra i quali proprio Lauda che decise di ritirarsi, lasciando strada libera al rivale Hunt che si aggiudicò il titolo con un solo punto di vantaggio.

Niki Lauda riuscì a sopravvivere all’inferno della sua auto.

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Ronnie Peterson era un uomo vero. Un volto da cinema che celava un pilota dalla guida spettacolare fatta di traversi, velocitĂ in curva e tanto show.

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n quel maledetto week-end a Monza, pista che Ronnie Peterson amava e dove vinse 3 volte, la sua Wing Car la Lotus 79 è carica di problemi. Mentre Andretti stampa la pole, Peterson è solo quinto e deve correre con la vecchia e lenta Lotus 78, adibita a muletto, perchè la sua 79 ufficiale è stata irreparabilmente danneggiata in un incidente nel warm – up. Fu un meccanico a sbagliare lo spurgo dei freni, e Peterson andò contro le gomme alla prima variante.

Al via la variante Good-Year (oggi prima variante) diventa improvvisamente un inferno.

La Lotus di Peterson picchia contro il guard rail alla sua destra, rimbalza, schianta contro il rail dalla parte opposta per poi fermare la sua folle corse a centro pista. Nell’incidente rimangono coinvolte le vetture di: Hunt, Patrese, Brambilla, Pironi, Stuck, Reutmann, Daly e Depailler. In un primo momento il più grave era Brambilla, pratica-

mente già in coma perchè colpito alla testa da una ruota della Lotus di Peterson. Ronnie viene estratto dalla vettura in fiamme da Hunt e Merzario (fermatosi appositamente) con le gambe massacrate ma è cosciente.

Peterson viene operato alle gambe all’ospedale Niguarda di Milano. Un operazione forse troppo azzardata e frettolosa. Pare che Peterson stesso avesso acconsentito all’operazione perchè voleva tornare a correre il prima possibile. L’intervento dura 7 ore e termina alle 23 circa del 10 settembre. Alle 4.30 Peterson ha una crisi respiratoria. Alle 7 le condizioni sono disperate. Alle 10 circa dell 11 settembre 1978, Ronnie Peterson muore per embolia lipidica. Se l’embolia sia una concausa dell’imperizia dei medici (si parlò di un’emorragia devastante durante l’intervento) o un errore del manager a far operare subito Peterson, è solo uno dei tanti interrogativi che avvolge questa tragedia.

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Gilles Villeneuve sulla sua Ferrari, 1979

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ancavano pochi minuti al termine delle qualifiche del sabato a Zolder (Belgio), l’8 maggio 1982, e Gilles Villeneuve, in procinto di rientrare ai box, affrontò la chicane alle spalle dei box e successivamente la discesa che immette alla curva ‘Terlamenbocht’, la curva del bosco.

Improvvisamente si trovò davanti la più lenta March del suo ex compagno di squadra alla McLaren Jochen Mass, il quale lo vide arrivare e si spostò subito a destra, pensan-

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do che il canadese lo superasse a sinistra; Villeneuve, invece, eseguì la manovra opposta, per affrontare la Terlamen all’interno, lungo la traiettoria più veloce, e anch’egli andò quindi verso destra. La collisione fu inevitabile ed ebbe esiti violentissimi: la Ferrari urtò, con la ruota anteriore sinistra, quella posteriore destra di Mass. La vettura decollò, compì due looping completi, sfiorando il guard-rail sulla destra. Il looping successivo portò la monoposto a schiantarsi

violentemente a terra, nella via di fuga interna alla Terlamenbocht: l’energia cinetica era tuttavia tale che la vettura venne rilanciata in aria, priva di gran parte dell’avantreno, per poi ricadere in mezzo alla curva. Jochen Mass rischiò di essere colpito dalla carcassa, che per qualche istante aleggiò sopra la sua vettura, ma riuscì ad evitarla sterzando bruscamente nella via di fuga.

Villeneuve fu sbalzato fuori dall’abitacolocon il sedile ancora attaccato a lui, e ricadde dopo un volo di quasi 50 metri, sulla spalla destra; con il corpo divelse la prima rete di protezione, sbattendo poi il collo su un paletto di sostegno della rete metallica più esterna. Villeneuve venne portato subito in ospedale e quindi il referto: niente da fare.

Morì in seguito ai traumi riportati al cervello a causa della forte decellerazione e dell’impatto con il paletto della recinzione.

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Jules Bianchi è morto a 25 anni inseguendo i propri sogni.

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ules Bianchi aveva 25 anni quando è morto. Il 5 ottobre 2014, durante il Gran Premio del Giappone, a Suzuka, Jules esce di pista con la sua Marussia, scuderia per la quale correva in quel periodo riuscendo anche a guadagnarsi alcuni punti, e si scontra con una gru che stava sgomberando l’area da un’altra vettura uscita precedentemente fuori pista. Entrato subito in coma, vi restò fino al 17 luglio 2015, quando, a causa delle complicazioni dovute all’incidente, morì a Nizza. È il primo pilota di Formula 1 a morire per le ferite riportate in un Gran Premio dal 1994, quando Ayrton Senna morì in gara sul circuito di Imola durante il Gran Premio di San Marino. Dal suo incidente si lavora per migliorare la sicurezza dei piloti a bordo delle monoposto, proponendo soluzioni per salvaguardare la testa del pilota, unica parte del corpo esposta direttamente all’esterno.

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Capitolo 9

Ayrton Senna Biografia di uno dei piloti più controversi.

Un campione dentro e fuori dalla pista.

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yrton Senna Da Silva nasce il 21 marzo 1960 nel distretto di Santana nella parte settentrionale di San Paolo, secondogenito di Neide F. Senna e Milton Da Silva. La sua famiglia gode di uno stile di vita superiore alla media delle famiglie brasiliane e Ayrton ricorderà sempre l’importanza della tranquillità, anche economica, e dell’affetto ricevuto per la sua crescita e la sua maturazione umana e sportiva. Sarà sempre molto legato alla sua famiglia. Ayrton fa il suo debutto in una gara ufficiale nel 1973 sulla pista di Interlagos: vittoria nella prima corsa. Corre con un casco giallo dipinto da Sid Mosca, con i colori della bandiera brasiliana, simbolo del suo paese e della sua gente.

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Gran Premio di Monaco 1989. Ayrton danza sulle curve e vince la gara davanti al rivale Alain Prost, avvicinandosi cosĂŹ al mondiale piloti.

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Il padre intuisce le potenzialità del ragazzo e lo affida a “Tche”, il miglior preparatore disponibile, che ricorda: “Non esistevano altri concorrenti per lui. Gareggiava sempre per vincere. Doveva essere vittoria o niente. Era un individualista, e mirava costantemente alla perfezione. Era attento a ogni dettaglio.

Per esempio, non avrebbe mai tollerato una gomma graffiata, tutto doveva essere perfetto.” A soli 17 anni vince il suo primo titolo internazionale. Ayrton Senna rimane nella storia perchè segnò profondamente il modo di correre in kart, e la sua tecnica è tuttoggi adottata universalmente: da sempre i piloti, nei lunghi rettilinei, bloccano il condotto del carburatore con la mano destra per arricchire la miscela e lubrificare meglio il cilindro con più benzina, poi mettono di nuovo entrambe le mani sul volante per affrontare le curve. Ayrton invece era in grado di farlo anche in curva, sfruttandone i vantaggi in uscita. Il passo successivo sulla scena internazionale è la partecipazione al campionato

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del mondo del 1978 a Le Mans in Francia. Al primo test sul circuito Parma-San Pancrazio con i fratelli Parilla, proprietari della famosa fabbrica di motori DAP, situata nella periferia industriale di Milano, Ayrton è più veloce dell’irlandese Terry Fullerton, pilota ufficiale DAP e campione del mondo nel 1973.

Ayrton firma un contratto da secondo pilota, l’inizio di un lungo e leale legame con i fratelli Parilla, che alla fine lo avrebbe deluso, perché non riuscì mai a conquistare il titolo mondiale di categoria.

Ayrton non aveva dubbi, per diventare un pilota di F1 doveva lasciare il Brasile, la sua famiglia, i suoi amici, per trasferirsi nella patria dell’automobilismo: l’Inghilterra. La scelta sulla categoria cadde sulla Formula Ford, eccezionale nel mettere tutti i piloti sullo stesso piano grazie al motore unico.

Questa categoria consente ad un giovane pilota di imparare tutto ciò di cui ha bisogno sulle monoposto da competizione e di affinare il controllo della vettura, molto

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critico a causa della mancanza di appendici aerodinamiche. Fu il primo pilota a vincere entrambi i campionati Townsend Thorensen e RAC al debutto. Nonostante il successo Ayrton non era felice. Sua moglie Lilian aveva difficoltà a sostenere la pressione delle gare ogni settimana, la famiglia non era felice di averlo lontano da casa, lui stesso non riusciva a adattarsi a quel paese cosÏ diverso dal suo caldo Brasile; e in piÚ la stampa brasiliana non mostrava grande interesse per i suoi risultati. Il sostegno della stampa era vitale per ottenere sponsorizzazioni e Ayrton doveva competere con Moreno e Bosel, allora al vertice della Formula 3 e con Nelson Piquet, protagonista in Formula 1. Con 2 titoli di FFord 2000 in mano, Ayrton Senna ha solo 23 anni quando passa alla Formula 3. E’ il 1983 il suo anno: nel campionato inglese stabilisce il record di dieci vittorie nelle prime dieci gare disputate, con nove pole position e restando al comando per 185 giri su 187 totali.

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A metà stagione la superiorità dimostrata in pista, il ritmo impossibile che imponeva nei primi giri, i sorpassi all’esterno compiuti con facilità imbarazzante non lasciavano spazio a dubbi, il titolo non poteva che essere suo.

Le porte della Formula 1 da lì a poco si sarebbero finalmente aperte.

Ayrton Senna era il quattordicesimo pilota brasiliano a entrare a far parte del prestigioso mondo della F1. Questo lo caricava di enormi responsabilità, il Brasile aveva già avuto due campioni del mondo, Piquet e Fittipaldi, e lui stesso si era costruito la fama di vincente ovunque.

E’ il 1984 e la sua macchina è una Toleman; è un anno di importanti esperienze e di qualche significativa soddisfazione: basti ricordare la splendida gara a Montecarlo sotto la pioggia dove arrivò addirittura a sfiorare la vittoria che, sarebbe senz’altro giunta se l’allora direttore di gara Jacky Ickx, non avesse interrotto la corsa proprio mentre Senna era nel mirino della McLaren

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di Prost. In quell’anno concluse il mondiale in nona posizione.

L’anno successivo Senna passa alla Lotus-Renault, vettura senz’altro competitiva, ma non ancora a livello delle migliori, tuttavia in quell’anno arrivano le prime due vittorie nel mondiale, la prima sotto l’acqua dell’Estoril in Portogallo, la seconda a Spa in Belgio. Senna rimane alla Lotus fino al 1987 vincendo altre quattro gare (Spagna, Monaco e due volte negli USA) e classificandosi quarto nel nei mondiali 1985, 1986 e terzo nel 1987. Nel 1988 passa alla McLaren: Senna coglie 8 vittorie e il suo primo titolo mondiale in F1. Il 1989 è l’anno della grande battaglia con Alain Prost che sfocerà nell’incidente provocato dal pilota francese a Suzuka e che costerà ad Ayrton il titolo mondiale, tolto a tavolino per squalifica.

Ayrton si rifà l’anno seguente: sempre a Suzuka avviene un incidente tra la Ferrari di Prost e la McLaren del brasiliano; questa volta il titolo va al brasiliano.

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GP di Monaco 1992.

Mansell tentò in tutti i modi di sopravanzare Senna che però resistette dopo uno spettacolare duello che entrò nella storia della Formula 1. Qui Senna ottenne la prima vittoria del 1992.

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Nel 1991 il suo rivale è Nigel Mansell ma è Ayrton Senna che a fine campionato scriverà per la terza volta il suo nome nell’albo d’oro.

Nel biennio 1992-1993 la McLaren è molto inferiore alla Williams e per Senna non ci sarà possibilità di vincere il mondiale.

Il 1994 segna il passaggio di Ayrton alla Williams: Senna dispone di una monoposto superiore alla concorrenza, ma lo stesso pilota alle prime prove smentisce e sorprende tutti avvertendo di incontrare difficoltà nella gestione della nuova vettura; la scuderia rivale in quell’anno è la Benetton, rappresentata dal giovane talento tedesco Michael Schumacher, che alla fine della stagione sarà campione. Alle prime tre gare Senna conquista la Pole Position, quasi a ribadire una superiorità indiscussa in qualifica, ma alla prima gara in Brasile finisce in testacoda; nella seconda ad Aida in Adelaide si ritira per un incidente alla partenza. La terza gara si corre ad Imola, nel GP di San Marino: tutto l’ambiente è già fortemente scosso dalla

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morte del pilota Roland Ratzenberger avvenuta il giorno precedente durante le prove.

Al settimo giro, per la probabile rottura del piantone dello sterzo, Ayrton Senna esce di pista alla curva del Tamburello: lo schianto della sua Williams contro il muretto a 300 chilometri orari è terribile. Il campione brasiliano viene subito soccorso e portato al vicino ospedale di Bologna in elicottero. Nonostante lo sforzo dei medici nel tentativo di salvarlo, Senna muore alle 18:30 per le gravi contusioni riportate alla nuca. E’ il 1 maggio 1994. Lascia un vuoto incolmabile all’interno del panorama sportivo automobilistico e non solo. L’intero mondo piange Ayrton. Il Brasile ha perso per sempre l’uomo simbolo del paese, non solo pilota ma anche filantropo che aiutò il Brasile con tutte le forze. Da quel giorno sono state continue le migliorie apportate ai sistemi di sicurezza per proteggere la vita del pilota. Nessun altro pilota è morto per i successivi 21 anni, prima dell’incidente di Jules Bianchi.

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Imola, GP di San Marino, 1 maggio 1994. La carcassa della Williams di Senna subito dopo il tragico incidente. Ayrton viene trasportato in elicottero verso l’ospedale di Bologna; morirà poche ore dopo.

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Capitolo 10

Più forte del destino Frank Williams, un uomo che ha combattuto tante battaglie ma non si è mai arreso.

C

i sono vite di persone che andrebbero prese come esempio, vite che ci fanno tornare con i piedi per terra e ci fanno capire l’importanza della vita, apprezzando quello che abbiamo.

Dopo una breve carriera di pilota, Williams fondò nel 1966 una propria scuderia, la Frank Williams Racing Cars. Per diversi anni il team automobilistico gareggiò in Formula 2 e Formula 3. Nel 1969 Williams passò alla Formula 1: acquistò lo chassis di un vecchio modello di Formula 1 della Brabham e mise alla guida della vettura Courage, ottenendo due volte il secondo posto nelle prime gare disputate. Nel 1970 Williams intraprese un breve periodo di collaborazione con Alejandro de Tomaso, che terminò subito dopo la morte di Courage nel Gran Premio d’Olanda di quell’anno. Nel 1972 la

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Nel 1969 inizia l’avventura di Frank Williams come costruttore in Formula 1.

Williams costruì la prima vettura progettata dalla scuderia stessa, la Politoys FX3 su progetto di Len Bailey, poi schiantatasi nella gara d’esordio. Nel 1976 Williams, a corto di soldi in quel periodo, dovette cedere al magnate petrolifero Walter Wolf, che si era detto disposto ad aiutare la scuderia, il 60% della proprietà. L’anno successivo Frank

Williams, assieme all’ingegnere Patrick Head, lasciò definitivamente la scuderia. I due acquistarono un negozio di tappeti abbandonato a Didcot, nell’Oxfordshire, e da lì fondarono una nuova scuderia, la Williams Grand Prix Engineering (ossia l’attuale Williams), che gareggia ancora oggi in Formula 1 con il nome di Martini Williams.

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Frank Williams e Ayrton Senna

Grazie ad essa, Williams ottenne nel 1979 la prima vittoria con Clay Regazzoni e il primo titolo del Campionato mondiale piloti di Formula 1 nel 1980 con Alan Jones; ad oggi la scuderia vanta 7 titoli piloti, l’ultimo nel 1997 con Jacques Villeneuve e 9 mondiali costruttori, sempre nel 1997.

Nel marzo del 1986, a causa di un incidente automobilistico in Francia, Frank subì la rottura della spina dorsale, che da allora gli paralizza le gambe, costringendolo su una sedia a rotelle a vita. Ciò accadde perché, mentre si stava recando dal Circuito Paul Ricard all’aeroporto di Nizza, Williams perse il controllo dell’automobile che si ribaltò atterrando sul tetto. Nonostante le cinture di sicurezza allacciate, rimase schiacciato 110

Frank Williams ha visto passare sotto la sua direzione grandi nomi, come Ayrton Senna (in alto) e Keke Rosberg (a destra).

Frank Williams e Keke Rosberg

tra il proprio sedile e il tetto piegato e riportò una frattura tra la quarta e la quinta vertebra.

L’incidente gli sconvolse letteralmente la vita, ma nonostante tutto, continuò negli anni a gestire la sua scuderia. Durante la sua direzione vide passare campioni come Alan Jones, Keke Rosberg, Nelson Piquet, Nigel Mansell, Alain Prost e Ayrton Senna, con il quale aveva un legame

particolare, che vide scomparire il 1° maggio 1994, quando ebbero inizio i suoi tormenti sulla causa dell’incidente, provata da un guasto meccanico al piantone dello sterzo. In tutti questi anni sono stati molti gli alti e bassi che si sono alternati in casa Williams, ma sempre e comunque con al comando Sir Frank, irriducibile condottiero di quella che considera parte della sua famiglia.

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Alan Jones, Frank Williams e Patrick Head, 1980.

Ad oggi la Williams è una delle scuderie più importanti del Circus, vanta un notevole palmarès tra campionati piloti e costruttori.

Frank è stato ed è l’anima del team.

Frank Williams nei box, 2015 112

Frank Williams GP d’Olanda, 1970

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Capitolo 11

Fino all’ultima bandiera a scacchi Niente è finito prima dell’ultima gara: molte volte il mondiale si decide negli ultimi metri.

U

n Campionato del mondo è suddiviso in diversi appuntamenti in giro per il mondo.

Non importa chi vince più gare, l’importante è accumulare più punti possibile, perchè è proprio la somma finale dei punti che decreta il vincitore dell’intera stagione.

Ci sono stagioni in cui il pilota che si rivelerà il vincitore riesce ad aggiudicarsi matematicamente il titolo già con diverse gare di anticipo. In altre stagioni, al contrario, il nuovo campione del mondo si decide all’ultima gara, questo perchè il margine di punti sul diretto avversario non gli permette di aggiudicarsi il titolo prima. Così facendo si rende la competizione più spettacolare, aumentando negli spettatori e nei tifosi la suspence: tutto è ancora in gioco e tutto potrebbe succedere fino all’ultimo momento.

Proprio come successe nel 2008 a Felipe Massa (a destra) durante il Gran Premio del Brasile. Quando ormai tutto sembra perduto per Hamilton e la McLaren e mentre Felipe Massa taglia il traguardo al primo posto come campione del mondo virtuale, alla terz’ultima curva dell’ultimo giro l’inglese

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Felipe Massa, GP del Brasile 2008

sorpassa Glock aggiudicandosi i punti necessari a diventare il più giovane campione del mondo della storia della Formula 1. Per i ferraristi e per Massa è una vera e propria beffa: una gara splendida, disputata senza risparmiarsi, dando tutto per inseguire quello

che sembrava un sogno diventato realtà, prima dell’ultimo giro.

Il 1976 è stata una delle stagioni in assoluto più spettacolari della storia della Formula 1, è stato l’anno del duello epico tra Niki Lauda e James Hunt, talmente suggestivo ed entusia115

mente la vita dopo il terribile incidente in cui stava per morire, consegnando il titolo a Hunt che, giunto terzo alle spalle di Andretti e Depallier, vince il campionato del Mondo con un solo punto di vantaggio sull’austriaco.

Il GP del Giappone 1998 vide Schumacher, costretto a vincere per conquistare il titolo e a sperare che Häkkinen non arrivi secondo, ottenere la terza pole position. Al via Trulli rimase fermo e fu quindi necessario ripetere l’operazione. Alla seconda partenza fu la vettura di Schumacher a non partire a causa di problemi alla frizione; fu quindi retrocesso in fondo al gruppo. Al terzo via Häkkinen andò in testa, mentre il tedesco della Ferrari tentò di rimontare e dopo cinque giri si trovava in settima posizione, dietro alla

James Hunt (in alto) vince il suo primo ed unico titolo mondiale a bordo della McLaren, sotto il diluvio del Fuji, dopo il “grande rifiuto” di Niki Lauda che si ritirò a causa delle condizioni climatiche che resero la gara impraticabile. smante da convincere il regista Ron Howard a portarlo sul grande schermo nel 2013 con il film “Rush”. L’ultima gara si svolge per la prima volta nella storia in Giappone, sul circuito del Fuji: Lauda, nonostante il terribile incidente occorsogli in Germania, guida la classifica con 3 punti di vantaggio su Hunt che è reduce da due vittorie consecutive. La pioggia è la vera protagonista del GP, tanto che Lauda decide di ritirarsi polemicamente dopo pochi giri, evitando di rischiare nuova116

Mika Hakkinen vince il suo primo titolo iridato al GP del Giappone 1998 Jordan di Hill. L’inglese, però, riuscì a tenere la sesta piazza e Schumacher lo passò dopo il primo pit-stop. Il tedesco recuperò poi fino alla terza posizione, ma al 38º passaggio l’esplosione della gomma posteriore destra pose fino alla sua gara. Häkkinen vinse quindi la corsa e il suo primo titolo.

All’appuntamento finale del 2010, ad Abu Dhabi, Sebastian Vettel su Red Bull riuscì a togliere il primato di più giovane iridato della storia a Lewis Hamilton: a 23 anni e 4 mesi abbassò un record che sembrava già difficilmente migliorabile. Follemente veloce e determinato come se sentisse che fosse ancora tutto aperto.

Alonso riuscì a riaprire tutti i giochi ed arrivare in testa alla classifica all’ultima gara in una stagione in cui non aveva la macchina migliore. Ma è giusto che sia stato Vettel il campione perché nelle ultime 6 gare della stagione Seb vinse 3 volte. Fu insomma auto-

re di una progressione micidiale. Quello del 2010 fu solamente il primo dei quattro titoli mondiali conquistati da Sebastian Vettel, che a soli 26 anni si trovò, con i suoi 4 allori, ad eguagliare grandi nomi come Alain Prost, unico pilota fino al momento ad aver conquistato 4 campionati, e a posizionarsi dietro soltanto a grandi leggende come Michael Schumacher e Juan Manuel Fangio.Velocissimo, moderno, predestinato: un campione degno che non ha rubato niente a nessuno.

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Sebastian Vettel (sopra) vince a soli 23 anni il primo dei suoi quattro titoli mondiali. A 31 anni, invece, arriva il titolo per Nico Rosberg (a destra).ada).

Predestinato come lo è stato Nico Rosberg, che si trascina il cognome pesante del padre campione del mondo nel 1982, e che finalmente dopo diverse stagioni è riuscito a coronarsi anch’egli campione del mondo.

Vale anche per lui la regola dell’ultima gara: fino al GP di Abu Dhabi era tutto in palio, con Lewis Hamilton, suo compagno di squadra e rivale, a tallonarlo a pochi punti di distanza.

Il margine di punti fu sufficiente a garantire il titolo a Rosberg con un secondo piazzamento all’ultima gara, alle spalle di Hamilton che interrompe così la striscia di titoli mondiali consecutivi iniziata nel 2014. Nico Rosberg decise di lasciare le competizioni sportive per dedicarsi alla vita privata e alla famiglia, venendo rimpiazzato da un altro finlandese che si sta facendo strada, Valtteri Bottas.

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Epilogo

I

n questo numero di Rookie abbiamo percorso un lungo viaggio che ci ha portato a confrontarci con le storie raccontate ed i relativi protagonisti.

Abbiamo capito che bisogna, sempre e comunque, credere in ciò che si fa: ne sono un esempio Ecclestone (che per 40 anni ha gestito il Circus) e il giovane Giovinazzi, nuovo terzo pilota Ferrari. Daniel Ricciardo, che troviamo anche in copertina, ci ha spiegato che a volte dare il massimo non basta, bisogna sempre superare i propri limiti e dare di più senza risparmiarsi mai, come Max Verstappen, fresco talento in casa Red Bull che molti vedono già futuro campione a soli 19 anni. Max, figlio di Jos Verstappen, è uno dei tanti “figli d’arte” che, seguendo le orme dei padri, hanno scoperto i loro talenti. Tra i figli d’arte troviamo Nico Rosberg, campione del mondo in carica, figlio di Keke Rosberg e grande rivale di Lewis Hamilton.

Due grandi rivali li troviamo nella storica

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sfida anni ‘70 tra Niki Lauda e James Hunt, rivali di grande rispetto, che battagliavano in pista in un epoca in cui la Formula Uno era (e lo è stato ancora per molto) uno sport pericolosissimo, dove si era coscienti di sfidare la morte ad ogni gara, come fecero tantissimi piloti; uno dei quali fu Ayrton Senna, eterna leggenda vivente e grande uomo oltre che grande pilota. Non bisogna però buttarsi giù: seguiamo l’esempio di Sir Frank Williams che la morte l’ha vista con i propri occhi, restando paralizzato a causa di un incidente stradale e che, tuttavia, non si è mai arreso e ha continuato a tenere il comando della scuderia Williams (del quale ne è fondatore) dalla sua sedia a rotelle.

Infine dobbiamo imparare che niente è mai dato per scontato: bisogna sempre lottare fino alla fine, come fanno i piloti per conquistare il Campionato del Mondo, che in tantissime occasioni viene assegnato proprio nelle fasi finali dell’ultimo Gran Premio.

Aprile 2017